Ennio Morricone interview

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storie di artisti, dischi e canzoni

#2 • gennaio-febbraio 2009 •  8,00

SPECIALE MINA

Alberto Testa: Grande, Grande, Grande

ENNIO MORRICONE L'ispirazione non esiste (Meglio la zuppa inglese)

BEAT ROSA Le Ragazze dei Capelloni

PEPPINO ENZO DI CAPRI JANNACCI Gli anni dei Rockers

La Discografia Integrale

Il Genio

Il ritorno della Cramps

Un ragazzo di strada I Corvi

Angela Luce Ora canto Totò

Georges Brassens Traduttori e Traditori

Lou Reed

Intervistato da Franco Schipani


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L’ISPIRAZIONE NON ESISTE (MOLTO MEGLIO LA ZUPPA INGLESE) Ottant’anni lo scorso novembre, Ennio Morricone è il musicista italiano più conosciuto e osannato nel mondo. In questi giorni sta completando la sua ennesima colonna sonora (per il nuovo film di Giuseppe Tornatore, Bàaria) e con moderato compiacimento assiste alla pubblicazione di un corposo cofanetto che in 15 CD riassume la sua straordinaria avventura nella musica. Ma non pensate a un uomo in vena di autocelebrazioni: Morricone vive fortissimamente nel presente, sbeffeggia la retorica dell’ispirazione artistica, pronostica una nuova insperata giovinezza alla musica italiana e agli organizzatori del Festival di Sanremo lancia una spiazzante provocazione: il cantante unico. Conversazione con Ennio Morricone di Maurizio Becker Che tipo di bambino era? In famiglia ero soprannominato “Fastidio”. I miei nonni, mia madre, mio padre, tutti mi chiamavano così. Ero un rompiscatole, non ero mai contento. Insomma, rompevo i coglioni. Cosa sognava di fare da grande? Il medico.

curava i figli di Mussolini. Vedendo come era considerato, mi immaginavo che da grande avrei potuto diventare un dottore come lui. E invece è diventato Ennio Morricone. Non è un caso che anche suo padre fosse un musicista… No, suonava la tromba.

Perché il medico? Avevo come pediatra un medico stratosferico, il professor Ronchi. Quello che

Qual è la differenza? Che per lui la musica era un mestiere, serviva a vivere, a guadagnare il denaro necessario a mantenere la famiglia. Fu suo padre a indirizzarla verso la musica? Sì, fu lui. Mi spinse a studiare la tromba. Poi, studiando,

capii che mi piaceva scrivere musica. Quando? Intorno ai sei anni. Mio padre mi insegnò la chiave di violino, e io subito feci delle composizioncine per due corni. Erano delle cacce e mi divertii molto a scriverle. Ma erano delle cose abbastanza schifose, come si può immaginare… Infatti dopo qualche anno le ho buttate via. Quando è avvenuto il primo incontro decisivo della sua vita? Quando studiavo tromba al conservatorio. Facevo un corso supplementare, quello di armonia complementare, e lo completai in pochissimo tempo. Eravamo due allievi, io e Marafelli, che studiava clarinetto. Il maestro, che si chiamava Caggiano, ci fece fare il corso di armonia principale, e notò che io procedevo con grande facilità, così in 6 mesi mi fece completare il programma di 4 anni. Alla fine mi disse che

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MASTER TAPE: Ennio Morricone secondo lui avrei dovuto studiare composizione, perché avevo grandi qualità. Tanto che andava a portare i miei compiti nelle varie classi di composizione e di armonia complementare, per mostrare a tutti i suoi colleghi come lavoravo. Feci tesoro del suo consiglio e una volta preso il diploma di tromba, iniziai lo studio della composizione. Ricorda la prima emozione musicale forte della sua vita? La soddisfazione che provai nel vedere questo maestro Caggiano andare in giro per le classi orgoglioso dei miei compiti. Cosa pensava di tutto questo entusiasmo? Mi sorprendeva, non me lo aspettavo. Mi sembrava di fare cose abbastanza normali. Invece lui quei miei esercizi li trovava molto promettenti. Cosa ci trovava, secondo lei? La correttezza dell’impostazione, la musicalità, l’interpretazione dei bassi, delle melodie, orizzontalmente melodica e verticalmente armonica. Forse tutte queste cose insieme. E naturalmente l’elaborazione delle varie parti. Tutte cose che ai profani che leggeranno questa intervista diranno poco. Com’era suo padre? Una bravissima tromba, capace di suonare un po’ tutto: il jazz, il sinfonico, la musica da camera. Aveva una professionalità enorme, era molto impegnato nel lavoro: suonava sempre, il giorno, la sera, al teatro dell’Opera, tutte le volte che lo chiamavano. Era un freelance? Sì. Aveva scelto la professione libera, perché così guadagnava di più. E poi, era una delle trombe preferite dai vari compositori e direttori quando si registrava la musica per il cinema. Fu suo padre a introdurla nell’ambiente? Sì, incominciai a suonare in orchestra con lui. E dal punto di vista umano, come lo ricorda? Era un uomo molto dedito alla famiglia, molto attento ai doveri e ai diritti. Lei iniziò molto presto a seguirlo nei locali dove suonava. Come è stato quel periodo? Quando cominciai, a Roma c’erano 20

ancora i tedeschi, poi ci fu l’arrivo degli alleati, soldati americani, inglesi, canadesi. La sera io andavo a suonare per guadagnare qualcosa da portare a casa. Era un periodo duro, era difficile trovare da mangiare. Quindi per me fu un’esperienza un pochino dolorosa. Quanto si riusciva a guadagnare, suonando nei locali? In realtà, neppure ci pagavano. O meglio, non tutti. I tedeschi avevano un locale che pagava in danaro. Gli americani invece ci davano sigarette e cibo. Il cibo lo portavo a casa, le sigarette le vendevo. Ripeto, era un momento molto triste. La guerra perduta passava quasi in secondo piano, perché in fondo ancora non c’era una vera e propria coscienza politica. Avevamo altro per la testa: si faticava a vivere. Ma la musica non rappresentava una gioia, un motivo di speranza? Mah… Questo fatto di usare la tromba, uno strumento che io non avevo neppure terminato di imparare a suonare, per guadagnare dei soldi da portare a casa, era una cosa molto mortificante. Tant’è vero che appena ho potuto, ho lasciato la tromba.

Che tipo di repertorio si suonava? Allora c’era l’importazione di pezzi standard americani classici, già strumentati, con arrangiamenti stampati su spartito in America e spediti in Europa al seguito delle truppe. Si suonavano quelle cose lì. Ricorda i luoghi? Io suonavo in

due alberghi. Per gli americani al Mediterraneo in via Cavour, vicino la Stazione Termini. Proprio di fronte c’era il Massimo D’Azeglio, dove invece andavano i militari canadesi.

la proclamazione della Repubblica. Cominciai a lavorare come seconda tromba aggiunta, o terza tromba, al Teatro Sistina, dove sono rimasto per molti anni. Ho lavorato con le compagnie di rivista, come seconda o terza tromba fissa.

Che tipo di gruppi erano? L’orchestra che suonava per gli ameVale a dire? ricani era una classica jazz band: 3 Le compagnie si portavano appresso trombe, 2 tromboni, 4 sassofoni, i loro strumentisti, io pianoforte, violino, contrabbasso, batteria. Insomma, una formazione costruita sul modello americano. Quella che suonava per i tedeschi era invece più un’orchestrina, con tromba, clarinetto o sassofono, violino, pianoforte, contrabbasso, batteria. Quando le venne voglia di strumentare i pezzi per conto suo? Quando la situazione si stabilizzò, con


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Nella foto: Lelio Luttazzi accanto al suo mentore, Gorni Kramer. Sotto: a lungo seppellite negli archivi di Radio Rai, le mitiche esecuzioni live del programma Nati per la musica rivedono la luce grazie all’omonimo CD prodotto nel 2008 da Twilight Music per la speciale etichetta Via Asiago 10.

QUEL RAGAZZO

TIMIDO E GENIA LE

Il primo arrang colo fa. E c’è so iamento scritto da Ennio Mor ri ltanto una pers ona in grado di cone per la radio risale a oltr e mezzo sericordarne il ti Due chiacchiere con tolo. Lelio Luttazzi

di Maurizio Becker

Quindi lo convocas te… Sì, lo incontrai e gli aff Gli chiedevate anch idai questo compito. e interventi di stamp Luttazzi, lei è stato o jaz zistico? il primo a ingaggia re Ennio Che impressione ne ebbe? Morricone come ar No . Le ca nz rangiatore. L’occasio oni americane non era Era molto timido. Mi ne fu no il suo guardava dal basso un programma rad mondo. E neppure cre in alto, iofonico intitolato “M ma è naturale che fos do gli interessassero. att se così: ai suoi occhi i per la musica”. Pre fer iva armonizzare in un io ero un nome affermato, a forma classica. lui invece era sempli Sì, nella stagione ’53 cemente Aveva l’a -54. Si trattava di un un rag az zo ch e bitudine di trattene studiava la tromba. programma settimanale rsi con voi, fatto con due orchestr per assistere alle pr e, una Gli diede delle indica in prevalenza di archi ove? zioni a cui attenersi? e una in prevalenza No , mi portava il suo arr di fiati. No, direi proprio di no Le orchestre erano aff angiamento e spariva . Gli chiesi solo se co idate a Gorni Kramer . Tanto che, una volta nosceva la musica dei ea me. Ogni settimana finito il programma, grandi compositori cla Gorni veniva giù da no n lo vid i più e ssi no ci. n Mi Lui mi rispose che sì, ne seppi più niente. lano per la diretta. un po’ la conosceva. Nient’altro. La settimana Pe r qu an to tem do po? po si presentò con l’a Che tipo di reperto rran- Probabilmente rio sceglievate? giamento di una canz fino a quando lui non one trattata come se Un po’ di canzoni ita compose la fosse liane popolari, ma so una fuga bachiana. sua prima musica da prattutto pezzi americani film, che è stata quell arrangiati all’america a per Il federale se ben ricord Il titolo? na, come piaceva a noi. o. Di persona lo incon Del resto Kramer è sta trai di nu ov o soltanto molti anni to l’an- Credo fosse Solo me ne tesignano dell’import dopo, e in un’occasion vò per la città. Quell azione del jazz in Ita fun e est a: all a chiesa sull’Aventino a di Eros Sciorilli. lia, prima della guerra, e , per il funerale di io ero un suo seguace Pie ro Pic cio ni. In quel gruppuscolo di . Era buono? amici e colleC’era l’esigenza di ghi, rividi Ennio: mi ve appoggiarvi ad altri nne vicino e ancora un Il co ar pis ta trascrisse le parti, rangiatori? a volta eb be lo stesso atteggiamento le distribuimmo ai dimesso, quasi umile musicisti e lo provamm No, fino a quel mome de , l no str o o su pri bit mo incontro. Nonosta o. Be’, era perfetto. nto non c’era bisogno nte nel fratdi Una cosa da non credere. altri: mi pare di ricord tempo fosse diventat are che gli arrangiame o quello che era diven nti Che cosa li facevo quasi tutti io. tato. la colpì di quell’arran A un certo punto pe Cosa vi diceste? gia rò, me qualcuno – ma non nto ? La tre me nda cultura musicale potrei dire con certe Mi sussurrò qualcos zza chi, piv che tradiva. Si caa del tipo: “Grazie, se probabilmente il dir a che era opera di un igente dell’EIAR (R AI) non fos se stato per te…”. Ma mu sic ch ist e se- di tra a ge guiva il programma nia le, sono certo che anch ca pa ce ttare una banale canz – ci propose di esegu e lui sap ev a di esagerare. Vogli onetta come se fosse ire un pezzo arrangiato in o dire: se non l’avessi una composizione di modo classico, alla Be ch iam mu ato sica colta, senza però io, nel giro di due me ethoven ter o alla Mozart, per int al- mato si l’avrebbe chiaarne la melodia. La str enderci. Fu lì che pe qualcun altro. Afferm uttura dell’arrangiansammo me di chiamare qualcun arsi nella musica era nto era esattamente o: io non sapevo pro su il o destino. Semmai, so come l’avrebbe conc prio da che parte cominciare, no io che forse dovre epita ch un Bach. Rimasi allibi Kramer dal canto su i ied erg to nel vedere cosa era li scusa… o (che probabilmente ne sar stato capace di fare quest ebbe anche stato ca o ragazzo sconosciuto pace, E perché era un genio pe rch é : io mai? no mi sarei neanche lon n ) non aveva voglia di tanamente sognato farlo: in un C’è fondo lui era interessa un a di co far sa che ancora oggi mi e a cosa del genere. E no to a dirigere e basta provoca un certo n solo perché ho stu . senso di colpa: il suo diato poco: lì c’era pro Come arrivaste a Mo no me no n fu mai citato, nel pri o il segno di un grand rricone? corso della trasmission e talento. Qualcuno ci segnalò e. il nome di un ragazzo , un ra- Fu Possibile? gazzo di famiglia um quella l’unica volta ile se non sbaglio, ch che gli commission e stuMi sembra che le co diava la tromba e ve ò un ar ran gia se siano andate propri niva descritto come mento? una o così, anche se al tempo ste specie di studioso di No: da lì, non so per sso ne sono un po’ so musica. Ci dissero ch quante altre puntate, e forse rpre lui era la persona ad so , pe En rch nio é seg sarebbe stata davvero uitò a scrivere arran atta per le nostre esi giamenti di quel tipo una mangenze. canza imperdonabil per Matti per la musica. e: troppo egoistico, o forse troppo egocentrico, da parte nostra. 21


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MASTER TAPE: Ennio Morricone

Il Gruppo d’Improvvisazione Nuova Consonanza: Walter Branchi, Mario Bertoncini, Egisto Macchi, Franco Evangelisti, Ennio Morricone e John Heineman. La foto è stata scattata nello studio dell’International Recording, durante la registrazione di un disco per la Deutsche Grammophon. Roma, 1969.

invece ero fisso al Sistina. Quindi mi sono fatto tutte le riviste di quel periodo. Fu lì che cominciai a interessarmi agli arrangiamenti, a capire i meccanismi. Partii da lì. Che età aveva? Diciotto, diciannove anni. Come arrivò al Sistina? Mi hanno chiamato.

C’era un sindacato che forniva i musicisti ai teatri? A quell’epoca ero già diplomato e quindi ero iscritto al collocamento. È possibile che la prima volta mi abbiano mandato loro, ma non lo ricordo. Poi iniziò ad arrangiare per conto di altri maestri…

Già allora era uno stakanovista… Eh sì, lavoravo parecchio. Io mi sono fatto largo così, col lavoro. Facevo anche le sincronizzazioni delle musiChe tipo di vita faceva mentre stu- che per il cinema, un’esperienza preziosissima che mi aiutò a capire i diava composizione? meccanismi dei rapporti fra i direttori Continuavo a suonare e facevo ard’orchestra, i compositori, gli arranrangiamenti. Era un lavoro abbastanza totalizzante. giatori, i registi e i montatori. Perché Questo avvenne molto più tardi, quando iniziai a lavorare per la radio, per la televisione. Già studiavo composizione.

IL SUBLIME DEL POP: 16 ARRANGIAMENTI DA MANUALE

Il barattolo (Gianni Meccia)

Sapore di sale (Gino Paoli)

Gianni Meccia – 45 giri RCA Camden CP 71/A (1960)

Gino Paoli – 45 giri RCA Italiana PM 3204/A (1963)

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C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones (Franco Migliacci / Mauro Lusini) Gianni Morandi – 45 giri RCA Italiana PM 3375/A (1966)


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il cinema è una macchina complessa. Quando ho avuto l’occasione di comporre la mia prima colonna sonora, ero preparato, già sapevo cosa fare. Sta parlando de Il federale. Era il 1961 e a quell’epoca aveva già preso moglie. Ho sposato Maria nel 1956. Il 13 ottobre. Dove vi siete conosciuti? Mia moglie era l’amica del cuore di mia sorella Adriana. La conobbi in un momento drammatico: aveva appena avuto un incidente d’auto insieme al padre, si era rotta due vertebre ed era ingessata dal torace in su, testa compresa. La vidi e decidi di sposarla senza neanche sapere se si sarebbe mai rimessa in piedi, perché correva il rischio di rimanere paralizzata per tutta la vita. Ma a me non importava. Com’era il rapporto di sua moglie con la sua musica? È cresciuto nel tempo, ora è molto più attenta e coinvolta. Una volta quasi non si interessava a quello che facevo, anche perché si trattava di un lavoro più oscuro, meno appariscente. La prima volta che riuscì a sorprenderla? Quando mi diplomai in composizione. Eravamo d’accordo che per ogni voto lei mi avrebbe regalato un etto di zuppa inglese, la mia passione: io presi il massimo dei voti e lei me ne dovette comprare un chilo. Parlavamo di come lei stava allargando il suo raggio d’azione… Nel frattempo arrivarono gli arrangiamenti per la radio, per la televisione. Chi furono i primi a credere in lei? Ho lavorato con Gorni Kramer e Lelio Luttazzi, in una trasmissione intitolata Nati per la musica. Ma anche con le orchestre di Carlo Savina, di Brigada, di Angelini, di Fragna, di Canfora, un po’ di tutti quelli che sono passati per Roma. Qual era la sua specialità? Facevo di tutto: arrangiamenti jazz, per archi, sinfonici. Infine, arrivarono i dischi. Fui chiamato dalla RCA, che era sul punto di fallire, e arrangiai una canzone di Gianni Meccia: Il barattolo.

Guarda come dondolo (Carlo Rossi / Edoardo Vianello) Edoardo Vianello – 45 giri RCA serie Europa PM 3100/B (1962)

CRONACA DI UNA RIVOLUZIONE Ennio Morricone, The Complete Edition di Guido Michelone i fronte a un musicista geniale, eclettico, versatile e prolifico come Ennio Morricone, la pubblicazione di un box retrospettivo di 15 CD non deve affatto stupire. Realizzato dalla GDM Music di Gianni Dell’Orso e distribuito a un prezzo decisamente contenuto (59 euro) dalla Edel, Ennio Morricone The Complete Edition rende finalmente giustizia all’arte sublime, quasi mozartiana, di questo compositore straordinario e forse unico nella storia della cultura moderna. In circa sessant’anni di attività creativa, Morricone ha frequentato e interpretato pressoché ogni genere, stile, filone e linguaggio musicale. Rispetto ai 500 soundtrack, ai 110 brani dotti (o “musica assoluta”, secondo la sua definizione) e alle centinaia di arrangiamenti, scritture e orchestrazioni per la produzione leggera (e cioè alla cosiddetta “musica applicata”) che egli ha prodotto, questo granitico blocco di 262 incisioni resta per certi versi un’antologia quantitativamente limitata, eppure senza dubbio rappresenta il primo tentativo serio di fotografare una realtà creativa tanto complessa e articolata al di là dei tanti, troppi “Best of” esistenti sul mercato. Il merito, ancor prima che ai curatori Gianni Dell’Orso e Claudio Fuiano, va al Maestro, che supervisiona personalmente l’intera operazione e mette ordine nel suo affollato patrimonio musical-cinematografico grazie all’adozione di un semplice ma efficace criterio: un solo brano per ciascun film (qui 168 in tutto), in modo che la raccolta offra anzitutto un’attendibile panoramica dell’attività per la quale è universalmente noto. Nonostante l’impegno distribuito in ogni possibile sviluppo dell’universo a sette note (non esclusa l’improvvisazione radicale nel Gruppo Nuova Consonanza), il Morricone qui raccontato è quindi soprattutto lo scrittore di colonne per il grande schermo (9 CD) e per la TV (2 CD), e soltanto in seconda battuta anche l’esponente di spicco della classica contemporanea (1 CD) e della musica leggera (3 CD). I dieci dischi dedicati al cinema segnano un rigoroso percorso cronologico, che inizia con i titoli di testa de Il federale (1961) e si conclude con il lungometraggio Risoluzione 818 (prodotto nel 2008 e ancora inedito). In mezzo, i capolavori che tutto il mondo conosce. Ascoltati di fila, uno dietro all’altro, non fanno che confermare quello che già sospettavamo: che più d’una volta, grazie a Morricone, le musiche sono state più belle dei film medesimi. Ciò nonostante, con la sua proverbiale umiltà, da sempre il Maestro sostiene di elaborare i suoi suoni al servizio delle immagini, evitando ogni tentazione di prevaricazione o di protagonismo. In tal senso, Morricone appare una sorta di mozartiano epico, un illuminista romantico dei giorni nostri. Per entrare nello specifico, si possono sintetizzare in quattro i suoi approcci al suono filmico: la rivoluzione pop compiuta a metà dei Sessanta, con i motivi per i western-spaghetti; i paralleli sperimentalismi nel giovane cinema d’autore; la strabiliante routine dei Settanta (con punte di 24 colonne sonore in un anno), coesa ai film di cassetta; la progressiva sintesi maturata dagli Ottanta in poi, soprattutto per le grandi regie, dove le matrici colte vanno a integrarsi con le radici vernacolari. Nei CD interamente “cinematografici” (1-9) sono altresì numerose le chicche, complice anche il metodo di selezione scelto da Morricone, che opta per temi rispondenti al gusto personale (e quindi non necessariamente i più noti e osannati). Fuori dal cinema (e dalla TV, 10-11) l’aspetto meno rilevato dal box è quello classico (12), con appena sei brani, perdipiù relativi a un lasso temporale abbastanza ristretto (1986-1995). La musica leggera è per fortuna ben evidenziata nella triplice valenza di Original Songs (13), Orchestral Arrangements (14) e Hit Songs Arrangements (15). Le canzoni originali di Morricone risultano ancora una volta collegate al piccolo o al grande schermo, da Se telefonando (Mina) a Here’s To You (Joan Baez), forse i due pezzi più celebrati, non senza dimenticare le finezze di Quello che canta (Tenco), Pioggia sul tuo viso (i Sorrows) e il contributo vocale di interpreti quali Domenico Modugno, Sergio Endrigo, Milva, Demis Roussos, Amii Stewart e, in tempi più recenti, Andrea Bocelli, Peppe Servillo degli Avion Travel e Antonella Ruggero. Da riscoprire e da rivalutare, infine, il frutto del suo impegno come staff arranger della RCA Italiana, quando Morricone inventa sonorità modernissime per canzoni da hit parade (Sapore di sale, Il mondo, Guarda come dondolo, La fisarmonica ecc.), offrendo una orgogliosa risposta italica al Wall Of Sound dell’americano Phil Spector: uno stretto connubio fiati/archi nell’introduzione, nei riff e nell’accompagnamento, dove le nuove istanze ritmiche (provenienti dal pop e dal rock d’importazione) vengono corrette o ampliate da una sensibilità melodica che per molti versi fa presagire la svolta che, di lì a breve, imporrà alla musica leggera italiana un certo Lucio Battisti.

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MASTER TAPE: Ennio Morricone Prima ancora, però, le avevano affidato Roberto Altamura. È vero: Altamura, un baritono basso che cantava molto bene. Ma quello fu un lavoro casuale, capitato così. Per Meccia invece mi chiamarono appositamente. Ora che ci penso, prima ancora, sempre per la RCA, feci degli arrangiamenti per Mario Lanza, che furono diretti da Franco Ferrara. Quindi all’epoca del mio primo film la sapevo già lunga, su questa professione.

E fu lì che lei ebbe una grande intuizione: applicare gli insegnamenti della musica colta – in particolare di quella del Novecento – alla musica leggera. Fu difficile imporre quest’idea ai suoi committenti? Queste sperimentazioni facevano indubbiamente grande effetto, ma allo stesso tempo erano inaspettate,

Com’erano quei suoi primissimi arrangiamenti discografici? Quelli per Altamura e Lanza? Be’, senza saperlo, erano già qualcosa di non standard, portatori di una certa evoluzione. Con Mario Lanza, ad esempio, utilizzai il coro e non era una cosa molto comune per delle canzoni napoletane. Furono accolti bene? Lanza ne era entusiasta, come del resto il Maestro Ferrara e i professori dell’orchestra. Forse perché in quel momento c’era una forte spinta a un’evoluzione stilistica, soprattutto nel campo della canzone napoletana. Chi erano, in quel momento, gli arrangiatori considerati più innovativi? Non saprei rispondere. Io non ascoltavo nessuno. E quando mi capitava di ascoltarne qualcuno, un po’ ne restavo deluso: scrivevano degli arrangiamenti molto elementari, standardizzati, sempre uguali, senza guizzi o invenzioni.

Erano tanto ostici? Un arrangiamento standard, di quelli che si facevano per la radio magari, lo si metteva giù in un’ora. Questi arrangiamenti qui prendevano molto più tempo. Lei rivendica di non essersi formato ascoltando i dischi. È così. Io dovevo studiare, e contemporaneamente avevo la necessità di lavorare. Non avevo tempo per i dischi. Perciò i dischi degli altri, i dischi americani soprattutto, non li ho mai frequentati. Mi dicono che altri passavano le ore a studiarli, a cercare di capire cosa faceva il contrabbasso, o il pianoforte, in quel dato brano. Lo facevano per farsi venire delle idee, io forse non ne avevo bisogno. Avevo studiato, e mi bastava. Tanto comunque rischiavo del mio e proponevo delle cose che erano fuori dallo standard normale. E infatti scandalizzavo. Tanto è vero che per anni sono stato una specie di UFO: per i classici ero un jazzista, per i jazzisti invece ero un classico. Non sapevano proprio dove collocarmi. Però lei era pur sempre un ragazzo, la musica le arrivava comunque, i dischi intorno a lei erano suonati dappertutto… Ma io suonavo. La musica degli altri mi arrivava suonando. Sentivo le cose belle

Te lo leggo negli occhi (Sergio Bardotti / Sergio Endrigo)

Il mondo (Gianni Meccia / Italo Nicola Greco-Carlo Pes-Jimmy Fontana)

Dino – 45 giri ARC AN 4023/A (1964)

Jimmy Fontana – 45 giri RCA Italiana PM 3316/A (1965)

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dunque erano accolte con una certa titubanza. Diciamo che erano gradite per i risultati, ma sgradite per le difficoltà che comportavano nella loro realizzazione.

O mio signore (Mogol / Edoardo Vianello) Edoardo Vianello – 45 giri RCA Italiana PM 3237/A (1963)


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come quelle brutte, sia al Sistina sia nelle sale di registrazione dove lavoravo alla musica per il cinema. La mia pratica era quella. Le fu difficile affrontare il suo primo ingaggio come compositore per il cinema? Scrivere la musica per Il federale? Per niente. Avevo suonato in parecchi film, quindi sapevo come muovermi. E poi con Salce avevo già lavorato in due commedie musicali: La pappa reale di Félicien Marceau e Il lieto fine, con Alberto Lionello e Lauretta Masiero. Quella in cui per la prima volta apparve il giovanissimo Edoardo Vianello? Giusto, Edoardo fece una specie di comparsata a Cinecittà, cantando una mia canzone. Perché le canzoni per quello spettacolo le scrissi io. Trovava anche il tempo di scrivere le canzoni? Quando serviva, le scrivevo. Lo facevo senza problemi. Con la discografia era entrato in un meccanismo nuovo, molto più complesso e sofisticato… Ormai ne sapevo a sufficienza. Quando mi offrirono un contratto alla RCA, entrai trionfante: come ho detto, la RCA era in fin di vita, e il successo de Il barattolo di Meccia rimise in piedi la società. Quindi entrai con una certa spavalderia, ero tranquillo. I problemi semmai sono venuti dopo. Quando? Quando ogni volta sentivo che da me tutti si aspettavano un altro successo. Dopotutto, la forza della RCA rispetto a tutte le altre case discografiche italiane era proprio questa ricerca continua, quasi ossessiva, del successo. Dunque avvertiva una certa pressione… Non c’è dubbio: c’era un tormento creativo, per gli arrangiamenti. E c’erano dei periodi di vera sofferenza, soprattutto quando un disco non andava bene: un disco che andava male dava molto fastidio, perché era una sconfitta, per la casa discografica e per tutte le persone che vi avevano lavorato. Ma capita, non tutte le ciambelle riescono col buco.

Il Maestro brinda al successo di In ginocchio da te: con lui, festeggiano il Presidente della RCA Italiana Giuseppe Ornato, il compositore Bruno Zambrini, la star Gianni Morandi (con LauraEfrikian), il produttore e paroliere Franco Migliacci e l’assistente musicale Ettore Zeppegno. Roma, 1964.

Che differenza c’era fra il comporre per il cinema e l’arrangiare canzoni per la RCA? Era completamente differente. Nel cinema dovevo scrivere io la musica, dopo aver discusso con il regista la storia e le direttrici estetiche. Alla RCA mi davano una canzone, che il più delle volte era soltanto un motivetto con delle melodie e delle armonie che spesso andavano anche corrette. In un certo senso, la responsabilità era maggiore, perché lì l’opera dell’arrangiatore assumeva un’importanza fondamentale, quasi decisiva. La qualità degli arrangiamenti è stata un fiore all’occhiello dello stile RCA… Prima dell’invasione degli americani, che a un certo punto appiattirono tutto imponendo uno standard, l’arrangiamento era una faccenda molto seria. C’era uno sforzo creativo. Questo avvenne essenzialmente con me e con Bacalov, che più o meno nello stesso periodo entrò anche lui alla RCA.

a quella che avvertivo quando scrivevo gli arrangiamenti per i dischi della RCA. Crede di aver trovato la sua cifra sin dal primo film? In quel momento credevo di sì, sentivo di avere le carte in regola, senza debolezze. Andando avanti, mi sono posto dei problemi, che poi sono i problemi musicali tipici di un compositore deciso a dare il meglio per il film senza rinunciare a se stesso. Dunque, la ricerca all’interno e in maniera privata rispetto alle necessità del regista è stata una cosa che ha dato frutti importanti. Quali sono stati i cardini del suo lavoro nel cinema? Ricerca, malgrado i condizionamenti. Rivalsa, rispetto ai condizionamenti. Imposizione naturale di stilemi che mi appartengono.

Nel cinema sentiva meno pressione? Allora sì. Oggi è diverso: adesso, quando accetto un film, sento una responsabilità enorme, simile

La musica aveva molta importanza per i registi, quando lei ha iniziato? No, la sua importanza è cresciuta poco a poco. In Italia tutto è iniziato con Sergio Leone, quando si vide come lui nei suoi film lasciava spazio alla musica.

Abbronzatissima (Carlo Rossi / Edoardo Vianello)

Non son degno di te (Franco Migliacci / Bruno Zambrini)

Ogni volta(Carlo Rossi / Ennio Morricone-Roberto Di Napoli)

Edoardo Vianello – 45 giri RCA Italiana PM 3194/A (1963)

Gianni Morandi – 45 giri RCA Italiana PM 3290/A (1964)

Paul Anka – 45 giri RCA Victor N 1395/A (1964)

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MASTER TAPE: Ennio Morricone Quale fu la intuizione più importante di Leone? Che la musica non andava mescolata ad altri elementi sonori. La musica del cinema è un elemento misterioso, perché proviene da un aldilà astratto: il dialogo arriva dai personaggi che parlano, il rumore del treno arriva dal treno che passa, ma la musica da dove viene? Per affer-

marsi come fatto espressivo essa ha bisogno di uno spazio tutto suo, specifico. Leone capì che per dare importanza alla musica, il momento musicale necessita di una durata adeguata, e non va disturbato. La musica deve essere protagonista assoluta, non può mescolarsi con suoni che provengono dalla realtà. Oggi questa lezione l’hanno capita molti, anche se non tutti.

Che cosa c’è (Gino Paoli)

La fisarmonica (Franco Migliacci / Bruno Zambrini-Luis Enriquez)

Gino Paoli – 45 giri RCA Italiana PM 3234/A (1963)

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Gianni Morandi – 45 giri RCA Italiana PM 3346/B (1966)

Altri registi hanno attribuito grande importanza alla musica. Mi viene in mente Hitchcock. Quello è un buon esempio. Soltanto in alcuni casi però, tipo L’uomo che sapeva troppo, dove c’è quella sinfonia e quel colpo di piatto che segnala il crescendo e copre lo sparo. In altri suoi film le musiche sono un semplice sottofondo. Credo

Il cielo in una stanza (Gino Paoli) Gino Paoli – in 33 giri CANZONISSIMA RCA Italiana PML 10340 (1962)


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quindi che ci siano esempi migliori di Hitchcock: penso a Lelouch. Diceva che ormai la lezione di Leone è stata assimilata, anche se non da tutti… Il problema maggiore è la disattenzione che si continua ad avere verso la fase del missaggio: i registi girano il film in tre mesi e lo mixano in tre giorni. Questo è un errore gravissimo: ciò che si vede rappresenta il 50 per cento di un film, l’altra metà è quello che si sente. Ma molti non se ne rendono ancora conto. Prima lei accennava alla standardizzazione degli arrangiamenti importata dall’America. Perché ciò è avvenuto? Perché tutti i direttori artistici delle nostre case discografiche in fondo erano dei dilettanti e correvano dietro a ciò che andava di moda nei dischi americani. Ignorando che i maestri americani rappresentavano la grande standardizzazione, a parte poche notevoli eccezioni come Quincy Jones. Questa insensata corsa all’imitazione dello standard americano iniziò intorno alla fine degli anni Sessanta, dopo l’esplosione di fenomeni come i Beatles, peraltro bravissimi. Quello fu il momento in cui io abbandonai gli arrangiamenti per i dischi e mi concentrai sul cinema. C’erano i Beatles con George Martin, ma anche talenti come Phil Spector o Brian Wilson. Tutti sopravvalutati? Quelli sono stati un momento autentico, ma inevitabilmente si sono portati dietro una valanga di imitatori ed epigoni. Da noi poi c’è stato un totale asservimento, tipicamente italiano, passivo e un po’ ignorante. C’è stato secondo lei un momento in cui ci siamo ripresi? Adesso. Sento che oggi in Italia c’è qualche arrangiatore che vuole fare qualcosa di nuovo e di buono. E si sente. Ma non mi chieda i nomi, perché non li conosco. Sento i risultati. Sta dicendo che la musica italiana vive un momento positivo, dal punto di vista artistico? Dopo la caduta, noto una risalita. C’è stata una specie di rivolta a questo appiattimento e i risultati sono interessanti. Ma purtroppo ormai i dischi non si vendono più.

Allora sì (Jimmy Fontana / Italo Nicola Greco-Carlo Pes-Jimmy Fontana) Jimmy Fontana – 45 giri RCA Italiana PM 3316/B (1965)

La sua musica viaggia nel mondo, anche in ambienti insospettabili: tutti, persino le rock band più alternative, amano lo stile di Morricone. Se l’aspettava? L’ho percepito molto tardi e mi ha sorpreso, ma non più di tanto: sapevo già che in questo mondo si tenta tutto pur di fare successo. Per fare successo si è disposti a vendere la madre, e la cosa più semplice è prendere qualcosa che funziona e imitarlo. Quindi, anche che qualcuno pensasse di imitare Morricone era nel conto. Le capiterà quasi ogni giorno di avvertire echi della sua musica in quella degli altri… Lo facciano pure.

Questa è una stoccata alla cosiddetta “ispirazione”. Mi fa sempre un po’ sorridere chi mi domanda dove prendo l’ispirazione per un pezzo di musica. Io non credo in quella cosa lì. E in cosa crede? Credo negli esercizi: si fanno degli esercizi su degli intervalli, quindi la melodia nasce in modo non casuale – dove per “casuale” intendo “ispirato” – ma è indotta da un fatto scientifico. Da dove mi viene l’ispirazione? Faccio un esercizio, e mi viene.

Tra qualche settimana andrà in scena l’ennesima edizione del Festival di Sanremo. Darà Questo saccheggio non la disturba? un’occhiata anche lei? Anzi. Forse un po’ mi lusinga. Di solito me ne vado a dormire, perché la mattina mi alzo presto. Ma lo sa che un paio d’anni fa È bello sentire queste parole, in un ambiente quelli del Festival sono venuti qui da me? Volesempre più ossessionato dal plagio… vano che dirigessi un pezzo orchestrale sul palco Solitamente si parla di plagio riferendosi a tre note in sequenza. Ma il plagio inteso così non esi- dell’Ariston. Dicevano che sarebbe stato un evento, ma era una cosa priva di senso. ste. Può spiegarsi meglio? Sono sempre gli ignoranti, quelli che non hanno studiato la musica, a intentare cause di plagio di questo tipo. Il punto è un altro: prendere l’anima vera di un pezzo di musica, l’idea fondamentale che sta dietro l’involucro che racchiude una melodia, anche di una melodia molto semplice, quello stranamente non è considerato plagio e non è attaccabile. E invece è proprio quello il vero plagio, perché quel tipo di furto lo si commette in modo intenzionale. La somiglianza fra due sequenze di note è invece un fatto molto banale e quasi inevitabile, perché le combinazioni matematiche dei 7 o 4 o 5 suoni della scala sono ormai esaurite e quindi è molto facile cadere nella ripetizione. Chi fa cause di plagio sbaglia proprio. Quindi la musica è destinata a ripercorrere sentieri già battuti, perché le combinazioni sono esaurite… In tanti secoli di musica, è fatale. Un compositore che conosce questa realtà, tenta di risolvere il problema melodico cercando altri parametri. Non quelli tradizionali, non certo aspettando che una melodia gli cada dal cielo.

Andiamo a mietere il grano (Carlo Rossi / Ennio Morricone-Marcello Marrocchi) Louiselle – 45 giri ARC AN 4039/A (1965)

Perché, invece il Festival ha un senso? Non so. Io credo che andrebbe completamente rifondato. Lo dicono tutti. Ogni anno. Io un’idea ce l’avrei, ma non l’ho mai neppure proposta. Perché è un’idea assurda. Ce la dice? Se vuole. Io proverei a farlo diventare veramente il Festival della canzone italiana, perché in realtà è sempre stato solamente il Festival dei cantanti. E in che modo? Affiderei a tutti i cantanti la stessa canzone. Vediamo chi ci regala l’interpretazione migliore. Oppure, meglio ancora, affiderei a un solo cantante tutte le canzoni in gara. E chi decide chi dev’essere quest’unico interprete? Magari si sceglie d’ufficio quello che nei 12 mesi precedenti ha venduto più dischi di tutti in Italia. Può essere un criterio. Il cantante unico. È un’idea geniale. Adesso capisce perché non l’ho proposta?

Quando vedrete il mio caro amore (Loredana Ognibene) Donatella Moretti – 45 giri RCA Italiana PM 3229/A (1963) 27


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