Lussino33

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Amare Lussino e amare la Dalmazia di Oreste Casadio Nel 1938 un piroscafo passeggeri partì dal Porto di Ravenna verso Lussìno per una crociera in Dalmazia e, quindi, per una gita alle Grotte di Postumia in torpedone (come si diceva allora). Sulla nave c’era mio padre Carlo Casadio di Ravenna e, all’ultimo momento, si imbarcò mia madre Corinna, bolognese, prendendo il posto della Signorina Baldisserri di Ravenna che non potè partire perché ammalata. Mio padre e mia madre si conobbero a bordo, si innamorarono, si sposarono nel 1941 e io nacqui nel dicembre del 1943, unico figlio. Mio padre morì nel maggio del 1946 e mia madre pur giovanissima, ha dedicato a me tutta la sua vita senza risposarsi, autenticamente fedele alla memoria del marito e totalmente presa dal suo ruolo di mamma. Mille e mille volte mia madre mi ha raccontato la storia del viaggio e dell’incontro con mio padre: ecco la ragione per cui amo Lussino! Mio padre Carlo era nato il 23 Dicembre del 1899 e fu richiamato, ancora adolescente, per andare a combattere al fronte (la ben nota classe 1899). Alla fine della guerra fu con Gabriele D’Annunzio a Fiume ove rischiò di dover combattere contro gli stessi fratelli italiani. Fortunatamente ciò non accadde e, ritornato in Patria, anni dopo, partì volontario per la guerra in Etiopia. Ritornata la pace, alla fine del secondo conflitto mondiale, come ho detto, morì, improvvisamente all’età di 46 anni, a Roma, ove si recava spesso quale rappresentante della ditta Callegari & Ghigi di Ravenna per la vendita di attrezzature militari e indumenti all’Esercito Italiano. La partecipazione all’impresa di Fiume di mio padre e l’italianità dell’Istria e della Dalmazia: ecco la ragione per cui amo la costa dalmata e le sue splendide isole. Nell’estate del 1970, con la mia futura moglie, visitai, in auto, l’Istria e la Dalmazia e ne rimasi incantato. Quella meravigliosa costa, quelle isole, soprattutto quel mare così limpido, bianco, celeste, poi azzurro al largo, furono irresistibili: lasciata l’auto sulla strada nazionale (la Magistrala) scesi all’acqua e corsi entusiasta a piedi nudi, incurante dei ricci, per il mio primo bagno in Dalmazia. Mi sono rimasti nel cuore la limpidezza dell’acqua (ora lo è meno) e con i colori così diversi dai nostri, verdi e grigi, sulla sponda occidentale del medesimo Amarissimo (come D’Annunzio chiamava l’Adriatico). E le case, i palazzi e le chiese così “veneziane?” Commozione e profonda tristezza per tutto quel patrimonio di cultura così inconfondibilmente e inconfutabilmente italico in mani così culturalmente distanti e talvolta così ostili.

Mi ripromisi di tornare e, in effetti tornammo nell’estate del 1978, con la barca a vela (Classis 8,50) appena varata. Io neo “patentato”, ero alla prima veleggiata: la traversata dell’Adriatico da Ravenna a Pola. Unico strumento di bordo la bussola. E avemmo l’incoscienza di portare con noi nostro figlio Carlo di appena tre anni. Disgraziatamente ci trovammo, ancora in mare aperto, più a Nord rispetto al punto stimato. “Fummo avvicinati” da una motovedetta iugoslava che ci puntò in velocità, virando poco prima dello speronamento, e i marinai di bordo, col mitra imbracciato: “Aide, aide …” e dovemmo, accostare a Sud in fretta e furia, come minacciosamente intimatoci. La ragione di tanta aggressività? Ad alcune miglia da noi c’era il Maresciallo Tito all’isola di Brioni. Non esito ad affermare, e non me ne vergogno, che l’episodio ha corroborato il sentimento di antipatia verso Tito e verso gli iugoslavi. Negli anni successivi ho fatto altre traversate (trentasei tra andata e ritorno) raggiungendo preferibilmente la “mia” Lussin ma anche Bosavia, Zara, Porto Zaccan, Sebenico … Ho visto il deterioramento paesaggistico della Dalmazia, invasa da alberghi di regime prima, da casette vacanze costruite selvaggiamente in ogni dove poi, anche sulle isole più piccole, quasi sugli scogli: peccato e pazienza! Ho subìto le angherie della Milicja che, a metà degli anni 80’, a Zuri, ci sequestrò passaporti, libretto di navigazione, radio e VHF perché riscontrò che sull’Odobrenye la Capitaneria di Porto di Lussino non aveva indicato la presenza a bordo delle radio. Dovemmo restare fermi a Zuri per quattro giorni per poi essere autorizzati a ormeggiare a Sebenico ove subii un processo con conseguente condanna penale, e pesante multa da pagare all’istante per poter partire e tornare in Italia. Non mi sono stupito quando è scoppiata la guerra tra serbi, croati e bosniaci. L’odio tra le tre etnie era evidente e palpabile e, nei miei diari di bordo, fin dalle prime traversate, avevo annotato che l’odio sarebbe sfociato nel sangue (profezia fin troppo facile). Chiamai la mia vecchia barca: Traù *Italia* come la meravigliosa cittadina dalmata che tanto mi piacque: la Traghirion per i greci, la Tragurium per i romani, la Traù per gli italiani e Trogir per gli slavi. E la mia nuova barca? Si chiama Lussin 1938 *Italia* in ricordo della crociera e dell’anno in cui mio padre e mia madre si conobbero ed al quale incontro io debbo la vita. E non dico quante complicazioni mi abbia creato quella scritta “*Italia*” tra due stelle, in bel risalto, sulla poppa!


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