L'archivista

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Ai miei genitori, Filippo e Giuliana


L’ARCHIVISTA di Anna Valentini Direttore Editoriale: Roberto Mugavero Editor: Giacomo Battara

© 2010 Minerva Soluzioni Editoriali srl, Bologna Proprietà artistica e letteraria riservata per tutti i Paesi Ogni riproduzione, anche parziale, è vietata ISBN:978-88-7381-336-1

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Narrativa Minerva collana diretta da Giacomo Battara

Anna Valentini

l’archivista Minerva Edizioni



UNO Prima ancora di aprire gli occhi percepì un disagio. Li aprì ma non vide niente. Buio. La stavano sballottando. Cominciò ad avere paura. Non capiva assolutamente cosa stava succedendo. Non poteva muoversi. Era completamente avvolta da qualcosa che la bloccava. Sentiva una stoffa ruvida davanti al viso e non riusciva a muovere le braccia. “Perché non la smettono di scuotermi in questo modo?” “Mi manca l’aria...” Le stava venendo la nausea. Un rantolo. C’era lì vicino, forse a pochi centimetri da lei, qualcuno che respirava a fatica, ansimava in un modo spaventoso. “Non ce la faccio più... Ora basta, vi prego. Sto per vomitare. Lo so che ora vomiterò. Se non la smettono di sballottarmi, mi vomiterò addosso”. Cominciò a tossire. Sentiva già un sapore acido in gola e la saliva che le riempiva la bocca. Lo stomaco cominciò a contrarsi. Un liquido disgustoso e caldo le risalì dallo stomaco e scivolò fuori dalla bocca, sporcandole il viso, fino all’orecchio. Era arrabbiata. Anzi, era infuriata e terrorizzata allo stesso tempo. Non aveva il minimo controllo della situazione. Ormai sapeva già quello che sarebbe successo. L’aveva vissuto altre volte, con la medesima angoscia. 5


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Il fatto che fosse ineluttabile non le impediva di provare una rabbia profonda e impulsiva che la portò a strillare, sempre più forte. Piangeva e urlava. Quando prendeva fiato, riusciva a sentire un rintocco regolare. Perché ogni volta sentiva quel suono? Lo odiava con tutto il cuore. Era un battito regolare e inesorabile, del tutto indifferente a quello che le stava accadendo. Una colonna sonora agghiacciante. Poi si fermò. Non la sballottavano più. Sapeva che sarebbe successo. Ogni volta era così. Smise di sentire il rantolo, ma cominciò il freddo. Un freddo insopportabile. Ora era sola, infilata nel buio, nel freddo e nel silenzio. Tacque anche lei, per un po’. Nonostante tutto, continuava a sperare che sarebbe arrivato qualcuno a salvarla. Si sentiva sola al mondo, precipitata nella solitudine più profonda ed incapace di fare qualsiasi cosa. Ricominciò a piangere e a urlare, sempre più forte, mentre la disperazione riempiva ogni cellula del suo essere e non sentiva altro che quella. Il mondo intero era fatto di angoscia e lei gridava con tutto il fiato che aveva in gola... Poi, finalmente si svegliò. Con un urlo, mentre le gambe scalciavano via di colpo le coperte. “Accidenti... Di nuovo...” disse tra sè mentre raccattava il lenzuolo ad occhi chiusi. Il cuore iniziò a rallentare. Prese qualche respiro profondo e cominciò a calmarsi. Era da tempo che non faceva quel sogno. Da bambina le capitava regolarmente, soprattutto quando era malata, con 6


L’ARCHIVISTA la febbre alta. Ma ogni volta si spaventava un po’ meno. Perdeva potere su di lei perché sapeva già che sarebbe finito. Era terribile, ma sarebbe finito. Era solo un incubo... Si raggomitolò in posizione fetale coprendosi fino al mento con le coperte. La paura non c’era quasi più e si stava già riaddormentando, quando la radiosveglia cominciò a suonare. Mozart, Sinfonia n. 40. Clara la spense e si girò. Non andava bene. Da tempo cercava il brano giusto con cui cominciare la giornata. Qualcosa che non attaccasse in modo troppo energico, ma neppure un brano soft, perché non dava la carica necessaria per mettere giù i piedi dal letto. Prima o poi l’avrebbe trovato. O magari doveva cercare la carica da un’altra parte... Quel giorno la trovò passando per la chiesa. A volte le capitava di fare il giro più lungo per raggiungere l’archivio nel quale lavorava, il “suo” archivio. Le piaceva, anziché entrare nella sagrestia e poi da lì direttamente nel suo ufficio, attraversare la navata dell’antica chiesa romanica. Il silenzio, la solennità e persino l’odore di quel posto sapevano regalarle sensazioni speciali. Quanti si accorgono di esser entrati in un altro mondo, in una dimensione parallela? si chiedeva spesso, guardando i fedeli che di tanto in tanto incrociava durante il suo percorso. «Quella è la pietra che l’abate Guidone, ottocento anni fa, ha fatto incidere per ricordare il passaggio del pontefice in queste terre…» aveva spiegato una volta ad un ragazzino in visita alla chiesa insieme alla sua classe. Le piaceva fare da guida. 7


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«Provate ad immaginare, ragazzi: circa ottocento anni fa, ottocentoquarantacinque, per la precisione, il papa calpestò le terre del monastero che sorgeva qui accanto. Fu un evento eccezionale! Non capitava spesso che un papa ti arrivasse “in casa”, anzi, non era mai capitato. Così l’abate fece incidere un’iscrizione per ricordare quell’evento eccezionale. Ve lo figurate, ragazzi, l’operaio che fu addetto a murare la lapide? Probabilmente era una mattina simile a questa, o magari uguale in tutto e per tutto: stessa luce che vedete adesso…» aveva continuato indicando le aperture disposte in alto, da cui filtrava la luce mattutina, sufficiente a orientarsi in tutto il perimetro della navata, ma discreta al punto da lasciare nell’ombra gli angoli e le nicchie più misteriose. «La disposizione delle finestre è identica da allora. Non lo trovate fantastico? Stessa temperatura, stessa umidità, stesso odore: lo sentite l’odore umido di pietra e di legno? Chiudete gli occhi, ragazzi, e respirate a fondo! Tutto è uguale a otto secoli fa, perché la chiesa era già antica. Da fuori arrivavano anche quel giorno pochi rumori attutiti, poiché le mura - avete visto entrando, come sono spesse? - lasciano penetrare solo qualche suono smorzato.» Clara aveva girato attorno lo sguardo, invitando i ragazzi a far silenzio e a chiudere gli occhi, poi aveva continuato sottovoce: «Però un rumore quel giorno così lontano si sentì, proprio qua dentro: non riaprite gli occhi! Ascoltate e guardate quell’operaio: è un tagliapietre. Siamo nel Medioevo, quindi è vestito con una tunica corta, e dei pantaloni di tela. Ai piedi delle scarpe di pelle morbida. È piccolo, 8


L’ARCHIVISTA sarà alto poco più di voi, perché allora anche gli adulti non superavano di molto la vostra statura… Dovete vederlo, mentre rompe la pietra a forza di picconate! Lo vedete? Ha un sorriso un po’ sdentato, perché non esistevano i dentisti per riparare i danni delle carie!» I ragazzi ridacchiarono, mostrando dentature argentate da immancabili apparecchi. «Comunque, questo tagliapietre che era stato chiamato dall’abate, aveva cominciato in una mattina come oggi a murare una lapide nuova di zecca. La pietra da cui l’aveva tolta era forse un grosso blocco, strappato con fatica da qualche cava lontana da qui. L’aveva tagliata e aveva inciso le lettere che vedete con scalpello e martello. Il suo lavoro era quasi giunto al termine. Stava giusto terminando di scavare la nicchia…» Così dicendo si era spostata verso l’antica iscrizione e, usando una pesante barra di ferro, aveva battuto sul muro di fianco alla lapide. L’eco aveva risuonato per la chiesa silenziosa, e anche Clara, a occhi chiusi, aveva ascoltato i colpi riecheggiare. Aveva continuato lentamente a battere, per due, tre, quattro, cinque volte, lentamente. Era volata di colpo a quel giorno di otto secoli prima e assaporava l’identità di quegli attimi. Cosa c’era, alla fine, a differenziare quei due momenti? Nulla. Se non un lampo di ottocento anni. Stava ancora godendosi quel viaggio virtuale nel tempo, lasciandosi trasportare dalle immagini da lei stessa evocate, quando un colpetto di tosse l’aveva bruscamente riportata ad una realtà per nulla in sintonia con la sua narrazione. La professoressa che 9


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aveva tossicchiato si stava aggiustando gli occhiali sul naso, con espressione di sussiego. «Ragazzi, ringraziate l’archivista, che si è gentilmente offerta di farci da guida in questa magnifica chiesa romanica… Ora dobbiamo tornare a scuola, su, su, in fila.» Era evidente dalle risatine dei ragazzi e dall’imbarazzo dell’insegnante, che l’avevano presa per un’invasata, o quanto meno per un’eccentrica. Clara si sentì, lì per lì, così fuori luogo, che rimase muta di fronte a quella dimostrazione di insensibilità storica. Mentre la classe seguiva la docente, impegnata ad elargire quelle che considerava indispensabili nozioni sui capitelli romanici, e che nessuno dei suoi alunni si prendeva la briga di guardare, Clara si accorse che un ragazzino era rimasto indietro: osservava attonito ora la lapide ora lei, con l’espressione incantata di chi ha appena realizzato qualcosa di inaspettatamente affascinante. Nel suo sguardo c’era la curiosità e lo stupore che Clara non aveva visto negli altri visi. Nel sorriso che lei gli rivolse c’erano la comprensione e l’approvazione che un maestro riserva all’allievo, quando questi coglie l’essenza di una lezione offerta con passione. La sintonia che legò i loro sguardi prima che il ritardatario fosse richiamato all’appello, ripagò ampiamente Clara per la figura imbarazzante che aveva appena fatto. Quando raggiunse l’archivio trovò ad aspettarla padre Piercrisologo, il guardiano del convento. La sua visita le fece, come sempre, piacere. L’apparizione improvvisa dell’anziano frate, che era la guida 10


L’ARCHIVISTA di quella comunità francescana, le dava ogni volta l’impressione di trovarsi di fronte l’icona di Babbo Natale: barba e capelli candidi, occhi azzurri su un viso pieno e rassicurante che emanava bontà da ogni ruga. Come Babbo Natale, non stava fermo in un posto più di qualche minuto, perché ne aveva sempre un altro in cui recarsi subito dopo. «Oh, Clara, ti stavo aspettando…» «Buongiorno, padre. Mi scusi se ho tardato. Mi sono fermata con una scolaresca in visita…» Appoggiò la borsa con il computer sull’antico tavolo di noce e si tolse la giacca sportiva, appoggiandola su una delle sedie. «Sì, ho visto. Sempre pronta a dispensare pillole d’amore per la storia, vero?» «Lei lo sa, è la mia passione. Ma pare che le classi che vengono a vedere luoghi così ricchi di storia siano sempre più superficiali… Che senso ha classificare capitelli, se non si trasmette nemmeno un pizzico dell’idea che quel freddo capitello di pietra ha a che fare con la storia di questi luoghi, di chi ha vissuto qui? In fondo è la storia di tutti noi!» Aveva parlato con foga, gesticolando al ricordo dell’insegnante che usciva dalla chiesa con i suoi alunni. «Cara, questo è il tuo pane quotidiano, tu fai l’archivista! Hai vissuto qui sin da bambina, e tuo padre, archivista prima di te, ti ha praticamente nutrito a pane e pergamene. Ma non è così evidente per tutti quei ragazzi che hanno più dimestichezza con i giochi elettronici che con i libri di fiabe...» «Già. Ma quanto si perdono, così? Padre, anche lei vede la gente che viene a visitare la sua abbazia, 11


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no? Quello sguardo stupito e rapito da tanta bellezza, dal mistero che trasuda da quelle mura così antiche, in quanti lo vede? Io vedo solo occhi ciechi, occhi che non si lasciano più commuovere. E i bambini? Loro dovrebbero essere accompagnati, guidati dagli adulti a leggere le tracce del passato, invece… Non riesco a capire. Io passavo ore a guardare la luce del sole che filtrava dal rosone della facciata, o dalle vetrate colorate sopra gli altari. Mi incantavo e rimanevo a bere quella luce… Non c’era nulla di eccezionale, erano le finestre che avevo visto da che ero nata, praticamente. Eppure, Padre, quella luce in certi momenti della giornata accendeva quei vetri e svelava il loro disegno. E se rimanevi lì a guardare per un po’, ti accorgevi di particolari nuovi, che prima non avevi visto. E se rimanevi ancora, la luce cambiava e scoprivi altri segni, e nuove tonalità di colore, e ti chiedevi quanto doveva essere in gamba quel tizio che aveva fuso a piombo quei pezzi di vetro, per disegnare un film tanto speciale… Era un film, un gran bel film, che è ancora lì che gira, ma occorre avere il tempo e la tranquillità per lasciarlo scorrere, lentamente.» A Clara piaceva parlare con padre Piercrisologo: sapeva di essere compresa e sentiva di poter condividere quei pensieri con quell’uomo buono e saggio. Lui l’aveva vista crescere. «Sì, Clara, forse oggi manca proprio il tempo e la tranquillità, bisogna correre, correre e le cose che vanno troppo lente ci sfuggono di fianco e non le notiamo neppure…» «Ma non si può, Padre, perdere tanto, non crede?» «Lo credo anch’io Clara. E non solo per la bellez12


L’ARCHIVISTA za che ci passa accanto e che non notiamo neppure ma anche, come hai detto prima, perché quei segni raccontano una storia, che è anche la storia di ognuno di noi...» Quell’ultima frase aveva l’intenzione di provocarla, Clara l’aveva intuito in anticipo, vedendo il frate avvicinarsi e sentendo poi il suo sguardo trasparente fissarla. Indubbiamente quel vecchio frate la conosceva bene, anche troppo, e sapeva leggere nelle pieghe dei suoi stati d’animo. Era però discreto e profondamente rispettoso e, notando che Clara non ricambiava il suo sguardo, cambiò decisamente rotta. «Allora, veniamo al dunque della mia visita. È tutto pronto per il trasferimento?» «Il trasferimento? Ma come! Non era previsto per novembre?» «Esatto, Clara. Oggi è il 30 ottobre e il 5 novembre è fra sei giorni. Ce la farai a spostare tutti i faldoni nell’ufficio?» «Santo cielo! Sono stata così impegnata in questo periodo che i giorni sono volati. Ma ce la farò senz’altro, non mi occuperò che di questo, gliel’assicuro, padre. Solo che mi dispiace dover smantellare tutto. Queste librerie sono attaccate ai muri da almeno quattrocento anni ed ora le andiamo a sventrare così… Non si potevano aggiustare lasciandole lì dov’erano?» «Abbiamo riparato quel che si poteva, fino a che abbiamo potuto, lo sai, ma ormai sono troppi gli scaffali che stanno cedendo e la struttura va rinforzata nel suo insieme. Il restauratore ha detto che l’intervento sarà invisibile, ma è indispensabile, se 13


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non vuoi vederti crollare tutto addosso, uno di questi giorni.» E con l’aria di aver irrevocabilmente concluso la conversazione, dopo averla salutata il guardiano la lasciò al suo lavoro.

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DUE Subito dopo tutto era precipitato. Tutto tranne la libreria. Clara conservava un ricordo arruffato dei giorni successivi. C’era stata molta concitazione. Tutta interiore, s’intende. Il giorno successivo alla visita di padre Piercrisologo, Clara aveva già quasi terminato di spostare tutti i faldoni contenenti le carte dell’archivio nell’ufficio accanto. Ci teneva a farlo di persona, senza farsi aiutare da nessuno, anche se il padre guardiano le avrebbe senz’altro concesso tutto l’aiuto che avesse chiesto. Spostando tutto da sola era certa di riporre ogni singolo volume nel posto giusto. Ciò le avrebbe permesso di riportare con ordine ogni documento nel suo scaffale, una volta che i lavori fossero terminati. L’ordine, per un archivio, era tutto. Riponi un documento nel posto sbagliato e non lo troverai mai più quando ne avrai bisogno, si ripeteva spesso. Insomma, la libreria era ormai vuota, l’aria satura di polvere e Clara aveva le mani nere e il naso chiuso per i frequenti starnuti. Ma era soddisfatta per il lavoro svolto. Aveva pianificato il trasferimento scaffale per scaffale ed aveva memorizzato in una mappa mentale il nuovo ordine assegnato ad ogni sezione dell’archivio nella sua collocazione provvisoria. I tre armadi avevano un aspetto desolante, così vuoti. Le tracce di polvere su quel legno di ciliegio scurito dagli anni e le ante spalancate a mostrare il vuoto gli davano un’aria di resa. Aveva infine, dopo quattro secoli, capitolato. Anche Clara si 15


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sentiva un po’ così, mentre si sedeva stanca a osservarlo. Non l’aveva mai visto vuoto. L’aveva guardato, sin da piccola, quasi ogni giorno, chiuso e austero, oppure con qualche anta aperta, mentre suo padre cercava un documento. I suoi modi concentrati e ansiosi le facevano intuire che quell’armadio poteva far uscire da un angolo buio qualche tesoro inestimabile. E aveva avuto anche un po’ di timore per quel legno così solenne, e per il mistero che emanava, quando gli occhi di suo padre brillavano di trionfo, allorché trovava qualche vecchissima pergamena ingiallita. Quella in cui scovava l’informazione che gli mancava. In seguito anche Clara aveva vissuto l’emozione della caccia al tesoro dentro quello stesso armadio e trovava quella metafora del suo lavoro di ricercatrice, la caccia al tesoro, appunto, la più azzeccata. Fu in quello stato d’animo vagamente piratesco che cominciò a guardare l’armadio più piccolo, quello posto sul lato più corto della stanza, di fianco alla finestra. Non si era mai accorta che fosse leggermente scostato dal muro… Anzi, era certa che non lo fosse mai stato. Forse liberarlo dal peso dei volumi, si disse, aveva prodotto lo spostamento. Si avvicinò per guardare meglio ed intravide quello che pareva il dorso di un volume. Si soffermò a guardarlo, incapace di comprendere come potesse trovarsi dietro la libreria, L’unico modo per recuperarlo era spostare il mobile. Clara non credeva di avere la forza necessaria per farlo e si sorprese quando invece riuscì senza troppo sforzo a scostare l’antico armadio. 16


L’ARCHIVISTA Sbirciando il muro che si offriva al suo sguardo, non poté evitare di pensare che era la prima persona a rivedere quell’intonaco dopo quattro secoli. Era una deformazione professionale, quella di correre col pensiero avanti e indietro, immaginando di trovarsi nello stesso luogo, ma in un tempo diverso. Il libro che pareva incastrato non cadde quando si aprì il varco tra il mobile e il muro. Clara pensò che fosse un documento riposto nell’archivio che, chissà quando, infilatosi dall’interno in una fenditura del legno, si era incastrato tra il muro e la schiena della libreria. Pregustando la gioia di una nuova scoperta, si sorprese ancor più quando si accorse che il libro era infilato in una stretta rientranza della parete. Qualcuno l’aveva riposto, forse nascosto lì, chissà quando… Clara allungò la mano ed estrasse con delicatezza il libretto dal suo nascondiglio. Il suo occhio esperto impiegò pochi secondi per datare la copertina e soprattutto il tipo di calligrafia che scorse aprendo a caso qualche pagina. Per chi era abituato a leggere complicate grafie vergate a mano, ogni secolo aveva lasciato un’impronta precisa nel modo di tracciare le lettere sulla carta. Quel libro era stato scritto intorno al Seicento, ne riconosceva i caratteristici caratteri piccoli, più facilmente leggibili di quelli del secolo precedente. Con il cuore che batteva per l’emozione alzò gli occhi dalle pagine per riguardare ancora la nicchia in cui l’aveva trovato: era una larga fessura nel muro, alta circa trenta centimetri e abbastanza profonda per contenere il libretto. Tastò ancora con una mano per verificare l’esatta profondità della nicchia e a quel punto, sul fondo, le sue dita sfiorarono un involucro. Sempre 17


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più emozionata, Clara lo tastò con i polpastrelli prima di estrarlo, con il timore di rovinare irreparabilmente un reperto. Le pieghe che accarezzava le fecero indovinare un sacchetto di pelle, ormai rigida e indurita; i lacci sul bordo indicavano che si trattava di una specie di sacchetto. Quando si decise ad impugnarlo la sua supposizione si rivelò esatta: si indovinava all’interno un oggetto lungo e stretto, abbastanza pesante per le sue limitate dimensioni. Lo sfilò con cautela dalla nicchia e finalmente lo vide: era davvero un sacchetto di pelle lungo circa venticinque centimetri e largo appena quattro o cinque. Le pieghe che il nascondiglio gli avevano imposto l’avevano cristallizzato in una forma irregolare e la superficie pareva piuttosto fragile. Si sfarinava al solo toccarla, o forse erano gli strati di polvere che rimanevano attaccati alle dita… Clara si sedette e rimase a guardare ora l’uno ora l’altro dei tesori appena ritrovati, impressionata da quell’inattesa scoperta e ancora indecisa sul da farsi. Col sorriso sulle labbra pensò che era ancora presto per comunicare a qualcuno il fatto, anche perché il primo a saperlo doveva essere padre Piercrisologo, che al momento non c’era. Tutti gli altri sarebbero stati del tutto indifferenti alla cosa. Un manoscritto vecchio di quattrocento anni e un rinsecchito sacchetto di pelle valevano per gli altri abitanti del monastero - frati, inservienti e aiutanti volontari quanto un biglietto per la partita di calcio per Clara, cioè meno di zero. Questo pensiero ebbe il potere di ridimensionare la sua emozione. Trasse un profondo respiro e decise di rimandare l’analisi degli oggetti. Non voleva commettere errori e rovinare qualcosa; 18


L’ARCHIVISTA aveva inoltre deciso che la scoperta andava gustata a fuoco lento, dopo aver fatto una bella cena, essersi lavata e cambiata, e magari dopo aver acceso il camino davanti alla sua poltrona preferita. Ripose quindi con cura libro e sacchetto nella sua borsa, diede uno sguardo in giro per controllare che tutto fosse in ordine, si infilò la giacca, prese le sue cose e uscì. Fuori era già buio.

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