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Lussino

Quadrimestre 26 - pagina 27

Un’avventura in barca Andavamo a Lussingrande ogni anno dalla fine della scuola fino a qualche giorno prima dell’inizio delle lezioni del nuovo anno. Si abitava nella nostra grande casa, sulla strada che porta alla chiesa della Madonna. Spesso andavamo al bagno “Rudy” e là trascorrevano tutte le giornate con gli amici, mattino e pomeriggio, con tutti i tempi: si nuotava, si giocava, si andava in sandolino, o si facevano gite in barca a vela. Una di queste gite è rimasta particolarmente famosa. Eravamo su un cutter a vela, e naturalmente senza motore, di circa cinque metri, molto leggero e poco robusto, e molto criticato dai vecchi lussignani che lo classificavano “scorza de nosa”, invitati da Riccardo Toman ed Edi Baricchi, due ragazzi di vent’anni.L’equipaggio era composto anche da Livia Leva e mia sorella Myriam che avevano circa Lussingrande, Rovensca diciotto anni, da me Foto di Maura Suttora e da Mario, fratello del Baricchi, di circa dieci anni. Andammo a vela in Oruda, l’isola dei fichi. Era il 14 agosto del 1931 o 32, periodo dell’Assunta, quando a Lussino, dopo le grandi calure estive spesso si scatenano furiosi temporali. Arrivati sull’isola, ci siamo precipitati sugli alberi di fichi a riempirci la pancia di deliziosi frutti, quando il capo barca Baricchi ci chiamò dicendo che stava per avvicinarsi un temporale e che bisognava subito far ritorno a Lussingrande. Partimmo. Alzammo le vele, ma poco dopo venne un forte colpo di vento da libeccio. Gli adulti decisero di calare subito la vela e con il solo fiocco dirigersi verso il porto di Punta Croce, pensando di passarvi la notte, telegrafando prima a Lussingrande. Venne la pioggia e il vento era molto calato, perciò l’andatura era molto lenta e quando fummo vicini al

di Arrigo Budini

porto di Punta Croce era già buio. Inoltre, avendo un po’ deviato la rotta, forse a causa delle correnti, il fanale che indica il porto era rimasto coperto da una propaggine della costa: nel buio non si sapeva se si era a levante o a ponente dell’ingresso del porto. Si cominciò a sentire le onde che frangevano sulla costa. Buttammo l’ancora, sperando nella sua tenuta, e passammo così tutta la notte rannicchiati in cinque sotto la piccola tuga, mentre uno era sempre fuori di guardia, con piogge scroscianti e le nostre vite affidate alla tenuta dell’ancora e alla bontà di Eolo. A Lussingrande, quando alla sera non ci videro arrivare, tutto il paese fu in subbuglio. I più temevano che fossimo annegati sui numerosi bassi fondali della zona. Mio padre con altri noleggiò l’unica barca a motore presente nel porto e col buio vennero perlustrate le zone delle secche vicine a Oruda, finché il motorista conduttore della barca si rifiutò di proseguire per il timore di finire su qualche scoglio. Con le prime luci dell’alba, il vento si era molto calmato, issammo le vele e dirigemmo verso Lussingrande. Ci incontrammo con quelli che nel frattempo avevano ripreso la nostra ricerca; ricordo ancora le prime parole gridate da lontano da mio padre: “SE TUTI?” A Lussingrande fummo festeggiati come se fossimo scampati a un naufragio. Le campane della chiesa della Madonna suonarono a tutto spiano con il loro caratteristico “TICO-TICON-TICON-TICON….” per festeggiare l’Assunta… e un po’ anche noi per lo scampato pericolo…… Ma le male lingue non perdonarono le due ragazze che avevano passato una notte in barca con due giovanotti. Neanche la presenza dei due fratellini e il pericolo corso erano bastati a salvarle!


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