Promemoria n. 5

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Quando nel 2010 abbiamo presentato al pubblico il numero zero di “Promemoria” l’abbiamo fatto con trepidazione: la rivista costituiva infatti una novità nel panorama editoriale locale, per la sua impostazione innovativa. Allo stesso tempo, però, eravamo sicuri che la sua formula avrebbe incontrato i gusti del pubblico, e riscosso lo stesso successo del progetto Memoteca Pian del Bruscolo, da cui la rivista è nata. Dopo tre anni possiamo dire che la fiducia riposta in questo progetto era giustificata. “Promemoria” è infatti diventata un appuntamento atteso dai cittadini residenti nel territorio dei cinque Comuni aderenti all’Unione “Pian del Bruscolo” e anche fuori dai suoi confini. Con il numero cinque (sesta uscita) si conclude il cammino di “Promemoria”. In poco più di tre anni la rivista ha affrontato temi importanti, occupandosi della storia del nostro territorio da tante angolazioni e intervistato tanti cittadini che hanno raccontato le loro storie. Siamo sicuri che i materiali raccolti da Cristina Ortolani e dai collaboratori della pubblicazione continueranno a essere ancora a lungo di supporto per altre ricerche. Potranno inoltre costituire spunto per approfondire lo studio del territorio, in tanti aspetti ancora tutto da scoprire. Per concludere, non ci resta che ringraziare ancora una volta Banca dell’Adriatico, tesoriere dell’Unione dalla sua costituzione, per il sostegno garantito alla Memoteca dal 2008 e sin dalla prima uscita a “Promemoria”. Senza il suo aiuto difficilmente avremmo portato a termine il progetto, in un momento così complesso. Grazie anche a Cristina Ortolani, ideatrice e curatrice della Memoteca e di “Promemoria”, ai numerosi collaboratori della rivista e a tutti coloro che hanno fornito immagini e ricordi. Federico Goffi

Assessore alla Cultura e alla Promozione del Territorio Unione dei Comuni “Pian del Bruscolo”

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Claudio Formica

Presidente Unione dei Comuni “Pian del Bruscolo”

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Quando sono arrivato a Pesaro, ormai un anno fa, sono rimasto colpito dal fermento culturale e dalle tante iniziative proposte da questo splendido territorio, nel quale ho trasferito anche i miei affetti famigliari. In un momento così particolare, accanto al dovere di essere vicini alle famiglie e alle attività economiche, Banca dell’Adriatico, insieme con la Capogruppo Intesa Sanpaolo, sente l’esigenza di non trascurare arte, musica e in generale tutte le espressioni culturali. In quest’ultimo anno siamo stati al fianco dei maggiori eventi promossi nella provincia di Pesaro e Urbino, da Popsophia al Rossini Opera Festival alla stagione concertistica, senza dimenticare le iniziative organizzate presso la nostra sede operativa di Pesaro, come il progetto La (s)cultura in banca. In questa linea di azione si inserisce anche il sostegno che Banca dell’Adriatico garantisce sin dalla prima uscita alla rivista “Promemoria”, una pubblicazione che in poco più di tre anni ha saputo conquistare l’affetto di un numero sempre crescente di lettori, come dimostrano le richieste di copie che pervengono alle nostre filiali dopo le presentazioni. Questo successo conferma la qualità del lavoro svolto dal maggio 2010, e ci ripaga dei nostri sforzi e dell’impegno profusi. Questo numero chiude la prima serie di sei volumi di “Promemoria”, completando un cofanetto ricco di ricordi che fa bella mostra di sé nelle case di molti pesaresi e non solo. Attraverso le sue pagine abbiamo compiuto insieme un piacevole viaggio alla scoperta del territorio tra Pesaro e Urbino: anche questo significa per noi essere “banca del territorio”. Mi rallegro ancora una volta con gli amministratori dell’Unione dei Comuni Pian del Bruscolo, ente promotore della pubblicazione; con grande soddisfazione, infine, rivolgo a Cristina Ortolani e a tutti gli autori degli interessanti contributi apparsi sulla rivista i miei complimenti, e auguri di buon lavoro. Roberto Dal Mas

Direttore Generale Banca dell’Adriatico

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Questo numero di “Promemoria” è un po’ speciale. Non solo perché, come non sfuggirà ai lettori più attenti, presenta una distribuzione delle pagine e delle rubriche leggermente diversa rispetto al solito. è speciale soprattutto perché segna la prima importante sosta nel viaggio della nostra rivista, iniziato nel 2010 con il bagaglio di trepidazione e dubbi ma anche aspettative - che ogni partenza porta con sé, e proseguito con entusiasmo vivace anche grazie all’incontro con interessanti compagni di cammino. Un viaggio lungo cinquecentosettantasei pagine e un numero imprecisato di immagini (oltre mille, perlopiù inedite), grazie al quale abbiamo conosciuto storie, persone, luoghi, sempre cercando di capire come trarre dalla memoria in tutte le sue declinazioni orientamento per un presente enigmatico. Un’annotazione a margine: scorrendo le pagine - cartacee o virtuali di quotidiani e riviste, e ancor più frequentando il web, è facile notare come la memoria, le “radici locali” e le “microstorie” siano diventate negli ultimi anni uno dei più pregnanti mezzi di comunicazione della specificità del made in Italy. Indicazione non trascurabile, che induce forse alla speranza, o quantomeno ci offre un po’ di conforto, oltrepassando l’orgia di parole ormai consunte dalle quali, sulle stesse pagine, tracima il vuoto vertiginoso di pensiero - e di azione - di larga parte della classe dirigente italiana. Non deve essere un caso, la riflessione si presenta al momento di mandare in stampa la rivista, che più del solito “Promemoria” numero 5 proponga immagini del secondo dopoguerra, della “ricostruzione”, dalle fotografie di Coppi del 1950 alle cartoline con ‘vedutine’ e “Saluti da” dei primi anni Sessanta. Proprio ai luoghi, al Genius Loci in realtà, sono dedicate le pagine dell’Album di Famiglia, cuore di “Promemoria” sin dalla prima uscita. Come avi e parenti nelle foto di gruppo i paesi dai quali “Promemoria” è partita - i cinque Comuni dell’Unione di Pian del Bruscolo: Colbordolo, Monteciccardo, Montelabbate, Sant’Angelo in Lizzola e Tavullia - si mostrano nelle loro inquadrature più tipiche, quelle che ogni visitatore non manca di registrare e “condividere”, oggi con il telefonino e Instagram, ieri con la Voigtlander appesa al collo nell’astuccio di cuoio o con la più impegnativa Polaroid istantanea. Il nostro viaggio proseguirà con forme e modi differenti da quanto sperimentato sin qui: ci auguriamo che i lettori continuino a esserci vicini con il loro affetto e le loro domande. Ringrazio ancora una volta tutti coloro i quali hanno sostenuto “Promemoria”: chi ha creduto nel progetto da quando era solo un’idea e chi a quest’idea ha dato strumenti per andare lontano, impegnandosi spesso in prima persona in questioni pratiche, niente affatto secondarie. Grazie agli amministratori e ai dipendenti degli Enti promotori; a Banca dell’Adriatico, per i suggerimenti e (si può dire? ma sì) il tifo, l’incoraggiamento prezioso. Grazie a tutti i collaboratori, per la pazienza e la disponibilità e, di nuovo, grazie a chi ha condiviso la propria storia con noi. è stato proprio un bel viaggio. Grazie, “Promemoria”.

Cristina Ortolani

concept+image “Promemoria” e Memoteca Pian del Bruscolo promemoria_numerocinque

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Tre anni di “Promemoria”. Photogallery maggio 2010 - maggio 2013

Presentazione del numero 0, Primavera-Estate 2010. Pesaro, 27 maggio. Sede operativa Banca dell’Adriatico; Tavullia, 29 maggio. Sale del Cassero

I Mercoledì di “Promemoria”, Estate 2010. Da sinistra: Montefabbri di Colbordolo, 21 luglio; Montecchio di Sant’Angelo in Lizzola, 28 luglio; Sant’Angelo in Lizzola, 9 settembre; Villa Betti di Monteciccardo, 10 settembre.

Presentazione del numero 1, Autunno 2010. Pesaro, 19 novembre. Sala Giunta della Provincia di Pesaro e Urbino, conferenza stampa con “la crostata della Vera”; Pesaro, 25 novembre. Sede operativa Banca dell’Adriatico; Montelabbate, 27 novembre. Antico palazzo comunale

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Presentazione del numero 2, Primavera-Estate 2011. Pesaro, 14 giugno. Sala Giunta della Provincia di Pesaro e Urbino, conferenza stampa con la torta per il I compleanno della rivista; Colbordolo, 18 giugno. Mulino di Pontevecchio

Presentazione del numero 3, Autunno-Inverno 2011 (presentato nell’Inverno 2012). Pesaro, I febbraio 2012. Sala Giunta della Provincia di Pesaro e Urbino, conferenza stampa; Pesaro, 17 marzo 2012. Prefettura, Loggia del Genga

Presentazione del numero 4, Primavera-Estate 2013. Pesaro, 17 marzo. Fondazione Pescheria Centro Arti Visive; Monteciccardo, 20 aprile 2013. Cantina Il Conventino; Torino, 19 maggio 2013. XXVI Salone del Libro

(continua) fotografie Alberto Cudini - www.cittafutura.info; Luciano Dolcini; Camilla Falcioni - Fondazione Pescheria Centro Arti Visive; Vincenza Lilli - Unione Pian del Bruscolo; Cristina Ortolani; Simona Ortolani promemoria_numerocinque

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sommario > Il Testimone. Renata Palma - Colbordolo, il territorio testimonianza di Renata Palma pagina 10

> Carte per la storia della scuola. Studio, ideazione e allestimento di eventi multimediali con documentazione d’archivio di Antonello de Berardinis - direttore dell’Archivio di Stato di Pesaro pagina 16

> Le Madonne lignee del Museo Diocesano di Pesaro. 1 Il manichino della Beata Vergine del Carmine di Filippo Alessandroni pagina 20 > “Di qua da l’acqua, di là da l’acqua”. 1645, I castelli della diocesi di Pesaro a cura di Filippo Alessandroni pagina 26 > Un archivio al femminile Il progetto di recupero e riordino dell’archivio storico del C. I. F. di Pesaro e Urbino di Filippo Pinto

pagina 28 > Storie di Palazzo Sant’Angelo in Lizzola - da via Vedetta a Palazzo Mamiani di Cristina Ortolani pagina 32

> Tommaso Briganti e le Memorie di Monte Cicardo di Cristina Ortolani pagina 35 > Le opere e i giorni dei marchesi Mosca di Pesaro di Giovanna Patrignani

pagina 38

> Luoghi della memoria. 1 Il giardino di Trebbiantico. Villa Guerrini, già Galantara di Cristina Ortolani pagina 45 > Luoghi della memoria. 2 L’omicidio di Monteluro, 1921. Il contesto, la sentenza di Simonetta Bastianelli > Album di Famiglia. 1 pagina 51 Genius Loci a cura di Cristina Ortolani

pagina 56 > Album di Famiglia. 2 Emma Parola, fotografa a cura di Cristina Ortolani pagina 61 8

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> Storie di guerra Sulle tracce di nonno Peppe. I luoghi della Grande Guerra di Francesco Nicolini pagina 64

> Avvenne ieri Colbordolo, 1904. “Un positivo risveglio” a cura di Cristina Ortolani > Banca e Territorio. 1 Sant’Angelo in Lizzola, 1914

pagina 68

pagina 70 > Banca e Territorio. 2 La (s)cultura in banca - Claudio Cesarini pagina 71

Esercizi di memoria pagina 76 > Capitanomiocapitano Alla ricerca delle musiche e dei balli perduti. 1 di Thomas Bertuccioli pagina 81 > Fuoriprogramma Pian del Bruscolo e i suoi cantori pagina 82 > La memoria delle cose Un’estate al mare. 1 - Pesaro, 1950. Intorno a una fotografia di Cristina Ortolani pagina 85 Un’estate al mare. 2 - Gualtiero Federici, stampatore di Cinzia Cangiotti pagina 89 > Pian del Bruscolo da sfogliare Tavullia, storia e storie sullo scaffale pagina 90 > Mi ricordo pagina 92 > Hanno collaborato a questo numero pagina 94 > La Memoteca Pian del Bruscolo pagina 95 > Come collaborare Avvertenza per la lettura

Per non appesantire il testo e facilitare la lettura, si è scelto di ridurre al minimo le note, inserite alla fine di ciascun articolo e riservate perlopiù all’indicazione di Fonti e tracce. Abbreviazioni utilizzate frequentemente: b. (busta); fasc. (fascicolo); id. (idem); ms (manoscritto); s.d. (senza data di pubblicazione); s.l. (senza luogo di pubblicazione); coll. (colonne); cfr. (confronta). Eventuali altre abbreviazioni o sigle particolari usate nelle note sono date di volta in volta. Il corsivo identifica le citazioni da documenti, fonti a stampa e testimonianze orali; tra [...] gli omissis e le note dei redattori. In corsivo sono indicati anche titoli di libri, articoli, siti internet, spettacoli e manifestazioni, e il titolo originale di quadri e fotografie; titoli di riviste e periodici sono invece riportati tra “ ”. A pagina 15: Eugenio Turri, da http://nuke.eugenioturri.it (3 settembre 2013); a pagina 56: Guido Piovene, Viaggio in Italia (Storie della storia d’Italia), Baldini & Castoldi, Milano 1993 (prima ed. 1957), pagine 508 e segg.; a pagina 63: Bruno Chenu, Tracce del volto, Qiqajon, Torino 2000; a pagina 90: Barbara Spinelli, Il soffio del mite, Qiqajon, Torino 2012, pagina 84. Alle pagine 1 e 4: Sant’Angelo in Lizzola, via V. Monti,13 maggio 2013 (fotografia Cristina Ortolani, Pesaro); a pagina 75: Montefabbri di Colbordolo, 9 novembre 2012 (fotografia Stefano Paganini, Milano); a pagina 91, Sant’Angelo in Lizzola, chiesa di Sant’Isidoro della Serra, 26 ottobre 2008 (fotografia Cristina Ortolani, Pesaro); a pagina 96: Trebbiantico di Pesaro, Villa Guerrini, anni Quaranta del ‘900 (raccolta Alessandro Benoffi, Trebbiantico di Pesaro).

Errata Corrige

Gabriele (alias Archivio) Stroppa Nobili, uno dei più assidui collaboratori di “Promemoria”, ci segnala un’imprecisione apparsa sul numero 1 della rivista. Siamo ancora in tempo per correggere l’indicazione relativa alla fotografia riprodotta a pagina 31, che non raffigura la chiesa di Sant’Agata di Monte Santa Maria come erroneamente indicato, ma la chiesa di San Martino vescovo di Farneto (Montelabbate). Ci scusiamo con i lettori, e ringraziamo Stroppa Nobili per la segnalazione. promemoria_numerocinque

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Il Testimone. Renata Palma Colbordolo, il territorio il testimone

Da Colbordolo a Pian del Bruscolo: il territorio e i suoi mutamenti nel secondo dopoguerra .

Una riflessione tra natura e cultura, tra agricoltura e industria , senza dimenticare San Francesco testimonianza di

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Renata Palma

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La trasformazione del paesaggio nel territorio di Pian del Bruscolo, legata ai profondi mutamenti sociali ed economici del secondo dopoguerra, è un tema ricorrente sulle pagine di “Promemoria”. Lo spopolamento delle campagne, lo sviluppo e il declino delle zone industriali che dagli anni Sessanta del ‘900 hanno così fortemente segnato anche la valle del Foglia, si offrono oggi alla nostra riflessione nella loro stringente attualità, esiti di scelte talora lungimiranti, più spesso dettate dalla contingenza di interessi poco accorti. Al paesaggio dei luoghi a lei cari, con pochi scostamenti gli stessi dei quali si è occupata la nostra rivista, dedica da sempre particolare attenzione Renata Palma, colbordolese da generazioni, insegnante di materie letterarie presso gli istituti superiori della nostra provincia. A conclusione del nostro itinerario tra le voci degli abitanti dei cinque Comuni dell’Unione Pian del Bruscolo accogliamo volentieri, dunque, la sua testimonianza, con l’auspicio che davvero la complessità e la vivacità del tempo nel quale ci troviamo a operare chiamino tutti a comportamenti sempre più responsabili. (c.o.)

In alto: Renata Palma in un recente ritratto e con Sandro Tontardini, assessore alla Cultura e Territorio del Comune di Colbordolo, nell’agosto 2013. Sullo sfondo e in grande nella pagina precedente: Colbordolo (Ps) - Panorama, cartolina, fine anni Sessanta-primi anni Settanta del ‘900 (Archivio Stroppa Nobili, Ginestreto - Pesaro). A sinistra: Zona turistica Colbordolo (PS), Ristorante Bar dell’Orizzonte, cartolina datata 29 ottobre 1970 (fotografia M. Arceci, Urbino; raccolta P. Ferri, Colbordolo); Bottega di Colbordolo (Pesaro), cartolina, anni Settanta del ‘900 (raccolta Giorgio Mulazzani, Bottega di Colbordolo); Colbordolo, via Roma negli anni Sessanta del ‘900 (raccolta Beniamina Marchionni, Colbordolo).

Colbordolo Superficie 27,43 kmq Altitudine 50 / 399 m. s.l.m. Abitanti 6.211 (al 31 Dicembre 2012) 515 residenti nel Capoluogo 1.960 residenti nella frazione di Bottega 1.527 residenti nella frazione di Cappone 1.105 residenti nella frazione di Morciola 474 residenti nella frazione di Talacchio 95 residenti nella frazione di Montefabbri 780 stranieri residenti 2.248 famiglie Confini Montecalvo in Foglia, Petriano, Sant’Angelo in Lizzola, Montelabbate,Tavullia, Urbino

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Un paesaggio rurale delle nostre zone dipinto da Umberto Gradari ai primi del ‘900; il quadro appartiene alla collezione di Marco Larici, nipote di Renata Palma. Umberto Gradari (1880-1959), dell’omonima famiglia, ultima proprietaria dell’antico palazzo di Pesaro dei Mamiani, fu tra l’altro professore di disegno alla Scuola d’arte Applicata all’Industria della stessa città; sue opere si conservano presso i locali Musei civici

Colbordolo, abitanti 1951 - 2011 1951 3.599 1961 3.097 1971 3.004 1981 3.847 1991 4.077 2001 5.087 2011 6.155 Dati Istat 12

“Promemoria” ha posto all’attenzione dei lettori una interessante documentazione circa alcune vicende che le popolazioni dei cinque comuni dell’Unione Pian del Bruscolo hanno vissuto nella prima metà del secolo scorso. I racconti hanno preso in esame circostanze e azioni di singole persone o piccole comunità, e nondimeno la cronaca ha spesso evidenziato uno stretto legame coi grandi temi della storia, come ad esempio l’emigrazione degli Italiani nei primi decenni del Novecento o alcuni aspetti della seconda guerra mondiale. Si tratta del recupero memoriale di un tempo neanche troppo lontano, ma già inghiottito dalle rapide trasformazioni della società e del costume avvenute dal secondo dopoguerra in poi, e in questo senso c’è da augurarsi che lo scavo continui. Sarebbe però uno sguardo miope quello di una riesumazione del passato che prendesse in considerazione solo la categoria del tempo, trascurando quella dello spazio, perché, come si sa, tempo e spazio, oltre che l’alveo in cui scorre la nostra vita, e perciò la storia stessa, sono anche, e direi soprattutto, principi fondamentali della conoscenza in quanto costituiscono l’a priori della nostra sensibilità, cioè la condizione per la quale i dati molteplici della realtà fenomenica vengono unificati nella forma, resi intelligibili e aperti al consenso dell’intelletto. Più semplicemente possiamo dire che la realtà spazio-temporale è connaturale a tutta la nostra vita, e comporta per noi un inevitabile confronto, inoltre, in quanto preesistente al nostro venire al mondo, reclama da noi il ruolo di custodi attenti e interpreti responsabili. Purtroppo, con l’intensificarsi dell’industrializzazione, il nostro paese si è via via discostato da tale indicazione e spesso si sono verificate delle prevaricazioni nei confronti dell’ambiente. Infatti il passaggio dalla civiltà agricola a quella industriale, con il conseguente abbandono delle campagne, specie collinari e montuose, ha comportato uno sconvolgimento nella gestione del territorio a causa di una massiccia cementificazione, un disordinato e cinico sviluppo urbanistico e un caotico traffico automobilistico, senza dire dell’inquinamento di terra, acqua ed aria. Si usa l’espressione “paesaggio industriale”, quasi si sia trattato di un’innocua trasformazione, in realtà, da vari decenni, siamo di fronte a una vera e propria crisi del paesaggio. Da sempre l’uomo si è rivolto alla natura per ricavarne risorse utili alla propria sopravvivenza, e fin dalla più lontana antichità è intervenuto su di essa costruendo strade e ponti, villaggi e città, regolando corsi d’acqua, introducendo colture e allevamenti, ma nel piegare la natura ai suoi bisogni era attento a non sovvertirne meccanismi e procedure e a rispettarne il linguaggio di bellezza e armonia che essa esprime in tutte le sue manifestazioni. La natura infatti non disgiunge mai l’utile dal bello, e anzi promemoria_numerocinque


presenta ogni funzione come immagine di se stessa. In questa intrinseca complementarietà si attua la straordinaria ricchezza della vita, tanto della natura che dell’uomo. Noi siamo infatti in un rapporto di profonda reciprocità con la natura: essa ci nutre e si offre come teatro alla ininterrotta azione scenica che è la nostra vita, dal nascere al morire, ma noi non siamo semplici e inerti spettatori, bensì interagiamo, sia quando, dietro a una spinta emozionale, interpretiamo il bello di natura come consono ad una idea e lo assumiamo come modello, ideale estetico (ad esempio nel Settecento l’ambiente paesistico delle Alpi viene identificato col sublime), sia quando, intervenendo praticamente sulla natura, le conferiamo l’impronta di un’idea mediante opere ed interventi ad essa conformi. In entrambi i casi la natura viene elevata alla complessa vita della nostra coscienza e si fa paesaggio. Nel paesaggio la natura è se stessa arricchita dal pensiero e accoglie in sé i vari significati che storia costruisce nell’incessante fluire del tempo. Il contrassegno di questa incisiva presenza dell’uomo sulla natura è l’identità stessa di certi luoghi, la cui fisionomia è una pietra miliare non solo per la storia del paesaggio, ma anche per quella più vasta della civiltà umana. Penso ai comuni della Valmarecchia che si sono staccati dalla nostra provincia per unirsi con Rimini pur facendo parte del contesto storico-geografico-culturale del Montefeltro, tra le cui connotazioni c’è anche il Francescanesimo delle origini.

La compenetrazione tra natura e storia ci autorizza a definire il paesaggio come natura umanizzata, ma essa si realizza, è bene ribadirlo, nel rispetto per la costitutiva figuratività della natura, senza il quale si infirma il concetto stesso di paesaggio. In Italia, a partire da certi errati interventi operati al tempo della unificazione nazionale, e soprattutto dagli anni Cinquanta del secolo scorso, l’aggressione al paesaggio è stata continua. Attratti dal mito di una modernizzazione ad ogni costo, spinti da uno sfrenato utilitarismo, e inseguendo lo sviluppo di una tecnologia sempre più sofisticata ed artificiosa, abbiamo considerato l’ambiente come una realtà puramente quantitativa ed economicistica, intaccando la bellezza in tanti suoi aspetti. Da vari decenni si parla di questo problema, ma una vera consapevolezza non è stata ancora raggiunta, visto che i comportamenti continuano ad essere irresponsabili. Siamo tutti chiamati ad un cambiamento di rotta, in modo particolare le classi dirigenti, che troppo spesso hanno declinato le loro responsabilità, e troppo spesso preso decisioni lesive della identità storico-geografica dei territori a loro affidati. Penso alle zone interne, che per la sottrazione di servizi di primaria importanza sono sottoposte a un continuo spopolamento, e mi auguro che il loro potenziale di ricchezza storica e paesaggistica sia considerato un promemoria degno di attenzione. Renata Palma

Montefabbri - Colbordolo, la casa natale del beato Sante Brancorsini in una cartolina datata 24 luglio 1937 (Archivio Storico Diocesano, Pesaro). Sulla cartolina è riportata erroneamente la dicitura “Montebaroccio (Pesaro)”, riferita in realtà all’ubicazione del santuario dedicato al beato Sante. Eretto probabilmente nel 1223, quando era ancora in vita San Francesco, il convento di Mombaroccio fu il primo fondato dai Francescani nella diocesi di Pesaro. Nel 1423 il complesso assunse la denominazione di “beato Sante”, dal nome di Giansante Brancorsini, vissuto nel convento tra il 1362 e il 1394, anno in cui morì. Durante la seconda guerra mondiale vi trovarono rifugio circa trecento persone, tra cui numerosi ebrei sfuggiti alle deportazioni naziste. promemoria_numerocinque

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Il territorio di Colbordolo

Dall’alto: la pieve di Sant’Eracliano a Coldelce e un’edicola sacra posta all’imboccatura in via Cupa a Colbordolo (fotografie Sandro Tontardini); Montefabbri: sulla destra si vede il vecchio edificio scolastico demolito negli anni Settanta del ‘900 (raccolta Sandro Tontardini, Bottega di Colbordolo); Talacchio, cartolina degli anni Settanta del ‘900 (raccolta Daniele e Davide Ciaroni, Talacchio di Colbordolo); la corriera della linea ColbordoloPesaro nell’immediato dopoguerra (raccolta Pierdomenico “Bibi” Burani, Pesaro).

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Raccontare un territorio dove si è nati e si vive, è sempre difficile, si può correre il rischio di darne una lettura nostalgica o troppo affettiva senza essere in grado di cogliere in profondità gli aspetti più significativi della sua trasformazione, rivendicando con orgoglio quanto è stato fatto, senza riflettere sulle conseguenze culturali e sociali che certe azioni dell’uomo hanno prodotto sul territorio stesso. Il processo di abbandono della campagne iniziato intorno agli anni Sessanta del secolo scorso ha interessato anche il nostro territorio. Il fenomeno legato anche alla fine della mezzadria, ha di fatto determinato un profondo cambiamento economico e sociale. Lo sviluppo economico, la riorganizzazione completa dei terreni in funzione della meccanizzazione agricola, i primi inserimenti di capannoni in zone con vocazione prevalentemente agricola (piana di Talacchio), la frammentazione della famiglia patriarcale e la conseguente ricomposizione di nuovi nuclei familiari, hanno di fatto dato il via alle maggiori trasformazioni urbanistiche nella parte bassa del territorio. Vecchie case coloniche, polverose strade vicinali, fossi, siepi, filari di alberi, viti maritate, campi coltivati a rotazione, elementi costitutivi di un paesaggio agrario, punti di riferimento di una toponomastica del paesaggio non scritta hanno dovuto lasciare il posto ad insediamenti abitativi e industriali. Bottega, Morciola, Cappone una volta nettamente separate, appaiono oggi come un unico paese; una parte consistente dei terreni destinati all’agricoltura nella piana di Talacchio sono oggi ricoperti di piccoli e grandi capannoni. Il panorama cambia completamente se ci allontaniamo dalle zone urbanizzate e ci inoltriamo per pochi chilometri lungo le strade che ci conducono in collina. Qui ci vengono incontro, edicole votive, segni di religiosità popolare, un patrimonio “minore” degno di attenzione, edifici di pregio sapientemente restaurati (Villa Albani, tipica casa patrizia in stile ottocentesco), Mulino di Pontevecchio, Ufficio Postale di Colbordolo, vecchia chiesa di Morciola, chiesa di Serra di Genga, resti di edifici religiosi che hanno segnato la storia dei luoghi ma troppo presto abbandonati (Pieve di Sant’Eracliano o chiesa di Coldelce), piccoli borghi carichi di storia e di un fascino particolare (Talacchio, Colbordolo, Montefabbri), in cui si respirano atmosfere di altri tempi. Un accenno particolare merita il borgo di Montefabbri, isolato, con la sua struttura compatta immutata nel tempo, circondato da un paesaggio incontaminato. Custodire le nostre identità, prendere coscienza del patrimonio culturale locale (arte, paesaggio, tradizioni, abitudini sociali), per tutelarle e valorizzarle è un compito che spetta a tutti noi, che ci viene indicato anche dalla Costituzione. Sandro Tontardini promemoria_numerocinque


Colbordolo

Montefabbri il problema della tutela e del rispetto per il paesaggio è un fatto intimo,

da riportare alla coscienza individuale, anche se rientra tra i grandi fatti territoriali, collettivi e addirittura planetari.

Non servono prediche, indicazioni disciplinari pesanti, ma solo la lieve carezza di uno sguardo

Talacchio

verso il maggiore dei doni che ci sono stati dati sulla

Terra

e che quindi deve essere amato e rispettato,

Morciola

come bene sacro, troppo spesso tradito in cambio di beni puramente materiali

Eugenio Turri, 2004

Coldelce

In queste pagine: Catasto Gregoriano, prima metĂ del XIX secolo. Mappe di Colbordolo, di alcune sue localitĂ e frazioni (Archivio di Stato di Pesaro)

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Carte per la storia della scuola.

Studio, ideazione e allestimento di eventi multimediali con documentazione d’archivio

“Promemoria” e i suoi archivi in collaborazione con Archivio di Stato di Pesaro

L a storia della scuola italiana attraverso le carte d’archivio.

Proposte e spunti per un percorso

di studio nella nostra provincia

di Antonello de Berardinis Direttore dell’ Archivio di Stato di Pesaro

La scuola rappresenta la prima occasione per socializzare, per sperimentare le regole basilari della convivenza, nonché la prima situazione di confronto e di competizione. Per questo la scuola può essere definita in diversi modi: - depositaria e creatrice di “beni invisibili”(tradizioni di conoscenze e saperi) - “cartina al tornasole” della società, in cui si manifestano i diversi fenomeni sociali (emigrazione, immigrazione…) - “banco di prova delle competenze” - luogo di sperimentazione e innovazione - oggetto di analisi e verifica di proposte di riforma. Risulta evidente quanto siano significativi e ricchi di prospettive gli studi condotti sulla scuola, come confermano numerosi progetti di studio. Proprio su questa lunghezza d’onda l’Amministrazione Archivistica è andata sviluppando i propri interventi, mettendo in cantiere delle pubblicazioni per offrire una raccolta di materiali documentari inediti intorno alla scuola dell’Italia unita. A partire dal 1993 infatti hanno visto la luce diversi volumi della serie intitolata Fonti per la Storia della Scuola, frutto della collaborazione tra archivisti e storici, che procedono da un grande lavoro di riordinamento e rilevazione delle carte del Ministero per la Pubbli16

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ca Istruzione, ora conservate presso l’Archivio Centrale dello Stato. Corre l’obbligo di citare almeno i primi volumi editi dall’Archivio Centrale dello Stato, L’Istruzione normale dalle legge Casati all’età giolittiana, a cura di C.Covato e A.M. Sorge, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, Roma 1994 (Fonti per la Storia della Scuola I); Il Consiglio superiore della pubblica istruzione (1847-1928), a cura di G. Ciampi e C. Santangeli, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, Roma 1994 (Fonti per la Storia della Scuola II); L’Istruzione classica, a cura di G.Bonetta e G. Fioravanti, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, Roma 1994 (Fonti per la Storia della Scuola III); L’Inchiesta Scialoja sulla istruzione secondaria maschile e femminile (1872-1875), Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, Roma 1995 (Fonti per la Storia della Scuola IV); L’istruzione universitaria (1859-1915), a cura di G.Fioravanti, M.Moretti, I.Porcini, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, Roma 2000 (Fonti per la Storia della Scuola V); oltre ai più recenti volumi su L’istruzione agraria e Gli educandati femminili. Per compiere tali analisi non si può prescindere dalle tracce, dalle memorie prodotte nello svolgimento delle attività amministrativa e didattica, e quindi dagli archivi che conservano tali documenti. Da qui nasce la necessità e l’idea di un progetto di censimento ricognitivo-descrittivo degli archivi delle scuole elementari, medie inferiori e superiori (sia pubbliche che private) esistenti nella Provincia di Pesaro e Urbino. L’analisi delle fonti dovrebbe prevedere almeno le seguenti fasi: - la ricognizione delle scuole in attività e di quelle soppresse nell’ambito della circoscrizione provinciale di Pesaro e Urbino; - la descrizione delle tappe principali della storia di ciascuna scuola, corredata della relativa documentazione. La pubblicazione del dossier contribuirà a divulgare le informazioni e i dati relativi alle istituzioni scolastiche (Circoli didattici, Direzioni scolastiche, Istituti comprensivi…)

dai quali partire per interventi di riordino e inventariazione, per studi, ricerche, iniziative anche di didattica, in un’ottica rivolta alla conservazione e alla valorizzazione di tale patrimonio. È bene aggiungere che questa analisi si svolgerebbe in un momento significativo nell’evoluzione dell’organizzazione scolastica: la fase di transizione tra il modello basato su Circoli didattici/Direzioni didattiche/Plessi e quello degli Istituti Comprensivi. Per favorire una visione diacronica del sistema scolastico saranno prese in considerazione anche le fonti relative all’organizzazione interna della scuola stessa: circolari, registri di protocollo, registri di classe, cartelloni didattici, giornalini scolastici… Il progetto si pone come obiettivi minimi: - monitorare la situazione degli archivi scolastici al fine di gestirli al meglio, - riflettere sull’individuo-uomo in diversi ruoli: alunno, studente e docente, - riflettere sull’istruzione, intesa come “bene invisibile”, sulle soluzioni adottate nel tempo, specchio dei numerosi aspetti della evoluzione della cultura e della società. Andrebbero previste almeno le seguenti fasi: 1. spoglio e recupero delle fonti scolastiche antiche giacenti negli archivi (statali e non) della provincia di Pesaro e Urbino; 2. digitalizzazione delle scritture; 3. realizzazione di un portale tematico nell’ambito del SAN (sistema archivistico nazionale); 4. riorganizzazione delle fonti e loro interpretazione storica;

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In questa pagina e nelle pagine precedenti: materiali databili tra la fine dell’ ‘800 e i primi del ‘900 provenienti da scuole della provincia di Pesaro e Urbino (Archivio di Stato di Pesaro, sezione di Archivio di Stato di Fano).

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5. realizzazione di una o più edizioni delle fonti individuate; 6. contestualizzazione del materiale scelto in direzione del progetto e realizzazione dello strumento multimediale; 7. convegno di presentazione del lavoro e momenti seminariali per le istituzioni educative della provincia. Sarebbe auspicabile coinvolgere anche le Istituzioni più direttamente interessate al tema dell’Istruzione nell’ambito territoriale di riferimento, quali l’Ufficio Scolastico Provinciale, le Amministrazioni Comunali e, ovviamente, le singole istituzioni scolastiche detentrici di archivio. Tirando le fila del poco che si è avuto modo di esporre, il progetto ruota intorno ai documenti scolastici antichi, rinvenibili in archivi statali e non della provincia di Pesaro e Urbino, e ne prevede una nuova e inedita contestualizzazione, oltre che uno studio sull’interpretazione degli stessi. I residui documentari, intesi anche come frammenti di un comune trascorso culturale, saranno rivissuti nell’involucro prismatico della performance multimediale e presentati al pubblico in uno scenario insieme virtuale e fisico, in cui potrebbero concorrere elementi di computer music e video art, insieme all’esposizione della documentazione riscoperta negli archivi. Uno spettacolo proteso verso il futuro ma edificato sulle solide fondamenta della cultura del passato.

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Riconosci i bambini nella foto?

Aiutaci a completare il registro della maestra Maria Ranocchi Mosca inviando le tue segnalazioni a info@cristinaortolanistudio.it. Grazie!

Il frontespizio e alcune pagine di un registro della maestra Maria Ranocchi Mosca di Ginestreto; la maestra con una scolaresca (anni Trenta del ‘900; raccolta Pier Luigi Tonti, Ginestreto - Pesaro). Nella fotografia si riconoscono, in piedi sullo sfondo: (?) Broccoli (secondo da sinistra), Uber Cacciaguerra, Maria Galeazzi, Maria Zaffini, (?) Lanci, Maria Ricci; in seconda fila, in piedi: Anteo (Tino) Guerra, secondo da sinistra: Isidoro Carnaroli (quarto da sinistra), Savino Gramolini.

In terza fila, da sinistra: Liliana Giunti, Eritrea Tomasucci, Ava Ranocchi, Rina Corsini, Giovanna Bacchiani, Flora Marcelli; alle spalle della maestra Maria Ranocchi Mosca: Bruna Tommasucci; in quarta fila, da sinistra: Clara Ugolini (seconda da sinistra), Marisa Mancini, Almea Lugli, Edda Bardeggia (penultima tra i bambini); infine, seduti in primo piano, sempre da sinistra: (?) Della Costanza (seconda da sinistra), Franco Giacomini, Melia Giacomini, (?) Giacomini, Luca Mosca, Rina Balduini.

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Le Madonne lignee del Museo Diocesano di Pesaro. 1 Il manichino della Beata Vergine del Carmine L a memoria del territorio Madonne lignee del Museo Diocesano di Pesaro,

in collaborazione con l’Ufficio Beni Culturali della Arcidiocesi di Pesaro

si fa arte nelle

tra le quali anche il manichino della

Beata Vergine del Carmine di Ginestreto di

Il legame plurisecolare che unisce il patrimonio storico artistico con il territorio di provenienza, si caratterizza da sempre come un fattore decisivo per la comprensione dei risvolti politici, sociali, religiosi e culturali che quella città o quei particolari luoghi hanno vissuto in stretta connessione, nell’incedere del tempo storico. Esiste a Pesaro dal 2006 un luogo della “memoria” e della bellezza, il Museo diocesano, che nel riunire spesso i fili dispersi o interrotti delle vicende culturali, attraverso la scoperta delle sue collezioni ripropone al visitatore, al semplice curioso, ma soprattutto ai cittadini di quei territori una chiave di lettura di eccezionale spessore artistico.

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Il museo ha sede negli ambienti sotterranei del Palazzo dell’ex-seminario, oggi conosciuto come Palazzo Lazzarini dal nome dell’insigne progettista e grande protagonista del ‘700 pesarese, che ne fece il disegno intorno al 1785. La particolare tipologia degli oggetti artistici di natura ecclesiastica, esposti nelle varie sezioni tematiche del complesso, introduce il visitatore nell’ottica di una promozione culturalmente consapevole di queste testimonianze, manufatti di una produzione a torto definita “minore”, ridotta alla funzione di mero apparato di culto e troppo spesso tacciata in senso negativo di devozionalismo. Una sezione del museo è dedicata alla produzione lignea di carattere liturgico, una parentesi relativamente indagata nel panorama storico-artistico locale. L’ambiente è tra i più suggestivi, sia per l’alto valore simbolico delle opere esposte, sia per la varietà di questa produzione, frutto di una religiosità vissuta a livello popolare, nella riproposizione di modelli ben collaudati, “simulacri della fede”, a corredo indispensabile e quanto mai diffuso delle remote chiese del nostro territorio e dei loro altari privilegiati. Le ragioni dell’impiego secolare del legno, a partire dalle prime testimonianze romanipromemoria_numerocinque


che, fino allo “sdoganamento” tra Quattro e Cinquecento e l’ampia diffusione nei secoli successivi, sono da ricercarsi nelle caratteristiche intrinseche di questo materiale quali la facile reperibilità, l’economicità del supporto, l’agevole lavorazione; sono caratteristiche di una pratica che trova piena applicazione nella realizzazione di manufatti artistici di notevole impatto emotivo, dai crocifissi alle statue di santi e madonne, opere d’arredo liturgico, in funzione di elementi cardine nei complessi decorativi degli edifici sacri. Nella serie esposta al museo spicca un nucleo di cinque statue o iconografie mariane, Madonne con il Bambino riferibili ad una produzione artistica locale prevalentemente secentesca. Provenienti dal territorio della diocesi pesarese da località come Tavullia, Monteciccardo, Ginestreto e Montelabbate, riguardano in prevalenza la diffusioni di certi temi di notevole richiamo popolare, come il culto per la Vergine Lauretana, per la Beata Vergine del Carmelo e del Santissimo Rosario. Queste testimonianze figurative si diffondono dalla seconda metà del XVI secolo, e in particolar modo dopo la Controriforma (1563), vero snodo sociale, culturale e religioso dell’epoca moderna, con il richiamo ad un nuovo sentimento di religiosità diffusa, ma allo stesso tempo, canalizzata verso iconografie devozionali approvate ufficialmente dal nuovo corso della dottrina cattolica. Le tematiche connesse al culto mariano godono in questo frangente storico di una rinnovata fortuna, con la promulgazione del culto della Vergine, nelle forme approvate, caratterizzando scelte estetiche e iconografiche che avranno nel secolo successivo un’eccezionale eco nel sentimento popolare di devozione verso la Madre di Dio. La diffusione di queste forme di venerazione si deve anche all’operato delle pie associazioni laicali, le confraternite, che dopo un primitivo sviluppo in Italia a partire dal XIII secolo, si diffondono in maniera capillare anche sul nostro territorio, sia all’interno dei nuclei urbani che nelle campagne, ricevendo un nuovo

impulso proprio a seguito del Concilio. Le associazioni confraternali infatti operarono particolarmente nell’interpretazione di un sentimento religioso più immediato e vicino ai bisogni della popolazione, che trovò nel linguaggio dell’arte una via privilegiata per la sua diffusione popolare. Il primo esempio di grande interesse, del quale ci occupiamo in questo intervento, riguarda forse la più singolare tra queste opere d’intaglio ligneo, non tanto per l’iconografia quanto per le caratteristiche tecniche che riguardano la fattura stessa della statua. Si tratta di un prototipo rappresentante la Beata Vergine del Carmine accompagnata dal Bambino in braccio che sorregge nella mano il globo terracqueo. L’iconografia è confermata da alcuni particolari che decorano la statua, quali la veste ricamata e lo scapolare o “abitino”, un piccolo rettangolo di stoffa con l’effigie della Madonna. Questo dettaglio richiama l’origine del culto carmelitano quando, nel 1251, Simone Stock, sesto priore dell’ordine, ricevette l’apparizione della Vergine da lui invocata con l’appellativo di Flos Carmeli (Fiore del Carmelo) sul Monte omonimo, ricevendo in

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dono questo pegno tangibile della sua protezione, poi adottato come segno distintivo dall’ordine carmelitano. Alcuni particolari nell’opera d’intaglio della statua ci svelano la particolare natura di questo manufatto; si tratta infatti di un manichino ligneo, che si prestava ad essere addobbato durante alcune solennità religiose e ciò appare evidente dalla giuntura dell’avambraccio e dalla sommaria definizione dell’anatomia del corpo, dettaglio, quest’ultimo, che si pone quale elemento distintivo di questa tipologia. Infatti secondo la tradizione di questi manufatti, le maestranze di bottega si concentravano piuttosto verso una pregevole definizione del volto e della capigliatura, dei dettagli decorativi quali orecchini e corone, una serie di elementi distintivi, immediatamente visibili e identificabili. Il nostro esemplare poteva quindi essere adattato a molteplici vestizioni dai colori e le decorazioni diverse, secondo determinate festività e iconografie. Nel caso di queste testimonianze artistiche, la cui serialità richiama modelli tramandati nel tempo di sicura affidabilità devozionale, è particolarmente difficile stabilire una cronologia certa e un ambito ben identificato dall’analisi delle forme anche se, è possibile rilevare alcuni caratteristiche costanti di questa produzione, ad esempio la staticità iconica dello sguardo e l’insistenza invece nei dettagli del volto e nella resa cromatica. Il viso infatti, ci appare quasi traslucido, smaltato, mentre i caratteri fisiognomici arrotondati le donano un aspetto dolce e aggraziato, secondo i prototipi stabiliti della venerazione mariana.

L’utilizzo costante del modello e il conseguente deperimento dovuto agli agenti del tempo, hanno prodotto una serie di interventi di restauro e ridipinture successive, manomissioni eseguite anche per adattare e aggiornare l’aspetto al gusto estetico contemporaneo. Queste alterazioni del palinsesto originale concorrono a complicare la lettura formale dell’opera che, nel nostro caso, potrebbe essere genericamente ricondotta alla prima metà del XVII secolo, ad una bottega marchigiana, anche in considerazione della tardiva diffusione di questa iconografia. La statua che poggia i suoi piedi su di un piedistallo a forma di nuvole, dalle quali emergono i visi paffutti e giocosi di tre cherubini, dovrebbe provenire da una piccola chiesetta nel territorio di Ginestreto, San Fabiano, oggi non più esistente con il suo titolo, ed è probabilmente confluita in deposito, insieme ad altri arredi, alla parrocchiale di San Pietro in Rosis. L’antica chiesa è citata nelle più antiche Visite pastorali della Diocesi a partire da quella di Roberto Sassatelli che la registra sotto il «Die 21 Maii 1576…Fuit visitata ecc[les]ia S[anc]ti Fabiani de Genestreto» (c. 548 v.). La sua origine sembra comunque molto più antica, poiché lo studioso pesarese Carlo Emanuele Montani inserisce nelle sue Memorie (c. 294) la citazione di un documento conservato all’Archivio Segreto Vaticano datato al 1290, nel quale si fa menzione della chiesa e del suo rettore. Eretta con il titolo di San Fabiano Martire era chiamata anche della Valle, un toponimo dovuto alla conformazione geografica del rilievo sul

Nota delli Beni stabili della Parrocchia di San Fabiano cavata dal Libro vecchio di detta Parrocchiale, sec. XVIII, dettaglio (Archivio storico Diocesano, Pesaro). A pagina 24: veduta d’insieme delle statue mariane conservate nella Sala lignea del Museo diocesano di Pesaro. Alle pagine 25-26: insieme e dettagli del manichino della Beata Vergine del Carmine di Ginestreto (fotografie Alessandro Fabbri, Pesaro). Nella pagina seguente: Dintorni di Pesaro - Ginestreto, Chiesa della Valle, cartolina dei primi anni del ‘900 (ed. O. Semprucci, Pesaro; Archivio storico Diocesano, Pesaro) e, a colori, alcune immagini recenti della chiesa un tempo intitolata a San Fabiano, attualmente in corso di restauro (fotografie PierLuigi Tonti e Cristina Ortolani, Pesaro). promemoria_numerocinque

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quale sorgeva, posta sul lato verso Pesaro. Di nuovo Montani ricorda con esattezza la sua posizione «in piccola distanza dal Castello di Ginestreto, e per essere posta alla metà della collina su cui il medesimo colle è collocato, ha preso il nome di questa chiesa e parrocchia della Valle» (c. 295). L’edificio ancora esistente, ma attualmente in rovina, cambiò il patronato quando il titolo di San Fabiano fu trasferito nella chiesa nuova di Villa Ceccolini alla metà degli anni ’20 del secolo passato, ottenendo invece quello di Santa Eurosia, come viene infatti ricordata anche dal Michelini Tocci (Castelli pesaresi sulla riva destra del Foglia, p.44) e dal Trebbi (Pesaro. Storia dei sobborghi e dei castelli, p.70) che la identificano nella presente struttura quattrocentesca. La chiesetta dotata di una semplice facciata in mattoni è ornata dal semplice portale archivoltato con una cornice ad aggetto decorata con motivi floreali e presenta inserzioni in pietra calcarea nella chiave d’arco e nelle due mensoline laterali. Sopra questo accesso si apre un’unica finestra che richiama pedissequamente le forme del portale sottostante. La presenza dello spazio vuoto nella centinatura dell’ingresso, lascia presupporre la presenza di una pittura, forse ad affresco o di un rilievo secondo gli esempi del periodo. La struttura molto deteriorata dal tempo e soprattutto dal crollo del tetto è affiancata inoltre da un campanile

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caratterizzato da sottili cornici marcapiano, che s’innalza alla sinistra del complesso. La chiesa sembra dovesse essere già in cattivo stato nei primi anni del ‘900, poiché stando a quanto riportano i documenti d’archivio (Relazione sullo stato della chiesa 1923) si pensava già ad uno spostamento in altra sede. In un primo momento fu fatto un tentativo per “traslocare” la sede più a valle, presso l’antica pieve di Santa Maria in Limata, che si rivelò tuttavia infruttuoso a causa dello stato precario di quest’ultima, alla quale «sebbene la chiesa stessa sarebbe stata rafforzata nella sua stabilità dall’erigenda canonica, nello stato attuale avrebbe bisogno di costosi restauri». Il vescovo in carica mons. Bonaventura Porta intervenendo sulla questione nel ‘22, appoggiò la tesi del parroco sull’ipotesi dell’erezione di una chiesa ex-novo, più vicina al centro della parrocchia, decretando nel Dicembre dell’anno successivo «il titolo di chiesa parrocchiale di San Fabiano di Ginestreto trasferito con tutti i diritti, privilegi e doveri nella erigenda chiesa sulla strada consorziale vocabolo Chiusa, terreno del beneficio parrocchiale di San Pietro in Rosis». Tornando alle cronache e alle note ufficiali del XVIII secolo, rileviamo alcune informazioni particolarmente interessanti nella visita pastorale del Cardinal De Simone (1778), all’interno della quale è citata l’esistenza della chiesa con il titolo parrocchiale. Al suo in-

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terno viene ricordata la presenza di due altari intitolati di cui citiamo «quello della Beatissima Vergine del Carmine, che è privilegiato quotidianamente», nel quale «vi è l’aggregazione dei confratelli e delle consorelle del Carmine come si vede nella Bolla pendente vicino a detto altare» (c.377 r.), richiamando infine l’attenzione sull’antica erezione di questa Unione, che il vescovo De Simone ritiene precedente al documento ufficiale di approvazione, probabilmente seicentesco. La menzione della statua si ricava invece da un documento databile alla prima metà del XVIII secolo, Nota delli Beni stabili della Parrocchia di San Fabiano cavata dal Libro vecchio di detta Parrocchiale. All’interno del documento manoscritto si evidenzia una sezione dedicata agli arredi e i suppellettili adibiti al culto presso l’altare dedicato alla Madonna del Carmine; tra tovaglie, amitti, candelieri e ceroforari, compare l’elenco degli Habiti per la statua di M.V. del Carmine, che concorre a identificare la nostra statua con il manichino ligneo utilizzato per la vestizione liturgica durante la commemorazione dedicata della «Quarta domenica di Luglio». Tra questi vengono menzionati «una veste di drappo fiorato rosso, e bianco con trino negro ed oro falso,….un manto di taffetà torchino stellato d’oro», quest’ultima decorazione fa riferimento al titolo di Regina del Cielo, tipico anche della Virgo Lauretana. Nella stessa chiesa era infatti presente anche un’altare dedicato alla devozione della Madonna di Loreto, celebrata, secondo la fonte documen-

taria «Allì 10 Decembre». Le feste venivano poi solennizzate con due processioni «una con la statua di Maria Vergine sotto l’invocazione del Carmine… l’altra con la statua parimenti di Maria V. nel giorno della Venuta della Santa Casa, con l’intervento di tutte e tre le Compagnie di Ginestreto che ciascuna di loro portan due torcie». E’ probabile dunque l’utilizzo del manichino ligneo in virtù della sua versatilità, anche durante la festività della Madonna di Loreto, in considerazione della presenza dell’Orbis terrarum posto nella mano del Bambino e riconducibile a quest’ultima iconografia. L’attuale veste del manichino decorata a racemi fogliacei, è stata ricondotta sulla base di analogie stilistiche ad una produzione marchigiana del primo quarto del XIX secolo. Si tratta di un esemplare realizzato con tessuti preziosi quali la broccatura in seta policroma, il taffetàs in seta bianco e la lisére. Questo esemplare realizzato appositamente per il modello ligneo nell’ ‘800, ancora nel suo pieno utilizzo, non può essere evidentemente citato nell’elenco settecentesco. La presenza di questi tessuti, spesso realizzati all’interno di “ateliers” conventuali e frutto del paziente lavoro monacale, risultano preziose testimonianze dell’attenzione posta dai confratelli della Pia Unione del Carmine verso il modello devozionale, che documenta ancora oggi, con la sua simbolica presenza, le antiche suggestioni di un culto e le radici di una tradizione saldamente ancorata sul territorio.

Fonti e tracce Archivio Storico Diocesano Pesaro, Serie Visitationes,Visita di Roberto Sassatelli, 1576. Ivi, Visitationes (1576-1846), a cura di F. Pinto, dattiloscritto. Ivi, Elenco parrocchie, S. Fabiano Chiusa di Ginestreto: 1.Nota delli Beni stabili della parrocchia di San Fabiano cavata dal Libro vecchio di detta parrocchiale, n.11, sec. XVIII (prima metà) cc. non numerate; 2.Relazione dell’Economato dei Beni vacanti (Bologna 27 Nov. 1923); Decreto sulla concessione del titolo di San Fabiano all’erigenda parrocchiale del Vescovo di Pesaro Bonaventura Porta “in hoc die 10 Decembris 1923”. L. Michelini Tocci, Castelli pesaresi sulla riva destra del Foglia, Pesaro 1973. D. Trebbi, Pesaro. Storia dei sobborghi e dei castelli, vol.II, Pe-

saro 1989. E. Neri Lusanna, Tra arte e devozione: la tradizione dei manichini lignei nella scultura umbro-marchigiana della prima metà del Cinquecento, in Scultura e arredo in legno tra Marche e Umbria, a cura di G. B. Fidanza, Atti del primo Convegno di Pergola (24/25 ottobre 1997), Pergola 1999. La visita pastorale del Cardinal Gennaro Antonio De Simone alla diocesi di Pesaro, a cura di G.Allegretti, Urbania 2007. F. Tesini, Una chiesetta stile romanico, in “Il Resto del Carlino”, 3 Novembre 2011. C. E. Montani, Memorie Istoriche Ecclesiastiche e Civili della città di Pesaro e suo territorio,Tomo II, ed. a cura di G. Stroppa Nobili, Sant’Angelo in Lizzola 2012.

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“Di qua da l’acqua, di là da l’acqua”. 1645, i castelli della diocesi di Pesaro “Promemoria” e i suoi archivi | 1 in collaborazione con Archivio storico Diocesano di Pesaro

I castelli di “Promemoria” sulle rive del Foglia in un disegno realizzato nel 1645 per la “visita ad limina” del vescovo Giovan Francesco Passionei a cura di

Il disegno è contenuto all’interno della Visita ad limina di Giovan Francesco Passionei, vescovo di Pesaro dal 1641 al 16571; la relazione quinquennale, da presentare alla Sacra Congregazione di Roma e al Papa regnante, informa il governo Pontificio circa lo stato della diocesi amministrata, ed è una sorta di strumento di verifica e controllo pastorale, ancora oggi presente nel Codice di Diritto Canonico. Il documento suddiviso in capitoli da conto delle principali strutture religiose del territorio2, chiese, conventi, associazioni confraternali, insieme ad alcune annotazioni storiche sulla chiesa Cattedrale e geografiche sulla conformazione del territorio e dei suoi insediamenti. L’attenzione posta alla rappresentazione delle terre del Ducato di Pesaro e Urbino (in questo caso il discorso è però limitato alla diocesi pesarese) si rivela una costante nel tempo a partire dal Rinascimento, nel connubio tra gli interessi delle grandi dinastie del territorio, Montefeltro e Della Rovere e la nascita della cartografia nel XVI secolo, che si rivela un importante strumento di supervisione strategica. Il discorso prosegue anche negli anni della Devoluzione (1631), con il passaggio del Ducato allo Stato pontificio; in questo ambito la volontà di rappresentazione encomiastica, aveva trovato la sua massima espressione a Roma, tra il 1578 e il 1582, nella Galleria delle Carte Geografiche voluta da Gregorio XIII, con la partecipazione di numerosi artisti e la supervisione del cosmografo domenicano Ignazio Danti3. Il documento grafico, il cui autore rimane anonimo, si rivela di particolare interesse documentario; nel di26

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segno emerge la volontà di conformare il territorio, di rappresentarlo ideando una carta simbolica, dove i luoghi fisici vengono rappresentati secondo gli interessi specifici della committenza ecclesiastica, dando la precedenza ad annotazioni e riferimenti topografici inerenti le realtà parrocchiali. Lo stile grafico è corsivo e offre una rappresentazione appiattita quasi stilizzata; manca ogni riferimento naturalistico alla geografia del territorio, alture, promontori, rilievi, eccetto per l’inserimento al centro della rappresentazione dell’alveo fluviale del Foglia (Isaurus seu Foglia), che percorrendo la vallata suddivide in due la diocesi, nei castelli “di qua” e “di là dell’acqua”, per citare una toponomastica di uso popolare. Sulla destra del foglio appare l’iscrizione che richiama la presenza del Mare Adriaticus ad Est (Oriens), senza alcuna notazione sul disegno della linea di costa, evidenziando il carattere preminentemente rivolto al censimento degli insediamenti verso l’entroterra. Alcuni elementi d’interesse riguardano invece l’analisi delle emergenze urbane e architettoniche. I nuclei abitati, sul basso della carta vengono suddivisi secondo le caratteristiche forme derivate dall’incastellamento medievale: abbiamo dunque tra Oppida, castri et villa simul, un numero di 27 tra centri fortificati, castelli e borghi rurali cinti da mura. I luoghi seppur semplificati nel segno si svelano secondo le caratteristiche architettoniche che ne individuano l’importanza all’interno della serie rappresentata. I borghi arroccati sulle alture evidenziano l’unico campanile della chiesa parrocchiale che svetta promemoria_numerocinque


Anonimo Civitatis ac diocesis Geographica Descriptio. Cap.Tertius Disegno a penna, inchiostro metallo gallico. 193 X 270 mm. (Il disegno è contenuto in Status Ecclesie Pisaurensis datus Eminentissimis D.ominibus D. Cardinalibus Sacre Congregationis Concilii Tridentine die 9 Martii 1645. Ab Illustrissimo D. Johannis Francesco Passioneo Episcopo Pisaurensis,Archivio Storico Diocesano di Pesaro, Archivio segreto della Curia vescovile, Tomo X. I fasc. n. 5, manoscritto cartaceo, cc. non numerate).

sopra l’intreccio indefinito di case ed edificazioni civili. La chiesa s’impone come elemento caratteristico, tassonomico della rappresentazione che, è bene ricordarlo, si trova inserita a corredo di una relazione di controllo e censimento religioso. La topografia dei nuclei urbani di maggiori dimensioni e peso politico come Pesaro, è caratterizzata ancora una volta dalle emergenze architettoniche di natura ecclesiastica; una veduta d’insieme tra cupole e campanili delle principali chiese cittadine, alla quale si aggiunge un’attenzione verso altri elementi urbani quali le mura, semplificate nella forma quadrata e prive dei bastioni, senza il perimetro pentagonale voluto da Francesco Maria I Della Rovere, alla metà del XVI secolo. Un’unica porta si apre verso sud, ed è identificabile, secondo la ripresa del disegno, con la Porta Fanestra che immetteva dalla città alla Via Flaminia verso Fano.

Tra gli altri castelli spiccano i borghi fortificati di Gradara (Op. Gradaria) e Mombaroccio (Opp. Mons Birocii), entrambi “compressi” all’interno delle cinte murarie, la prima di origine malatestiana, l’altra sforzesca e roveresca, con la veduta delle tre chiese titolari e i rispettivi campanili bene in evidenza. Il fine della Geographica descriptio è dunque quello di mappare i luoghi classificandoli sulla base di alcuni elementi standard, per ribadire emblematicamente il possesso e l’amministrazione civile e “pastorale” su di essi.

Fonti e tracce Eletto vescovo di Cagli da Papa Urbano VIII nel 1629, ricoprì anche la carica di Nunzio Apostolico in Toscana nel 1635, prima di essere trasferito a Pesaro nel Novembre del ‘41. Nel 1651 mise mano alla ristrutturazione del Palazzo episcopale facendo porre a memoria, come si evince dal Betti (Cronica vescovile pesarese sino al MDCC) «…il proprio nome in tutti i fregii delle porte». Queste iscrizioni sono ancora oggi visibili sulle sopraporte di accesso nei locali dell’Archivio storico

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diocesano che ha sede all’interno dell’episcopio pesarese. Don Igino Corsini da conto di questo disegno in un articolo sul settimanale “Il Nuovo Amico” n.7 Aprile 1986, nel quale si sofferma sulla composizione del clero e delle strutture religiose attive all’epoca sul territorio diocesano. 3 Sull’argomento si veda: Il disegno del territorio. Storia della cartografia delle Marche, a cura di G. Mangani, F. Mariano, Ancona 1998. N.d.A. 2

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Un archivio al femminile Il progetto di recupero e riordino dell’archivio storico del C. I. F. di Pesaro e Urbino “Promemoria” e i suoi archivi | 2 in collaborazione con Archivio storico Diocesano di Pesaro

l’archivio storico del comitato pesarese del

C. I. F. - Centro Italiano Femminile offre un significativo contributo alla storia della nostra città nel secondo dopoguerra* di

* Comunicazione presentata in occasione del Congresso elettivo della presidenza C. I. F. di PesaroUrbino, Pesaro, 28 giugno 2013, Chiesa dell’Annunziata.

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Filippo Pinto

L’archivio del Comitato C. I. F. di Pesaro e Urbino trova oggi degna collocazione per iniziativa della presidente provinciale Elena Sormani nell’Archivio Storico Biblioteca Diocesana di Pesaro, che lo ha accolto, siglando apposita convenzione, in seguito al suo trasferimento dalla storica “Casa del Mare” ed ex-sede del C. I. F. provinciale. A lavori in corso il bene archivistico veniva inserito nel censimento regionale di archivi femminili condiviso dalla Soprintendenza archivistica di Ancona (Memorie disperse. Percorsi e progetti di recupero e valorizzazione degli archivi femminili, a cura di M. Palma e M. Tosti Croce, Jesi, 2012), e successivamente la dichiarazione di interesse storico di queste carte da parte della Direzione per i beni culturali e paesaggistici delle Marche, l’urgenza del recupero documentario - è un archivio importante e utile, ma a lungo trascurato benché fosse necessaria documentazione della vicenda fattiva del C. I. F. a Pesaro – e la qualità del progetto hanno costituito i requisiti per accedere ai fondi della legge regionale 26/2009. Il piccolo, prezioso archivio si sviluppa per circa 15 metri lineari, con carte a partire dal 1945. Suggestioni molto intense giungono in fase di riordino dai documenti superstiti, sui quali è possibile recuperare la concretezza dell’enorme lavoro del Centro italiano femminile pesarese nel contesto sociale ed economico del primo dopoguerra, in cui le aderenti cifine si trovarono ad agire, e delle altrettanto disastrose condizioni della provincia di Pesaro, particolarmente gravose per la città situata sulla Linea gotica. promemoria_numerocinque


Tra le tipologie archivistiche conservate più rappresentative si annoverano i verbali, poiché questa documentazione consente di individuare le priorità seguite nelle diverse problematiche istituzionali, organizzative, assistenziali ecc. dell’ente. L’archivio conserva i “Primi verbali” del Consiglio di Pesaro, quelli della presidenza del Comitato provinciale e quelli del Comitato provinciale vero e proprio. Il primo verbale della serie data 20 agosto 1945: alle ore 19, presso la sede della dame della Carità di San Vincenzo di Pesaro, si riunì il “comitato provvisorio” di “donne di casa”, circa una trentina tra signore e signorine simpatizzanti. Lo presiedeva Alessandra Barba Mondaini, colei che nella Conferenza di San Vincenzo aveva affinato il senso concreto di carità verso i bisognosi e che sarà per lungo tempo l’anima del comitato. Dalle parole dell’assistente spirituale padre Davide da Ripatransone cogliamo i motivi ispiratori della nascita del C. I. F. nella città, di questa associazione che “mira a tutelare i diritti della donna ed è, nella sua intima essenza, un grande movimento spirituale a difesa della famiglia, della patria, della società”, in assoluta indipendenza da ogni partito politico e nell’auspicio della collaborazione con associazioni o enti che si occupino di problemi sociali e svolgano azione caritativa. Si tratta di un movimento che, con spirito federativo, chiamava a farne parte tutte le associazioni cattoliche: l’Unione donne cattoliche, la Gioventù femminile e le Laureate di Azione cattolica, le Associazioni cristiane lavoratori italiani, i Terz’ordini osservanti; e che, riguardo alla caritativa, non sembra chiudersi, a Pesaro, almeno sui primi tempi, alla collaborazione con l’Unione donne italiane, con la quale partecipa all’opera di regolare controllo degli istituti di assistenza cittadini (il Ricovero per anziani, l’Orfanotrofio maschile e quello femminile). Questo accadeva, forse, perché in queste donne era sotteso, al di là delle differenti fedi religiose e delle ideologie politiche, un profondo desiderio di ricostruire la propria esistenza individuale, la propria famiglia e, come scrive Dau Novelli, “le donne, più di tutti, furono le protagoniste di questa rinascita domestica e privata perché non si attardarono più di tanto nello scontro ideologico che divideva il Paese e lavorarono intensamente alla sua ricostruzione” (Donne del nostro tempo. Il Centro Italiano Femminile (1945-1995), a cura di C. Dau Novelli, Roma, 1995). Ma meglio ne sapranno dire gli storici di mestiere che studieranno questo carte.

Pesaro, anni Cinquanta del ‘900. Dall’alto: lavori femminili nelle aule del C. I. F., in via M. Kolbe; Sandra Barba Mondaini con alcune allieve dei corsi professionali C. I. F.; esposizione dei lavori dei Centri di Addestramento Professionale: “Alla esposizione dei lavori dei C.A.P. una coppia di fidanzati sogna di avere nel proprio nido i ricami delle nostre allieve” recita la didascalia dattiloscritta. Nella pagina precedente: Pesaro, cura di sole. Tutte le immagini di queste pagine provengono dall’Archivio storico del C. I. F. di PesaroUrbino, conservato presso l’Archivio storico Diocesano di Pesaro.

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I quali leggeranno anche di chili di marmellata, pastasciutta, caramelle e giocattoli, e tavolini, attaccapanni, sedie per bimbi e maestre, lavagne, legna e carbone, bavagli, pentole, tegami e mestoli ecc. ecc. che costituivano la dotazione degli asili, dei doposcuola, delle colonie aperte dai comitati comunali e frazionali del C. I. F., sotto l’instancabile guida organizzativa della delegata provinciale, che, dietro incarico ministeriale, affrontava la totale mancanza di queste strutture sul territorio per una valida assistenza all’infanzia.

Una relazione del 1953 fornisce i seguenti numeri: sono aperti 60 asili gestiti in proprio, 110 doposcuola, sono 9.000 i bambini assistiti, mentre le colonie sono attuate a Pesaro, Fano, Urbino, Perticara. Affettuosa è la testimonianza della responsabile di Perticara: “Le aule scolastiche, ora libere da ogni impegno studentesco, hanno accolto le grida festose di tanti bambini: c’è stata l’apertura della colonia; la collaborazione dei paesani è tanta”. L’archivio conserva anche una ricca raccolta fotografica di quasi 2.000 immagini. A questo proposito vorrei ringraziare le signore Giuliana Baciocchi, vice presidente comunale, Luciana Balducci, presidente regionale, Ivana Trebbi Iovini, consigliere, Ines Ionoch, segretaria provinciale, per il loro supporto nella descrizione dei momenti colti dalle fotografie. In conclusione resta da dire che il recupero dell’archivio storico di una associazione è da sempre sintomo positivo di rinnovata consapevolezza del proprio ruolo nella società - ruolo che può anche essere in parte mutato nel tempo in risposta alle sfide dell’evoluzione sociale - e rappresenta anche un arricchimento del panorama delle fonti cittadine e dei livelli di lettura della storia locale.

Alcune pagine di un album realizzato da un gruppo di bambini tedeschi in colonia presso il C. I. F. di Pesaro nell’agosto 1954. In alto: Pesaro, anni Cinquanta del ‘900. Bimbe della colonia estiva C. I. F. sulle automobiline a scontro.

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A sinistra, dall’alto: Pesaro, anni Cinquanta del ‘900. Foto di gruppo presso la sede C. I. F. di Pesaro; Convegno delle presidenti comunali C. I. F; alzabandiera dei bimbi della colonia estiva del C.I.F. Qui sopra, dall’alto: anni Cinquanta del ‘900. Partecipanti al congresso CIF di Roma; Asilo di Tavullia; Montegaudio di Monteciccardo, giugno 1952. Asilo di Montegaudio “Fermi almeno per un attimo, davanti all’obiettivo!” promemoria_numerocinque

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Storie di Palazzo. 5

Sant’Angelo in Lizzola da via Vedetta a Palazzo Mamiani

storie di palazzo

Nel 1935 il Municipio di Sant’Angelo in Lizzola si trasferisce nell’antico palazzo baronale dei Mamiani, dal 1855 di proprietà della famiglia Bartoli. Con Sant’Angelo si conclude la serie delle “storie di palazzo”, dedicata alle residenze comunali di Pian del Bruscolo di

Cristina Ortolani

Nel 1932 il bilancio delle realizzazioni del regime tracciato da “L’Ora”, settimanale fascista della provincia di Pesaro e Urbino in occasione del decennale della marcia su Roma, segnala tra le principali esigenze insoddisfatte di Sant’Angelo in Lizzola anche la nuova residenza comunale, dato che l’attuale è insufficiente e indecorosa. Qualche anno dopo una analoga nota di don Giovanni Gabucci, non datata ma riferita al periodo 29 ottobre 1922-28 ottobre 1940, dà conto - elencando le opere locali del ventennio mussoliniano - dell’acquisto dell’antico palazzo baronale per sede del Municipio e delle organizzazioni del Regime. Sin dal maggio 1931 le delibere podestarili riportano cenni all’acquisto di palazzo Mamiani di proprietà Marcolini per trasferirvi gli uffici comunali e le scuole elementari poste in questo capoluogo; nell’ottobre successivo le carte segnalano anche richieste al Genio Civile in merito ad accertamenti per adattare palazzo Mamiani ad uso di scuole e sede comunale. Nell’ottobre del 1935 le stesse delibere parlano di nuovo palazzo civico. La sede nel 1932 giudicata indecorosa si trovava al n. 10 di via Vedetta (oggi via Morselli) e dal registro dei fabbricati di Sant’Angelo, il cui impianto è del 1886, risulta suddivisa in otto vani, articolati su tre piani. Confina con la casa che dal XVI secolo appartiene ai Gabucci, di fronte alla collegiata: il 26 gennaio 1922, scrive don Giovanni nei suoi diari, il comune prende

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in affitto la mia camera per farvi il gabinetto del sindaco. Ho combinato per lire 100 annue - col diritto di metter coperte e lumi alla finestra in occasione di feste. Il 21 novembre 1924 i muratori hanno finito il camino nella mia camera per la stufa del municipio. Io ho permesso purché al restituirmi la camera, la rimettano allo stato primiero e mi aumentino il fitto dal 1° Gennaio 1925. I bombardamenti del 26-28 agosto 1944 danneggiarono gravemente il palazzo e la torre civica, ritenuta l’unico resto del castello di Lizzola, dalla cui fusione con Monte Sant’Angelo gli storici fanno derivare l’attuale comune di Sant’Angelo in Lizzola. Forse per riecheggiare i fasti dell’antico palazzo dei Mamiani l’edificio sarà coronato negli anni della ricostruzione da una fila di merli, a prendere il posto del piano distrutto, crollato definitivamente - come testimoniano i ripetuti avvisi del sindaco Solforati - nel 1948. Una curiosità: le perizie del Genio Civile di Pesaro riguardanti la sede municipale sono firmate tra gli altri da Arnaldo Pomodoro, all’epoca giovane geometra fresco di studi. I fratelli Pietro e Domenico Bartoli, dai quali il Comune compra l’immobile, ne erano divenuti proprietari nel 1855, acquistandolo a loro volta da Terenzio Mamiani, che lo aveva ereditato insieme con altri beni di famiglia dal fratello maggiore Giuseppe, morto nel 1847. Ormai lontano da Pesaro e dai luoghi di origine, Terenzio affida la transazione al suo amministratore, il dottor Giacomo Salvatori; dal rogito del notaio pesarese Luigi Bertuccioli ricaviamo qualche notizia in più sulla struttura dell’edificio, che al momento della vendita risulta composto di quattro piani compresovi il piano-terra, con una torre unita allo stesso palazzo. Un inventario del 1801 compilato dal padre di Terenzio, Gianfrancesco Mamiani, delinea gli interni del casino di Sant’Angelo, strutturato in un’entrata da basso, che attraverso la scalinata illuminata da un lampione di vetro conduceva al piano nobile; il corridoio si apriva sulla sala, arredata con dodici sedie, tavola da pranzo, tavolini da gioco, canapè e credenza; l’inventario parla poi di un corridore a mezzogiorno, e di altre cinque camere tra cui quella detta dei frati.

Sant’Angelo in Lizzola, il Municipio e la torre civica: sopra, nel 1941 (fotografia Mario Franci, Archivio storico Diocesano, Pesaro; archivio G. Gabucci); nella pagina precedente nell’aprile 2013 (fotografia Cristina Ortolani, Pesaro). Nella pagina seguente, da sinistra: Romolo Liverani: Casa Mamiani e arcipretale di Sant’Angelo, 1851 (da L’Isauro e la Foglia, Fano 1986); la collegiata di San Michele arcangelo e palazzo Mamiani e due dettagli dell’iscrizione sul portale del palazzo (fotografie Cristina Ortolani, 2008 e 2013).

Lo stemma comunale D’argento, al San Michele arcangelo in maestà, di carnagione, vestito di porpora, con le ali spiegate al naturale, impugnante con la sinistra la bilancia di nero e con la destra la lancia d’oro in banda, trafiggente le fauci, vomitanti fiamme

di rosso, del drago rivoltato di verde, mirante verso destra e posto in punta (Decreto del Presidente della Repubblica 7 giugno 1985; Archivio storico comunale, Sant’Angelo in Lizzola).

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Il palazzo fu edificato tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo da Giulio Cesare Mamiani, primo conte di Sant’Angelo in Lizzola. Presso l’Archivio Storico Comunale di Sant’Angelo è conservata una supplica indirizzata al conte il 25 agosto 1585 da alcune donne del castello, proprietarie di una casa che si ritrova a essere nel disegno ove [il conte] intende fabbricare il suo palazzo; ancora Gabucci ipotizza, basandosi su documenti di Casa Mamiani, che la costruzione sia stata ultimata nel 1588. Il palazzo baronale fa comunque bella mostra di sé nella tavola dedicata a Sant’Angelo da Francesco Mingucci, compresa nella serie di vedute donate dall’artista a papa Urbano VIII Barberini nel 1626. La tradizione popolare, forse assecondando ipotesi ottocentesche, attribuisce il progetto di palazzo Mamiani a Giovanni Branca, architetto e ingegnere nato a Sant’Angelo nel 1571 e morto a Loreto nel 1645. Del progetto originario, rimaneggiato - sempre secondo Giovanni Gabucci - nel XVII secolo da Giulio

Cesare Mamiani III, resterebbe traccia oltre che nella torre, negli archi (ora chiusi) visibili sul fianco e sul retro dell’edificio. Nulla rimane delle decorazioni interne, in gran parte distrutte durante la guerra e completamente cancellate - stigmatizza ancora Gabucci - nei restauri sapientemente fatti nel 1945. Anticamente il palazzo era affrescato e diversi anni fa se ne scorgevano tracce in una camera della torre. Si sa che le stanze del piano terreno erano quasi tutte dipinte a paesaggio e a giardino (come nel palazzo prefettizio di Pesaro). La torre è attualmente adibita a sede espositiva; ai diversi piani si accede attraverso una scala in legno, che tra la fine degli anni Ottanta e i primi Novanta ha sostituito la stretta e malsicura scaletta ricordata da una cronaca del 1982. In anni più recenti anche il seminterrato è stato ristrutturato, e dal 2003 ospita l’archivio comunale, la biblioteca e una sala riunioni. E’ possibile visitare palazzo Mamiani rivolgendosi agli uffici comunali: per informazioni www.comune.santangeloinlizzola.pu.it.

Fonti e tracce Per maggiori dettagli sul palazzo comunale di Sant’Angelo ci permettiamo di rimandare a C. Ortolani, Sant’Angelo in Lizzola 1047-1947. Luoghi, figure, accadimenti (Comune di Sant’Angelo in Lizzola, Sant’Angelo in Lizzola 2013). Dieci anni di Fascismo nella Provincia fedele, “L’Ora”, 26 novembre 1932. Archivio storico Diocesano di Pesaro, archivio Giovanni Gabucci: G. Gabucci, Sant’Angelo in Lizzola, Palazzo Comunale di Sant’Angelo in Lizzola, Palazzo Mamiani, c.n.n.; Ivi, Civile, Opere del regime, c.n.n. Archivio di Stato di Pesaro:Archivio notarile di Pesaro, Luigi Bertuccioli, Pesaro, cc. 172r-178v, 24 maggio 1855; Catasto

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dei fabbricati, registro delle partite, Sant’Angelo in Lizzola, vol. 1, partita 14, Bartoli Giuseppe e Pietro; Genio civile, Sant’Angelo in Lizzola, Lavori di restauro all’edificio comunale Palazzo Mamiani, Perizia n. 663 1944-1954. Sant’Angelo in Lizzola, Archivio storico Comunale: Deliberazioni, 1890-1935. Biblioteca Oliveriana di Pesaro, Archivio di Casa Mamiani: G. Mamiani, Inventario dei mobili esistenti nel mio casino di Sant’Angelo, 1801. R. Berarducci, C’è da salvare!... La torre di Sant’Angelo in Lizzola, “Il Paese”, mensile della bassa val del Foglia, n. 4, maggio 1982.


Tommaso Briganti e le Memorie di Monte Cicardo voci | 1

Non sono molti i libri di storia dedicati a Monteciccardo: un motivo in più per riscoprire le “Memorie di Monte Cicardo castello del contado di Pesaro” pubblicate nel 1784 da Tommaso Briganti, allievo di Annibale degli Abati Olivieri di

Nel 1784 Tommaso Briganti pubblica presso l’editore pesarese Gavelli le Memorie di Monte Cicardo, castello del contado di Pesaro. Nato il 7 novembre 1729 a San Costanzo di Fano, Tommaso Briganti è, come scrive Italo Mariotti, un prete di celebrata eloquenza e di riconosciuta dottrina affezionato a Monteciccardo per antichi vincoli familiari… e per soggiorni prolungati1. La famiglia di don Tommaso era originaria di Monteciccardo, dove aveva delle proprietà almeno dalla fine del Quattrocento: già dai registri del catasto sforzesco del 1506 e del catasto innocenziano del 1690 i Briganti risultano proprietari di edifici nel castello e nelle campagne circostanti2, mentre nella seconda metà del Settecento… un Giuseppe Briganti pressoché coetaneo di don Tommaso possedeva nel territorio di Monteciccardo cinque case, anche se lui stesso abitava in una casa non sua, di proprietà del “sig. can.co Angeli”. All’epoca della stesura delle Memorie, Monteciccardo è per Briganti soprattutto il luogo

Cristina Ortolani

della villeggiatura: è infatti in campagna, nel tempo del maggior ozio3 che il dotto sacerdote si dedica alla storia del paese, trascrivendo parte di quei Libri della Comunità dei quali oggi non si ha più notizia, e che costituiscono invece una preziosa testimonianza sulla vita a Monteciccardo tra i secoli XV e XVII. Ospite forse di quella che sarà poi villa Monti Mazzucato, come ricorda ancora Mariotti attingendo a una Cronistoria conservata presso l’archivio parrocchiale di Monteciccardo, o residente nella dimora di famiglia, dove secondo le sue stesse parole passa più mesi dell’anno, Briganti, come ogni rispettabile erudito settecentesco, setaccia archivi e campagne alla ricerca di frammenti del passato, che mette insieme seguendo le orme del suo maestro Annibale degli Abbati Olivieri Giordani (1708-1789), celebre autore di diversi volumi di Memorie riguardanti i castelli pesaresi, editi sempre dal Gavelli. Proprio all’ormai anziano Olivieri, con il quale aveva collaborato in di-

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Sopra e nella pagina precedente: dettagli di alcune pagine di Memorie di Monte Cicardo castello del contado di Pesaro di Tommaso Briganti (da “Antichità picene”, Fermo 1792; Archivio storico Comunale, Monteciccardo). Nella pagina seguente: Prospetto del castello di Monte Ciccardo dalla parte del Nord... cavato da un originale che si conserva in pergamena dei PP. de’ Servi di esso luogo, da T. Briganti, Memorie di Monte Cicardo castello del contado di Pesaro, Gavelli, Pesaro 1784.

verse occasioni, Briganti dedica le Memorie di Monte Cicardo, grato per il continuo comodo di prevalermi della copiosa e scelta vostra Biblioteca, e per le notizie lette in alcuni vostri rari manoscritti. Dal 1763 don Tommaso Briganti è rettore della chiesa di San Francesco, un tempo situata lateralmente alla porta del Castello dentro l’aggiunta delle mura, che sono que’ due Torrioni verso la Chiesa Parrocchiale, ma fuori del suo recinto4. La Chiesa o oratorio di San Francesco era iuspatronato della Casa Barbieri, instituito l’anno 1558 dal q. Rev.do Sig. Francesco di Bartolomeo del Barbiero, la qual Chiesa e sue case che haveva contigue cascò et andò in ruina li 27 maggio 1636 in tempo che la possedeva il Sig. P. Bernardino Sarti, dal quale fu poi fatta rifabricare nella forma che hoggi si trova5. 36

Per avere una dote meschinissima… restò il benefizio vacante, la chiesa sospesa, e prossima a rovinare, conclude Briganti: fu quindi facile per Antonio, fratello maggiore di don Tommaso, ottenere l’autorizzazione a trasferire la chiesa presso il suo casino, posto nella Corte di Monte Cicardo Fondo La Serra; ricostruita nel 1760, la chiesa fu benedetta il 2 maggio 17616. Nel 1776 don Ghirlanda, rettore della parrocchiale San Sebastiano, ricorda che il luogo dove sorgeva la chiesa di San Francesco era segnalato nel castello con una colonetta con croce di ferro. Dopo gli studi di filosofia e teologia presso l’Università di Fano, l’abate Tommaso si trasferì a Cagli, dove fu ordinato sacerdote nel giugno del 1754 e perfezionò gli studi a Siena. Specializzatosi nell’eloquenza sacra, divenne apprezzato predicatore in molti papromemoria_numerocinque


esi e città: l’entusiasmo suscitato dai suoi quaresimali a Matelica tra il 1764 e il ‘69 fu tale che gli venne conferita la cittadinanza onoraria; ascritto alla nobiltà del luogo, contraccambiò l’onore con una dissertazione sulla storia locale (Lettera agl’illustrissimi Signori Consiglieri di Matelica in difesa dell’iscrizione esistente nella sala della loro residenza..., Pesaro 1773 e Venezia 1776). Associato all’Accademia Pesarese, fondata dall’Olivieri nel 1730, della quale facevano

parte tra gli altri Giambattista Passeri e Giannandrea Lazzarini, Briganti si occupò anche di scienze naturali, come attesta il contemporaneo Domenico Bonamini. (…) Di quest’uomo dedito agli studi, fervido d’interessi e a lui devoto si servì da vecchio l’Olivieri “nel fare gl’indici delle monete pontificie, medaglie de’ papi e piombi”. Si può dedurre che l’Olivieri aveva spesso in casa il Briganti, di cui si serviva e che consigliava e indirizzava nelle sue indagini. L’abate risulta ancora vivente nel 1806.

Castello di Monte Cicardo, e per la situazione e per la costruzione era uno de’ migliori del Pesarese, e si conservò fino al 1600... Aggiungo che si mantenne popolato, e pieno di buoni possidenti fino quasi al fine del 1500 il

Tommaso Briganti, 1784 Fonti e tracce Questo articolo ripropone con alcuni aggiornamenti parte dei contenuti del volume Monteciccardo. Cronache, storie, ricordi, edito dal Comune di Monteciccardo e curato da chi scrive (Fano 2009). 1 I. Mariotti, Appunti su Monteciccardo, in “Atti e memorie della Deputazione di Storia Patria per le Marche”, n. 92 (1987), pagg. 411-427. Da questo studio sono tratte tutte le notizie su Tommaso Briganti. 2 Cfr. G. Allegretti - S. Manenti, I catasti storici di Pesaro, vol. 1, tomo 1 – Catasto sforzesco (1506) Tabulati, Pesaro 2000, pagg. 129-136; vol. 1, tomo 2 – Catasto roveresco (1560) Tabulati,Pesaro 2004, pagg. 161-174 e vol. 1, tomo 3 – Catasto innocenziano (1690),Tabulati, Pesaro 1998, pagg. 147-152.

3 T. Briganti, Memorie di Monte Cicardo castello del contado di Pesaro, in “Antichità picene”, Fermo 1792, vol. XVII, pagg. 121-159. L’opera è stata consultata nel 2009 presso l’Archivio storico del Comune di Montecciccardo ed è riprodotta in C. Ortolani, cit., pagg. 244-281. 4 Briganti, cit., p. 151. 5 Don Agostino Agostini, Stato della chiesa parrochiale di Monte Cicardo, ms., 1697,Archivio parrocchiale di San Sebastiano, Monteciccardo. 6 Origine e fondazione del benefizio semplice di San Francesco, Archivio Storico Diocesano di Pesaro, misc. Parrocchie, Monteciccardo.

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Le opere e i giorni dei marchesi Mosca di Pesaro voci | 2

“Bisognerebbe conoscere meglio questi Mosca”, scriveva Pier Luigi Cervellati nel 1998. Noti a Pesaro soprattutto per il lascito della marchesa Vittoria , che donò alla città le sue collezioni confluite nei Musei civici, tra XVII e XIX secolo i Mosca furono al centro di una rete di prestigiose relazioni di

“Chi erano questi fratelli Mosca che verso la metà del Cinquecento lasciarono il Bergamasco? Perché vennero a Pesaro? L’albero genealogico ritrovato dice poco o nulla. Erano ricchi mercanti che si arricchirono ulteriormente, come si afferma. Ma perché lasciarono un posto dove mercanteggiavano bene per andare in un altro posto piuttosto in crisi? Trovarono nel declinante ducato di Guidobaldo II della Rovere un punto di riferimento non solo economico. […] Bisognerebbe conoscere meglio questi Mosca.Tanto ricchi da andare a Pesaro per fare fortuna o per stare vicino a un duca tutt’altro che papalino? Tanto più che Guidobaldo era pieno di debiti e doveva tassare i propri sudditi in modo considerato spropositato. Metà Cinquecento. Concilio di Trento ancora aperto. […] C’è un filo segreto che lega questa famiglia ancora tanto sconosciuta eppure così potente e un’azione “contro”. Contro la Chiesa. […] La villa è del 1640. Francesco muore nel 1631. In quello stesso anno il ducato di Pesaro e Urbino è annesso al regno della Chiesa. Non conosciamo i “nuovi” Pietro e Alessandro: gli eredi che costruiscono villa Caprile. I loro nomi si ripetono nel tempo. Come quello di Giovanni Andrea, secondo la ricorrenza di chiamare il figlio con il nome del padre. […] Al momento della devolu38

Giovanna Patrignani

zione, si costruisce la villa sul colle San Bartolo. Sono anni drammatici. Il passaggio è stato repentino. Eppure i Mosca si mettono in mostra. Il colle San Bartolo è già frequentato dall’aristocrazia locale. Apparteneva alla corte ducale. Costruire in quel punto significa omaggiare il duca. Un omaggio “cifrato”. […] E’ un omaggio al duca che aveva saputo opporsi al papato. E’ un segno di riconoscenza e forse è anche un caposaldo per organizzare (o proseguire) un ritorno al passato. Ovvero per manifestare un’ideologia non collimante con il nuovo governo e, a un tempo, mostrare di non voler rinunciare alla supremazia raggiunta. […] Non si possono fare congetture. Senza avere chiara la storia, senza sapere il perché di tanti apparenti misteri […] un ‘mistero’ ancora tutto da scoprire”. Così scriveva nel 1998 l’illustre architetto Pier Luigi Cervellati nella sua dotta e raffinata “Introduzione” al volume Villa Caprile. Il tempio dei quattro elementi. Manca ancora una documentata ed esaustiva storia della famiglia Mosca e dei suoi esponenti cinque-sei e settecenteschi, mentre esiste un’ampia bibliografia sulla marchesa Vittoria (1814-’85), ultima erede di un antico, nobile e ricco casato nelle cui vicende sono insite le origini storiche della sua personalità e delle sue raccolte artistiche, ereditate dagli antenati unitapromemoria_numerocinque


Da sinistra: Cesare Gaj, Ritratto della marchesa Vittoria Mosca Toschi, 1858; F. Fumi, Ritratto di Vincenzo Toschi, 1858 e Ritratto di Benedetto Toschi Mosca, sec. XIX (Pesaro, Musei Civici). Nella pagina precedente: Ritratto del cardinale Agapito Mosca, incisione, da M. Guarnacci, Vitae et res gestae Pontificum Romanorum et S.R.E. Cardinalium, II, Roma 1751, coll. 651-652 (Biblioteca Oliveriana, Pesaro).

mente con la passione per il collezionismo, attraverso una stratificazione collezionistica che penetra molto indietro nel tempo, documentata da inventari, testamenti, rogiti - tutti inediti - che consentono di ricostruirne la storia dal XVI al XIX secolo. La famiglia Mosca, una delle più importanti dell’antica aristocrazia pesarese, era originaria di Alzano in provincia di Bergamo, capitale della seta, con industrie floridissime, dove aveva conquistato un’agiata situazione economica “esercitando mercatura grossa”1: verso la metà del Cinquecento, i fratelli Pietro ed Alessandro Mosca, figli di Giovanni Andrea, già ricchissimi mercanti dell’originario ceppo bergamasco, trasferirono una parte della famiglia a Pesaro, dove si arricchirono ulteriormente, acquisendo il titolo marchionale nella prima metà del Seicento. Nel 1633 Giovanni Mosca a sue spese fece edificare l’altare maggiore dedicato a San Giovanni nella chiesa dei Francescani Minori Osservanti, con marmi di Verona e un quadro del Guercino2. Quali status symbol del loro ricco e potente casato, nel Seicento edificarono un imponente palazzo di abitazione nei pressi della piazza principale e la sontuosa villa Caprile, entrambi ristrutturati nel secolo successivo. Inventari sei-settecenteschi redatti per divisioni ereditarie familiari documentano l’articolata struttura interna del palazzo, tra cui sei cantine, rimessa, stalla, magazzeno del fieno, granaio, fondaco, camera dell’olio, camera delle biade, camera del fattore, cucina, vari mezzanini, scuola, camerino del torno, camerino dei panni bianchi, camera del caminuccio, camera del credenzone, stanza della credenza, camera del letto verde, camera del crocefisso, camera dei quadri buoni, anticamera dei quadri, galleria dei quadri, guardaroba, sala, sala grande, sala vecchia, libreria, studio, vari ap-

partamenti dei componenti della famiglia, loggia. Ultima proprietaria del palazzo fu la marchesa Vittoria, da cui fu ereditato dall’unico figlio Benedetto Toschi-Mosca e poi dal figlio di questi Vincenzo, che lo lasciò alla Congregazione di Carità. Nel 1870 venne ceduto alla Banca Popolare Pesarese che vi stabilì la propria sede dal 1880 al 1933. Divenuto proprietà comunale, dal 1936 è sede dei Musei Civici di Pesaro. Nel 1784 l’antica chiesa della Santissima Annunziata (oggi della Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro), attigua al palazzo avito, divenne cappella privata della famiglia, di cui conserva ancora alcuni monumenti funebri e lapidi sepolcrali. Perseguendo un’accorta politica matrimoniale, i Mosca strinsero “le più luminose parentele colle case della Città e dintorni”; le cinque figlie di Giovanni Mosca nella seconda metà del Seicento erano infatti andate spose a esponenti della nobiltà di Pesaro, Fano, Urbino e Ancona. Uno dei personaggi più illustri ed oggi meno conosciuti della famiglia fu il cardinale Agapito (1678-1760)3, figlio di Carlo Mosca (1640 circa-’83) e cugino del pontefice Clemente XI, che concesse in feudo ai Mosca il marchesato di Gradara e che lo favorì con incarichi importanti; il primo ottobre 1732 fu creato cardinale da Clemente XII; poco dopo l’elezione, tornò a Pesaro, “visitò sua madre e furono fatte molte allegrezze”4. Abile diplomatico, ricoprì diverse cariche a Roma, Parigi, Avignone,Vienna, in Germania, Polonia e in varie città dell’Europa orientale. Nel 1734 fu nominato legato pontificio a Ferrara. Morì a 82 anni a Roma, dove fu sepolto in Santa Maria della Concezione dei Cappuccini. Nel 1738 il cardinale Agapito con i fratelli Raimondo, Giovanni Luigi ed Eustachio acquistarono alcuni vani

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Sopra, da sinistra, stemma della famiglia Mosca: da ms. Oliveriano 1.184, 2 (Biblioteca Oliveriana, Pesaro), sul soffitto del salone del piano nobile e sul cancello di palazzo Mazzolari Mosca (fotografie Cristina Ortolani, Pesaro). Nella pagina seguente, da sinistra: il frontespizio delle Lettere [...] in proposito della limosina di Carlo Mosca Barzi, 1765 (Biblioteca Oliveriana, Pesaro); Ritratto del marchese Carlo Mosca Barzi, sec. XVIII (attr. a Sebastiano Ceccarini, Pesaro, Musei Civici).

facenti parte di una casa di fronte al loro palazzo, “affine di demolirsi in parte per ampliare la piazza Mosca”, talmente angusta da avere provocato un incidente allo stesso cardinale che, nell’uscire dal suo palazzo in carrozza, aveva urtato un muro prospettante l’ingresso distruggendo una rimessa, “ultimamente per il noto accidente diruta”. La berlina di gala dei marchesi Mosca, che la tradizione dice essere stata quella del cardinale Agapito, restaurata nel 2003, si può ancora ammirare al piano terreno di palazzo Gradari. Sulle ante degli sportelli era dipinto lo stemma dei marchesi Mosca, la cui descrizione araldica recita: “D’argento, al destrocherio armato di verde, impugnante colla mano di carnagione un ramo d’olivo al naturale, sormontato da un giglio d’oro, abbassato sotto un lambello di quattro pendenti di rosso”5. Lo stemma Mosca si può ancora vedere al centro della volta del soffitto del salone centrale di palazzo Mazzolari Mosca, accoppiato a quello comunemente ritenuto dei Toschi, famiglia del marito della marchesa, così come, in pessimo stato, anche alla sommità del cancello al piano terra. Il motivo decorativo del giglio fiorentino, che campeggia al centro dello stemma Mosca, è ripetuto nelle grotte, nelle mattonelle e in varie altre parti di villa Caprile; negli intagli del portone ligneo, sotto la cantoria ed in alcune decorazioni dipinte della chiesa dell’Annunziata. La stessa marchesa Vittoria ha disegnato e firmato un Giglio tra i suoi modesti disegni d’epoca giovanile, tuttora conservati nei Musei Civici di Pesaro6. Uno dei fratelli del cardinale Agapito era Raimondo (1674-1737), a cui nel 1694 era stato assegnato il titolo di marchese da Giovanni III re di Polonia. Raimondo, 40

nipote di Elena Mosca, sposò Vittoria Passionei, sorella del potente cardinale Domenico Passionei di Fossombrone: ebbero dieci figli, fra cui Carlo Mosca (1720’90), che sposò la contessa Francesca della Branca Barzi, erede di un’antica e nobile famiglia di Gubbio, il cui secondo cognome fu unito a quello dei Mosca. Ebbero sei figli: Francesco, Raimondo, Maria Ippolita badessa nel convento del Corpus Domini a Pesaro col nome di Serafina, Vittoria moglie del conte pesarese Annibale Cassi e madre del letterato Francesco Cassi (cugino di Giulio Perticari, genero di Vincenzo Monti, avendone sposata la figlia Costanza), Costanza e Virginia moglie del conte Giacomo Leopardi di Recanati, nonno del poeta: il loro primogenito fu Monaldo (1776-1847), padre del poeta. Le vicende della famiglia Mosca si intrecciano infatti con una fitta rete di rapporti di parentela con altre nobili casate limitrofe, fra cui i Perticari, Cassi, Mamiani e i celebri conti Leopardi di Recanati, come documenta anche l’Autobiografia di Monaldo, che si conclude nel 1802. Nel 1761 Carlo Mosca, un illuminista cattolico, impegnò una consistente parte del suo cospicuo patrimonio per fondare a Pesaro la stamperia Amatina, che prese il nome da Pasquale Amati, il savignanese cui affidò la direzione. Lo stesso Mosca fu autore di varie pubblicazioni di carattere filosofico, letterario, fisico-matematico, ma fu noto soprattutto per le Lettere [...] in proposito della limosina (1765)7, che suscitarono scandalo per l’atteggiamento di rottura verso la teologia tridentina, messe all’Indice con Decretum papale del 16 giugno 1766, perché sostenevano che l’elemosina cancelli i peccati mortali senza bisogno del sacramento della penitenza. promemoria_numerocinque


All’inizio del 1772 il marchese Carlo Mosca ospitò nel suo palazzo Giacomo Casanova8 che, dovendo passare per Pesaro, si era fornito di una lettera di presentazione per il marchese Mosca, “homme de lettres que j’avais envie de connaître […]”. In palazzo Mosca aveva trascorso tutti i cinque giorni del suo soggiorno pesarese, accompagnato per la città e con la carrozza di casa Mosca per gli ameni dintorni dalla consorte del marchese, Francesca della Branca Barzi. Al momento del commiato, ricevette in dono da Carlo Mosca i sei volumi della Collectio pisaurensis dei poeti latini, edita nel 1766 dalla tipografia Amatina e dedicata allo stesso marchese Mosca, lodata da Casanova nel VI tomo dei Mémoires. Ricordando nella sua autobiografia la squisita ospitalità ricevuta in palazzo Mosca, l’avventuriero veneziano schizza con sottile penetrazione psicologica ed ironia un ritratto del marchese e della sua famiglia: “[…] Madame la marquise Mosca avait en suprême degré l’usage du monde, et son mari n’avait que l’esprit de la littérature; par cette raison, ils n’étaient pas d’accord, et le ménage en souffrait; mais l’étranger ne s’en apercevait pas. Si on ne me l’eût pas dit, je ne l’aurais pas su […]. Le marquis Mosca pouvait avoir alors l’âge de cinquante ans. Froid par caractère, il n’avait autre passion que celle de l’étude, et ses mœurs étaient pures. […] Le défaut unique de ce brave seigneur était que les moines regardaient comme la plus belle de toutes ses qualités. Il était trop chrétien. […]”9. Carlo Mosca fu signore della Rocca di Gradara, che fece restaurare ed arricchire di una cappella, in cui venne sepolto quando morì il 4 marzo 179010. Il dotto marchese aveva aperto nel suo palazzo un’accademia di sacra scrittura e di studio delle opere di Sant’Agostino, frequentata da ecclesiastici e laici. Fu continuata, trasformando il tipo di accademia, dal figlio Francesco Maria (1756-1811)11, quello dei suoi figli destinato a maggiore fama: come il padre Carlo, uno dei tanti

nobili illuminati convertiti alle idee di un moderato giacobinismo. Educato a Parma presso il Collegio dei Nobili, ottenne dal duca Ferdinando di Borbone, al cui casato la famiglia Mosca era legata da antichi vincoli, vari incarichi a corte e mansioni diplomatiche. Ritornato trentaquattrenne a Pesaro nell’aprile 1792, il marchese Mosca, un democratico moderato, ammiratore e sostenitore del Bonaparte, riprese a vivere more nobilium, diventando uno dei protagonisti della vita culturale e mondana della città dove, come nelle altre province pontificie dello Stato della Chiesa, si avvertivano i primi fermenti rivoluzionari. Col duca di Parma, Francesco manterrà scambi epistolari e, in segno di stima reciproca, nel 1795, ultimati i lavori di restauro e ampliamento di villa Caprile, Ferdinando IV di Borbone venne a Pesaro, onorando Francesco con una visita ai giardini e alla villa, nella cui galleria si può ancora ammirare il medaglione che riproduce il profilo del duca a imperituro ricordo della sua visita. Di natura orgogliosa e ambiziosa, desideroso di primeggiare, Francesco Mosca, dalla evoluta e raffinata corte di Parma, detta la piccola Parigi italiana12, tra le più effervescenti dell’Italia settecentesca, aveva portato con sé manie di grandeur, come scrive l’affezionato e ammirato nipote Monaldo Leopardi: “Il marchese Mosca mio zio educato nella corte di Parma pareva volesse imitarla e quasi emularla in casa sua, dandosi un trattamento più da principe che da privato. Numero grande di cavalli, di carrozze e di servitù; appartamenti splendidi; ricevimenti e trattenimenti continui; villa nobilissima e villeggiature numerose; e tono e tratto di signor grande. […] Il marchese Mosca, ancorché ricco assai, dissestò e quasi rovinò sua famiglia […]”13. Il sedicenne Monaldo, insieme al fratello Vito, era stato portato dalla madre Virginia, sorella di Francesco Mosca, la quale aveva condotto la figlia Ferdinanda in un monastero pesarese per completare la sua educazione, a trascorrere alcuni mesi, dal giugno 1792 al gennaio successivo, in palazzo Mosca, ospite degli zii e della nonna Francesca della Branca Barzi. Per Monaldo, che trascorreva una vita cupa e solitaria nell’austero palazzo Leopardi di Recanati, era stata l’immersione in un affascinante e brillante stile di vita signorile a lui sconosciuto. Anche Virginia Mosca, che dopo il matrimonio con Giacomo Leopardi seniore si era trasferita a Recanati, soffriva di solitudine nel severo e rigido palazzo Leopardi, così diverso dal suo amato e mondano palazzo Mosca. Nell’Autobiografia, Monaldo confessa che a Pesaro si consumò il suo primo amore, un idillio giovanile di pochi mesi, per la contessina pesarese Teresa Ondedei Zongo, ereditiera orfana, sua coetanea e ospite assidua alle serate in palazzo Mosca, conosciuta nel salotto

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della nonna Francesca della Branca Barzi. Ripassò a trovare gli zii nel 1796 e ancora nel 1800 a visitare lo zio Francesco imprigionato dai pontifici. Dal custode dell’Arcadia di Roma Francesco Mosca aveva ottenuto di aprire una colonia arcadica nel suo palazzo: la prima delle riunioni accademiche si tenne il 16 aprile 1791, “con invito di dame, cavaglieri, religiosi e con buona orchestra, il tutto con somma proprietà”14. Se ne teneva sempre una per Natale, come quella del 16 dicembre 1794: “[…] oltre essere questa assai scelta ed elegante […], vi fu ancora un lautissimo rinfresco di gelati a tutti gl’intervenuti a quell’Accademia, alla quale sogliono già venire tutte le dame, cavaglieri, religiosi ed ogni altra persona ivi introdotta”15. Le riunioni arcadiche si tenevano anche in villa Caprile: “Queste Accademie talora si sono fatte nel teatro verde di Caprile nell’estate (giacché se ne fanno circa otto all’anno) e sono riuscite veramente di comune soddisfazione”16. In casa Mosca vecchio e nuovo si mescolano assieme: i frequentatori di palazzo Mosca, i giacobini di casa Mosca, erano quasi tutti i protagonisti del triennio rivoluzionario pesarese: nobili, borghesi, artigiani e piccoli impiegati, come Giuseppe Rossini, il padre di Gioacchino, trombettiere del Comune, detto Vivazza. Persino il cocchiere del marchese Francesco Mosca, Antonio Semprini, era anche lui, come il suo padrone, “giacobino e rivoluzionario”. Quando verso le ore 16 di lunedì 6 febbraio 1797, all’indomani dell’entrata delle truppe repubblicane francesi in Pesaro, il generale Napoleone Bonaparte arrivò in città con il suo Stato Maggiore, fu ospitato, insieme al suo seguito, “magnificamente”17 dal filofrancese Francesco Mosca nel suo palazzo. In segno di riconoscenza per la sontuosa ospitalità ricevuta, il generale gli fece dono di un magnifico servizio di porcellana francese, con decori floreali in giallo e bleu, fabbricato da una delle manifatture più famose di Parigi, “Darte frères”. Del servizio originale, composto di almeno 186 pezzi, rimangono ancora nei Musei Civici di Pesaro 149 pezzi18: vasi, piatti, tazzine, zuccheriere, coppe, cremiere, cestelli, salsiere, alzate, portameloni, rinfrescatoi per mantenere in fresco, riempiti con ghiaccio triturato, bottiglie e cibi, ma soprattutto i gelati, tanto di moda e in rapida diffusione, di cui Napoleone andava ghiotto. Dopo circa tre giorni di permanenza in città, nelle prime ore del mattino di mercoledì 8 gennaio, il generale Bonaparte lasciava Pesaro per raggiungere Ancona. Sicuramente l’ambizione ebbe una parte notevole nella carriera politica del marchese Mosca, che non esitò ad offrire entusiastica collaborazione al governo rivoluzionario, facendo persino innalzare nella sua villa di Caprile un albero della libertà, come commenta con 42

maliziosa ironia il contemporaneo e filopapale Domenico Bonamini: “Il 10 aprile 1798, dopo che Pesaro è annessa alla Repubblica Cisalpina, il Cittadino Francesco Mosca innalza un Albero della Libertà nella sua Villa di Caprile, sacrando la stessa sua villa al comodo del popolo pesarese, benché n’abbia però tenuti ben chiusi i rastelli de’ giardini. Nel solito teatro verde fu tenuta una Accademia, e distribuito al popolo basso accorso del pane, vino, carne, ecc.”19. Il 20 febbraio 1797, il giorno seguente del trattato di pace di Tolentino, Napoleone, diretto a Bologna, ritornò inaspettatamente a Pesaro, fermandosi questa volta soltanto un’ora nel palazzo del marchese Francesco Mosca, che però non c’era ad accoglierlo a causa di un grave incidente occorsogli il giorno prima: durante una corsa in calesse, guidato dalla bella Lucrezia Bentivogli “guidatrice de cavalli, ambedue ribaltarono e si ruppero i bracci. Ora che siamo quasi alla fine dell’anno 1797, risentono ambedue i danni di quella caduta”20. Il ritorno degli austriaci nel 1799 e la restaurazione dello Stato Pontificio portò all’arresto del marchese per ordine della corte di Vienna sotto l’accusa di essere stato uno dei più accaniti democratici e membro della municipalità giacobina della città; catturato dagli austriaci a Bologna, il 5 ottobre 1799 arrivò a Pesaro in stato di arresto, insieme al trombettiere Giuseppe Rossini, e sottoposto a giudizio politico; fece una misera figura, facendo stampare e affiggere sui muri della città una pubblica ritrattazione, in data 23 ottobre 179921, di tutti i suoi scritti e discorsi. Durante il processo per giacobinismo nel 1799 intervenne in sua difesa il nipote Monaldo Leopardi, benché rigidamente conservatore e filopapale, sostenendo che “l’ambizione lo mise fuori strada”, per cui “non sapendo rassegnarsi a vivere confuso col volgo, aveva scelto di essere Magistrato della Repubblica giacché non poteva essere signore della Monarchia”22. Dopo la pubblica abiura, Francesco decise di lasciare Pesaro staccandosi dalla famiglia e cedendo ai figli il suo patrimonio che, alla fine del Settecento, era ancora molto consistente, con una rendita di 51.592 scudi23, la seconda in città, inferiore solo a quella del conte Francesco Almerici. Nell’agosto 1800 si trasferì definitivamente a Milano, dove prese avvio il suo brillante cursus honorum nei governi napoleonici, e dove morì il 15 dicembre 1811. Nel 1784 si era sposato con la marchesa genovese Beatrice Imperiali dei principi di Sant’Angelo di Napoli, che trascorse gran parte del ménage coniupromemoria_numerocinque


Da sinistra: la Banca Popolare Pesarese in palazzo Mosca, dove restò aperta dal 1880 al 1933 (da A. Brancati, Società e informazione a Pesaro tra il 1860 e il 1922, Pesaro 1984); l’ingresso del palazzo, attuale sede dei Musei Civici di Pesaro e un dettaglio del portale (fotografie Cristina Ortolani, Pesaro). Nella pagina precedente: tazzina facente parte del servizio della manifattura “Darte frères” di Parigi, donato da Napoleone a Francesco Mosca nel 1797 (Pesaro, Musei Civici).

gale lontana dal marito, a cui premorì di pochi mesi nell’aprile 1811, dopo avergli dato tre figli: Costanzo, Margherita (moglie del conte Francesco Baldassini di Pesaro) e Benedetto (1790-1817), che nel 1811 a Milano sposò la giovane contessa milanese Barbara Anguissòla Comneno, con cui nel 1812 si trasferì a Pesaro, dove ebbero tre figlie: Bianca,Vittoria e Carolina. A causa di motivi patrimoniali, dai primi decenni dell’Ottocento le relazioni tra i Leopardi e i Mosca si deteriorano rapidamente. Nell’agosto 1800 la marchesa Francesca Mosca Branca Barzi, malcontenta di stare a Pesaro ritornata nella Repubblica Cisalpina, andò a vivere con il nipote Monaldo a Recanati, dove morì nell’aprile 1801, come scrive nelle ultime pagine dell’Autobiografia Monaldo, nominato esecutore testamentario ed amministratore dell’eredità24. Gli anni successivi sembrano ancora segnati da attriti patrimoniali tra le due famiglie, ma nel 1826 Monaldo scrive da Recanati al figlio Giacomo a Bologna: “Se passando per Pesaro, volete vedere la Casa Mosca, potete farlo, avendo io finito con essa ogni contestazione”. Nel primo pomeriggio di sabato 20 ottobre 1811 arriva a Pesaro il celebre Stendhal25, proveniente da Ancona e diretto a Milano. Nella brevissima sosta pesarese, aveva visitato verso il tramonto villa Caprile dove, passeggiando nel giardino con i caratteristici giochi d’acqua, era scivolato. Un’immediata notazione in appunti frettolosi è nella pagina del diario: “[…] Passeggiata alla villa del conte Mosca. Caduta a cui si riducono tutti i danni del viaggio”26. Tornato a Parigi, sempre nel Journal, ricorda ancora il piccolo infortunio pesarese: “Non ho avuto il minimo incidente durante le mie novecento leghe se non la caduta di Pesaro nella villa del Conte Mosca. Ma era meno di niente”27. Nel ricordare la visita a villa Mosca, accenna anche all’incontro con la contessa Costanza Perticari: “Visita ai giardini del conte Mosca, coi figli del marchese B… [Baldassini]. Deliziosa società della contessa Perticari. E’ la figlia del celebre Monti: sa il latino meglio di me”28. Il fascino della personalità del marchese Francesco Mosca era noto tra i contemporanei: Stendhal stesso

ne resterà colpito, ispirandosi a lui nell’ideare, nel VI capitolo del romanzo La Chartreuse de Parme29, l’indimenticabile personaggio del conte Mosca della Rovere Sorezana, potente ministro della guerra, della polizia e delle finanze del principe di Parma Ernesto IV, descrivendolo secondo la fama diffusa: “Homme aimable, de grands traits, un air simple et gai, un homme d’action”. Nel breve soggiorno pesarese Stendhal doveva essere stato anche ospite di palazzo Mosca, dato che in un passo della sua opera Suite et compléments à l’Historie de la peinture en Italie, ricorda un quadro attribuito al pittore bolognese Francesco Albani, raffigurante Europa rapita da Giove, che aveva particolarmente notato tra i numerosi dipinti che ne adornavano le sale. Il quadro esiste ancora, nei depositi dei Musei Civici30. Infatti palazzo Mosca racchiudeva una cospicua quadreria, menzionata dalla storiografia artistica pesarese e non solo, sette e ottocentesca: solo in minima parte confluita nei Musei Civici pesaresi, è sfociata - con sorte analoga a quella di gran parte delle collezioni private - in una fatale dispersione ottocentesca connessa con la decadenza economica e l’estinzione delle casate patrizie. Ma è ancora ricostruibile attraverso gli inediti inventari patrimoniali dei numerosi membri della casata, dal XVI al XIX secolo, che ci fanno entrare nel palazzo e nella villa Mosca, con un’analitica e topografica elencazione inventariale di mobili, arredi e delle centinaia di quadri dislocati nelle sale di rappresentanza e nelle stanze private, dipinti da insigni maestri e raffiguranti vari soggetti iconografici: ritratti, temi storici, mitologici, allegorici, religiosi, paesaggi, nature morte. Oltre che di una pregevole pinacoteca, palazzo Mosca era dotato anche di una consistente biblioteca, ricca di file di “volumi vestiti d’oro”31: nel 1928 andò a confluire nella Biblioteca Oliveriana, dove una sala è infatti denominata “Sala Mosca”. Pressata da problemi finanziari, che accompagnarono l’inarrestabile fine della casata Mosca, Barbara Anguissòla, vedova di Benedetto Mosca, affittò32 per un anno circa villa Caprile a Carolina di Brunswick, principessa del Galles, moglie ripudiata di Giorgio IV re d’Inghil-

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terra e protagonista della vita mondana pesarese tra il 1817 e il 1819. Il marchese Benedetto Mosca, padre di Vittoria, era morto improvvisamente il 3 gennaio 1817 a soli 27 anni. Ne era rimasto profondamente colpito Giacomo Leopardi: “[…] Benedetto, storia della sua morte ecc. mio dolore di veder morire i giovini come a veder bastonare una vite carica d’uve mature ecc. una messe ecc. calpestare ecc. (in proposito di Benedetto) […]”33. Leopardi, più grande di otto anni, ricorda un colloquio avuto con il giovane parente pesarese a Recanati in una lettera del 30 aprile 1817 da Recanati a Pietro Giordani: “Il povero marchese (il quale so che ella amava) cugino carnale di mio padre, venne un giorno a fare una visita di sfuggita ai suoi parenti, e quell’unica volta noi due parlammo insieme, dico parlammo, perché quando io era piccino ed egli fanciullo, avevamo bamboleggiato insieme qui in Recanati per molto tempo, ed allora io gli avrò cinguettato. Dopo non l’ho veduto più, ma so che m’amava e voleva rivedermi, e forse presto ci saremmo riveduti, per lettere certa-

mente, perché io appunto ne preparava una per lui che sarebbe stata la prima, quando seppi la sua morte, e di questa morte che ha troncato tanto non posso pensare senza spasimo e convulsione dell’animo mio. […]”34. Anche tra la solitaria e sensibile Paolina Leopardi, l’amata sorella “Pilla” di Giacomo, e le sorelle Bianca e Vittoria Mosca, le sue “care cugine”, intercorreva un affettuoso legame parentale, come documentano tre lettere di Paolina inviate da Recanati (10 gennaio e 20 febbraio 1838, 6 gennaio 1839) a Bianca, conservate nella Biblioteca Oliveriana35. In questo rapidissimo excursus sui marchesi Mosca, siamo ormai giunti ai tempi della marchesa Vittoria, ben consapevole dell’importanza dei suoi antenati: nelle sue ultime memorie ritorna infatti costante, insistente e quasi ossessiva la raccomandazione che nessuno manomettesse o spostasse i ritratti di famiglia, che facevano parte ab antiquo della quadreria della casata e che simboleggiavano il decoro del nome dinastico, il culto degli avi, le tradizioni della famiglia.

Fonti e tracce D. Bonamini, Alberi genealogici delle famiglie pesaresi di consiglio e d’alcune non ascritte al consiglio della detta città, Biblioteca Oliveriana Pesaro (d’ora in poi BOP), ms. 1430, c. 131r. 2 D. Bonamini, Cronaca della città di Pesaro, BOP, ms. 966, IV, p. 8. 3 M. T. Fattori, Mosca, Agapito, in “Dizionario Biografico degli Italiani” (d’ora in poi DBI), 77, Roma 2012, p. 259. 4 C. E. Montani, Illustri pesaresi, BOP, ms. 965, ad vocem, cc. nn. 5 G. B. di Crollalanza, Dizionario storico-blasonico delle famiglie nobili e notabili italiane estinte e fiorenti, II, Pisa 1888, p. 183. 6 G. C. Polidori, Inventario generale del patrimonio artistico di proprietà del Comune di Pesaro, 1945-’46, dattiloscritto, Pesaro, Musei Civici, Archivio, n. 3030/22. 7 S. Caponetto, Il marchese Carlo Mosca Barzi (1720-1790) e le sue “Lettere sopra la limosina”, in “Studia Oliveriana”, XI, 1963, pp. 55-71. 8 G. Natali, Un marchese teologo e filologo ospite del Casanova, in “Giornale storico della letteratura italiana”, LXXIV,1919, pp. 262 seg. 9 J. Casanova, Histoire de ma vie, XII,Wiesbaden 1962, pp. 152-154. 10 A. degli Abbati Olivieri Giordani, Memorie di Gradara, Pesaro 1775, pp. 3-5. 11 M. Severini, Mosca Barzi, Francesco Maria, in “DBI”, vol. 77, Roma 2012, pp. 285-288, 12 H. Bédarida, Parme et la France de 1748 à 1789, Paris 1928. 13 M. Leopardi, Autobiografia, Roma 1997 (I ed. 1883), pp. 215-216. 14 Bonamini, Cronaca cit., p. 235. 15 Ibidem, p. 243. 16 Ibidem, p. 235. 17 Ibidem, pp. 5-7, 253. 18 A. Brancati, C. Giardini (a cura di), Porcellane della Collezione Mosca. Il servizio napoleonico, Quaderni della Fondazione Scavolini 9, Pesaro 1997. 19 Bonamini, Cronaca cit., p. 294; T. Casini, Pesaro nella Repubblica Cisalpina. Estratti dal diario di Domenico Bonamini, Pesaro 1891, p. 44. 1

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Bonamini, Cronaca cit., p. 257. BOP, Archivio Storico Comunale Pesaro, raccolta stampe. 22 M. Leopardi, Autobiografia, a cura di A. Leopardi, Ancona 1993 (I ed. 1883), p. 128. 23 Bonamini, Alberi genealogici cit., c. 160r. 24 M. Leopardi, Autobiografia, Roma 1997, p. 206. 25 N. Cecini, Un profilo di carta. Testi letterari sulla Pesaro dell’Ottocento, in AA. VV., Pesaro tra Risorgimento e Regno unitario (Historica Pisaurensia V), Venezia 2013, pp. 395-408, in particolare: Stendhal a Pesaro con cinque personaggi, pp, 395399. 26 Stendhal, Journal, in Oeuvres intimes, Paris 1955, in Idem, pp. 1165-1166. 27 Ibidem, p. 1183. 28 Stendhal, Rome, Naples et Florence en1817, in Idem, Voyages d’Italie, a cura di V. Del Litto, Paris 1973, pp. 142-143. 29 L. Foscolo Benedetto, La Parma di Stendhal, Milano 1991, pp. 338-339; R. De Cesare, Per una questione di onomastica stendhaliana. Il caso Mosca, in “Rivista italiana di Studi Napoleonici”, 2, XX, 1983. 30 C. Giardini, E. Negro, M. Pirondini (a cura di), Dipinti e disegni della pinacoteca civica di Pesaro, Modena 1993, p. 167 n. 175a. 31 A. Baldassini, Orazione funebre nelle esequie rinnovate alla marchesa Donna Barbara Anguissola Mosca, Pesaro 1834, pp. 16-17. 32 Tre lettere della marchesa Barbara Anguissòla Mosca a Pietro Petrucci (3 e 6 agosto, 8 ottobre 1817), in Carteggio del marchese Pietro Petrucci, BOP, ms. 1199. 33 G. Leopardi, Ricordi di infanzia e di adolescenza, in Tutte le opere, Milano 1935, p. 362. 34 G. Leopardi, Epistolario, a cura di F. Brioschi e P. Landi,Torino 1998, I, p. 93. 35 Pubblicate da C. Barletta, Mosca, Mamiani, Nobili: corrispondenze pesaresi dei Leopardi, in “Pesaro città e contà”, Rivista della società pesarese di studi storici, 20, 2004, pp. 55-74, in particolare pp. 72-74. 20 21

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Il giardino di Trebbiantico. Villa Guerrini, già Galantara Una passeggiata nel tempo

luoghi della memoria | 1

tra i ricordi di una “famiglia gentile”, i

Guerrini di Trebbiantico,

ultimi proprietari del complesso che ospita oggi la

Residenza Sanitaria Assistita “Galantara” di

Mai del tutto dimenticato, eppure mai definitivamente acquisito dalla memoria collettiva di Pesaro, il complesso destinato negli anni Cinquanta del ‘900 a sanatorio, oggi Residenza Sanitaria Assistita (R.S.A.), resta per molti un luogo enigmatico, poco frequentato persino dagli studi, pur così assidui nell’indagare altre dimore storiche delle nostre zone. Scarne e frammentarie sono infatti le notizie su villa Guerrini, l’antico “palazzo di Galantara” di Trebbiantico (frazione del Comune di Pesaro), e quasi tutte ancora da scoprire in archivi pubblici e privati. Le fonti disponibili consentono comunque di ricomporre l’immagine di un edificio imponente, progettato a regola d’arte; di un complesso caratterizzato attraverso i secoli da quel bosco e quel giardino all’italiana così presenti anche nelle giornate degli abitanti del piccolo borgo, ai quali il parco di Villa Guerrini fu sempre aperto, tanto da essere ricordato da molti ancora oggi come “il giardino di Trebbiantico”. Nel novembre 2012 un’esposizione, promossa da Quartiere 3 “Colline e Castelli”Comune di Pesaro, ASUR Marche - Area Vasta 1, Soroptimist Club di Pesaro in collaborazione con la delegazione di Pesaro del FAI - Fondo per l’Ambiente Italiano, curata

Cristina Ortolani

da chi scrive, ha provato a ripercorrere le vicende essenziali del palazzo di Galantara, in occasione dell’inaugurazione della restaurata fontana barocca posta al centro del giardino all’italiana. Da questa esposizione, e più ancora dalla raccolta di fotografie che l’ha ispirata prendono le mosse queste pagine, nelle quali è radunata una piccola parte delle immagini ordinate negli anni Settanta del ‘900 da Renato Benoffi, figlio di Laura Guerrini, insieme con la sorella Lucrezia ultima proprietaria della villa. Due album amorevolmente custoditi da Alessandro Benoffi, figlio di Renato, fitti di immagini, annotazioni e ricordi, attraverso i quali prende vita il racconto di oltre cento anni di storia di una “famiglia gentile”. Con l’auspicio che presto villa Guerrini sia oggetto di studi più sistematici riproponiamo questi materiali, ringraziando ancora una volta per la squisita cortesia e la disponibilità Alessandro Benoffi e la sua famiglia.

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Villa Guerrini o il palazzo di Galantara Fatto costruire tra la fine del XVII e i primi decenni del XVIII secolo dai figli di Gabriele Galantara e Margherita Mosca, il “palazzo” è documentato tra l’altro in un manoscritto della Biblioteca Federiciana di Fano, datato 1734, nel quale si rileva che avendo lasciata l’antica villeggiatura nella possessione della Galantara... [i Galantara] a Trebbioantico si sono portati, ove hanno fatto del commodo et abbellito con giardini et altri adornamenti. La stessa Margherita Mosca figura nel Catasto Innocenziano (1690) come proprietaria di una casa in fondo Lanfattore, mentre una Possessione con Casino, Arativa, Piantata, Vignata con olivi 122 nel fondo di Panfattore compare, intestata ai “fratelli Galantara da Fano”, anche nel Quaderno di appasso di Trebbiantico (1684), conservato presso la Biblioteca Oliveriana di Pesaro. Come si legge nel documentatissimo saggio di Giovanna Patrignani, pubblicato nelle pagine precedenti, già dalla seconda metà del Seicento i Mosca si distinguono per i loro profondi interessi culturali; la famiglia aveva la sua residenza estiva a villa Caprile, costruita a partire dal 1640, dove tra Sette e Ottocento saranno ospitate alcune tra le personalità più in vista del momento, da Casanova a Stendhal fino a Napoleone Bonaparte. I Galantara - o Galantary - secondo la tradizione di origine francese, erano invece esponenti di spicco della nobiltà fanese: nel XIV secolo il capostipite Giovanni Galantara divenne signore di Montemaggiore al Metauro grazie al matrimonio con la figlia naturale di un Malatesta. Tra gli ultimi discendenti della famiglia si segnala Gabriele Galantara (1865-1937), noto con lo pseudonimo di Ratalanga, nato a Montelupone (MC), socialista convinto e caricaturista di fama europea tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento. Nel 1820 i fratelli Galantara vendono la proprietà a Guerrino Guerrini: la famiglia Guerrini resterà proprietaria della Villa fino al 1940, anno in cui Laura e Lucrezia Guerrini, nipoti di Guerrino, la cederanno

all’Istituto Postelegrafonici “Costanzo Ciano”, per farne una colonia riservata ai figli dei dipendenti dello stesso Istituto, in aggiunta a “Villa Marina”, la cui sede è visibile a Pesaro, in viale Trieste. La colonia collinare non verrà mai realizzata, e nel 1944 Villa Guerrini accoglierà alcuni reparti dell’Ospedale “San Salvatore” di Pesaro, sfollati a Trebbiantico per sfuggire ai bombardamenti. Nel 1950 l’edificio è destinato a sanatorio, proprio grazie alla presenza del grande parco che, incurante della storia, continua tuttora a dominare il complesso. Dedicato al professor Mario Accorimboni il sanatorio è inaugurato nel 1952: dell’antico palazzo di Galantara è forse ancora individuabile il tracciato della planimetria, proteso verso il giardino all’italiana; per rispondere alle esigenze di un moderno istituto di cura, la struttura fu infatti radicalmente modificata. Negli anni Settanta il sanatorio si fonde con l’Ospedale di Pesaro, e fino ai primi anni Ottanta Galantara diviene sede di alcune sue divisioni, tra le quali Dermatologia e Ematologia. Dopo il trasferimento di questi reparti presso il nuovo ospedale di Muraglia, l’Azienda Sanitaria Locale avvierà nel 1997 una nuova ristrutturazione dell’edificio. Il 1° giugno 2001 Angelino Guidi, allora direttore dell’ASL, inaugurerà la nuova Residenza Sanitaria Assistita “Galantara”: testimoni dell’evento, ancora una volta, gli alberi secolari del parco e i cipressi che svettano nel giardino all’italiana.

Fonti e tracce P. Persi, E. Dai Prà, Ville e villeggiature pesaresi a sud del Foglia, Fano 1994; G. Allegretti, E. Gamba, Il quaderno di appasso di Trebbiantico, in “Città e contà”, rivista della Società Pesarese di Studi Storici, n. 9, 1998; G. Allegretti, S. Manenti, Catasto innocenziano (1690): tabulati, Fondazione Scavolini e Società Pesarese di Studi Storici, Pesaro 1998; C. E. Montani, Memorie

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Istoriche Ecclesiatiche e Civili della città di Pesaro e suo territorio, tomo II a cura di G. Stroppa Nobili, Pesaro 2012; su Gabriele Galantara - Ratalanga: www.galantara.it/Ricerche/autori/GALANTARA_biografia.pdf. Per le notizie e le segnalazioni ringrazio inoltre Alessandro Benoffi, Silvio Picozzi e Gianfranco Gabucci. promemoria_numerocinque


Una particolare descrizione merita il giardino, a cui facevano da sfondo undici arcate di cipresso addossate alla galleria di separazione delle terrazze. Da questo belvedere coperto, caratteristico di tutti i giardini settecenteschi, si potevano ammirare le aiuole del giardino, a livello più basso, da cui saliva il profumo dei fiori misto a quello dei limoni e del bosso disposto in doppia bordura secondo il classico disegno all’italiana. La fontana barocca che sorge al centro è arricchita nei quattro fianchi panciuti da quattro tipici mascheroni, mentre l’allegro zampillo nel mezzo e alcuni getti d’acqua a sorpresa nelle pietre di base ricordano quelli più ricchi e imprevisti di Villa Caprile. Quattro vasche in forma ottagonale sono poste simmetricamente intorno a quella descritta. Delimita il complesso a sud una lunga balaustra in pietra dai caratteristici lombardini, divisa al centro da una costruzione rotonda a berceau dominata da una coppia di secolari cipressi. La villa per la sua notevole maestosità e ricchezza di verde e di fiori era piacevole meta di gite dei pesaresi amici dei proprietari, fra questi ricordiamo il M° Pietro Mascagni, allora direttore del Liceo “G. Rossini”, il violinista Frontali e, in tempi più recenti, il M° Riccardo Zandonai. Renato Benoffi, 1968

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“Una famiglia gentile” Dal 1820 l’antico “palazzo di Galantara” diventa proprietà della famiglia Guerrini, come ricorda la targa recentemente apposta all’ingresso della Residenza Sanitaria Assistita di Trebbiantico. Guerrino Guerrini è annoverato tra gli uomini più influenti della Pesaro del primo Ottocento; tra i suoi molti possedimenti, oltre a vasti terreni nella piana del Foglia vi erano palazzo Zongo e parte del palazzo Baviera, che ospitò per qualche anno anche un giovanissimo Gioachino Rossini (lì abitava infatti il nonno materno del compositore, il fornaio Domenico Guidarini). Dal matrimonio di Guerrino con Lucrezia Gerunzi il 29 agosto 1822 nascono i gemelli Domenico e Pietro; in quella stessa estate Guerrino è già residente nella “Villa di Galantara”. Nel 1855 i due fratelli risultano proprietari della villa di Trebbiantico, e alla seconda metà dell’Ottocento risalgono le trasformazioni che daranno all’edificio l’aspetto documentato dalle fotografie raccolte da Renato Benoffi. La villa fu ampliata con l’aggiunta di un secondo corpo e di una “galleria”; la nuova costruzione fu abitata da Domenico con la sua famiglia, mentre Pietro, sposatosi in età matura, occupò l’edificio originario, più piccolo e vicino al bosco. Se Domenico è passato alla storia come primo sindaco di Pesaro dopo l’Unità d’Italia, Pietro fu invece sindaco di Novilara dal 1873. Dalla moglie Elisabetta Rimatori, scomparsa a soli quarantanove anni, Pietro Guerrini ebbe Ruggero, Lucrezia e Laura. Il 21 dicembre 1895 Laura sposa Alessandro Benoffi, nato a Milano nel 1869 da Terenzio detto Cesare, pesarese in trasferta di lavoro (è agente di commercio di oggetti d’arte) e Francesca Canzani di Tradate. Diplomatosi nel 1884 alla Scuola tecnica commerciale di Milano, Alessandro è nominato nel 1891 Applicato presso la Società Italiana per le Strade Ferrate del Mediterraneo, dove era impiegato già da qualche anno. Sin dal 1890 Alessandro, chiamato familiarmente ‘Bigetto’, frequenta Trebbiantico: imparentato con i Guerrini, trascorre parte dell’estate a Pesaro e, come altri ospiti della villa, scende quasi quotidianamente in spiaggia per i bagni di mare, dei quali anche nella nostra città si va allora scoprendo il valore terapeutico. Quasi subito Alessandro e Laura (“Ninì”) intrecciano una fitta corrispondenza e nel settembre 1894 possono finalmente dirsi “ufficialmente fidanzati”. Nel 1896 nasce Cesarina, la loro primogenita; nel 1905 la famiglia si trasferisce a Roma per un breve periodo e nel 1908 nascerà Renato. Solo dopo la pensione, però, Alessandro si stabilirà definitivamente a Trebbiantico. Le vicende famigliari assegneranno a Laura, donna di carattere, il ruolo di ‘sovrintendente’ della Villa. Racchiuse in uno scrigno, come in un romanzo legate con nastri rosa, le lettere di Alessandro e Ninì sono state trascritte da Alessandro Benoffi, figlio di Renato, che porta lo stesso nome del nonno. Con infinita cura Alessandro ha ordinato questo epistolario, importante per le notizie sulla società dell’epoca (la visita all’Esposizione di Parigi del 1900, il viaggio in Sicilia di Ruggero con l’anziano Pietro, per non parlare dei dettagli riguardanti il menage di villa Guerrini, un vero spaccato di ‘vita in villa’), ma forse ancor più prezioso per il tono e le atmosfere che lascia trasparire. Parole che evocano un mondo fatto di attenzione, rispetto, affetti sinceri: uno spirito che Alessandro Benoffi ben coglie, oggi, nel definire la sua una famiglia “gentile”. 48

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“Onde corte” Non s’ha da credere che i nostri divertimenti in villa si esaurissero con i giochi a palla, il tamburello, a “cu” [nascondino], a bocce ecc. oppure con le ardimentose volate sul carrettino. La nostra attività spaziava anche nel campo artistico, folcloristico e teatrale. Un altro carrettino, quello di Tespi, riuscimmo a realizzare. Una sola recita in Villa, ma sufficiente a galvanizzare noi e i nostri amici per più ardui cimenti, che culminarono nell’allestimento di una vera e propria rivista che il 16 gennaio 1934 ebbe il battesimo e il successo con replica al Teatro “Duse” di Pesaro, e che restò famosa nelle cronache mondane della città in quanto gli interpreti erano della migliore gioventù della Pesaro-bene. Ancora oggi viene ricordata con nostalgia dai protagonisti ancora in circolazione. Avevamo cominciato quasi per scherzo a provare caratteristici travestimenti saccheggiando i vecchi guardaroba di casa, per il gusto di parodiare personaggi celebri del cinema, dell’operetta o di pura fantasia... Renato Benoffi, 1976

Trebbiantico di Pesaro, villa Guerrini, anni Trenta-Quaranta del ‘900. In alto a sinistra: Renato Benoffi nei panni di Ettore Petrolini, in due “parodie petroliniane”: Gastone, i Salamini, dalla rivista Onde corte; la locandina della rivista, andata in scena al Teatro “E. Duse” di Pesaro il 16 gennaio 1934 (qui a destra Ely Riganti, che Renato Benoffi definisce “la dinamica regista” dello spettacolo). Sopra, a destra: il debutto della Compagnia “Pochi ma buoni”, avvenuto a villa Guerrini il 26 settembre 1933 con la commedia Lui, lei, lui di Roberto Bracco (salvo diversa indicazione tutte le immagini di queste pagine provengono dalla raccolta di Alessandro Benoffi,Trebbiantico di Pesaro). Nella pagina precedente, in alto: Lucrezia e Laura Guerrini, le sorelle Guerrini con il fratello Ruggero, e infine Pietro Guerrini, ormai anziano, in tre immagini dell’ultimo ventennio del XIX secolo; al centro: una lettera di Alessandro Benoffi a Laura Guerrini (1894); in basso: Laura Guerrini (1873-1942) in una fotografia giovanile e Alessandro Benoffi (1869-1935) in un’immagine degli anni Trenta del ‘900. Pagine 46-47, dall’alto: una veduta d’insieme di Villa Guerrini, realizzata da Renato Benoffi assemblando quattro diversi scatti fotografici; Renato Benoffi con il cane Paoloni e Clara Gabrielli, figlia di Nazzareno, fondatore dell’omonima ditta di pelletteria, in posa davanti alla fontana nel giardino all’italiana; una veduta d’insieme del giardino all’italiana (anni Trenta del ‘900). Infine, in basso: Villa Guerrini, settembre 1917. “Sotto la balaustra del giardino ci sono anche io, con cappello di paglia a fianco di mia sorella Cina [Cesarina] in attesa della primogenita Vanna” (Renato Benoffi). A pagina 45: la Residenza Sanitaria Assistita “Galantara” in una fotografia del novembre 2008 (fotografia Cristina Ortolani). promemoria_numerocinque

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Il racconto degli album di Renato Benoffi si conclude con alcune immagini dell’inverno 1940, “l’ultimo prima di lasciare per sempre Villa Guerrini”. Nel tentativo di fissare il ricordo dei giorni sereni della ‘vita in villa’, la famiglia commissiona al pittore fiorentino Innocenti due dipinti, realizzati ‘animando’ altrettante fotografie (a sinistra e sotto, a destra). In primo piano, in basso a sinistra: Romolo Liverani, 1859. Torre con ponte rustico ridotta a Belvedere. Progetto per la villeggiatura di Galantara de’ Signori Fratelli Guerrini di Pesaro. In basso a destra, la gatta Lilly osserva nel giardino de “La Meridiana” lo scorrere dei giorni (fotografia Cristina Ortolani, 17 ottobre 2012).

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L’omicidio di Monteluro, 1921 Il contesto, la sentenza Concludiamo la cronaca dell’ omicidio Gaetano Betti, la cui prima parte è apparsa sul numero 4 di “Promemoria”,

luoghi della memoria | 2

di don

con una panoramica sui luoghi e sul contesto del delitto, avvenuto a

Monteluro nel 1921

di

Simonetta Bastianelli

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Monteluro, oggi, merita la fatica di una “scarpinata” verso la sua cima. Da qui lo sguardo non trova ostacoli e può abbracciare un panorama che da Pesaro scorre alle colline dell’Urbinate, al Montefeltro, al mare. Nelle giornate terse l’Adriatico si prolunga un po’ di più, prima di scivolare sotto l’orizzonte. Una vista che è la prova provata della sfericità terrestre. Scendendo la stradina, prima di incrociare la provinciale per Babbucce, si passa accanto al monastero delle Sorelle Carmelitane, sorto sul luogo della canonica che fu teatro del delitto di don Betti. La pace che si respira in quest’angolo di collina contrasta con la gravità degli accadimenti del luglio 1921, raccontati nel numero scorso della nostra rivista attingendo alle testimonianze dell’epoca. I personaggi implicati e il “clima” sociale in cui si mossero sono oggi difficili da mettere a fuoco. Si viveva, all’epoca, in un piccolo mondo in cui tutti si conoscevano; forse proprio questo può spiegare il pudore e la paura di parlare, anche a distanza di tempo, di fatti così terribili, successi proprio lì, a una figura come quella del parroco conosciuto da tutti. Oggi, a quasi cent’anni di distanza, ci si può almeno fare un’opinione dalle “tracce” rimaste sulle carte. Ad esempio che, anche se la Legge si dovette fermare di fronte alla mancanza di testimonianze con riscontri certi, la cronaca che accompagnava i tempi delle indagini registrò un repentino calo delle attività criminali: dato in sé non probatorio, ma che lascia pensare che tra la consorteria con “precedenti” noti alla polizia (allora sotto la lente delle indagini) e la banda autrice dell’uccisione di don Betti una connessione ci dovesse essere.

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Situato sul più alto dei colli a sud di Gradara, il Castrum Montis Lauri fu teatro di memorabili battaglie, a cominciare da quella del 1271, dove Malatesta e Montefeltro si affrontarono per il controllo di questa postazione privilegiata fino al notissimo scontro avvenuto nel 1443 tra gli Sforza e i Malatesta. A poca distanza, in località Montechiaro, ebbe luogo tra l’agosto e il settembre 1944 lo sfondamento della Linea Gotica da parte delle truppe alleate. Già nei primi decenni del Seicento in profondo declino, come sembra testimoniare anche la tempera di Francesco Mingucci (1626), dell’antico castello di Monteluro restano oggi solo pochi ruderi, mentre dall’alto è ancora possibile leggerne il tracciato murario. Prima della II guerra mondiale l’abitato comprendeva ancora, oltre alla chiesa di San Giovanni Battista, quella di Santa Maria Assunta, parte della vecchia torre, la fonte e il lavatoio. Anche Monteluro non sfugge alla regola che vuole un tesoro sepolto sotto ogni castello, in questo caso celato in una grotta, dicono, dai tempi dei Romani. La grotta conterrebbe un ingente quantitativo d’oro (da cui Monteloro, Monteluro), in forma di statue, lingotti o, versione più accreditata, grosse biglie (ma c’è anche chi parla di un telaio), che a più riprese gli abitanti della zona hanno provato a disseppellire. Come avviene quasi ovunque, però, chi osa avvicinarsi al tesoro rischia di essere subitaneamente scaraventato ai quattro venti. In realtà, nota Luigi Michelini Tocci, l’etimologia più probabile di Monteluro è da ricondursi a Mons Lauri: Mons Lauri, Monte Loro, Monteluro… C’era un auspicio in quel nome?

In Monteluro trovasi oro, e ne fu fatto esperimento

Macrobio Pesarese, 1821

Monteluro, 1905-1906 Inverno 1905. La stabilità del campanile di Monteluro a seguito delle continue piogge è in pericolo; la Giunta comunale delibera che sia immediatamente levata la campana piccola. 7 gennaio 1906. Il campanile presenta seri indizi di pericolare sia per lo strapiombo preso, sia per i segni di rovina del volto su cui è basata una parte del campanile stesso. La Giunta incarica il perito Pizzagalli di un sopralluogo, a seguito del quale Tartaglia (probabilmente quel Giovanni capomastro muratore di Tomba che nel 1924 eseguirà i lavori delle mura) distrugge il vecchio campanile e ammassa il materiale per il nuovo. 11 febbraio 1906. Negli ultimi giorni del 1905 il campanaro di Monteluro avvisò che il campanile comunale minacciava di crollare. Il fatto è riportato nella deliberazione di Consiglio comunale dell’11 febbraio 1906, con la quale venne stabilita la costruzione di un nuovo campanile. 52

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Monteluro, la fonte I documenti dell’Archivio storico comunale sono avari di notizie sulla fonte di Monteluro. Dagli atti deliberativi, serie lacunosa per il primo periodo post-unitario, leggiamo di uno spurgo straordinario delle fonti di Monteluro in occasione del passaggio del 2° Corpo d’esercito. Siamo nel rigido inverno del 1888, durante il quale la strada comunale di Monteluro si era fatta impraticabile a causa della neve accumulata dai venti e la Giunta stabilì di inviare molti operai all’effetto di togliere l’inconveniente. Per decenni a Tomba il problema dell’acqua fu tanto assillante quanto irrisolto. Si sperava molto nell’acqua proveniente dalla frazione più alta del Comune, come dimostrano gli studi per la conduttura dell’acqua potabile da Monteluro al Capoluogo del 1891, ma le analisi delle acque risultarono negative. Altro fallimento seguì nel 1904 quando dalle due analisi cliniche e una batteriologica effettuate presso il laboratorio del Ministero si ottennero ancora risultati negativi per il forte quantitativo di cloro e per l’elevato grado di durezza. Il 12 luglio 1908 la Giunta delibera

un restauro alle Fonti di Monteluro. Passano gli anni, ma nel ‘25 l’acquedotto non esiste ancora. Il Comune incarica un ingegnere del progetto di allacciamento di fonti esistenti a Monteluro. A causa della scarsità e qualità dell’acqua, la risoluzione del trentennale problema dell’acqua potabile non può più essere cercata a Monteluro: tra il ‘27 e il ‘30 si faranno assaggi e prelievi al “pozzo del Diavolo” che darebbe acqua sufficiente, ma contenente tracce di ammoniaca, acido nitroso e germi.

Sopra: Monteluro, primi del ‘900. Gita alla fonte (raccolta Vittorina Capanna, Tavullia); sotto: A. Mosconi, Fonte e lavatojo vicino Monte l’Oro nel 9bre 1886 (Archivio Comune di Tavullia) e la fonte di Monteluro in una serie di immagini dell’estate 2013 (fotografie Rocco Ornaghi). Nella pagina precedente, dall’alto: F. Mingucci, Monteluro, 1626; il castello di Monteluro e la chiesa di San Giovanni Battista nelle mappe del Catasto Gregoriano (prima metà

dell’800; Archivio di Stato, Pesaro; Monteluro (Tomba di Pesaro), Castello, 1910 circa (Archivio Stroppa Nobili, Ginestreto - Pesaro). Nelle pagine seguenti: dettagli degli atti processuali relativi all’omicidio di don Gaetano Betti (Archivio di Stato di Pesaro); in apertura: Monteluro, la chiesa di San Giovanni Battista nell’estate 2013 (fotografia Simonetta Bastianelli, Monteluro - Tavullia).

Fonti e tracce Comune di Tavullia, Deliberazioni. Macrobio pesarese. Breve e succinta relazione storica sulla fondazione e pregi di Pesaro, Fuligno 1821 L. Michelini Tocci, Castelli pesaresi sulla riva sinistra del Foglia, Pesaro 1975 Archivio di Stato di Pesaro, Tribunale Pesaro, Penale, b 1152, voll. 1-4. Come abbiamo già scritto sul numero precedente di “Promemoria”, ai documenti si aggiungono innumerevoli voci e suggestioni che echeggiano tra Monteluro, Babbucce, Gradara e Pesaro, mai sopite dal 1921 sino a oggi. Voci e memorie che attraversano le generazioni, e che hanno ispirato il lavoro presentato su queste pagine

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17 giugno 1921. Risultato dell’inchiesta compiuta a Tomba di Pesaro dal Segretario dell’Unione del Lavoro di Pesaro - La sera del 20 luglio 1919, mentre il sac. Betti Gaetano rincasava, gli venne sparato un colpo di fucile che gli sfiorò la spalla a meno d’un palmo di distanza, conficcandosi il proiettile contro la porta di casa. - Nei mesi novembre-dicembre 1919, in diverse serate, furono sparati colpi di fucile contro le finestre di Benelli Antonio, Benelli Giovanni e sac. Benvenuti, sulla guida di lumi visibili dalle adiacenze delle singole case. I proiettili penetrarono nei vani. Furono sporte le relative denunzie, con esito negativo. - In quell’epoca, dopo un fallito comizio elettorale dei candidati politici Boccaccini e Cappa, le intimidazioni e minacce contro gli ascritti al Partito Popolare si ripeterono con frequenza. - La sera del 17 gennaio 1920, dopo un’adunanza della sezione socialista, in cui certo Sparacca - ora Sindaco del Comune - si era espresso contro il sac. Molari Adolfo dicendo “che bisognava toglierlo di mezzo”, questi veniva fermato dallo Sparacca medesimo, che l’ammoniva a desistere dalla propaganda cattolica a scanso di dispiaceri. Ci fu querela e causa. - La sera del 14 marzo 1920, dopo una riuscitissima adunanza della sezione del P.P.I., vennero sparate due fucilate nel salotto del sac. Molari Adolfo, che si supponeva stesse cenando. Fu sporta denunzia, con esito negativo. - In quel tempo ogni qualvolta il Consiglio Direttivo del P.P.I. si convocava, venivano fatte le più aspre minacce contro i componenti del medesimo. - La notte dal 12 al 13 aprile 1920, furto con iscasso alla Chiesa di Santa Maria del Monte, con danno di parecchie migliaia di lire. La denunzia non ebbe alcun effetto. - Una notte non precisabile del febbraio 1920, furto con iscasso alla casa del dott. Cinti Antonio, con asportazione di rilevante quantità di biancheria, cereali, ecc. La denunzia rimane senza effetto, nonostante il rinvenimento sul posto, d’un cappello e di una vanga appartenenti ai ladri. La denunzia non ebbe risultati. - Una sera del luglio 1920, minacce a mano armata contro il capolega Sandroni Quinto e la di lui famiglia. La denunzia non ebbe risultati. - La notte dal 5 al 6 settembre 1920, tentato furto alla casa di Garattoni Augusto, sede della Cooperativa bianca, con spari di fucilate contro le persone che tentavano di aprire le finestre e contro coloro che accorrevano per soccorso. Vi fu denunzia senza esito. - La notte medesima, furto con iscasso al Santuario di S. Pio, con incendio di arredi e asportazione di 44 tra oggetti d’oro e d’argento. La denunzia fatta fu inutile. - Una notte del febbraio o marzo 1921, furto a danno del 54

sig. Albini-Riccioli Nazzareno per circa 14.000 lire. Denunzia, recupero della refurtiva alla casa del già condannato per omicidio Giunta Giacomo fu Gaspare, che viene punito con 5 anni di carcere. Nella perquisizione praticata in casa del Giunta si rinvengono 109 cartucce di fucile, il cui bossolo corrisponde a quelle sparate contro il salotto del sac. Molari. Nessuna indagine per scoprire i complici del Giunta, che dice d’aver trovato la refurtiva nella propria aia, ignorandone la provenienza. - Il 29 maggio 1921, perviene a Fratesi Giovanni, della sezione del P.P.I. una lettera minatoria, raffigurante un teschio, una bara, una croce, con sotto le iniziali del Fratesi, il cui fratello Sindaco di Fiorenzuola di Focara, fu proditoriamente ucciso in un agguato la notte del 27 giugno 1920. Fratesi sporge denuncia, senza alcun risultato. - La sera del 5 giugno 1921, mentre rappresentanze popolari di Tomba ritornano da una festa avutasi a Candelara, si sparano 5 colpi di rivoltella contro Benvenuti Torquato, che si salva gettandosi a terra. Si sporge denunzia. - La sera del 13 giugno 1921, mancato omicidio contro la persona di Cardellini Pietro fu Domenico, consigliere della sezione del P.P.I. il quale, da un campo costeggiante la strada, viene colpito da una fucilata al braccio destro, con frattura dell’osso, mentre un secondo colpo gli fora i calzoni. Il Cardellini è ricoverato all’ospedale di Pesaro e si sporge denunzia del fatto. - La notte dal 15 al 16 giugno 1921, furto con iscasso nella stalla del sac. Molari, da dove vengono rubati il cavallo, il biroccino con attacco completo, per un danno di circa 6.000 lire. Si sporge denunzia del fatto. - Si sorvola sulla specificazione di altri piccoli furti, specialmente di bestiame minuto e pollame, consumati in varie riprese e che assommano a circa una trentina. Si noti che il Comune di Tomba, circa 4.000 abitanti, è sprovvisto di forza pubblica… Ogni denuncia deve essere fatta ai RR.CC. del Comune di Pozzo Alto distante 6 km., i quali, se chiamati, giungono per un semplice sopralluogo che riesce generalmente infruttuoso. promemoria_numerocinque


Quello di Monteluro è stato un processo che ha coinvolto, più o meno direttamente, l’intero paese di Tomba. Basti ad esempio quanto successe alla famiglia di mia nonna. Nello scorso numero della rivista abbiamo riportato le testimonianze di Vittoria Giammattei e sua sorella Augusta; qui accenneremo alla deposizione della terza sorella, Adele. Tutte chiamate a testimoniare perché di tanto in tanto aiutavano Albina Fratini, la donna di servizio, nelle faccende domestiche in canonica. 3 agosto 1921, teste: Giammattei Adele, anni 24. Conoscevo don Betti da parecchi anni ed ho frequentato spessissimo la canonica per prestare dei servizi al povero parroco, il quale spesso chiamava per aiuto anche le mie sorelle e la mamma. Che io sappia non aveva nemici perché era ben voluto da tutti… Non udii spari di arma da fuoco… Non conosco il Bardeggia Michele; ho sentito fare il suo nome e tutti ne parlano con terrore perché è un individuo molto pericoloso e del quale tutti hanno paura. Proprio sulla figura di Bardeggia si incentra il processo, come dichiarato dal Questore di Pesaro in un passo della lettera al Procuratore Generale del Re del 29 luglio 1921: Nella convinzione che tutti o la maggior parte dei delitti avvenuti dal 1919 sino ad oggi nel territorio del comune di Tomba e rimasti quasi tutti impuniti siano opera del latitante Bardeggia e dei suoi complici coi quali ha costituito una associazione a delinquere, le indagini sono state dirette alla identificazione di tutti coloro che hanno avuto col Bardeggia rapporti delittuosi o che notoriamente sieno in relazione di amicizia con lui. E la Procura così lo descrive nella relazione del 24 giugno 1922: E’ un disertore, pericoloso latitante, autore di molteplici misfatti, colpito da più mandati di cattura, rifugiatosi ora probabilmente in Francia. Non appena commesso l’orribile misfatto, l’Arma dei Carabinieri e la Questura designavano il Bardeggia come duce della banda che trasse a morte il parroco di Monteluro. E’ accusato dal correo Olmeda Arcangelo, secondo la dichiarazione fatta dal figlio Augusto. Dichiarazione che verrà in seguito ritrattata.

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Il delitto di Monteluro. Il contesto

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Fu un’istruttoria fatta di un susseguirsi di reticenze, discordanze, silenzi, smentite, ritrattazioni, specie nella sua seconda fase; di pagine colme di ‘non so’, ‘non ricordo’, ‘mi sono sbagliato’, ‘avrò capito male’, di confronti dagli esiti incerti. Persino l’unica testimone oculare, Albina Fratini, che in un primo tempo riconobbe, non vista, i componenti la banda, l’8 aprile 1922 dichiarò: la notte del misfatto io non ho riconosciuto alcuno degli assassini e soltanto quelli che vennero sul tetto per far scendere il povero prete dissero a me di far silenzio, erano in due e mi parvero l’uno il Palìn (Giunta Gaspare) e l’altro suo fratello Luigi, però non lo potrei giurare, tanto ero in quel momento agitata per lo spavento. Possibile non riconoscere un balbuziente (Gaspare) o suo fratello (Luigi) che spesso frequentava la canonica? Per capire, e non dico giudicare, meglio i fatti bisognerebbe analizzare ogni singolo documento alla luce di quel clima di terrore e minacce instauratosi in quegli anni di miseria e roventi lotte politiche e sociali e che comprensibilmente cucì le bocche di tutti, tanto più che vi si trovava coinvolto anche il primo cittadino di Tomba, curiosamente denominato da qualche teste capo birbaccione. La sentenza per l’omicidio del prete che aveva firmato per la guerra e che faceva le prediche ai disertori non convinse e lasciò traccia nella tradizione orale non tanto dei nomi dei colpevoli, assolti, ricordiamolo, per insufficienza di prove, quanto della convinzione che il movente fosse tutto tranne che il furto.

7 ottobre 1922. Il procuratore generale del re presso la Corte di appello di Ancona Per il delitto di don Gaetano Betti furono processati undici imputati, tre dei quali accusati di favoreggiamento per aver aiutato, dato vitto e alloggio al Bardeggia, che sapevano colpito da mandato di cattura. Visti gli artt. 274, 318 Cod. Proc. Pen. chiede che la Ecc.ma Sezione di Accusa, ritenuta chiusa la istruzione, voglia dichiarare non doversi procedere nei riguardi di tutti gli imputati in ordine ai reati loro rispettivamente ascritti per insufficienza di prove. Revocare in conseguenza il mandato di cattura a carico del Bardeggia Michele, di ordinare la escarcerazione degli imputati Sparacca Agostino, Olmeda Alberto, Olmeda Arcangelo, Giunta Gaspare, Giunta Luigi e Sparacca Giuseppe, ove non debbano restare detenuti per altra causa.

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Album di famiglia. Genius loci album di famiglia | 1

a cura di

Cristina Ortolani

L’Italia, con i suoi paesaggi, è un distillato del mondo; le Marche dell’I talia . Il nostro viaggio prende l’avvio da Pesaro. A Pesaro, mi dicono, perdura il carattere romagnolo, impetuoso, espansivo. Già tuttavia si avverte il rallentare e una maggiore padronanza di sé. L a Romagna si estingue nelle Marche. Pesaro è rossa, ma non troppo accesa, e con venature bianche vistose. L a folla nelle strade ha impronta popolaresca. Anche qui, come in Romagna, si vende la porchetta in spacci all’aperto, insaporita col finocchio e l’aglio. Ma la spiaggia di Pesaro ha tono già elegante, e sembra diventare di moda .

Monteciccardo

Guido Piovene, 1957

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Saluti da S. Angelo in Lizzola - Pesaro cartolina con vedutine, fine anni Cinquanta-anni Sessanta del ‘900 (Archivio Stroppa Nobili, Ginestreto - Pesaro). Nei quattro scatti, dall’alto in senso orario: panorama; palazzo Mamiani; due immagini di via Roma. A destra: Sant’Angelo in Lizzola, via Morselli e la collegiata di San Michele Arcangelo viste dalla torre civica, cartolina datata 1930 (ed. Garattoni, Sant’Angelo in Lizzola; Archivio Storico Diocesano di Pesaro). A sinistra: Una gita a... [Sant’Angelo in Lizzola], da “La Settimana Enigmistica”, 7 gennaio 2012 (raccolta privata, Pesaro). Nella pagina precedente: Saluti da Monteciccardo alt. m. 384 s.m. (Ps), cartolina con vedutine, anni Cinquanta-Sessanta del ‘900 (Archivio Stroppa Nobili, Ginestreto - Pesaro). Nei quattro scatti della cartolina, dall’alto in senso orario: panorama; due immagini di via Roma e il monumento ai Caduti. In primo piano: Monteciccardo (Pesaro) - m. 280 s.m., cartolina, anni Venti-Trenta del ‘900 (fotografia M. Arceci, Colbordolo; Archivio Storico Diocesano di Pesaro).

Sant’Angelo in Lizzola

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Colbordolo - Pesaro m. 300, cartolina con vedutine, anni Sessanta-Settanta del ‘900 (Archivio Stroppa Nobili, Ginestreto - Pesaro). Nei cinque scatti, dall’alto in senso orario: via Roma; panorama; la chiesa della Madonna del Monte; due immagini di piazza del Popolo. A sinistra: Saluti da Colbordolo (Pesaro), cartolina degli anni Trenta del ‘900; nelle “vedutine”: via XX Settembre, oggi via Roma e, sotto, esterno e interno della chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista (foto M. Arceci; Archivio Storico Diocesano di Pesaro).

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Colbordolo

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Tavullia

Saluti da Tavullia (Pesaro), cartolina con vedutine, anni Sessanta del ‘900 (Archivio Stroppa Nobili, Ginestreto - Pesaro). Nei sei scatti della cartolina, dall’alto in senso orario: panorama, santuario di San Pio, il castello con il cassero e piazza Dante Alighieri, tre immagini di via Roma. A destra: Tavullia, cartolina prodotta dal poeta Igino Balducci, fine anni Trenta-primi anni Quaranta del ‘900 (Archivio Storico Diocesano di Pesaro).

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Saluti da Montelabbate, cartolina con vedutine, anni SettantaOttanta del ‘900 (raccolta privata, Pesaro). Nei quattro scatti della cartolina, dall’alto in senso orario: il castello, via Roma, la chiesa di San Martino nella frazione di Farneto e l’abbadia di San Tommaso in Foglia nella frazione di Apsella. A destra: Montelabate (Pesaro) - via Roma, cartolina, anni Trenta-primi anni Quaranta del ‘900 (fotografia M. Arceci, Colbordolo; Archivio Storico Diocesano di Pesaro).

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Montelabbate

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Album di famiglia Emma Parola, fotografa album di famiglia | 2

a cura di

Cristina Ortolani

Sin dall’esordio “Promemoria” e la Memoteca hanno trovato negli scatti di Emma Parola , fotografa ambulante di montelabbate, una delle loro espressioni più vere

Tra i tanti apparsi nell’Album di famiglia pubblicato sullo scorso numero di “Promemoria”, dedicato al lavoro, spiccava il volto vivace di Emma Parola, ritratta accanto all’inseparabile macchina fotografica. Emma e le sue fotografie hanno accompagnato sin dal loro esordio “Promemoria” e la Memoteca Pian del Bruscolo, che in questi scatti spesso approssimativi, talora decisamente rudimentali ma sempre dotati di sorprendente incisività, hanno trovato una delle loro espressioni più vere. Fotografa ambulante a Montelabbate e dintorni tra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta del ‘900, Emma Parola (1890-1960) ha realizzato tra l’altro alcune tra le più note immagini dello scoppio della polveriera di Montecchio (Sant’Angelo in Lizzola), episodio che più di altri ha segnato la memoria della valle del Foglia durante la II guerra mondiale, avvenuto la sera del 21 gennaio 1944.

Arrivata a Montelabbate da un punto imprecisato d’Italia (era gitana, dicono in paese ancora oggi con fare vagamente circospetto), attorniata da stuoli di gatti, ossuta e sempre vestita di scuro con un fazzoletto intorno alla testa, Emma si era scoperta fotografa un po’ per passione un po’ per necessità: il marito Giuseppe Cavacciuti soffriva infatti di una grave invalidità, che gli rendeva difficile lavorare. Per arrotondare le entrate oltre che fotografa Emma era anche venditrice di quotidiani, negli anni duri tra il Quaranta e il Cinquanta. In molti nella valle del Foglia possiedono ancora qualche suo ritratto ritoccato alla bell’e meglio: intraprendente e per niente intimorita dalle novità, Emma ribatteva alla concorrenza del fotocolor, fuori portata per la tecnologia della sua vecchia macchina, con ardite pennellate di colore, stese ad arte a rinfrescare guance e fiori. A conclusione di questa prima serie di “Promemoria” dedichiamo a Emma una ‘puntata speciale’ del nostro Album di Famiglia, ringraziando Anna Capponi Donati, alla cui collezione appartengono le fotografie e i ‘ferri del mestiere di Emma.

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Lo sguardo silenzioso non è inquisitore. Esso rende possibile il faccia a faccia perché è l’indizio di un orecchio attento Bruno Chenu, 2006

Sopra: Montecchio, di Sant’Angelo in Lizzola 22 gennaio 1944. Tre scatti fotografici realizzati da Emma Parola subito dopo lo scoppio del deposito di munizioni, avvenuto alle 21,30 del 21 gennaio 1944. La fila superiore riproduce i negativi delle fotografie di Emma Parola, dai quali sono tratte le simulazioni di sviluppo della fila inferiore. A destra: la macchina fotografica di Emma Parola. Nella pagina precedente, in alto: Montelabbate, anni Quaranta del ‘900. Negativo e simulazione di sviluppo di una fotografia scattata in via Roma, nella quale si riconoscono Dino Bezziccheri (a sinistra) e, a destra, il commerciante di tessuti Mario Riminucci. Emma fa capolino dalla porta, insieme con il marito (nell’ingrandimento). L’immagine è già apparsa su “Promemoria” n. 2. Al centro: Montelabbate, anni Quaranta del ‘900: Anna Capponi in braccio a Marianna Carloni e, in basso, la macchina fotografica e una scatola con obiettivi e altri ‘ferri del mestiere’ di Emma Parola, ritratta in apertura (raccolta Anna Capponi Donati, Montelabbate). promemoria_numerocinque

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Sulle tracce di nonno Peppe. I luoghi della Grande Guerra storie di guerra

Con tenacia e passione Francesco Nicolini

ha ripercorso l’itinerario dei giorni di guerra di “nonno

Peppe” (Elmo Cermaria), fante di Sant ’A ngelo in Lizzola , i cui ricordi sono già apparsi

sul numero

2 della nostra rivista di

Molti anni fa ho dovuto insistere parecchio per convincere mio nonno Peppe, un semplice contadino della valle del Brasco nel Comune di Sant’Angelo in Lizzola, a scrivere i ricordi della terribile esperienza, durata tre anni, vissuta come fante italiano della Prima Guerra Mondiale. Il racconto di questi ricordi, slegati l’uno dall’altro, ha accompagnato la mia infanzia, davanti a una lampada a olio appesa al camino di una vecchia casa di campagna, seduto sulle ginocchia del nonno. Penso che, anche se in contesti diversi, questo sia capitato a tutti i bambini della mia generazione. Anche a loro dedico questo libro. A ognuno di loro verranno in mente, come è capitato a me, i ricordi degli anni più belli, quando realtà e sogni erano la stessa cosa, quando riuscivamo anche a volare e nessuno poteva prenderci e fermare la nostra voglia infinita di vivere. Nei suoi tre anni di guerra e prigionia il nonno superò sofferenze indicibili e ostacoli a cui nessuno era preparato, trovandosi spesso a tu per tu con la Morte. Al termine dell’ennesimo tragico episodio, avvenuto nel campo di concentramento dove era stato rinchiuso nei primi giorni del Novembre del 1917 dopo la disfatta di Caporetto, il nonno, non riuscendo a capire come mai fosse ancora vivo, esclama: ...forse è solo perché non dovevo morire. 64

Francesco Nicolini

La frase ha dato il titolo a questa seconda edizione del libretto con il quale ho voluto e potuto rispettare una promessa fatta al nonno, onorando la sua memoria, nel 150° anniversario dell’Unità d’Italia, grazie anche alla sensibilità del nostro Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. La prima edizione del libretto è stata una semplice trascrizione “in bella” del manoscritto con il titolo La Prima Guerra Mondiale… del nonno Peppe e mi è servita per cominciare a pensare alla prima guerra mondiale come non avevo mai fatto nella mia vita. Questa seconda edizione dal titolo ...forse è solo perché non dovevo morire è legata alla “scoperta” del Dosso Fajti, oggi in Slovenia, in origine da me trascritto erroneamente dal manoscritto del nonno come “Dosso Zait”. Il Dosso Fájti (in sloveno Fajtji hrib) o Dosso dei Faggi, è una collina di 434 metri del Carso Sloveno. Si trova nel comprensorio di Merna (in sloveno Miren) - Castagnevizza (in sloveno, Kostanjevica) e dalla sua sommità verso nord si possono vedere la valle del fiume Vipacco e tutta la piana di Gorizia. Contestualizzandolo negli avvenimenti della prima guerra mondiale ho cominciato a capire sempre più il valore del racconto che il nonno mi ha lasciato: ogni giorno che passava facevo scoperte entusiasmanti grazie alla quali superavo la fatica di decine promemoria_numerocinque


di notti passate a cercare e ricercare... o di svegliarmi alle tre di mattina perché nell’inconscio mi pareva di aver scoperto il legame tra alcuni accadimenti e luoghi, e dovevo verificarlo e scriverlo subito per paura di dimenticarlo. Le quattro pagine di calendario su cui il nonno ha fissato i suoi ricordi cominciavano a “fermentare” e ad aprirmi la mente su alcuni fatti della prima guerra mondiale. Non avendo fotografie di quel periodo ho presentato l’idea all’amico Simone Massi: avrei voluto arricchire il racconto del nonno con illustrazioni che facessero rivivere alcuni momenti da lui descritti nel suo racconto. Simone accettò. Il mio parere è che Simone, oltre me, abbia accontentato anche il nonno… penso che più belle ed espressive di così le sue illustrazioni non possano essere. L’errore di trascrizione relativo al Dosso Fajti, scoperto grazie all’indicazione del Custode del Museo del Sacrario di Redipuglia durante una delle mie visite ricorrenti, mi ha stimolato, anche dopo questa seconda edizione, a intensificare le mie ricerche. Ho individuato altri errori di interpretazione del manoscritto, ho raccolto elementi geografici e di contesto sufficienti per arrivare a scoprire il campo di concentramento dove il nonno fu deportato nel Novembre del 1917, prigioniero, dopo la disfatta di Caporetto. Nei primi giorni di Gennaio 2013, dopo la pubblicazione di questa seconda edizione, ho scoperto per caso, quando ormai non ci speravo più, il nome del campo di prigionia dove fu rinchiuso il nonno Peppe: trattasi del lager di Sigmundsherberg, in Austria, a nord-ovest di Vienna. Nei suoi ricordi il nonno lo aveva scritto così: “Signusestez”, presumibilmente come ricordava di averlo sentito pronunciare, rendendomi impossibile identificarlo e localizzarlo da subito. Il nonno descrive il suo arrivo a Sigmundsherberg così: “…siamo passati a Vienna e poi abbiamo camminato altri 2 giorni di sopra Vienna ai confini della Cecoslovacchia, il concentramento di Signusestez visto da lontano sembrava una cità, e poi prima di me ce nera 270.000…)”. Questa mia “scoperta” ha spalancato le porte alla conoscenza dei lager austro-ungarici della prima guerra mondiale e dello scempio perpetrato, non solo dal nemico ma anche dal calcolato e colpevole oblio della Madre Patria, sui corpi e sulle anime dei soldati e delle loro famiglie, scempio che si è aggiunto al già insopportabile strazio della guerra. Sappiamo tutto o quasi di quanto è accaduto nei lager tedeschi durante la seconda guerra mondiale e della follia nazista. Non so quanti Italiani siano a conoscenza delle barbarie subite dai nostri connazionali, cento anni fa, nei lager dell’impero austro-ungarico. Continuando le mie ricerche - ormai dovevo com-

piere questo che per me era diventato un dovere nei confronti del nonno -, sono riuscito a scoprire Belis in Transilvania, dove successivamente il nonno fu condotto ai lavori forzati e poi Vinkovci, nella estremità Est della Croazia, ancora ai lavori forzati, dove ormai per il suo stato fisico sarebbe sicuramente morto ma ebbe salva la vita, ancora per puro caso, come racconta nelle sue memorie. La scoperta di Sigmundsherberg, di Belis e di Vinkovci è stata fondamentale perché mi ha permesso di comprendere il valore delle memorie del nonno nel contesto storico di allora, di conoscere gli itinerari da lui percorsi, di ripercorrerli recentemente assieme a mia moglie Mara in un viaggio della memoria e di apprendere criticamente parte della storia della Prima Guerra Mondiale come nessuno mi aveva mai insegnato. Questo viaggio della memoria (Modena, Dosso Fajti, Salcano, Lubiana, Vienna, Sigmundsherberg, Budapest, Zagabria, Fiume, Trieste, Sacrario di Redipuglia), che ho compiuto dal 25 Aprile al 4 Maggio 2013, mi ha visto ripercorrere una parte dell’itinerario che cento anni fa testimoniò la vicenda del nonno Peppe: è come se avessi fatto il viaggio con il nonno, l’ho riaccompagnato idealmente a casa dopo una sosta, finalmente insieme, a Redipuglia. A Sigmundsherberg non è rimasta nessuna traccia del lager, a esclusione del cimitero costruito nel 1917 dai nostri ragazzi prigionieri del campo che, nonostante l’abbrutimento più totale a cui erano sottoposti quotidianamente, ebbero la forza fisica e l’umanità di onorare i loro amici deceduti. Solo ora mi rendo conto quanto sia costato al nonno Peppe esaudire le mie insistenze per far sì che scrivesse le memorie della sua guerra e riaprire le profondissime ferite dei sui vent’anni e fissarle in quattro fogli di un vecchio calendario. Spesse volte, quando la sofferenza del ricordare gli diventa insopportabile non ce la fa più ad andare avanti: ferma il suo racconto e conclude con questa frase: “basta con questi racconti”. Il nonno mi raccontava i singoli episodi quando ero piccolo per insegnarmi a diventare bravo perché ero un po’ birichino…me lo diceva in dialetto pesarese:“te t’ha da dventè un burdèl brèv!” (devi diventare un bravo ragazzo!). Mi insegnava a essere rispettoso di tutti e di tutto, delle persone e delle cose, a cominciare da una briciola di pane, per lui sacro, il pane che gli è sempre mancato durante la guerra e specialmente nel primo periodo della prigionia: “per finirla, la fame è brutta”. Il pane, oggetto di un episodio che il nonno racconta, struggente per la sua umanità e la commozione che

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A pagina 64, sullo sfondo: anni Venti del ‘900. Elmo Cermaria (nonno Peppe) con la moglie Elvira Cinotti (foto A. Rossi, Pesaro); nella pagina precedente: un dettaglio del manoscritto con i ricordi dal fronte di nonno Peppe. Qui sopra: l’itinerario percorso nei giorni di guerra da Cermaria (almeno 5.500 km): il tratto continuo indica il percorso più verosimile, il tratteggio l’itinerario meno probabile. I tre puntini e i cerchi segnalano Sigmundsherberg in Austria, Belis in Romania e Vinkovci in Croazia. A destra: il cimitero di Sigmundsherberg oggi (sullo sfondo, in un’immagine degli anni di guerra). Nella pagina seguente: Sant’Angelo in Lizzola, 1951. Il piccolo Francesco Nicolini (Checco) nel pollaio dei nonni materni (raccolta Francesco Nicolini, Modena)

genera:“…e gli raccontai il fatto, allora mi fece andar su con lui, e mi diede il pane (quello era buono, quel pane)”; il pane che gli salverà la vita nell’ultima fase della prigionia a Vinkovci, dopo la dura esperienza dei lavori forzati in Transilvania che lo ridussero a 30 kg di peso: “quando sono andato lì ero magro da essere 30 kg... una notte me ne hanno portato un cesto colmo, ce n’erano 70 pagnotte”. Quando mangiavo assieme al nonno lui si raccomandava: “Checco en buté via le mulic!” (Checco non buttare via le molliche!), ma intendeva anche qualcos’altro, crescendo sono riuscito a capirlo. Il racconto del nonno non aggiunge nulla alla Storia che ci hanno insegnato e rimane, senza nessuna ulteriore pretesa, solo la testimonianza di un semplice contadino che ha fatto la Grande Guerra come fante. Il nonno racconta, quasi distaccato, episodi personali intensissimi, episodi che incrociano la Storia, la trafiggono e vi rimangono appesi, mentre muoiono attorno a lui i suoi eroi: Damiano Chiesa, il 17 Maggio 1916, fucilato dagli austriaci a Trento, nel Castello del Buon Consiglio; Cesare Battisti, il 12 Luglio 1916, impiccato dagli austriaci a Trento, nel Castello del Buon Consiglio; Fabio Filzi, il 12 Luglio 1916, impiccato dagli austriaci a Trento, nel Castello del Buon Consiglio; Enrico Toti, il 6 Agosto 1916, colpito da più colpi di fucile mentre era all’attacco di Quota 66

85 a est di Monfalcone durante la presa di Gorizia a cui partecipò assieme al nonno, a poche centinaia di metri di distanza l’uno dall’ altro; Nazario Sauro, il 10 Agosto 1916, impiccato nelle carceri militari di Pola; Francesco Baracca, il 19 Giugno 1918 fu abbattuto mentre volava sui cieli del Montello. Il 9 di Agosto del 1916 quest’ultimo partecipò (dal cielo) assieme al nonno Peppe (da terra) alla presa di Gorizia. Il nonno “stravedeva” per Francesco Baracca e quando me ne parlava mi diceva: “l’era un Rumagnol de Lugo... el voleva sopra nuetre... i tireva giù ma tutie” (era un Romagnolo di Lugo... volava sopra di noi... li tirava giù tutti - gli aerei austriaci”. Il nonno riconosceva ai Romagnoli un coraggio e una determinazione speciale. Tra le righe del racconto troviamo anche la conferma della “grande menzogna” perpetrata dal Comando Supremo dell’ Esercito nella persona di un certo generale Cadorna e del governo italiano di allora, prima con Antonio Salandra e poi, durante il governo Boselli, col ministro degli esteri Sidney Sonnino, già ampiamente smentiti il 2 settembre 1919, quando veniva finalmente resa pubblica l’opera della Commissione d’inchiesta sui fatti di Caporetto, che scagionava l’insieme delle truppe, definite con spregio i “caporettisti”, dall’accusa di aver volontariamente abbandonato le armi per consegnarsi al nemico. promemoria_numerocinque


Riporto le parole del nonno Peppe quando fu preso prigioniero sul Dosso Fajti alle ore 23 del 29 Ottobre del 1917, cinque giorni dopo la disfatta di Caporetto: a raccontarla tutta sarebbe troppo sporca, i nostri comandanti si sono ritirati di giorno, credo che si siano salvati... e noi poveri soldati ci hanno lasciati lì a tener duro il fronte... senza nessun ordine, né di avanzare, né di ritirarsi. Il racconto del nonno si ferma all’11 di Novembre del 1918, quando è ancora a Fiume. Non ho mai saputo come e quando sia tornato nella sua casa nella valle del Brasco... a me non l’ha mai raccontato. So solo che il 12 di Novembre del 1918 un certo generale Diaz emise un ordine: tutti i soldati italiani provenienti dai campi di prigionia austroungarici, appena messo piede in Italia, avrebbero dovuto consegnarsi alle autorità militari per essere portati in vari centri di raccolta, per essere poi processati per alto tradimento, e così infierire ancora su di loro, in quanto Cadorna e poi Diaz, erano convinti che i fanti italiani, a Caporetto, si fossero arresi al nemico ed avessero scelto, piuttosto che combattere, la “bella” vita in un campo di concentramento austroungarico. Ora capisco perché il nonno Peppe mi fece promettere: fai sapere al nostro Presidente della Repubblica cosa abbiamo fatto per l’Italia… non è andata come Cadorna e Diaz “raccontarono” al paese e al mondo intero, disprezzando l’onore e la memoria dei fanti Italiani. Sul Dosso Fajti nessun fante Italiano, nonostante la mancanza di ordini (tutti quelli che li dovevano dare erano fuggiti come dei codardi), indietreggiò davanti al nemico. Nessuno mai potrà togliere il rispetto e l’onore ai fanti Italiani: gli stessi soldati Tedeschi, sul Dosso Faiti, concessero l’onore delle armi ai fanti della Compagnia del nonno, alle 23 del 29 Ottobre 1917. Cinque giorni dopo la disfatta di Caporetto il fante Cermaria Elmo, contadino della valle del Brasco, in condizioni psicofisiche spaventose, affamato perché erano tre giorni che non mangiava, assieme a tutta la sua Compagnia non si era ancora arreso. Come sempre succede, la Storia la scrivono i potenti, quelli che hanno vinto per lodarsi, quelli che hanno perso per giustificarsi. Non l’hanno mai scritta i contadini ai quali, durante la Prima Guerra Mondiale, è stato concesso solo il “lusso” di morire. I sopravvissuti, dopo il loro calvario, ripudiati dalla Madre Patria, si sono dovuti anche vergognare di essere rimasti vivi. Mio nonno non ha mai sentito il bisogno di farsi rin-

graziare da qualcuno, in nessun modo, non ha mai avuto rimpianti, è stato fiero per tutta la vita di ciò che ha fatto per l’Italia, l’ha sempre amata e rispettata come forse non succede più da tanto tempo, con orgoglio infinito ed a fronte alta, le ultime parole scritte, dal nonno Peppe nelle sue memorie sono: “Viva l’Italia”. A lui è bastato questo. Tutti i ragazzi della generazione di mio nonno, e poi di quella di mio padre, hanno dovuto “fare la guerra”, non hanno avuto scelta, ovunque siano stati, l’hanno affrontata con dignità ed onore, molti di loro, a vent’anni, hanno dato la vita dopo aver compiuto sacrifici immensi, non ricevendo in cambio neanche una tomba su cui i loro cari avrebbero potuto piangerli, portare un fiore e dire una preghiera. Con i loro sacrifici questi ragazzi hanno regalato alla mia generazione ed ai figli dei nostri figli la libertà di scegliere, di vivere serenamente i nostri vent’ anni, di studiare, di lavorare, di essere sempre amorevolmente custoditi dalle nostre madri. I ragazzi che hanno fatto la guerra si sono dovuti accontentare di sognarle le loro madri e, con le loro fotografie nascoste sotto il petto, di invocarle chiedendo a Dio la loro protezione, affamati, assetati, assiderati, tremanti per la febbre, impauriti, sepolti fino alle ginocchia nel fango di una trincea o ancora peggio, affrontando la morte sicura negli assalti alla baionetta, appesi ad un filo spinato arrugginito, con le mani lacerate e insanguinate, o aspettando la morte nell’inferno di un lager austro-ungarico o in un campo di lavori forzati, mangiando erba, terra, carta, legno e perfino sassi, bastonati peggio delle bestie, osservando giornalmente, atterriti e impotenti, portare via su un carro i loro più cari amici, morti. Ricordiamocelo sempre. Sono fiero di aver avuto un nonno così. Alla fine di questa storia ho lasciato al nonno un messaggio scritto nel nostro dialetto, non in una bottiglia, ma dentro un cesto di canne e vimini che io e il nonno abbiamo intrecciato assieme con le nostre mani in un bell’inverno di tantissimi anni fa... nel “Mare dei Sargassi di Checco”, nell’aia della casa del Brasco, di fianco al pagliaio, al riparo di un vecchio capanno senza porte.

I ricordi di guerra di Elmo Cermaria sono stati pubblicati a cura del nipote Francesco Nicolini presso le edizioni Il Fiorino di Modena. La prima edizione è del 2010 (La prima guerra mondiale... del nonno Peppe), mentre la seconda, ampliata e corretta, è uscita nel 2012 con il titolo forse è solo perché non dovevo morire, illustrata da Simone Massi (www.edizioniilfiorino.com, www. simonemassi.it; in apertura, la copertina). promemoria_numerocinque

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Colbordolo, 1904. “Un positivo risveglio” avvenne ieri

Colbordolo, I Maggio 1904. La nostra serie di cronache dal passato si conclude con il racconto di una festa assai partecipata, che segna per il paese

“un positivo risveglio” a cura di

Colbordolo. 1 maggio 1904. Da tempo nella nostra civica amministrazione si riscontra un positivo risveglio, foriero di radicali innovazioni pel benessere del Comune. Ne va data lode a tutti, specie al sindaco sig. Giuseppe Vandini, che con scrupolosità e attività cura gli interessi del paese, a capo del quale egli si trova da appena due anni. La nuova amministrazione, oltre al miglioramento economico-finanziario del Comune, ha rivolto le sue premure ai pubblici servizi, ma soprattutto alle scuole, che pel passato erano totalmente abbandonate. [...] Domenica passata, 1° maggio, fu qui solennemente celebrata la festa degli alberi. Al mattino, alle 10, l’egregio prof. G. E. Rasetti, direttore della cattedra ambulante di Urbino, tenne nella sala maggiore del Municipio una conferenza sul tema “rotazioni agrarie”. L’oratore, pel suo modo facile di esporre e per la parola franca e spedita, riuscì di piena soddisfazione al pubblici gremitissimo, che l’ascol-

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Cristina Ortolani

tò con rara attenzione. A mezzogiorno nella stessa sala si tenne un banchetto di 50 coperti. Al cordialissimo e allegro banchetto, presieduto dal sindaco, intervennero tutte le autorità, gli insegnanti e persone di ogni ceto. Alle frutta parlò il signor sindaco, e diede lettura ai commensali di una nobilissima lettera con cui l’on. Moscioni Negri si scusava col più vivo rincrescimento di non aver potuto intervenire alla festa, alla quale però intendeva di partecipare collo spirito. Un affettuoso saluto e caldi evviva furono inviati all’indirizzo dell’onorevole Moscioni. Dopo il banchetto si procedette all’inaugurazione del nuovo ambulatorio chirurgico, ove il distinto chirurgo dottor G. C. Scatolari pronunciò poche ma sentitissime parole per ringraziare gli enti locali, che dettero vita alla istituzione di un’opera così santa. Notò con compiacenza il progresso di cui dà invidiabile esempio il nostro civile paese, e si augurò che all’ambulatorio possa in un tempo non lontapromemoria_numerocinque


no seguire l’impianto di un piccolo ospedaletto, per raccogliere i malati poveri e lenire i dolori. Le bellissime parole pronunciare dallo Scatolari furono accolte da un lungo e meritato applauso. A ricordo e a testimonianza dell’avvenuta inaugurazione venne firmato un atto da tutte le autorità e dai molti cittadini intervenuti. Intanto sullo spiazzale della chiesa parrocchiale, situato in fondo al paese, si veniva formando un corteo di ben 300 fra alunni e alunne, i quali attendevano con ansia il momento della partenza. Formato il corteo, preceduto dal concerto cittadino e seguito dalle autorità comunali, scolastiche e forestali, non che della locale società operaia di mutuo soccorso con bandiera, si procedette a passo fino al luogo destinato per la piantagione degli alberi. Lo sfilamento del lungo corteo per la via principale del paese riuscì imponentissimo: gli alunni erano provvisti di un copricapo uniforme con le iniziali S. ed E. e le alunne di un vestito pure uniforme. Giunti sul luogo, il R. Ispettore scolastico sig Gioacchino Nicolini parlò intorno alla geniale e simpatica festa degli alberi, rilevandone i grandi vantaggi altamente civili

e educativi. Il bellissimo ed elegante discorso, vibrante di patriottismo, fu coperto di applausi. Si passò quindi alla piantagione di abeti, pini e castagni per mano degli stessi alunni, i quali sedettero poi in bell’ordine, sul prato, per la refezione loro preparata dal Municipio. Il concerto cittadino rendeva più allegra la festa. Ritornati in paese, tutte le autorità, gli insegnanti e i numerosi forastieri furono invitati ad un rinfresco in Municipio, ove il sig. sindaco chiuse la festa con un nobile discorso, ringraziando di cuore le autorità e i cittadini intervenuti, gli insegnanti, che con tanto zelo disimpegnano il loro ufficio, il distinto dott. Scatolari, sotto la cui abile direzione si istituì l’ambulatorio e finalmente il giovane segretario sig. Valentino Gnassi, che fu l’anima direttiva della simpatica e riuscitissima festa, e che con ammirabile attività seppe a tutto provvedere perché nulla mancasse e tutto procedesse nel massimo ordine. Le parole del sindaco furono seguite da uno scroscio di applausi, che valsero a dimostrare quanto siano grandi l’amore e la stima, che i buoni paesani portano al loro primo magistrato (“La Provincia”, 8 maggio 1904).

Colbordolo, anni Trenta del ‘900. Il corpo bandistico “Giovanni Santi” (Archivio Corpo bandistico municipale “G. Santi”, Colbordolo); nella pagina precedente: Colbordolo, la chiesa di San Giovanni Battista (cartolina datata 29 febbraio 1924; Archivio Storico Diocesano, Pesaro).

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Sant’Angelo in Lizzola, 1914 Banca e Territorio | 1

Sant’Angelo in Lizzola, 1914. Il farmacista e industriale Giuseppe Andreatini si spende insieme con altri santangiolesi per l’istituzione di una filiale della Banca Popolare Pesarese, che nel paese dei Mamiani e dei Perticari aprirà la prima agenzia fuori dai confini del capoluogo di provincia. Dopo la delibera del Consiglio comunale del maggio 1913 l’agenzia fu avviata in via di esperimento nel 1914, restando aperta per ora, informa il manifesto conservato presso l’Archivio storico comunale di Sant’Angelo, soltanto nei giorni di domenica e lunedì d’ogni settimana. Antonio Pucci fu nominato agente, e la sede fu inaugurata sotto l’autorevole patrocinio di un consiglio di vigilanza, così composto: Vincenzo Sallua, sindaco e possidente; Giuseppe Andreatini, farmacista e possidente; Ferdinando De La Ville Sur Illon, segretario comunale; Geronte Garattoni, possidente 70

e commerciante; Angelo Marcolini, possidente; Luigi Marcolini, perito geometra e possidente; Nazzareno Olmeda, notaio e possidente; Romolo Rossi, possidente. Per ora le operazioni dell’agenzia sono limitate alle seguenti: depositi e rimborsi su libretti di piccoli depositi a risparmio al 3,50%; depositi e rimborsi su libretti di C. C. ordinari al 3%; depositi e rimborsi su libretti di C. C. vincolati a tempo (saggio da convenirsi); trasmissione alla sede delle domande di acquisto di azioni; trasmissione alla sede delle domande di sconto di cambiali al 6%; pagamenti e incassi determinati. Entrata a far parte del Gruppo Intesa Sanpaolo, Banca dell’Adriatico, erede della Banca Popolare Pesarese, continua la sua attività a Sant’Angelo in via Roma, a fianco dell’edificio che sorge sull’area occupata prima della guerra dal teatro Perticari. promemoria_numerocinque


La (s)cultura in banca Claudio Cesarini Banca e Territorio | 2

Sempre attenta alle espressioni culturali del territorio in cui opera , Banca dell’Adriatico ha promosso nel 2013 l’evento “la (s)cultura in banca”, mostra personale di Claudio Cesarini

La mia opera è incentrata sull’uomo, in tutte le sue immagini: così risponde Claudio Cesarini a chi gli chiede di commentare le sue sculture, figure dolenti di un’umanità scarnificata, ridotta all’essenza. Forse più noto fuori provincia e all’estero che a Pesaro, dove è nato nel 1939, Cesarini è artista appartato e schivo, che ama lavorare nel silenzio: il solo modo - dice - per incorporare la complessità dei tempi, per discernere l’essenziale tra le innumerevoli suggestioni dalle quali siamo quotidianamente assediati. A Claudio Cesarini Banca dell’Adriatico ha dedicato il progetto La (s)cultura in Banca, una mostra personale che tra luglio e ottobre 2013 ha radunato negli spazi della sede operativa di Pesaro dell’istituto bancario una trentina di bronzi e marmi, posizionati sia all’interno sia all’esterno dell’edificio, con una scelta di grande impatto visivo ed emozionale. Le opere di Cesarini dialogano in questo contesto con i dipinti e le sculture della collezione di Banca dell’Adriatico, ha sottolineato Silvia Cuppini, curatrice della mostra, evidenziando il filo rosso che unisce artisti ‘classici’ come Simone Cantarini o il forsempronese Guerrieri, ben rappresentati nella collezione dell’istituto al contemporaneo Cesarini. Uno scambio vicendevole e proficuo tra passato e presente, accomunati dal contesto geografico in cui le opere sono nate, quasi da una “sensibilità del vivere qui”. promemoria_numerocinque

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Pesaro, sede operativa Banca dell’Adriatico, 3 luglio 2013. La conferenza stampa di presentazione del progetto La (s)cultura in Banca; da sinistra: l’artista Claudio Cesarini, Roberto Dal Mas, direttore generale di Banca dell’Adriatico e Silvia Cuppini, curatrice della mostra. In basso: alcune opere di Claudio Cesarini esposte presso la sede operativa di Banca dell’Adriatico

Al tema della sofferenza dell’uomo, connotazione fondante dell’opera di Cesarini che per anni ha frequentato i luoghi dell’emarginazione, si somma nell’astrazione dei corpi levigati di marmo e bronzo l’attenzione al paesaggio, in un processo che lo stesso artista definisce di incorporamento. Le linee delle figure cesariniane, con il loro carico di drammaticità, si avvicinano così nello sguardo dell’osservatore ai profili sinuosi e dolci delle colline dell’entroterra pesarese, nei quali sembrano infine stemperarsi, in una sintesi orientata alla speranza. Siamo particolarmente lieti di inaugurare il nostro nuovo spazio espositivo d’arte contemporanea con le opere di Claudio Cesarini, ha dichiarato Roberto Dal Mas, direttore generale di Banca dell’Adriatico. Si tratta infatti per noi di un gradito ritorno dell’artista, che già negli anni Ottanta aveva partecipato a un progetto culturale della Banca, illustrando

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i quaderni dedicati a Mario Luzi e Edmond Jabès della collana editoriale “Il gusto dei contemporanei”, nella quale erano raccolti i dibattiti nati dall’incontro tra i maggiori letterati di quel periodo e gli studenti degli istituti scolastici superiori pesaresi. Un modo, ha concluso Dal Mas, per ribadire la vicinanza alla città di Banca dell’Adriatico, banca del territorio del Gruppo Intesa Sanpaolo. In una situazione economica così particolare crediamo sia nostro compito sostenere, accanto alle famiglie e alle imprese, anche la cultura, settore che ci vede presenti nelle principali iniziative provinciali, da Popsophia al Rossini Opera Festival, del quale Banca dell’Adriatico è fondatore e sponsor. Molti sono stati i visitatori giunti alla sede operativa di via Gagarin anche grazie al ROF, che ha inserito la mostra di Cesarini nel programma degli eventi “Attorno al Festival”.

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Banca e territorio. Notizie. Banca e territorio. Notizie Agevolazioni creditizie per i giovani (e non solo) Anche quest’anno Banca dell’Adriatico riconferma la collaborazione con la Provincia di Pesaro e Urbino, avviata nel 2006 in favore delle attività ritenute meritevoli di sostegno. Nell’ambito della convenzione di tesoreria stipulata con la Provincia, l’istituto bancario appartenente al Gruppo Intesa Sanpaolo propone un’articolata offerta di agevolazioni creditizie rivolte all’imprenditoria giovanile e femminile, a studenti/ neo laureati e a giovani famiglie/coppie, residenti nel territorio provinciale. Nel settore dell’imprenditoria giovanile e femminile ci sarà la possibilità di accedere a mutui chirografari per attività di salvaguardia dell’ambiente e dell’ecosistema del territorio provinciale, e di valorizzazione e alla produzione di articoli e prodotti tipici del territorio (importo del finanziamento da 15.000 a 250.000 euro, con durata fino a 60 mesi); per giovani studenti e neo laureati la convenzione prevede prestiti personali destinati a stage e/o master di specializzazione in Italia e all’estero, acquisto di attrezzature informatiche, avvio dell’attività professionale, acquisto di libri ecc. (importo del finanziamento da 2.500 a 30.000 euro con durata fino a 72 mesi); infine, per giovani famiglie/coppie sono previsti mutui ipotecari destinati all’acquisto, alla costruzione e alla ristrutturazione della prima casa di abitazione (importo del finanziamento da 20.000 euro fino all’80% del valore cauzionale dell’immobile, con durata fino a 30 anni). Tutti i finanziamenti vengono concessi a condizioni di particolare favore dalla Banca e beneficiano di un contributo “una tantum” a fondo perduto concesso dall’Amministrazione Provinciale (utilizzando un fondo cui contribuisce la stessa Banca): per informazioni ci si può rivolgere all Ufficio Relazioni con il Pubblico della Provincia (tel. 0721.3592270 - 2427) o direttamente alle Filiali di Banca dell’Adriatico presenti nel territorio provinciale (nella fotografia, da sinistra: Roberto Dal Mas, direttore generale di Banca dell’Adriatico e Matteo Ricci, presidente della Provincia di Pesaro e Urbino).

Banca e territorio. Notizie. Banca e territorio. Notizie Reti d’impresa, insieme contro la crisi Banca dell’Adriatico e Unioncamere hanno sottoscritto un accordo per la costituzione di un “Laboratorio regionale per le Reti d’Impresa”, finalizzato a favorire la nascita nelle Marche delle reti formali tra imprese, garantendo servizi e un supporto adeguato agli imprenditori. Abbiamo raggiunto un primo importante traguardo con la costituzione del Laboratorio Regionale, - ha dichiarato Roberto Dal Mas, direttore generale di Banca dell’Adriatico - alla cui realizzazione abbiamo lavorato a lungo. In particolare ci rivolgiamo alle associazioni di categoria, rispetto alle quali Banca dell’Adriatico e Unioncamere Marche metteranno a disposizione una piattaforma comune su cui innestare iniziative di crescita della consapevolezza del potenziale rappresentato dalle Reti di Impresa, stimolo alle PMI regionali per meglio reagire allo stato di crisi. Innovazione, ricerca, internazionalizzazione, sono fattori competitivi che possono essere efficacemente sostenuti da sistemi di aggregazione come quelli consentiti dalle Reti d’Imprese. Il sistema camerale delle Marche partecipa all’attività del Laboratorio regionale, apportando le competenze e le esperienze maturate nella realizzazione di un progetto di accompagnamento delle reti di impresa, finanziato nell’ambito di un Accordo di programma nazionale tra Ministero dello Sviluppo Economico e Unioncamere. Intesa Sanpaolo e Banca dell’Adriatico invece metteranno a disposizione delle imprese interessate a fare rete servizi finanziari e di advisory, un team di specialisti oltre ad apposite linee di credito (nella fotografia, un’immagine della sede FAB - Fabbrica Artigianale Basamenti, Gallo di Petriano; archivio FAB). promemoria_numerocinque

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Banca e territorio. Notizie. Banca e territorio. Notizie Rinnovata la collaborazione tra Banca dell’Adriatico ed Ente Concerti di Pesaro Nel luglio scorso Banca dell’Adriatico ha contribuito all’acquisto di un pianoforte Steinway gran coda per l’Ente Concerti di Pesaro, rinnovando una collaborazione nata più di trenta anni fa. Nel 1981, infatti, l’allora Banca Popolare Pesarese, di cui Banca dell’Adriatico è erede, donò all’Ente Concerti un pianoforte che negli anni è stato suonato da artisti come Marta Argerich o Krystian Zimerman, pianisti tra i più grandi del mondo, protagonisti delle stagioni concertistiche pesaresi giunte quest’anno alla 53a edizione. Quando sono arrivato a Pesaro - ha dichiarato Roberto Dal Mas, direttore generale della Banca dell’Adriatico, appartenente al Gruppo Intesa Sanpaolo - sono rimasto colpito dal fermento musicale alimentato dal conservatorio Rossini, uno dei più apprezzati a livello internazionale. In un momento così particolare, accanto al dovere di essere vicini alle famiglie e alle attività economiche, Banca dell’Adriatico sente l’esigenza di non trascurare l’arte e la musica, che parlano un linguaggio non verbale capace di unire persone di cultura e religione diverse. Per questo motivo siamo presenti nelle maggiori iniziative culturali del territorio: solo in quest’ultimo periodo abbiamo sostenuto, in qualità di main partner, la manifestazione Popsophia e rinnovato il nostro appoggio come Ente Fondatore al Rossini Opera Festival, oltre a finanziare l’acquisto di un nuovo pianoforte gran coda, che consentirà all’Ente Concerti di continuare a proporre alla città momenti musicali unici, come è stato il concerto del maestro Zimerman che ha chiuso la passata stagione. Il nuovo pianoforte Steinway è stato inaugurato il 2 agosto nel suggestivo scenario di Rocca Costanza, con un concerto di Jin Ju, svoltosi nell’ambito della rassegna Interludio. Jin Ju, astro nascente del panorama concertistico internazionale, si è esibita insieme con l’Orchestra Sinfonica Rossini diretta dal maestro Federico Mondelci. In programma due dei brani più celebri e amati del repertorio sinfonico: il Concerto n. 1 per pianoforte e orchestra di Čajkovskij, dal celeberrimo inizio, e la Sinfonia n. 7 di Beethoven.

Banca e territorio. Notizie. Banca e territorio. Notizie Giandomenico Di Sante, presidente di Banca dell’Adriatico, pendolare di Rossini Sempre vicina al territorio e alle sue espressioni artistiche, Banca dell’Adriatico è ente fondatore e sponsor del Rossini Opera Festival, che dal 1980 attira a Pesaro appassionati d’opera e addetti ai lavori provenienti da tutto il mondo. Tra gli habituées non manca il presidente di Banca dell’Adriatico Giandomenico Di Sante, che ormai da vent’anni è un assiduo frequentatore delle serate rossiniane: sono un appassionato instancabile, o meglio, lo sono diventato - ha commentato Di Sante frequentando da oltre vent’anni, per dovere istituzionale, il ROF: infatti, durante il festival parto in auto da Teramo accompagnando a Pesaro autorità e amici melomani. Sono un pendolare di Rossini ma ne vale la pena, perché il ROF ti gratifica ogni sera con uno spettacolo lirico che ha pochi riscontri a livello europeo. Nella foto, da sinistra: Margherita Di Sante, il prefetto di Teramo Valter Crudo e signora, l’attrice Simona Marchini, il presidente Di Sante, e la regista Giuliana Gamba. In alto, a destra: Guidumberto Chiocci, presidente dell’Ente Concerti di Pesaro e Roberto Dal Mas, direttore generale di Banca dell’Adriatico

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Alla ricerca delle musiche

e dei balli perduti. 1 di

Thomas Bertuccioli

Una festa da ballo di matrimonio per la fine della guerra: la fisarmonica risorta e la trasmissione della tradizione a

Pesaro, 4 aprile 2013. Franco Calbini durante l’intervista (fotografia Thomas Bertuccioli, Pesaro); in secondo piano: Tavullia, 1937-’38. Aldo Calbini, padre di Franco, con la sua prima fisarmonica usata, a 18 anni

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San Germano

Ho scelto di pubblicare l’intervista a Franco Calbini1 perché, tra le tante realizzate durante le mie ricerche, è stata la prima intervista che ho fatto ai suonatori tradizionali della mia zona ed anche uno degli incontri per me più importanti e significativi. Dopo una decina d’anni di ricerche sulle danze e la musica tradizionale dell’anconetano2, motivato dalla credenza che nella mia zona di origine (il pesarese) la tradizione fosse scomparsa ormai da tanto tempo, ho iniziato finalmente ad occuparmi delle mie radici e a cercare e ricercare anche nel mio territorio le tracce e le storie degli ultimi suonatori e danzatori tradizionali3. L’incontro con Franco è legato a delle coincidenze non casuali. Ero venuto a sapere, con mia grande sorpresa, che uno dei suonatori di fisarmonica che animava un tempo le veglie nelle campagne intorno a Pozzo Alto era ancora vivo e abitava a Case Bruciate: si chiamava Aldo Calbini4. Un giorno parto da casa con l’intenzione di incontrarlo, chiedo indicazioni al negozio di alimentari ed arrivo alla via dove abita. Dopo aver parcheggiato domando ad una signora che sta scendendo dalle scale se conosce Aldo Calbini e lei mi dice “Sì! certo abita proprio lì!” ed indica la casa a fianco alla sua e poi continua “…ma chieda direttamente al figlio sta venendo proprio adesso verso di lei!”. Giro lo sguardo e vedo un signore alto con i capelli bianchi e gli occhi azzurri: era Franco Calbini. Gli spiego cosa sono venuto a fare, che avrei voluto incontrare suo padre e nello stesso momento lui rivolge le mie stesse domande a voce alta ad una signora che si stava sporgendo dal balcone e che fa subito segno di no con le braccia fuggendo dentro casa… nello stesso momento una testa sporge dalla finestra del balcone, mi sorride e scompare di nuovo: era Aldo Calbini! Se non avessi incontrato per puro caso Franco (che non doveva essere lì quel giorno..) probabilmente sarei ritornato a casa amareggiato, perché difficilmente Aldo e sua moglie mi avrebbero aperto la porta a quell’ora di cena e con i tanti ladri che percorrevano da un po’ di tempo quelle vie… e non avrei potuto raccontare questa storia dove il figlio racconta del padre suonatore che è troppo timido per farsi intervistare e che ancora non sono riuscito ad incontrare… promemoria_numerocinque


San Germano di Tavullia, 1951-’59. I Calbini davanti alla casa colonica di famiglia (1951): Franco, tre anni, è sulle ginocchia della madre, a fianco il padre Aldo con la sua fisarmonica; l’ “orchestrina Calbini, quartetto fisarmonica” (1959): Franco (undici anni), seduto al centro, imbraccia la fisarmonica del padre; in piedi Aldo e lo zio con due strumenti gioco auto costruiti (chitarra e violino) e il cugino con la fisarmonica; Franco con la sua nuova fisarmonica a dodici bassi (1959). Salvo diversa indicazione tutte le immagini di queste pagine provengono dalla raccolta della Famiglia Calbini, Pesaro

e di come ha imparato anche lui a suonare la fisarmonica dal padre quando lo seguiva piccolissimo durante le numerose veglie da ballo, e quindi, in sostanza, di come si trasmette nel tempo la tradizione. Le tre foto di Franco da bambino, la prima a tre anni seduto al centro sulle ginocchia della madre con a fianco Aldo in piedi con la sua fisarmonica, la seconda a otto anni con lo strumento del padre che è passato nelle sue braccia e poi l’ultima mentre suona con fierezza la sua prima nuova fisarmonica, esprimono tutto il senso di questa trasmissione. THOMAS: ...questa qui di che anni è? FRANCO: Quella è del ‘37-’385, non lo so di preciso… questa è l’originale però è alla rovescio. Perché venivano alla rovescio una volta, lui non aveva la tastiera così? Infatti gliel’ho chiesto: “Te avevi la fisarmonica a sinistra?” e lui ha detto: “No!”… allora è la fotografia! [ci mettiamo a ridere insieme]. Vedi… poi questa l’ha spedita alla sorella “Ricorda per sempre…”, non so perché dicevano per sempre, “…tuo fratello Aldo” . Quanti anni avrà avuto..? Diciott’anni, diciannov’anni! Questa è del ‘51, io avevo tre anni perché sono del ‘48. Questa è bellissima! Questa è mia madre… questo è lui con la fisarmonica che è uguale a quella lì [mi indica la fisarmonica del padre]. Questa è la casa dove vivevate là a San Germano? Sì! a San Germano! Lassù davanti casa, nell’aia… si

diceva una volta […]. Poi gli ho chiesto: “Durante la guerra suonavi.. sì?” “Sì, suonavo!” però dice “Quando stavano per arrivare i tedeschi l’ho messa in una cassa! Ancora ce l’ho quella cosa lì… è una cassa di ferro dove tenevano le bombe”. La cassa dove tenevano le bombe la lasciavano in giro dopo, lui ha preso questa cassa per mettere la fisarmonica e l’ha nascosta nel letame, sotto il letame, perché arrivavano i tedeschi e portavano via tutto, bestiame e cose varie. Questa fisarmonica qui! Quella lì! L’ha nascosta sotto il letame durante la guerra… e dopo pensava… ci sarà più? Sarà arrugginita? Sarà fraida [fradicia]? E dopo l’ha presa e passata la guerra [ride] l’ha ritrovata com’era!6 Fantastico! Però pensava, diceva... è stata lì sotto il letame, nel mucchio del letame dei contadini, no? L’ha nascosta lì perché arrivavano i tedeschi… portavano via i polli, portavano via le mucche, vacche e compagnia bella… portavano via tutto quel che c’era. C’era affezionato… eh! C’era affezionato… anche perché magari novecento lire adès a ne niént [adesso non sono niente] ma quella volta era una cifra. Penso che era due-tremila euro d’adesso sicuro. Questa è una Silvestrini… Aldo Silvestrini. Aldo! Si chiamava come tuo babbo allora..? Come mio babbo sì! In pratica ha fatto questa fisarmonica qui usata, dopo gli è venuta voglia di farla quella nuova si vede c’la volta con mio zio, che sarebbe il

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fratello del nonno, del padre suo… faceva il capoccia si diceva una volta. Al tempo dei contadini c’era il capo che faceva tutti i conti, no? Capoccia si chiamava, era lui che amministrava i soldi per vendere il grano, comprare le scarpe, quelle cose lì. E allora è andato giù con lui con due biciclette a Mondolfo a comprare questa qui. Da San Germano con due biciclette fino laggiù e novecento lire ha speso. Ancora suona? Sì! suona suona! [va ad indossare la fisarmonica del padre]. Ma tu la suoni? Hai imparato un po’ con questa? Io ho imparato si! Un po’… dopo questo l’ho riparato io [il gancio del cambio dei registri].Vedi che è tutta rovinata… il cambio funziona, ma però sono rimaste solo delle voci che suonano. Questa è la prima canzone che mi ha insegnato lui e che ho imparato da lui [Franco suona un valzer con la fisarmonica del padre Aldo]. Bella!! Questa è la prima canzone che ha imparato mio padre nel ’37 ’38 così... o nel ’36. Che ha imparato lui addirittura… Sì! Dopo a me mi ha insegnato senza musica… dopo io un po’ la musica l’ho studiata ma così… Come si chiamava questa? In campagna cantando si va, sarà degli anni ’30 questa. Tuo babbo quindi ha imparato dal maestro? Ha imparato dal maestro e un po’ senza musica. Dopo è andato con la musica anche da uno di Tavullia mi sembra diceva prima, però il nome è in dialetto, non so, mi diceva Màs o qualcosa del genere. Non so se è il nome e il cognome giusto oppure se è il soprannome, perché una volta si usavano i soprannomi. Per esempio mio padre e noi ci chiamiamo Calbini, però ci chiamavano Ventura. Ognuno aveva il soprannome quando eravamo contadini. Quindi gli anziani conoscono più Ventura che Calbini. E quindi suonava il valzer, queste cose qua? Più che parte quelle canzoni lì, i valzer... Ne sai qualcun’altra? Le so… ma non mi alleno perché chi è che suona..? [Franco suona il Carnevale di Venezia e Piemontesina bella]. Dopo con questa facevano il Ballo della sedia7! [Franco suona il Ballo della sedia] Il Ballo della sedia… ma ti ricordi come veniva ballato? Era quello dove si invitava a ballare? C’era il capo ballo? Sì sì! Si invitava, uno si metteva nella sedia... Era uno che si metteva da solo, oppure c’era chi decideva? Iniziavano con uno, o donna o uomo… mettevano l’uomo a sedere lì e poi portavano la donna. Se lui era d’accordo ballava se no girava la sedia in pratica… Iniziavano con un uomo? 78

No, anche con la donna, facevano un po’ per sorta… se era l’uomo portavano la donna, se era la donna portavano l’uomo. Dopo facevano gli scherzi, perché magari portavano alla moglie e lui girava la sedia… perché non voleva ballare con la moglie voleva ballare con le altre e viceversa... [ride] […]. Ma il Ballo della sedia, quindi, si ballava qui in zona..? Sì! Si ballava nelle case di campagna. Ma si ballava qui… le zone quali erano? La zona era San Germano dove vivevamo noi, era Pozzo Alto, Tavullia, Monteluro, Tre Ponti. Anche qui in zona di Pozzo, qui nella zona… che io mi ricordo, poi se lui è andato più lontano non so! [ride tra sé] […] Oppure facevano il Ballo della scopa! Magari facevano un valzer normale… ballavano tutti e uno era libero, no? Sì! con la scopa… Rimaneva con la scopa in mano... e dopo andava a prendere la donna che voleva e rimaneva l’altro libero e dopo quando finiva di suonare la canzone chi rimaneva con la scopa, in pratica, rimaneva fregato. E cosa gli facevano? Gli facevano un applauso! Un applauso e basta? Doveva stare attento di non rimanere con la scopa in mano mentre finiva la musica, doveva stare attento, sapeva che oramai era bella e finita allora cercava di darla all’altro… era un passamano. Però non è che gli facevano fare una penitenza? No! no! Solo così… qualcuno dopo smetteva anche prima qualche volta per fargli uno scherzo… no? Magari uno dice tanto la canzone è iniziata adesso… dice vado con calma… cercava la donna che voleva lui... no? E invece magari mio padre smetteva tac! e quello rimaneva con la scopa in mano… il Ballo della scopa che io mi ricordo eh! Tuo padre decideva lui alla fine! Sì! invece di fare normale faceva più corto per fare uno scherzo così… Ma si usavano i valzer per il Ballo della scopa più che altro? promemoria_numerocinque


Sì, sì, sì! Più che altro… a parte che mio padre suonava, che mi ricordo io, i valzer. Anche perché quella volta non è che era come adesso che c’erano tanti motivi voglio dire… Eh! quali è che c’erano? I valzer, i tanghi, quelle marce e qualche cosa così… poi gli spartiti sono quelli là! Papaveri e papere… Ah! questi qui sono gli spartiti di tuo padre! Ma lui studiava sugli spartiti quindi..? No! All’inizio ha detto che ha imparato senza musica, no? Che c’era uno che insegnava. Ecco! chi era questo insegnante, ti ricordi… e di dov’era? Eeeh… Barbanti mi sembra… Barbanti di Pesaro, ma a st’ora sarà mort da un pezzo perché. Barbanti mi sa che diceva… però lui non sapeva la musica, lui gli insegnava a suonare. Eh! Infatti sono quelli che a me interessano… sono i suonatori tradizionali! Dopo è andato a Tavullia da uno che si chiamava Màs mi sembra… che insegnava anche la musica. Ha imparato anche la musica, tant’è vero che dopo iniziava a comperare anche gli spartiti. Non è che magari con la musica sapeva com’è… però insomma. Anche perché non è che era come adesso, prima non c’era neanche la radio. A me interessa proprio quella musica lì, quella che io chiamo tradizionale, quella che veniva tramandata di padre in figlio, da nonno a nipote... […] Il Saltarello tuo babbo non l’ha mai suonato? Mi sembra un po’ di ricordarmi qualcosa… Questo Barbanti non gli ha insegnato anche il Saltarello, perché so che si ballava anche a Pesaro8? Sì! Mi sembra che il Saltarello sì, ma io... perché mi ricordo poco anch’io… il Saltarello… poi cosa c’era che suonava dopo anche… la Furlèna diceva.. la Furlèna! La Furlèna! Sì! Questa mi ricordo che la facevano, però an m’arcord come fa. Però la Furlèna la ballavano? Sì sì sì! Perché si mettevano a coppie due per due… passavano, no? Una roba del genere… Ti ricordi qualcosa anche del ballo, qualche immagine... Sì! mi ricordo la Furlana che passavano. Erano quattro cantoni, due per parte, no? Due, due quattro, due sei

e una otto, poi si incontravo per traverso così… mi sembra. E sì! Adess la m’e nuda in ment [adesso mi è venuta in mente]. Sì! Perché le cose vengono in mente parlando magari… E tuo babbo di sicuro la sapeva suonare.. Sì la sapeva suonare! Adess a nel so… […] Dopo poi negli anni ’50 è arrivato Casadei, quindi anche mio padre faceva le canzoni di Casadei, tanto il repertorio è quello lì. Dopo è arrivato il Twist e lui ha smesso perché molti chiedevano il Twist, ma il Twist con la fisarmonica… [ride] non ce la faceva a farlo, no? È difficile a farlo per un suonatore… perché il Twist con la fisarmonica non è che viene un gran ballo. […] E dopo da quella volta... dagli anni ’62-’63 è andato ad abitare a Case Bruciate. Da lì dopo son spariti tutti i contadini, sono sparite tutte le tradizioni… e suonava così a casa e basta. Se no una volta venivano a chiedere… a chiamarlo a casa. Lo venivano a chiamare a casa… eh! Come funzionava una volta, lo chiamavano la sera stessa? No! Adesso non mi ricordo io, ma comunque durante la settimana magari… e la sera c’era il veglione oppure il ballo lì nella casa del contadino. E lui partiva con la fisarmonica, io mi ricordo con la Lambretta, ma può darsi che prima andava in bicicletta. Negli anni ’30-’40 la Lambretta non c’era ancora, la Lambretta l’ha fatta, non so, nel ’55-’56... mi sembra. Mi ricordo che io andavo con lui con la Lambretta… con la fisarmonica piccola dodici bassi e lui con questa qui… con la Lambretta per Monteluro [ride]! E tu quanti anni avevi? Io avevo dieci, otto, nove anni. E poi qualche pezzettino lo facevi anche tu? Qualche pezzettino lo facevo anch’io… senza musica quella volta, perché ancora la musica… non andavo neanche alla scuola. Cioè li avevi imparati a orecchio con lui? Sì sì! con lui. Te li aveva insegnati lui? Mi insegnava lui… sì, sì! Ma chissà se anche te non ti ricordi qualche pezzettino di quelli vecchi vecchi, quelli che ti vengono in mente…

San Germano di Tavullia, 1938-’40. Aldo e la sua fisarmonica nuova, con la sorella, vicino alla casa di famiglia. Nella pagina precedente: San Marino, 22 settembre 1946. Aldo in gita con i socialisti di Montecchio promemoria_numerocinque

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Quelli che suonava lui? Non mi ricordo nemmeno se mi viene in mente, mi ricordo questo qui… [Franco suona un pezzo vecchio che sentiva suonare dal padre]. Comunque, l’avrò suonato due volte io [ride], mi ricordo da quando suonava lui… Questa è una di quelle vecchie vecchie? Sì sì! E questa musica ha anche un nome… ti ricordi? Non so se è Festa di luce e calor, mi sembra. Mi ricordo che m’è rimasta impressa perché la sentivo spesso quando andavamo a sentire, no? Io non è che andavo sempre a suonare con lui, ma però noi andavamo a sentire. Eravamo bambini, noi andavamo coi genitori… quindi tutta la sera sempre “Gne, gne!” [ride] Dopo passavano alle undici, o alle dieci, mezzanotte, non so… coi dolci… ballavano fino all’una le due. […] Mi ricordo che si metteva sopra una tavola o su delle cassette dell’uva… ci sono quelle cassette dell’uva… mettevano lì il suonatore in pratica. O sopra il tavolo, spostavano il tavolo… In piedi o a sedere? No, no! A sedere! Una sedia sopra qui! [indica il tavolo] Ah! La sedia sopra! Sì! La sedia sopra perché non poteva essere in basso come gli altri, no? La mettevano in alto. Adesso c’è il palco, una volta il palco non c’era… o con le cassette dell’uva, oppure con la sedia sopra alla tavola! E lui suonava da solo però… non è che c’era uno che lo accompagnava, con il tamburo..? No, no! Da solo, da solo. Solo fisarmonica. […] Dopo

poi… ti ho detto l’altra volta… quando si son sposati in comune a Tavullia. Mio padre e mia madre son andati su in bicicletta a sposarsi in comune… prima si sposavano in comune poi in chiesa, no? Ora il 25 aprile son andati su a sposarsi a Tavullia e nel ritorno hanno imparato dalla gente “Vara [guarda] che è finita la guerra!”, il 25 aprile, no? E la sera han festeggiato nella scuola di Case Bruciate ballando! Dopo si son sposati il 2 giugno. E ha suonato anche lui… o c’era qualcun altro? Sì, sì, sì! Lui suonava! In pratica han festeggiato la fine della guerra nelle scuole di Case Bruciate lì. Pensa te! Si è sposato proprio il giorno in cui è finita la guerra! Sì! In comune sì! Proprio il giorno che è finita la guerra… han festeggiato giù nelle scuole di Case Bruciate. E adesso festeggiate voi tutti gli anni..? Festeggiamo il 2 giugno quando si son sposati. Festeggiamo… delle volte magari. Del ‘45… quanti anni sono? Sono 68 anni! 68 anni di matrimonio quest’anno! Bisogna festeggiare! Poi, alla fine, sono riuscito ad incontrare Aldo Calbini qualche giorno fa quando dovevo passare a prendere delle foto per l’articolo. È venuto giù di sotto e si è messo accanto a me curioso e insieme a sua moglie Laura mi hanno raccontato tante cose sulla vita, le musiche e i balli di una volta (che spero saranno il seguito di questa intervista). Anche le tradizioni musicali che sono rimaste nascoste per tanto tempo possono ritornare in vita all’improvviso, proprio come una fisarmonica può resuscitare dal letame e continuare ancora a suonare.

Fonti e tracce L’intervista a Gianfranco Calbini (nato a San Germano, Tavullia, nel 1948) registrata il 4 aprile 2013 nella sua casa a Borgo Santa Maria (Pesaro) non viene qui pubblicata nella versione integrale, ma è stata tagliata e rimaneggiata seguendo le esigenze editoriali. 2 Attraverso le attività dell’associazione l’albero del maggio di cui sono co-fondatore. I risultati di queste ricerche sono stati in parte pubblicati attraverso i cd legati al Festival laMarca eurofolk e al progetto Cohabitat di cui era espressione, in particolare nel volume 3, doppio cd/dvd dedicato alla tradizione marchigiana della provincia di Ancona allargata (valli dell’Esino, del Musone e del Potenza). 3 Devo ringraziare Gualtiero Gori per avermi invitato, a fronte della sua lunga esperienza, a non desistere e ad occuparmi anche del mio territorio. La sua ricerca sulla danza e la musica tradizionale in Romagna rimane uno dei punti di riferimenti principali; in particolare i due cd frutto della collaborazione con G.M. Gala (G. Gori e G.M. Gala, a cura di, Vecchi balli di Romagna, cd vol. 1 e vol. 2, Ethnica n. 9 e n. 17 , Firenze, Ed.Taranta). L’altro punto di riferimento fondamentale per la mia ricerca sulla zona di confine tra Marche e Romagna è il lavoro di Alessandro Sistri sulla Valconca; cfr. Cultura tradizionale nella Valle del Conca, Milano, Silvana Editoriale, 2003. 4 Aldo Calbini detto Ventura (nato a San Germano, Tavullia 1

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nel 1919) ha fatto il contadino fino agli anni ’60 quando si è trasferito a Case Bruciate ed ha iniziato a lavorare come falegname. 5 Perché nel 1938 Aldo ha comperato la fisarmonica nuova, questa l’aveva pagata 350 lire usata. 6 La fisarmonica è rimasta nascosta sotto il letame per diversi mesi dall’inizio dello sfollamento per l’arrivo del fronte alla fine del giugno 1944 fino all’ottobre, novembre successivo. 7 Il Ballo della sedia era un ballo molto diffuso in zona, mi è stato cantato con le strofette anche da un altro informatore di Villa Betti ed è stato registrato e documentato anche da Alessandro Sistri in paesi molto vicini a San Germano come Montegridolfo e Saludecio nella sua ricerca sui balli e le musiche della Valconca. 8 Una testimonianza scritta del ricordo del ballo del saltarello nel pesarese, in particolare a Villa Fastiggi, l’ho trovata nel libro e nei racconti di Adriano Campanari (cfr. Streghe, maghi e fattucchiere di campagna, canti, proverbi e usanze, Pesaro, Litocolor, 2012, pp. 240-241) dove parla anche del ballo della sedia e di quello della scopa. Invece del saltarello che si ballava a Tavullia (ex Tomba) durante il carnevale, quindi molto vicino a San Germano, ne parla Igino Balducci (cit. in C. Ortolani, a cura di, U come uomini, I come immagine, Tavullia, 2003, pag. 91) promemoria_numerocinque


Pian del Bruscolo e i suoi cantori Da sei anni alcuni degli abitanti del territorio compreso entro i confini dell’Unione Pian del Bruscolo - ma non solo - si ritrovano insieme per condividere l’amore per il belcanto e per la musica. Il coro “I Cantori della Città futura”, nato da un progetto di Franco Bezziccheri, si costituisce formalmente nel maggio 2007, ottenendo da subito il patrocinio dell’Unione dei Comuni Pian del Bruscolo. Il nome della formazione si ispira appunto alla “città futura” di Pian del Bruscolo, della quale l’Unione dei Comuni composta da Colbordolo, Monteciccardo, Montelabbate, Sant’Angelo in Lizzola e Tavullia, sarebbe stata l’organo di governo. Dopo il debutto, avvenuto nell’ottobre del 2007 a Urbino sotto la guida del m° Valentino Bastianelli, il coro ha tenuto numerosissimi concerti nella provincia di Pesaro e Urbino e nelle Marche, partecipando anche alle ultime tre edizioni della rassegna regionale ARCOM (Associazione Regionale Cori Marche). In repertorio brani di Handel, Mozart, Verdi, Rossini oltre a canti della tradizione popolare italiana, spagnola e sudamericana, in particolare argentina. Dal 2008 il coro è diretto dal m° Stefano Bartolucci, musicista affermato, diplomato con lode al Conservatorio “G. Rossini” di Pesaro e protagonista di concerti in tutto il mondo, anche nelle vesti di direttore d’orchestra. Originario di Belvedere Fogliense di Tavullia, Stefano Bartolucci è da sempre instancabile animatore

musicale, nel suo territorio ma anche in altre regioni d’Italia; tra le sue composizioni figurano anche alcuni brani creati proprio per il coro della “Città futura”. Tra i pianisti con i quali il coro ha collaborato si segnalano la giapponese Yasue Hokimoto e Svetlana Chmyknalova, originaria della Bielorussia; voce solista è Silvia Catani. Sin dalla fondazione i “Cantori della Città futura” sostengono progetti di solidarietà: le esibizioni del coro sono infatti un importante tassello delle attività di Africa Mission, movimento fondato nel 1972 da monsignor Enrico Manfredini e don Vittorio Pastori (noto per via della sua mole imponente come don Vittorione), che negli anni ha portato aiuto in molti paesi dell’Africa, concentrando il proprio impegno soprattutto in Uganda. Negli anni il coro ha partecipato anche a molte iniziative in favore di attività benefiche legate al territorio tra Pian del Bruscolo e i comuni limitrofi. Per maggiori dettagli sull’attività del coro o per sapere come entrare a far parte dei “Cantori della Città futura” ci si può rivolgere a Maurizio Tomassoli (mtomassoli@computeroffice.it) o al direttore, Stefano Bartolucci (bartostefano@gmail.com); altre informazioni su www.unionepiandelbruscolo.pu.it.

Alcuni concerti dei “Cantori della Città futura”; a destra: nella prima fotografia si riconosce il presidente del coro Franco Bezziccheri (con lo spartito in mano), nella seconda il m° Stefano Bartolucci, che ringrazia il pubblico al termine di un’esibizione promemoria_numerocinque

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la memoria delle cose

Un’estate al mare. 1

Pesaro, 1950. Intorno a una fotografia

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“Occhi miti e naso che divide il vento” Fausto Coppi era di casa a Pesaro: eccolo, sorridente, in alcune fotografie del 1950, dall’album dei ricordi dal nu a della famiglia Crescentini u edente ec

Addio campionissimo: il titolo riempie la prima pagina della “Gazzetta dello Sport” del 3 gennaio 1960, annunciando la morte di Fausto Coppi, spentosi poco più che quarantenne alle 8.45 del mattino precedente, a causa della malaria contratta in Congo e non riconosciuta in tempo dai medici. Tra una foto dei “piccoli profughi” di padre Damiani, una nota sui “lavori urgenti” della cappella di Sant’Ubaldo e un pezzo sulle celebrazioni rossiniane a 168 anni dalla nascita del compositore, anche la pagina pesarese del “Resto del Carlino” esprime, in quella prima domenica del 1960, profondo cordoglio per l’improvvisa scomparsa di Coppi. Coppi era noto a tutti, anche per essere più volte sceso sulla pista del nostro stadio comunale, in gara con i vari ciclisti italiani. Il fiduciario provinciale dell’U.V.I. [Unione Velocipedistica Italiana] signor Fabbri ha inviato alla famiglia Coppi il seguente telegramma: “Interprete dei sentimenti delle società ciclistiche e degli sportivi pesaresi, esprimo condoglianze per l’immatura perdita del grande campione Fausto. A cura di enti e associazioni sportive saranno affissi in provincia manifesti di cordoglio”. Che Coppi a Pesaro fosse di casa sembrano testimoniarlo anche queste fotografie, dove l’allegria di una giornata al mare non si lascia sbiadire dal bianco e nero un po’ liso delle stampe: un biancoenero impreciso e poco elegante, ma che ai nostri occhi irradia l’inconfondibile sapore della “fiducia del dopoguerra”. Si tratta di una serie di scatti provenienti dall’album

Cristina Ortolani

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contin

di

della famiglia Crescentini, bagnini da tre generazioni - praticamente da quando Oreste Ruggeri e pochi altri ‘inventarono’ la stagione balneare a Pesaro. Con indosso un castigatissimo costume Coppi sorride a fianco del bagnino Toto Crescentini, insieme con un gruppo di ragazzi. Poche sono le notizie su queste fotografie: Emanuela Crescentini, figlia di Toto, ce le ha segnalate per la mostra Tipi da spiaggia (Pesaro 2013), e racconta di vacanze in una certa pensione di seconda fila, dove Coppi si ritagliava qualche momento di intimità con la sua “Dama Bianca”. Ricordi che si sovrappongono nelle parole ascoltate dalla voce dei più anziani, delle quali, come spesso accade, è difficile indagare le possibilità di un oggettivo riscontro. Due promemoria_numerocinque


delle foto portano il timbro “foto Battistelli”; sul retro di tutte le immagini della serie è apposta la data “1950”, un’indicazione fornita da Toto a Emanuela anni dopo la realizzazione degli scatti. In mancanza di altri indizi partiamo da qui: l’occasione è ghiotta per addentrarci in un anno cruciale della vita del campione piemontese. La primavera 1950 vede Coppi celebrato per due successi definiti dalla stampa sportiva “sfolgoranti”: le vittorie della Parigi-Roubaix e della Freccia Vallone. Nel 1949, primo a centrare la doppietta, Coppi aveva vinto sia il Giro d’Italia sia il Tour de France (per il Giro d’Italia il giornalista Mario Ferretti coniò la frase che accompagnerà il corridore per il resto della carriera: Un uomo solo è al comando; la sua maglia è biancoceleste, il suo nome è Fausto Coppi). Il 2 giugno 1950, però, l’ennesimo incidente costringe il campionissimo a fermarsi ancora una volta: una rovinosa caduta sulle Dolomiti, durante la tappa Vicenza-Bolzano del Giro d’Italia, gli provoca tre fratture al bacino. Coppi è ricoverato all’ospedale Santa Chiara di Trento; la tappa è vinta da Gino Bartali e il Giro da Hugo Koblet. Dopo circa un mese di degenza (29 giorni secondo alcune fonti, 40 secondo altre) e una lunga convalescenza, alla quale si riferirebbero forse le foto pesaresi, Coppi tornerà a correre il 24 settembre, a Udine.

Quanto a Giulia Occhini, la “Dama Bianca”, recenti pubblicazioni hanno definitivamente fissato all’agosto 1948 l’incontro tra i due, avvenuto per via di un autografo, chiesto a Fausto da Giulia insieme con il marito Enrico Locatelli, fervente ammiratore del ciclista. Giulia non è ancora la “dama bianca” (tra parentesi, sembra che il montgomery chiaro che valse alla Occhini l’appellativo fosse del tutto casuale, e che la signora indossasse di preferenza colori scuri), lo diventerà nel 1953, anno in cui per la prima volta compare in pubblico a fianco di Coppi, sposato dal 1945 con Bruna Ciampolini: da qui in poi la storia è nota. L’Italia prende posizione contro la “concubina” e non manca neppure il richiamo del Papa, che si aggiunge allo sdegno nazionale per il comportamento della “peccatrice”. Coppi e la moglie si separano consensualmente; Giulia, accusata dal marito di adulterio, prima del processo sconta alcuni giorni di carcere e un periodo di domicilio coatto in Ancona, in casa di sua zia Dina. A Fausto viene ritirato il passaporto. Nel 1955 Fausto e Giulia sono condannati rispettivamente a due e a tre mesi con la condizionale. Giulia, incinta, è costretta a partorire a Buenos Aires, per poter dare al figlio il nome del padre, sposato in Messico con un matrimonio mai riconosciuto in Italia.

Qui da noi per cinque volte poi due volte in Francia Per il mondo quattro volte contro il vento due

Occhi miti e naso che divide il vento occhi neri e seri guardano il pavé

Gino Paoli, Fausto Coppi, 1988 promemoria_numerocinque

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In attesa di altri particolari sui giorni pesaresi di Coppi che, ne siamo certi, i nostri lettori non mancheranno di segnalarci (come sempre ne daremo conto in prossime occasioni), annotiamo a conclusione di queste brevi note che Giulia Occhini aveva stretti legami con le Marche: ad Ancona, sempre presso sua zia Dina, aveva trascorso gli anni della guerra, dall’ottobre 1940 all’ottobre 1945. Nel ‘45, infine, aveva conosciuto a Fano il futuro marito, ufficiale sanitario cittadino, sposato a Loreto nel settembre di quello stesso anno. Un adolescente tutto può inventarsi e desiderare: di diventare Sandokan e Montecristo, Lindbergh e Tunney, il centroattacco Petrone e il marciatore Dorando Petri; di visitare

la pampa, il Polo Nord, gli abissi marini e la stratosfera; di possedere l’universo, una fionda, una stella alpina. Io ero un ragazzo povero, povero forse anche di fantasia: sognavo di possedere un orologio e di seguire il Giro. Vi dico queste cose perché penso che molti di voi mi capiranno. Dico che non bisogna mai riporre i sogni dell’adolescenza, rinunziarvi significa inaridirsi e invecchiare. Passano venti anni, magari, e su cento, mille ragazzi che avevano formulato lo stesso desiderio, uno c’è che lo vede realizzarsi. Questa volta il fortunato sono stato io. Il 29 marzo qualcuno mi aveva regalato un orologio tutto particolare; il 24 maggio [1947] partivo, con l’orologio al polso, al seguito del Giro (Vasco Pratolini, Cronache del Giro d’Italia - maggio/giugno 1947, La Vita Felice 1995, p. 116).

Alle pagine 82 e 83: Pesaro, 1950. Fausto Coppi insieme con il bagnino Toto Crescentini e un gruppo di ragazzi (raccolta Famiglia Crescentini, Pesaro); a pagina 83, in basso: Mario Franci, Fausto Coppi, matita su carta, 15 agosto 1947 (Archivio Ambra Franci, Sant’Angelo in Lizzola).

Fonti e tracce Le conversazioni con Emanuela Crescentini si sono svolte nell’estate 2012 e nell’inverno 2013. L’esposizione Tipi da spiaggia, svoltasi a Pesaro nel gennaio 2013 è disponibile anche sul web, all’indirizzo http://issuu. com/miss_nettle/docs/tipi_da_spiaggia_mostra. L. e G. Dell’Arti, Donne del Novecento, Giulia Occhini, “Iodonna”, 4 agosto 2012; da www.iodonna.it/personaggi/interviste/2012/vite-straordinarie-giulia-occhini-40850281509.shtml (12 settembre 2013).

http://faustocoppi.altervista.org/1950.html (10 settembre 2013). G. Pignatelli, COPPI, Fausto (Angelo Fausto), in Dizionario biografico degli Italiani, vol. 28, Treccani, 1983 da www.treccani.it/ enciclopedia/fausto-coppi_(Dizionario_Biografico)/ (10 settembre 2013). N. Spina, Le ossa leggere di Fausto Coppi: nobile tributo alla casistica ortopedica, in “Giornale Italiano di ortopedia e Traumatologia, n. 2 / 2010, da www.giot.it/fascicoli/2010/vol2-10/ spina.pdf (11 settembre 2013).

Pesaro, 1950. “Balnearia”

Da Marcello Di Bella, direttore della Biblioteca Oliveriana di Pesaro, riceviamo una piccola fotografia nella quale è documentata una curiosa imbarcazione, costruita probabilmente riutilizzando un residuato bellico. Ringraziamo il professor Di Bella per aver voluto condividere con “Promemoria” il suo divertente ricordo, datato Pesaro, 1950.

La foto mi ritrae alla guida di uno strano trabiccolo (1950) si noleggiava, credo, ai bagni Cartoceti (oggi Alfredo). Mi pare si chiamasse "musetto" e richiamava stilemi topolineschi dilatati in forma di naviglio. Credo che il materiale fosse fornito da un residuato

mosso a pedali che al tempo

di serbatoio sganciato da qualche bombardiere della

II guerra. Quello in secondo piano è mio fratello maggiore Adriano.

Marcello Di Bella, direttore Biblioteca Oliveriana - Pesaro

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la memoria delle cose

ontinua

Un’estate al mare. 2

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Gualtiero Federici, stampatore di

Cinzia Cangiotti

Il nostro viaggio nella Pesaro balneare si conclude con uno sguardo ai manifesti del laboratorio litografico

Gualtiero Federici, fondato nel 1876

Intorno al 1850, insieme all’apertura dei primi stabilimenti, vengono stampati i primi bandi tipografici che annunciano l’apertura della stagione balneare, erano lunghi elenchi di informazioni sui servizi offerti dallo stabilimento e i relativi prezzi, solo nell’ultimo decennio dell’Ottocento viene data importanza all’immagine evocando il luogo di villeggiatura. Attraverso il “moderno” manifesto turistico si cerca di promuovere le attività culturali quali i musei, l’architettura, i monumenti presenti nella città, i concerti, insieme all’interesse commerciale che pubblicizza il comfort degli alberghi, la velocità e la comodità dei mezzi di trasporto, tutto ciò che può rendere il soggiorno del “turista” piacevole, confortevole, moderno. Il compito del manifesto turistico è quello di conquistare il tempo libero delle grandi masse e le tematiche dell’illustrazione sono legate al romanticismo, alla nostalgia, al desiderio di conoscenza e al folclore.

Pesaro, 1904. Manifesto per la stagione balneare stampato da Gualtiero Federici. Gli originali dei manifesti 1904-1913 riportati in queste pagine sono conservati presso l’Archivio storico del Comune di Pesaro; le immagini pubblicate sono tratte dalla serie di riproduzioni realizzata negli anni Settanta del ‘900 dall’Azienda Autonoma di Soggiorno di Pesaro (raccolta privata, Pesaro).

La prima notizia sulla pubblicità turistica relativa alle spiagge adriatiche è del 1893 e riguarda la città di Fano, il Municipio chiese alla litografia bolognese Wenk la stampa di un manifesto per promuovere la stagione balneare. La spesa per la commissione dei manifesti alle litografie specializzate era impegnativa, ma il Comune di Fano per ammortizzare la spesa adottò un sistema che verrà poi usato anche dai committenti di altre città, consisteva nell’ordinare la stampa a colori dell’immagine del manifesto, facendo però lasciare uno spazio vuoto per poter aggiungere successivamente il testo con le informazioni sulla stagione balneare dagli stampatori locali, in questo modo il manifesto fanese fu usato dal 1893 al 1897.

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Quasi tutte le località adriatiche ricorrevano agli stabilimenti litografici presenti nelle grandi città italiane come Bologna e Milano; Pesaro invece si trovava in una posizione privilegiata. Dalla fine dell’Ottocento operava nella cittadina pesarese il tipografo Gualtiero Federici, un artigiano con uno sviluppato senso dell’immagine, il quale si era dotato dei più moderni macchinari. Grazie anche alle commissioni del fantasioso Oreste Ruggeri, per i cui prodotti farmaceutici realizzava già da tempo i manifesti e le etichette, non fu difficile a Federici trasferire quella tecnica sui manifesti turistici, andando così a realizzare la preziosa serie di cartelloni balneari conservati presso l’Archivio Storico Comunale di Pesaro, una raccolta che si sviluppa dal 1903 al 19191, il cui valore è dato dalla continuità cronologica nella quale sono stati prodotti. All’interno di questa raccolta sono presenti tre manifesti balneari la cui realizzazione è stata commissionata ad altri stabilimenti litografici i quali non riportano la data della stagione, probabilmente dovevano essere utilizzati per più stagioni estive come era avvenuto per i manifesti della vicina Fano. I dati biografici reperibili su Gualtiero Federici sono presenti in un fascicolo in stile Liberty fatto pubblicare dal figlio per il primo anniversario della sua morte avvenuta nel 1915 e in un’autobiografia scritta dallo

stesso Gualtiero per il figlio nel 18932. Dal manoscritto redatto da Federici emerge la sofferenza che ha accompagnato la sua esistenza. Nato nel 1847 rimase orfano di entrambi i genitori, Angelo e Giulia Giovannelli, così a soli otto anni fu accolto in casa di alcuni parenti e nel 1860 fu assunto presso la tipografia Nobili, nella quale vi rimase a lavorare per sei anni. Nel 1866 si arruolò come volontario garibaldino nella campagna del Tirolo contro gli austriaci, ma una volta tornato nella sua città non trovò più lavoro presso l’officina tipografica. Iniziò allora a frequentare la scuola tecnica in qualità di uditore; nel 1868 lasciò la scuola senza terminare gli studi per perfezionarsi nell’arte della legatoria acquistando in breve tempo una numerosa clientela fatta di studenti, professori ed enti pubblici. Visto che il lavoro aumentava decise di aprire un piccolo laboratorio con annessa una cartoleria e nel 1870 era già in grado di restituire la somma di 200 lire che aveva chiesto in prestito al Conte Giacomo Mattei per avviare la piccola impresa. Forte del suo successo commerciale nel 1875 apre uno stabilimento tipografico e nel 1876 impianta la prima litografia a Pesaro l’unica che da tanti anni… può oggi la nostra città vantare che regga al confronto con quelle delle principali città della penisola. Dal suo laboratorio uscirono pregiati lavori, i quali ebbero numerosi attestati di merito. Nel 1881 espo-

Carta intestata delle Officine di Arti Grafiche Federici, 1910. Le illustrazioni riproducono i laboratori di via Branca, a Pesaro (raccolta privata, Pesaro); a destra, un ritratto di Gualtiero Federici apparso sull’opuscolo stampato nel 1916 in occasione del primo anniversario della sua morte (collezione Luisa Fontebuoni).

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Manifesti per la stagione balneare a Pesaro stampati dal laboratorio Federici; da sinistra: 1906, 1907 e 1913.

se per la prima volta i suoi lavori alla Mostra Nazionale di Milano insieme alle più grandi tipografie italiane vincendo la medaglia di bronzo e conseguendo la lode per il suo stabilimento industriale. Nello stesso anno pubblicò l’opera Il castello dell’Imperiale, un’edizione a tiratura limitata di 180 esemplari, due di questi furono donati al concittadino Conte Terenzio Mamiani Della Rovere (allora Senatore del Regno) e al Re d’Italia Umberto I, il quale volle ringraziare e premiare Federici inviandogli una lettera di elogio accompagnata da una medaglia d’oro ornata con la corona reale. Continuò a perfezionare il proprio laboratorio acquistando moderni macchinari ed aumentando il numero degli operai impiegati3. Nel 1903 all’Esposizione di Bologna vinse la medaglia d’argento per i lavori in cuoio bulinato, nel 1904 alla Mostra di Senigallia concorse a tutte le sezioni aggiudicandosi premi in ogni settore: per i lavori di tipografia vinse la Croce al merito e la medaglia d’oro, per la litografia la Croce insigne al merito industriale, per la legatoria il Grand Prix e la medaglia d’oro. Sempre nel 1904 partecipò all’Esposizione di Bordeaux conquistando il Grand Prix per i lavori

tipografici e la medaglia d’oro per i cuoi a rilievo e le rilegature. Dopo tutti questi riconoscimenti, l’8 dicembre 1904 gli fu assegnato dal Governo italiano il titolo di Cavaliere al merito del lavoro. Da questo momento in poi Federici venne tenuto in grande considerazione nel mondo editoriale italiano, tanto che nel 1908 venne chiamato alla mostra di Faenza in qualità di membro della giuria insieme agli editori Zanichelli di Bologna e Cappelli di Rocca San Casciano. In tutte le sue preziose edizioni veniva inciso il suo motto:“Volere è potere”, lo fece scolpire anche in una targa che affisse nel suo negozio in via Branca. Sono passati due conflitti mondiali, che hanno distrutto archivi, mobili e oggetti d’arte lungo tutta la penisola italiana. Pesaro non è rimasta fuori da questa devastazione. Brutta sorte è toccata all’archivio della tipografia Federici, colpito dalle due guerre e dal fallimento dell’officina tipografica: gli unici documenti rimasti sono conservati presso gli eredi e presso qualche collezionista privato, mentre l’intera collezione dei manifesti balneari è stata donata al Comune di Pesaro.

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la memoria delle cose

Sopra, da sinistra: cartolina e manifesto pubblicitari stampati dalla Tipografia Federici negli anni Trenta del ‘900 (cartolina: ed. Azienda di Soggiorno, Archivio storico Diocesano, Pesaro; manifesto: Archivio W. Patrignani, Pesaro). In piccolo, a sinistra: la riproduzione del manifesto datato 1910 ripreso dal portachiavi di pagina 85 stampato dalla tipografia Wenk di Bologna. (raccolta privata, Pesaro).

Fonti e tracce

Non risultano manifesti balneari prodotti in Italia durante gli anni della Prima Guerra Mondiale, 1915-1918. 2 L’autobiografia è stata consultata presso il collezionista Stefano Cortiglioni. Lo scritto si compone di 7 foglietti scritti a penna, numerati e siglati da Gualtiero Federici, la data è riportata sulla prima pagina. 3 Per l’evoluzione della Tipografia Federici vedi: Registro delle Imprese della Provincia di Pesaro e Urbino, Archivio di Stato, Pesaro, busta n. 82, vol. 1883-1911. 1

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pian del bruscolo da sfogliare

Tavullia,

storia e storie sullo scaffale

Dalla caccia alle ricette di famiglia, da Fabio Tombari a Igino Balducci, dalle battaglie tra Malatesta e Montefeltro fino alla Linea Gotica, per arrivare, naturalmente, al campione Valentino Rossi: ricco e variegato, lo scaffale delle pubblicazioni edite dal Comune di Tavullia negli ultimi trent’anni conta ben dodici titoli. Agli otto volumi attraverso i quali si ripercorrono storia e storie dei castelli di Tomba (dal 1938 Tavullia), Montelevecchie (dal 1922 Belvedere Fogliense) e Monteluro si aggiungono infatti i tre “Quaderni delle voci”, dedicati a Fabio Tombari,Valentino Rossi e a uomini e immagini di Tavullia tra Otto e Novecento, e gli atti del convegno nazionale di studi Omaggio a Fabio Tombari (1999). I libri pubblicati dal Comune di Tavullia sono perlopiù curati da storici locali: accanto a Delio Bischi e Girolamo Allegretti spicca tra gli autori la presenza assidua di Nando Cecini. Da segnalare poi le opere degli autori nati o vissuti in queste zone, che nei paesaggi e personaggi del ter-

ritorio hanno trovato ispirazione: primo fra tutti Fabio Tombari, autore de Il libro di Tonino e di Frusaglia, originario di Fano ma vissuto a lungo nel territorio tra Tavullia e Mondaino, nella grande casa di Rio Salso (“Promemoria” se ne è occupata in nel numero 2 del 2011). Meno noto ma ugualmente caro agli abitanti di Tavullia è poi Igino Balducci, scrittore e poeta nato a Tomba nel 1891, autore tra l’altro di poesie e racconti dedicati al paese natio, al quale anche dopo aver intrapreso una fortunata carriera di avvocato a Milano Balducci amava tornare. Da ricordare infine i due volumi legati a Un paese e cento storie, la fortunata festa con le “cene in famiglia” nata nel 2005 a Belvedere Fogliense, dove storia e storie si sovrappongono intorno al tavolo da cucina, e acquistano il sapore dei manicaretti preparati dalle cuoche del paese, che ogni anno aprono le porte delle loro case per accogliere a cena ospiti sconosciuti. Info: www.comuneditavullia.it; 0721 477908.

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mi ricordo

Tra Proust e Perec, ancora una pagina di memorie in libertà. E tu, cosa ricordi?

Mi ricordo di quando giocavo a nascondino nella strada davanti a casa con tutti i bambini miei amici delle vie del monte di Cattabrighe... perché le macchine non passavano sempre avanti e indietro come oggi Thomas Bertuccioli, Pesaro

La rivoluzione in bianconero Mi ricordo che l'avventura era in bianconero, sia negli sceneggiati tv degli anni '70 (chi non ricorda la Freccia Nera di Robert Louis Stevenson) o nei caratteri stampati dei buoni libri di Salgari o di Dumas (padre). Oggi nel mondo a colori ci si ricorda tardivamente della pedagogia dei grandi romanzi d'avventura, ce lo dicono sia Savater che Paco Ignacio Taibo. Per me essere cresciuto appunto tra i fumetti (in bianconero) di Tex o Mister No o le azioni del Corsaro Nero o gli assalti delle Tigri di Mompracem era avventura ma anche rivoluzione, cioè immaginare il mondo migliore, la fine delle ingiustizie, una sana indignazione che è la base di ogni cambiamento sociale, in altre parole la ricerca... di un po’ di colore. Anche se a quella età il grande cambiamento ...era aspettare l'uscita dei numeri 100 di Tex ed altri, ovviamente a colori. Manco a dirlo... la squadra dei sogni era in bianconero e spero che lo sia ancora. Guido Formica, Sant’Angelo in Lizzola

Mi ricordo quando per la prima volta ho proposto una rivista che parlava di ricordi.

Mi ricordo qualcuno che ha capito al volo, mi ricordo qualcuno che sorrideva e qualcuno che ancora si chiede perché.

Mi ricordo tante persone e tante storie. Mi ricordo che è stato proprio un bel viaggio. Mi ricordo “Promemoria”. Cristina Ortolani, Pesaro 90

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Tutte le cose che ci interessano, che ci toccano, che sono veramente importanti per noi, non sono lĂŹ dove tradizioni e abitudini sono avvezze a riporle, come asciugamani messi a posto e ben piegati nei cassetti dove stanno, in aspettativa di chi

per legge di successione li recupererĂ .

Barbara Spinelli, Il soffio del mite, 2012


hanno collaborato a questo numero Cult movies: Ninotchka di Ernst Lubitsch, a pari merito con Intrigo internazionale di Alfred Hitchcock, e The pirate di Vincente Minnelli. Cult books: Jane Austen, Orgoglio e pregiudizio; Cristina Campo, Gli imperdonabili; Francis Scott Fitzgerald, Il grande Gatsby. Luogo: la luce della Provenza. Colori: quelli di Matisse. Si avvicina al racconto della memoria attraverso i libri di Giovannino Guareschi, le storie di fantasmi della nonna e le provocazioni del professor Arnaldo Picchi, con il quale si è laureata a Bologna, al DAMS - Spettacolo, nel 1993. Del teatro (per il quale ha firmato dal 1984 al 2004 i costumi di diversi spettacoli di opera lirica) le restano scatole di campioni di tessuti d’epoca, che utilizza per comporre artworks ai quali - dice - spera ristina di dedicare la vecchiaia.Tra storia e storie ha curato una ventina di pubblicazioni, principalmente legate al rtolani territorio provinciale di Pesaro e Urbino, tra cui Pesaro, la moda e la memoria (2008 e 2009) e Il facchino della diocesi. Giovanni Gabucci (1888-1948). Ha collaborato con la Fondazione Vittorio De Sica, con saggi sui costumi nei film del regista. Dal 1999 scrive anche per internet, occupandosi di costume, lifestyle, teatro e cinema. Dal 1996 collabora con enti locali e privati della Provincia di Pesaro e Urbino per progetti e iniziative culturali sui temi della memoria locale; nel 2005 ha creato la Memoteca Pian del Bruscolo e ideato le cene in famiglia di Belvedere Fogliense (Tavullia). Nel 2010 ha avviato pesaromemolab - laboratorio per la memoria condivisa promosso dal Comune di Pesaro e da diverse istituzioni culturali provinciali. È nata nel 1965 a Pesaro, dove vive e lavora.

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Sandro Tontardini, 64 anni, insegnante tecnico pratico in pensione, sposato con due figli.Vive a Bottega di Colbordolo. Si è sempre dimostrato attento e sensibile ai problemi di carattere culturale del proprio territorio. Collabora da tempo all’organizzazione della Mostra del Libro per Ragazzi di Morciola di Colbordolo, giunta quest’anno alla XXXVI edizione. Attualmente ricopre presso l’amministrazione comunale di Colbordolo la carica di assessore alla Cultura, Promozione del territorio e Volontariato.

Sandro Tontardini

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Laureato in filologia greca e latina presso l’Università degli Studi di Napoli ‘Federico II’, ha conseguito successivamente presso la Scuola Speciale per Archivisti e Bibliotecari dell’Università degli Studi di Roma ‘La Sapienza’ prima il diploma di conservatore di manoscritti, poi il diploma di Archivista Paleografo, quindi il diploma di Paleografia Greca presso la Scuola Vaticana di Paleografia, Diplomatica e Archivistica. Presso l’Università degli Studi di Macerata ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in ‘Cultura dell’età romanobarbarica’. Vincitore di concorso per archivista di Stato ricercatore storicoscientifico, dal 1999 è nei ruoli del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. ntonello de erardinis Dal 1 Giugno 2009 è direttore dell’Archivio di Stato di Pesaro.

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Archivista libero professionista, si occupa di archivistica ecclesiastica. Dottore di ricerca in Scienze archivistiche, bibliografiche e per il restauro e la conservazione dei beni archivistici e librari (curriculum archivistico) all’Università degli studi di Udine, bibliotecario diplomato alla Scuola vaticana di biblioteconomia della Biblioteca apostolica vaticana, al suo attivo ha articoli e recensioni su riviste locali e nazionali di settore storico, archivistico e bibliotecario. Collabora con l’Archivio Storico Biblioteca Diocesana di Pesaro e la Soprintendenza archivistica per le Marche.

Filippo Pinto

Filippo A

Filippo Alessandroni nasce a Pesaro il 03/01/1979. Laureato in Conservazione dei Beni Culturali a Ravenna in Metodologia della ricerca storico-artistica (Storia dell’Arte moderna), ha conseguito successivamente il Diploma presso la Scuola di Specializzazione in Beni Storici e Artistici a Bologna. Corso di formazione con la Provincia di Pesaro e Urbino in “Marketing turistico. Guida culturale del territorio” nel 2006. Collabora dal 2007 con il Museo diocesano di Pesaro, negli ambiti specifici del settore quali guida, didattica museale, catalogazione, organizzazione mostre ed eventi temporanei, conservazione del patrimonio. Dal Dicembre 2012 lavora anche presso l’Archivio lessandroni storico e Biblioteca diocesana di Pesaro.

Bibliotecaria (a)tipica. Laureata in Conservazione dei Beni Culturali presso l’Università degli Studi “Carlo Bo” di Urbino. Nel 2006 ha vinto il Premio Frontino Montefeltro - Sezione Tesi di Laurea (Università marchigiane) con la tesi dal titolo La pubblicità a Pesaro tra Ottocento e Novecento: Oreste Ruggeri e Gualtiero Federici. Dal 2004 lavora (con molto entusiasmo) presso la biblioteca di quartiere di Villa Fastiggi.

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Laureata in Lettere Classiche, ha il diploma di Archivistica, Paleografia e Diplomatica e la specializzazione in Storia dell’arte, con tesi su un manoscritto settecentesco conservato presso la Biblioteca Oliveriana di Pesaro: Abecedario degli architetti e pittori pesaresi di Domenico Bonamini, che ha pubblicato nel 1996. è uno dei soci fondatori della Società pesarese di studi storici ed è membro di varie Accademie, fra cui la Deputazione di storia patria per le Marche. Dal 2006 al 2010 ha condotto su “Radio Città” la rubrica “Radio Città racconta la storia di Pesaro”, di cui ha pubblicato il relativo volume. Ha pubblicato una cinquantina di saggi e monografie su vari aspetti della storia di Pesaro, sulla iovanna storiografia artistica e sul collezionismo, fra cui: Collezioni e collezionisti a Pesaro. Inventari di quadrerie dal atrignani Cinquecento all’Ottocento; La quadreria del cardinale Fabio degli Abbati Olivieri; I Della Ripa banchieri ebrei di Pesaro; Inventari di avocazione. Rogiti notarili al servizio del potere; Le donne Malatesti del ramo di Pesaro. Sta realizzando due progetti di ricerca: sulle pergamene dell’Oliveriana (con Anna Falcioni) e sugli inventari notarili delle antiche quadrerie pesaresi, di cui sono stati pubblicati i relativi volumi.

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Sono nata quando Modugno vinse Sanremo con Nel blu dipinto di blu. Laureata in Lettere con tesi in Storia dell’arte e diplomata in Archivistica, Paleografia e Diplomatica. E così ho dichiarato subito i miei due grandi amori. In nome del primo ho partecipato all’organizzazione di alcune mostre, tra cui quelle a San Leo sul Valentino, il Seicento eccentrico (di cui son stata co-redattrice del catalogo per Giunti Editore) e Ciro Pavisa a Mombaroccio; ho redatto e schedato per il volume I Santuari nelle Marche, relazionato a convegni sulla scultura lignea; ho collaborato alla stesura dei testi per il video Medioevo nella Provincia di Pesaro. Ho curato schede sugli arredi di alcune chiese dell’urbinate imonetta e, per la De Agostini, sui Pittori marchigiani dell’800. Per l’altro amore, l’archivistica, ho anche continuato a studiare, frequentando due Master sulla Progettazione e gestione informatica dei servizi documentari e astianelli un corso universitario; ho riordinato gli archivi di vari Comuni e lavorato al censimento, commissionato da Regione e Soprintendenza, degli archivi ospedalieri e degli enti assistenziali della Provincia. La conoscenza degli archivi e la ri-conoscenza per la storia mi hanno messo sulla via delle mostre storico-documentarie e della pubblicazione dei relativi contributi. Oggi lavoro come archivista del Comune di Pesaro.

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Francesco Nicolini: Apsella 6 Giugno 1949. Sposato con Mara, due figli, Elisa e Stefano. Asilo: nel Brasco presso i nonni materni. Elementari (fino alla IV):Apsella, maestra Norrito. Elementari (V): Pesaro Seminario vescovile presso il Sacro Cuore di Via Cesare Battisti (maestra suor Edoardina). Medie (I e II): Pesaro, Seminario Vescovile in via Rossini. A metà anno scolastico vengo cacciato dal Rettore don Scalognini … perché non avevo la “vocazione”. Medie (fine della II e III): Pesaro presso le “G. Picciola”. Superiori: I.T.I.S. “E. Mattei” di Urbino, perito Elettronico,V F. Università: dal 1968, biennio alla Sapienza di Roma: partecipazione ai “moti” del ’68; dal 1970, trasferito alla “Alma Mater Studiorum” di Bologna per il triennio: laurancesco reato in Ingegneria Elettronica, indirizzo Biomedico nel 1974. Seguono due anni di insegnamento (Istituto “A.Volta” di Fano e Cagli, preside A. Bischi - “Benelli” di Pesaro - Istituto per Geometri di Pesaro, preside icolini “Gibo”). Ai Geometri di Pesaro, negli orari dedicati alla cultura, esame critico dei testi delle canzoni di Bob Dylan. Da ricordare la studentessa Stefania Palma che un giorno, messa alle strette dai suoi compagni di sezione, confessò di aver preso “la scuffia” per Graziano. Dal 1977, Modena e Bologna: libero professionista nel settore informatico. Dal 1997, Modena, Milano, New York,Toronto,Vancouver, Palo Alto, Newport Beach, Cypress, Dallas, Cleveland, San Diego, Hawaii, Miami, New Orleans, Detroit, Edmonton, Las Vegas: dirigente di una multinazionale, settore informatico. Alcune persone, cose, luoghi da ricordare: Irene, Moto Guzzi Sport 14, Sacrario di Redipuglia, Jimi Hendrix,Tashunka Uitko, Edo, Ivano (Dionigi),Woodstock, Ivan (Graziani), Joe Cocker, Pantano, Jan Anderson, Nino (Pieri), Robert Allen Zimmerman, Memè (Perlini), Malcom X, Lake Huron, Equipe 84, Rubin Carter, Zeno, Saint-Tropez, Ducati.

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Da più di dieci anni impegnato nella ricerca e nella riproposta della musica e della danza tradizionale ha iniziato lo studio dell’etnomusicologia con Roberto Leydi all’Università di Bologna. Attraverso l’associazione L’albero del maggio di cui è co-fondatore ha approfondito e divulgato la conoscenza delle tradizioni musicali e coreutiche delle Marche e delle diverse regioni italiane ed europee, organizzando corsi, laboratori, eventi e Festival (in particolare laMarca eurofolk e il Ballo di San Vito). Suona l’organetto, la chitarra e i tamburi a cornice riproponendo le musiche, i canti e le danze raccolte dagli ultimi testimoni della civiltà contadina e cercando di ricreare il clima semplice e gioioso delle homas loro feste (anche con il gruppo dei Benandanti). Nel suo girovagare musicale ha partecipato ad alcuni dei più importanti Festival di musiche e danze tradizionali in Italia e all’estero (Capodanze, ertuccioli Zingaria, Venezia balla, Tradicionarius - Spagna, Boulegan - Francia, Andancas - Portogallo). Da più di un anno ha iniziato una ricerca sulla danza e la musica tradizionale della sua zona d’origine, cioè la provincia di PesaroUrbino e la zona di confine tra le Marche e la Romagna. Conduce corsi di danze popolari, insegna musica e strumenti tradizionali (organetto, chitarra, tamburi a cornice, canto) e tiene laboratori di attività espressive, musica e danza nelle scuole e nei centri estivi. E’ facilitatore del Respiro che Trasforma (Transformational Breath).

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La Memoteca Pian del Bruscolo Dal 2006 la Memoteca Pian del Bruscolo percorre il territorio della provincia di Pesaro, a partire dai Comuni dell’Unione di Pian del Bruscolo, raccogliendo ricordi e testimonianze in un progetto di recupero e valorizzazione della memoria (le memorie) delle nostre comunità locali. Oltre milleduecento persone hanno sinora partecipato alla raccolta del materiale, con fotografie dagli album di famiglia, interviste, segnalazioni di documenti di diverso genere, dalle ricette di cucina alle lettere agli elenchi dei corredi, solo per citarne alcuni: un patrimonio ricco di minute informazioni, grazie al quale la vita quotidiana tra XIX e XX secolo si intreccia con la storia, componendo un quadro sempre più preciso delle trasformazioni avvenute nel nostro territorio. Materiale che, insieme con quello proveniente da archivi comunali, parrocchiali e altri è stato utilizzato per esposizioni, pubblicazioni, filmati, proposti al pubblico in numerose occasioni. Una parte di queste testimonianze è

inoltre stata catalogata secondo standard internazionali e inserita sul sito web www.memotecapiandelbruscolo. pu.it, cuore del progetto, luogo virtuale di scambio tra persone e generazioni. Al di là del valore di ricostruzione di un tessuto storico e sociale fatto di dettagli (la microstoria), va segnalato l’interesse che le ricerche della Memoteca hanno suscitato tra le persone coinvolte, portando giovani e anziani, bambini, nonni e “nuovi arrivati” a radunarsi, e non di rado a far festa, intorno ai loro luoghi, scoprendone (o ritrovandone) radici e identità. Una vivacità che caratterizza il lavoro della Memoteca sin dagli inizi e che ne è ormai divenuta la cifra. Come dice Moni Ovadia, che certo di queste cose se ne intende, la memoria è un progetto per il futuro: recuperare le radici significa per noi attingere alla memoria nella sua connotazione più vitale e meno nostalgica, così come emerge dalla quotidiana frequentazione di persone e luoghi dove usi e tradizioni di stampo antico coesistono senza troppi attriti con la contemporaneità.

La Memoteca Pian del Bruscolo - Pubblicazioni e iniziative 2007-2013 Questa pubblicazione è realizzata grazie al sostegno di

2007 > Percorso espositivo Scrigni della Memoria. Sei tappe nei cinque comuni dell’Unione, in occasione di altrettanti eventi programmati dalle amministrazioni. > Partecipazione al II Festival nazionale dell’Autobiografia Città e paesi in racconto di Anghiari (AR). 2008 > Caccia alle tracce. Collaborazione al VII Concorso letterario per piccoli scrittori: lezioni nelle 13 classi partecipanti al Concorso; visita di due classi all’Archivio Comunale di Sant’Angelo in Lizzola; mostra fotografica-documentaria presentata alla 31a Mostra del Libro per Ragazzi di Colbordolo; realizzazione del volume Caccia alle tracce - L’album del concorso, presentato al PalaDionigi di Montecchio. 2009 > Pian del Bruscolo. Itinerari tra storia, memoria e realtà: volume di itinerari tematici intercomunali alla scoperta del territorio dell’Unione Pian del Bruscolo.

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2010 - 2013 > Nell’Aprile 2010 l’esperienza della Memoteca Pian del Bruscolo è stata al centro della tavola rotonda Vetera componere novis, organizzata dall’Archivio di Stato di Pesaro in occasione della XII Settimana nazionale della cultura. > “Promemoria”: numero 0, presentato nel Maggio 2010; numero 1 (Novembre 2010); numero 2 (Giugno 2011); numero 3 (Novembre 2011, presentato nel Marzo 2012); numero 4, presentato nell’Aprile 2013. > Febbraio 2011: presentazione del primo dei “Quaderni della Memoteca”: Il facchino della diocesi. Giovanni Gabucci (1888-1948). > La Memoteca ha collaborato con il Comune di Sant’Angelo in Lizzola alle prime due edizioni del Piccolo Convegno di Storia Locale (luglio 2007 e agosto 2008) e al progetto editoriale Montecchioracconta storie e memorie di un paese lungo la strada (2007-2009); con il Comune di Monteciccardo la Memoteca ha collaborato alla realizzazione del progetto Monteciccardo, cronache, storie, ricordi (2008-2009). promemoria_numerocinque


> Promemoria - periodico culturale testata registrata presso il Tribunale di Pesaro, autorizzazione n. 578 del 9 Luglio 2010 > numero cinque > chiuso in redazione il 14 settembre 2013 > direttore responsabile Cristina Ortolani > coordinamento editoriale, immagine e grafica Cristina Ortolani > hanno collaborato a questo numero Filippo Alessandroni, Simonetta Bastianelli, Thomas Bertuccioli, Cinzia Cangiotti, Antonello de Berardinis, Francesco Nicolini, Renata Palma, Giovanna Patrignani, Filippo Pinto, Sandro Tontardinii > in copertina immagini Archivio Storico Diocesano, Pesaro; Archivio Stroppa Nobili, Ginestreto - Pesaro; raccolta privata, Pesaro > informazioni memotecapiandelbruscolo.pu.it; info@memotecapiandelbruscolo.pu.it Unione dei Comuni “Pian del Bruscolo”, via Nazionale, 2 61010 Tavullia (PU) - tel. 0721 499077 unionepiandelbruscolo.pu.it; info@unionepiandelbruscolo.pu.it Cristina Ortolani, via Avogadro 39 - 61122 Pesaro cristina@cristinaortolanistudio.it - www.cristinaortolanistudio.it > le immagini appaiono per gentile concessione e con l’autorizzazione degli aventi diritto > il materiale raccolto è stato inserito con la massima cura, tuttavia i responsabili della pubblicazione si scusano per eventuali involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti e restano a disposizione degli aventi diritto per le immagini di cui non è stato possibile rintracciare i titolari del copyright > i testi sono rilasciati sotto la licenza Creative Commons “Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0” (http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/3.0) > la responsabilità dei contenuti dei testi è dei rispettivi autori > stampa Ideostampa srl - Calcinelli di Saltara (PU) la carta utilizzata per la stampa di Promemoria ha ottenuto la certificazione ambientale F.S.C. (Forest Stewardship Council), che identifica i prodotti contenenti legno proveniente da foreste gestite secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici. > la Memoteca Pian del Bruscolo è un progetto realizzato con il contributo della Provincia di Pesaro e Urbino ai sensi della L.R. 4/2010 > realizzazione del portale Servizio Informativo e Statistico - Provincia di Pesaro e Urbino, progettazione della banca dati Michele Catozzi > in collaborazione con Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici delle Marche - Archivio di Stato di Pesaro e Urbino; Archivio Storico Diocesano di Pesaro > coordinamento organizzativo Vincenza Lilli - Unione dei Comuni Pian del Bruscolo

> per i documenti, racconti, le fotografie, la pazienza grazie a:

Ufficio Beni Culturali Arcidiocesi di Pesaro; Archivio Storico Diocesano di Pesaro; Parrocchia di San Sebastiano, Monteciccardo; Archivio di Stato di Pesaro; Biblioteca Oliveriana, Pesaro; Comune di Pesaro/Servizio Politiche dei Beni Culturali; Musei Civici, Pesaro; Centro Italiano Femminile, Pesaro; Corpo Bandistico “G. Santi”, Colbordolo; CNA Pesaro e Urbino; R. S. A. Galantara, Pesaro; I Cantori della Città Futura, Pian del Bruscolo grazie ai collaboratori della Memoteca e di Promemoria agli amministratori e al personale dell’Unione dei Comuni Pian del Bruscolo e dei Comuni di Colbordolo, Monteciccardo, Montelabbate, Sant’Angelo in Lizzola e Tavullia ea Maria Grazia Alberini - Pesaro; Giuliana Baciocchi - Pesaro; Luciana Balducci - Pesaro; Francesca Banini - Pesaro; Barbara Bartoli - Pesaro; Simona Bartoli - Tavullia; Luca Bartolucci - Pesaro; Famiglia Bastianelli; Alessandro Benoffi e la sua Famiglia - Trebbiantico, Pesaro; Alessandra Benvenuti Pesaro; Daniele Bezziccheri - Montelabbate; Franco Bezziccheri - Montecchio, Sant’Angelo in Lizzola; Mario Bezziccheri - Montecchio, Sant’Angelo in Lizzola; Nicholas Blasi - Trebbiantico, Pesaro; Massimo Bonifazi - Fano; Gabriele Bonazzoli - Monteciccardo; Moreno Bordoni - Pesaro; Pierdomenico “Bibi” Burani - Pesaro; don Stefano Brizi - Pesaro; Franco Calbini, Pesaro;Vittorina Capanna - Tavullia; Anna Capponi Donati - Montelabbate; Sabina Cardinali - Pesaro; Pierpaolo Carrubba; don Giuseppe Cenci - Monteciccardo; Daniele e Davide Ciaroni - Talacchio, Colbordolo; Riccardo Corbelli - Pesaro; don Igino Corsini - Pesaro; Raffaella Corsini e Giorgio Ortolani - Pesaro; Emanuela Crescentini e Famiglia Crescentini - Pesaro; Alberto Cudini - Montecchio, Sant’Angelo in Lizzola; Marcello Di Bella - Pesaro; Luciano Dolcini - Pesaro (fotografie); Alessandro Fabbri - Pesaro; Piergiorgio Ferri - Colbordolo; Luisa Fontebuoni; Gianfranco Gabucci, Pesaro; Maris Galdenzi - Novilara, Pesaro; Patrizia Geminiani - Montelabbate; Alessandra Guiducci e Giovanni Barberini Monteciccardo; Elio Giuliani - Pesaro; Ines Ionoch - Pesaro; Beniamina Marchionni - Bottega, Colbordolo; Angelo Marcolini - Pesaro; Giorgio Mulazzani - Bottega, Colbordolo; Renato Nardelli - Pesaro; Giulio Oliva - Pesaro; Simona Ortolani, Costanza e Walter Vannini - Pesaro; Rocco Ornaghi - Milano; Marco Larici - Pesaro; Stefano Paganini - Milano; Cesare Patrignani - Pesaro; Gianni Pentucci - Pesaro; Silvio Picozzi e Laura Benoffi - Trebbiantico, Pesaro; Sergio Pizzarotti; Matteo Ricci - Pesaro; Giovanna Sperandio e Gruppo FAB - Petriano; Gabriele Stroppa Nobili - Ginestreto, Pesaro; Maurizio Tomassoli; PierLuigi Tonti - Ginestreto, Pesaro; Francesca Trebbi - Pesaro; Ivana Trebbi Iovini - Pesaro; Giovanni Ugoccioni - Sant’Angelo in Lizzola; Riccardo Paolo Uguccioni - Pesaro.

info@memotecapiandelbruscolo.pu.it www.memotecapiandelbruscolo.pu.it. Facebook: Memoteca Pian del Bruscolo Memoteca Pian del Bruscolo e “Promemoria” concept+image Cristina Ortolani

“Promemoria” - Come collaborare La collaborazione a Promemoria è aperta a tutti ed è a titolo gratuito. Gli elaborati dovranno essere originali e inediti, e dovranno riguardare tematiche d’interesse della rivista: memoria locale, memorie personali, personaggi del territorio dell’Unione Pian del Bruscolo o di zone limitrofe ecc.; per altri temi consigliamo di contattare comunque la redazione, che valuterà ogni proposta. È possibile anche segnalare persone da intervistare o storie da raccontare ai nostri collaboratori. La pubblicazione dei contributi avviene a discrezione della redazione, che si riserva di apportare tagli e/o modifiche, rispettando il senso e la sostanza dei testi.

I testi inviati devono essere accompagnati da nome e cognome dell’autore, luogo e anno di nascita, recapiti (compresi cellulare e indirizzo email), professione o qualifica. Saranno valutate eventuali richieste di pubblicazione sotto pseudonimo. La rivista è pubblicata anche in versione digitale sul sito della Memoteca Pian del Bruscolo; alcuni contributi potranno essere pubblicati, con il relativo materiale iconografico, anche in forma di pagine del sito. Per tutti i dettagli scrivere a info@memotecapiandelbruscolo.pu.it o a cristina@cristinaortolanistudio.it.

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finito di stampare nel Settembre 2013 da Ideostampa srl Calcinelli di Saltara (PU)



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