Una mostra in tre mondi

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ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI CARRARA DIPARTIMENTO DI PROGETTAZIONE E ARTI APPLICATE SCUOLA DI NUOVE TECNOLOGIE DELL’ARTE DIPLOMA DI SECONDO LIVELLO IN NUOVE TECNOLOGIE DELL’ARTE: NET ART E CULTURE DIGITALI

TESI DI LAUREA

Una mostra in tre mondi

Relatore Candidato Prof. Domenico Quaranta Maurizio Marco Tozzi

Anno accademico 2009/2010

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A tutti i bambini che a causa delle ingiustizie nel mondo non hanno alcun diritto di istruzione Alla mia Famiglia

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Indice Introduzione

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Parte seconda 6. Il mio progetto 6.1 Le possibili location a New York 6.2 La location italiana 6.3 La location virtuale 6.4 Lo streaming su Second Life 7. La realizzazione dell’interfaccia 7.1 Le attrezzature 7.2 Le prove di collegamento 7.3 La linea a banda larga 7.4 L’analisi dei costi

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Conclusioni Bibliografia Webliografia

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Parte Prima 1. L’ispirazione della Rome - New York Art Foundation 2. Dalla VideoArte alle forme d’arte interattiva 2.1 Il ruolo fondamentale del suono 2.2 Paik, il grande innovatore 2.3 La Satellite Art e la Telepresenza 2.4 La Telepresenza in rete 2.5 Le BBS 2.6 L’Arte Telematica 3. Realtà Aumentata, Musei On Line e Virtuali 4. Second Life 5. Esperienze precedenti di fruizione a distanza di un’opera d’arte 5.1 The Tunnel Under The Atlantic 5.2 The Gate 5.3 The Girlfriend Experience

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Introduzione Sono sempre stato molto affascinato dalle opere d’arte con le quali si possa avere un’interazione diretta e ci si possa sentire coinvolti non solo nell’ammirarla. Allo stesso tempo ho sempre creduto che grazie all’arte possano cadere certe barriere e ci sia la possibilità di avvicinare le persone, non solo fisicamente, ma oggi anche virtualmente con dei risultati strepitosi. Per questo ho deciso di presentare, in occasione della mia tesi, un progetto per l’organizzazione e la produzione di una mostra che veda protagonisti nello stesso periodo, artisti in Italia ed a New York, in un evento che dia la possibilità ai visitatori entrando fisicamente in una delle due location di interagire anche con le opere dell’altra sede espositiva, oltre che ammirarle entrambe in rete all’interno di un museo di Second Life, riunendo così il mondo reale a quello virtuale. La prima ispirazione nasce dalle esperienze maturate durante i miei ultimi anni di studio di storia, quando ho scoperto con quanta vitalità ed energia alla fine degli anni ‘50 artisti italiani, ed americani, o meglio quelli residenti negli Stati Uniti, (per citarne alcuni Afro, Scialoja, Rotella, Rothko, Gorky e Cy Twobly) si incontrarono per dare vita

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ad una serie di iniziative indimenticabili che unirono Roma e New York in una fantastica stagione creativa, durante la quale nel luglio del 1957 nacque persino la Rome-New York Art Foundation. Subito dopo nel 1962 iniziarono i primi esperimenti di uso artistico del satellite, al quale seguirono meravigliose realizzazioni di opere d’Arte telematica. Oggi penso che sia giunto il momento, utilizzando le potenzialità dei media a nostra disposizione, di ricreare una forte unione fra artisti di emisferi diversi e soprattutto dare la possibilità al pubblico di ammirare ed interagire con le loro opere a distanza. La scelta di New York non è legata soltanto ad un discorso storico, ma anche alla collaborazione che ho intrapreso da più di due anni con degli artisti appartenenti ad un’interessante comunità digitale, dei quali sono riuscito a portare in Italia alcuni lavori in occasione di una mostra da me organizzata lo scorso settembre a Viareggio. Infine il sempre maggiore interesse, anche da parte delle istituzioni, verso uno sviluppo virtuale della diffusione dei beni culturali, mi ha fatto pensare di ampliare il progetto con un collegamento ad un museo all’interno di Second Life. Quindi Italia, più New York, più Second Life uguale “Una mostra in tre mondi”.

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Parte Prima 1. L’ ispirazione della Rome - New York Art Foundation Inizio raccontando brevemente quel meraviglioso capitolo della storia dell’arte che tanto mi ha ispirato il desiderio di ricreare un ponte culturale fra il nostro paese, ricco di un bagaglio artistico inestimabile, e la città di New York, da sempre centro di grandi innovazioni. Era il dicembre 1956, quando Gabriella Drudi e Toti Scaloja rientravano da New York e si ritrovarono con Burri ed Afro che disse: “Qui qualcosa sta cambiando”. E in effetti è proprio da quei viaggi dei nostri artisti negli Stati Uniti e gli incontri con i colleghi di oltreoceano che nacque un periodo artistico indimenticabile di grande scambio culturale. Gabriella Drudi, interprete delle nuove avanguardie del dopoguerra assieme al marito Toti Scialoja, racconta: “Tornammo con le foto di Rothko, Montherwell, Cy Twombly […] Le gallerie, invece delle frange del Realismo, pochi mesi dopo esponevano gli astratti. Gallerie nuove dedicavano mostre a Fautrier, a Michel Tapié, e agli altri spagnoli di cui Franco non si curava […] Arrivò Cy Twombly. Tornò Marca Relli. Franchetti andò a New York. Il diverso clima attirava non solo poeti e scrittori, ma i giovani e meno giovani critici. Si aprì la Rome – New York Art Foundation”.1 Roma si ritrovò ad essere al centro del mondo ed a scambiare ricchissime esperienze e pensieri con New York. Come spiega Fabrizio D’Amico: “fu un sintomo della vivacità intellettuale di molti artisti, ma anche critici e galleristi, che valse, per brevi anni intensamente felici, a fare di Roma un luogo non solo di passaggio e colonizzazione”. 1 Fabrizio D’Amico “Tracce di un tempo felice” catalogo della Mostra “Anni ‘50” Torino 2003

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I primi sentori di cambiamento di un’Italia che stava uscendo piano piano dal dopoguerra si ebbero nel 1955 quando il fotografo Milton Gendel si stabilisce a Roma e su “Art News” di cui è corrispondente, segnala la collettiva alle Zattere del Ciriola, un ritrovo precariamente attrezzato sulle rive del Tevere, e successivamente pubblica un lungo saggio sulla pittura di Scialoja. Afro, Burri e Capogrossi sono invitati a partecipare a New Decade al Museum of Modern Art di New York. Nel 1956 una mostra di Calder alla Galleria dell’Obelisco, Afro vince il premio per miglior pittore italiano alla Biennale di Venezia. In ottobre Scialoja e Gabriella Drudi partono per New York per una mostra personale organizzata dalla gallerista di origini italiane Catherine Viviano. Il clima è veramente ricco di emozioni anche se c’era un grande vuoto per la scomparsa alcuni mesi prima (11 agosto) in un incidente stradale di Jackson Pollock. “Andammo ad East Hampton – racconta Gabriella Drudi – per vedere i luoghi in cui era vissuto. Fotografai i due alberi contro i quali si era schiantato con la sua automobile. Fu una cosa impressionante: gli alberi di quei boschi hanno i tronchi sottilissimi e la macchina aveva piegato, direi inclinato, due alberi paralleli. C’erano ancora i vetri del parabrezza per terra. Quando poi andammo nel suo studio, accanto al letto, vidi un piccolo disegno uguale ai due alberi paralleli, la stessa immagine”.1 Scialoja e Drudi al loro rientro portarono un clima nuovo che iniziò a ruotare intorno alla galleria La Tartaruga di Plino De Martiis, che si trasformò ben presto in un importante punto di appoggio per nuove iniziative. In merito alle moltissime esposizioni di questa galleria di via del Babuino dal 20 luglio al 20 settembre 2009 si è svolta presso la Galleria di arte moderna e contemporanea Lorenzo Viani di Viareggio un’interessante mostra dal titolo “I cartelli della galleria La Tartaruga di Roma 19541962”. Grazie alla concessione dell’Istituto Nazionale per la Grafica si è potuta ammirare una celebre collezione di opere realizzate dai maggiori artisti che in quel periodo avevano la consuetudine di realizzare di propria 1 Germanno Celant, Anna Costantini “Roma – New York 1948 – 1964” Milano 1993

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mano i cartelli pubblicitari delle loro mostre. Proseguendo con la storia, nel 1957 Gorky è in Italia, presentato in catalogo da un testo di Afro: “[…] Quando sono andato per la prima volta in America, nel 1950, ho visto molti quadri di Gorky. Immediatamente ho avuto la sensazione di essere di fronte a un grande artista e di scoprire un mondo di immagini inedito e caratterizzato al massimo. Una fantasia, un colore, un sogno febbrile che sono di Gorky soltanto. […] Da essa ho appreso più che da qualunque altra, a cercare soltanto dentro di me: dove le immagini sono ancora radicate alle loro origini oscure, alla loro sincerità inconsapevole”. Nel mese di luglio con una mostra collettiva di artisti italiani, francesi e americani si inaugurò in piazza San Bartolomeo all’Isola Tiberina, l’attività della Rome – New York Art Foundation, creata dalla pittrice americana Frances Mc Cann con un comitato direttivo composto da James Sweeney, Read, Tapié, Rudigler, Sandberg e Venturi, il quale nel testo che apre il catalogo della mostra auspica che la fondazione possa contribuire a: quella vita artistica ultranazionale in cui convergono tutte le speranze dei conoscitori”. A fine anno il Solomon R. Guggenheim Museum acquista “Volo di notte” di Afro. Fra i grandi eventi che seguirono non possiamo certo dimenticare l’anno successivo la prima mostra antologica, per l’Europa, dedicata a Jackson Pollock, alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna, organizzata dal Museum of Modern Art di New York. Venturi scrisse. “[…] una mostra così ampia come non se ne sono vedute in Europa. […] Tutti i critici si soffermano sul modo di Pollock nell’eseguire le sue pitture, cioè sulle sgocciolature di colore da barattoli e da pennelli, le quali per la sicura abilità nel muovere il polso segnano linee di estrema eleganza o fissano punti che sono tocchi preziosi. […] Perché le sue pitture sono labirinti, e solo il pittore dentro il suo quadro ne ha la chiave”. Nello stesso periodo Leo Castelli propone una mostra personale di Giuseppe Capogrossi a New York ed a maggio a Roma arriva alla Galleria

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La Tartaruga, Cy Twombly. Alla XXIX edizione della Biennale di Venezia Burri è presentato in catalogo da James J. Sweeney. Sono presenti nel padiglione degli Stati Uniti Jasper Johns e Mark Rothko, e viene premiato con il Gran Premio Internazionale, Mark Tobey. Il 1959 si apre con la prima mostra personale newyorkese di Salvatore Scarpitta nella galleria di Leo Castelli. Mentre a Roma un mese dopo a La Tartaruga si inaugura la collettiva “Giovane Pittura di Roma” con opere di Scarpitta, Perilli, Novelli, Accardi, San Filippo, Bignardi, Rotella, Marotta, Nuvolo e Buggiani, presentati in catalogo da Cesare Vivaldi: “[…] Roma è città infingarda: si è accorta ora di avere quasi tutti i migliori pittori italiani, i Mafai, gli Afro, i Capogrossi, i Burri, i Corpora, i Turcato, gli Scialoja e scultori come Consagra, Franchina e Mirko, soltanto di rimbalzo quando Parigi o New York ne hanno stabilito la fama o quando un critico acuto e coraggioso come Venturi lo ha imposti (con la sola eccezione di Mafai). Ma finalmente se ne è accorta […]”. In aprile il Guggenheim Museum ospita “Twenty Contemporary Painters” from the Philippe Dotremont Collection, Bruxelles, a cura di Sweeney e Paul Fierens, alla quale sono presenti Burri con “Sacco e rosso” e Capogrossi con “Superficie n. 137”. Ed il grande interscambio continua a Roma con una collettiva a La Tartaruga di Kline, Rothko, Scarpitta e Twombly, ed a New York con la prima mostra personale di Domencio Gnoli, presso la Bianchini Gallery. Il 30 maggio la galleria La Tartaruga è nuovamente protagonista di un evento: la personale di Robert Rauschenberg, nella quale l’artista presenta per la prima volta in Italia i suoi “Combine drawings”. Fin dal 1952 Rauschenberg sperimenta la tecnica del transfer su carta che gli permette di utilizzare immagini preesistenti e realizzare così moderni frottage su carta stampata. Per ottenere questo effetto ritaglia immagini e testi dai giornali, li copre con un solvente chimico e li poggia sulla carta, pressando il verso con uno strumento acuminato. Ottiene così immagini speculari rispetto ai ritagli, caratterizzate da una serie di imperfezioni e striature che creano un mirabile effetto di sfocatura e trasparenza. L’esempio

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più significativo di questo gruppo di lavori è sicuramente la serie delle illustrazioni per i Canti dell’Inferno di Dante, realizzata fra la primavera del 1958 e la fine del 1960. Il 21 ottobre 1959 si inaugura a New York la sede del Solomon R. Guggenheim Museum costruita da Frank L. Wright. Nella Inaugural Exhibition sono presenti anche Afro e Burri. Willem De Kooning trascorre l’inverno a lavorare nello studio di Afro. Tra il febbraio e giugno 1960 Toti Scialoja parte per il suo secondo viaggio americano, vive in un loft a Greenwich Street, dove realizza alcune tele di grande formato della serie delle “Impronte”, mentre Roma vede la mostra antologica alla Galleria Nazionale dedicata a Mark Rothko ed a La Tartaruga in successione Cy Twombly e per la prima volta Jannis Kounellis. L’ultimo grande momento di questo magnifico periodo di unione artistica fra il nostro paese e la grande mela che volevo segnalare è la mostra “New Media – New Forms I” alla Martha Jackson Gallery, alla quale presero parte Burri, Donati, Arnaldo Pomodoro, Salvatore Scarpitta, Rauschenberg, Johns e Oldenburg. Ancora una volta fondamentali i ricordi di Gabriella Drudi: “In quattro anni il cambiamento era stato enorme. Si avvertiva ormai un certo senso di solidità, per quanto riguardava gli Espressionisti astratti. Quando ormai stavamo ripartendo, ci fu una mostra da Martha Jackson, intitolata New Media, che era improvvisamente tutta un’altra cosa e ricordo che ho avuto una sensazione un po’ strana: era curioso ma si avvertiva l’intenzione di cancellare l’Espressionismo astratto. […] Un mondo e un clima che si troncarono improvvisamente e completamente”. Gabriella Drudi aveva ragione qualcosa stava cambiando: da lì a pochi anni questo forte di interscambio fra Roma e New York andò affievolendosi, ma in quello stesso periodo il mondo dell’arte vide nascere nuovi movimenti e forme di espressione.

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Cartelli di due mostre alla Galleria La Tartaruga di Roma degli anni ‘50

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2. Dalla VideoArte alle forme d’arte interattiva In questo secondo capitolo riassumerò i passaggi storici più importanti che sono stati di fondamentale interesse per lo sviluppo del mio progetto ad iniziare dalla nascita della video arte, l’utilizzo artistico delle nuove tecnologie, fino alla trasformazione del pubblico da semplice spettatore a parte attiva dell’opera. 2.1 Il ruolo fondamentale del suono Ho desiderato dedicare questo primo paragrafo all’importante ruolo che la musica e più specificatamente il suono ha avuto nella nascita della video arte che non a caso si deve proprio a musicisti quali Nam June Paik, Wolf Volstell, e successivamente Steina Vasulka, Bill Viola e Robert Cahen. La musica aveva già avuto un ruolo fondamentale nel cinema, infatti è assolutamente sbagliato affermare che il cinema muto fosse privo di suoni. Dopo il fatidico 28 dicembre 1895 il pianoforte iniziò a fare la sua comparsa nelle sale cinematografiche: in un primo momento è vero che serviva a coprire il fastidioso rumore del proiettore, ma subito si capì che il suo utilizzo era fondamentale per enfatizzare e dare un maggior contenuto alle immagini. Nacquero così i maestri di musica ed i rumoristi, figure professionali oggi scomparse, che realizzavano in diretta le prime colonne sonore, ai quali seguirono negli anni ’10 le orchestre che nei cinema più sfarzosi raggiungevano anche i cinquanta elementi. Poi nel 1927 l’altra grande svolta della storia dell’arte: il regista americano Alan Crossland presenta il primo film sonoro “Il cantante jazz”. Ma, come dicevamo inizialmente, è a partire dagli anni ’60 che le immagini ed il suono si uniscono dando vita ad un nuovo tipo di arte come descrive Jacques

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Rancière: “A volte lo schermo diventa nero per attestare il potere che detiene la musica di creare essa stessa immagini. O, al contrario. Gli artifici del suono si dissolvono nelle proiezioni della luce che si afferma allora come sola generatrice del visibile”.1 In questi anni si apre un acceso dibattito fra i sostenitori della musica d’avanguardia che tende all’assorbimento di tutti i suoni possibili e la rottura di ogni schema probabilistico ed i suoi critici. Come sottolinea Abraham Moles nei numerosi studi raccolti nel volume “Théorie de l’infomation et perception esthetique”: “nella composizione elettronica la differenza fra rumore e suono scompare nell’atto volontario in cui il creatore offre al suo ascoltatore il suo magma sonoro da interpretare. Ma in questo tendere al massimo del disordine e alla massima informazione egli deve sacrificare qualcosa della sua libertà e introdurre quei moduli d’ordine che permetteranno all’ascoltatore di muoversi in modo orientato in mezzo a un rumore che interpreterà come segnale perché si renderà conto che è stato scelto e, in una certa misura organizzato”.2 Profeta di questa “disorganizzazione” musicale, nota come musica indeterminata, fu John Cage (1912-1992), le cui composizioni furono sensibilmente influenzate dalla filosofia Zen. Nelle sue opere Cage prescriveva all’esecutore diversi comportamenti legati ad altrettanti stati d’animo senza preoccuparsi del risultato sonoro, con il rifiuto di compiere vere e proprie scelte compositive. In numerosi concerti di Cage gli esecutori alternavano l’emissione di suoni a lunghissimi silenzi, suonavano il pianoforte pizzicandone le corde e sintonizzando la radio su una frequenza scelta a caso, in modo che qualsiasi apporto sonoro si potesse inserire nell’esecuzione. Ed a chi lo interpellava sulle finalità della sua musica, Cage rispondeva citando l’antico pensatore Lao Tzu e avvertendo il pubblico che solo urtando con la piena incomprensione e misurando la propria stoltezza esso potrà cogliere il senso profondo del Tao, principio vitale indefinibile che ha dato origine al cosmo e lo regge, 1 Jacques Rancière “La métamorphose des Muses” 2 Tratto da Umberto Eco “Opera aperta” 1962

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dove ogni suono vale tutti i suoni. Cage era un vero maestro della cultura Zen, con una dialettica ortodossa, la cui funzione era quella di stimolare le intelligenze assopite. La sua musica rivela infatti moltissime affinità con la tecnica del No e le rappresentazioni del teatro Kabuki, a partire dalle lunghissime pause. In “Opera aperta” Umberto Eco ricorda il montaggio della banda magnetica con rumori concreti e sonorità elettroniche di “Fontana Mix”, nella quale Cage assegnò a diversi nastri già registrati una linea di diverso colore per poi condurre queste linee su di un modulo grafico ad intrecciarsi casualmente su di un foglio di carta. Fissati i punti in cui le linee si intersecavano, scelse e montò le parti di nastro corrispondenti, ottenendo una sequenza imprevedibile. E’ da questa voglia di stupire e di aprire le menti del pubblico che musicisti come Naim June Paik e Wolf Vostell, ispirati appunto da John Cage, si avvicinarono ai nuovi media per dare vita ad una svolta nella storia dell’arte contemporanea. Come spiega Vittorio Fagone: “Cage ha sicuramente dimostrato la possibilità di un diverso atteggiamento nei confronti di elementi disomogenei che possono tuttavia essere orientati verso una particolare congruenza ed organizzazione linguistica; ha poi praticato una riflessiva ironia spinta fino alla utilizzazione di un negativo strutturante suonosilenzio come in Paik immagine unita-immagine, disperata e frammentata in un rovesciamento di posizioni. Certa è anche l’influenza delle sonorità concrete che poi la ricerca video ha utilizzato in un crossing altamente ridefinitorio tra immagini e azioni performative. Il valore della sezione sonora dell’audiovisuale elettronico è il risultato esaltato da questa precisa consapevolezza. […] E’ infatti la scelta della musica che costituisce il carattere distintivo della nuova era sperimentale”.3

3 Vittorio Fagone “Nam June Paik e il movimento Fluxus” catalogo mostra “Il 900 di Naim June Paik” Roma 1992

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2.2 Paik, il grande innovatore Naim June Paik si laureò nel 1956 all’Università di Tokyo con una tesi su Schonberg. Fu allievo della più grande pianista coreana Shin JaeDuk che lo introdusse alla scoperta della musica moderna. Trasferitosi in Germania, Paik approfondì i suoi studi musicali e nel 1958 incontrò John Cage. Nell’ottobre del 1959 Paik rende omaggio a Cage, con un movimentato concerto di sei minuti realizzato a Dusseldorf, durante il quale vi fu il rovesciamento di un pianoforte e la rottura di un vetro. La performance si chiamò appunto ““Hommage a John Cage”. E l’anno successivo in “Etude for Pianoforte” suonò uno studio di Chopin, scoppiò in lacrime, saltò tra il pubblico, coprì di shampoo Cage e dopo avergli tagliato la cravatta se ne andò annunciando che il concerto era finito. Alla fine del 1960 e precisamente nel dicembre, a New York iniziano una serie di manifestazioni nello studio di Yoko Ono, alle quali seguirono le rassegne organizzate da George Maciunas alla Galleria AG dal titolo “Musica Antiqua e Nova”. Fra i vari artisti erano presenti Cage, Richard Maxfield, Dick Higging, Ray Johnson, La Monte Young e la stessa Yoko Ono. E’ in quel periodo che inizia a circolare il termine Fluxus, movimento e rivista omonima fondati da Maciunas con l’intento di abolire la distinzione fra arte e vita e cercare attraverso l’innovazione costante di svolgere una ricerca fondamentale nell’articolazione umana. Rimase celebre la performance del 1962 “In memorian di Adriano Olivetti”, durante la quale Maciunas riunì dei musicisti intenti a suonare macchine da scrivere secondo una precisa partitura. A questa voglia di provocare musicalmente Paik unì l’utilizzo del video e nella primavera del 1963, data oggi considerata come la nascita delle arti elettroniche, inaugurò alla Galleria Parnass di Wuppertal in Germania, la “Exposition of Music Electronic Television” con l’opera “13 distorted Tv sets”. Come aveva fatto con la musica, Paik distorce le immagini, le modifica e le intreccia con altre di diversa provenienza e significato, con suoni e colori: “Sono stato un pessimo compositore prima di incontrare

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Cage. […] Lui mi disse che si considerava una combinazione di Dada e di filosofia Zen. Per lui il Daidaismo fu importante, così per me lo furono il Dadaismo e Duchamp. Io sono una sorta di espressionista. I miei primi pezzi sono abbastanza espressionisti. […] Penso che i movimenti più importanti di questo secolo siano rappresentati dallo sviluppo del cinema e dalla musica Pop. Grazie a queste due forme di espressione, che non esistevano nel XIX secolo, gente diverse hanno potuto comunicare fra loro. E questo processo non è ancora giunto a conclusione”.1 Paik si ispirava anche alla tradizione del melodramma italiano: “L’Opera rappresenta quello che ricerco nell’arte elettronica: nel senso di riuscire a ottenere quel grado di successo performativo che l’Opera migliore riesce ad ottenere. In un’Opera c’è tutto: la musica, il movimento, lo spazio. L’Opera conserva la musica, ma tutto il resto può cambiare. Per questo è sopravvissuta, perché si può intervenire sull’Opera rinnovandola. […]”. Un concetto che Paik ripropose in molti dei suoi lavori: è partendo infatti dal fondamentale rapporto fra spazio e suono che realizzò un “Tv Buddha” diverso per ogni esposizione alla quale partecipò. In questo paragrafo è giusto ricordare anche l’altro pioniere della VideoArte Wolf Vostell. Musicista come Paik, Vostell nello stesso periodo iniziò a lavorare su materiali elettronici e monitor televisivi. C’è infatti spesso un accesso dibattito su chi dei due sia stato il primo ad aver integrato il televisore in un’opera d’arte: Vostell nelle sue autobiografie parla di averlo fatto in “Deutscher Ausblick” e in “Assemblage-environnemet part I” nel 1958-59. Di sicuro nel 1954, durante il suo primo viaggio a Parigi, leggendo una notiza su Le Figaro, egli scopre il termine decoll/ age che cambia radicalmente le sue scelte artistiche: “Nacque in me la necessità impellente di includere nella mia arte tutto quello che vedevo e ascoltavo, sentivo e apprendevo e, partendo dal significato lessicale della parola decoll/age, di applicare il concetto alle forme aperte e scardinate di frammenti mobili di realtà, cioè agli avvenimenti. I collage in movimento 1 Intervista a Nam June Paik di Antonina Zaru e Marco Maria Gazzano agosto 1992

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Una performance di John Cage con Charlotte Moorman e Nam June Paik

sono avvenimenti. Gli avvenimenti sono trasformazioni. […] La grande ipotesi che io ho posto è quella di diventare noi stessi opera d’arte, invece di considerare opere d’arte oggetti a noi esterni. E questo può avvenire nella vita e nella realizzazione dell’evento artistico, ma anche attraverso la sua contemplazione ed il suo ascolto”.1 L’assemblaggio di oggetti diversificati nei collage, la separazione di elementi strettamente legati nei decoll/age, la distruzione di un televisore, che più di ogni altro artista ha attaccato ritenendolo un mezzo che non produce affatto informazione, di un pianoforte, di un’auto, la manipolazione delle immagini televisive, la contaminazione dei linguaggi sono considerati parte di un flusso vitale, continuo e ritmico, in cui la vita diviene anche processo musicale di cui scrivere le partiture e in cui cogliere in senso profondo di ogni suono e rumore che è espressione di cambiamento che era forte in Paik quanto in Vostell, i quali in quegli anni non erano i soli a lavorare con la televisione. Fra gli altri ci fu lo scultore francese César Baldaccini che nel 1962, alla 1 Catalogo della mostra personale dedicata a Wolf Vostell alla Galerie Davide di Maggio, Berlino maggio 2005

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mostra “Antagonismes II – l’objet” espose un televisore acceso su di un piedistallo di rottami, il cui rivestimento fu tolto e sostituito da uno trasparente, in modo che si potesse vedere l’interno della tv in funzione.2 Sicuramente ognuno di questi artisti ha dato il suo fondamentale contributo alla nascita della VideoArte, per la quale dobbiamo ricordare un’altra data fondamentale, quella del 1965, quando Paik acquista alla Library Shop di New York la prima telecamera portatile della Sony. 2.3 La Satellite Art e la Telepresenza Se da una parte la storia della Roma New York Art Foundation mi ha ispirato dal punto di vista di riaprire una forte collaborazione fra gli artisti di questi due emisferi, dall’altra non potevo che dedicare un paragrafo alla Satellite Art ed alla Telepresenza grazie alle quali si è riusciti avvicinare il pubblico all’opera dell’artista ed a farlo interagire a distanza, come vorrei realizzare in “Una mostra in tre mondi”. Come avvenne successivamente per Internet anche il satellite nacque inizialmente come strumento bellico, ma ancora una volta Nam June Paik ed altri artisti videro invece questa tecnologia come un’importante innovazione nel campo della comunicazione. Fu lo stesso Paik a presentare uno tra i primi esperimenti di uso artistico del satellite: il suo primo progetto, mai realizzato, risale al 1962 e prevedeva di far suonare via satellite una determinata composizione al pianoforte a due musicisti che stando uno a San Francisco e l’altro a Shangay avrebbero usato uno la mano sinistra e l’altro la mano destra con il risultato che i due suoni si sarebbero ascoltati sovrapposti grazie alla trasmissione via satellite. Si dovette attendere ben quattordici anni prima di assistere ad una trasmissione satellitare di uso artistico. “Seven Thoughts” del 1976 di Douglas Davis fu una trasmissione via satellite dallo stadio di Houston vuoto, in cui Davis trasmise al mondo sette suoi pensieri privati. Davis era ossessionato dall’uso del satellite. A quel tempo, nessun artista aveva 2 Simonetta Cargioli “Sensi che vedono”

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avuto la possibilità di poter utilizzare il satellite per realizzare e trasmettere un’opera d’arte, fra l’altro molto d’avanguardia e concettuale. Davis riuscì a convincere una rete televisiva a concedergli per alcuni minuti di trasmettere la sua opera. Davis decise di affittare a tempo il satellite di ComSat per la sua performance. Era apparentemente la prima volta che un privato cittadino poteva avere a disposizione un satellite fra le sue mani. Davis disse di aver scelto il grande stadio di Houston per il fatto che fosse circolare e per lui era importante creare un collegamento fra il satellite e quella grandissima cupola. Riuscì ad ottenere il permesso per usare quello spazio la sera del 29 dicembre 1976, perché quel giorno non vi erano partite. All’Astrodome non c’era nessuno tranne la gente addetta all’evento. Ma chiunque avrebbe potuto prendere il segnale dovunque nel mondo. Davis trasmise la sua opera al ComSat e le televisioni e le stazioni radiofoniche poterono richiamare il segnale e trasmettere i suoi “I sette pensieri”. Si trattava di sette pensieri molto personali allo scopo di avvicinare i suoi concetti alla gente. Non cercò affatto di inviare un messaggio totale e imperialistico, ma quello che cercava era il contatto personale con il pubblico in ogni angolo del mondo fosse. Tutto cominciò alle intorno 9 e mezzo di sera. L’enorme stadio coperto, con le sue immense luci ed il classico scoreboard, fu affittato per ragioni economiche soltanto per trenta minuti. Alle 9 e 28 minuti la trasmissione cominciò con Davis osservato dalle macchine fotografiche sopra di lui mentre stava sospeso sul soffitto della cupola dello stadio trasportando la piccola scatola nera che conteneva i sette pensieri. Circa 20 minuti dopo, aveva raggiunto la metà dell’ Astrodome, in cui un microfono era stato abbassato da sopra. Fra le 9 e 50 e le 10, parlò agli orecchi del mondo per soltanto dieci minuti di trasmissione che entrarono a far parte della storia dell’arte contemporanea. L’anno successivo fu la volta di “Two Way- Demo” un collegamento via satellite a due vie, dal vivo, tra New York e San Francisco. Gli organizzatori, Liza Bear, Keith Sonnier e Willoughby Sharp, furono autorizzati a usare

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il satellite CTS della NASA, entrato in orbita nel 1976. Altri artisti come Andy Horowitz e Carl Loeffler e Terry Fox sulla Costa Ovest parteciparono all’esperienza. Tale scambio sperimentale fu distribuito via cavo a circa 25.000 riceventi di San Francisco e New York. Sempre nel 1977 Douglas Davis, Nam June Paik e Joseph Beuys e Charlotte Moorman faranno parte del “Satellite Projects”, un insieme di performance trasmesse via satellite per l’apertura di DokumentaVI di Kassel. Durante la manifestazione le azioni di Paik e Moorman, di Beuys, e di Davis furono trasmesse in tempo reale via satellite. La Trasmissione si concluse con la performance “The Last Nine Minutes”, in cui Davis cercò di interagire attraverso lo schermo e stabilire un contatto diretto con il pubblico. Dobbiamo però precisare che legato agli esperimenti di Satellite Art verso la fine degli anni ‘80 inizia a farsi il concetto di telepresenza. La telepresenza è inerente a qualsiasi forma di comunicazione a distanza. Come afferma Lev Manovich: “non si usa la telepresenza per creare un nuovo oggetto, ma per accedervi, per allacciare relazioni, per osservare ciò che avviene in un luogo remoto, per comunicare in tempo reale con altri utenti tramite una chatline o per fare una banale telefonata”1. Se ci pensiamo bene gli artisti hanno a lungo utilizzato mezzi di telecomunicazione per creare progetti che coinvolgono luoghi remoti. Nel 1922, per esempio, Làszlò Moholy-Nagy usò il telefono per ordinare cinque pitture in vernice smaltata da una fabbrica di insegne in quello che può esser considerato il primo evento di arte della telecomunicazione: con il grafico dei colori della fabbrica di fronte a lui, schizzò le pitture sulla carta millimetrata e dettò tutte le istruzioni al sovrintendente della fabbrica dall’altra parte della linea telefonica, che così trascrisse lo schizzo di Moholy-Nagy sulla stessa carta. Fra le più note esperienze di telepresenza dobbiamo sicuramente ricordare quella del 1980 di Kit Galloway e Sherrie Rabinowitz “Hole in Space”, con la quale crearono un collegamento satellitare fra il Lincoln Center di New York e il Broadway Store di Los Angeles. 1 Lev Manovich, Il linguaggio dei nuovi media, Milano, Edizioni Olivares, 2002

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Un’immagine di Hole in Space, 1980

Per tre sere consecutive, due schermi situati nei centri delle suddette metropoli, furono collegati via satellite, riproducendo in tempo reale le immagini provenienti dalle due coste opposte degli Stati Uniti. Il risultato fu quello di un contatto virtuale che rendeva la tecnologia trasparente e azzerava, attraverso il tempo reale, la distanza spaziale. Il primo giorno fu caratterizzato dalla scoperta casuale e dalla sperimentazione spontanea. Il pubblico passando sul marciapiede del Lincoln Center oppure di Los Angeles si trovò, senza sapere niente, di fronte ad un grade schermo che trasmetteva appunto immagini in diretta dall’altra parte della nazione. Il secondo vide, attraverso il meccanismo del passaparola, un’affluenza più alta di persone che giungevano sul posto già preparate e con il desiderio di vivere quella nuova esperienza. Vi furono incontri di amanti, riunioni familiari, flirt e scambi di numeri telefonici. Ma anche interazioni visive e performative tra sconosciuti che abbandonarono l’aspetto acustico sfruttando le potenzialità visuali offerte dal nuovo mezzo. Il terzo giorno, grazie anche alla forte pubblicità fatta dai mass media che vennero a

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conoscenza dell’evento, produsse il caos con la partecipazione di una folla incontrollabile, in cui ciascuno premeva per gettare uno sguardo o una voce dall’altra parte e conquistarsi pochi secondi d’interazione. Gli stessi artisti nel 1984 realizzarono a Los Angeles in occasione dei giochi olimpici il primo prototipo di quelli che più avanti saranno conosciuti come Cyber Cafè. Il progetto permetteva ai frequentatori di alcuni locali di interagire tra di loro attraverso dei monitor posizionati sui tavoli del bar. Sempre nel 1984 fu organizzato da Nam June Paik, con la partecipazione di vari artisti dell’area degli happening e Fluxus tra cui lo stesso John Cage, “Good Moorning Mr. Orwell”. Ribaltando l’idea Orwelliana di tv, che in “1984”, romanzo scritto nel 1948, descriveva la televisione del futuro come strumento di controllo nelle mani del grande fratello in una condizione totalitaria, Paik voleva dimostrare la capacità del satellite di servire situazioni positive, quale lo scambio intercontinentale e la combinazione delle culture, sia di alto livello che di puro elemento di intrattenimento. La radiodiffusione vide un collegamento fra New York ed il centro Pompidou a Parigi, ma furono collegati anche con la Germania e la Corea del Sud. Nel corso delle prime trasmissioni si raggiunse un pubblico di oltre 10 milioni di persone sparso in tutto il mondo, fino a superare, nei collegamenti successivi di ripetizione dell’esperimento, quota 25 milioni. La radiodiffusione ha trasformato il videotape di Paik in oggetto globale. In anticipo sui tempi ha aperto così la strada all’idea della comprensione internazionale tramite il veicolo della tv, espandendo il concetto di trasmissione con le possibilità via satellite in tempo reale. Anche se i legami tecnici a volte hanno reso i risultati imprevedibili, Paik ha ritenuto che “soltanto questa via servisse ad aumentare l’atmosfera live”. L’artista investì personalmente una grande somma di denaro in questo progetto. Naim June Paik affermò che questa opera era il suo “contributo diretto alla sopravvivenza umana.” L’evento vide la partecipazione artistica, oltre del già citato John Cage, di Laurie Anderson, Merce Cunningham,

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Robert Rauschenberg, Peter Gabriel, Allen Ginsberg, Peter Orlovsky e George Plimpton. Paik ha coordinato l’evento ed ha progettato i grafici della tv. Questo progetto è stato sicuramente l’ennesima dimostrazione dell’arte di Paik che ha sempre esaltato e sottolineato la potenzialità dei mezzi di comunicazione, in questo caso il satellite, come forma di unione culturale. Sempre nell’ambito degli esperimenti di telepresenza volevo ricordare un’interessante esperienza avvenuta nel 1992 che ha coinvolto direttamente anche l’Italia: Piazza Virtuale fu un progetto di televisione interattiva che poteva essere ricevuta in tutta Europa da 5 satelliti per 100 giorni durante il “Documenta IX” di Kassel del 1992. I visitatori del “Documenta” potevano trasmettere la propria immagine alla trasmissione in diretta Piazza Virtuale per mezzo di videotelefoni e telecamere che erano state installate permanentemente a Kassel e ad altre città in Italia, Germania, Francia, Svizzera, alcuni paesi dell’Europa dell’Est, gli Stati Uniti, Canada e Giappone. Era possibile usare telefoni, fax o modem per accedere alla trasmissione da casa. L’obiettivo del progetto era di trasformare il medium di massa della televisione in un medium interattivo che inverte la relazione da un trasmettitore a molti riceventi. Durante i 100 giorni di Documenta, Piazza Virtuale, ideato dal gruppo Ponton/Van Gogh TV1, venne trasmesso due volte al giorno sul canale satellitare 3 e una volta dopo mezzanotte dai satelliti Olympus. Piazza Virtuale ricevette fino a 25000 chiamate all’ora e rimane uno dei progetti di televisione interattiva di maggior successi fino ad oggi. Il progetto vide la collaborazione di Giacomo Verde ed in Italia fu realizzato nella sede del Centro sociale Conchetta di Milano, la cui organizzazione dell’evento fu affidata al gruppo Decoder, composto da Ermanno “Gomma” Guarneri, Giacomo Spazio, Zenga Kuren, Kix (Kikko), Raf “Valvola” Scelsi e in un secondo tempo anche Gianni “uvLSI” Mezza, Marco Philopat e Giampaolo “Ulisse Spinosi” Capitani2. Piazza Virtuale 1 http://www.ponton-lab.de/ 2 http://www.decoder.it

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creò un ibrido comunicativo senza precedenti di rete e televisione in diretta basata su due canali satellitari e quattro linee per ognuna: Isdn, voce su telefono, modem, tastiera telefonica, videotelefono e fax. Non c’era una trasmissione unidirezionale dei canali come nella tv tradizionale: senza alcuna regola predefinita o moderatori fino a 20 spettatori chiamavano, si connettevano, anche contemporaneamente, e iniziavano a interagire con gli altri nello spazio pubblico della televisione, e occasionalmente controllavano le telecamere remote poste sul soffitto dello studio. Tutta l’attività che arrivava dagli altri paesi veniva ritrasmessa in diretta da Kassel verso tutta Europa e occasionalmente anche verso il Giappone e l’America. 2.4 La telepresenza in rete Oggi Internet può essere considerato un enorme ambiente di telepresenza che ci permette di essere in tutto il mondo in diversi contesti: navigando ci telespostiamo da un server all’altro, da un luogo fisico all’altro, di partecipare in comunicazioni ed eventi o agire in luoghi remoti dalla propria casa attraverso la telerobotica, la manipolazione di un robot o di una installazione robotica in Internet. Scott Fisher, uno degli sviluppatori della Ames Virtual Environment Workstation Project il primo sistema di realtà virtuale realizzato dalla NASA definisce la telepresenza “una tecnologia che consente agli operatori a distanza di ricevere un feedback sensoriale sufficiente a sentirsi sul posto e in grado di compiervi varie operazioni”3. Si tratta di un sistema che consente di esperire e agire a distanza in tempo reale, la così detta teleazione, in un luogo reale che è fisicamente remoto, pericoloso o inaccessibile, nel quale si ha effettivamente la sensazione di essere presenti; per esempio, i fondali marini, i luoghi contaminati dalla radioattività, lo spazio. “La telepresenza è una tecnologia molto più radicale della realtà virtuale. 3 Scott Fisher, “Visual Interface Environments”, in Brenda Laurel (a cura di), The Art and Human-Computer Interface Design, Reading (Mass.), Addison-Wesley, 1990

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La realtà virtuale crea nel soggetto l’illusione di trovarsi in un mondo artificioso e gli permette di modificarlo. Ma l’utente di qualunque simulazione al computer modifica un mondo virtuale che esiste solo dentro un computer. La telepresenza consente al soggetto di controllare non solo la simulazione, ma anche la realtà, gli dà la possibilità di manipolare sempre a distanza la realtà fisica che gli si presenta attraverso le immagini che sono sia rappresentazioni della realtà remota sia strumenti per intervenire su di essa. Il corpo del teleoperatore viene trasmesso, in tempo reale, in un altro luogo dove può agire riparando una stazione spaziale, effettuando degli scavi sottomarini o bombardando una base militare. Quindi grazie alla telepresenza non si deve essere fisicamente presenti in un determinato luogo per incidere sulla realtà. Le immagini sono sempre state usate come strumenti per cambiare e manipolare la realtà. In effetti qualunque rappresentazione che cattura alcune caratteristiche della realtà si può usare come strumento. Diagrammi e carte, mappe e raggi X, immagini agli infrarossi e immagini radar appartengono al filone delle rappresentazioni come strumenti di azione”1. La telepresenza si differenzia dai vecchi strumenti per il fatto che la costruzione delle rappresentazioni avviene istantaneamente poiché quest’ultima implica la trasmissione elettronica di immagini video o di segnali radar. In entrambi i casi, sullo schermo si forma uno strumento-immagine che appare in tempo reale. Inoltre proprio la capacità di ricevere in tempo reale delle informazioni visive di un luogo remoto ci permette di manipolare la realtà fisica di quel luogo. I diversi tipi di teleazione richiedono risoluzioni temporali e spaziali diverse. Se l’operatore ha bisogno di un feedback immediato per azionare un veicolo a distanza è necessario un aggiornamento frequente delle immagini video; se deve piantare dei semi in un giardino tramite un braccio robotico, le immagini fisse attivate dall’utente forniscono tutte le informazioni sufficienti. Nel caso della distruzione di un oggetto a distanza, bastano 1 Lev Manovich, Il linguaggio dei nuovi media, Milano, Edizioni Olivares, 2002

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le immagini radar che registrano esclusivamente la posizione di un dato oggetto. Da ciò consegue che la tecnologia che rende possibile la teleazione è la telecomunicazione elettronica che abbinata al computer permette il controllo in tempo reale e rende istantaneo non solo il processo con il quale gli oggetti vengono trasformati in segni, ma anche il processo inverso, la manipolazione degli oggetti tramite questi segni. Per rendere massima l’efficacia della azioni dell’operatore sulla realtà, egli deve essere in grado di percepire l’oggetto su cui deve agire e l’ambiente di lavoro il più globalmente e fedelmente possibile, in funzione delle operazioni da compiere, e ricevere un feedback sensoriale di controllo in tempo reale riguardo alle proprie azioni, comprendente informazioni visuali e acustiche tridimensionali, quelle tattili e di forza e anche quelle olfattive. Il sistema di telepresenza prevede l’impiego di sistemi tecnologici avanzati per fornire azioni e retroazioni nel modo più fedele possibile. La Telepresenza consente all’osservatore essere in parallelo in tre spazi diversi: lo spazio reale dove egli si trova, lo spazio virtuale simulato attraverso la tele-percezione, lo spazio legato alla tele-azione nella postazione fisica di elaborazione dati o gestione robotica. Gli artisti connettono spazi virtuali e fisici proponendo vie alternative alla comprensione del ruolo dei fenomeni di comunicazione/interazione. Fra i primi progetti dobbiamo ricordare quello di Paul Sermon del 1992 intitolato “Telematic Dreaming”: una serie di installazioni telematiche che collegavano in videoconferenza due postazioni remote attraverso tecnologie blue-box e ISDN. L’interfaccia di “Telematic Dreaming” consisteva in un letto matrimoniale che permetteva ai suoi occupanti di comunicare con gesti e movimenti con gli occupanti di un letto identico allestito in una postazione remota. Infatti gli occupanti davano l’impressione, lontani tra loro, che giacesserò insieme in un unico letto matrimoniale virtuale. Ma l’artista che nel mio percorso di studio mi ha maggiormente appassionato in questo campo è stato senza dubbio Eduardo Kac. Nato a Rio de Janeiro nel 1962, Kac è un artista e scrittore conosciuto a livello

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internazionale la cui caratteristica dominante della sua sperimentazione è la combinazione di tecnologie provenienti da diversi ambiti di ricerca come la telerobotica, le tecnologie di rete e l’ingegneria genetica. Nei suoi lavori ha utilizzato molteplici mezzi di comunicazione, dal fax, alla televisione, alla telepresenza in fino ad Internet.

L’artista Eduardo Kac durante una conferenza

“In arte - spiega Eduardo Kac - assistiamo a numerosi cambiamenti di paradigma nei quali l’indagine del sé, caratterizzata ad esempio dalle performance autobiografiche o dall’Espressionismo Astratto, è sostituita da situazioni dialogiche. Con la globalizzazione dell’economia e con l’estensione delle reti di comunicazione, il principio di connettività è divenuto quasi ubiquo, e si è sostituito al discorso unidirezionale, proprio della pittura e del video a un canale. La mia ricerca è sensibile a tutto ciò ma allo stesso tempo spera di contribuire al passaggio verso una cultura post-biologica. Il mio ruolo d’artista non è quello di offrire all’osservatore un lavoro completo da interpretare, quanto piuttosto di condividere con lui gli strumenti che lo compongono, l’interfaccia, il corpo robotico, i

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canali di telecomunicazione. L’osservatore diviene così responsabile della propria esperienza individuale e può innovare l’opera stessa. Nel corso degli anni ho cercato di modificare le nozioni di evento, di performance o di installazione, aggiungendo elementi come la telerobotica. È per questa ragione che utilizzo termini quali “telepresenza”, “biotelematica”, “arte transgenica”: nuovi concetti hanno bisogno di un nuovo vocabolario”1. Fra le sue opere più famose ricordiamo “Uirapuru” che unisce telepresenza, realtà virtuale e Internet, per la quale nel 1999 alla Intercommunication Center Biennale di Tokyo, la giuria internazionale gli assegna un premio. Uirapuru è il nome di un uccello amazzonico che secondo la leggenda canta una volta l’anno e tutti gli altri uccelli smettono di cantare per ascoltarlo. Kac gli ha dedicato un’opera interattiva di telepresenza, creando una nuova versione della leggenda, in cui l’uccello canta quando ospita gli spiriti provenienti da lontano. Uirapuru divenne un pesce telerobotico volante che interagiva in uno spazio virtuale on line, ovvero una foresta popolata da uccelli telerobotici chiamati pingbirds la cui frequenza della melodia oscillava a seconda del traffico globale della rete. Gli utenti di internet potevano inoltre scegliere un proprio avatar e interagire con il pesce volante anche attraverso una chat. Maggiore era il traffico in rete e più spesso gli uccelli telerobotici cantavano. Tutto questo era reso possibile tramite l’utilizzo di un server VRML multiutente. Una struttura a forma di pesce volante sorvola una specie di foresta ricreata nello spazio espositivo e, in tempo reale, risponde ai comandi degli spettatori presenti in quello spazio e degli utenti collegati ad Internet che interagiscono con l’immagine elettronica del pesce. All’interno della galleria vi sono inoltre sensori che tracciano il movimento della struttura telecomandata creando dei modelli tridimensionali, in modo che l’immagine digitale di Uirapuru si muove nello spazio virtuale secondo il movimento del pesce presente in galleria. Sviluppando le esperienze di grandi artisti come Kac, per “Una mostra in 1 http://www.ekac.org/perrait.html

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tre mondi” vorrei infatti collegare le due location reali tramite Skype od un altro programma di messaggistica istantanea, per permettere al pubblico di entrare fisicamente in una sede espositiva e vederne un’altra in diretta su uno schermo, con la possibilità di interagire a distanza con le opere, con le modalità che illustrerò nei prossimi capitoli. Ma altra cosa importante sarà che queste due sedi espositive reali dovranno a sua volta essere collegate con una realtà museale virtuale, una delle tante che si sono sviluppate in rete in questi ultimi anni e sulle quali si stanno investendo moltissime risorse. Vorrei però prima fare un piccolo passo indietro per un ultimo cenno storico, perché ritengo importante ricordare che prima ancora di quella che oggi conosciamo come World Wide Web ci sono state, a partire dagli anni settanta, delle tappe fondamentali che hanno visto la nascita di attrezzature come il modem, grazie alle quali siamo poi arrivati alle attuali tecnologie. 2.5 Le BBS Nel 1977, infatti, D. Hayes inizia a produrre modem e due studenti dell’università di Chicago, Ward Christensen e Randy Suess, scrissero un programma battezzato “Modem”, che permetteva il trasferimento di file tra i loro pc. Gli stessi nel 1978 misero a punto anche il Computer Bulletin Board System con il sistema BBcode, che consentiva al computer di trasmettere e archiviare messaggi. Entrambi i programmi sono stati distribuiti dai loro creatori in forma open source, che all’epoca era il modello di distribuzione convenzionale. Il primo BBS, o bacheca elettronica, fu Community Memory del 1973 con modem a 110 baud. Community Memory fu creata da Efrem Lipkin, Mark Szpakowski, e Lee Felsenstein inventore dell’Osborne 1. Ne seguirono altri come AGHusa che ebbe nodi in tutto il Nord America, ma sempre a livello pionieristico, e in seguito nel 1978 Christensen e Randy Suess crearono il sistema per bacheche elettroniche CBBS 55 (Computer Bulletin Board

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System). Bullettin Board System (BBS) avrebbe dovuto funzionare come un sistema di scambio di informazioni e comunicazioni analogo a quello delle bacheche nell’università. All’inizio degli anni Ottanta il fenomeno delle BBS decollò coinvolgendo migliaia di giovani in tutto il mondo. Nel primo periodo dell’arte telematica spesso al di là di episodici eventi performativi l’attività artistica si risolveva nella creazione di strumenti che creavano l’infrastruttura all’interno della quale sarebbe potuta nascere una comunità virtuale. L’arte del fare network dal basso che si può ritrovare in esperienze di telematica di base come quella del Community Memory Project, in lavori artistici come “Artex” di Robert Adrian iniziata nel 1980, nella creazione della BBS The Well a San Francisco da parte di Stewart Brand nel 1985, nel forum ACEN di Carl Loeffler nel 1986. Nasce poi proprio l’idea di BBS come opera d’arte come nel caso di “Hacker Art BBS” di Tommaso Tozzi del 1990 e nella realizzazione di vere e proprie reti civiche fatte da artisti come De Digitale Stad ad Amsterdam nel 1994 o International City Federation a Berlino nello stesso anno. I primi modem degli anni ottanta permettevano comunicazioni estremamente lente, ma verso il 1985 l’introduzione del modem a 1200 bps cominciò a rendere le cose accettabili, dando il via alla crescente popolarità dei BBS. La maggior parte delle informazioni era presentata in formato ASCII e dopo l’avvento del formato GIF cominciò a essere inserita anche della grafica, che incidendo pesantemente sulla banda necessaria, aumentava la richiesta di modem più veloci. I limiti dell’interesse di un BBS frequentato solo da poche persone di una ristretta area geografica vennero superati con la nascita di reti di BBS. I BBS aderenti alla stessa rete scambiavano fra loro, soprattutto la notte, quando le tariffe telefoniche erano inferiori, tutti i messaggi scritti dagli utenti. In questo modo l’utente aveva l’impressione di usare un solo grande BBS diffuso in tutto il pianeta, e con moltissimi più utenti di qualunque singolo BBS. La prima rete del genere fu Fidonet, che arrivò ad avere decine di migliaia di nodi. Venne imitata da altre reti più piccole ma specializzate su

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temi specifici. In Italia, nel 1984 Giorgio Rutigliano cominciò a gestire un BBS che nel 1986 trasformò nel primo nodo di Fidonet Italia, all’interno di una delle maggiori reti BBS internazionali. Con la crescita di Internet della metà degli anni novanta, la popolarità dei BBS calò rapidamente. Attualmente, molti di essi sono connessi a Internet e possono essere letti tramite un comune browser web.

2.6 L’Arte Telematica Nello stesso periodo e precisamente nel 1979 nasce l’Arte Telematica. Il suo concetto è perfettamente spiegato su Wikiartpedia: “L’Arte Telematica riflette in maniera intelligente sulle potenzialità che il World Wide Web offre agli artisti e alla cultura in generale. La figura tradizionale dell’autore si trasforma diventando un attivatore di processi culturali spostando la ricerca estetica dall’oggetto al concetto e focalizzando l’attenzione non tanto su cosa l’opera rappresenta bensì su come l’opera interagisce. L’artista telematico progetta esperienze, provoca scintille che producono cortocircuiti nel tranquillo paesaggio esperienziale del quotidiano. L’arte diventa sempre più flusso e scambio, collaborazione e relazione”1. Si tratta dunque di un’arte in cui è fondamentale la collaborazione tra l’artista ed il pubblico attraverso la rete che innesca una nuova forma di socialità. Questo movimento, noto sin dagli anni settanta, ha anticipato, operando sul concetto di network, tutto quello che oggi puntualmente accade nella nostra società con la diffusione delle reti telematiche. Ci sono stati artisti che hanno colto questo enorme potenziale sperimentando una serie di situazioni comunicative al confine tra arte e sociologia, hanno esplorato modalità di comportamento collettivo, di dialogo a distanza e in tempo reale, cosa che mi affascina molto ed è stata altra fonte di ispirazione fondamentale per lo sviluppo di “Una mostra in tre mondi” che mi auguro possa dar vita ad un grande happening collettivo fra reale e virtuale. 1 http://www.wikiartpedia.org/index.php?title=Arte_telematica

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Tornando alla storia delle prime sperimentazioni, artisti come Bill Bartlett, Roy Ascott e Robert Adrian hanno realizzato le loro prime opere utilizzando tecnologie che oggi sembrano obsolete come il telefax o la radio, ma che hanno contribuito ad un enorme cambiamento del modo di concepire l’opera d’arte. Solo per citare alcuni esempi è doveroso ricordare: “Interplay”, il progetto collettivo di arte e telecomunicazione organizzato da Bill Bartlett con l’IPSA nel 1979, ovvero la comunicazione tra computer che coinvolgeva artisti da dodici città diverse dotate di uffici IPSA (I.P. Shrp Associates) una timesharing company con sede a Toronto, ma funzionante in tutto il mondo; “Artists’ Use of Telecomunications Conference” del 1980 di Robert Adrian. Adrian realizza anche “The World In 24 Hours” in occasione della terza edizione del festival Ars Electronica di Linz del 1982, utilizzando tre diversi sistemi di comunicazione: il time sharing, il telefax, e un segnale video trasmesso attraverso la rete telefonica e decodificato da un televisore a bassa scansione. Sempre nel 1982 Adrian porta a termine con Roy Ascott “Artex”, progetto iniziato nel 1980, che consiste in un programma di posta elettronica per l’uso artistico e per coordinare eventi online. “Sia Artex che Notepad – spiega Roy Ascott in un’intervista di Maurizio Bolognini2 - erano asincroni. E’ stata proprio la natura essenzialmente asincrona del medium che mi ha attratto sin dall’inizio; altrimenti le ordinarie tecnologie di comunicazione non avrebbero avuto alcun reale interesse per me, nel contesto del mio lavoro artistico. L’interattività d’altra parte aveva caratterizzato il mio lavoro in un modo o nell’altro, sin dai Change Painting, che avevo realizzato a Londra negli anni Sessanta. I sistemi telematici sono intrensecamente interattivi, diversi da quelli legati al tempo lineare e alla cognizione causale che, sebbene privi di incertezza o ambiguità, sono condannati alla prevedibilità e all’inerzia […]”. Roy Ascott concepisce e Robert Adrian coordina il progetto La Plissure du 2 “Conversazione con Roy Ascott” dal libro Postdigitale di Maurizio Bolognini

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Text per la mostra “Electra” di Parigi del 1983, dove i partecipanti sono invitati ad improvvisare un testo narrativo online che vede riunite undici città diverse. Il lavoro di Ascott va appunto verso una ricerca dei network telematici. Nel 1985 presenta “Organe et fonction d’Alice au pays des merveilles”, un altro esempio di testo collaborativo costruito in tempo reale da autori connessi in rete. A livello espositivo, il movimento dell’Arte Telematica ha trovato un momento significativo nella Biennale Arti Visive di Venezia dell’86 con “Planetary Network” organizzato da Tommaso Trini ed altri artisti. In quell’occasione risultò evidente che il valore di alcuni interventi stava nell’happening, nella performance e non nella concretizzazione di un oggetto. Oltre a Trini fra gli sperimentatori dell’arte telematica italiana troviamo Tommaso Tozzi che ho già citato per la sua “Hacker Art BBS”. Tozzi lo scorso ottobre ha ricevuto una Honorary Mention all’interno della sezione Digital Communities di Ars Electronica per l’opera Wikiartpedia, la libera enciclopedia dell’arte e le culture delle reti telematiche. “Non credo di essere uno dei padri – spiega Tommaso Tozzi in un’intervista di Simona Lodi - delle arti digitali nel nostro paese. Penso che il mio contributo essenziale in Italia sia specifico all’arte digitale in rete, la cosiddetta net art o hacker art (come io la definisco per attribuirgli delle connotazioni etiche attigue all’etica hacker). Riguardo all’arte digitale in generale abbiamo in Italia esperimenti fin dall’inizio degli anni Sessanta e dunque dubito che io possa essere padre, visto che allora ero un figlio appena nato. Per essere sinceri, anche rispetto alla telematica devo molto a mio padre che negli anni Settanta/Ottanta dirigeva la SIP (quella che oggi si chiama Telecom) in Toscana e ne ha diretto la trasformazione verso il digitale. Dunque in casa respiravo le novità delle possibilità date da tale mezzo di comunicazione per come lui me le raccontava[…]. Ho vissuto anche la nascita del network ECN e del suo sviluppo grazie agli esperimenti che di esso venivano fatti da Stefano Sansavini al Centro di

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Comunicazione Antagonista di Firenze con cui ero entrato in contatto dopo aver aperto la mia BBS Hacker Art […]. Altri in Italia prima di me hanno usato la telematica per farvi circolare un’opera artistica, ma per quello che io sono a conoscenza nessuno si era mai posto il problema che non si dovesse considerare la rete telematica come un semplice mezzo, ma essa stessa come l’opera. Credo che tale assunto sia un elemento caratterizzante la distinzione tra net art e art on the net e dunque in tal senso penso di aver contribuito a portare in Italia tale idea e dunque se mi si dovesse riconoscere un merito nel campo artistico questo debba essere posizionato nel settore della net art più che in quello dell’arte telematica di cui ho comunque fatto alcune esperienze. Il progetto più importante di questa mia fase artistica fu dunque quello che si concretizzò nella realizzazione della BBS Hacker Art il 1 dicembre del 1990 e che esposi successivamente alla Galleria Nazionale di Arte Moderna di Bologna all’interno della mostra collettiva “Anni Novanta” organizzata da Renato Barilli[…].”1 E’ da questa esperienza che nasce Wikiartpedia che si pone come obiettivo la ricerca, documentazione e promozione delle arti e le culture delle reti telematiche attraverso la collaborazione e partecipazione libera degli utenti. “[…] I contenuti di Wikiartpedia – continua Tommaso Tozzi - sono stati realizzati in gran parte dagli studenti dei miei corsi presso l’Accademia di Belle Arti di Carrara e di Firenze e l’Università degli Studi di Firenze. Ho provato a farne un elenco e ne risultano circa 500, ma presumo che gli studenti che hanno partecipato possano essere stati alcune centinaia in più, in quanto ho svolto il progetto anche all’interno di altri corsi di formazione. Chiunque può inserire una nuova voce o modificarne una esistente. Il sito contiene attualmente circa 3000 voci relative a soggetti, opere, testi ed argomenti riguardanti la net art, l’arte e le culture digitali. Il sito ha attualmente una media di circa 1.500 accessi al giorno […]”. 1 Da l’intervista di Simona Lodi su http://www.toshare.it/ita/world-news/wikiartpedia-ad-ars-electronica-intervista-a-tommaso-tozzi

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La liberazione dall’oggettualità del prodotto artistico è un’operazione culturale che vorrei ripetere mettendo a confronto due mostre nello stesso momento in due luoghi diversi, raggiungibili proprio grazie ai suggerimenti che gli artisti telematici hanno sviluppato e che per me sono un esempio unico da seguire. Poter dare la possibilità ad una persona a New York di poter interagire con un’opera in uno spazio a nove ore di volo, non vuol essere solo una spettacolare performance, ma un avvicinare attraverso l’arte due culture diverse e di farle sentire vicine.

L’home page del Museo Virtuale dell’Iraq

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3. Realtà Aumentata, Musei On Line e Virtuali La diffusione di Internet ha portato ben presto ad affacciarsi alla rete anche le istituzioni museali, ognuna delle quali ha iniziato a pubblicare siti relativi alle proprie collezioni. Ma oltre a dare la possibilità di conoscere le opere in esposizione, gli orari e le tante altre informazioni, alcuni di loro permettono effettuare una visita virtuale all’interno delle sale. Sono moltissimi ormai i musei di varie parti del mondo che è possibile ammirare senza entrarci realmente. Il museo virtuale è un’esperienza multimediale che si avvale delle più moderne tecnologie tali da permettere un diverso livello di fruizione, più interattivo, dell’opera d’arte. Questa è una delle forme più innovative con cui un museo cerca di promuoversi rinnovando l’interesse per le opere d’arte poste al suo interno. I musei virtuali, quelli veri e non semplicemente il sito del museo, sono caratterizzati dall’uso preminentemente di un’interfaccia visuale e da una struttura multimediale ed interattiva. Uno dei primi musei on line è stato sicuramente quello del Louvre di Parigi1, ma nel corso di questa mia ricerca sulla fruizione delle opere d’arte a distanza, ho scoperto che fortunatamente a Bagdad lo Stato Italiano non manda solo soldati, ma il Consiglio Nazionale delle Ricerche, su iniziativa e con il sostegno del Ministero degli Affari Esteri, ha realizzato il Museo Virtuale dell’Iraq2. Il sito, in lingua italiana, araba ed inglese, è stato realizzato in una stretta sinergia tra studiosi del mondo antico e tecnici informatici, mettendo in campo oltre un centinaio di soggetti con diverse competenze. Il Museo raccoglie complessivamente 70 reperti dei quali 40 con ricostruzioni 3D; inoltre contiene 22 filmati e 18 elaborazioni cartografiche di siti archeologici. Otto sono le sale da 1 http://www.louvre.fr 2 http://www.virtualmuseumiraq.cnr.it/prehome.htm

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ammirare, ciascuna corrisponde ad una fase storica: preistorica, sumerica, accadico–neosumerica, babilonese, assira, achemenide-seleucide, particosasanide e islamica. Fra il nostro ricco patrimonio italiano è possibile visitare alcune zone del museo degli Uffizi1, oppure vedere la ricca collezione di immagini dei musei Vaticani2. Oggi comunque per tutti i musei o gallerie d’arte è ormai obbligatorio essere in rete e anche se non con la possibilità di una visita virtuale, con numerose pagine cariche di foto e notizie sulle opere e gli artisti. Su come cambia il modo di ammirare un’opera d’arte si discute ormai da cinque anni al Convegno Lucca Beni Culturali, al quale ogni anno partecipano i massimi esponenti internazionali dediti al recupero e la valorizzazione dei beni culturali, grazie all’informatica, alla multimedialità e alla robotica. In questi ambiti è stato coniato il nuovo termine di “realtà aumentata”: nata in ambito militare e utilizzata nella chirurgia, oggi trova interessantissime prospettive in ambito artistico anche perché è facilmente usufruibile già sui telefonini di ultima generazione. Basta puntare la videocamera verso un monumento e sul display compaiono informazioni storiche, curiosità e magari dettagli non visibili ad occhio nudo. Fra i vari software ho trovato interessante Magitti3 sviluppato dai ricercatori del Palo Alto Research Center (PARC), laboratorio fondato nel 1970 come parte della Xerox Research, e conosciuto per l’ideazione delle stampanti laser, della GUI (Graphical User Interface) e del protocollo Ethernet. Magitti è dotato di intelligenza artificiale, poiché “apprende” dalle scelte del suo utilizzatore, immagazzinandole ed elaborandole al fine di fornire suggerimenti sempre più precisi e conformi ai gusti dell’utente. Per di più, per definire meglio il profilo del suo proprietario, vaglierà ed elaborerà anche sms, e-mail inviate e ricevute e appuntamenti nel calendario. Inoltre, l’utente può interagire con esso, mostrando le preferenze dei luoghi da visitare e il relativo livello di gradimento. 1 http://www.uffizi.firenze.it/ 2 http://www.christusrex.org/ 3 http://www.giovani.it/cellulare/news/magitti_software_smartphone.php

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“Magitti prevede differenzazioni fra le attività - spiega Bo Begole, coresponsabile del progetto - per esempio, i bar saranno visualizzati durante le ore del mattino, i negozi durante tutto il giorno, e i pub, i ristoranti e i cinema di notte”. Secondo quanto scritto sul magazine Technology Review “Quando una persona usa un telefono cellulare che possiede il software Magitti, immediatamente visualizza un elenco di indicazioni. Se è mezzogiorno, il software potrebbe suggerire ristoranti locali. Se si tratta delle 3 del pomeriggio, potrebbe raccomandare una vicina boutique per lo shopping. Se sono le 9 di sera, potrebbe mostrare un elenco di pub. Col passare del tempo, queste comunicazioni cambieranno in base a quanto Magitti imparerà dai comportamenti e dalle preferenze dell’utente. Il software impiega algoritmi di intelligenza artificiale che sono stati tradizionalmente usati nella ricerca per dare indicazioni su misura. Se, per esempio, una persona preferisce pranzi poco costosi e cene più costose, Magitti prenderà atto di questo (confrontando la posizione GPS del ristorante con un database di stabilimenti) e offrirà indicazioni corrispondenti”. Il software che studia i nostri interessi e riesce a rielaborarli per suggerirci cosa fare è una novità davvero stupefacente, e se state pensando alla privacy e alle informazioni che potenzialmente potrebbero essere utilizzate per altri scopi, quali per esempio ricerche e statistiche, non preoccupatevi: l’analisi dei dati personali ha luogo sul palmare e non sul server dell’azienda, assicura Begole, sottolineando anche il fatto che il Giappone ha norme fra le più rigorose al mondo per quanto riguarda la protezione della privacy dei consumatori. Per funzionare, ovviamente, c’è bisogno di una connessione internet e di un modulo GPS, al fine di recuperare informazioni su locali e negozi in base al luogo in cui ci si trova. Per quanto riguarda il suo utilizzo, l’interfaccia di Magitti è davvero user friendly, semplice ed intuitiva, assicura Elinor Mills, giornalista di CNET News.com, che ha avuto l’opportunità di provare questa applicazione. Magitti è testato per tutto il 2008 da un gruppo dagli esperti del Dai Nippon Printing (DNP),

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la prima compagnia giapponese di stampa su larga scala, per essere presentato, salvo complicazioni, nel 2010 in Europa. Ma queste nuove applicazioni saranno presto trasferite anche sui navigatori satellitari che oltre a riconoscere i segnali stradali ben presto forniranno informazioni sui monumenti che si incontrano durante un tragitto. Ed all’interno dei musei si lavora addirittura all’integrazione di tecnologie robotiche. Un primo esperimento riguarda il museo delle Collezioni Egittologiche di Pisa per il quale è in atto un progetto del Laboratorio Percro-Sant’Anna, con la collaborazione dell’Università di Pisa ed il Cnr Itabc, che darà l’opportunità ai visitatori di questo museo di rivivere le atmosfere dell’antico Egitto e dell’Oman osservando e toccando reperti conservati in tutto il mondo che potranno essere fruiti grazie ad apposite interfacce in una realtà virtuale. Anche Ercolano a pochi passi dagli scavi i ricercatori del Mav, hanno aperto un museo dove grazie alla virtualità ci si ritrova nel 79 d.c. pochi attimi prima dell’eruzione del Vesuvio. Al Cnr di Pisa si lavora inoltre a nuovi mezzi che possono aiutare anche le persone disabili a fruire della bellezza delle opere d’arte. Dalla collaborazione tra il centro interdipartimentale di Ricerca Enrico Piaggio e la società 3logic MK è stato realizzato un guanto elettronico capace di trasformarsi in una guida museale interattiva per le persone con disabilità motorie. Tramite questo guanto e un particolare mouse che segue il semplice movimento della testa chiunque potrà viaggiare dentro un ipertesto audiovisivo entrando nella parte più intima di un’opera d’arte. Infine l’ultima novità si chiama Smart Museum ed a farsi promotore per l’Italia di questo ambizioso progetto è l’Istituto e Museo di Storia della scienza di Firenze. Smart Museum, altro non è che un ulteriore prodotto software dedicato ai palmari ed agli smartphone supportati per seguire una serie di itinerari turistici. Questo prodotto arriva da un progetto di ricerca finanziato dalla Comunità Europea, che chiude qui il suo primo step di realizzazione di guide elettroniche per l’arte. Ad oggi, il progetto non è nuovo all’Europa perchè è già stato presentato in Svezia, in

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Francia, in Finlandia, a Malta, in Estonia ed in Bulgaria. Questo software dedicato esclusivamente alla navigazione turistica, può essere installato comodamente sui device dopo essere stato scaricato dal sito di riferimento del progetto www.smartmuseum.eu. L’obiettivo generale del progetto è quello di sviluppare una piattaforma per i servizi innovativi migliorare il sito ad accesso personalizzato al patrimonio culturale digitale e preservare la privacy degli utenti. Utilizzando banche dati a livello mondiale le biblioteche digitali e la conoscenza dei visitatori, la piattaforma rende possibile la creazione di servizi innovativi multilingue per la maggiore interazione tra i visitatori e gli oggetti del patrimonio culturale in un ambiente futuro museo smart, cercando di trarre pieno vantaggio dalle informazioni culturali digitalizzate. Da qui si possono realizzare dei percorsi ed itinerari di visita personalizzati a seconda delle proprie preferenze. Al fianco dell’istituzione fiorentina hanno partecipato a Smart Museum per la Francia l’Institute Nazionale de Recherche en Informatique et en Automatique (INRIA), per Svezia e Finlandia le Università di Stoccolma ed Helsinki, per Malta l’agenzia nazionale Heritage, per la Bulgaria il gruppo Webgate, per l’Estonia Apprise ed Eliko. Nella sostanza, SmartMuseum è una guida audiovideo elettronica di ultima generazione, adattabile alle caratteristiche del visitatore. Il quale deve solo impostare il programma con i propri dati tempo a disposizione, profilo socio anagrafico, preferenze culturali, finalità della visita - per vedersi o sentirsi proporre l’itinerario per lui ideale. Inoltre il software memorizza tutti gli itinerari precedenti, e nelle future visite propone a seconda delle visite già fatte e del gradimento, nuovi itinerari. L’investimento economico per Smart Museum è di 2 milioni di euro. La presentazione ufficiale del progetto avverrà entro il secondo trimestre di quest’anno, ma sarà destinata solo al mondo degli operatori. Per essere esposta ai fruitori dovremo sicuramente aspettare la seconda metà dell’anno prossimo. A proposito di smart phone mi piaceva ricordare che nel luglio 2008

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assieme ad Irene Franchi e Roberta Morelli, per il corso di Net Art del Professor Tommaso Tozzi ho organizzato una mostra documentativa sull’Arte Telematica realizzata tra il 1978 ed il 1986, visionabile attraverso l’utilizzo di Smart Phone. La mostra ha presentato una selezione di alcuni tra i principali artisti di arte telematica e dei loro lavori realizzati tra il 1978 e il 1986. Le schede documentative degli artisti e delle opere che sono presenti sul web nel sito www.wikiartpedia.org potevano essere visionate dai visitatori tramite cellulari smart phone attraverso l’utilizzo di apposite tag appese come quadri alle pareti che collegavano il cellulare alle pagine sul web. Le pagine web di wikiartpedia, come già sottolineato sono aggiornabili e modificabili, dunque ogni visitatore ha potuto partecipare alla mostra aggiungendo ulteriori informazioni sulle pagine web delle schede. Lo stesso sistema l’ho utilizzato durante la mostra “Viareggio Art Project” inserendo una tag su ogni cartellino delle opere esposte, per far sì che tramite cellulare si potessero visualizzare le informazioni in rete relative all’artista. Un sistema che ho scoperto con piacere è utilizzato anche dal Guggenheim Museum di Venezia1. Se il tipo di cellulare che il visitatore ha in possesso non ha questo tipo di applicazione, come i telefoni di ultima generazione, è possibile abilitarlo a leggere questa nuova tecnologia scaricando un software gratuito. La Collezione Peggy Guggenheim indica il sito http://www.qrmob.mobi/, mentre nelle mie esperienze mi sono affidato ad http://www.i-nigma.com/i-nigmahp.html. Entrambi permettono anche di realizzare facilmente e velocemente le tag. Basta inserire l’indirizzo completo del sito, per il quale si desidera avere il codice, ed appare subito la tag desiderata.

1 http://www.guggenheim-venice.it/mobi.html

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4. Second Life In questo paragrafo illustrerò come è nato e si è sviluppato il mondo di Second Life, che ospiterà la terza location del mio progetto. Second Life è nato nel giugno del 2003 dalla società americana Linden Lab e dalla visione del fondatore, il fisico Philip Rosedale. Un programma client gratuito chiamato Second Life Viewer permette agli utenti, rappresentati da avatar di interagire gli uni con gli altri. I residenti possono esplorare, socializzare, incontrare altri residenti e gestire attività di gruppo od individuali, creare partnership e perfino sposarsi e realizzare progetti o viaggiare e teleportarsi attraverso le isole e le terre che formano il mondo virtuale, i cui dati digitali sono immagazzinati in una griglia di server a S.Francisco. Ogni utente, chiamato anche residente, ha a disposizione una serie di strumenti per aggiungere e creare: oggetti, paesaggi, forme dei personaggi, contenuti audiovisivi, servizi ecc. La peculiarità del mondo di Second Life è quella di lasciare agli utenti la libertà di usufruire dei diritti d’autore sugli oggetti che essi creano, che possono essere venduti e scambiati tra i residenti utilizzando una moneta virtuale il Linden Dollar che può essere convertito in veri dollari statunitensi e anche in euro dando vita ad un’economia interna. È considerata una piattaforma ed un nuovo media per diversi settori, apprendimento, arte, imprese, formazione, musica, giochi di ruolo, media, diverse abilità, aziende, architettura, machinima e film di animazione ed altro. Si avvale di strumenti di comunicazione sincroni ed asincroni integrando un motore di ricerca, un motore fisico, strumenti di presentazione e streaming video ed audio,un linguaggio di programmazione LSL interno Linden Scripting Language per dare vita agli

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oggetti, un sistema di trasmissione della voce, messaggistica istantanea, chat pubblica, minibrowser per il web e molto altro ed è costantemente in via di sviluppo. Secondo i dati della Linden, in media ogni 60 giorni partecipano alla creazione del mondo di Second Life oltre 1.400.000 utenti attivi di ogni parte del mondi, senza considerare che gli utenti registrati sono parecchi milioni, il che comprende gli utenti inattivi, doppi o creati e mai utilizzati. Ciò che distingue Second Life da ambienti o giochi multiutente 3D online è che il contenuto di Second life è creato dagli utenti stessi. La presenza all’interno del mondo virtuale appare dunque come reale e la collaborazione e gli scambi tra esseri umani si esercitano attraverso la mediazione degli avatar, ovvero la propria immagine che ognuno può personalizzare come vuole.

Una land in Second Life

Molti personaggi che partecipano alla vita di Second Life sono programmatori in 3D. Qualcuno di essi ha guadagnato somme di vero denaro vendendo gli script dei propri oggetti creati per essere utilizzati dentro il mondo virtuale. Second Life viene comunemente utilizzato dai suoi utenti per proporre agli altri partecipanti conferenze, file musicali e video, opere d’arte, messaggi politici, ecc.; si è inoltre assistito alla creazione di numerose sottoculture all’interno dell’universo simulato SL, che è stato studiato in numerose università come modello virtuale di

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interazione umana. Molte Università ed aziende stanno usando Second Life con obiettivi educativi e formativi, incluse le università di Harvard e di Oxford ed anche in Italia sono sempre numerose le istituzioni accreditate formali od informali: Università realmente esistenti ed operanti, o nate spontaneamente nel mondo, utilizzano Second Life come ambiente di apprendimento e di sperimentazione ed anche la scuola superiore si sta avvicinando alla sperimentazione ed alla scoperta delle sue potenzialità. La città di Mantova è stata la prima città italiana ad avere la sua controparte fedele in Second Life. Riproduce quanto più fedelmente possibile la Mantova reale, utilizzando misure, foto e disposizione degli edifici come dal vero. Attualmente su tre livelli, centro storico, Palazzo Te e Castello di San Giorgio si estende su due terreni (detti anche Sim). Ricostruito il museo Tazio Nuvolari, il Teatro Bibiena, la Basilica di sant’Andrea. La Sim è teatro di eventi culturali e di aggregazione avendo la possibilità di proporre manifestazioni reali e virtuali. Lo staff mette a disposizione un servizio gratuito di guide per visitare la città, possibilità per le Università di organizzare visite per i gruppi di studio. La Provincia di Vicenza ha realizzato dal 21 gennaio 2008 il “Park Palladio” ovvero un’isola con le ricostruzioni artisticamente e storicamente fedeli della Basilica Palladiana, di Palazzo Barbaran Da Porto e della Villa Cordellina. Il Park fu dedicato al Palladio poiché proprio nel 2008 cadeva il cinquecentenario dalla nascita dell’illustre architetto vicentino. Il Park fu presentato presso il Parlamento Europeo ed è stato inaugurato con la benedizione virtuale dell’avatar del Vescovo di Vicenza Cesare Nosiglia. La Provincia di Roma ha aperto nel 2008 il primo Centro per l’Impiego Virtuale su Second Life. La Regione Toscana è stata la prima regione italiana a sbarcare ufficialmente su Second Life. Il 24 luglio 2007 viene aperto Enel Park, il parco a tema didattico sulle tematiche ambientali e l’energia rinnovabile creato da Enel. Il 27 settembre 2007 è stato organizzato lo sciopero degli avatar dei lavoratori IBM, da parte di una task force internazionale coordinata da UNI Global Union e dalla Rappresentanza Sindacale Unitaria IBM di Vimercate. È

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stata la prima manifestazione di sciopero su Second Life. 2000 avatars hanno partecipato alla protesta da 30 paesi per 12 ore, presidiando le sim di IBM. L’iniziativa ha avuto un enorme effetto mediatico in tutto il mondo ed ha avuto conseguenze molto significative sulla vita reale. Gli enormi risultati di questa innovativa forma di protesta hanno sancito la nascita del Sindacato 2.0. Il 28 settembre 2007, durante il 18° Congresso di Chirurgia dell’Apparato Digerente promosso dal prof. Giorgio Palazzini ed in collaborazione con Johnson & Johnson Medical Italia, viene trasmessa nel mondo virtuale la prima operazione chirurgica di ernia inguinale eseguita con Ultrapro Plug. Dal 21 ottobre 2008 al 7 gennaio 2009 al Museo di Storia Naturale di Firenze si è tenuta la mostra Rinascimento virtuale, la prima grande esposizione in un museo interamente dedicata all’arte sviluppata all’interno di Second Life. Nel settembre 2009 al workshop internazionale su Multimedia in Physics Teaching and Learning MPTL14 viene presenata da italiani una relazione in documento e slide su Sloodle, progetto di software didattico opensource per l’apprendimento ed insegnamento in Second Life. Nello stesso congresso per l’innovazione multimediale nell’insegnamento della fisica viene accettato e messo in programmazione il contributo di italiani di Second Physics ed Immersiva per il progetto itinerante di divulgazione e popolarizzazione della scienza Scienza on the road. Nel settembre 2009 viene inaugurata la Città Ideale in Second Life ricostruzione in 3D liberamente tratta dal dipinto attribuito alla scuola di Piero della Francesca. Concludo questo capitolo precisando che sono molti gli artisti contemporanei che si stanno dedicando sempre più numerosi al mondo virtuale tanto da esporre i propri lavori soltanto on line, per i cui approfondimenti, non essendo questa la sede dove ripercorrere la storia della Net Art, rimando al libro “Net.Art, l’arte della connessione” di Marco Deseriis e Giuseppe Marano.

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5.Esperienze precedenti di fruizione a distanza di un’opera d’arte Per riuscire a progettare una mostra con interazione a distanza del pubblico in due sedi diverse ed allo stesso tempo collegate con una terza location virtuale in Second Life, punto di unione fra il mondo reale e quello reale, non potevo che considerare alcune interessanti esperienze precedenti che mi hanno aiutato a capire come ottimizzare sia gli aspetti tecnici che quelli artistici. 5.1 The Tunnel under the Atlantic Uno dei primi eventi televirtuali intercontinentale è stato quello di Maurice Benayoun nel 1995 in occasione del Simposio Internazionale di Arte Elettronica di Montreal: “The Tunnel under the Atlantic”. Dal 19 al 24 settembre 1995 un tunnel virtuale fu scavato sotto l’Atlantico da centinaia di persone, collegando il Centre Georges Pompidou a Parigi e il Musée d’art Contemporain di Montreal, che stava ospitando la mostra ISEA. Ci vollero sei giorni per realizzare lo spazio simbolico che separava i due continenti. The Tunnel under the Atlantic permise a centinaia di persone presenti fisicamente a Parigi ed a Montreal di incontrarsi, entrando in comunicazione a distanza in un mondo virtuale dinamico. Ad ogni estremità del tunnel virtuale i visitatori erano di fronte a un grande schermo posto all’interno di un tubo di due metri di diametro che spariva nel terreno, facendo pensare ad un attraversamento lineare del pianeta; lo schermo mostrava uno stretto passaggio attraverso la terra. In ogni cabina, vi erano suoni e immagini elaborate in tempo reale e generate da una rete di due computer, uno situato a Parigi e l’altro a Montreal. Il percorso

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che collegava questi due luoghi non era la simulazione del sottosuolo dell’oceano, ma una massa di materia simbolica che rappresentava, invece di strati geologici, un insieme di musica e figure, strati di immagini prese dalla storia e dalla cultura francese e canadese che i visitatori rivelavano ogni volta che scavavano con un joystick all’interno dell’ambiente virtuale in 3D. L’esplorazione collettiva scopriva frammenti di rappresentazioni rare o familiari, che potevano risvegliare la memoria collettiva dei partecipanti e trasformare lo scavo del tunnel di ognuno in un’esperienza unica, in un personale assemblaggio fatto di suoni e immagini in uno spazio tridimensionale costruito attraverso i loro movimenti che venivano registrati in un database condiviso. Un assemblaggio che dipendeva dal modo particolare di scavare di ogni esploratore a seconda se avveniva ad alta velocità o lentamente e attentamente. Mentre scavavano i visitatori potevano parlare con le altre persone attraverso l’Oceano Atlantico. I suoni delle loro voci e la musica composta da Martin Matalon aiutavano a localizzarsi e a muoversi attraverso il tunnel. Infatti erano ancorati allo spazio e permettevano ad ognuno di scoprire le direzioni giuste per incontrare l’altro partecipante. Unendo azioni spontanee e dialoghi, la musica composta da Martin Matalon cambiava nel corso dell’evento ed era organizzata attorno ai percorsi personali, come nel caso delle immagini. Muovendosi attraverso di esse il partecipante si spostava liberamente anche all’interno di uno spazio sonoro interattivo, fatto di sequenze di suoni sintetizzate al computer disposte in tempo reale nello spazio con lo Spatialisateur, strumento che permetteva di definire un virtuale spazio sonoro tridimensionale e di muovere dinamicamente fonti, attraverso uno spazio nel quale era immerso il visitatore. A seconda della velocità del suo movimento e delle sue decisioni di fermarsi o di tornare indietro, di girare a sinistra o a destra, di salire o scendere, il visitatore si spostava attraverso strutture musicali, melodie, ritmi, toni predefiniti. I suoi gesti davano vita a un particolare cambiamento nella performance. Così ogni partecipante sceglieva un proprio ambiente sonoro e un proprio sentiero

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musicale. Ognuno poteva valutare la distanza che lo separava dall’altro dall’intensità della musica. L’evento televirtuale era filmato da quattro videocamere virtuali; quello che veniva registrato era mescolato e montato automaticamente da un elaboratore tenendo in considerazione il discorso di entrambi i partecipanti. Le loro immagini in movimento in tempo reale venivano mostrate fluttuanti nello spazio che avevano creato scavando. I due partecipanti potevano vedersi solo quando entrambe le estremità del tunnel si univano. Il contatto tra i due esploratori del tunnel che prima era fatto solo di suoni ora diventava visivo. Dopo di che, altri partecipanti potevano prendere la stessa strada ed esplorare gli spazi già scavati o crearne di nuovi, in una ricerca collettiva di una memoria comune. 5.2 The Gate Se da questo lavoro di Benayoun ho potuto prendere alcuni spunti per mettere in comunicazione il pubblico residente in due emisferi diversi, da “The Gate” ho avuto l’ispirazione di collegare le due mostre a Second Life, come avvenne nel 2007 in occasione dell’inaugurazione dell’ iMAL Center for Digital Cultures and Technology di Bruxelles1. L’installazione ha visto infatti una comunicazione full duplex tra i due mondi. Per la prima volta il mondo reale proiettato all’interno di quello virtuale di Second Life e precisamente in Odyssey fondata da Ercole Pacino e Sugar Siviglia. Odyssey è un luogo dove gli artisti possono esplorare lo spazio virtuale. In 130.000 metri quadrati, si danno appuntamento più di 600 membri provenienti da scene d’arte di tutto il mondo e centinaia di visitatori al mese. L’isola ospita progetti di artisti singoli e organizzazioni. Esso prevede oltre a spazi espositivi anche assistenza tecnica per aiutare gli artisti ad esplorare le possibilità quasi illimitate per creare l’arte nello spazio virtuale. La cosa molto interessante è che a differenza del consueto up load di video tramite Quick Time, questa volta si sono utilizzate immagini dal vivo provenienti 1 http://www.imal.org/TheGate/

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dal luogo reale, ed è ciò che vorrei riuscire a realizzare in “Una mostra in tre mondi” trasmettendo in diretta su due schermi costruiti in Second Life ciò che sta accadendo contemporaneamente nelle mostra di Viareggio e di New York. Alla realizzazione dell’installazione The Gate, nata da un’idea di Yves Bernhard, direttore dell’iMAL, ha collaborato il professor Domenico Quaranta: “L’installazione – spiega Domenico Quaranta - intendeva affrontare una questione solo apparentemente semplice: come creare un ponte tra spazio reale e mondi virtuali, in modo tale da permettere la fruizione di questi ultimi e l’interazione con i loro abitanti nello spazio fisico, senza la mediazione dell’interfaccia grafica. Il problema si è già posto più volte, e la soluzione adottata, la proiezione, nello spazio reale, di uno streaming video dal mondo virtuale, ha dimostrato più volte di non funzionare. The Gate non ha risolto il problema, e la soluzione che ha trovato alla fine di un percorso abbastanza accidentato è ben lontana dall’essere definitiva. Tuttavia, un passo avanti c’è stato, e diversa gente, da un lato e dall’altro, ha tentato di superare la soglia”. Prima di “The Gate” Domenico Quaranta si era già trovato ad affrontare il problema di come trasferire nella vita reale ciò che avviene in SL. “Nel dicembre 2006 - racconta Quaranta - venni invitato da Luigi Pagliarini a prendere parte al Peam di Pescara, in occasione del quale decisi di presentare un fenomeno che seguivo da qualche tempo: la performer Gazira Babeli1, che agisce sulla piattaforma virtuale di Second Life”. Gazira Babeli è un’artista, performer e filmmaker che vive e lavora nel mondo virtuale di Second Life, dove è nata il 31 marzo 2006. In breve tempo si è guadagnata attenzione e rispetto con le sue performance provocatorie, che indagano i temi del corpo, dello spazio e dell’identità nei mondi virtuali. Gazira Babeli concentra il proprio lavoro sulla propria identità di artista virtuale e sulla costruzione di una personale mitologia 1 http://gazirababeli.com/

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in linea, peraltro, con molti artisti del Novecento, da Marcel Duchamp a Yves Klein, da Joseph Beuys a Matthew Barney. Gazira racconta la propria vita virtuale appropriandosi del genere classico dell’agiografia, e descrive Second Life come una sorta di mondo immaginario a metà strada tra la magia della forma cinematografica, da Méliés a Buster Keaton e l’irrazionalità apparente della Surrealtà bretoniana. “Gaz’, come si firma Gazira – la descrive Mario Savini - coltiva un’ironia giocosa, ma sottile, disseminando icone pop pronte a sovvertire ogni regola estetica. Le lattine di zuppa Campbell’s, enormi rispetto alle proporzioni usuali e ben disposte in una composizione, diventano, ad esempio, ingranaggi di una particolare macchina che nasconde tentacoli. D’altronde ogni corpo è materia che può essere rielaborata e manipolata per creare nuove realtà. Niente, perciò, può essere salvaguardato. Con i suoi progetti, si ha l’impressione che Gazira Babeli voglia rinunciare a qualsiasi tipo di linguaggio formale”2. Inizialmente Gazira Babeli esisteva solo in Second Life, ma Domenico Quaranta è riuscito a “trasportarla” nella real life. “Si trattava della prima uscita fisica di Gazira – continua Domenico Quaranta - e la studiammo con cura. Alla fine scegliemmo di presentare 3 stampe (un autoritratto e due immagini che documentavano le più “iconiche” fra le sue performance) e la video-documentazione di altrettante performance. Anche l’idea di una performance in diretta di Gazira Babeli ci solleticava molto, ma eravamo molto preoccupati dal risultato. Come tutti i mondi virtuali, Second Life si basa su convenzioni che esigono un minimo di iniziazione, che non potevamo presupporre nel pubblico variegato del festival. L’aspetto visivo è sicuramente predominante, ma in una diretta video si perde la dimensione decisiva dell’interazione, oltre a quelle, altrettanto fondamentali, della regia (la telecamera interna è controllata direttamente dall’utente, che quindi ha una visione a 360 gradi sul mondo) e della comunicazione, che avviene prevalentemente attraverso la chat. 2 Da un’intervista di Mario Savini http://www.gazirababeli.com/ TEXTSphp?t=mariosavini

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Sottraendo allo spettatore tutte queste possibilità, quello che succede sullo schermo di proiezione appare, in ultima analisi, come un video imperfetto, senza tagli, senza dialogo e senza didascalie. Una fruizione limitata di una realtà infinitamente più interessante. Come Dante nel suo viaggio per il mondo ultraterreno, avevamo bisogno di un Virgilio, una “interfaccia umana” che ci facesse da interprete e da guida in un mondo le cui regole ci sfuggono. Come dice Gazira, Second Life è, in ultima analisi, una piattaforma teatrale: avevamo bisogno di portare il teatro nella realtà. Per farlo, ci rivolgemmo, d’accordo con Gazira, che in una vita precedente gli era stata amica, al curatore italo-spagnolo Lele Luchetti, che con il suo istrionismo avrebbe fatto da interprete all’alieno Gazira Babeli. Così, mentre Gazira snocciolava in diretta alcuni dei suoi pezzi migliori, dalle tempeste di Super Mario alle terribili lattine di Zuppa Cambell’s, Lele traduceva verbalmente le chat e raccontava sommariamente quanto stava accadendo. L’incontro ebbe successo, ma non completamente. Nonostante la bravura di Luchetti, per il pubblico del Peam, abituato ad esperienze ben più dirette e sensoriali, quanto accadeva sullo schermo restava irrimediabilmente distante. Questo elemento di distanza ritorna in tutte le dirette da Second Life, e impedisce di rendere giustizia alla qualità della scena performativa che si sta sviluppando lì dentro. Se a ciò si aggiunge il fatto che Second Life è piena di bug e che la percezione del tempo è sensibilmente più dilatata che nel mondo reale, si può capire quanto il problema sia sentito, e quanto sia impellente una soluzione [...]. Secondo Domenico Quaranta solo Eva e Franco Mattes hanno saputo affrontare e risolvere per primi questo problema. I due artisti, che nella loro carriera hanno adottato identità multiple, sono noti al mondo come 0100101110101101.ORG1 . A partire dal 1998 le loro azioni hacker hanno sempre sollevato interessanti discussioni sui temi dell’identità e del copyright, stimolando una visione critica del potere della comunicazione. Fra alcune delle loro opere non possiamo dimenticare: l’operazione mediatica con la quale hanno “dato 1 http://0100101110101101.org/index.html

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vita” (in collaborazione con il collettivo Luther Blisset) a Darko Maver, un artista del Kosovo mai esistito, impegnato in un’arte di denuncia del suo paese, arrestato per censura e morto nel 1999. Su Maver, gli 01.org presentarono un documentario alla Biennale dei Giovani artisti di Roma e poi alla 48a Biennale di Venezia; la realizzazione del virus Biennale.py presentata come opera d’arte nel padiglione sloveno della 51a Biennale di Venezia (2001); la finta campagna marketing Nike Ground (2003–2004) che annunciava l’intenzione della Nike di acquistare le principali piazze di tutte le città d’Europa rinominandole con il marchio americano. Dal 2006 Eva e Franco Mattes hanno trasferito parte della loro attività sul territorio di Second Life realizzando riproduzioni virtuali di performance storiche di artisti come Marina Abramović, Vito Acconci, Joseph Beuys e Valie Export. Come spiega Domenico Quaranta i Mattes, in Second Life, riescono a risolvere i suddetti problemi sollevati dal mondo virtuale: “non preoccupandosi di evitare che ciò che accade sullo schermo appaia come un video, anzi: fanno di tutto per farlo sembrare un video, un po’ come le dirette televisive dal teatro dell’opera, dando infatti particolare importanza alla regia. Le loro performance hanno in Second Life il loro palcoscenico, ma non cercano lì il loro pubblico: sono fatte per il mondo reale, non per il pubblico degli avatar”. Per “The Gate” Domenico Quaranta aveva però il problema di rivolgersi a entrambi i pubblici, ambizione che fa parte anche del mio progetto. “Come avvenne in Hole in Space - prosegue Domenico Quaranta - volevamo che lo spazio antistante lo schermo diventasse luogo di performance improvvisate, basate sulla comunicazione e l’interazione fra uomini ed avatar. Per farlo, puntiamo molto sulla simmetria delle due installazioni (un tappeto nero che definisce l’area d’azione, ripresa dalla telecamera posta a fianco dello schermo verticale, su cui compare l’altro mondo). Oltre a ritagliare l’area d’azione, il tappeto serve a definire uno spazio “teatrale” accessibile a tutti, accogliente come una piattaforma di break-dance. Vogliamo evitare la paura da palcoscenico e favorire

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Gazira Babeli sopra lo schermo di The Gate

l’improvvisazione, la teatralità spontanea di Second Life […]. Pensiamo anche di coinvolgere il celebre collettivo Second Front1 per la performance inaugurale del 4 di ottobre: una scelta che si rivelerà decisamente felice. Second Front decide di installare, di fronte al Gate e quindi all’occhio della telecamera, una ricostruzione della celeberrima Porta dell’Inferno di Auguste Rodin (1900). La performance consisterà in una sorta di pantomima in cui i membri del gruppo, completamente nudi, si mescolano alle plastiche figure di Rodin, adottando posizioni altrettanto retoriche e sublimi. In realtà, le pose non fanno altro che riciclare le animazioni erotiche di Second Life, in declinazione decisamente sadomaso. L’evento inaugurale, la sera del 4 ottobre 2007, è un successo, almeno in termini di audience. Lo spazio reale è saturo, l’angolo di Odyssey scelto per 1 http://slfront.blogspot.com/

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la performance anche, ai limiti della sostenibilità. La performance di Second Front è visivamente affascinante, il decadentismo di Rodin e il kitsch sintetico di Second Life sembrano aver trovato un ottimo anello di congiunzione. Ma... c’è un ma. Alcuni avatar trovano la performance un po’ noiosa: non è facile far loro capire che i performer devono tenere conto anche di un altro pubblico, una platea di alieni per cui ciò che a loro appare scontato risulta folle ed efficace. E tuttavia, anche questo pubblico di alieni, seppur affascinato, non capisce del tutto cosa stia accadendo. Non capisce di essere spettatore di una performance, e non capisce che può mandare dei segnali ai performer, tentare di interagire con loro. Non capisce, in altre parole, di essere dentro lo schermo. Non lo capisce perché non si vede. Concentrati sulla simmetria delle due installazioni, non ci siamo resi conto che, ancora una volta, la performance appare non come un evento in diretta, ma come un video su uno schermo. E facendo affidamento su “Hole in Space”, non ci siamo resi conto che, se quest’ultimo connetteva due realtà analoghe, noi stiamo creando un ponte tra due mondi totalmente differenti. Uno (lo spazio reale) è familiare a persone e avatar, l’altro è ben noto ai secondi, ma non necessariamente ai primi. I due spazi che volevamo far comunicare rimangono separati, non interagiscono. Personalmente, sono convinto che il nostro errore sia stato pensare che bastasse connettere i due spazi, nella speranza che ciascuno agisse nel suo mondo sapendo di essere visto dall’altra parte. Su questo presupposto, la cosa poteva funzionare (e funzionerà, come vedremo subito), a patto che esistesse un elemento di condivisione, sulla base del quale costruire l’interazione. Conclusa la performance di Second Front, Gazira Babeli installa sopra il portale il suo ultimo lavoro: un gigantesco rubinetto che vomita sul tappeto nero del Gate ogni sorta di oggetti, intasando completamente lo spazio della rappresentazione. La scultura, chiamata Ursonate, è accompagnata, appunto, dalla celebre Ursonate dell’artista dada Kurt Schwitters. Sentendola, due componenti del pubblico “reale” si mettono a danzare al centro dell’installazione, offrendo al pubblico di

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Second Life il “loro” spettacolo. La musica proveniente da Second Life offre una base all’interazione. La danza, e poi Gazira nuda spiaccicata sullo schermo che proietta in Second Life il pubblico reale, mi fanno riflettere. Abbiamo tenuto separati i due spazi, invece avremmo dovuto creare un “terzo luogo” in cui questi due spazi convivono […]. È fatta. Il terzo luogo esiste già, è dentro Second Life. Basta girare la telecamera, in modo che riprenda sia il tappeto nero, sia lo schermo che trasmette in streaming dall’iMAL. In tarda serata, chiedo a Yannick di provare. Funziona. Per fortuna, non sono l’unico ad aver avuto la stessa idea. Il giorno dopo, quando torno all’iMAL, trovo l’installazione leggermente cambiata. Con la complicità di Yannick, Gazira ha inglobato il nostro schermo all’interno della porta di Rodin, che gli fa da maestosa cornice. I due spazi si sono fusi. Gaz si mette a giocare con il pubblico della mostra, e appena prima di ripartire per l’Italia ricevo da lei una serie di immagini fenomenali. Le ha chiamate Interacting with Aliens . La mostrano, nuda e a testa in giù come un pipistrello, mentre punta una pistola alla testa di uno degli artisti in mostra, Erland Jacobsen Lòpez. L’interazione si sviluppa spontaneamente attraverso gesti, grida, pantomime, bigliettini scarabocchiati a matita (“I don’t have a computer”, dice uno) e, sull’altro fronte, oggetti volanti, eventi e ancora gesti. Nei giorni seguenti, The Gate è stato quello che voleva essere: una sorta di peep-show bidirezionale, un luogo di performance spontanee e di interazione. C’era chi danzava e chi salutava, chi è arrivato con un violoncello per suonare Bach, chi recitava Kafka […] The Gate è un progetto che merita un seguito: se non saremo noi, spero che sia qualcun altro a darglielo”. Dallo scorso 14 novembre 2009 al 14 febbraio 2010 presso il Broelmuseum di Kortrijk in Belgio in orario di apertura del museo l’esperienza di The Gate si è ripetuta vedendo il mondo reale collegato ancora una volta con lo spazio Odyssey di Second Life. Mentre Gazira Babeli, il 3 novembre 2009 alla galleria Kapelica di Lubiana in Slovenia ha realizzato un’esibizione, curata da Domenico Quaranta, intitolata “Acting as Aliens”.

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5.3 The Girlfriend Experience Su come far interagire il pubblico a distanza con le opere esposte rispettivamente in due luoghi diversi oltre che a poterle ammirare su un maxi schermo, ho pensato che la soluzione migliore potesse essere quella di utilizzare degli avatar umani, come i protagonisti di “The Girlfriend Experience”1 dell’artista olandese Martin Butler2, ovvero un’opera d’arte che a visto il pubblico giocare a distanza con quattro bravissimi performer. In occasione della breve intervista che segue, ho illustrato a Martin Butler il mio progetto per il quale, con mia grande soddisfazione, si è dimostrato molto disponibile ed entusiasta a collaborare alla realizzazione sapendo che in parte è ispirato proprio al suo The Girlfriend Experience. “La crescita sfrenata di comunità di avatar come Second Life e World of Warcraft – spiega Martin Butler - ha permesso la creazione on line di forti relazioni sociali ed economiche in un’esistenza praticamente parallela. Allo stesso tempo questo fa scattare molte questioni inerenti appunto a questa doppia personalità che la gente vive, rischiando di non comprendere più quale sia la vita reale e quella su internet. Il titolo del progetto, The Girlfriend Experience, indica il carattere paradossale che in rete l’interazione sociale ha. Da un lato la sicurezza dell’anonimato mediante l’avatar, dall’altra con quanta facilità si condividano le proprie intimità e come si faccia così facilmente amicizia. E’ stata la fusione di questi due estremi, l’anonimato e l’intimità, che ha caratterizzato una parte importante della nostra vita sociale contemporanea”. Quindi The Girlfriend Experience nasce per giocare un po’ con questa doppia personalità che molti vivono in rete? “Sì, il progetto nasce inizialmente proprio dalla constatazione di quanta intimità si trasmetta nelle comunicazioni via Internet e come le persone sono spesso in grado di andare oltre utilizzando chat, skype, etc, rispetto a quanto avviene quotidianamente in un reale faccia a faccia. Le persone 1 http://girlfriend.mediamatic.net/ 2 http://www.liminalinstitute.nl

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sono spesso immediatamente più aperte quando i codici sociali della vita reale non ci sono e quindi riescano a sviluppare amicizie on-line molto forti e creare delle comunità senza mai incontrarsi dal vivo con le altre persone. Decisi di far nascere Girlfriends Experience soprattutto perché ero curioso di vedere quanto la gente sarebbe andata oltre trovandosi di fronte una persona in carne ed ossa da usare come interfaccia”. Allora raccontaci come è stata la reazione del pubblico di fronte a degli avatar umani la prima volta che hai presentato la tua opera? “E’ stato sorprendente vedere come persone che si collegavano dai vari paesi e quindi con diverse culture avevano un approccio completamente diverso con il mio progetto. Per alcune nazionalità sembrava molto più facile rispetto ad altri, forse proprio per un discorso di emancipazione culturale. Quando si utilizza avatar virtuali si può fare come si vuole. In The Girlfriend Experience si doveva imparare a conoscere velocemente l’avatar umano. I player dovevano capire che cosa poter far fare all’avatar e in che misura l’avatar avrebbe accettato di eseguire i suoi desideri specifici. Le prostitute più pagate sono quelle con i quali il cliente si sente come se fosse con la sua ragazza, o con la quale ha un Girlfriend Experience. E’ una situazione ambigua e non è davvero semplice comprenderla in poco tempo, anche perché ogni giocatore ha a disposizione solo dieci minuti per capire che cosa può fare con l’avatar. Dopo di che, il tempo scade, il giocatore viene automaticamente tagliato fuori ed un altro prende il suo posto. Su che tipo di contatto si instaura molto dipende anche dalla differenza se il giocatore è collegato da casa, oppure è presente alla mostra e quindi ha un’immagine più diretta e completa del gioco e di ciò che fanno i performer. Chi è alla mostra vive un’esperienza più giocosa mentre da casa è chiaro che si ha una visione molto più straniante, dal momento che anche le azioni possono essere viste con un leggero ritardo a causa della connessione. Infine si ha un rapporto solo con un attore e non si assiste a ciò che fanno gli altri tre.”

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Hai mai avuto problemi con Skype visto i numerosissimi accessi di utenti che sin dalla sera prima cercano di collegarsi con gli avatar? “Fortunatamente no, questo grazie anche all’ottima scelta del tecnico che ha seguito il progetto che ha fatto in modo che se un avatar è occupato non è contattabile da altre persone e poi è possibile giocare solo per un periodo massimo di dieci minuti al termine del quale la connessione cade automaticamente. Inoltre una volta scelto si può usare un solo avatar e non è possibile cambiarlo”. Dalla prima uscita di The Girlfriends Experience alle ultime hai cambiato qualcosa? “Sì, per il progetto in Slovenia e in Perù, abbiamo rimosso la parete di vetro che separava il pubblico presente alla mostra e gli artisti. E’ stato ancora più divertente in quanto gli attori erano anche in grado di interagire direttamente con i visitatori, e l’intero spazio si è trasformato in un parco giochi sociale”. A Nova Goriza in occasione del Festival Pixxelpoint hanno partecipato al lavoro di Martin Butler due performer italiani Andrea Fagarazzi e I-Chen Zuffellato, quest’ultima originaria di Taiwan, ma dal 1979 cresciuta in Italia. Andrea e I-Chen collaborano dal 2005. Nei loro progetti esplorano i concetti del corpo, sempre esaminando la diversità in relazione alla sua identità e alterità. Mettono in discussione l’atto di esecuzione, le sue forme e il suo rapporto con il pubblico. Nelle loro opere utilizzano i vari linguaggi espressivi, come performance e arte visiva. Anche loro hanno dimostrato grande interesse per “Una mostra in tre mondi” ed hanno già dato la loro disponibilità a parteciparvi. Da performer come ci si sente ad essere guidati da un pubblico che non si ha di fronte, ma la cui voce arriva via skype da chissà dove? “In parte ti senti libero da una responsabilità interiore, devi renderti disponibile all’altro senza entrare nel merito di un giudizio sulla richiesta che ti viene fatta. La durata massima per collegamento è di dieci minuti ad utente e devi riuscire a stabilire un rapporto di fiducia con l’altro in

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brevissimi secondi. Se le richieste che arrivano non sono molto chiare nelle indicazioni, si può perdere tempo a decifrarle e questo è uno spreco. Questa cosa è resa ancora più difficile poi se, da un punto di vista meramente tecnico, il collegamento internet ha dei disturbi di linea, oppure anche i suoni dell’ambiente che ti circondano possono interferire e quindi rallentare o rendere impossibile la comunicazione con l’altro. E’ interessante considerare però che il soggetto usato nella comunicazione con l’altro è sempre Io - prima persona singolare - non puoi dire tu. Nel senso che il mio interlocutore dovrà sempre riferirsi a me come se chiedesse le cose a se stesso. Per esempio chiedendosi “Cosa posso fare ora? e non “Cosa puoi fare ora?”, non stabilisci una comunicazione utilizzando “io” e “tu” con le parole. Io/avatar e Io/spettatore siamo lo stesso soggetto”. La vostra arte, il vostro modo di esprimersi viene messo da parte da quello che vi viene richiesto di fare da parte del pubblico oppure riuscite comunque a creare un rapporto con i players dove la vostra espressività rimane libera? “Non si possono separare le due cose. A nostro parere, quello che si ottiene come risultato è frutto di molteplici cose che si intersecano tra loro: la richiesta dell’interlocutore, il filtraggio e interpretazione delle informazioni da parte nostra, ma quello che alla fine si ottiene da questo processo di intersecazione è una terza cosa distinta, che non è pienamente né la prima né la seconda, ma assume una propria vita, un’identità che sfugge al controllo sia tuo che dell’interlocutore. Forse allora, è questo piuttosto l’avatar che viene a prendere vita”. Qual’è il vostro giudizio su quest’opera, pensate che il pubblico la consideri un pò troppo un gioco o riesca in pochi minuti a captare il vero messaggio? “Quello che pensa il pubblico non lo sappiamo. Ognuno è libero di considerarlo e leggerlo secondo la propria conoscenza. La cosa più fastidiosa però è quando il tuo interlocutore prende la comunicazione senza grande interesse, nel senso che vuole prenderti in giro, o farsi gioco della tua posizione e questo diventa molto irritante, soprattutto perché io/ avatar devo dare moltissima attenzione e stare ben attento prima di tutto a

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cercare di sentire e capire quello che mi viene detto. A questo punto però, o laddove la richiesta che ci viene fatta superi una certa soglia che noi in quel momento reputiamo “di accettabilità”, siamo liberi di interrompere la comunicazione immediatamente”. Cosa pensate di questo continuo aumentare di fruizione a distanza e/o virtuale dell’arte? “Probabilmente stiamo assistendo ad un cambiamento che rappresenta un nuovo modo massificato per accedere agli spazi e all’arte a distanza, attraverso la rete. E’ una questione di educazione allo sguardo, così come lo è stato per lo studio della storia dell’arte nel secolo scorso. Nella maggior parte dei casi, non abbiamo conosciuto l’arte andando a vedere le opere, ma le abbiamo viste e studiate prima di tutto attraverso le immagini stampate sui libri. E questo non è un fattore da sottovalutare, la differenza è anche in termini di libertà di accesso che tu hai dell’oggetto in questione. La fruizione di esso in modi elaborati e aperti aiuta alla formulazione di un diverso e nuovo modo di concepire l’arte e gli spazi, anche se a dire il vero, le istituzioni si adeguano a stanno dietro al passo, non davanti, sono una conseguenza a chi mette in moto queste attitudini”. Quali sono le cose più bizzare che vi sono state chieste e quelle che invece avete maggiormente apprezzato? “E’ curioso il fatto che la maggior parte delle volte le persone non abbiano chiesto nulla di strano o particolare, anzi spesso interagiscono con te principalmente per esplorare il luogo in cui sei, descrivere lo spazio, cosa c’è attorno, se siamo da soli oppure no”. Infine mi sembrava giusto menzionare che la voglia di intrattenimento a distanza è sempre più in aumento anche fra le grandi star del pop e del rock. Fra questi gli U2 che per tutte le città che non sono state toccate dal tour, la band irlandese ha sperimentato un sistema di webcasting che al prezzo di 11 euro ha permesso ai fan dei paesi esclusi di seguire in diretta streaming i concerti. E per la tappa del 25 ottobre 2009 YouTube ha trasmesso in streaming live il concerto che gli U2 hanno tenuto al Pasadena Rose Bowl

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di Los Angeles, ultima data statunitense del 360° Tour della storica band irlandese capitanata da Bono. Da tempo, ha spiegato il manager degli U2 Paul McGuinness, la band pensava a un evento simile. «I fan spesso intraprendono lunghissimi viaggi per vedere gli U2, stavolta sono stati gli U2 ad andare da loro». Sedici i paesi si sono collegati per la diretta live sul canale YouTube degli U21, per un totale di oltre tre milioni di persone. Le nazioni coinvolte sono state Italia, Australia, Brasile, Gran Bretagna, Canada, Francia, India, Irlanda, Israele, Giappone, Messico, Olanda, Nuova Zelanda, Corea del Sud, Spagna e USA. Non certo da meno è stato Elton John che, nel 2008, per festeggiare i suoi sessant’anni ed i quarant’anni di carriera ha chiesto che uno dei suoi più celebri concerti, quello di Parigi Bercy, venisse trasmesso in streaming nei cinema dei maggiori paesi europei. In questo modo i fans hanno potuto seguire in diretta l’esibizione, senza spostarsi dalla propria città e con tutti i comfort che le moderne multisale offrono. In Italia l’evento è stato trasmesso in ben cento sale.

1 http://www.youtube.com/u2

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Le sale di Villa Paolina Bonaparte di Viareggio

La Galleria dell’Istituto Italiano di Cultura a NY

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Parte seconda 6. Il mio progetto In questa seconda parte della tesi entrerò maggiormente nei dettagli del mio progetto di realizzazione di “Una mostra in tre mondi”. Come descritto nella prefazione vorrei mettere due location, una in Italia a Viareggio e l’altra a New York, in comunicazione tramite Skype o altro sistema di teleconferenza per dare la possibilità al pubblico di visitare fisicamente una mostra e vedere l’altra in diretta su uno schermo. Entrando nel museo di Villa Paolina oppure nella sede newyorkese il pubblico potrà girare per le sale ammirando le varie opere, come in una comune mostra d’arte contemporanea. Fra i vari lavori in un’apposita sala potrà vedere ed interagire con l’installazione che gli permetterà di visitare anche la mostra dall’altra parte dell’emisfero. Materialmente avrà a disposizione un maxi schermo con di fronte un microfono che sarà invitato ad usare. Si tratta quindi di un’interfaccia molto semplice che tramite l’utilizzo di Skype, o in alternativa un altro programma di teleconferenza, lo metterà in contatto online con l’altra sede della mostra. A rispondergli ci sarà un performer che parlerà sia in inglese che in italiano pronto ad esaudire le sue richieste proprio come fa un avatar in Second Life. La “guida” sarà dotata di microfono con cuffia e di una mini web cam, entrambe wireless, che al fine di rendere la visione della mostra più immersiva possibile, trasmetterà le immagini in soggettiva. Il pubblico a turno chiederà all’avatar di fargli ammirare le opere esposte oppure girare per le sale interagendo con i visitatori dell’altra sede. Per questo ho deciso di far cadere la scelta su un performer per rendere il rapporto con il pubblico il più divertente e meno statico possibile, ricco anche di momenti di spettacolo ed improvvisazione.

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Dovremo far in modo che ogni visitatore possa avere a disposizione un tempo massimo, l’ideale sarebbe di non superare i 10 minuti come avviene in The Girlfriend Experience di Butler, per poter dialogare con l’avatar mentre gli altri presenti si potranno godere lo “show” sul maxi schermo, oppure vedere ciò che fa l’avatar guidato dal pubblico in collegamento dall’altra location. A sua volta le immagini degli schermi di entrambe le location saranno trasmesse all’interno di Second Life presso il Museo del Metaverso, che descriverò successivamente, per dare una visione simultanea della mostra all’interno di un mondo virtuale che per l’occasione si unisce a quello reale. Le mostre saranno quindi visitabili simultaneamente in tre sedi: Viareggio, New York, Second Life; “Una mostra in tre mondi” appunto. E’ chiaro che per richiamare il maggior numero di pubblico sia a Viareggio che a New York dovremmo sempre tenere conto del fuso orario: l’ideale sarà organizzare l’evento di sabato e domenica con orario italiano a partire dalle 20 che corrisponde alle 2 del pomeriggio negli Stati Uniti. Inoltre per entrambe le mostre dovranno essere selezionate una serie di opere senza però dare un tema ben preciso visto che l’evento vero è proprio è quello di far conoscere alle persone le varie possibilità che esistono oggi di interagire con l’arte. Un evento però in cui esporre e riunire assieme i vari settori dell’arte contemporanea, dalla pittura, alla scultura, all’arte multimediale senza alcuna limitazione, in modo che l’interscambio culturale fra le sedi in collegamento fra loro sia il più ampio possibile. Per mostra italiana mi occuperò dell’annosa selezione assieme all’amico scultore Nicola Domenici, con il quale ho condiviso l’esperienza dello scorso anno della mostra Viareggio Art Project, mentre a New York potrò contare sul prezioso supporto di artisti residenti a Brooklyn fra cui la viareggina Angelica Bergamini1 e la coppia di amici Chris Klapper2 e Patrick Gallagher3.

1 http://angelicabergaminiartworks.blogspot.com/ 2 http://www.chrisklapper.com/Home___.html 3 http://www.theoreticalbacon.com/

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Questi ultimi fanno parte di una comunità d’arte molto interessante alla quale due anni fa ho dedicato la mia tesi di laurea in Cinema ed Immagine Elettronica presso l’Università di Pisa, dalla quale è iniziata una sempre più stretta collaborazione. I loro lavoro è riuscito a rivitalizzare Buschwick una zona post industriale di Brooklyn con una serie di iniziative che hanno fatto riemergere in campo artistico questo quartiere newyorkese, ricco di laboratori e giovani talenti che organizzano costantemente eventi che richiamano il pubblico da tutta la grande mela. “Bap (nome della loro comunità) – spiega Chris Klapper - ha attirato l’attenzione delle persone a ciò che facciamo ed a quello che esprimiamo. I nostri appuntamenti hanno rinnovato la sinergia fra le varie discipline dell’arte e gli artisti stessi si sono resi conto che esiste un pubblico che ama sia la musica che le arti visive. E questo è molto importante perché ha dato il coraggio a molti artisti di portare avanti nuovi progetti. Pittori, musicisti, poeti, scultori, fotografi, filmakers hanno aperto i loro studi al pubblico proveniente da tutta la città per vedere cosa stava combinando questa nuova comunità, ed oggi finalmente questo quartiere è tornato ad essere vivo e può essere orgoglioso di aver ospitato anche artisti conosciuti a livello internazionale”. 6.1 Le possibili location a New York Una delle sedi da utilizzare potrebbe essere il 3rd Ward4, un centro artistico di oltre ventimila metri quadrati, il cui scopo principale è quello di aiutare gli artisti fornendo degli spazi ben adeguati, che ha ospitato un grande evento nel 2006 della Bap. All’interno del centro diretto da Jason Goodman e Jeremy Lovitt ci sono uno studio fotografico, laboratori per la lavorazione del legno e dei metalli, sala per le prove di ballo, sale di incisione, sale di post produzione, una sala conferenze, un grande ufficio a comune a disposizione degli artisti e vari laboratori di computer. Ed usare tutte queste tecnologie ha un costo assolutamente economico. Con sessanta dollari al 4 http://www.3rdward.com/

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mese è possibile usufruire di un laboratorio con un impegno minimo di tre mesi. La rata passa a soli trenta dollari al mese se si decide di abbonarsi per un anno. In queste cifre è compresa un’assicurazione sanitaria privata. Se invece si vuole usufruire senza limiti di tutti i laboratori si spende trecento dollari al mese a trimestre, mentre per un anno si ottiene uno sconto del dieci percento. E quest’ultima generalmente è la formula più usata visto che i molti artisti che frequentano 3rd Ward svolgono attività pluridisciplinari. All’interno della struttura vengono anche organizzati dei corsi di formazioni curati da insegnanti che devono avere un minimo di esperienza di almeno dieci anni. Gli spazi sono aperti dal lunedì alla domenica dalle 8 fino a mezzanotte, mentre la domenica l’orario è dalle 12 alle 24 e spesso ospitano interessantissime mostre. Questa potrebbe essere una delle possibili sedi per “Una mostra in tre mondi”. L’altra che ho individuato è il prestigioso Istituto Italiano di Cultura a New York1 che fra l’altro ha un gruppo in Second Life.

Le sale espositive dell’I.I.C. di New York

Fondato nel 1961, l’Istituto Italiano di Cultura di New York è una diramazione ufficiale del Governo italiano dedicata alla promozione della cultura italiana negli Stati Uniti tramite l’organizzazione di manifestazioni e servizi culturali. Sotto la guida del superiore Ministero degli Affari Esteri, della commissione di consulenza e del proprio staff, l’Istituto Italiano di Cultura di New York si conforma a questo impegno coltivando lo scambio culturale tra l’Italia e gli Stati Uniti in una gamma di aree 1 http://www.iicnewyork.esteri.it/IIC_NewYork/

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che vanno dalle arti alle scienze umane alla scienza. Punto centrale del ruolo dell’Istituto Italiano di Cultura di New York è quello di adoperarsi costantemente affinché il variegato pubblico che la città di New York ha il privilegio di servire possa comprendere e avvalersi delle diverse espressioni culturali. Lo sviluppo di scambi accademici, l’organizzazione e il sostegno di mostre e festival, l’incentivo alla pubblicazione di libri italiani, la promozione dello studio della lingua italiana, e la collaborazione con istituzioni locali per la pianificazione di manifestazioni di musica, danza, cinema, teatro, architettura, letteratura, ecc., esemplificano, ma non esauriscono, le principali attività dell’Istituto. L’Istituto occupa una prestigiosa palazzina in stile neo-Georgiano/neo-federale costruito nel 1919 dagli architetti Delano & Aldrich. L’edificio di cinque piani, con cortile interno e terrazzino, è designato “landmark” dalla città di New York, assieme agli altrettanto imponenti edifici che si affacciano sullo stesso tratto di Park Avenue. Al suddetto istituto ho presentato il mio progetto, per il quale lo scorso 17 dicembre ho ricevuto la seguente email: “Gentile sig. Tozzi, La ringraziamo per essersi rivolto all’Istituto Italiano di Cultura di New York. Le scrivo da parte di Simonetta Magnani, reggente in carica dell’Istituto, che sarà in congedo fino febbraio. Riguardo alla sua proposta, siamo spiacenti di comunicarle che l’Istituto si trova attualmente in una fase di transizione, in cui il Direttore Renato Miracco ha terminato il suo mandato, ed il nuovo Direttore, Riccardo Viale, prenderà servizio all’inizio dell’anno prossimo. Pertanto, la programmazione degli eventi dovrebbe essere discussa con il subentro del nuovo direttore, nel mese di febbraio. La ringraziamo ancora per l’attenzione rivolta a questo Istituto. Cogliamo l’occasione per porgerle i nostri migliori saluti. Laura Parise, stagista, IIC New York”. Quindi ad oggi non mi rimane che attendere e continuare a presentare il progetto anche ad altre istituzioni e/o associazioni che molto spesso oltre alle proprie sedi mettono a disposizione anche fondi per la realizzazione di eventi artistici come ad esempio Apexart.

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Apexart1 è un’organizzazione no profit di arti visive contemporanee situato a Lower Manhattan. Attraverso mostre, iniziative di pubblicazione ed eventi, Apexart si è impegnata a stimolare il dialogo nel campo dell’arte contemporanea. Sin dal 1994, più di 1200 artisti emergenti provenienti da tutto il mondo, hanno partecipato a 150 mostre. Apexart ogni anno presenta sette mostre di gruppo, ospita otto artisti internazionali, organizza numerose conferenze e spettacoli, e distribuisce 70.000 brochure in 95 paesi. Inoltre, il loro sito ha di base oltre 17.000 visitatori al mese da più di 100 nazioni. Questa capacità di distribuzione capillare e raggio d’azione dei loro programmi è fondamentale per sviluppare un nuovo pubblico e di portare nuove voci e prospettive critiche a New York. Una volta all’anno selezionano proposte da tutto il mondo per la realizzazione di una mostra per la quale viene messo a disposizione un budget di 5.000 dollari a copertura delle spese di viaggio del curatore e gli artisti, il trasporto delle opere d’arte, e delle spese generali. Mettono inoltre a disposizione un onorario curatoriale di 2.000 dollari per l’organizzazione e la brochure. Il loro spazio espositivo è di circa 80 metri quadrati. 6.2 La location italiana. Per la sede italiana fortunatamente le cose sono più semplici. Ho avuto infatti la disponibilità da parte dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Viareggio dei locali dei Musei Civici di Villa Paolina Bonaparte, museo che ho già utilizzato lo scorso anno in occasione dell’organizzazione della prima edizione di “Viareggio Art Project”, mostra d’arte contemporanea di pittura, scultura e culture digitali. Restaurata nel 2005, l’ottocentesca Villa Paolina Bonaparte, detta “Il rifugio di Venere”, sorge isolata, in riva al mare a nord di Viareggio: nel punto in cui, secondo la leggenda, il mare restituì il corpo di Percy Bysshe 1 http://www.apexart.org

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Le sale espositive di Villa Paolina Bonaparte di Viareggio

Shelley. Paolina, sorella di Napoleone, che amava la poesia di Shelley, qui ne commissionò la costruzione, ultimata nel 1822, e vi si insediò per avvicinarsi al suo amore, il musicista Giovanni Pacini. Un breve periodo di felicità conclusosi precocemente nel 1825 con la morte della giovane donna. La villa, ultima e riservatissima dimora della vera “Principessa” Bonaparte, rispecchia nella compostezza dell’impianto e nella sobria eleganza degli arredi, oggi totalmente restaurati, il gusto ricercato di Pauline che qui soggiornò gli ultimi anni della sua vita, prima della dolorosa trasferta a Firenze, dove iniziò un periodo drammatico, sia per la fine della relazione con il musicista, sia per il progredire della malattia che ben presto pose fino alla sua tormentata esistenza. Un prototipo di donna assolutamente innovativa per l’epoca, quella che ritroviamo nel celebre marmo del Canova, intraprendente e colta, amava circondarsi di artisti e musicisti e la villa, “amabile ritiro”, come amava definirla, costruita in pieno gusto romantico proprio in quel punto della riviera Viareggina, era quanto di meglio si potesse desiderare, dotata com’era di salotti e spazi all’aperto per ricevere gli innumerevoli ospiti e persino un piccolo teatro. L’edificio, dall’impianto semplice, sembra volersi armonizzare nel contesto paesaggistico di passaggio fra la pineta ed il mare, realizzando

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attraverso l’integrazione fra i salotti e i diversi giardini un continuum abitativo e spaziale, accentuato anche dalle preziose decorazioni parietali a trompe l’oeil che i recenti restauri hanno restituito all’interno delle stanze. Lontana dai fasti parigini, ma non priva di preziosismi, la villa ha infatti rappresentato luogo di cultura, ma anche di ritiro, necessario alla metabolizzazione da parte di Paolina, della morte del suo amato fratello Napoleone; da qui l’organizzazione degli spazi con il piano superiore dedicato ai più riservati “appartamenti della principessa”, con un gusto decorativo, che nello stile parigino, alterna putti neoclassici, scene tratte dall’Orlando Furioso, ghirlande e finti tendaggi. Una importante sede dal sapore storico dunque, niente di meglio per rappresentare le tradizioni italiane e perfettamente suddivisa in una grande pinacoteca un tempo dedicata ai quadri di Lorenzo Viani, una sala conferenze, e vari saloni di diverse dimensioni in cui esporre le opere. La sala conferenze è perfetta e già in parte tecnicamente attrezzata per poter istallare il maxi schermo sul quale vedere in collegamento on line la mostra a New York. 6.3 La location virtuale E per ultima, ma non certo in ordine di importanza, ecco che presento la terza sede di “Una mostra in tre mondi”, quella ubicata nello spazio virtuale di Second Life. Si tratta del Museo del Metaverso nato nel settembre del 2007 da un’idea di Rosanna Galvani, meglio conosciuta in Second Life con il nome di Roxelo Babenco. “Dopo un girovagare, quasi forsennato - illustra Roxelo Babenco - ebbi contezza che l’arte e l’architettura costituivano l’eccellenza di Second Life e che , se avessi voluto realizzare un centro culturale, esso avrebbe dovuto avere origine dal progetto architettonico per la creazione della struttura ricettiva. L’architettura in SL è qualificante, è la forma che conferisce ad un progetto riconoscibilità, esaltando il valore dei suoi contenuti. Il nome “Museo del Metaverso” fu scelto in base alla maturata convinzione che esisteva e stava prendendo forma, anche nella land italiane, un’esperienza

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culturale propria di Second Life, pertanto a quella dovevo prestare attenzione e al fermento artistico e culturale in atto, puntando su un luogo immaginario immerso in SL, palinsesto e contenitore di un esperimento creativo e performante. Questo luogo, in realtà non-luogo, è composto da moduli cubici trasparenti, assemblabili ed espandibili, collegati in verticale da rampe, spezzati e armonizzati da piani (piazze), corridoi e texture. Nel corso del tempo, per esigenze di spazio e per dare risposta alle domande di esposizione, abbiamo apportato diversi cambiamenti alla struttura originaria, realizzando nel caso specifico, quel concetto di “luogo in continua evoluzione” a cui tendiamo. Il Museo ormai esiste, è una realtà dotata di una sua precisa identità, conosciuta in Second Life e non solo nelle land italiane, ha una sua riconoscibilità e credibilità, per la politica fin qui attuata, che è di totale condivisione delle conoscenze, degli spazi e della circolazione dei contenuti. Al momento stiamo ospitando le esposizioni di trenta artisti, con una richiesta in continuo aumento, anche da parte di creativi stranieri. I generi delle opere esposte vanno dall’arte visiva all’arte ricreativa. Una delle peculiarità, la più ambiziosa, del nostro progetto è l’archivio, che mira alla conservazione della produzione artistica in 3d e all’esportazione della medesima in first life. Pertanto, il Museo conserverà una copia di ogni opera esposta, al fine di creare un archivio storico delle opere d’arte di Second Life. Il Museo non potrà disporre delle opere archiviate, se non previa autorizzazione dell’artista, che ne conserverà tutti i diritti d’autore. Questa è la nostra idea di museo, ovvero un luogo in continua evoluzione, non solo spazio di conservazione ed esposizione, ma spazio vivo e fertile di idee, dove sia possibile sperimentare, condividere esperienze con altri soggetti che operano in Second Life nel campo dell’arte, dell’architettura, della musica, del teatro, del cinema, della letteratura. Il museo dovrà essere un polo di attrazione di idee innovative nell’arte e nella cultura più in generale. Le opere, le installazioni, l’architettura stessa del museo, le perfomance, gli eventi, gli artisti, gli amici, i direttori, l’owner costituiscono un’unica opera concettuale, immersiva e performante, che

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ha dato vita ad un’esperienza di successo, con riflessi nel mondo reale. Le attività del museo sono caratterizzate dalla ricerca di un nuovo modo di presentare e promuovere l’arte, attraverso laboratori, immagini, testi, video e performance, ma anche mediante le molteplici iniziative che direttamente si organizzano nel sito stesso e nelle land affini. E’ spazio aperto a tutti coloro che abbiano contenuti da proporre e che vogliano realizzarli insieme a noi, è altresì incontro di culture, di linguaggi espressivi e di idiomi. Il museo è luogo di ritrovo, dove è possibile condividere un percorso di conoscenza con il viandante che, in visita, porta in dono la sua sapienza e, a volte, il suo sottile acume. La finestra sul web, di cui si dispone, con il blog, il social network Ning, Facebook, Flickr e Twitter, YouTube rappresenta un efficace mezzo di comunicazione della nostra mission e delle iniziative in programma. Il museo è una fucina di idee, di sperimentazioni e di visioni. Nei suoi laboratori, sospesi nel cielo di Uqbar, al riparo dalla curiosità dei visitatori, si attuano le ricerche più interessanti”. Quanti sono oggi gli iscritti al museo e che media avete di partecipanti? “Dal 2007 ad oggi, gli artisti che hanno esposto al Museo del Metaverso sono un centinaio fra italiani e stranieri. Gli iscritti al nostro network, che comprende gruppi su Second Life, Social Network su Ning, Blog su Blogspot e gruppo su Facebook, raggiunge i mille e cinquecento iscritti. I partecipanti agli eventi che organizziamo sono molti, se si pensa alla capacità ricettiva di una sim in Second Life, che nel caso di una “private region”, come quella che ospita il Museo del Metavserso, non può superare le 70 persone presenti contemporaneamente sull’isola. Un dato per tutti: in occasione dell’organizzazione di Arena Call for Artists, iniziativa organizzata in SL in concomitanza e in collaborazione con la mostra Rinascimento Virtuale, allestita al Museo di Storia Naturale a Firenze e curata da Mario Gerosa, sono circuitate circa 3.900 persone in 5 mesi. L’iniziativa consisteva nel presentare un’ artista in mostra ogni tre giorni, per un numero totale di 50 artisti. L’evento ebbe molto risalto nel mondo

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reale, tanto da trovare spazio sulle rubriche di importanti blog, quali Nadir di Armando Adolgiso, “Le Aziende In-Visibili” di Marco Minghett nonché su importanti riviste cartacee quali “Ottagono”, “Extrart” mediante il supplemento Uqbar Ezine, rivista online totalmente curata dallo staff di uqbar.media art culture, progetto che mira a mettere in congiunzione mondo reale e Second Life. Ha collaborato con me alla organizzazione di Arena, l’architetto Paolo Valente aka arco Rosca, cooresponsabile insieme a me del progetto Uqbar.media art culture”. Ho trovato interessante, ed è ciò che vorrei realizzare anch’io con il mio progetto, questa voglia unire il mondo reale con quello virtuale di SL, quali sono stati fino adesso i risultati ottenuti, le reazioni del pubblico e dei critici d’arte? “Il mio obiettivo, sulla scia di quanto realizzato da Mario Gerosa con la mostra Rinascimento Virtuale è quello di fare conoscere la produzione artistica e creativa di Second Life nel mondo reale, ovvero di portare fuori le opere degli artisti e dei creativi, attraverso mostre ed eventi organizzati in real life. Insieme a Paolo Valente aka arco Rosca, architetto in Roma, abbiamo realizzato in diverse occasioni questo intento; la prima volta con la partecipazione a FutuRoma, il 20 Febbraio, in occasione della notte bianca futurista, per la quale fu allestito, a cura di Paolo Valente, uno spazio immersivo, al Tempio di Adriano a Roma, dove furono presentati gli artisti di Second Life che si erano esibiti in Arena call for Artists. Due video, realizzati da MillaMilla Noel testimoniano dell’evento. Altro evento che mirava a fare il punto della situazione sull’arte e sulla creatività di Second Life fu “Ars in Ara – Arte e comunicazione nell’era di Second Life”, un convegno della durata di due giorni organizzato a Roma all’Ara Pacis nel mese di Giugno 2009. Gli atti del convegno sono pubblicati come video nel sito di uqbar.media art culture. Ultima iniziativa in ordine di tempo è stata OPENGARDEN interaction, svoltasi dal 26 Luglio al 2 Agosto 2009, nella suggestiva location di Villa Fogliano (Latina) nel Parco del Circeo e proiettata in streaming in Second Life nella sim di

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Uqbar Museo del Metaverso. In quella occasione, su allestimento di uno spazio immersivo all’aperto, in real life a villa Fogliano e in Second Life nella land del Museo del Metaverso, a cura di Paolo Valente, presentammo nell’ambito della 15^ edizione del Festival delle Arti, alcuni degli artisti più significativi di Second Life: Dancoyote Antonelli - Situated Tower Performance Selavy Oh - Spiral (1001 white cubes) MillaMilla Noel - Recent avatars Marco Manray - Why is there something rather than nothing? Mencius Watts - Flickr Gettr II”. Mi puoi illustrare più approfonditamente il progetto di archiviazione delle opere che trovo importantissimo per la salvaguardia dell’arte digitale? “Il progetto di archiviazione delle opere nasce dalla considerazione che in Second Life vige una condizione di precarietà che fa sì che tutto possa scomparire prima ancora di essere stato visto e catalogato. L’unico modo possibile per conservare alcuni generi, come ad esempio le performance sono i video, altro modo è la fotografia, esiste poi un linguaggio di programmazione in grado di salvare negli HD anche le sculture, le particles, le architetture e tutte quelle opere che non potrebbero essere rese efficacemente attraverso video o foto. Il progetto di archiviazione sul quale io e Paolo Valente stiamo ragionando, è di vitale importanza per la salvaguardia del patrimonio artistico digitale di Second Life, tuttavia per realizzare questa opera imponente abbiamo urgente bisogno di finanziamenti, altrimenti, non solo non potremo realizzare l’Atlante delle Visioni (archivio), ma saremo costretti ad abbandonare anche i progetti fin qui portati avanti. Second Life costa molto e gestire un progetto come il Museo del Metaverso su Second Life senza finanziamenti è davvero oneroso”. Che tipo di selezione viene fatta per gli artisti che chiedono di esporre al Museo del Metaverso? “La selezione non è stata severa, poiché da un lato cercavo di promuovere

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i nativi che si avvicinavano al museo con entusiasmo e dall’altro invece invitavo i migliori ad esporre le loro opere, per cui democraticamente ho perseguito sempre la commistione fra artisti la cui fama era consolidata e che operavano in real life e i nativi più promettenti. In occasione di Arena call for artists invece, la selezione fu severissima e furono ammessi soltanto i migliori”. Le opere esposte possono essere anche acquistate ed hanno un loro mercato come avviene nelle gallerie e nei musei reali? “Le opere possono essere acquistate dentro Second Life e, stando a quanto mi raccontano alcuni artisti, le opere esposte al museo sono molto vendute. Non ho mai concretamente provato a vendere le opere nel modo reale, ma ci ho pensato molto e credo che il prossimo passo, per la sopravvivenza del museo, sia proprio quello di tentare la vendita in real life”. Le iniziative del museo sono veramente tante, quanto tempo dedichi a tutto, rischi mai di tralasciare ciò che fai nella first life? “Dedico quasi tutto il mio tempo libero alla gestione del progetto, ma non ho mai tralasciato i miei doveri lavorativi di funzionario del Servizio Cultura presso il Comune della mia cittadina e nel contempo di “madre di famiglia”. In questo momento sono in pausa di riflessione, per comprendere in quale direzione sviluppare il progetto del Museo del Metaverso e con quali risorse, sia professionali che economiche, dopo l’esperienza molto positiva di Uqbar.media art culture portata avanti con Paolo Valente. Il progetto del Museo necessita di figure tecniche di supporto e di collaboratori per l’organizzazione degli eventi, purtroppo però senza risorse economiche, dopo un po’ le collaborazioni vengono meno. Quello che è stato condotto dentro e fuori Second Life, con il progetto Uqbar.media art culture e Museo del Metaverso, è stato un impegno molto grande, che solo la passione e l’entusiasmo ci hanno permesso di portare avanti, senza altri supporti al di fuori delle nostre capacità e possibilità economiche”. Alla quinta edizione di Lucca Beni Culturali Digital Tecnology è emerso che molte istituzioni stanno investendo parecchi capitali nella ricerca

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di nuove tecnologie per la salvaguardia e per nuove forme di fruizione dell’arte, pensi che in Italia i tempi siano finalmente maturi e si stia facendo davvero qualcosa di nuovo e importante? “In Italia non vedo ancora investimenti in tal senso. Speravo che le Accademie di Belle Arti e le Università o gli Enti Pubblici più in generale potessero investire risorse in progetti qualificati, come lo è il progetto del Museo del Metaverso e di uqbar.media art culture. In realtà l’unica istituzione che ci ha dato spazio è stata il Comune di Roma. Inoltre anche il Festival delle Arti di Fogliano ha ospitato la nostra mostra di opere realizzate in Second Life”. Quali sono i tuoi prossimi progetti? “Ho affermato precedentemente che sono in un momento di riflessione, ma in verità ho già in mente diverse iniziative sulle quali mi dovrò concentrare e iniziare a lavorare. Una di queste è l’organizzazione di un ciclo di cinque incontri con critici e docenti, presso le Accademie d’Arte italiane. Penso di coinvolgere Domenico Quaranta, Mario Savini, Luisa Valeriani, Franco Speroni e altri, per sentire come si percepisce il fenomeno arte di un mondo virtuale all’interno dei Sancta Sanctorum dell’Arte Italiana. Da due anni siamo ospitati dall’Accademia di Belle Arti di Macerata , grazie all’interesse che il prof. Mario Savini manifesta per il progetto del museo e di uqbar. A me ed a Paolo Valente, inoltre, piacerebbe poter continuare a pubblicare la rivista “Uqbar”, che è nata come supplemento alla rivista Extrart, di cui è direttore Mario Savini, pertanto questo è uno degli obiettivi da perseguire per il futuro”. In questi due anni pensi che sia cambiata la tipologia delle persone che frequentano Second Life? “Sì credo che sia cambiata la tipologia degli utenti di Second Life, vedo più maturità in giro e meno gioco. Tuttavia manca un modello di economia vera e tutto si risolve all’interno del world con un modello economico chiuso, che soddisfa le esigenze degli user per la loro seconda vita. Io credo che il futuro del Museo del Metaverso sia su OPENSIM, anche se

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non si può prescindere da Second Life per via della usabilità e del traffico, che è più intenso rispetto a Cyberlandia ad esempio, il primo metaverso italiano su opensim, dove il Museo è già presente”. Il Progetto Opensimulator è un Piattaforma Applicativa Open Source sotto licenza BSD che può essere usata per creare un ambiente interattivo in 3D come un mondo virtuale. OpenSim puo’ ovviamente essere usato per creare un ambientazione stile Second Life, e può facilmente essere estesa per produrre una più specializzata applicazione interattiva 3D. OpenSim è scritto in C# è può essere eseguito sotto Mono o Microsoft .NET. La sua natura open source e modulare rende possibile la sua estensione da chiunque attraverso moduli plugin per adattarlo alle tue applicazioni. OpenSim correntemente è in uno stadio di sviluppo. Esiste una comunità vivace italiana che ha costruito: http://www.cyberlandia.net . Cyberlandia nasce da un idea di Carlos Roundel a seguito delle esperienza su Second Life dal 2006 e cresce grazie alla collaborazione dei residenti che da oltre una anno stanno sperimentando su opensim. E’ un mondo virtuale totalmente gratuito ed autogestito, composto da tante isole ospitate sui server degli utenti e viene sviluppato da un gruppo di programmatori indipendenti il cui sito web di riferimento è http://www.opensimulator. org. I luoghi OpenSim sono completamente scollegati dal mondo virtuale di Second Life. Soldi, oggetti e qualsiasi altra cosa siano state realizzate in Second Life non saranno toccate e allo stesso modo non sarà possibile importare in Second Life quello che si crea in Cyberlandia; in sostanza, non vi è alcun legame fra le due piattaforme. La differenza fondamentale rispetto a Second Life è che chiunque può creare senza pagare una propria isola, però al momento è chiaro che si tratta di un progetto in via di sviluppo che non riesce ancora a garantire la stessa fruizione della piattaforma della Linden Lab.

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6.4 Lo streaming su Second Life Continuiamo a parlare di SL per spiegare come si realizza uno streaming dal mondo reale e come saranno trasmesse le immagini della mostra in diretta da Viareggio e New York. Inanzitutto dobbiamo realizzare i due schermi che nel Museo del Metaverso trasmetteranno in diretta ciò che rispettivamente vede il pubblico nelle due sedi reali dell’evento. La procedura fortunatamente è piuttosto semplice e dovrà essere eseguita dall’amministratore della land, Roxelo Balenco che per prima cosa sceglierà il punto che ritiene più ideale per istallare i due screen. Poi lo disegnerà attraverso le varie opzioni che la piattaforma di SL dà per costruire moltissime cose con figure di cubi, cilindri etc già preimpostate, delle quali si possono modificare le dimensioni per migliorare l’immagine e renderla il meno possibile schiacciata o allungata. Tutto questo impostando la scheda Media che si apre da una delle finestre principali a disposizione su SL.

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Importante è dare alla figura destinata ad essere uno schermo un corretto orientamento in modo che successivamente non venga visualizzato il filmato di lato. Disegnato lo schermo è chiaro che andrà rimossa qualsiasi texture e impostato un colore nero. Anche per questa operazione esiste una biblioteca nelle finestre di SL. Dopo di che andrà impostato lo stesso sfondo nella scheda Media. A questo punto dovrà essere comandato di catturare l’immagine. Per quest’ultimo passaggio le soluzioni sono diverse anche perché il video oltre ad essere catturato deve anche essere codificato nel formato Quick Time che è compatibile con SL. Nel caso di utilizzo di un Mac è tutto più semplice visto che la Apple dota i suoi computer dell’ottimo Quicktime Streaming Server. Fra le varie soluzioni la migliore è quella di rivolgersi ad una società che, a pagamento, si occupa di inviare lo streaming con il vantaggio non sovraccaricare la propria banda, o doverne attivare un’altra, per inviare il video su SL, senza bisogno di alcuna configurazione tranne pochi passaggi fra cui l’inserimento dell’indirizzo che viene mostrato nel Media attivato su SL. Fra i vari siti che offrono questo servizio il più completo mi è sembrato Veodia1, che ha una serie di applicazioni interessanti con la possibilità anche di una prova gratuita. Infatti era quello che veniva usato inizialmente dal Museo del Metaverso che oggi è invece associato a 2lifecast2 che cura lo streaming per loro appoggiandosi su un server dedicato. 2lifecast è una associazione no-profit che si rivolge a operatori culturali, privati, che operano nelle piattaforme di social networking e in particolar modo negli ambienti immersivi tridimensionali, offrendo condivisione di risorse e conoscenze al fine di creare e agevolare la produzione di contenuti di qualità nell’ambito di tematiche legate all’innovazione, il design, l’arte e la cultura di lingua italiana. 2lifecast ha come mission quello di coadiuvare e promuovere lo sviluppo di espressione della creatività attraverso l’uso 1 http://www.veodia.com 2 http://www.2lifecast.com

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di tecnologie avanzate, in particolar modo la trasmissione in broadcasting video in ambienti “Mixed reality”, ovvero in una mescolanza di immagini dal vero e in ambiente grafico tridimensionale, nello specifico sulla piattaforma SecondLife, dove più si è evoluta la dinamica dell’interaction design in relazione alla interazioni sociali. La piattaforma server di sviluppo è una piattaforma aperta e interoperabile, cioè è possibile generare mondi con le medesime caratteristiche ed i medesimi protocolli al di fuori dalla proprietà dei Linden Lab e di poterli “navigare”. 2lifecast è una associazione rivolta principalmente agli owner di land, ovvero ai proprietari di terreni in SecondLife e che hanno i permessi per accedere alla gestione della sorgente dei media audio-video, agli operatori culturali, alle associazioni e ai privati non aziendali che realizzano contenuti inerenti le tematiche espresse dall’associazione. 2lifecast si occupa anche di organizzazione e produzione degli eventi nell’ottica della distribuzione e della valorizzazione delle opere dei suoi soci sia all’interno sia all’esterno di SecondLife.

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7. La realizzazione dell’interfaccia Al fine di ottimizzare la riuscita di un evento come “Una mostra in tre mondi” è chiaro come mi è stato più volte ribadito dal professor Ermanno Guarneri, durante il suo corso di Interaction Design, non è possibile realizzare tutto da soli, ma c’è la necessità di organizzare un team multidisciplinare composto da idonee figure professionali per ogni compito. Per Interaction Design si intende infatti la progettazione di artefatti in grado di sostenere e migliorare il modo in cui lavorano, comunicano e interagiscono. E più specificatamente si occupa della progettazione, valutazione e implementazione di sistemi interattivi basati su computer ad uso di esseri umani e dello studio dei fenomeni che li circondano1. Questa necessità riguarda infatti anche la realizzazione dell’interfaccia con la quale il pubblico italiano potrà mettersi in collegamento con la sede di New York della mostra e viceversa. Le figure professionali indispensabili per il mio progetto sono sicuramente un tecnico informatico per la scelta degli hardware e delle apparecchiature necessarie con i relativi vari collegamenti, streaming compreso; un’azienda telefonica che garantisca una velocità adeguata delle linee a banda larga sia in download che in upload per le video conferenze; uno studio grafico che curi il design di tutto il materiale che servirà per la pubblicità dell’evento, e la realizzazione di un’immagine che faccia da cornice al maxi schermo sul quale saranno proiettate le immagini video, per non far trovare nella sala uno screen nudo e crudo. Infine un ufficio stampa che curi le relazioni con i mass media ed una agenzia pubblicitaria per il reperimento degli sponsor. 1 “Interaction Design” Preece, Rogers, Sharp ed. Apogeo 2004

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7.1 Le attrezzature Sia Italia che negli States occorreranno le seguenti attrezzature: 1. I computer per le video conferenze fra il pubblico e l’avatar e viceversa. Oggi non c’è che l’imbarazzo della scelta fra desktop e notebook che molto spesso è possibile acquistare in offerta speciale nei più noti magazzini di elettronica e sui vari siti internet. Per tanti aspetti che vedremo più avanti, per migliori prestazioni, si predilige il Mac. Il computer di casa Apple è però più costoso rispetto ai PC. 2. Anche per il maxi schermo le possibilità sono a dir poco ampie. Per l’installazione The Gate1, ad esempio, è stato utilizzato uno schermo di 4 metri di larghezza per quasi 4 metri di altezza, questo però dipenderà molto dalla grandezza della stanza dove andremmo ad allestire l’installazione. Per un formato 4:3 penso sia sufficiente un 350 x 263 cm. che nella sala di Villa Paolina ho verificato sarebbe perfetto. 3. Un proiettore di almeno 1000 lumen, meglio se Digital Light Processing che, rispetto agli LCD, hanno lampade riflettrici dalla maggior durata, più silenzione e con un minor numero di pixel difettosi. 4. Un impianto home theatre per una buona diffusione nella sala del suono ricevuto assieme alle immagini trasmesse dagli avatar. 5. Per il performer che dovrà fare da guida e seguire le richieste degli spettatori collegati on line, occorrerà una mini webcam, cuffie e microfono wireless per permettergli di girare liberamente per la mostra. 6. Un’altro microfono servirà a turno al pubblico per dialogare con l’avatar durante il collegamento. 7. Possiamo inoltre inserire un altro computer acceso sul Museo del Metaverso per far vedere al pubblico della “real life”, ciò che sta avvenendo in Second Life, ma anche scoprire le opere che vi sono esposte. 1 vedi pagina 49

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7.2 Le prove di collegamento Collegare due luoghi in video chiamata ormai è molto semplice e la scelta iniziale naturalmente è caduta, come spesso avviene ed ha fatto anche Butler per la sua opera, sul famoso Skype. Nato nel 2003, questo software di messaggistica istantanea e VoIP, ovvero la tecnologia che rende possibile effettuare una conversazione telefonica sfruttando una connessione Internet o un’altra rete dedicata, oggi è sicuramente il sistema più utilizzato che, secondo i dati forniti dalla stessa società, nelle ore di punta offre il proprio servizio a fino a 20 milioni di persone. Wikiartpedia segnala comunque delle alternative libere a Skype2 che mi sembrava doveroso elencare: QuteCom precedentemente noto come OpenWengo; Ekiga inizialmente nata con il nome di GnomeMeeting; e Asterisk. Ma veniamo alle prove sul quale ho lavorato alcuni giorni perché c’era il problema di come trasferire la video conferenza fra Viareggio e New York sul Museo del Metaverso. Il primo tentativo è stato quello di riprendere le immagini trasmesso sul maxi schermo con una telecamera collegata ad un altro computer che le avrebbe inviate a sua volta su SL, naturalmente passando come abbiamo spiegato precedentemente attraverso il server dedicato. Ma con una web cam wireless la cui qualità delle immagini in video chiamata già di per sé non è il massimo, una seconda ripresa sullo schermo non poteva che regalare un risultato non certo soddisfacente. Allora coadiuvato dall’amico tecnico informatico Luca Arrighi sono partito alla ricerca di altre soluzioni. Una volta inviate le immagini dalla telecamera a Skype, questo le acquisisce in maniera prioritaria e quindi non ti permette di farle utilizzare da altri programmi e di conseguenza non è possibile nemmeno trasferirle su un altro computer tramite cavo firewire o fare qualunque altro ponte. Pensiamo allora di provare con un ricevitore wireless a due uscite in modo da deviare il segnale su due computer, il primo per Skype ed il secondo per il server dedicato a inviare lo streaming su SL. Non avendolo a disposizione ci mettiamo immediatamente in 2 http://it.wikipedia.org/wiki/Skype

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moto per trovarlo in alcuni magazzini specializzati della zona. Nell’attesa però mi viene alla mente un’alternativa. Sì perché ripensando alle lezioni svolte in Accademia mi ricordo di aver parlato con il professor Pier Luigi Capucci di un’alternativa a Skype per seguire il suo corso di Sistemi Interattivi in video conferenza. Riguardo fra gli appunti delle lezioni ed ecco che spunta lo strano nome “ooVoo”1. Si tratta di un’ applicazione più potente che consente di stabilire una videoconferenza con un massimo di 6 persone contemporaneamente, anche se bisogna specificare che da tre in poi il servizio è a pagamento, dopo una prova gratuita di trenta giorni. Comunque le tariffe sono piuttosto agevolate e vanno dai 7,95 ai 12.95 dollari al mese a seconda del numero di utenti che si voglia collegare contemporaneamente; oppure è possibile fare un abbonamento a consumo che in Italia ad esempio costa 0.28 centesimi di dollaro al minuto per ogni contatto collegato, naturalmente a partire dal terzo. ooVoo è un software freeware di video-comunicazione con un’interfaccia 3D molto accattivante e con una serie di funzioni molto utili come ad esempio il trasferimento dei propri i contatti dai programmi di gestione di posta elettronica più famosi. Ma la cosa che mi ha colpito è l’ottima organizzazione del servizio di supporto suddiviso fra i vari settori commerciali e quello tecnico. Decido subito di contattare quest’ultimo. Semplicemente inserendo il mio nome ed il mio indirizzo email accedo alla pagina delle richieste dove espongo brevemente il mio progetto. Come garantito entro 24 ore ricevo un email che mi rende davvero felice. Il centro di supporto mi risponde infatti che ha la soluzione al mio problema e fra l’altro gratuita: “ooVoo ha delle funzioni che permette di far vedere la tua video chiamata anche a chi non è sul nostro sito. È possibile inviare agli utenti non ooVoo il tuo video link Web Call e farti vedere su altri siti purchè anche quest’ultimi abbiano una web cam attiva, oppure puoi registrare il tutto ed inviarla successivamente”. Ad esempio sul mio blog www.viareggioartproject.blogspot.com ho inserito il bottone “Call Me” in modo che chiunque lo visiona abbia la 1 http://www.oovoo.com/

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possibilità di chiamarmi per chiedermi delucidazioni ed aggiornamenti. “Per inviare il link vai a: Azioni> Invia il collegamento delle chiamate video web. Specificatamente per la tua esigenza hai a disposizione anche una chat room libera2 della quale è possibile incorporare il link sul tuo sito di Second Life”. Alla pagina di riferimento c’è anche un breve video che spiega i pochi passi per attivare questa funzione che permette appunto di far vedere la video conferenza su blog, social network, qualunque altro sito e la piattaforma di Second Life. A questo punto Luca ed io facciamo subito un primo tentativo: utilizzando due computer apriamo due video chiamate con un nostro amico e con i pochi passaggi sopradescritti inviamo le immagini su un altro sito. Il tutto funziona perfettamente soltanto che mi accorgo che dovrà essere fatta particolare attenzione nell’ottimizzare ciò che verrà visualizzato in Second Life. ooVoo infatti invia la web call su un altro sito, ma visualizzando una finestra con all’interno due display nei quali si può vedere in contemporanea le due location. Visto che per entrambe le video chiamate vorremmo vedere solo ciò che gli avatar trasmetteranno sul maxi schermo (il pubblico sarà collegato con l’avatar solo in audio perché sarebbe assurdo inviare immagini di una persona davanti ad un microfono) dovremmo fare in modo che su ogni screen del museo in SL si veda solo il display con le riprese fatte dall’avatar. Quindi riparto a rivedere tutti i vari tutorial studiati e apprendo che fortunatamente le opzioni Media di SL (configurazioni dello schermo, zoom, etc.) mi permettono di raggiungere il risultato desiderato. Infine, altro particolare importante, grazie a ooVoo è possibile registrare la video conferenza e ritrasmetterla sul proprio sito o blog per chi non ha potuto assistervi in diretta. Questo è molto importante anche perché come ha spiegato Roxelo in Second Life non si può superare il numero dei 70 avatar presenti sull’isola nello stesso momento. Terminata questa prova troviamo, fortunatamente a noleggio per un giorno, 2 http://www.oovoo.com/HowTooVooItem.aspx?pname=HowTooVooVideoChatRoo m

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una web cam con ricevitore wireless a piÚ vie. Riutilizziamo Skype e con questa apparecchiatura riusciamo ad ottenere lo stesso risultato avuto con ooVoo. Unica differenza è che con questo sistema in ogni sede dovremmo avere a disposizione un computer in piÚ: la cam infatti invia il segnale al ricevitore che a sua volta lo gira su un primo Pc dedicato alla video conferenza e su un secondo per lo streaming in SL. A questo punto visti i buoni risultati di entrambe le prove, la scelta fra Skype e ooVoo diventa puramente economica.

Domenico Quaranta con I-Chen Zuffellato durante The Girlfriends Experience a Nova Goriza

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7.3 La linea a banda larga Per quanto riguarda la garanzia di un’ottima connessione in Italia ho interpellato sia Telecom che Fastweb. Forse si è trattato della fase per la quale ho perso maggior tempo nell’ analizzare tutti gli aspetti del mio progetto, in quanto trovare il referente giusto di una compagnia telefonica in Italia è ormai diventata un’impresa a dir poco ardua. Con Telecom oramai ho perso ogni speranza perché nonostante le varie telefonate che ti dirottano da un operatore all’altro che alla fine ti chiede di inviare una richiesta di assistenza tramite fax, ancora non ho avuto alcuna risposta. Un pò meglio è andata invece con Fastweb. Nel suo sito c’è una finestra che ti invita a fissare un appuntamento telefonico con il numero verde, visto che altrimenti è facile trovarlo occupato anche per ore. Devo però segnalare che ho atteso invano ben due settimane e non ho ricevuto alcuna comunicazione via mail, come era stato promesso. Non demordo e continuo a chiamare il numero verde, il cui operatore mi informa che la sua azienda sicuramente potrà assolvere alla mia richiesta, ma che devo parlare con la direzione commerciale. Riparte un altro “calvario”: giorni interi di vani tentativi passati per mezz’ore intere ad ascoltare sempre la stessa musichetta di attesa. A questo punto la domanda mi sorge spontanea e penso che possa essere un buon suggerimento: “ma perché questi call center invece di un solo brano non inseriscono una bella collana di pezzi, almeno l’utente si autoconvince di stare ascoltando l’Ipod e la sua lunga attesa diventa meno stressante?”. Quando avevo perso tutte le speranze una mattina che ero a passeggio con il mio cane mi viene in mente di riprovare ed ecco che incredibilmente dopo due squilli mi risponde una consulente molto preparata e gentile. In pochi minuti le illustro ciò di cui ho bisogno e subito viene fatta la verifica se il numero di telefono dei Musei Civici Villa Paolina di Viareggio è su una linea Telecom sulla quale loro possono operare. Fortunatamente il responso è positivo e quindi possono essere attivati i servizi Fastweb. In meno di un’ora ecco che ricevo via mail l’offerta “small business full”.

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SmallBusiness Full è la soluzione Fastweb studiata per realtà aziendali da 2 a 5 linee telefoniche, che desiderano un’unica offerta per i servizi di Telefonia ed Internet. Fastweb ha realizzato una rete proprietaria in fibra ottica a livello nazionale ed è già presente con la propria offerta sulla quasi totalità del territorio italiano con una delle tecnologie dalle massime velocità disponibili sul mercato fino a 20/1 Mbps in area xDSL e 100/100 Mbps in area Fibra Ottica, servizio che a tuttoggi a Viareggio non è disponibile. Nelle aree abilitate alle aziende connettività Internet fino a 20 Mbit/s in ricezione e 1 Mbit/s in trasmissione con tecnologia ADSL e fino a 4 Mbit/s sia in ricezione che in trasmissione con tecnologia SHDSL oltre a servizi integrati di telefonia fissa e mobile, messaggistica unificata, security, videocomunicazione, lavoro a distanza etc. L’offerta per “Una mostra in tre mondi” prevede tre soluzioni: 1. fornitura di un accesso Internet illimitato con banda a 20 Mbit/s in ricezione e 1 Mbit/s in trasmissione con 256 Kbps di Banda Minima Garantita. Tale offerta dà la possibilità di collegare fino a 10 postazioni PC. Costo di attivazione novanta euro più abbonamento mensile di novanta euro. 2. fornitura di un accesso Internet illimitato con banda fino a 2 Mbit/s in ricezione ed in trasmissione con 512 Kbps di Banda Minima Garantita. Possibilità di collegare fino a 25 postazioni PC. Costo di attivazione centotrenta euro più abbonamento mensile di centosette/50 euro. 3. fornitura di un accesso Internet illimitato con banda fino a 4 Mbit/s in ricezione ed in trasmissione con 1 Mbps di Banda Minima Garantita. Possibilità di collegare fino a 55 postazioni PC. Costo di attivazione duecentodieci euro più abbonamento mensile di centoquarantaquattro/50 euro. Ritengo che la soluzione ottimale sia già la seconda visto che mi garantisce sia un’ottima ricezione che un buonissimo upload per quanto riguarda sia la videochiamata, che per il trasferimento su Second Life all’interno Museo del Metaverso. Considerando poi che lo streaming, come

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abbiamo precedentemente illustrato, avverrà tramite un server dedicato dell’associazione 2lifecast e quindi non ci sarà alcun appesantimento rilevante dell’utilizzo della linea. Permettendomi di collegare fino a 25 postazioni, potrò tranquillamente istallare i due o i tre computer per le video conferenze ed un’altro per far vedere ciò che avviene nella piattaforma virtuale. Nel pacchetto SmallBusiness Full sono comunque inclusi i seguenti servizi: la fornitura di una subnet di 4 indirizzi IP pubblici statici; gestione di caselle e-mail con 1 GB di spazio disponibile per ogni utente della propria LAN, con protezione antivirus ed antispamming; router in comodato d’uso, con assistenza e manutenzione gratuita; un dominio di II livello di posta elettronica; la selezione passante, compresa nel canone d’offerta, per le 2 linee ISDN 1 BRI che permette di assegnare ad ogni singola postazione una numerazione diretta raggiungibile dall’esterno. Nel caso in cui il cliente non abbia tale servizio, può fare Number Portability e quindi continuare ad utilizzare l’attuale numerazione telefonica. Fastweb provvederà ad assegnare un ulteriore numero interno dedicato a ciascun telefono. Inoltre viene attivato Fastbox che trasforma la casella di posta elettronica in un servizio di messaggistica unificata, una segreteria telefonica e un numero di fax personale consultabili direttamente tramite la casella e-mail. Infine Fastweb regala un bonus del valore di 100€ da investire in pubblicità su Internet tramite il servizio Google Adwords. Questo programma pubblicitario del noto motore di ricerca si attiva nel momento in cui un utente effettua una ricerca su Google: digita una parole chiave con cui descrive ciò che sta cercando e viene portato sulla pagina con i vari risultati. Insieme ai risultati “naturali”, sulla destra dello schermo oppure a volte anche in alto a sinistra, evidenziati in giallo appaiono una serie di “collegamenti sponsorizzati”, ovvero annunci pubblicitari. Non so quante volte con solo cento euro di investimento la pubblicità alla nostra mostra possa apparire, ma comunque è un tipo di comunicazione interessante e sicuramente da provare per questo tipo di manifestazione. Della comunicazione parlerò comunque in un paragrafo successivo.

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Risolto il problema della linea in Italia sono passato con l’aiuto dei miei amici newyorkesi a valutare la compagnia a cui rivolgermi negli Stati Uniti dove mi sono state segnalate: Tmobile, Sprint e At&T. Abbiamo optato per quest’ultima sulla quale mi è sembrato giusto spendere due parole. La AT&T, nata nel 1885, durante la sua lunga storia, è stata la più grande compagnia telefonica del mondo. Nel 1984, vista in posizione di monopolio, l’azienda fu costretta a dividersi in più società. Attualmente è l’unico gestore telefonico negli Stati Uniti a permettere l’utilizzo del telefono iPhone prodotto da Apple. Si contraddistingue per i suoi laboratori di ricerca che contano circa 3500 scienziati dediti alla ricerca e sviluppo di nuove tecnologie nel settore delle telecomunicazioni, alcuni dei quali hanno vinto dei premi Nobel. La sua rete di telecomunicazione copre 127 nazioni nel mondo. L’azienda è presente anche in Italia, dove ha la sede principale a Torino e filiali a Roma e Milano1; al momento mi hanno risposto che in Italia non offrono servizi per privati ne per piccole imprese, ma hanno un paniere clienti di sole grandi aziende, fra cui Telecom della quale proprio lo scorso anno si parlava di un’acquisizione da parte dell’azienda americana di un terzo del capitale di Olimpia, holding che detiene il 18 per cento di Telecom Italia, operazione finanziaria poi ritirata. Il suo sito internet è molto ben fatto, offre una vasta gamma di soluzioni e mi ha fornito direttamente on line le risposte alle mie esigenze, senza bisogno di stare per giorni al telefono come mi è successo per la linea della sede italiana. Soltanto per sapere i costi, che variano a seconda del distretto, mi è stato chiesto di digitare un ipotetico numero telefonico e immediatamente mi sono stati forniti i prezzi da loro praticati nella città di New York. La sua offerta più semplice chiamata Small Office potrebbe già essere più che sufficiente per le nostre esigenze: 1 indirizzo IP; velocità di download fino a 6.0 Mbps; velocità di Upload fino 768 kbps; 5 accounts email. Ma per maggior sicurezza scegliamo il pacchetto Business Class DSL 1 http://www.corp.att.com/emea_it/

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che prevede: fino a 29 indirizzi IP; fino a 10 account e-mail; velocità di download fino a 6,0 Mbps; velocità di upload fino a 768 kbps; IDSL / SDSL fino a 1,5 Mbps. Il tutto al costo di 475,20 dollari al mese, con l’attivazione compresa nel prezzo, pari a circa trecentoquaranta euro. Si tratta quindi di spendere cento euro in più rispetto a quanto ci è stato chiesto in Italia da Fatsweb. 7.4 L’analisi dei costi Ho cercato di fare una prima analisi dei costi necessari per realizzare questo evento e l’ho divisa in più voci. La prima naturalmente riguarda le attrezzature delle quali seguono prezzi indicativi che ho raccolto da vari preventivi richiesti: • n. 3/4 computer dai 600 ai 1200 euro cadauno. • maxi schermo 500 euro. • proiettore dai 1500 ai 2000 euro. • impianto sonoro tipo home theatre senza pretendere troppo almeno 600 euro. • web cam con radio microfono e cuffie wireless 300 euro, con l’eventuale ricevitore a due vie avremo una maggiorazione di 200 euro • microfono per il dialogo del pubblico con l’avatar 150 euro Calcoliamo dunque un totale indicativo di 6000 euro per la sede italiana, mentre per quella americana grazie al cambio favorevole ed al minor costo delle apparecchiature elettroniche si risparmia all’incirca un buon 10, 15 percento. Mi sono inoltre fatto inviare alcuni preventivi da ditte specializzate in questi tipi di service. Il noleggio, installazione ed assistenza comprese nel prezzo, varia dai 2500 ai 3000 euro per la durata di un mese. A New York alcune di queste spese potrebbero abbattersi sia nella sede del 3rd Ward, già dotato di gran parte di queste attrezzature professionali per gli artisti che ogni giorno usano i loro laboratori, sia per gli spazi dell’IIC che mi ha comunicato di avere in dotazione: Videoproiettore SONY XGA vlp21; Lettore CD/DVD SONY DVP-NS585P Progressive Scan PAL/NTSC; Videoregistratore VHS Toshiba 6 Head; Amplificatore Yamaha RX V450

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RDS; Sistema di amplificazione JBL con 4 diffusori satelliti sinistro, destro e surround, un diffusore per il canale centrale, un subwoofer attivo; Collegamento satellitare con 174 canali italiani e stranieri; Collegamento Internet (banda larga) la cui velocità sarà eventualmente da verificare; Schermo metri 4,70 x 2,00; Palco metri 4,90 x 2,00x 0,20. A questi costi va poi aggiunto il contratto per la linea a banda larga che abbiamo detto sarà di circa 240 euro in Italia e 340 negli Stati Uniti. Una seconda voce riguarda il costo dell’assicurazione delle opere sia in fase espositiva che degli eventuali trasporti dai laboratori degli artisti fino alle sedi della mostra. La cifra varia, a seconda del valore dei lavori, dai 300 ai 500 euro per una durata di un mese. Inoltre una buona fetta della torta degli investimenti andrà dedicata alla pubblicità e alla comunicazione. Fortunatamente oggi grazie alla rete si riesce a divulgare il proprio comunicato stampa velocemente ai tantissimi siti di settore, blog, newsletter e socialnetwork, ma anche ai canali tradizionali quali quotidiani, riviste e televisioni. Però anche nel corso dell’organizzazione della mostra dello scorso anno “Viareggio Art Project” non ho potuto rinunciare a realizzare un numero minimo di manifesti, depliant ed inviti per una spesa complessiva di circa 1500 euro. Per lo sfondo grafico che dovrà fare da cornice ai maxi schermo si parla di circa 300 euro a banner in materiale pvc. Considerando che più o meno gli stessi costi si avranno anche a New York “Una mostra in tre mondi” avrà bisogno di un budget di almeno 15.000 euro senza ipotizzare l’evenienza di almeno un “piacevole” viaggio a New York. In ogni caso è mia abitudine, nata dall’esperienza di organizzazione di eventi per un nota multinazionale di alcolici per la quale ho lavorato dieci anni, maggiorare il preventivo dei costi sempre di un venti percento in più per quegli imprevisti che spesso e volentieri si presentano in fase di esecuzione del progetto. Concludendo penso che la cifra finale necessaria sia di complessivi 18.000 (diciottomila) euro. E qui allora parte l’ardua caccia alle sponsorizzazioni. Per quanto riguarda

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il Comune di Viareggio, da parte dell’amministrazione ho già avuto la concessione gratuita dell’utilizzo dei Musei Civici Villa Paolina Bonaparte ed un ottimo supporto tecnico e logistico dell’ufficio cultura che anche lo scorso anno ha contribuito con il proprio ufficio stampa a far uscire articoli sulla “Vap” sia su quotidiani locali che nazionali. Una cosa molto importante per la nostra organizzazione in quanto altrimenti dover pagare un ufficio stampa esterno per una ventina di giorni aumenterebbe le nostre spese di almeno tremila euro. Anche a New York fortunatamente sia il 3rd Ward che l’Istituto Italiano di Cultura offrirebbero lo stesso supporto. Per ottenere qualche fondo invece la speranza, oltre che di suscitare l’interesse da parte di alcune aziende private, è quella di farsi accettare la domanda di contributo da parte di una fondazione di un istituto bancario. Nella mia zona, ad esempio, la Cassa di Riparmio di Lucca, la Banca del Monte di Lucca ed il Gruppo Monte dei Paschi di Siena ogni anno destinano importanti risorse alle manifestazioni culturali. Gli amici di New York mi hanno inoltre segnalato una interessante organizzazione no profit che ha già aiutato loro in precedenti manifestazioni: “La Lutta New Media Collective”. Dal 1997 La Lutta1 ha supportato più di tremila gruppi di artisti di tutto il mondo senza scopo di lucro. Fanno parte di questa organizzazione, fondata da Antonino Ambrosino e Kevin Ryan, quaranta membri attivi e più di settantamila simpatizzanti che hanno contribuito alla realizzazione di moltissimi eventi, documentari e film di grande impegno sociale. Dal 2001 ha proiettato sessanta pellicole di artisti indipendenti ed ogni anno organizza borse di studio per ragazzi dai quattordici ai diciotto anni. Il loro motto è “do it your self” con la speranza di contribuire in tutto il mondo a sviluppare una comunità basata sulla giustizia, la democrazia e la comprensione culturale. Ma tutto questo non è assolutamente facile. Per sopravvivere infatti La Lutta ha bisogno di raccogliere almeno cinquantamila dollari l’anno. 1 http://www.lalutta.org/

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Conclusioni Ho iniziato a pensare a “Una mostra in tre mondi” circa un anno fa assieme al mio relatore Professor Domenico Quaranta, grazie al quale sono riuscito a stabilire dei contatti molto importanti come quelli con Martin Butler e Roxelo Babenco che con mia enorme soddisfazione si sono offerti disponibili a collaborare alla realizzazione del progetto. Ad oggi ho fatto diversi passi in avanti rispetto a quello che inizialmente poteva sembrare soltanto un argomento di tesi. Le ultime novità mi fanno ben sperare di poter riuscire a realizzare questo evento entro la fine del 2010: a Viareggio l’Assessorato alla Cultura mi ha confermato la disponibilità delle sale dei Musei Civici Villa Paolina Bonaparte per il mese di maggio oppure di settembre, mentre dall’Istituto Italiano di Cultura a New York in un’ultima email mi hanno comunicato che fra pochi giorni il nuovo direttore effettuerà il suo insediamento e quindi verrà stabilito se il mio progetto potrà essere già inserito nel calendario di quest’anno. Le mie continue ricerche sia dal punto di vista storico, sia organizzativo che tecnico, sono dunque solo l’inizio e non la conclusione di due anni molto stimolanti trascorsi alla Scuola di Nuove Tecnologie dell’Arte.

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Partire da una semplice ispirazione e passo dopo passo scoprire che grazie alle nuove tecnologie oggi è tutto così facilmente realizzabile mi fa credere o perlomeno sperare che proprio grazie all’arte si possa raggiungere una migliore forma di globalizzazione e di cooperazione fra i popoli. Il messaggio di “Una mostra in tre mondi” è infatti proprio quello di creare una grande unione fra gli artisti ed il pubblico di tutti i continenti, mondo virtuale compreso che ormai fa parte a tutti gli effetti del nostro vivere quotidiano.

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Bibliografia Fabrizio D’Amico “Tracce di un tempo felice” catalogo della Mostra “Anni ‘50” Torino 2003 Germanno Celant, Anna Costantini “Roma – New York 1948 – 1964” Milano 1993 Jacques Rancière “La métamorphose des Muses” Umberto Eco “Opera aperta” 1962 Vittorio Fagone “Nam June Paik e il movimento Fluxus” catalogo mostra “Il 900 di Naim June Paik” Roma 1992 Intervista a Nam June Paik di Antonina Zaru e Marco Maria Gazzano agosto 1992 Catalogo della mostra personale dedicata a Wolf Vostell alla Galerie Davide di Maggio, Berlino maggio 2005 Simonetta Cargioli “Sensi che vedono” Nistri-Lischi 2002 Lev Manovich, Il linguaggio dei nuovi media, Milano, Edizioni Olivares, 2002 Scott Fisher, “Visual Interface Environments”, in Brenda Laurel (a cura di), The Art and Human-Computer Interface Design, Reading (Mass.), Addison-Wesley, 1990 “Arte delle reti” edizioni Ucan luglio 2007 Pier Luigi Capucci “Arte e tecnologie, Comunicazione estetica e tecnoscienze” Marco Deseriis e Giuseppe Marano “Net.Art, l’arte della connessione” Catalogo “I cartelli della Galleria La Tartaruga di Roma 1954-1962” luglio 2009 Andrea Balzola, Anna Monteverdi (a cura di) “Le arti multimediali digitali” Garzanti 2004 Maurizio Bolognini “Postdigitale, conversazioni sull’arte e le nuove tecnologie” Carocci 2008 J. Preece, Y. Rogers, H. Sharp “Interaction Design” Apogeo 2004 Domenico Scudero “Manuale pratico del curator” Gangemi 2006

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Webliografia http://www.paikstudios.com/ http://www.museovostell.org/ http://www.ponton-lab.de/ http://www.decoder.it/ http://www.toshare.it/ita/world-news/wikiartpedia-ad-ars-electronica-intervista-atommaso-tozzi http://www.ekac.org/perrait.html http://www.louvre.fr http://www.virtualmuseumiraq.cnr.it/prehome.htm http://www.uffizi.firenze.it/ http://www.christusrex.org/ http://www.giovani.it/cellulare/news/magitti_software_smartphone.php http://www.smartmuseum.eu./ http://www.guggenheim-venice.it/default.html http://www.qrmob.mobi/ http://www.i-nigma.com/i-nigmahp.html http://www.secondlifeitalia.com/ http://www.imal.org/TheGate/ http://www.gazirababeli.com http://0100101110101101.org/index.html http://slfront.blogspot.com/ http://girlfriend.mediamatic.net/ http://www.liminalinstitute.nl http://www.andreafagarazzi.com/index.htm http://www.myspace.com/ichenz http://www.youtube.com/u2 http://angelicabergaminiartworks.blogspot.com/ http://www.chrisklapper.com/Home___.html http://www.theoreticalbacon.com/ http://www.3rdward.com/ http://www.iicnewyork.esteri.it/IIC_NewYork/ http://www.opensimulator.org. http://www.cyberlandia.net http://museometaverso.blogspot.com/ http://www.veodia.com/ http://www.lubec.it/ http://www.2lifecast.com/ http://it.wikipedia.org

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http://www.skype.com/intl/it/welcomeback/ http://www.oovoo.com/ http://www.fastweb.it/portale/ http://www.corp.att.com/emea_it/ http://www.lalutta.org/ http://www.digicult.it/

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