Lussino31

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Sansego, 50 anni dopo di Giovanna Stuparich Criscione

Qualche Lussignano ai tempi miei, anni ’30-’40, pro­nunciava ‘Sansigo’ invece di Sansego. Scrissi un articolo per la “Voce Giuliana” nel 1934: “Un’avventura a Sansego”. Ora, dopo tanti anni, vorrei approfondire la mia conoscenza di quest’isola “misteriosa” del Quarnaro, che è diventata la “delizia dei sub”: ogni anno si fa la gara internazionale di questo sport. Ho pregato mio nipote di leggermi da internet la voce ‘Sansego’. Quante, quante cose ho imparato! Ritornai a Sansego – e a Lussinpiccolo naturalmente – alcuni anni fa. Che differenza dalle isole incantevoli conosciute in gioventù. Tutto è cambiato, tristezza infinita! Nel ’34 gli abitanti dell’isola portavano il tradizionale costume; le donne in particolare avevano gonne cortissime, arricciate come quelle delle ballerine, di colore nero, e calzettoni quasi sempre rossi, come il fazzoletto che mettevano in testa. Uomini e donne avevano un modo di remare differente dal nostro, simile a quello dei veneziani, e noi li prendevamo in giro e li consideravamo diversi da noi. Fra l’altro emanavano odore di pesce, perché l’unica risorsa dell’isola era la Fabbrica di sardine. Dopo il ’34 i Sansegoti incominciarono ad emigrare (America, Australia). Credo però che almeno una volta dopo due o tre anni, essendo ormai “ricchi” tornassero nelle loro case. Le abbiamo trovate linde, dipinte

Sansegotte in abito da lavoro - Foto di Calogero Criscione

con vari colori ma con i cancelli chiusi da catenacci con lucchetti. L’altezza delle case e le finestre dovrebbero essere sempre le stesse. Io e mio marito ci accorgemmo che in una piazzetta c’erano due tavolini (per quattro persone) con tovaglie a quadretti: erano due ristorantini, dove mangiammo ottimo pesce. L’isola ci sembrò deserta. Passeggiando notammo una spiaggetta e ci dirigemmo verso un muretto dal quale si vedeva una mare azzurro meraviglioso; l’odore salmastro ci deliziava: piccole onde un po’ spumeggianti sembravano danzare per darci il ‘Benvenuti nell’isola!’. Ci spostammo: era pomeriggio ormai. Non ricordavo che c’erano parecchi scalini per arrivare al Duomo, che non conoscevo, perché nel ’34 non lo visitammo. Entrammo nella chiesa. Mi accorsi che c’era sul muro di sinistra un enorme crocifisso di legno dipinto. Capii il perché della leggenda. Quella croce è tanto grande che non può essere entrata dalla porticina del Duomo. Come sarà stata collocata lì? La tradizione dice che molti secoli prima la croce fu portata dagli Angeli, protettori dell’isola. Nel frattempo era entrata una vecchietta, vestita di nero, con un fazzoletto sulla testa, ma senza il costume tradizionale. La donna si inginocchiò dietro a me. Ad un certo punto mi toccò leggermente la spalla; (lei non capiva l’italiano, né io il croato). Mi voltai sorridendole; mi indicò con un dito la catenina d’oro che avevo al collo. Mi fece cenno di farle vedere la medaglietta appesa alla catenina; la toccò e con un piccolo sospiro la baciò. Io capii che la donna doveva essere molto povera e sola, non appartenente alle famiglie degli emigrati. Mi fece molta pena e tenerezza. Doveva essere religiosa; mi tolsi la catenina, lasciando appese due medagliette, mentre una la misi nella mia borsetta, e gliela porsi. Mi fece un cenno negativo; non voleva accettarla; allora mi alzai e – voltandomi – le misi la catenina intorno al collo. Rimase come impietrita, si mise a piangere; mi abbracciò. Era tutta rugosa, molto vecchia… Ormai non sarà più viva e chissà chi avrà la mia collanina. Sono felice di aver fatta contenta almeno per un breve periodo quella povera Sansegota. Mio marito, che si era seduto sull’ultimo banco, vicino alla porta, certamente non approvò il mio gesto. Usciti dalla chiesa non ne parlammo. Sarà forse un’illusione, ma salutando col segno della croce il Cristo, mi sembrò che sorridesse.


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