La marcia rossa che rompe il silenzio

Page 1

Primo piano Attualità

La marcia rossa che rompe il silenzio Scarpe in strada, simbolo della lotta alla violenza di genere. Storie di inferni quotidiani e di coraggio: le donne che hanno denunciato

Nella vignetta le scarpe rosse simbolo della lotta al femminicidio (lucia baldassarri, 2015)

6 | 30 novembre 2015

I

L 25 novembre 1960 le tre sorelle Mirabal, attiviste per i diritti femminili, venivano assassinate in Repubblica Dominicana dopo una lunga lotta contro la tirannia di Rafael Leònidas Trujillo. Nello stesso giorno, ogni anno dal 1999, le città di tutto il mondo si colorano di rosso, il colore delle scarpe che invadono piazze e strade, come simbolo della lotta agli abusi di genere in occasione della giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Per 24 ore il problema è all’attenzione di tutti, poi per lunghi mesi leggeremo cronache di femminicidi: quando ormai sarà troppo tardi per fare qualcosa, anche solo per parlarne. Controllate e pedinate: lo stalking Sara (nome di fantasia) è esasperata e impaurita. Per lei l’inferno è l’ufficio, da quando uno dei soci dell’azienda per cui lavora la corteggia in modo insistente. Continui complimenti, bigliettini, fiori sulla scrivania. Bei gesti, ma se non sono graditi e diventano sempre più frequenti “suonano come una minaccia”. Più Sara si tira indietro, più ottiene l’effetto contrario: l’orgoglio ferito del suo corteggiatore respinto si trasforma in ossessione e i fiori prendono la forma di bambole nude lasciate sulla scrivania in posizioni oscene, insieme a frasi sempre più offensive. L’avvertimento, non troppo velato, è quello di uno stupro. È in quel momento che Sara si rivolge allo sportello anti-stalking Adoc-Uil dell’Umbria, dove i volontari la spronano a trovare il coraggio per passare al “contrattacco”. Gli psicologi la aiutano a recuperare fiducia in se stessa, mentre gli avvocati la seguono nello sporgere denuncia. Un percorso che dà i suoi frutti: l’uomo la smette, Sara chiede il trasferimento ad un altro ufficio e la sua vita si avvia a tornare alla normalità. Da gennaio allo sportello Adoc, l’unico in tutta l’Umbria, sono arrivate 103 chiamate, quasi tutte da parte di donne. Un dato in aumento rispetto alle 92 del 2014 e alle 81 del 2013, come spiega il presidente dell’associazione Angelo Garofalo. Ma non tutte riescono a uscire da quel tunnel di abusi psicologici costruito da uomini malati di possesso. Di Martina (altro nome di fantasia) i volontari dell’Adoc hanno del tutto perso le tracce. Lei, casalinga, era sposata a un uomo-padrone che non la lasciava uscire da sola. Logorata dai controlli continui del marito, dalle telefonate ad ogni ora del giorno, Martina decide di incontrare gli operatori in un bar, per


Primo Attualità piano non dare nell’occhio. «Aveva sempre paura di essere vista», racconta Garofalo. Lo psicologo cerca di convincerla della necessità di andarsene di casa, ma dopo solo qualche seduta lei sparisce e si nega al telefono. «Siamo molto preoccupati – dice il presidente dell’Adoc– il marito ha il porto d’armi». Il problema è che spesso le donne chiedono aiuto troppo tardi, quando sono già depresse e in pericolo: «bisogna puntare sulla prevenzione». Il sesso come ricatto Non portava il velo quando abitava in Marocco, Amal (nome fittizio). Nel suo piccolo villaggio alle porte del deserto era più libera di quanto sarebbe stata in Italia. Promessa sposa ad un uomo molto più grande di lei, costretta a trasferirsi in Umbria, o meglio in pochi metri quadri di una casa che diventerà una prigione. Serrande abbassate tutto il giorno e nemmeno un soldo in tasca. In quel buio è costretta dal marito a rapporti sessuali continui, più volte al giorno, anche nelle pause in cui lui torna dal lavoro apposta per tormentarla. Ad un primo rifiuto, uno schiaffo. Poi un calcio: quello è il suo dovere di moglie le fa credere lui - e lei non vede la fine, soffoca il dolore, prova a convincersi che sia giusto così. Sono i due figli che ha avuto da quell’uomo violento a darle una via d’uscita. Prima di andare a prendere i bambini a scuola chiama il centro antiviolenza di Perugia Ponte Pattoli: “Venitemi a prendere”, dice solo questo. «L’abbiamo raggiunta dai carabinieri, dove ha denunciato: fin da subito si è resa conto di aver fatto la cosa giusta» ricorda Sara

Dalla porta d’ingresso del luogo dove Pasquino, responsabile del centro. E aggiunge: «Solo l’1% delle violenze ses- avvengono i colloqui con gli psicologi suali è agito da sconosciuti, nella mag- passano uomini di ogni età, operai, progior parte dei casi è una forma di ricatto fessionisti, studenti. «L’iniziativa deve partire da loro con da parte del familiare violento». Ancora convinto che la moglie fosse una telefonata. La molla scatta perché hanno paura di perdere “qualcosa” di sua «Da donne a donne, lei o di finire in galera, proprietà, lui non quasi mai perché si rensi sarebbe fermanoi della Polizia dono conto della gravità to: «Si è presenpiangiamo assieme dei loro gesti» spiega tato anche sotto il Lucia Magionami, psipalazzo dove aba loro ascoltando coterapeuta dell’assobiamo gli appartale loro storie» ciazione. menti protetti, pur sapendo che queL’azione della Questura sto è un luogo sorvegliato» continua PaL’ispettrice Francesca Gosti cura l’ufsquino. Ma Amal non è tornata indietro, ficio famiglia della Questura di Perugia anzi è andata con i suoi bambini a prene, dall’inizio del 2015, ha dato avvio a dersi la sua libertà in una grande città. 30 procedure di ammonimento dopo Con un lavoro, l’aiuto dei servizi sociali e aver ascoltato altrettante storie di perquella forza di “dare la vita” che solo una secuzione: «Più che la pistola, le mie donna sa tirare fuori. armi sono una bottiglia d’acqua e un Un numero impressionante di donne pacco di fazzoletti: le persone vengono sono passate da Ponte Pattoli: da quanqui per sfogarsi e noi entriamo in empado il centro è stato fondato, un anno e tia con loro». mezzo fa, sono 470. E contro tutti gli Da quando è passata legge n.11 del stereotipi sono in maggioranza italiane 2009 (art.8), questo strumento ha pere istruite: «Chi arriva qui ha già gli strumesso di far emergere situazioni che menti per reagire. Ma il sommerso è tanrimanevano nascoste, perché è un protissimo», conclude la responsabile. cedimento amministrativo – non penale – e che ha efficacia immediata. L’uomo che maltratta L’ammonimento, nel caso di atti perNé in preda a raptus, né malati, né istigati o fuori controllo, gli uomini che mal- secutori, funziona: al 90% degli stalker trattano sono – per la maggior parte dei è sufficiente per smettere di molestare. casi – persone apparentemente normali. Quando invece si tratta di violenza fisiNon provengono da condizioni basse o ca anche la querela può essere inutile: il disagiate e non sono malati. L’associa- 56% delle donne uccise nel 2013 aveva zione Margot a Perugia prova a oltrepas- già denunciato. sare il muro fra i generi e a parlare con chi nella propria vita ha picchiato, insulElisa Marioni tato, violentato. Maria Teresa Santaguida

30 novembre 2015 | 7


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.