I Siciliani, n.10-11_1983

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dei bisogni, da una farneticant e oniricità, da una crapula vorace e senza legge, e il desiderio sia pure inespresso circola tra le parole e arroventa l'aria. Se I Mimi possono anche essere visti come un monumel1lO elevato alla plebe siciliana nella forma specifica del contadino, c'è però da .considerare che il Lanza di questo contadino non coglie l 'elemento eventualmente bucolico, né l'eventuale laboriosità e tenacia, bensì l'altro della beffa, dello scherzo e dello scherno, il giuoco sottile dell'intelligenza che nelle donne arriva fino {di'acre furbi zia; oppure quegli aspelli di indolenza, di progellualità maniacale e implacabile che poi Brancati avrebbe esaltato nel suo roman zo forse più limpido: Gli anni perduti. Non è il sesso a dominare le cose, bensì qualcosa che è

prima del sesso, che investe animali, uomini, l'aria e la terra; e la faccia nascosta e cupa I 'a ltra faccia, è appunto ques ta indolenza, una sorta di oscuro male di vivere che si esalta nel sogno, o si risol ve e dissolve nella balluta, nel balbellio insensato , o nel dialogare spro vveduto che potrebbe continuare all'infinito e soltanto l'accortezza dello scrittore fa a un trallO cessare. Lanza non dò valutazioni, non esprime alcuna visione del mondo, non fa psicologia; tanto meno ha voglia di illuminare il lato oscuro delle cose. Ci dà l'oscuro e il chiaro, l'ingenuità e la furbi zia, laforma di una laica ed effim era rappresentazione, un giuoco non tanto offerto in termini di contrapposizione dialellica né di antagoniS1l1O, bensì come necessaria con vergenza di opposti. Lanza non vuole mai andare al di là di quanto rappresenra . La profonditò non gli interessa. Gli importa invece la tensione vitale nella sua multiformità, nella variegata screziatura di una condizione che non distingue né bene né male, né virtù né vizio . TUlla la vita comefenomeno, dove non si può distingu ere, né soppesare, né creare gerarchie. Non per nulla una sua pièce teatrale: Fiordispina, era esplicitamente riferita all'Ariosto. La religiosità è vista quasi sempre iconograficamente, nella forma dolorosa del Cristo crocifisso, nelle sacre rappresentazioni paesane che a loro volta diventano tema di un 'altra rappresenta zione, profane e blasfema. È il Cristo ridOllo agli uomini che lo rappresentano, e non quello che essi dovrebbero simboleggiare. La sofferenza diventa smorjìa, il dolore si trasforma in risata. Non c'è oscenità deliberata, ma la zona privilegiata risulta in definitiva quella sessuale. In fondo, non c'è nulla di realistico anche se non c'è nulla che vada al di là della realtà . Il Cristo che ha mangiato la zucca e perciò è costrellO a «parlare con la bocca di dietro », e la gente pensa che si tratta del soffio dell'agonia. Oppure c 'è la rivelazione del fallo, e ancora una volta l'oscenità è coperta dal comico , eppure resta come l 'eco di una sofferenza senza riscauo, per il Cristo che cinto di carta velina, a vedere dall'alto i peui pieni e splendidi delle Marie e delle Maddalene, ha paura che la «carta velina si straccia». Non c'è profanazione, c'è dissacrazione del sacro . Come nell'altro Cristo a cui il fallo trapela, e il soldato gli dà colpi con la lancia, e il Cristo implora: «Cane di un giudeo, non dare bOlle ch 'è peggio ». La visione di Lanza è fortemente sessualizzata . È vero: egli dice che la «fantasia popolaresca» è il suo «cam po », ma vi introduce - o ne accentua - la connotazione

Vittoria

. blasf ema e irriverente, lancinanre e sregolata, a volte bizzarra jìno alla farneticazione, a volte lugubre; una fantasia che rompe gli schemi, straripa, gorgoglia come l'acqua dentro le chiuse. Talvolta le battute, i dialoghi, diventano una sorta di apoteosi dell'assurdo, di una follia farneticante tanto più patetica quanto meno risulta ostentata e consapevolizzata. L'ironia di Lanza, anzichè abolire questa realtà che essa medesima ha creato, vi conferisce maggiore consistenza, semplicemente radicalizzando le situazioni. E i personaggi di Lanza partecipàno di questa vita. Sembrano emergere da un abisso o vivere nel perenne presentimento di esso, si introducono di soppiatto su un palcoscenico per una loro recita fulminea e definitiva. A ppaiono non si sa da dove; scompaiono non si sa com e. Una esistenza labile murata nel nulla. È un mondo disgregato di piccoli ossessi invasi da una vertigine senza nome che si risolve in seriosità spasmodica, in deforme ilarità, in vicende senza storia, una folla senza facce e con tutte le facce possibili, e si capisce perchè Leonardo Sciascia, con la consueta finezza, faccia il nome di Bruegel. È strano . Lanza non parla di morte, o se vi accenna è sempre con riferimento alla vita. Ciò di cui non si parla, di regola, è la cosa più importante. Eforse il segreto dei M imi è ' questo: essere una rappresentazione della m,orte,a partire dalla vita. Lanza può darsi abbia una nostalgia: quella dell'origine . Beninteso, l'origine non è un luogo ideale, nè un Eden perduto . L'origine è soltanto l'energia vitale. Egli la insegue riflessa sul volto furbo delle donne, nelle loro accensioni sessuali e nei loro silenzi, nella oscurità delle abitazioni, nella insensatezza quotidiana. Perciò non si occupa del borghese,. nè del cittadino nei quali l'energia è attutita o comunque mediata; Lanza si rivolge all'uomo della terra, al con tadino che è più vicino alla terra e s ul quale incombe l'oscurità dell'origine e la macerazione dell'esistenza. AI giorno segue la notte; alla luce le tenebre. La vita che Lanza rappresenta è animata da questa scintilla, da una fibrillante irrequietezza, quasi un costante volgersi alle .fonti perenni della vita, ma le pulsazioni vitali si con fondono con il costante senso della morte e del vuoto . Sebastiano Addamo


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