Almanacco Estivo della Vucciria 2011

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Anno 2 n. 58/59 Agosto 2OII

di Roberto Alajmo

Padri fondatori: Luigi Alfieri, Dario Di Simone, Massimo Palazzo, Mauro Patorno e Alberto Turturici. Copertina & impaginazione: Max & co. Ringraziamo sentitamente tutti coloro che hanno collaborato con noi (anche quelli cui abbiamo bellamente “arrubbato” cose e non hanno fiatato, ma soprattutto quelli che invece lo hanno fatto) e auguriamo - di vero cuore - BUONE VACANZE! Testi, disegni e illustrazioni sono copyright dei rispettivi autori. Potete riprodurli liberamente, basta solo che citiate la fonte. I nostri indirizzi: www.lavucciria.net; www.insertosatirico.com Mail: info@lavucciria.net INSERTO SATIRICO e’ una creazione di Marco Careddu. Finito di impaginare al mare (Magari, sigh...)

Giuseppe Lo Bocchiaro è nato il primo di marzo del ’75 sul tavolo del soggiorno di casa. Fin da piccolo è affascinato dal fantastico mondo dei fumetti e questo amore lo accompagna tuttora. Nel ’97 crea “Burp!”, una serie di strisce pubblicate in due albi autoprodotti in collaborazione con la libreria Altroquando di Palermo. Nel ’99 è selezionato per l’iniziativa “6864 ore al 2000” organizzata dalla Galleria Affiche. Nel 2000 vince, come miglior sceneggiatore, il premio “N.N. Nuvole Nuove – Montalbano a fumetti” (manifestazione a cura della Galleria Affiche). Nel 2003, in compagnia di un gruppo di persone “variamente assortito”, si piazza al secondo posto al premio “Ignazio Buttitta – Tra espressività e grafica” (anche questa manifestazione è a cura della Galleria Affiche). Attualmente, adottando come copertura l’identità di architetto, si aggira nottetempo attorno al tavolo da disegno per tenere fede all’antica passione dell’arte sequenziale.

Il caffè era una roba misteriosa. Lo prendeva mio padre e si metteva un unguento tra i capelli, all’alba (“Da una finestra di ringhiera, mio padre si pettinava. L’odore di brillantina si impossessava di me” – Mal D’Africa). Quando lui e i suoi scarni capelli sono stati inghiottiti da un vortice che non ho ben compreso, mi è rimasto il suo caffè. Ho imparato a sorseggiarlo piano piano, la mattina. E’ l’unico momento in cui posso guardare mia madre e ricordarmi la sua faccia. Perché io lo so già che, prima o poi, un vortice passerà e porterà via anche lei. Allora, cerco di non smarrire i suoi lineamenti alla rinfusa nel vento che verrà. Le parole, quelle non si scordano. Ma restano prive di colore, col fantasma della voce, avvizzite e stese ad asciugare sulla riva destra del rimpianto. Così, prendo il caffè ogni mattina con mia madre e parliamo di quanto è cattivo Berlusconi. E’ tutta apparenza. In realtà, lavoriamo per non perderci. Per trattenere una goccia di amore, nella tazzina del caffè.








di Nazim Hikmet

Il mio funerale partirà dal nostro cortile?

Come mi farete scendere giù dal terzo piano? La bara nell'ascensore non c'entra e la scala è tanto stretta. Il cortile sarà, forse, pieno di sole, di piccioni forse nevicherà, i bambini giocheranno strillando forse sull'asfalto bagnato cadrà la pioggia e al solito ci saranno i bidoni per l'immondezza. Se mi tiran su nel furgone col viso scoperto, come usa qui, forse mi cadrà in fronte qualcosa di un piccione, porta fortuna, che ci sia o no la fanfara, i bambini accorreranno i bambini sono sempre curiosi dei morti.

Giulia Sagramola è illustratrice freelance e vive a Bologna. Giulia è nata nel 1968, nella splendida cittadina di Fabriano (nota per il tabacco e la carta - segno del destino?), In mezzo a tre gatti e due sorelle. Giulia disegna da quando ne ha memoria. Ha iniziato coi fumetti e s’è quindi indirizzata all’illustrazione e alla grafica, aprendo la sua mente a sperimentazioni che non sono ancora terminate. Giulia parla inglese, spagnolo e naturalmente italiano. Sa anche un po’ di francese e sa dire “Ciao” e “Grazie mille” anche in giapponese. Giulia ama un sacco viaggiare e chiacchierare. Se volete sentirla gridare... Beh, datele un po’ di gelato alla liquirizia...

La finestra della nostra cucina mi seguirà con lo sguardo il nostro balcone mi accompagnerà col bucato steso. Sono stato felice in questo cortile, pienamente felice. Vicini miei del cortile, vi auguro lunga vita, a tutti.









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di Mauro Patorno Nato a Palermo in un periodo particolarmente agitato, il piccolo Luigi, all’età di soli tre anni, non poteva certo

Mauro Patorno nasce a Palermo e, stranamente, non se n’è mai pentito. Per sbarcare il lunario le proverà tutte e questo, se mai ce ne fosse stato bisogno, prova più che mai che l’arte d’arrangiarsi è tutta tipicamente meridionale. Vincerà poi, e ancora si chiede come sia stato possibile, un concorso alle Ferrovie dello Stato (oggi Trenitalia). Da allora non fa altro che viaggiare. Cosa che, com’era prevedibile, lo ha portato a sballare completamente. Tanto che, oggi, pratica l’insano hobby di fare satira: attraverso vignette, scritti e oroscopi. Condendo il tutto - per giunta! - con un bel po’ di nonsense e, udite udite, di filosofia. Mah?!?... Ha pubblicato un po’ ovunque: dal Riso degli Angeli al Quotidiano della Satira e ritorno. E’ una delle anime (perdute) e dei padri nobili (?) Della Vucciria.

Sapere che indossare una camicia rossa lo potesse far spedire direttamente in galera. Ma così fu per colpa di una madre invasata e scellerata che, in onor di Garibaldi, accolse i Mille con un ardore talmente ardente da ardere tutta la famiglia. Le guardie borboniche, infatti, non gradirono ed eseguirono. La Vicaria li accolse come ha sempre accolto, ed accoglie ancor oggi, i suoi figli migliori e la galera segnò per sempre la sua idea di libertà e di legami parentali. Il tempo libero, invero, favorì i suoi studi classici ed il futuro del giovane sembrava chiuso tra le pareti di un'aula scolastica. Ma la sua vocazione letteraria lo salvò da un triste destino d'insegnante: stanco di una vita da precario della Lingua Italiana, anticipò la fuga di cervelli portando il suo lontano dalla Sicilia e diventando uno scrittore di successo del genere nazionalpopolare da somministrare a piccole dosi. Vent'anni dopo, come direbbe Dumas padre, la faccenda dell'Unità d'Italia gli sviluppò talmente bene il senso dell'umorismo che il "Capitan Fracassa", predecessore illustre della nostra "Vucciria", lo vide redattore protagonista coi suoi lazzi, frizzi e sgriribizzi satirici. Anche a quei tempi il "Giornale di Sicilia" pubblicava romanzi a puntate sulle vicende dei Governatori dell'Isola e così il nostro conquistò infine il culmine della notorietà con una inverosimile storia di gente dedita a combattere le ingiustizie, cosa che dalle nostre parti non si è mai vista. E se qualcuno ci ha provato ha fatto pure una gran brutta fine. Ma la finzione è l'anima del romanzo e se la vita è un sogno i sogni aiutano a vivere, come direbbe a tarda sera un celeberrimo idiota contemporaneo.


Capitolo I

Sua Eccellenza Don Raffaele Altavilla 'de Lombardi, Principe di Forleone e Salagonia, Duca dell'Alcantara, Cavaliere di Valdemone, Viceré del Regno e Governatore dell'Isola, attraversò la Piazza del Convento a piccoli passi, come per non dare nell'occhio. Per imboccare Vicolo della Sacra Rota piegò su un lato dello slargo passando davanti l'ampio ingresso dell'Osteria Caffetteria della Real Casa; la grande vetrata era ormai quasi completamente ostruita da una selva di tavoli ed uno sbatacchiare di tazze, bicchieri e posate giunse alle sue orecchie accompagnato dalle voci e dai rutti dei bevitori di spuma. Poco vicino un banchetto fumante mostrava enormi lingue di manzo bollite pronte sui taglieri di legno, quarume in cottura e collinette di mussu e carcagnola circondate da corone brillanti di mezzi limoni con fiocchi di prezzemolo a guarnire. Un rivolo giallastro sgocciolava da un angolo della tela cerata ed un cane orbo annusava l'idea di un boccone di carne.

Era già quasi sera. Don Raffaele avanzò schivando le lucide pozze d'unto sul selciato, svoltò a destra e si ritrovò alle spalle del locale, proprio all'altezza delle cucine interrate sul piano della strada. Passò vicino le basse finestre allungate “Sua Eccellenza che davano aria e un filo di luce ai lavoranti: sotto, con gesti veloci e Don Raffaele sicuri, impastavano, spianavano, arrotolavano, imbottivano, spruzzavano, Altavilla de sfornavano, in una babele di fumi, odori, colori e sudori. Dall'ultima Lombardi, Principe apertura oscurata giungeva un forte tanfo di vino ed un mugolio di di Forleone e donna. Salagonia, Duca

dell'Alcantara, Cavaliere di Valdemone, Viceré del Regno e Governatore dell'Isola”

Qui la strada era stretta e silenziosa ed egli, istintivamente, allungò il passo. C'aveva la testa malata. “Maledetta fimmina che m'ha stregato. Mi tocca girare come un ladro nella mia città” pensava gettando basse occhiate d'intorno.

Due crocicchi più in là avrebbe trovato una coppia di Guardie del Corpo, il suo servizio di scorta in attesa da un'ora. Fu la bocca nera di un vicolo, aperta fra gli scuri dei bassi, che gli fece alzare di scatto lo sguardo e stralunare i pensieri. Sentì strascicare dei piedi e due ombre lunghe lasciarono il buio e gli vennero incontro: camminavano a paio, come guidati dalla stessa pensata. Si strinse un poco più al muro per darsi riparo; sotto i larghi cappelli le facce erano pece e non gli riuscì di capire se guardavano lui o le poche stelle del cielo; ma gli sembrò che quegli occhi gli puntassero addosso e gli salì la paura nel petto. La campana della Chiesa del Carmine prese a battere le ore e lui cominciò a contare i rintocchi e le botte del cuore, che parevano facessero a gara per intronargli la testa. I due alla fine gli furono accanto e li seguì scivolare oltre le spalle: non ebbe il tempo di sentirsi al sicuro che percepì uno scatto da un lato e, senza poter fare una mossa qualunque, si ritrovò la testa infilata in un sacco fetente e la punta di un coltello appizzata sul fianco. “Una parola e siete morto!” disse piano l'uomo armato. “Anche con due siete morto!” aggiunse l'altro mentre gli legava uno spago attorno al collo. “ Che c'entrano due?” ribatté il primo. ”Se è già morto con una, come fa a dirne due?” “Meglio essere precisi, con questi qua. Magari pensa che con una è morto e con due no! Così ne dice due solo per salvarsi…non si sa mai.”


“Allora dobbiamo dirgli che anche con tre è morto” “Giusto! Facciamo così: Don Raffaele, se parlate siete morto.” Ma Don Raffaele stava muto: la tela pesante gli accupava il respiro ed un crampo improvviso allo stomaco gli bloccò tutti i pensieri. Il Governatore fu spinto in fondo al budello che aveva sputato i figuri e fatto passare da una porticina quasi nascosta che si aprì cigolando su una piccola stanza quadrata, tutta muri e senza uscita. Un tanfo d'umido veniva dalle pareti cosparse di muffa ed appena illuminate da una finestrella. Mentre uno lo teneva ancora pel braccio l'altro si avvicinò ad un grosso gradino sporgente su un lato, prese un sasso che sembrava stare apposta per terra e ci picchiò sopra tre volte. Qualche istante dopo vibrarono nell'aria due tonfi a risposta. L'uomo diede altri tre colpi e di là ancora altri due. Quello di qua allora ne fece due e di là ne arrivarono tre. Altri due e altri tre. Altri tre e altri due. “Chi fa, sbagghiasti?” chiese il primo. “No, erano tre per due, sicuro!” “E tu prova con quattro! Dopo il quarto botto una voce tuonò nella stanza: “Insomma, cu' è?” “Cavolofiore, sono” “Tu 'na cucuzza si'. Quello è segnale di pericolo. Per farti aprire suona il campanello! Trasìti, va' ” Il gradino sembrò scivolare sul pavimento e si aprì su una botola che lasciò intravedere nella penombra una scala. Gli ficcarono allora le mani sotto le ascelle e alzatolo di peso cominciarono a scendere: arrivati in fondo lo posarono delicatamente per terra e sparirono in silenzio. Qualcuno gli liberò la testa. Stava ora in una specie di grande cisterna scavata là sotto; dieci fiaccole a semicerchio facevano tremolio ed al centro una specie di blocco di pietra fungeva da tavolo. Dentro un cesto troneggiava un gigantesco broccolo viola e vicino un candeliere a dodici braccia. “Dove sono?” riuscì a dire Don Raffaele, guardandosi intorno e dimentico della storia delle parole. “Vostra Eccellenza è nostro ospite” disse una voce di petto. Aveva parlato un gigante alto due metri coperto da un saio nero e con in testa un cappuccio a punta con solo due buchi per gli occhi; usciva da una nicchia nascosta, seguito da altri sei uomini che sembravano la sua copia e che gli si misero intorno. Sentirsi chiamare “eccellenza” ridiede coraggio al nobiluomo. E gli venne anche un poco di rabbia, per la figura da misero che stava facendo. “Ospite una minchia!” esclamò. “Chi siete e come vi permettete? Rapire me, portarmi in questa caverna! Vi farò impiccare!” “Lo dicevo che era meglio accompagnarlo alla Taverna del Roney!” disse piano uno di quelli.

Capitolo II


”Che c'entra la taverna? E poi il Roney è chiuso” gli rispose uno accanto. “Chiuso? Che è lunedì oggi?” “Ma quale lunedì…E' chiuso, per sempre. Fallito!” “Che peccato, mi dispiace…era così bello.” “Insomma chi siete e che volete da me?” “Siamo la confraternita dei Beati Cavoli!” tuonò l'omone, che aveva tutta l'aria del capo. “Cresciamo nell'orto della Giustizia, dove si coltiva la Legge, si concima la Fede, si raccoglie la Speranza dei deboli e degli oppressi. Sappi, Governatore, che sei sotto il nostro sguardo severo. I tuoi soprusi verranno puniti, i tuoi torti raddrizzati. Sappiamo tutto e vediamo tutto. E tanto per cominciare questa storia con Donna Letizia deve finire, ché la setta è piccola ed i fratelli mormorano!” Don Raffaele li guardò abbabbasunuto. “Ma che siete, calvinisti?” “Bada a te e ascolta la tua coscienza. Sei stato avvertito. Ora va e rifletti. Ci rincontreremo”. “Rifletti” mormorarono gli altri in coro. Stava giusto per dire qualcosa ma il sacco di prima gli calò veloce sugli occhi. Di nuovo bendato, fu riportato su per la scala e, attraverso la stanza, fuori per il vicolo. Si ritrovò seduto per terra, in mezzo alla strada; si liberò la vista respirando a pieni polmoni l'aria umida. La via era deserta e sentiva ancora il suo cuore battere forte. Solo un cane gli stava davanti e fissava lui ed il broccolo viola che avea tra le gambe.

Capitolo III

“Spugnina!” chiamò don Raffaele spalancando la porta che dalla sua camera da letto dava direttamente nello studio privato. “Dove sei? Disgraziato. Accidenti a me e a quando t'ho tirato su dall'acqua! Spugnina!” urlò, girando per la stanza come a cercarlo tra il mobilio imponente. Dalle alte pareti, affrescate con scene di caccia e fanciulle in fiore chine su campi di grano, i suoi predecessori sembravano guardarlo camminare tondo tondo nella pesante vestaglia che, svolazzando, sollevava sbuffi di polvere dal pavimento. Disapprovavano, severi e sofferenti, spiaccicati com'erano sulle quelle tele incastrate nelle larghe cornici dorate. Un grande scrittoio al centro era ricoperto da documenti in attesa, tutta roba degna della sua massima attenzione che una nuvola nera, però, al momento offuscava. Dalle pile di fogli e rotoli e libroni svettava una gigantesca piuma variopinta, attaccata al pennino del calamaio in argento massiccio che troneggiava sul lato destro del ripiano. Chiunque l'avesse vista agitarsi impetuosa nell'aria dietro quel muro di carta avrebbe saputo che il Governatore governava, seduto al suo posto e assorto nelle sue gravi incombenze. Ma quella mattina la piuma stava moscia, quasi poggiata sul cavallino rampante che ornava la boccetta d'inchiostro e smossa appena dall'alito d'aria spostata dal quel corpo massiccio nel suo smaniare nervoso. Da una piccola apertura tra due enormi vetrine s'affacciò la testa pelata di Tommaso Buondì, suo segretario particolare. “Eccellenza ha chiamato?” “Ho chiamato Spugnina, ho chiamato, non voi! Ma giacché siete qui procurate di far venire da me Matteo Carezza, fra una mezz'ora.” “Sarà fatto Eccellenza, non vi inquietate, che mi metto in subbuglio pure io! Vi ricordo solo che oggi vanno firmate le grida sulle ronde e sul macinato straniero da far tornare in città. E poi c'è la faccenda…” “Dopo, dopo. E mandatemi quel farabutto, se lo vedete, prima che lo faccia spellare vivo a frustate”.


“Va bene, va bene. Ah, eccolo qua” disse don Tommaso sentendo il servitore entrare alle sue spalle. “Sei arrivato finalmente! Sua Eccellenza ti chiama da un pezzo. Dov'eri? E così ti presenti, tutto strammicato?” Alto tre spanne buone sopra di lui e dalla pelle nera come la notte, Spugnina apparve, un poco sudato per la verità, forse per la corsa, con indosso una camiciola bianco sporco originale che penzolava fuori da un paio di calzoni troppo grandi per lui e che gli si afflosciavano sui giganteschi piedi nudi. “Oui, oui, perdona me padrone, son qui, arrivato. Brutta nuttata vossignoria? Cattivo sonno porta che poi tu nervoso! Faccio lavoro per signora padrona ma sento chiamare e arrivo. E ora mi metto anche a posto vestito. Oui.” “Tieni a posto solo i capelli tu, quelli non te li scombina nessuno” aggiunse il segretario, con una bella punta d'invidia. “Eh, vero. Niente parrucca per me, eh?” E rise, toccandosi la testa ricoperta da un fitto cespuglio di riccioli corvini talmente intricati da sembrare un blocco di lana crespa. Una spugnina, per l'appunto. “Sta' zitto che è meglio, scimunito. E voi andate e non dimenticate di chiamare il Carezza. Che voleva da te la padrona?” “Oh lavoro, tanto lavoro! Padrona dice che io bravo e mi dà tanto lavoro. Io dico che meglio era se andavo con miei fratelli neri in nuovo paese. Paese grande e fratelli tanti: lavoro piccolo, di sicuro, fare un poco per uno.” “Ah, bravo! Ti ho portato via a quel mercante di schiavi per sentirmi dire che era meglio se finivi nelle colonie a coltivare cotone! Dovevo lasciarti affogare come un sorcio nella fogna quando sei caduto da quel parapetto, ingrato! Ma con tutta quella gente che stava a guardare, che figura avrei fatto? ” “Non arrabbiare padrone. Qui solo io nero, voi tutti chiari. Non bianchi come quelli sulla nave, che erano proprio bianchi, anche voi un po' scuri, ma insomma non come me. Io senza fratelli, povero e solo...” “Solo, eh! Prepara la carrozza, quella piccola, e smettila di lamentarti. Sei stato fortunato ad incontrare me, che ti ho salvato dalla schiavitù e ti ho portato qui, in un paese dove tutti gli uomini sono uguali.” Spugnina sgranò gli occhi: “Uguali padrone? Io uguale a te e anche gli altri?” “Certo! I sudditi sono tutti uguali davanti al Re e tutti gli devono obbedienza in ugual modo, senza distinzione alcuna. Non ti sembra giustizia questa? E la giustizia suscita amore e benevolenza; guarda, questo è l'ultimo rapporto che ho avuto: su dieci abitanti di questa città sette si inchinano al mio passaggio, quindi mi amano. Ed amano il Re che rappresento. Gli altri tre fanno gli indifferenti, per partito preso, ma sono certo che anche loro mi vogliono bene.” “Ma tu hai tante cose ed io non ho niente!” “Sciocco! Sono costretto ad avere tante cose, non le ho per piacer mio! Nella mia posizione potrei subire pressioni, condizionamenti, potrei cercare il mio interesse personale nella cosa pubblica. La mia ricchezza mi preserva dalla tentazione: ho tutto e quindi non posso desiderare niente di più! E più ricchezza accumulo e più sto al riparo dalla corruzione e meglio assolvo al mio compito oneroso: sono ricco per garantire il giusto governo al popolo! Tu non hai bisogno della ricchezza, non hai di queste preoccupazioni!” “Che culo che ho…” mormorò Spugnina, sgomento di tali ragionamenti. “Già, tu vivi tranquillo, mentre io devo anche affrontare nemici oscuri…che ne sai tu, povero sciocco. Va' ora, e spicciati.” Il volto del Governatore s'era qui rabbuiato, la voce bassa, come a seguire lo sguardo che fissava un punto, giù per terra, a scavare nelle viscere della città. “Oscuri” gli fece eco con un sussurro il servo inchinandosi e, giratogli le spalle, uscì dalla stanza. Avanzando nel lungo corridoio che lo portava fuori dall'ala nobile del palazzo si sistemò la camicia come poté. Si diresse verso le scuderie: la luce dorata del mattino illuminò la sua candida fila di denti. Era per lo strano sorriso che teneva appiccicato in faccia. (continua...)


Cos’è il Graphic Journalism? È un altro modo di raccontare la realtà in cui viviamo. Così, quando le parole non bastano, le storie disegnate sono meglio degli articoli. «La distanza tra il giornalismo tradizionale e i reportage a fumetti è sempre più sottile. In America li chiamano Graphic Novel, ma forse si può parlare anche di Graphic Jornalism. Nel dibattito su quali forme prenderà il giornalismo nel ventunesimo secolo, il Graphic Journalism non può mancare, accanto a internet e alla fotografia». Così Giovanni de Mauro, fondatore e direttore del settimanale Internazionale, ha introdotto, nell’editoriale n. 14 del 2007, il primo dei Graphic Journalism – Cartoline da Roma di Marco Lodoli e Lorenzo Mattotti - che da quel numero i lettori avrebbero trovato nelle pagine interne, commissionati dal periodico ad alcuni dei maggiori autori italiani e stranieri. E’ una narrazione dei fatti “raccontati” per immagini. Non si tratta di storia, si tratta di vero e proprio giornalismo che, però, viene mediato e rielaborato da un linguaggio “lento”: il fumetto, infatti, può essere pubblicato anche a distanza di sei mesi (o ben di più) dai fatti di cui narra, senza alcuna pretesa di fornire al lettore informazioni in tempo reale. In genere il giornalismo si serve del fumetto solo per la satira, mentre i “graphic journalist” ne fanno un uso nuovo, rivelandone potenzialità sorprendenti, nel documentare complesse situazioni umane e politiche. A differenza di chi lavora con la fotografia e il video, supporti usuali del giornalismo, il disegnatore non deve solo catturare le immagini, ma deve stratificarle nella propria memoria emotiva, per poi ripeterle in ogni Mauro Biani nasce, per nostra immensa riquadro. Così, queste tavole, dal fortuna, a Roma nel 1967. tratteggio preciso e dagli sfondi Ma siamo più che certi che voi non volete davvero sapere chi sia Mauro Biani, giacché - anche di ciò siamo più che dettagliati, cariche di un diverso senso certi - voi già sapete chi è Mauro Biani. O no? del tempo, hanno spesso quella forza Non volete che vi diciamo che è stato fra i fondatori di di verità che viene dalla partecipazione Paparazzin, Emme, Mamma e tante altre piccole o grandi riviste/inserti di satira fra i più importanti del profonda a ciò che si documenta. Una panorama italiano. E, sicuramente, non volete verità spesso nascosta ai e dai media, nemmeno sapere quanti premi ha vinto, fra cui ben due “Premio Satira Forte dei Marmi” ma che, per fortuna, viene gridata a il più importante in Italia. No, voi gran voce dal Graphic Journalism. non volete sapere tutto ciò. Perché già lo sapete e noi non abbiamo mica voglia di ripetervelo. Giusto o no?









di Roberto Alajmo All’apparenza può sembrare una questione di poco conto. La voce dell’aeroporto dice:

Giuliano Kangiano dice di sé: nasce all'alba degli squafidi anni Ottanta. Ha le sue prime polluzioni col lapis in tenera età e, rapito dal rapporto con la mano destra , si laurea presto in filosofia . appunto. redattore di una defunta testata antimafiosa, ferito lui medesimo, non smette di farsi pubblicare, qua e là per lo stivale e oltre , fumetti e vignette che gli costeranno, se non la vita, la serenità. siciliano di pacca, permette a potentati pubblicitari delle sue parti di sfruttarlo per le sue doti, nel frattempo straforate nel digitale, a costo zero. e questa è la gavetta. salpato per la capitale, dopo un'annosa/amorosa incursione in teutonia , al volger del quarto di secolo, si ritrova coinvolto nell'infausto mondo della moda - lui che veste démodé . ha il tempo di illustrare fiabe per bambini, e ciò lo diverte. nei quarti d'ora liberi porta in giro per il mondo , assieme ad altri due degni di nota, una performance audio -video-illustrata su sicilia e sicilie. promette di imparare ad animare e col web si paga le merende. Gianluca Ferro: scrive a ruota. A noi il piacere di essere arrotati ogni tanto

«Il signor Palla Pinco è pregato presentarsi all'uscita sei». Passa qualche minuto e: «…Palla Pinco è pregato presentarsi…». E ancora: «…pregato presentarsi». Pregato. Presentarsi. Non "pregato di presentarsi". Pregato presentarsi. Senza il di. E questo perché? Forse il di viene considerato un inutile orpello. Forse passare direttamente da "pregato" a "presentarsi" sembra più ultimativo. Forse è un tic linguistico. Forse fra dieci anni tutti quanti diremo: «Sei pregato presentarti accompagnato dai genitori». Forse la particella di fra dieci anni sarà l'equivalente degli odierni "poffarbacco" e "corbezzoli". Forse per non farsi ridere dietro bisognerà dire: «cerca essere prudente» e «giuro esserti fedele». O forse è solo una annunciatrice sciatterella. Ma poi sali sull'aereo, parti, arrivi, sbarchi e l'altoparlante dell'aeroporto di destinazione ripete: «Il signor Palla Pinco è pregato presentarsi al banco informazioni». Ora, – a parte che il signor Palla Pinco potrebbe cercare di rendersi un tantino più reperibile, ovunque egli sia – la coincidenza fa pensare. Perché tutte le voci di tutti gli aeroporti dicono "pregato presentarsi"? Anzi: perché, fateci caso, la voce è la stessa in tutti gli aeroporti? Lo stesso timbro, identico, che gestisce i ritardi, gli smarrimenti e le comunicazioni di servizio di tutti gli scali del paese. Bisogna dedurne che si tratti di una singola annunciatrice superstressata e onnisciente (superstressata in quanto onnisciente) capace di concepire e smistare tutte le piccole emergenze degli aeroporti d'Italia, forse del mondo e dunque dell'universo. Praticamente questa signorina è Dio.







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“...ma per carità, niente quadretto familiare, niente bozzetto patriottico, niente oleografie pateticosentimentali; non storie lacrimevoli di piccoli saltimbanchi maltrattati o di spazzacamini affamati, né drammetti pietosi di orfanelli e trovatelli derelitti; non gesti edificanti di scolaretti probi né nobili azioni di balilla eroici. E soprattutto nessuna preoccupazione moraleggiante ed educativa. Càpita così di rado che i bambini si possano portare a teatro: quelle poche volte che càpita, facciamoli ridere, poveri piccoli; e non stiamo lì col fucile spianato della morale, della religione, dell’amor proprio, dell’educazione... Facciamoli ridere, vivaddio, a teatro: ché ogni loro risata accenderà un raggio in più di felicità nella loro esistenza, predisponendoli così all’ottimismo e risvegliando in essi il senso della bontà; più benefica quindi dei predicozzi, dei pistolotti e, soprattutto, della retorica.” (Sergio Tofano, “Recitare per i bambini, SCENARIO, 1937)

Andrea “Andy”Ventura, Classe 1983. Nato, cresciuto e pasciuto a Frascati (Roma). Diplomato grafico pubblicitario, laureato tragicamente in Scienze della Comunicazione, munito di tesserino da pubblicista/giornalaio. Grafico, Illustratore, infine Vignettista da due anni. Cinico creatore di balloon satirici pubblica attualmente su: Il Vernacoliere, Il Misfatto, Mamma, Il Caffè, Acqua & Sapone, la Vucciria.com, Veleno, Scaricabile, Inserto Satirico, Terra e in molti altri siti di Satira.




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