COSE D'ALTRI TEMPI – Frammenti di storia bolognese. Vol. 3

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Marco Poli

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Referenze fotografiche: Immagini fornite dall’autore. L’immagine di pagina 102 viene pubblicata con l’autorizzazione del Museo Civico del Risorgimento di Bologna - Museo della Certosa. La fotografia di pag. 130: ©2013 Paolo Tassoni Immagine di copertina: ©2013 Walter Breveglieri Nel caso di immagini forniteci senza specificazione utile, l’editore resta a disposizione degli eventuali aventi diritto Direttore Editoriale: Roberto Mugavero Grafica e impaginazione: Paolo Tassoni © 2013 Minerva Soluzioni Editoriali srl, Bologna Proprietà artistica e letteraria riservata per tutti i paesi. Ogni riproduzione, anche parziale, è vietata. Deroga a quanto sopra potrà essere fatta secondo le modalità di legge. ISBN: 978-88-7381-532-7 Minerva Edizioni via Due Ponti, 2 - 40050 Argelato (BO) Tel. 051.663.05.57 - Fax 051.89.74.20 www.minervaedizioni.com e-mail: info@minervaedizioni.com

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Sommario

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FRAMMENTI DI VITA BOLOGNESE 125 anni fa, le prime case per operai nella Bologna in espansione Le grandi nevicate del passato a Bologna 100 anni fa: premiata la macchina che faceva 5000 tortellini all’ora I fiacres, antenati del taxi Gli immigrati dei secoli scorsi Quando fu inventata la “notte azzurra” La devozione dei bolognesi per la Madonna: oltre 150 immagini mariane La precedenza a destra Povertà di ieri e di oggi Esiliato dal suo palazzo: la storia del cane Tago Un curioso toponimo: via Bocca di Lupo La Madonna che fece nevicare in agosto

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FRA STORIA E CRONACA Il podestà imbroglione al quale strapparono i denti L’astrologo che non previde il suo futuro Littoriale, Eugeneo o Poliludio? Quale nome per lo stadio? Quando a Bologna vi furono due antipapi Il terremoto di 500 anni fa, fra crolli e preghiere Il frate giustiziato due volte 25 anni fa: quando i giardinieri raccoglievano le siringhe L’Asinelli e la gabbia della morte La lumiera in cima all’Asinelli Aldrovandi e Malpighi: piazze o vie? 100 anni fa Bologna ebbe due Camere del Lavoro: la prima scissione sindacale 30 anni fa. Quando il Comune rilanciò le osterie 100 anni fa: il trasloco del fittone dei goliardi Il portico della Certosa Rispettare la storia di via Indipendenza 50 anni fa era un’altra Bologna A proposito di “assistenti civici” La Via Crucis, il rito pasquale più amato dai bolognesi Terremoti a Bologna nei secoli Addio alla ciminiera centenaria La fontana del Nettuno fra divieti e decoro Bologna, 1° Maggio 1890

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PERSONAGGI LUOGHI E TRADIZIONI Taddeo Alderotti, precursore della scuola di medicina Luca Ghini, l’inventore dell’orto botanico Il raccomandato Ugo Foscolo I 90 anni del Bar Scaletto 80 anni fa, scompariva Alfredo Testoni Pietro Pomponazzi, un filosofo in odore di eresia Il medico bolognese che scoprì le virtù miracolose del caffè Un Brancaleone bolognese Leonida Bertolazzi, l’ingegnere del Liberty bolognese Baldassarre Azzoguidi, il primo tipografo bolognese Barbacci, il Soprintendente che salvò i monumenti bolognesi Accursio, il fiorentino che diede il suo nome al Palazzo dei bolognesi L’ingegnere che costruì lo Stadio e l’Ippodromo di Bologna 100 anni fa, un bolognese vinse la prima medaglia d’oro olimpica Leopoldo Serra, il bersagliere bolognese che entrò per primo a Porta Pia Innocenzo IX, il papa bolognese che governò solo due mesi Il papa bolognese Gregorio XV, colto, diplomatico e nepotista: il papa che nominò cardinale Richelieu Rambertino Buvalelli, il più antico trovatore italiano. E ottimo podestà Ettore Nadalini, il sindaco di 100 anni fa Giovanni Garzoni, medico dei Bentivoglio e maestro di Savonarola Mario Agnoli, l’ultimo Podestà di Bologna che volle la “città aperta” San Bononio, un santo bolognese quasi sconosciuto Compie un secolo il santuario del Sacro Cuore Alberto Legnani l’architetto che progettò via Marconi Il centenario del Baglioni Via Filippo Beroaldo: una strada per due personaggi omonimi Il primo poeta bolognese: Lucio Pomponio Alessandro Antonelli, il capobanda (musicale) Anche 80 anni fa medaglie olimpiche ad atleti bolognesi San Ruffillo o San Raffaele? Via della Battaglia e via della Bastia: la toponomastica di una vittoria bolognese

Il teatro romano di Bologna Luigi Balugani viaggiatore del Settecento La libreria Ceccherelli compie 40 anni L’antica cripta di San Zama non è visitabile. Perché? Quando Renato Guttuso faceva Carosello per la ditta Fabbri Quando Francesco Guicciardini governò Bologna La vecchia chiesa di San Silverio di Chiesa Nuova Pellegrino Matteucci, esploratore tenace a costo della vita

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Giuseppe Pacchioni, lo scultore patriota Nonno Rossi: un ristorante in volo da 80 anni Due archeologi dilettanti riscoprono la via Flaminia Militare Atti, un pane petroniano da 145 anni 100 anni fa moriva Alfonso Rubbiani, il restauratore romantico

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che amava il medioevo

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I 250 anni del Teatro Comunale, il teatro “pubblico” realizzato coi soldi dei privati

Costruito 250 anni fa il teatro di Villa Aldrovandi Mazzacorati. Una deliziosa presenza settecentesca Antonio Zanolini, patriota della prima ora Moriva 20 anni fa Piazza Marino poeta contadino, l’ultimo cantastorie 50 anni fa la morte del giurista enrico redenti 120 anni fa, la istituzione della Camera del Lavoro su iniziativa delle Società Operaie A 150 anni dalla nascita di Gabriele D’Annunzio: D’Annunzio e Bologna A 100 anni dalla nascita: Marco Cimatti il campione imprenditore Giuseppe Guidicini a 250 anni dalla nascita. L’instancabile ricercatore che ci ha lasciato un’opera preziosa A 250 anni dalla morte di Francesco Maria Grimaldi: Il gesuita che sta sulla luna Vittima dell’odio politico, Guido Guinizzelli, l’inventore del “Dolce Stil Novo”, morì in esilio Oreste Vancini, il professore partigiano Girolamo Cardano processato dall’Inquisizione bolognese Fondato nel 1473 dai francescani il Monte di Bologna avrebbe 540 anni di vita Il carcere di San Giovanni in Monte ospitò anche un Santo Il bolognese Prospero Lambertini: un grande Papa riformatore Quando papa Lambertini inaugurò la Fontana di Trevi Il Cardinale Lambertini e i restauri 1740: l’elezione di papa Lambertini: un lungo Conclave

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Papa Lambertini, un pontefice fra Purgatorio e Inferno Prospero Lambertini, l’inventore delle encicliche Papa Lambertini e i vampiri

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In ricordo di un vero amico

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per un grande pontefice

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ose d’altri tempi” è il titolo della rubrica che il “Carlino Bologna” mi ha affidato all’inizio del 2007. Questo libro, che raccoglie gli articoli pubblicati da ottobre 2011 a settembre 2013, fa seguito ai due precedenti, “Cose d’altri tempi” (2008) e “Cose d’altri tempi 2” (2011), pubblicati dallo stesso editore. Vi sono anche alcuni articoli apparsi sul periodico “Le buone notizie” e ringrazio Fabio Raffaelli e Giorgio Alberi che hanno acconsentito alla loro pubblicazione in questo libro. Come i precedenti, anche “Cose d’altri tempi 3” contiene scritti su argomenti vari che hanno come protagonista la città di Bologna: per questo si è ritenuto opportuno mantenere lo stesso titolo con l’aggiunta del numero 3, proprio per sottolineare la continuità coi primi due. Le “Cose d’altri tempi” non sono e non vogliono essere, nelle mie intenzioni, un esercizio di elogio dei “bei tempi passati”: piuttosto si propongono, in una società frenetica, propensa all’oblio e pressata da un’informazione di attualità, di non far dimenticare, di far riscoprire, di far riflettere, di aiutare la memoria storica del territorio in cui viviamo. Dunque, nessun intento nostalgico. Il libro contiene 100 “pillole”, scritti brevi la cui lettura si può esaurire in pochi minuti: il lettore potrà imbattersi in personaggi di rilievo, molti dei quali incontriamo ogni giorno nella città poiché sono titolari di una via; poi vi sono le attività economiche di “lungo corso”, negozi o aziende che esistono da decenni e magari sono gestiti dalla stessa famiglia che li avviò. Poi vi sono i “pro-memoria” di anniversari che riguardano personaggi o avvenimenti: per questo ho voluto segnalare in nota la data di pubblicazione. Vi è un capitolo dedicato al nostro Prospero Lambertini, prima Arcivescovo di Bologna poi grande Papa Benedetto XIV. Ringrazio il Direttore de “Il Resto del Carlino” Giovanni Morandi, il Vicedirettore Massimo Gagliardi e il Capocronaca Valerio Baroncini che hanno voluto la mia collaborazione e che continuano a farmi l’onore di scrivere sul più antico quotidiano di Bologna. Marco Poli

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125 anni fa, le prime case per operai nella Bologna in espansione1 La Bologna di 125 anni fa mostrava i segni concreti di un’espansione demografica ed economica: sorsero le prime ciminiere delle nuove industrie bolognesi (come la Calzoni, in via Boldrini), aprirono molte aziende. Ma i problemi sociali, come quello dell’abitazione, erano ancora acuti e irrisolti: troppi cittadini vivevano in case malsane, in veri e propri “tuguri”. Ecco perché la Società Operaia di Bologna, nel 1884, diede vita alla “Società anonima cooperativa per la costruzione e il risanamento di case per gli operai in Bologna” che si mise immediatamente all’opera per individuare le aree su cui costruire. La prima che acquistò fu un’estesa area compresa fra le attuali vie Andrea Costa e Sabotino, caratterizzata da coltivazioni e da qualche modesto edificio. Via Sabotino non esisteva e al suo posto correva il canale Reno diretto verso la Grada di San Felice. Bologna era ancora circondata dalle antiche mura con relative 12 porte. Senza frapporre indugi, il 9 agosto 1885 si posò la prima pietra e dopo cinque mesi la costruzione era già ultimata. Fu la prima casa costruita dalla Cooperativa Risanamento, su progetto di Ercole Bortolotti il quale, per contenere i costi eliminò qualsiasi orpello decorativo: era una casetta monofamiliare, ubicata in via L. Zambeccari, 4. Nel cortile posteriore vi erano il pozzo, la fossa biologica e l’orto, mentre sulla parte anteriore vi era un piccolo giardino che dava sulla strada. Quella casa fu venduta a riscatto. Sempre nel 1886 fu ultimata la costruzione di 24 appartamenti nella stessa via Zambeccari, 12, 14 e 16. Progettato da Giuseppe Lambertini,

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“Il Resto del Carlino” Bologna, 28.11.2011

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fu il primo palazzo realizzato dalla Cooperativa Risanamento. Questi immobili sono ancora abitati e oggi la zona è fra le più gradevoli della città. Dopo 125 anni, a quella prima palazzina si sono aggiunti 2223 appartamenti che la Cooperativa Risanamento cede ai propri soci ad affitto modico e permanente. Le grandi nevicate del passato a Bologna2 Nella settimana fra Natale e Capodanno del 1695, Bologna fu colpita da una grande nevicata accompagnata da un gelido vento di tramontana. Alcuni tetti crollarono, come quello del salone del Palazzo del Podestà, e subì gravi danni quello del Palazzo Comunale. I cittadini sgomberarono la neve dai tetti, ma così facendo riempirono le strade di neve rendendole impercorribili da carri e carrozze: i commercianti si trovarono impossibilitati a rifornire di merce i loro negozi. Nelle settimane successive continuò a

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nevicare e ciò impedì lo svolgimento dei “corsi” di Carnevale. A fine marzo Bologna era ancora coperta di neve: si utilizzò l’acqua dei canali per eliminare i cumuli di neve con inondazioni controllate per non danneggiare le cantine che ospitavano attività artigianali per lo più tessili. A maggio riprese a nevicare. Carestia e miseria furono le conseguenze del maltempo. Nell’inverno 1829-1830, si ebbe la più grande nevicata mai avvenuta a Bologna; nevicò per 324 ore nel corso di 96 giorni fra il 17 novembre 1829 ed il 21 febbraio 1830. La temperatura precipitò fino a 17 gradi sotto lo zero e per quasi 60 giorni la temperatura media rimase sotto lo zero. Dopo i primi 15 giorni di nevicate erano già caduti 4,5 metri di neve. Un’altra grande nevicata avvenne 100 anni dopo, fra il 10 ed il 14 febbraio del 1929: la neve scese per 5 giorni senza sosta, e raggiunse un’altezza di 80 cm.. Numerosi tetti crollarono e la città rimase immobilizzata per giorni. Si raggiunsero i 15 gradi sotto zero e ciò provocò la rottura di tubazioni dell’acquedotto. Scuole chiuse, case fredde per mancanza di carbone, molti negozi chiusi per l’impossibilità di approvvigionamenti, broncopolmoniti a volte letali, fratture varie a seguito di cadute. Nel dopoguerra vi fu l’evoluzione dei mezzi di contrasto alla neve: dai 1000 spalatori assunti nel gennaio 1960, alle decine di mezzi spazzaneve.

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100 anni fa: premiata la macchina che faceva 5000 tortellini all’ora3 Nel 1909 la ditta Bertagni, che produceva pasta fresca e in particolare tortellini, aveva alle dipendenze ben 95 donne addette alla produzione di tortellini e altra pasta fresca: in quegli stessi anni si stava perfezionando una macchina che poteva svolgere il lavoro di 20 di esse producendo automaticamente 5000 tortellini all’ora. A realizzare questa macchina, che nel 1912 fu premiata con la medaglia d’oro del “Premio Umberto I°”, fu la ditta Zamboni & Troncon con officina in via Frassinago. In quell’officina si progettarono e costruirono varie macchine per la produzione di pasta fresca. Ma il maggior successo fu rappresentato dalla macchina per produrre i tortellini: stendeva la sfoglia, la tagliava in quadretti sui quali veniva collocato il ripieno e, infine, chiudeva il tortellino. Altre macchine preparavano le tagliatelle, gli stricchetti, le farfalle e altri tipi di pasta. Fu anche costruita una macchina che riempiva le confezioni di pastina glutinata: la macchina ebbe grande successo e fu esportata in tutto il mondo. Si può dire che aprì la strada all’industria del packaging che si fece onore, nei decenni successivi e fino ai nostri giorni, nel distretto industriale bolognese. Alcuni dei giovani tecnici dell’officina di via Frassinago fondarono nuove aziende, come Armando Simoni (OMAS penne stilografiche) e Otello Cattabriga (macchine per gelati). Essi avevano frequentato l’Istituto Tecnico Aldini Valeriani, la scuola dalla quale uscirono tecnici sopraffini ed anche imprenditori. Nel 1921 la ditta si sciolse per costituire, assieme ad altre

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“Il Resto del Carlino” Bologna, 5.3.2012.

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aziende, la SABIEM. Ma alcuni anni dopo, la ditta Zamboni si ricostituì per continuare a produrre macchine per fare tortellini e pasta di vario genere. Dopo vari trasferimenti, le Officine Meccaniche Zamboni operano con successo a Casalecchio di Reno, in via Cimarosa: e continuano a fare macchine per prodotti alimentari. Compresi i tortellini. I fiacres, antenati del taxi4 Nel 1876 la Società Operaia maschile di Bologna promosse la fondazione di una Società di mutuo soccorso fra i fiaccherai, cioè i conduttori di vetture di piazza trainate da uno o più cavalli. Ma i primi fiacres apparvero a Bologna nel 1852 quando una società privata, aggiudicatasi l’esclusiva di poter svolgere questo tipo di servizio, iniziò ad operare dal primo agosto di quell’anno. Questo genere di servizio di trasporto era nato a Parigi nella seconda metà del Settecento e le vetture presero il nome di fiacre in quanto il loro luogo di sosta in attesa di essere affittate si trovava nei pressi di un’immagine di San Fiacre. A Firenze il primo fiacre fece la sua comparsa nel 1820. A Bologna, una volta attribuito il servizio, il Comune destinò alcuni luoghi della città come postazione: in piazza Santo Stefano, in piazza Galvani, in via Ugo

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“Il Resto del Carlino” Bologna, 4.12.2012.

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Bassi davanti alla Fontana Vecchia, in piazza Aldrovandi e in piazza Malpighi. Il Comune fissò anche i prezzi delle corse sia per i fiacres a un cavallo, sia per quelli trainati da due cavalli; fu anche stabilito che i fiacres a un cavallo potessero trasportare non più di due persone oltre il vetturino, mentre quelli a due cavalli potessero ospitare non più di quattro passeggeri. Da allora il servizio di fiacres si diffuse sempre di più, soprattutto dopo che fu inaugurata la stazione ferroviaria nel cui piazzale poterono sostare numerose vetture. Nell’arco dei 160 trascorsi dall’apparizione del primo fiacre molte cose sono cambiate con l’arrivo delle automobili e con lo sviluppo del servizio di trasporto pubblico: a Bologna i fiaccherai hanno resistito più di un secolo, poiché gli ultimi hanno lavorato fino agli anni ’60, mentre in altre città sono ancora in servizio. Dunque, come si può comprendere, fin dal 1852 il servizio di trasporto svolto dagli antenati del taxi fu regolamentato dal Comune, esattamente come accade ancora oggi. Gli immigrati dei secoli scorsi5 Dal 1116, quando ebbe origine il Comune di Bologna, prese avvio anche una fase di sviluppo economico che nell’arco di 150 anni avrebbe portato Bologna ad essere una delle prime città d’Europa. Nel 1116 Bologna era una città di poche migliaia di abitanti, ma nella seconda metà del Duecento aveva già superato quota 50.000, al punto che fu necessario ampliare lo spazio urbano per ben due volte: mezzo secolo dopo aver costruito la cerchia del Mille, fu deciso di realizzare una terza cerchia che avrebbe racchiuso un’area di 418 ettari con un’espansione quasi quadruplicata rispetto alla precedente. Questo fortissimo incremento demografico fu dovuto, soprattutto, all’ingresso non clandestino, bensì voluto e ricercato, di immigrati da altre città. Ad esempio, nel 1230 il Comune predispose un bando per attirare lavoratori e imprenditori del settore tessile: in esso si prometteva la concessione di un prestito di lire 50 a tasso zero rimborsabile in 5 anni, l’al-

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“Il Resto del Carlino” Bologna, 2.7.2012.

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loggio gratuito per 8 anni, la licenza di commercio al minuto della merce prodotta da loro stessi, un contributo in denaro per poter acquistare gli attrezzi da lavoro, l’esenzione da ogni imposta per la durata di 15 anni; le uniche condizioni richieste erano quelle di svolgere il servizio militare qualora necessario e di abitare a Bologna per almeno 20 anni. L’esito del bando fu positivo in quanto si trasferirono a Bologna ben 150 famiglie. Seguirono altre analoghe iniziative di questo tipo e non deve stupire se si formarono la compagnia dei Lombardi e quella dei Toschi che aggregavano oltre 1000 associati, tutti immigrati. Ancora oggi, basta consultare l’elenco telefonico degli abbonati di Bologna per scoprire una quantità di cognomi che rivelano la città d’origine delle persone: Veronesi, Mantovani, Lombardi, Toschi, Milanesi, Ferraresi, Fiorentini, Genovesi, Cremonini, Bresciani, Reggiani, Romagnoli, Romani... : erano questi gli immigrati di otto secoli fa. Quando fu inventata la “notte azzurra”6 Il 6 luglio la riviera adriatica è stata invasa da partecipanti alla “notte rosa”; a Bologna, invece, si organizzano “notti bianche”, anche circoscritte a una sola via. Sono iniziative che attirano molte persone, frammenti di carnevale fuori stagione che fanno dimenticare per qualche ora la disoccupazione, la prima rata dell’IMU già pagata e le prossime tasse da pagare. Ma la prima notte “colorata” nacque 73 anni fa, nel 1939, prima che l’Italia entrasse in guerra, mentre era attivo, dal 23 agosto di quell’anno, il patto fra Hitler e Stalin che consentì loro di dividersi la Polonia e di conquistare parti della Finlandia, la Norvegia, l’Estonia, la Lettonia, la Lituania, la Danimarca... L’Italia di Mussolini, per tenersi pronta alla probabile entrata in guerra, avviò varie iniziative “educative e autarchiche”. A Bologna, i cittadini, obbedienti alle direttive del Duce, si adeguarono: qualcuno acquistò le maschere antigas consigliate, altri rafforzarono le cantine da usare come rifugi, i gerarchi lasciarono in garage le automobili e si fecero vedere in bicicletta. Tornarono di moda i fiacres e si donò il “ferro alla Patria”.

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“Il Resto del Carlino” Bologna, 9.7.2012.

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Molti fascisti si proposero come volontari per seminare a grano parti dei Giardini Margherita, piccole aiuole e giardinetti pubblici. Gli “orti di guerra” sorsero pure nei giardini privati e addirittura in casa si mettevano a dimora piante di verdura di vario genere. Ma siccome il pericolo maggiore sarebbe venuto dal cielo, si fecero esercitazioni di oscuramento della città: nelle case del fascio si distribuivano coperchi da applicare sui fanali delle biciclette, mentre bisognava rivestire i vetri delle finestre con carta azzurra in modo da oscurare le luci di casa. Fu così che la notte fra il 30 e il 31 agosto 1939 fu chiamata “notte azzurra” per il colore della carta applicata ai vetri delle finestre. E allora, evviva le “notti rosa” e le “notti bianche”! La devozione dei bolognesi per la Madonna: oltre 150 immagini mariane7

Fino all’arrivo delle truppe napoleoniche (1796) a Bologna si potevano contare non meno di 150 immagini mariane; a parte alcune sculture, si trattava di Madonne dipinte sui muri. Molte nacquero come ex voto, cioè come ringraziamento per una grazia ricevuta, altre come immagini protettive e di prevenzione volute da famiglie o da Corporazioni di arti e mestieri: basti ricordare la Madonna col Bambino nel palazzo degli Strazzaroli in piazza di porta Ravegnana, bella scultura che viene mostrata in occasione della discesa della Madonna di San Luca. Oggi, l’immagine mariana più famosa (perché dipinta da Francesco Francia e ubicata nel palazzo Comunale) è la Madonna del terremoto, voluta da Giovanni II Bentivoglio per difendere la città dal sisma del 15041505. Nella chiesa (non più esistente) di S. Cristina di via Pietralata si venerava la Madonna del pianto (ora nella chiesa di S. Isaia): così la chiamò il popolo che la vide lacrimare al tempo della peste del 1630. Sparse nella città, dal XII secolo in poi, vi erano immagini mariane con le denominazioni più svariate: Madonna dell’Aiuto, degli Angustiati, degli Assaliti (in via Remorsella), della Salute, del Sollievo, della Speranza, del Lamento, del Pane, della Pace, della Pioggia, dei Poveri, delle Febbri,

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degli Esposti, dei Denti, delle Doglie, delle Fanciulle, degli Ammalati, del Conforto.... Alcune di queste furono poi collocate nelle chiese, Oltre a queste immagini “serie”, sui muri della città si potevano vedere Crocifissi e Madonne disegnati senza grazia e in modo improvvisato. Si trattava di immagini realizzate dagli abitanti a scopo “repellente” o deterrente, cioè per evitare che i maleducati espletassero bisogni corporali sui muri delle abitazioni. Anche nel secondo dopoguerra vi furono cittadini che collocarono immagini mariane in alcune vie della città risparmiate dai bombardamenti per ringraziare dello scampato pericolo. La precedenza a destra8 I lettori ricordano l’episodio dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni in cui il futuro fra Cristoforo, giovane irruente e che già odiava i soprusi e i prepotenti, uccise a colpi di pugnale un arrogante signorotto: la causa scatenante del diverbio mortale fu che né questo signorotto, né il nostro Ludovico (questo era il suo nome prima di diventare fra Cristoforo) intendevano cedere il passo, cioè dare la precedenza: – fate luogo, – fate luogo voi – rispose Ludovico – la dritta è mia. – Nel mezzo, vile meccanico; o ch’io ti insegno una volta come si tratta coi gentiluomini; e Ludovico Voi mentite ch’io sia vile, – Tu menti ch’io abbia mentito. Da quel momento si passò alle armi: un uomo di Ludovico, di nome Cristoforo, fu ucciso e Ludovico uccise il signorotto. Dunque, tutto fu provocato dal fatto che nessuno dei due voleva dare la precedenza. Ludovico, per essere certo di non dovere cedere il passo, strisciava il muro col lato destro, il che, secondo le usanze, gli assicurava la precedenza e obbligava l’altro a spostarsi e lasciar passare. Questo episodio accadde a Milano all’inizio del XVII secolo e fu all’origine del pentimento e poi della conversione di Ludovico. Questi comportamenti esistevano anche a Bologna e accaddero episodi simili a quello manzoniano, con scontri fisici e forse mortali: il governatore di Bologna Giovan Battista Doria, preoccupato degli alterchi e delle contese che sorgevano così nell’andare come nel scontrarsi, nel 1557 emanò un decre-

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“Il Resto del Carlino” Bologna, 18.2.2013.

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to perpetuo sulla precedenza al fine di levare l’abuso della banda del muro. La decisione assunta fu che la precedenza sia e si intenda essere alla man destra e non altrimenti. Chi avesse attaccato briga per motivi di precedenza, sarebbe stato cacciato dalla città. Tuttavia, gli scontri per la precedenza dovettero proseguire, visto che nel 1573 il governatore firmò un nuovo bando “sulle precedenze”. Povertà di ieri e di oggi9 Alla fine del Seicento fu elaborato il censimento dei poveri presenti a Bologna, la seconda città dello Stato Pontificio che si avviava verso i 70.000 abitanti dopo il crollo demografico causato dalla peste del 1630. Dall’indagine, elaborata su base parrocchiale, emerge che l’indigenza riguardava quasi il 60% della popolazione, cioè circa 38.000 persone: 34.500 poveri ricevevano a Pasqua e a Natale un aiuto economico (una sorta di “social card”), mentre 1.500 persone erano autorizzate a chiedere l’elemosina in città. Infine c’era un terzo tipo di povertà, quella dei ricchi decaduti (i “poveri vergognosi”), il cui numero (2.000 persone) era sorprendentemente alto. Per ciascun gruppo di poveri lo “stato assistenziale” dell’epoca, basato quasi esclusivamente sulla generosità privata, prevedeva interventi di sostegno attraverso il sistema delle Opere Pie. Le zone della città in cui erano presenti molti poveri erano quelle di via Guerrazzi- S. Petronio Vecchio, le parrocchie S. Caterina di Saragozza, S. Isaia, S. Maria Maggiore di via Galliera, S. Procolo e il Quadrilatero. I “poveri vergognosi” erano più numerosi nelle parrocchie di S. Procolo, S. Giovanni in Monte, S. Giorgio in Poggiale, S. Cristina e SS. Salvatore. Insomma, c’era una città nella città che aveva fame e che, spesso, non aveva un tetto, ma che non protestava e si accontentava delle elemosine in quanto, a parte i ricchi decaduti, era abituata alla povertà da generazioni. Oggi si manifestano concreti sintomi di povertà che riguardano milioni di cittadini europei che si trovano senza lavoro e con stipendi e pensioni insufficienti. Spesso si tratta di persone che avevano raggiunto la soglia del benessere e che ora lo vedono allontanarsi; né vale a consolarli il fatto che,

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“Il Resto del Carlino” Bologna, 15.4.2013.

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nel mondo, un miliardo di persone soffra la fame. Da sempre, la sofferenza di chi cade in basso è più acuta di chi ha sempre avuto la povertà come compagna di vita. Esiliato dal suo palazzo La storia del cane Tago10 La finestra sul cui davanzale era collocata la scultura del cane Tago si trovava accanto agli uffici dell’Assessorato alla Pubblica Istruzione e si affacciava sul cortile interno del palazzo di via Oberdan, 24, che, nel secolo scorso, era sede degli Assessorati alla Cultura, allo Sport e alla Pubblica Istruzione. Alla fine degli anni ’80 ero io l’Assessore alla Pubblica Istruzione e mi incuriosì quella scultura protetta da una rete metallica: ne ricercai la storia e in seguito la pubblicai. Ora, il palazzo quattrocentesco, residenza della famiglia senatoria De’ Buoi, è stato ceduto dal Comune al Teatro Comunale come dotazione patrimoniale. La storia del cane Tago è semplice e commovente: il marchese Tommaso de’ Buoi, padrone del palazzo e del cane, si allontanò da Bologna per un breve periodo; quando il fedele Tago lo vide tornare, preso da incontenibile gioia si lanciò verso la finestra, ma precipitò andando a morire sotto gli occhi del suo padrone. Era l’anno 1777 e il marchese de’ Buoi per mantenere vivo il ricordo dell’amato Tago incaricò Luigi Acquisti, artista che ha lasciato pregiate opere non solo a Bologna, di realizzare una scultura

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“Il Resto del Carlino” Bologna, 1.7.2013.

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raffigurante il cane che poi collocò proprio su quella fatale finestra. Ma la storia non finisce qui: 231 anni dopo il Comune decise il restauro della scultura e, una volta terminato il restauro, la statua fu esposta nei locali del Museo Civico Archeologico. Finalmente il bracco tedesco Tago fu conosciuto da tanti cittadini che rimasero affascinati dalla sua storia. Una volta chiusa la mostra, la scultura non fu ricollocata sulla finestra, ma trasferita al secondo piano del palazzo Comunale nelle Collezioni Comunali d’Arte, in una delle ultime sale, in un angolo insignificante, come in esilio. Sarebbe giusto pensare ad una collocazione più idonea, più degna, illustrando la storia di questo personaggio unico. Anche se a quattro zampe. Un curioso toponimo: via Bocca di Lupo11 A metà del Trecento questa laterale di via Urbana era denominata Cò di lovo (testa o capo di lupo); poi fu chiamata Bocca di Lupo, toponimo che, con ogni probabilità, fa riferimento a un soprannome attribuito a un abitante della via. Ma fu denominata anche via del Torresotto di S. Agnese. La parte sinistra della strada verso via Castelfidardo è costituita dal muro che racchiude il convento del Corpus Domini, fondato dalla “Santa nera”, cioè santa Caterina de’ Vigri. Dopo le soppressioni napoleoniche di fine Settecento, gran parte del chiostro conventuale fu acquisito dal demanio e destinato alla Caserma Cialdini. Verso via Castelfidardo, come indica una lapide, si trovava uno dei sedici torresotti o serragli della seconda cerchia di mura, chiamata “Cerchia del Mille”. Al civico n.1 vi era un “ospizio” di proprietà dei frati minori osservanti di S. Paolo in Monte (Osservanza). Una cronaca del Convento dell’Osservanza spiega che l’edificio era utilizzato dai frati anziani o ammalati dispensati - soprattutto in condizioni climatiche particolari - dal ritorno al

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“Il Resto del Carlino” Bologna, 26.8.2013.

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Convento. Fu anche definito “infermeria”, ma da un inventario del 1734 si evince che vi erano solo cinque letti e poco altro: ciò conferma che l’edificio serviva ai frati in difficoltà fisiche e, quindi, infermi. Nel 1746 l’immobile fu riedificato e il priore decretò che in quei locali non potessero pernottare “forestieri”, mentre ai frati era consentito solo a fronte di infermità certificata da un medico. Vi fu anche eretto un altare per celebrare la santa messa. L’ospizio francescano fu soppresso in epoca napoleonica e destinato a usi civili. Al civico 23 sorgeva una cappella dedicata alla Beata Vergine Addolorata: fu costruita nel 1780 dalle suore del limitrofo convento di S. Agnese che vi recitavano il rosario con i fedeli della zona. Anche questa cappella fu soppressa e l’immobile fu venduto a privati cittadini. La Madonna che fece nevicare in agosto12 Alcune immagini mariane sono venerate dai fedeli in quanto ad esse viene attribuita qualche speciale protezione da eventi naturali: c’è la Madonna che protegge dal terremoto, c’è quella che fa smettere di piovere, c’è quella che viene pregata affinché tenga lontana ogni pestilenza o epidemia. Fra queste, c’è anche la Madonna che fece nevicare in agosto e che ha dato origine a oltre cento Confraternite che ne hanno fatto il loro punto di riferimento. A Bologna esiste il vicolo della Neve: è una traversa di via Nosadella e lì, fino al 1808, esisteva una chiesetta intitolata a S. Maria della Neve, gestita da un’ Arciconfraternita romana obbediente al culto di S. Maria della Neve. Secondo la tradizione, questo culto mariano ebbe origine al tempo di papa Liberio (352-366) quando, il 5 agosto, avvenne una strana nevicata su Roma: infatti nevicò solo sul colle dell’Esquilino. Qualche giorno dopo la Madonna apparve a due devoti coniugi e disse loro che nel luogo ove era caduta la neve desiderava sorgesse una basilica a lei dedicata. Anche il Papa ebbe la stessa visione dei due coniugi e avviò la costruzione della bellissima basilica di S. Maria Maggiore di Roma che, fino al 1568, si chiamò S. Maria della Neve. Il 5 di agosto si ricorda il miracolo attraverso una cascata di petali bianchi e, oggi, con neve sparata da cannoni.

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Le buone notizie, aprile 2012.

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Questo miracoloso evento diede origine alla Confraternita di S. Maria della Neve che si diffuse un po’ dovunque e anche a Bologna dove ebbe sede, restaurandola, nella piccola chiesa di vicolo della Neve al civico n.5 (ora studio professionale). Chiese o oratori intitolati a S. Maria della Neve sorsero in 150 località italiane; e anche nei pressi di Bologna, come ad esempio a Mongardino, dove esiste ancor oggi un oratorio funzionante con questa dedicazione. È lecito chiedersi quale attività svolgesse l’Arciconfraternita di S. Maria della Neve, oltre a quella devozionale: ebbene, le fu affidata l’amministrazione di una nuova Opera Pia che aveva come scopo quello di riscattare i bolognesi cattolici caduti nelle mani degli “infedeli” e ridotti in stato di schiavitù. L’Opera Pia si attivava per raccogliere il denaro necessario per ottenere il riscatto. Molti furono i bolognesi riscattati e per ciascuno di essi veniva fissato ai muri della chiesa un cartiglio con appese le catene della schiavitù, sul quale era scritto il nome della persona liberata e la somma versata per liberarla. Ora quei cartigli sono appesi ai muri della chiesa di San Girolamo della Certosa.

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