Lussino 62

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Quadrimestre 62 - Aprile 2020 - pagina 27

Gianni Nicolich, l’ultimo sguardo alla mia Lussino La fuga di Gianni Nicolich senza più il papà Federica Haglich “Era una mattina di fine ottobre del 1950, il cielo era sereno e si intravvedeva il sorgere del sole dietro la chiesa”. Con queste parole il mio caro amico Gianni Nicolich ha cominciato a raccontare il suo esodo da Lussino. Era molto piccolo e mai potrà dimenticare quel lungo sguardo dato alla sua amata isola per imprimere nel cuore le ultime immagini, per non dimenticarle mai. Si accingeva a lasciare la sua isola che forse non avrebbe più rivisto. Quanti ricordi belli, ma anche quante angosce vissute, paure e solitudini di una vita non facile. Alcuni anni prima aveva perso suo padre, il riferimento più importante per lui, la guida indispensabile per trarre forza e serenità nella vita. In viaggio per Zabodaschi

Abitazione di fronte al molo

Con voce ancora emozionata Gianni racconta gli ultimi giorni di vita di suo padre Giuseppe imbarcato sul piroscafo Saturnia. Arrivato a Trieste il 7 settembre, ottenne un permesso di due giomi per andare a Lussino a trovare la sua famiglia: la moglie Meri e i suoi cari figli Sergio e Gianni. Ma durante la notte tra il 7 e 1’8 settembre 1943 fu firmato l’armistizio e la nave in cui lavorava lasciò il porto di Trieste per non essere sequestrata dai tedeschi. La nave che lo doveva portare il giorno dopo nell’isola di Lussino, abbandonò il porto per non essere affondata e si diresse in acque più sicure. Lui non perse le speranze e spinto dalla forza dell’a-

more raggiunse la sua famiglia dopo un lungo e difficile viaggio. La situazione era drammatica: aveva perso il lavoro e i suoi cari avevano bisogno di lui, e lui non poté far altro che restare a Lussino. Purtroppo durante il primo bombardamento dell’isola avvenuto verso le 23 del 10 giugno 1944, dopo aver vestito i bambini ed essere uscito in strada davanti al molo grande, per portarli in salvo, veniva risucchiato dall’esplosione delle 4 bombe cadute sul molo e scaraventato per terra. Le sue ferite erano molto gravi, mentre il figlio Sergio riportava 2 o 3 ferite al braccio dovute alle schegge. La gente scappava, non c’era nessuno in grado di trasportarli in ospedale. E quando finalmente ci arrivarono, le condizioni del padre erano talmente gravi che i medici dovettero amputargli la gamba all’altezza del ginocchio. Aveva urgente bisogno di trasfusioni di sangue e il giorno dopo insieme ad altri due feriti venne trasportato in idrovolante a Trieste. Un triste destino lo aspettava: morirà in volo, da solo senza la sua famiglia ..... e qui Gianni si ferma nel racconto con gli occhi lucidi. Poi prosegue, lentamente. Iniziano i giorni bui, manca una figura in casa capace di proteggere la loro famiglia e di pensare al suo sostentamento. Gli anni passa-


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