Lussino32

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Quadrimestre 32 - pagina 55

Fuggire da Valdarche nel 1956 di Tullio Francovich

Non lo potevamo immaginare. Era l’autunno del 1937 e ci divertivamo a giocare con delle barchette a vela, brodici. Ci trovavamo in Valdarche Piccola, ospiti in varie occasioni nella casetta di Eugenio Martinoli. Io sono il primo in basso a sinistra; al mio fianco Nevio Vidulich e mio fratello Osvaldo; alle mie spalle, da sinistra, Giuseppe Favrini ed Eugenio Martinoli; a destra Ugo Gaio. In questo stesso luogo, e da quelle stesse grotte, alle 14 del 2 agosto 1956, senza sapere se avrei più rivisto genitori, parenti, amici, e affetti, assieme a due amici salpai per l’Italia su una passera di tre metri. La barca con cui abbiamo lasciato Lussino era di proprietà di un amico di Cherso. Era sprovvista di motore, cosa che risolvemmo in seguito, aggiustandone uno da soli, all’insaputa di tutti, ma con non pochi problemi. Lavorando in un’officina, ho avuto l’occasione di trovare un motore di circa 3HP, ma da ricondizionare

totalmente: asse, elica, stella morta, ecc., con tutte le modifiche del caso per adattarlo alla nostra barca, cosa non facile, perché, lavorando in un’officina con a capo mio zio e con due colleghi di lavoro, non volevo compromettere la nostra impresa, né mettere a rischio alcuno. In seguito, con l’aiuto di un carpentiere di fiducia, sono riuscito a forare la poppa per alloggiare la stella morta; quest’ultimo, vedendo che tutte le parti, asse, stella morta, elica, erano in ferro e verniciate di porporina, sicuramente aveva capito le nostre intenzioni, ma non ci ha traditi. Dopo varie prove in mare e modifiche all’elica per dare il giusto passo e dimensione alle pale, la barca era pronta per la partenza. Ci siamo nascosti in una piccola insenatura dell’isola di Oriule, aspettando l’imbrunire, poi, per non farci sentire, abbiamo remato fino a giungere tra l’isola di S. Pietro e la Gruizza e ad avvistare il faro di Sansego, per poi prendere il largo verso l’Italia, accendendo il motore e issando le vele, sfruttando un buon maestrale. Arrivati in prossimità di Fano abbiamo dovuto ammainare la vela e spegnere il motore per poter proseguire a remi a causa di un fortissimo neverin, finché finalmente un peschereccio ci ha raccolti a bordo, rifocillati e, probabilmente, salvato la vita. Da qui è cominciata la mia nuova vita, prima in campo profughi, poi come navigante apolide, fino a ottenere la cittadinanza italiana. Sono andato a rivedere con la mia famiglia nel 2006, dopo cinquant’anni dalla mia avventura, il luogo del nostro approdo. Ci vorrebbe un romanzo, per raccontare le storie di noi esuli dalle nostre amate terre.

Valle Scura - foto di Corrado Ballarin


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