Il coriandolo della Quaderna

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Quaderna



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Nella notte oscura - Lunedì 6 luglio, ore 2,17 La luna è accesa nel blu scuro della notte, il caldo è afoso e insopportabile. La luce si riflette appannata sulla terra della Bassa bolognese, le cicale si fanno sentire. Cri cri cri, ripetuto sessantuno volte. Siete stati attenti? Avete udito bene quante volte una cicala ha cantato nello spazio di quindici secondi? Bene, se l’avete fatto ora aggiungete trentanove ed otterrete la temperatura di questo preciso istante! L’alta vegetazione del torrente è avvolta nella nebbiolina estiva carica di umidità. Ah, scusate, dimenticavo! Pensavate già che partissi con un errore, eh? La temperatura derivata dal canto delle cicale va calcolata in Fahrenheit, altrimenti sarebbe ancor più caldo di quello che è effettivamente. L’argine è ricoperto da arbusti secchi e da canne alte che ondeggiano lievemente al minimo soffio di vento. La riva del torrente è quasi asciutta, solo qualche pozza d’acqua qui e là. Gli occhi fosforescenti di un gufo, appollaiato sulla cima di un pioppo, scrutano il lungo e secco greto del torrente. La volpe astuta sta ritornando nella sua tana, scavata nell’argine, stringendo tra le fauci una malcapitata gallina, appena ghermita nella fattoria della vicina borgata di Durazzo e che diverrà ben presto un buon boccone. Ad un tratto, il collo del gufo ruota a centottanta gradi, un rumore attrae la sua attenzione. Alcuni passi rompono i rituali rumori della notte. I passi si fanno sempre più veloci, si ode il rumore di arbusti secchi spezzati.

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All’improvviso irrompe, folgorante nel buio notturno, il fascio di luce di una torcia elettrica: il gufo spaventato vola via, le cicale smettono di cantare. Il silenzio è profondo e lo scricchiolio degli sterpi aumenta. Qualcuno sta aspettando il momento buono, ma per fare che cosa? È ancora troppo presto per scoprirlo. Il fascio di luce si spegne, le cicale ricominciano a cantare, con un veloce colpo d’ali il gufo torna sul ramo, i rumori della notte invadono la campagna, ormai tranquilla come sempre. Passano solo alcuni minuti: il collo del gufo si rigira nuovamente e nuovamente si odono dei passi, diversi dai precedenti, più delicati, dolci, quasi fossero consapevoli di non voler disturbare gli abitanti della notte. Una nuova figura si aggira sulla sponda del torrente con movimenti attenti, un uomo, per niente impaurito,va alla ricerca di qualcosa, è sicuro della direzione in cui deve andare, sa dove mettere mani e piedi, conosce bene il luogo. In questa notte umida, però, non è solo. Qualcuno lo aspetta nell’ombra, una persona avvolta in una capparella nera, che sa bene che lui sarebbe passato per quel sentiero. Attende solo il momento opportuno. Poi, esce dal folto cespuglio con un balzo repentino, lo coglie alle spalle, alza il braccio per colpirlo con forza e fende un colpo secco, alla testa, facendolo stramazzare al suolo. L’uomo dalla capparella è in piedi e, con la forza dello scarpone calzato al suo piede, lo spinge fra la vegetazione e rigira il corpo ormai senza vita. Accende la torcia elettrica, la punta sul viso, lo fissa per verificare che non dia più cenni di vita, poi sparisce da questo argine del fiume, silenzioso nel buio della notte.

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Giro palustre - Lunedì 6 luglio, ore 7,08 In questo paese della Bassa che ha nome Molinella, se possiedi una mountain bike puoi seguire itinerari palustri che offrono un incredibile ventaglio di percorsi fantastici. Il paese è circondato da molti fiumi, tutti con grandi e possenti arginature. Fiumi, fiumiciattoli e torrenti quali il Reno, l’Idice, il Zena, il Canale della Botte, il Centonara, la Quaderna, lo scolo Allacciante Circondario. Vi sono inoltre anche innumerevoli valli palustri, come la Valle Vallazza e Valle la Boscosa, che si prestano in maniera eccezionale a questo attivissimo sport. Ed è proprio in uno di questi magnifici percorsi che cinque amici stanno pedalando alacremente: Andrea Lega, di professione torrefattore; Claudio Stagni, barista; il tabaccaio Stefano Ruggeri; Marco Braga, noto pasticcere, e Roberto Dalla, il macellaio. Tutti i lunedì mattina, prima di andare al lavoro, i cinque amici si godono quei quaranta chilometri ben sudati sulle loro mountain bike. Il sole sta uscendo e la nebbiolina estiva svanisce lentamente, i cinque sono uno alla ruota dell’altro. I quattro rimasti indietro imprecano come carrettieri perchè non riescono a superare il ciclista davanti al gruppo, che riesce a far mangiare la polvere a tutti. Il solco del sentiero sopra all’argine del torrente Quaderna è particolarmente stretto, e per il sorpasso bisogna attendere il momento giusto. Il terreno, ormai secco, è spaccato da crepe gigantesche, ma lo spirito agonistico dei cinque è forte e non

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si scoraggia. I tentativi di sorpasso si moltiplicano, l’andatura è sostenuta, quasi pericolosa, e la strada comincia ad essere addirittura proibitiva. Devono premere sui pedali, alzandosi sulla sella, per darsi più forza in quel tratto così impervio. Poi, improvviso, lo scontro con un masso assassino nascosto tra le sterpaglie e il colpo fatale: le ruote delle bici inseguitrici si toccano fra di loro e Andrea Lega è sbalzato per aria, ricadendo a terra tramortito. Il volo è apocalittico. I quattro compagni si fermano, si tolgono il caschetto, abbandonano le bici e corrono verso Andrea, sdraiato a terra sull’argine del fiume, qualche metro più in là. Claudio Stagni arriva per primo. «Andrea ti sei fatto male?? Sei vivo?» Lega dà qualche cenno di vita e tenta di rialzarsi. «Hai, hai! Che botta! Che male alle ossa, che volo ragazzi!» I quattro amici gli sono di fronte a bocca aperta, stupiti, come se fosse apparsa la Madonna di San Luca. «Andrea… ma… hai tre braccia?!!» «Cosa dite?! Uè, il colpo in testa l’ho preso io ma a quanto pare siete voi a farneticare…» Poi si guarda e comincia a fare dei conti sul numero degli arti superiori di cui è composto il suo corpo. «Uno, due e… tre??!!! Io non ho mai avuto tre braccia… Mondo boia, cosa mi succede?!» Poi nota un’altra gamba oltre alle sue ed intravede, con la coda dell’occhio, una testa: il corpo inanimato di un uomo è sotto di lui! Lancia un urlo di paura poi, attonito, si chiede: «Ma sono stato io? L’ho ucciso io?» Roberto Dalla si fa avanti. «Ma no, Andrea, questo era già morto, guarda qui, ha la testa fracassata! Io di colpi sulla carne me ne intendo e questo

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ha preso veramente un bel colpo, non sei stato certamente tu, che sei un peso piuma…» I cinque sono sbigottiti: chi l’avrebbe mai detto? Atterrare sopra ad un morto! Quella presenza è decisamente un po’ingombrante e i cinque, sconvolti, chiamano immediatamente il Commissariato del paese. Mauro Bolognesi, il piantone del Comando, è al centralino, intento a fare il suo dovere ed è proprio lui che riceve la chiamata di emergenza. «Pronto, Comando di polizia di Molinella, come posso aiutarla?» Stefano Ruggeri, al telefono, mostra tutto il suo – a dire il vero un po’ demenziale – nervosismo. «Sono io…» «Io chi?» «Sono Stefano, il tabaccaio di Molinella, siamo in cinque. Siamo qui sull’argine della Quaderna, vicino alla Punta della Barabana, tra Durazzo e Sant’Antonio, insomma nel punto di confine tra il comune di Medicina e quello di Molinella. Il mio amico è volato sopra ad un morto…» Bolognesi non ha dubbi: è l’ennesimo scherzo del commissario Gianni Passerini e ci ride sopra. «Cinque più il morto o cinque in totale?» Dall’altra parte del telefono arriva la risposta, decisa pur se con un tono ancora sognante. «Cinque più il morto!» Ma il piantone insiste. «Forse volava troppo basso?» Stefano, il ciclista-tabaccaio, controbatte. «No, no, non volava mica, lo abbiamo trovato qui, era già a terra.»

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Bolognesi storce il naso, non è convinto della veridicità della chiamata e tenta di scoprire se dietro a tutto ciò vi sia il solito commissario burlone. Pertanto sussurra piano piano alla cornetta il suo nome. «Passerini, Passerini?» «No, no, qui di passerini non ce ne sono, c’è qualche fagiano…» Poi Stefano, insospettito e stupito per quelle strane domande, chiede: «Mi scusi, ma cosa c’entrano i passerini? Qui c’è un morto, un moortoo!» Bolognesi alza le antenne e capisce di aver toppato. Quella telefonata non nasconde nessuno scherzo, anzi, è vera, è un’autentica richiesta d’aiuto! Assume subito un tono professionale, mostrandosi interessato, proprio come gli hanno insegnato alla Scuola di polizia, e rivolge a Stefano le domande necessarie per poterlo rintracciare e per mandare una squadra sul luogo del ritrovamento. Dopo di che: «Ragazzi, state calmi, vi mando immediatamente una volante.»

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Un sentiero battuto - Lunedì 6 luglio, ore 10,02 Dopo aver camminato per un quarto d’ora sotto i raggi del sole appena risvegliato, seguendo un sentiero battuto nel mezzo dei campi coltivati, attorniato da alta e fitta vegetazione, il commissario Gianni Passerini arriva sull’argine del torrente Quaderna, il luogo del delitto. A precederlo la squadra della Scientifica, che sta già lavorando alacremente all’identificazione del corpo e alla schedatura dei rilievi. Il commissario Passerini, fermo davanti al corpo della vittima, alza i suoi Ray-Ban, pone gli occhiali da sole sul capo, prende il fazzoletto e si asciuga il sudore che gli gronda dalla fronte, infine dà una sistematina ai baffi e sbotta. «Ma qui si arriva solo a piedi!??» Gianluca Vogli della Scientifica, in ginocchio sul terreno per rilevare gli indizi sul corpo del malcapitato, risponde con tono rassegnato. «Le tubazioni per l’irrigazione sono vecchie, si tratta di impianti esterni che, purtroppo, ostacolano le cavedagne. Inoltre, gli ingressi agli argini sono bloccati dalle pompe montate sui trattori e, purtroppo, si è costretti ad abbandonare l’auto per arrivare a piedi, oppure in bicicletta. Comunque, abbiamo già detto ai proprietari di smontare provvisoriamente le tubature. Almeno fino a quando non avremo finito i rilevamenti e trasportato il cadavere.» Il commissario è perplesso. «Ma se il canale è quasi vuoto, cosa si pompa?»

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«Si pompa acqua dai canaletti minori, dove l’acqua viene invasa nei fossi.» E mostra, con l’indice della mano, alcuni fossi traboccanti d’acqua. Il commissario osserva, annuisce, poi si concentra sul luogo del delitto, immergendosi in quell’atmosfera di caldo e di morte di cui cerca di percepire sensazioni ed emozioni. Come al solito, vuole farsi guidare dal proprio istinto: è un po’ vanitoso, il commissario, e gli piacerebbe recepire in anticipo la personalità della vittima, per carpirne l’anima ancor prima di conoscerla dalle testimonianze di parenti e amici. Nella sua testa vagano già molte domande, naturalmente le più classiche e scontate, ad esempio: chi era quell’uomo senza vita? Cosa ci faceva in quel posto? Era forse un bracconiere? Domande che ribalta immediatamente a Vogli. «Avete scoperto chi è la vittima?» Vogli si rialza da terra in tutto il suo metro e ottantasei centimetri di altezza, prende un bel respiro e risponde. «Sì, commissario, si chiamava Enzo Ricci, lo abbiamo trovato così, con indosso dei jeans, una polo, un paio di scarponcini ai piedi, una specie di tracolla e la testa fracassata. Era un dipendente della Bonifica Renana, l’ente che gestisce lo scolo delle acque. Nelle tasche aveva i documenti e un po’ di soldi.» Passerini è stupito. «Allora, escludiamo la rapina.» Poi allarga le narici e annusa l’aria che lo circonda come fosse un cane da tartufi. «C’è uno strano odore in questo posto, anche un po’ schifosetto… Chi è stato a ritrovare il corpo?»

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Vogli indica i cicloamatori poco distanti. «Quei cinque ciclisti.» Il commissario li guarda da lontano, stringendo gli occhi per metterli a fuoco. «Mi sembra di conoscerli.» «Sì, commissario, sono del paese, abitano tutti a Molinella. C’è Andrea Lega il torrefattore, Claudio Stagni del bar ClaudioeMarco, Roberto Dalla il macellaio, Marco Braga il pasticcere e Stefano Ruggeri il tabaccaio.» Il commissario assume un’espressione di grande professionalità e comincia ad incalzare Vogli elencandogli tutto il da farsi: prendere i nominativi dei ciclisti per poterli interrogare, accertarsi che non ci siano discrepanze fra le varie dichiarazioni, eseguire bene tutti i rilievi e… si ferma davanti alla faccia di Vogli, che storce un po’ il naso. Non sarebbero infatti tutte mansioni sue: alcune, in verità, spetterebbero al vice commissario, che in questo momento non è presente sul luogo del delitto. Vogli, però, è ligio al dovere ed esegue, sapendo peraltro molto bene che questo è un Commissariato a conduzione familiare e quindi è inutile fare della filosofia sulle mansioni… Il commissario si avvicina a Giorgio Grassi, il fotografo della Scientifica, intento al lavoro. «Ciao, Giorgio, come va?» Il fotografo sfoggia come sempre una capigliatura confusa ed elettrizzata che va in ogni direzione, come uno di quei display da banco delle cartolerie su cui si montano le biro da vendere: la testa di Giorgio è la palla, le biro i capelli. «Buongiorno, commissario, ho quasi terminato, ho già fotografato il corpo e il sito. Ho notato che la vittima ha il pugno della mano destra chiuso, volevo dirlo con Vogli, forse trattiene ancora qualcosa.»

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Il commissario, con un fischio da carrettiere, richiama Vogli che, nel frattempo, si era allontanato per eseguire gli ordini e prendere informazioni dai cinque ciclisti. «Vogli, ha visto il pugno chiuso della vittima?» «Sì, commissario, ma aspettavo che Grassi gli facesse una foto nella posizione in cui l’abbiamo trovato.» L’aria in cima all’argine comincia a diventare sempre più calda. Le linde camicie degli uomini del Commissariato si bagnano di sudore in corrispondenza delle ascelle e nell’aria si spande quel tipico, sgradevole odorino che, con il sole a picco, aumenta il tormento olfattivo del commissario. «Bisogna portare via questo cadavere prima che spuntino i vermi dal caldo. Vogli, apra questa mano.» Vogli, dopo aver guardato sospirando il commissario, si china di nuovo sul corpo, afferra il braccio della vittima, cerca di sollevare le dita dure e grassocce da quello che ormai è solo un pugno inanimato. Apre il palmo e – stupore! – vede che stringe solo delle bacche e qualche ciuffo d’erba. Il commissario è deluso. «Tutto qua? Solo erba?» Vogli guarda Passerini con una smorfia eloquente, facendogli capire che lui non ci può far niente se all’interno di quel pugno non hanno trovato nulla d’interessante e pensa che forse il commissario si aspettava, come nei film polizieschi, una catenina strappata dal collo del carnefice omicida, magari con il nome dell’assassino inciso sopra assieme alla data della prima comunione... In quel momento, mentre rialza il capo, il commissario Gianni Passerini scorge in lontananza un enorme polverone, che avanza seguendo perfettamente il corso della cavedagna a fianco dell’argine, e si avvicina velocemente a loro.

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A dire il vero, assomiglia in tutto e per tutto ad una tromba d’aria. «Ma che diavolo succede?? Infilate le mani del morto in sacchetti di carta, presto! Salviamole dalla contaminazione!» Tutto il personale del Commissariato di Molinella rimane senza fiato alla vista di quella improvvisa nube di polvere, che avanza inesorabile. Dall’alto dell’argine Passerini guarda il polverone, porta il palmo della mano sulla fronte, in modo da fare ombra sugli occhi, per poter scorgere meglio il responsabile di quella bufera di terra. Ma niente da fare. «Abbiamo un binocolo? Su, veloci, allungatemi un binocolo!» Giorgio Grassi si avvicina al commissario e gli porge la macchina fotografica. «Commissario, questa è meglio di un binocolo, con questo obiettivo può sicuramente vedere da vicino tutto quello che vuole.» Il commissario punta l’obiettivo sul nuvolone e, stupefatto, esclama: «Non ci posso credere! Non ci posso credere!» A quelle parole, il gruppo che lo circonda si incuriosisce: che cosa sta arrivando? Quale marchingegno può provocare quel turbolento trambusto? Il commissario fa un movimento maldestro e, dalla macchina fotografica ancora nelle sue mani, parte una raffica di click che immortalano chissà quali immagini del paesaggio. Passerini si è accorto del qui pro quo e passa velocemente l’attrezzo al proprietario che ne approfitta immediatamente, curioso com’è anche lui di vederci chiaro in quella nube di polvere che sta sopraggiungendo. Poi, scoppia in una risata. «Nooo! Graandee! Ah ah aaahh aaahh! È una comica!»

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Il gruppo di poliziotti accerchia Giorgio Grassi mentre Vogli, in tono minaccioso e spazientito, fa una perentoria richiesta. «Allora, Giorgio, che cos’è!?» Grassi guarda negli occhi tutti i ragazzi, uno ad uno, con un ghigno sorridente e sornione. «Il nostro tornado non è altro che un motociclista che sta arrivando a cavallo del suo motorino.» Detto fatto e il centauro è già qui, sul luogo del delitto. È un vecchio Motom rosso fuoco, un mezzo quasi introvabile oggi, nell’era degli scooter, è proprio lui che ha alzato quel gran polverone e che continua a trascinarselo dietro, mentre appare sempre più chiara ed evidente l’identità del motociclista aggrappato al manubrio: posizione di guida eretta, pantaloncini corti, occhiali scuri e impeccabili che spuntano all’interno del casco, camicia aperta, infradito ai piedi. Il commissario Passerini gli si avvicina con aria di compatimento. «Caro Raoul Romano Burnelli, ti ho riconosciuto! In sella a questo Motom sembri Fred Flinstone degli Antenati! Sei proprio uno della Bassa! Ma non ti vergogni a girare combinato così? Hai scatenato un bell’inferno qui, con tutta la polvere che hai alzato e che è andata a ricoprire il cadavere come fosse zucchero a velo su una torta di mele! E adesso, addio prove!!!» Il vice commissario si slaccia il casco che, a dire il vero, sembra un antico pitale a cui sono state aggiunte delle fibbie. Scende dal Motom, appoggia il cavalletto a terra e parcheggia il motorino. Il commissario lo squadra dalla testa ai piedi, anzi, fino agli infradito. «Sei veramente un bel gioiello… Ma come ti salta in mente di andare così a palla? Non ti ho nemmeno visto curvare!»

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Raoul si scrolla un po’ di polvere dalle spalle. «Uè, che nessuno qui faccia il furbo, non sono mica capaci tutti di curvare senza piegare...» E ha ragione: Raoul, infatti, curva solo inclinando il casco – e che casco! – forse, anzi certamente, non è neppure omologato. D’altronde, chi può avere un pitale omologato? «Allora, caro Raoul, mi spieghi perché sei giunto fin qui a tutta palla?» «Per tre motivi. Uno: l’ha cercata disperatamente il questore Alborghetti. Due: volevo dirle che ci hanno assegnato al comando un tizio nuovo.» Il commissario sbalordito lo interrompe: «Non me lo potevi dire al telefono?!» L’ometto dalla faccia sorridente e furbetta guarda il commissario e, con quello sguardo che ti fa sentire preso lievemente per il cu...., gli risponde: «Eh eh, il suo telefono è spento…» Il commissario infila velocemente la mano nella tasca dei pantaloni per accertarsi che il cellulare sia veramente spento. «Hai ragione Raoul, ma ora dimmi il terzo motivo.» «Il fatto è che per questo morto c’è di mezzo anche il commissario di Medicina.» La faccia di Passerini si trasforma: sembra il capo apache Nuvola Nera quando si dipinge i colori di guerra. «Scusa, non ho capito bene, spiegati meglio, Raoul.» «Sa com’è, commissario, la scienza progredisce, si fanno sempre nuove scoperte…» Passerini è impaziente, e quando si spazientisce diventa torvo. «Non mi sembra il momento di fare il dialogo dei massimi sistemi… Raoul, vuoi due calci nel deretano?»

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«Per carità, commissario… Ma sa com’è, ci sono le nuove normative e i ragazzi della Scientifica hanno inviato direttamente in Questura il posizionamento del morto tramite il sistema GPS, così il questore ha determinato che il cadavere si trova in terra di confine, per cui la competenza territoriale è anche di Medicina e del suo commissario, che condurrà le indagini assieme a lei.» «Assieme a me!!!??? Perché?» «Lo chieda a Vogli, lui può spiegarglielo meglio.» Il commissario si gira, si guarda attorno e cerca Vogli. Dopo averlo trovato, gli fa un cenno con la mano. «Dottor Vogli, venga qui!» È sempre l’uno e ottantasei di altezza di Vogli che si avvicina al commissario Passerini per spiegare che il corpo della vittima si trova nel territorio di Medicina dalla cintola in giù, mentre dalla cintola in su è nel territorio di Molinella. Di conseguenza, le indagini verranno svolte in collaborazione con il Commissariato del comune di Medicina in partnership, come si dice oggi, all’inglese, che fa fine, anzi…trendy. Gianni Passerini è visibilmente seccato: non ha alcuna simpatia per il commissario di Medicina, che definisce oggettivamente un rompicoglioni, con l’aggravante che, per di più, è uno che sa tutto di cucina e di quanto ruota intorno ai fornelli, tant’è che è anche direttore di una Scuola per aspiranti cuochi. Passerini è immobile di fronte al corpo della vittima e la fissa biecamente, come se la volesse mangiare. Ha, però, una tipica sfumatura nell’occhio da cui si capisce che gli sta balenando una pericolosissima idea. «Vogli, prenda il cadavere per le gambe, lo spostiamo nel territorio del Comune di Molinella, poi diremo che il GPS

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si è sbagliato, che non ha funzionato bene, che era in avaria… Ditegli quello che volete, basta che mi togliate dai piedi quel rompicoglioni di Medicina!» Vogli sta per scoppiare, fortunatamente la provvidenza gli viene in aiuto ed è con un fermo cenno della testa che indica al commissario l’arrivo di qualcuno. In lontananza, infatti, si intravede il ben noto nuvolone di polvere alzato da una volante ed è facile ad intuire che il commissario antagonista si stia avvicinando al luogo del delitto. La volante è già qui, lo sportello dell’auto si apre, un omone sulla sessantina, grande e grosso, scende e, senza dire una parola, si dirige con passo pesante verso la vittima. Si mette in ginocchio ma, all’improvviso, perde la stabilità; allora, tira fuori sette od otto paia di mani che si allungano sul terreno per mantenersi in equilibrio, in una serie di movimenti stile dea Kalì che gli permettono di non cadere. Passerini lo osserva: anche lui ha un paio di occhiali RayBan che alza sopra al capello cortissimo! Poi guarda ben bene il rivale mentre studia il corpo inanimato della vittima e sbraita: «Questo cadavere è ricoperto di polvere!!» Ciò detto si alza di scatto, nonostante la mole, e guarda in faccia il commissario, sogghignando: «Salve, commissario Passerini, è un bel po’ che non ci vediamo, vero? Sta bene?» «Per la verità non sentivo la sua mancanza, caro commissario Pietro Brini.» Il nervosismo tra i due commissari sale in fretta e la tensione è proprio come quella tra due galletti in un pollaio. Forse qualche vecchio e sconosciuto rancore, forse un problema di donne, chi lo sa. In paese dicono che da giovane Brini fosse veramente un bell’uomo e che venisse da Medicina

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a Molinella per fregare le donne a Passerini il quale, forse proprio per quel motivo, non lo poteva sopportare. La stazza del commissario Brini comincia a disfarsi sotto il sole e piccole gocce gli scendono dalla fronte. Poi si allontana dalla vittima. «Commissario Passerini, chi farà l’autopsia? Il dottor Tura, vero?» «Sì, l’unica cosa che accomuna i nostri commissariati sono i patologi…» Brini guarda negli occhi Passerini sogghignando, poi alza il dito indice e precisa: «… e il questore!» Passerini è molto irritato. «Sì, anche il questore.» Il questore, Amanda Alborghetti, proprio lei! All’improvviso, Passerini ricorda che doveva chiamarla – accidenti! – ma dopo l’incontro con il commissario Brini non aveva certamente voglia di parlare con nessuno, tanto meno con il questore. Sapeva con certezza che non sarebbe riuscito a gestire il suo umore cupo ed il nervosismo provocato da quel rivale di sempre, ricomparso all’improvviso. L’unica soluzione è spegnere di nuovo il cellulare. Cerca di riprendere smalto e vigore, anche se nella sua mente si sono di certo snodate, come in un vecchio film, le antiche sfide con il commissario Brini, e forse qualche bella donna gli è riapparsa nella mente, risvegliando ricordi di persone – e di sfide amorose – già dimenticate in superficie ma non del tutto sepolte nel profondo dell’animo. «Grassi, fotografa di nuovo la vittima, voglio anche gli scatti del cadavere impolverato.» «Cosa devo rifare, commissario?»

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«Rifotografa questo poveretto che si sta rosolando al sole, muoviti, poi fallo portare via, prima che diventi troppo cotto.» Il commissario osserva attentamente gli spostamenti di Brini sul luogo del delitto. All’improvviso, dalla solita e ormai trafficata cavedagna, uno stuolo di auto si dirige verso di loro: la notizia è già arrivata alle orecchie dei giornalisti. Il commissario richiama velocemente – e per l’ennesima volta – Vogli. «Non intendo avere noie con i giornalisti, che nessuno rilasci dichiarazioni, avvisi tutti, chiaro!? » Vogli non ha più la forza di parlare e conferma di avere capito con il solo movimento della testa. Passerini è veramente agitato, non sa da che parte guardare, è incalzato! Da un lato, i giornalisti che stanno arrivando; dall’altro lato, il rivale Brini che indaga. «Mi piacerebbe proprio sapere che cacchio guarda quello lì…» Poi, alza la voce e richiama l’attenzione di tutti quelli che si trovano sul luogo del delitto. «Ragazzi, fra qualche secondo saremo circondati dai giornalisti, teneteli a distanza e perimetrate ulteriormente la zona, su, veloci che poi ci vengono a pestare le prove, quelle poche che rimangono, come se di polvere non ce ne fosse abbastanza!» Il commissario Passerini si avvicina al rivale Brini e lo guarda diritto negli occhi. «Io me ne vado in Commissariato a compilare un po’ di scartoffie, ci pensate voi di Medicina ad avvisare i familiari di questo malcapitato?» A Brini, questo afflato collaborativo non pare vero!

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«Vada, vada, non si deve preoccupare, di me si può fidare, lo dico immediatamente ai miei ragazzi, ci pensiamo noi.» Ma cosa sarà passato per la testa del commissario Passerini? Vuole realmente collaborare o ha lasciato la prima mossa al rivale per studiarlo e metterlo alla prova? A pensarci bene, avergli dato la possibilità di incontrare i familiari della vittima potrebbe consentire al commissario Brini di raccogliere qualche indizio: forse è stata una decisione troppo azzardata. Oppure, Passerini sta puntando tutto sul suo famoso intuito, sicuro di essere lui quello che scoprirà il colpevole. Una sola cosa è certa: le mosse che fa non sono chiare, anzi sono molto azzardate, ma il commissario è così, va ad istinto. Ormai la zona è invasa da giornalisti, telecamere e gruppetti sparsi di curiosi. Mentre Passerini sta salendo sull’auto, pronto per partire per il Commissariato di Molinella, lo arpiona un giovane ben vestito, con i capelli ricoperti da gel brillante e divisi da una riga netta che gli spacca la testa in due parti assolutamente uguali, quasi avesse usato il righello; il viso porta i segni di buffi baffetti e una bionda barbetta lo completa. «Commissario Passerini, mi chiamo Lorenzo Gualandi e sono il nuovo giornalista locale del Resto del Carlino, ha qualche dichiarazione da fare? Posso farle alcune domande? La vittima è stata uccisa nel punto in cui è stato rinvenuto il cadavere o altrove? Si è trattato di aggressione casuale o programmata? Che tipo di arma ha provocato la morte?» Il commissario guarda indispettito il giovane cronista, troppo intraprendente e aggressivo. «È presto, non sono in grado di fare dichiarazioni.» Poi, senza dargli modo di replicare, chiude lo sportello dell’auto e parte per il Commissariato di Molinella.

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