Luce serafica 2 2016 web

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Numero 2/2016 - Trimestrale - Poste Italiane S.p.a. - Spedizione in abbonamento postale - D.L.353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 2 - CNS/CBPA/sud/BENEVENTO/109/2007

Rivista francescana fondata a Ravello nel 1925

Luceerafica S

Lesbo d’Europa

Speciale Le opere di Misericordia

L’amore nella famiglia

Sguardi sul mondo



‘ Editoriale

“Con la mente e con il cuore, con speranza e senza vane nostalgie, come un figlio che ritrova nella madre Europa le sue radici di vita e di fede, sogno un nuovo umanesimo europeo, ‘ un costante cammino di umanizzazione’, cui servono ‘memoria, coraggio, sana e umana utopia’ ”. Papa Francesco Conferimento Premio Carlo Magno 6 maggio 2016

Gianfranco Grieco

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ostruire ponti non muri: è questo il compito dei profeti del nostro tempo chiamati dalla storia ad essere costruttori della nuova Europa. Invece, ci si trova, ogni giorno, a combattere idee e proposte che non hanno nulla a che fare con l’idea di unione, di collaborazione, di condivisione, di unità. Dalla caduta del muro di Berlino – 9 novembre ‘89 ad oggi - invece di eliminare non solo a parole, ma con fatti concreti barriere e steccati, i popoli e nazioni, pensano al alzare altri muri, altri steccati dimenticando quanto l’Occidente europeo, ha fatto per il popoli dell’est nella stagione della guerra fredda. Muri in Ungheria, muri in Polonia, muri al Brennero, muri nei Balcani, per non parlare del muro della vergogna tra Stati Uniti e Messico che blocca e controlla il via vai di gente che di notte cerca la strada per la fuga verso un mondo migliore. Grazie a Dio, cadono anche altri muri come UsaCuba, Vaticano - Cina. Muri che cadano quindi, ma anche ponti che legano. Prima a Lampedusa e poi a Lesbo papa Francesco ha indicato con gesti concreti quanto devono fare i capi degli stati e delle nazioni per dare un futuro a quanti fuggono dai paesi in guerra e a quanti scelgono la via pericolosa del mare per raggiungere lidi dove regnano libertà e progresso. Già nel discorso al Parlamento europeo e al Consiglio d’Europa – 25 novembre 2014papa Bergoglio aveva delineato il volto di una Europa nuova capace di aprire il cuore e spalancare le braccia per dare asilo a quanti vivono in situazioni di povertà e di bisogno. Per questo venerdì 6 maggio alcuni leader europei hanno pensato bene a consegnargli il prestigioso premio Carlo Magno “per il suo impegno a costruire un’Europa di pace, fondata su valori comuni e aperta ad altri popoli e continenti”. Papa Francesco, come sappiamo, non ama i premi ed è molto lontano dalla mentalità “onorifica” dei nostri governanti eternamente presenti nel ritirare onorificenze e riscuotere applausi. A papa Fran-

cesco gli stanno a cuore gli ultimi, i poveri, i migranti, i rifugiati, i carcerati, i deportati , quanti non hanno voce e sono schiavi della cultura dello scarto. La sua testimonianza valga a far comprendere soprattutto ai reggitori dei popoli e delle nazioni quanto sia oggi necessario, nell’ora della globalizzazione, costruire sempre più ponti e non alzare muri come in passato. La storia civile e politica del novecento europeo è già piena di fallimenti al riguardo. Ritornare sulla strada che porta alla divisione, alla comprensione e alla babele è, a dir poco, temerario. Riprendiamo in mano la nostra storia europea e cristiana. Le nostre radici parlano di cultura, di arte, di letteratura, di scienza, di progresso e di avanguardia, e non possono essere inquinate. Accoglienza, dialogo, partecipazione, condivisione sì , ma anche discernimento e chiarezza nei programmi e nelle possibilità oggettive di solidarietà. Sognare una nuova Europa è possibile, solo se apriamo intelligenza e cuore alla diversità dei carismi che i popoli europei da sempre posseggono e con orgoglio tramandano di generazione in generazione. Sognare una nuova Europa, non solo dal punto di vista economico, ma anche socio - politico e solidale, aperta al rispetto delle diversità delle culture è possibile, solo rinunciando agli interessi di parte per condividere sempre e dovunque il bene comune. La fatica che oggi devono fare i capi dei paesi dell’Unione è proprio questa: legare e non sciogliere, costruire e non abbattere, allargare gli spazi della solidarietà e non restringere o compromettere iniziative culturali, sociali e religiose che guardano e programmano il futuro. Non possiamo perdere occasioni che aprono i cuori alla solidarietà senza steccati. Papa Francesco questo chiede soprattutto ai capi del popoli europei. Non vuole premi, ma opere di bene per tutti i poveri e gli ultimi del mondo.


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SOMMARIO

Luce Serafica 2/2016

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EDITORIALE Ci scrivono...

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ANNO SANTO DELLA MISERICORDIA Tre anni con Papa Francesco P. Lombardi: Leader morale del Pianeta Dalla cattedra alla strada Il Vangelo della Misericordia Impresa e Giubileo Misericordia e perdono Invito ai vertici della Curia Romana Biblioteca Vaticana Imparare al di là dei confini della Chiesa Misericordia è la parola d’ordine Francesco: Il peccato toglie la gioia... I confessori non siano di ostacolo... Intervista a p. Rocco Rizzo Kasper: Evangelizza la Chiesa Lasciatevi riconcialire con Dio

40 SPECIALE OPERE DI MISERICORDIA 54 ESORTAZIONE APOSTOLICA AMORIS LAETITIA

64 SGUARDI SUL MONDO

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A Lesbo per svegliare il mondo La preghiera dei migranti La goia delle famiglie siriane America: Guadalupe baricentro spirituale dell’America Messico: Non costruire muri, ma ponti Il narcotraffico minaccia la convivenza Canada: Promuvere cure palliative Asia: I mille volti dell’India Yemen: Uccise 4 suore di Madre Teresa Corea: Un appelllo di pace Africa: 60 milioni di persone a rischio fame In Sud Sudan l’Impegno di medici Italia: Campania: Renzi a Napoli Basilicata: Riapre la Cattedrale di Matera Reportage: Vie Francigene

89 SPECIALE PADRE QUIRICO Un “santo” nel cuore del suo popolo

92 LIBRI 93 ARTE 94 5

Paola Crema tutto è re-invenzione sommerse visioni EVENTI


ci scrivono...

La foto dei lettori

Assisi 1 febbraio 2016 Carissimo padre Gianfranco, Non sapevo come raggiungerti per ringraziarti dei "preziosi doni" che mi hai voluto fare. Il più prezioso è stato il libro del Veuthey... Sai la mia vicinanza al p. Lanfranco Serrini e puoi immaginare quante volte abbiamo parlato di questo fratello... fino ad aiutarlo nella traduzione in italiano di alcuni libri in latino... Grazie! La sua crociata di carità ho imparato a sentirla mia attraverso la testimonianza e le parole del p. Lanfranco e leggendo i suoi numerosi scritti... Anche la figura del Mansi mi è entrata subito nel cuore, forse perché ormai da anni (ben 25!!!) ad Assisi ed anche perché la sua vita si conclude con il mio anno di nascita... Ora mi manca di conoscere meglio la figura di Mons. D’Andrea... Grazie di cuore! FRA ALFREDO M. AVALLONE Napoli 20 febbraio 2016 Caro Padre direttore Ho avuto il piacere di visitare la mostra dedicata alla stampa cattolica in Campania promosso dall’Ucsi Campania e dalla diocesi di Napoli. 25 diocesi rappresentate; 67 testate; 300 pubblicazioni, In mostra anche “pezzi” dell’Ottocento. Con comprensibile gioia ho notato anche la presenza della nostra LUCE SERAFICA che dal 1925 irradia sulle nostre Regioni del Sud il suo messaggio francescano. Complimenti ! GENNARO MARIA FAUSTINO

Marie-Claude Joseph

Ravello, domenica 28 febbraio 2016 Carissimo Padre Gianfranco, come raccontavo al telefono oggi abbiamo ricevuto un miracolo dal Beato Bonaventura. Eravamo tutti a pranzo da Emilia e Marco ed avendo i bambini mangiato poco prima di noi erano andati giù nel cortile a giocare. Nella casa sottostante stanno facendo dei lavori di ristrutturazione e hanno montato delle impalcature. Nel frattempo è arrivato anche Stefano e i bambini avendo freddo per via del vento lo hanno seguito e sono saliti in casa. Durante il pranzo abbiamo sentito un rumore fortissimo e ci siamo d'istinto affacciati nel cortile dove abbiamo visto la scena che ti ho inviato con le foto. Stefano poi ci ha detto che salendo per la chiesa di San Francesco si era fermato a per dire una preghiera e ringraziare il Beato Bonaventura per la Sua costante protezione. E grazie a Dio e per Sua intercessione abbiamo avuto il nostro miracolo di vedere salvi i nostri bimbi. Un abbraccio affettuoso GIOVANNA SCHIAVO

COMITATO DI REDAZIONE Orlando Todisco Edoardo Scognamiglio Salvatore Amato Iman Sabbah Emanuela Vinai Assunta Cefola Luigi Buonocore Emiliano Amato Boutros Naaman Mohammad Djafarzadeh Foto di copertina L’Osservatore Romano Hanno collaborato: Gianfranco Grieco, Alessandro Gisotti, Padre Antonio Spadaro, Lucio Caracciolo, Pietro Grasso, Nicola Gori, Padre Raniero Cantalamessa, Emanuela Lulli, Maurizio Calipari, Daniela Notarfonso, Paolo Marchionni, Dario Sacchini, Luciano Eusebi, Carlo Bellieni, Paola Ricci Sindoni, Ivan Maffeis, Alberto Gambino, Chiara Mantovani, Maurizio Faggioni. Emanuela Vinai, Giacomo Samek Lodovici, Simona Corsetti, Maria Teresa Rossi Ferraris, Mons. Gianfranco Girotti, Giuliano Serafini, Elena Gradini

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che più ricorrono nelle omelie mattutine a Casa Santa Marta. Segnali sul bordo di una strada che ha portato a quell’annuncio, traguardo sorprendente ma al tempo stesso quasi atteso, di un anno fa: “Ho deciso di indire un Giubileo straordinario che abbia al suo centro la misericordia di Dio. Sarà un Anno Santo della Misericordia. Lo vogliamo vivere alla luce della parole del Signore: ‘Siate misericordiosi come il Padre’” (13 marzo 2015, Basilica di San Pietro)

dalla CITTÀ DEL VATICANO

ALESSANDRO GISOTTI GIORNALISTA RADIO VATICANA

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re anni con Francesco, tre anni di Pontificato accompagnati dalla Misericordia di Dio. Un amore senza misura che il Papa ha testimoniato in ogni momento: dagli eventi in mondovisione come il discorso all’Onu o l’avvio del Giubileo a quelli intimi, negati agli occhi delle telecamere, come gli incontri con i carcerati e i tossicodipendenti. Nella ricorrenza del terzo anniversario dell’elezione di Jorge Mario Bergoglio alla Cattedra di Pietro, domenica 13 marzo, Alessandro Gisotti ritorna a momenti, discorsi, immagini, di questi ultimi 12 mesi rannodati con il filo della misericordia: “Il nome di Dio è misericordia”, afferma Papa Francesco, ma misericordia – sempre di più – sta diventando anche il nome del suo Pontificato. La misericordia è nel motto episcopale di Bergoglio, alla misericordia ha voluto dedicare il suo primo Angelus da Pontefice, misericordia è tra le parole

Un Giubileo che inizia dalla periferia, la Porta Santa a Bangui Sono convinto – afferma Francesco – che tutta la Chiesa “ha tanto bisogno di ricevere misericordia”. Il Giubileo, dunque, non avrà solo Roma come centro, ma tanti centri quanti sono le comunità ecclesiali nel mondo. Un Giubileo “diffuso”, cattolico nel senso proprio del termine: universale quindi e non solo “romano”. Ecco allora che per sottolineare questa dimensione, Francesco non apre la prima Porta Santa nella Basilica Petrina, ma nella catte7

anno santo della misericordia

Tre anni con Papa Francesco


Vescovi argentini: un grande dono per tutti alle persone tossicodipendenti suoi gesti sono un invito braccio, una parola schietta. e a quanti vivono nelle perifeche ci spinge ad uscire dalla “I rie esistenziali più controverse: comodità, a ridurre le distanze e Il Papa e i poveri a toccare la carne sofferente di Cristo nel suo popolo”. I vescovi argentini si stringono al Papa, al suo terzo anniversario di Pontificato, e lo fanno mettendo in risalto in una dichiarazione comune una delle caratteristiche più note e globalmente apprezzate di Francesco: quella di saper arrivare al cuore della gente con un ab-

“Il Santo Padre – scrivono i presuli argentini – ha la missione di guidare la Chiesa e di presiederci nella carità. Questa missione la compie attraverso i gesti e le parole, non sempre ben interpretati, così comunica i suoi insegnamenti. Ci mobilita la sua vicinanza ai malati, ai poveri, ai carcerati, ai bambini, agli anziani, ai migranti,

drale di Bangui, capitale di uno dei più poveri Paesi della Terra. La periferia diventa il centro: “Bangui diviene la capitale la spirituale del mondo. L’Anno Santo della Misericordia viene in anticipo in questa terra. Tutti noi chiediamo pace, misericordia, riconciliazione, perdono, amore”. (Apertura Porta Santa di Bangui, 29 novembre 2015) Se il Giubileo inizia l’8 dicembre, preceduto appunto dalla tappa africana del 29 novembre, in realtà illumina e orienta già tutti i momenti successivi all’annuncio del 13 marzo scorso.

gli esclusi, gli scartati, i più fragili e i vulnerabili”.

“Chiesa in uscita” e “casa comune” L’attenzione verso ogni forma di povertà – con la quale, si afferma, il Pontefice “ha rinnovato con chiarezza l'opzione preferenziale per i poveri” già evidenziata dai suoi predecessori – l’episcopato dell’Argen-

Dalla diplomazia della misericordia allo storico incontro con Kirill Grazie a Francesco, la misericordia diventa anche il codice inedito di una diplomazia che il Pontefice mette in campo per risolvere conflitti, avviare dinamiche di pace, far incontrare chi da troppo tempo ormai non si stringeva più la mano. Il pensiero va immediatamente a Cuba e Stati Uniti, alla Colombia e al Centro Africa dove, con la sua visita audace, Francesco pianta semi di riconciliazione che frutteranno già nei giorni successivi al ritorno a Roma. Il segno più straordinario della misericordia divina, una vera sorpresa di Dio di questo terzo anno di Pontificato, è però l’incontro con il Patriarca ortodosso Kirill. Incontro tra fratelli in Cristo, come Francesco stesso racconterà con parole emozionate poche ore dopo sull’aereo che da Cuba lo conduce in Messico: “Io mi sono sentito davanti a un fratello e anche lui mi ha detto lo stesso. Due vescovi che parlano della situazione delle loro Chiese e sulla situazione del mondo, delle guerre, dell’ortodossia, del prossimo Sinodo pan ortodosso … Io vi dico, davvero, io sentivo una gioia interiore che era proprio del Signore”. (Conferenza stampa 12 febbraio 2016)

Guardare alle famiglie di oggi con lo sguardo misericordioso di Dio La parola misericordia diventa protagonista nella conversazione comune dei fedeli e approda nelle Reti sociali dove si afferma tra i temi più ricorrenti nella comunicazione digitale. A fare da catalizzatore è naturalmente il magistero del Papa che dalla misericordia prende linfa per restituirla poi in molteplici frutti. Un esempio eloquente, al riguardo, è il discorso che Francesco pronuncia alla chiusura del Sinodo per la Famiglia: “L’esperienza del Sinodo ci ha fatto anche capire meglio che i veri difensori della dottrina non sono quelli che difendono la lettera ma lo spirito; non le idee ma l’uomo; non le formule ma la gratuità dell’amore di Dio e del suo perdono. Ciò non significa in alcun modo diminuire l’importanza delle formule, delle leggi e dei comandamenti divini, ma esaltare la grandezza del vero Dio, che non ci tratta secondo i nostri meriti e nemmeno secondo le nostre opere, ma unicamente secondo la generosità illimitata della sua Misericordia”. (Discorso 24 ottobre 2015, chiusura Sinodo)

No alla guerra, Francesco a difesa dell’uomo e del Creato Sullo spartito della misericordia, colpiscono i diversi registri che Francesco utilizza: tenero e accogliente nell’abbraccio ai più bisognosi, duro e sferzante nel denunciare il male. Impressionanti le parole che riserva ai mercanti di guerra, a chi schiaccia il più debole per il suo interesse: “C’è una 8


parola del Signore: ‘Maledetti!’ Perché Lui ha detto: ‘Benedetti gli operatori di pace!’. Questi che operano la guerra, che fanno le guerre sono maledetti, sono delinquenti”. (Omelia a Santa Marta, 19 novembre 2015) Il terzo anno di Pontificato è anche l’anno della Laudato si’. Un’Enciclica che, inserendosi nel solco della Dottrina Sociale, indica l’urgenza della cura della Casa comune. Ancora una volta, Francesco allarga il compasso del ragionamento e di fronte

per lo sviluppo e la crescita dell'amicizia sociale”. Grazie per il dono di Francesco Le ultime parole dei vescovi argentini sono di gratitudine. “Diamo grazie a Dio per il dono di Papa Francesco ed esortiamo le nostre comunità a pregare per Lui affinché continui il suo servizio alla comunione della Chiesa e come artefice di Pace e Giustizia tra i Popoli. Come argentini attendiamo sempre la sua Visita e chiediamo a Maria, Madre della Misericordia che lo protegga con la sua tenerezza”.

alle interpretazioni anguste che valutano questo documento come meramente “ecologista”, evidenzia che cura dell’ambiente e difesa dell’umanità sono le facce di una stessa medaglia: “Questa nostra casa si sta rovinando e ciò danneggia tutti, specialmente i più poveri. Il mio è dunque un appello alla responsabilità, in base al compito che Dio ha dato all’essere umano nella creazione: coltivare e custodire il giardino in cui lo ha posto”. (Udienza generale, 17 giugno 2015) 9

anno santo della misericordia

Papa di costruire “ponti per il dialogo e la pace tra nazioni in conflitto e di promuovere la cultura dell'incontro”. Inoltre, prosegue il comunicato, “con semplicità e fermezza apostoliche” Francesco ha saputo “rinforzare i vincoli con altre confessioni cristiane incentivando nuovi spazi per il dialogo interreligioso nello spirito del Concilio Vaticano II. Nell'Anno Giubilare invita noi tutti, pastori, a rinnovare la nostra fedeltà all'annuncio del Vangelo, Dialogo e Misericordia Una considerazione dei presuli invita anche tutti a riscoprire le è anche per i viaggi apostolici opere di Misericordia corporali che, notano, hanno permesso al e spirituali che sono il sentiero tina sottolinea anche altri temi al centro della riflessione del Papa, dalla “Chiesa in uscita” alla “cura della casa comune”, con la connessa promozione della “ecologia integrale”. L'enciclica Laudato si' – riferiscono in proposito – “è stata ben accolta anche dal mondo accademico, dai membri delle organizzazioni sociali, dai leader politici ed esponenti di altre confessioni religiose”.


Le critiche al “Papa comunista” “se serve, recito il Credo!” Il Papa chiede di accogliere “con animo aperto questo documento” e tuttavia non mancano – anche in ambienti cattolici – le critiche. C’è chi intravede nel magistero di Francesco un’eccessiva concentrazione sui temi della povertà e dell’emarginazione, chi arriva addirittura a definirlo “Papa comunista”. A costoro Francesco rammenta che l’amore per i poveri è al centro del Vangelo, non è un’invenzione del comunismo. E non rinuncia a usare l’arma disarmante dell’ironia: “La mia dottrina su tutto questo, la Laudato si’ e sull’imperialismo economico, è nell’insegnamento sociale della Chiesa. E se è necessario che io reciti il Credo sono disposto a farlo”. (Conferenza stampa aereo verso gli Stati Uniti, 23 settembre 2015) Come nei primi due anni di Pontificato, ma in realtà durante tutta la sua vita di pastore, Francesco continua dunque a essere megafono di chi ha una voce troppo flebile per essere ascoltata. Con lo sguardo fisso al popolo dei migranti in fuga da guerre e carestie, chiede di costruire ponti, non erigere muri e dà l’esempio ospitando in Vaticano due famiglie di rifugiati. Lo sentono vicino i giovani disoccupati, le donne vittime della tratta, i movimenti popolari che lottano per la terra, la casa, il lavoro. Il Papa condanna ripetutamente il circolo vizioso generato dalla “cultura dello scarto” che espelle gli anziani e serra la porta della vita ai bambini. “L’aborto – ammonisce – non è un male minore. E’ un crimine. E’ fare fuori uno per salvare un altro. E’ quello che fa la mafia”. E proprio in una terra prostrata dalla criminalità, quale è Scampia, Francesco denuncia con forza il morbo della corruzione: “Se noi chiudiamo la porta ai migranti, se noi togliamo il lavoro e la dignità alla gente, come si chiama questo? Si chiama corruzione! Si chiama corruzione e tutti noi abbiamo la possibilità di es-

sere corrotti … la corruzione ‘spuzza’. E la società corrotta ‘spuzza’”. (Discorso a Scampia, 21 marzo 2015) La riforma della Curia e la riforma del cuore D’altro canto, non ha paura di riconoscere - come fa parlando con i giovani in Kenya - che la corruzione esiste pure in Vaticano. Su questo fronte, Francesco – coadiuvato dal cosiddetto Consiglio dei Nove – continua senza sosta l’opera di riforma della Curia per renderla sempre più al servizio della Chiesa universale. Dopo la nascita della Segreteria per l’Economia è la volta del dicastero per la Comunicazione, mentre procede il lavoro per la redazione di una nuova Costituzione che sostituisca la Pastor Bonus. La riforma non si ferma né rallenta, rassicura il Papa, nonostante l’esplodere del cosiddetto “Vatileaks 2”: “Voglio assicurarvi che questo triste fatto non mi distoglie certamente dal lavoro di riforma che stiamo portando avanti con i miei collaboratori e con il sostegno di tutti voi. Sì, con il sostegno di tutta la Chiesa, perché la Chiesa si rinnova con la preghiera e con la santità quotidiana di ogni battezzato. Quindi vi ringrazio e vi chiedo di continuare a pregare per il Papa e per la Chiesa, senza lasciarvi turbare ma andando avanti con fiducia e speranza”. (Angelus 8 novembre 2015) Se dunque Francesco porta avanti con passione la riforma delle istituzioni vaticane, c’è una riforma a cui tiene ancora di più: quella del cuore. Un cuore che, per accogliere la misericordia di Dio che ci viene incontro, deve essere aperto alla conversione. Un’apertura che, come evidenzia la Misericordiae Vultus, inizia con il sentirsi peccatore: “Se tu non ti senti peccatore, hai incominciato male. Chiediamo la grazia che il nostro cuore non si indurisca, che sia aperto alla misericordia di Dio, e la grazia della fedeltà. E quando ci troviamo, noi infedeli, la grazia di chiedere perdono”. (Omelia a Santa Marta, 3 marzo 2016) 10


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omenica 13 marzo: terzo anniversario dall’elezione alla Cattedra di Pietro di Jorge Mario Bergoglio. Anche questo terzo anno di Pontificato, iniziato con l’annuncio dell’indizione del Giubileo della Misericordia il 13 marzo 2015, è stato intensissimo e ricco di momenti di grande significato per la vita della Chiesa e non solo. Alessandro Gisotti della Radio Vaticana ha chiesto al direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, di tracciare un bilancio con uno sguardo anche alle sfide che Francesco sta affrontando in questo momento: Io ho l’impressione che cresca l’autorevolezza del Papa come maestro dell’umanità, della Chiesa e dell’umanità, in una prospettiva globale. Perché nel corso di quest’anno, il Papa ha toccato praticamente tutti i continenti, a parte l’Oceania. E’ presente su un orizzonte globale e tratta con autorevolezza le questioni dell’umanità e della Chiesa di oggi. Parla dei temi della pace e della guerra, che toccano veramente tutti; parla dei grandi temi delle società attuali nel contesto della globalizzazione, la “cultura dello scarto”, la giustizia e la partecipazione. Nell’Enciclica “Laudato si’”, in particolare, è riuscito a dare una visione complessiva delle domande urgenti e cruciali dell’umanità di oggi e dell’umanità di domani. Ecco, questo mi sembra l’aspetto che io noto e cioè che l’umanità guarda a Papa Francesco come ad una persona che l’aiuta a trovare l’orientamento, a trovare dei messaggi di riferimento in una situazione che - per molti aspetti - è di grande incertezza. Quindi un leader credibile, un maestro credibile, che – facendo il suo servizio, che è di carattere specificamente religioso e morale – dà però un aiuto efficace; viene ascoltato dai potenti di questa terra. E i potenti e i poveri sono ugualmente importanti e necessari per guardare al cammino dell’umanità verso il domani.

sono i tratti più forti che, secondo lei, il Papa sta imprimendo a questo Giubileo? Effettivamente io credo che questo tema dell’annuncio dell’amore di Dio, sotto questa parola specifica della misericordia, che questo annuncio della presenza e della vicinanza dell’amore di Dio sia la caratteristica del messaggio e del servizio che Papa Francesco dà all’umanità. E questo dall’inizio stesso del suo Pontificato. E ha trovato questa forma – diciamo – nuova e originale di un Giubileo che però è un Giubileo sparso per il mondo. Non è un Giubileo centralistico: Roma c’è come cuore naturale del cammino della Chiesa, ma la misericordia di Dio la si può incontrare passando attraverso porte che si trovano in tutti i luoghi del mondo. Il richiamo delle opere di misericordia materiali e spirituali dà anche una grande concretezza a quell’attenzione per i poveri, per le periferie, per le persone scartate e oggetto di emarginazione, cui il Papa ha sempre dedicato la sua attenzione perché sono al centro dell’attenzione di Cristo e del Vangelo. Quindi direi che con questo Giubileo siamo proprio nel cuore spirituale di questo PonLa misericordia, ovviamente, è il cuore di questo tificato, che è un Pontificato di una spiritualità terzo anno di Pontificato o forse dovremmo dire tutt’altro che disincarnata, perché si traduce imdi tutto il ministero petrino di Francesco. Quali mediatamente anche nelle opere della carità. 11

anno santo della misericordia

P. Lombardi: Francesco sempre più leader morale del pianeta


Guardando ai momenti di questo terzo anno di Pontificato, molti sono rimasti colpiti dall’Angelus dell’8 novembre scorso, quando Francesco ha affermato che il cosiddetto “Vatileaks 2” non lo distoglie dal suo lavoro di riforma, che va avanti con fiducia. Perché per il Papa è così importante questo punto, la riforma? La riforma è un compito permanente nella Chiesa – Ecclesia semper reformanda est” - e questo perché nessuno può pensare di essere perfettamente fedele stabilmente al Vangelo del Signore e alle sue esigenze così profonde e impegnative. Il Papa, in particolare, giungendo dalla fine del mondo, cioè da una prospettiva nuova, ha anche una capacità particolare per vedere e cogliere le attese di rin-

novamento della Chiesa e delle sue strutture di governo in funzione della missione universale e andare incontro alle esigenze della Chiesa nelle diverse parti del mondo. Questo è un compito che il Papa sa che gli è stato anche affidato dai cardinali, quando lo hanno eletto Papa: nel corso delle Congregazioni, prima del Conclave, lo hanno detto e il Papa lo sa. Ma lo fa con una prospettiva spirituale molto caratteristica e molto importante per capire bene quello che fa: in un clima cioè di continua ricerca di obbedienza allo Spirito Santo che lo conduce nell’affrontare, volta per volta, i problemi di cui si tratta in spirito di obbedienza al Vangelo, con fiducia, con speranza e con grande libertà. I Sinodi sono caratteristici di questo atteg-

INTER VISTA

DALLA CATTEDRA ALLA STRADA

scalda il mondo di oggi. Se non avessimo la Misericordia come potremmo affrontare il tema Colloquio con mons. Giancarlo Maria Bregantini della Libia, della Siria e le dinamiche re anni con Papa Francesco. 13 marzo 2016 cosi complicate dell’Europa per la quale preterzo anniversario dell’elezione di Jorge ghiamo oggi che i muri non si alzino, ma si coMario Bergoglio alla Cattedra di Pietro. Anche minci a ragionare in termini di misericordia! questo terzo anno di Pontificato è stato vissuto con una straordinaria intensità: dal Sinodo sulla Famiglia alla Laudato si’; dai viaggi apostolici al Papa Francesco ribadisce spesso la necessità di Giubileo della Misericordia, il Papa “venuto dalla una Chiesa sinodale, una Chiesa che viva “la belfine del mondo” prosegue sulla strada tracciata lezza del camminare assieme”. Secondo lei che fin dalla sera dell’elezione: un pastore che cam- effetti potrà aver questa visone del Papa sulla vita mina assieme al popolo verso l’incontro con il Si- della Chiesa? gnore. Per analizzare questo cammino di servizio Credo che sarà grandissima, noi la stiamo prepapetrino, Alessandro Gisotti ha incontrato mons. rando in diocesi. L’incoraggiamento che lui ci ha Giancarlo Maria Bregantini, arcivescovo di Cam- dato, soprattutto la modalità - che non sia tanto un pobasso - Bojano: documento, uno studio apposito - con cui entrare La cosa che ho apprezzato immensamente è la in sintonia tra i sacerdoti, con i fedeli, con i poveri, Laudato si’; sento che questo è un documento di con il Creato, è una sinodalità allargata: è passata, grandissimo valore e contemporaneamente la con il suo appello, da una sinodalità di cattedra a stabilizzazione sempre più intensa dell’Evangelii una sinodalità “di strada” come indica veramente gaudium, anche dopo il suo intervento così ma- la sua parola originaria. Questo ha restituito algistrale a Firenze, al Convegno ecclesiale nazio- l’evento del Sinodo nelle diocesi non più qualcosa nale. Poi sul piano fattuale la meravigliosa di gigantesco che produce grossi volumi, ma quel esperienza della misericordia che entra nel vis- sorriso, quella carezza, quell’accompagnare di cui suto e che ieri con la parabola del Padre miseri- abbiamo bisogno. Qui rientra la parola esortare, cordioso abbiamo veramente rigustato in l’esortazione: non è possibile accompagnare senza pienezza e abbiamo detto: “Grazie a questo Papa, la parola esortare, ed esortare produce l’accompache ci ha fatto vedere che non è una parabola an- gnare. Uno dei segni che avrà un impatto crescente tica ma è una parola di oggi”. L’altro elemento, il è la riforma del tribunale diocesano per la verifica terzo, è l’esperienza dei suoi viaggi. della nullità delle cause matrimoniali. È una modalità di approccio innovativa tra i fedeli e il veLa misericordia è un po’ la lente attraverso cui scovo tra le famiglie e la comunità, tra le ferite e possiamo guardare tutta l’azione di Francesco? chi le guarisce. Senti veramente dentro che la miSì, certamente. Sentiamo la lente che ovviamente sericordia che, anche giuridicamente, diventa un non è gelida, fredda, ma è il calore del sole che ri- volto nuovo:Misericordiae Vultus..

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smo. Egli stesso dice molte volte che nel mettere in cammino la Chiesa non è che egli sappia con totale chiarezza qual è il punto di arrivo o qual è il disegno complessivo che va raggiunto. No, egli sa che ci si mette in cammino, ma spesso senza sapere esattamente per dove. Questa è la condizione anche di Abramo, la condizione del cammino nella fede da sempre.

Anche quest’anno, nonostante la grande popolarità, non sono mancate critiche al Papa, e al dire il vero anche da ambienti cattolici. Come lo spiega? Lo spiego abbastanza semplicemente con il fatto che il camminare in terreni nuovi, cercare di rispondere a questioni che vengono poste con grande urgenza da un mondo che sta cambiando è qualcosa che naturalmente provoca preoccupazione, provoca timore, provoca incertezza; si cammina in un campo che, per molti aspetti, è oscuro. Per cui il muoversi con coraggio, appoggiandosi fondamentalmente alla fede e alla speranza, alla convinzione che lo Spirito Santo accompagna la Chiesa nel mettere in pratica la volontà di Dio nel tempo nuovo, non è così semplice. In questo Papa Francesco certamente è un maestro che ci guida, con coraggio e con reali-

Trai tanti momenti e immagini che ha di questo terzo anno di Pontificato, ce ne è uno che ricorda con particolare emozione? Ce ne sono talmente tanti … E’ un Pontificato così infinitamente ricco di gesti concreti e quindi anche di immagini particolari che identificarne uno … io no, non sono capace. Però c’è una categoria – se vogliamo – di esperienze, e quindi anche di gesti e di immagini, che mi tocca e che ritengo molto caratterizzante ed è quella dell’attenzione ai malati, è quella dell’abbracciare i sofferenti. Il fatto che il Papa sappia manifestare in un modo così concreto, così libero, anche con gesti fisici, la sua vicinanza è un segno che lascia trasparire la vicinanza di Dio. Sono dei gesti che parlano veramente a tutta l’umanità e ci toccano profondamente. Gliene siamo estremamente grati. 13

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giamento e l’aver affrontato un tema centrale come quello della famiglia nei Sinodi significa proprio questo desiderio di andare con fiducia e con coraggio al cuore di grandi interrogativi pastorali sui punti qualificanti della vita cristiana, incarnata nella quotidianità, lasciandosi interrogare dai problemi posti dal tempo di oggi, ma sempre con la guida del Vangelo.


Il Vangelo della Misericordia PAPA FRANCESCO esù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro» (Gv 20,30). Il Vangelo è il libro della misericordia di Dio, da leggere e rileggere, perché quanto Gesù ha detto e compiuto è espressione della misericordia del Padre. Non tutto, però, è stato scritto; il Vangelo della misericordia rimane un libro aperto, dove continuare a scrivere i segni dei discepoli di Cristo, gesti concreti di amore, che sono la testimonianza migliore della misericordia. Siamo tutti chiamati a diventare scrittori viventi del Vangelo, portatori della Buona Notizia a ogni uomo e donna di oggi. Lo possiamo fare mettendo in pratica le opere di misericordia corporale e spirituale, che sono lo stile di vita del cristiano. Mediante questi gesti semplici e forti, a volte perfino invisibili, possiamo visitare quanti sono nel bisogno, portando la tenerezza e la consolazione di Dio. Si prosegue così quello che ha compiuto Gesù nel giorno di Pasqua, quando ha riversato nei cuori dei discepoli impauriti la misericordia del Padre, effondendo su di loro lo Spirito Santo che perdona i peccati e dona la gioia. Tuttavia, nel racconto che abbiamo ascoltato emerge un contrasto evidente: da una parte, c’è il timore dei discepoli, che chiudono le porte di casa; dall’altra, c’è la missione da parte di Gesù, che li invia nel mondo a portare l’annuncio del perdono. Può esserci anche in noi questo contrasto, una lotta interiore tra la chiusura del cuore e la chiamata dell’amore ad aprire le porte chiuse e uscire da noi stessi. Cristo, che per amore è entrato attraverso le porte chiuse del peccato, della morte e degli inferi, desidera entrare anche da ciascuno per spalancare le porte chiuse del cuore. Egli, che con la risurrezione ha vinto la paura e il timore che ci imprigionano, vuole spalancare le nostre porte chiuse e inviarci. La strada che il Maestro risorto ci indica è a senso unico, procede in una sola direzione: uscire da noi stessi, uscire per testimoniare la forza risanatrice dell’amore

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che ci ha conquistati. Vediamo davanti a noi un’umanità spesso ferita e timorosa, che porta le cicatrici del dolore e dell’incertezza. Di fronte al grido sofferto di misericordia e di pace, sentiamo oggi rivolto a ciascuno di noi l’invito fiducioso di Gesù: «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (v. 21). Ogni infermità può trovare nella misericordia di Dio un soccorso efficace. La sua misericordia, infatti, non si ferma a distanza: desidera venire incontro a tutte le povertà e liberare dalle tante forme di schiavitù che affliggono il nostro mondo. Vuole raggiungere le ferite di ciascuno, per medicarle. Essere apostoli di misericordia significa toccare e accarezzare le sue piaghe, presenti anche oggi nel corpo e nell’anima di tanti suoi fratelli e sorelle. Curando queste piaghe professiamo Gesù, lo rendiamo presente e vivo; permettiamo ad altri, che toccano con mano la sua misericordia, di riconoscerlo «Signore e Dio» (cfr v. 28), come fece l’apostolo Tommaso. È questa la missione che ci viene affidata. Tante persone chiedono di essere ascoltate e comprese. Il Vangelo della misericordia, da annunciare e scrivere nella vita, cerca persone con il cuore paziente e aperto, “buoni samaritani” che conoscono la compassione e il silenzio dinanzi al mistero del fratello e della sorella; domanda servi generosi e gioiosi, che amano gratuitamente senza pretendere nulla in cambio. «Pace a voi!» (v. 21): è il saluto che Cristo porta ai suoi discepoli; è la stessa pace, che attendono gli uomini del nostro tempo. Non è una pace ne14


goziata, non è la sospensione di qualcosa che non va: è la sua pace, la pace che proviene dal cuore del Risorto, la pace che ha vinto il peccato, la morte e la paura. È la pace che non divide, ma unisce; è la pace che non lascia soli, ma ci fa sentire accolti e amati; è la pace che permane nel dolore e fa fiorire la speranza. Questa pace, come nel giorno di Pasqua, nasce e rinasce sempre dal

Impresa e Giubileo

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on questo incontro, che costituisce una novità nella storia della vostra Associazione, vi siete proposti di confermare un impegno: quello di contribuire con il vostro lavoro a una società più giusta e vicina ai bisogni dell’uomo. Volete riflettere insieme sull’etica del fare impresa; insieme avete deciso di rafforzare l’attenzione ai valori, che sono la “spina dorsale” dei progetti di formazione, di valorizzazione del territorio e di promozione delle relazioni sociali, e che permettono una concreta alternativa al modello consumistico del profitto a tutti i costi. “Fare insieme” è l’espressione che avete scelto come guida e orientamento. Essa ispira a collaborare, a condividere, a preparare la strada a rapporti regolati da un comune senso di responsabilità. Questa via apre il campo a nuove strategie, nuovi stili, nuovi atteggiamenti. Come sarebbe diversa la nostra vita se imparassimo davvero, giorno per 15

giorno, a lavorare, a pensare, a costruire insieme! Nel complesso mondo dell’impresa, “fare insieme” significa investire in progetti che sappiano coinvolgere soggetti spesso dimenticati o trascurati. Tra questi, anzitutto, le famiglie, focolai di umanità, in cui l’esperienza del lavoro, il sacrificio che lo alimenta e i frutti che ne derivano trovano senso e valore. E, insieme con le famiglie, non possiamo dimenticare le categorie più deboli e marginalizzate, come gli anziani, che potrebbero ancora esprimere risorse ed energie per una collaborazione attiva, eppure vengono troppo spesso scartati come inutili e improduttivi. E che dire poi di tutti quei potenziali lavoratori, specialmente dei giovani, che, prigionieri della precarietà o di lunghi periodi di disoccupazione, non vengono interpellati da una richiesta di lavoro che dia loro, oltre a un onesto salario, anche quella dignità di cui a volte si sentono privati?

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perdono di Dio, che toglie l’inquietudine dal cuore. Essere portatrice della sua pace: questa è la missione affidata alla Chiesa il giorno di Pasqua. Siamo nati in Cristo come strumenti di riconciliazione, per portare a tutti il perdono del Padre, per rivelare il suo volto di solo amore nei segni della misericordia. Nel Salmo responsoriale è stato proclamato: «Il suo amore è per sempre» (117/118,2). È vero, la misericordia di Dio è eterna; non finisce, non si esaurisce, non si arrende di fronte alle chiusure, e non si stanca mai. In questo “per sempre” troviamo sostegno nei momenti di prova e di debolezza, perché siamo certi che Dio non ci abbandona: Egli rimane con noi per sempre. Ringraziamo per questo suo amore così grande, che ci è impossibile comprendere: è tanto grande! Chiediamo la grazia di non stancarci mai di attingere la misericordia del Padre e di portarla nel mondo: chiediamo di essere noi stessi misericordiosi, per diffondere ovunque la forza del Vangelo, per scrivere quelle pagine del Vangelo che l’apostolo Giovanni non ha scritto. Domenica 3 aprile 2016 Domenica della Divina Misericordia


Tutte queste forze, insieme, possono fare la differenza per un’impresa che metta al centro la persona, la qualità delle sue relazioni, la verità del suo impegno a costruire un mondo più giusto, un mondo davvero di tutti. “Fare insieme” vuol dire, infatti, impostare il lavoro non sul genio solitario di un individuo, ma sulla collaborazione di molti. Significa, in altri termini, “fare rete” per valorizzare i doni di tutti, senza però trascurare l’unicità irripetibile di ciascuno. Al centro di ogni impresa vi sia dunque l’uomo: non quello astratto, ideale, teorico, ma quello concreto, con i suoi sogni, le sue necessità, le sue speranze, le sue fatiche. Questa attenzione alla persona concreta comporta una serie di scelte importanti: significa dare a ciascuno il suo, strappando madri e padri di famiglia dall’angoscia di non poter dare un futuro e nemmeno un presente ai propri figli; significa saper dirigere, ma anche saper ascoltare, condividendo con umiltà e fiducia progetti e idee; significa fare in modo che il lavoro crei altro lavoro, la responsabilità crei altra responsabilità, la speranza crei altra speranza, soprattutto per le giovani generazioni, che oggi ne hanno più che mai bisogno. Nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium rilanciavo la sfida di sostenerci a vicenda, di fare dell’esperienza condivisa un’occasione per «maggiori possibilità di incontro e di solidarietà tra tutti» (n. 87). Dinanzi a tante barriere di ingiustizia, di solitudine, di sfiducia e di sospetto che vengono ancora erette ai nostri giorni, il mondo del lavoro, di cui voi siete attori di primo piano, è chiamato a fare passi coraggiosi perché “trovarsi e fare insieme” non sia solo uno slogan, ma un programma per il presente e il futuro. Cari amici, voi avete «una nobile vocazione orientata a produrre ricchezza e a migliorare il mondo per tutti» (Lett. enc. Laudato si’, 129); siete perciò chiamati ad essere costruttori del bene comune e artefici di un nuovo “umanesimo del lavoro”. Siete chiamati a tutelare la professionalità, e al tempo stesso a prestare attenzione alle condizioni in cui il lavoro si attua, perché non abbiano a verificarsi incidenti e situazioni di disagio. La vostra via maestra sia sempre la giustizia, che rifiuta le scorciatoie delle raccomandazioni e dei favoritismi, e le

deviazioni pericolose della disonestà e dei facili compromessi. La legge suprema sia in tutto l’attenzione alla dignità dell’altro, valore assoluto e indisponibile. Sia questo orizzonte di altruismo a contraddistinguere il vostro impegno: esso vi porterà a rifiutare categoricamente che la dignità della persona venga calpestata in nome di esigenze produttive, che mascherano miopie individualistiche, tristi egoismi e sete di guadagno. L’impresa che voi rappresentate sia invece sempre aperta a quel «significato più ampio della vita», che le permetterà di «servire veramente il bene comune, con il suo sforzo di moltiplicare e rendere più accessibili per tutti i beni di questo mondo» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 203). Proprio il bene comune sia la bussola che orienta l’attività produttiva, perché cresca un’economia di tutti e per tutti, che non sia «insensibile allo sguardo dei bisognosi» (Sir 4,1). Essa è davvero possibile, a patto che la semplice proclamazione della libertà eco¬nomica non prevalga sulla concreta libertà dell’uomo e sui suoi diritti, che il mercato non sia un assoluto, ma onori le esigenze della giustizia e, in ultima analisi, della dignità della persona. Perché non c’è libertà senza giustizia e non c’è giustizia senza il rispetto della dignità di ciascuno. Vi ringrazio per il vostro impegno e per tutto il bene che fate e che potrete fare. Il Signore vi benedica. E vi chiedo, per favore, di non dimenticarvi di pregare per me. Grazie! E adesso vorrei chiedere al Signore che benedica tutti voi, le vostre famiglie, le vostre imprese. Papa Francesco - Aula Paolo VI Sabato 27 febbraio 2016 16


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scoltando dalle labbra di Gesù, dopo la lettura del passo di Isaia, le parole «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato» (Lc 4,21), nella sinagoga di Nazareth avrebbe ben potuto scoppiare un applauso. E poi avrebbero potuto piangere dolcemente, con intima gioia, come piangeva il popolo quando Neemia e il sacerdote Esdra leggevano il libro della Legge che avevano rinvenuto ricostruendo le mura. Ma i Vangeli ci dicono che sorsero sentimenti opposti nei compaesani di Gesù: lo allontanarono e gli chiusero il cuore. All’inizio «tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca» (Lc 4,22); ma dopo, una domanda insidiosa si fece largo: «Non è costui il figlio di Giuseppe, il falegname?». E infine: “Si riempirono di sdegno” (Lc 4,28). Volevano buttarlo giù dalla rupe... Si adempiva così quello che il vecchio Simeone aveva profetizzato alla Madonna: sarà «segno di contraddizione» (Lc 2,34). Gesù, con le sue parole e i suoi gesti, fa in modo che si riveli quello che ogni uomo e donna porta nel cuore. E lì dove il Signore annuncia il vangelo della Misericordia incondizionata del Padre nei confronti dei più poveri, dei più lontani e oppressi, proprio lì siamo chiamati a scegliere, a «combattere la buona battaglia della fede» (1 Tm 6,12). La lotta del Signore non è contro gli uomini ma contro il demonio (cfr Ef 6,12), nemico dell’umanità. Però il Signore «passa in mezzo» a coloro che cercano di fermarlo “e prosegue il suo cammino” (cfr Lc 4,30). Gesù non combatte per consolidare uno spazio di potere. Se rompe recinti e mette in discussione sicurezze è per aprire una breccia al torrente della Misericordia che, con il Padre e lo Spirito, desidera riversare sulla terra. Una Misericordia che procede di bene in meglio: annuncia e porta qualcosa di nuovo: risana, libera e proclama l’anno di grazia del Signore. La Misericordia del nostro Dio è infinita e ineffabile, ed esprimiamo il dinamismo di questo mistero come una Misericordia “sempre più grande”, una

Il vero Giubileo tocca le tasche l'usura è peccato grave “Se il Giubileo non arriva alle tasche non è un vero Giubileo”. Lo ha affermato Papa Francesco che ha dedicato la catechesi dell’udienza generale del primo giorno di Quaresima al significato del Giubileo, un periodo che nella Bibbia favoriva un ritorno all’uguaglianza e alla solidarietà reciproca. Invitando a usare con generosità dei propri beni, il Papa ha pregato perché il Giubileo cancelli il ricorso all’usura”, “un peccato – ha detto – che grida al cospetto di Dio”. Papa Francesco Udienza generale 10 febbraio 2016 Misericordia in cammino, una Misericordia che ogni giorno cerca il modo di fare un passo avanti, un piccolo passo in là, avanzando sulla terra di nessuno, dove regnavano l’indifferenza e la violenza. Questa è stata la dinamica del buon Samaritano, che “praticò la misericordia” (cfr Lc 10,37): si commosse, si avvicinò all’uomo tramortito, bendò le sue ferite, lo portò alla locanda, si fermò quella notte e promise di tornare a pagare ciò che si sarebbe speso in più. Questa è la dinamica della Misericordia, che lega un piccolo gesto con un altro, e senza offendere nessuna fragilità, si estende un po’ di più nell’aiuto e nell’amore. Ciascuno di noi, guardando la propria vita con lo sguardo buono di Dio, può fare un esercizio con la memoria e scoprire come il Signore ha usato misericordia con noi, come è stato molto più misericordioso di quanto credevamo, e così incoraggiarci a chiedergli che faccia un piccolo passo in più, che si mostri molto più misericordioso in futuro. «Mostraci, Signore, la tua misericordia» (Sal 85,8). Questo modo paradossale di pregare un Dio sempre più misericordioso aiuta a rompere quegli schemi ristretti nei quali tante volte incaselliamo la sovrabbondanza del suo Cuore. Ci fa bene uscire dai nostri recinti, 17

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Misericordia e perdono


perché è proprio del Cuore di Dio traboccare di misericordia, straripare, spargendo la sua tenerezza, in modo tale che sempre ne avanzi, poiché il Signore preferisce che si perda qualcosa piuttosto che manchi una goccia, preferisce che tanti semi se li mangino gli uccelli piuttosto che alla semina manchi un solo seme, dal momento che tutti hanno la capacità di portare frutto abbondante, il 30, il 60, e fino al cento per uno. Come sacerdoti, siamo testimoni e ministri della Misericordia sempre più grande del nostro Padre; abbiamo il dolce e confortante compito di incarnarla, come fece Gesù, che «passò beneficando e risanando» (At 10,38), in mille modi, perché giunga a tutti. Noi possiamo contribuire ad inculturarla, affinché ogni persona la riceva nella propria personale esperienza di vita e così la possa comprendere e praticare – creativamente – nel modo di essere proprio del suo popolo e della sua famiglia. Oggi, in questo Giovedì Santo dell’Anno Giubilare della Misericordia, vorrei parlare di due ambiti nei quali il Signore eccede nella sua Misericordia. Dal momento che è Lui che ci dà l’esempio, non dobbiamo aver paura di eccedere anche noi: un ambito è quello dell’incontro; l’altro è quello del suo perdono che ci fa vergognare e ci dà dignità. Il primo ambito nel quale vediamo che Dio eccede in una Misericordia sempre più grande, è quello dell’incontro. Egli si dà totalmente e in modo tale che, in ogni incontro, passa direttamente a celebrare una festa. Nella parabola del Padre Misericordioso rimaniamo sbalorditi di fronte a quell’uomo che corre, commosso, a gettarsi al collo di suo figlio; vedendo come lo abbraccia e lo bacia e si preoccupa di mettergli l’anello che lo fa sentire uguale, e i sandali propri di chi è figlio e non dipendente; e poi come mette tutti in movimento e ordina di organizzare una festa. Nel contemplare sempre meravigliati questa sovrabbondanza di gioia del Padre, al quale il ritorno del figlio permette di esprimere liberamente il suo amore, senza resistenze né distanze, noi non dobbiamo avere paura di esagerare nel nostro ringraziamento. Il giusto atteggiamento possiamo prenderlo da quel povero lebbroso che, vedendosi risanato, lascia i suoi nove compagni che vanno a compiere ciò che ha ordinato Gesù e torna ad inginocchiarsi ai piedi del Signore, glorificando e rendendo grazie e Dio a gran voce. La misericordia restaura tutto e restituisce le persone alla loro dignità originaria. Per questo il rin-

graziamento effusivo è la risposta giusta: bisogna entrare subito alla festa, indossare l’abito, togliersi i rancori del figlio maggiore, rallegrarsi e festeggiare … Perché solo così, partecipando pienamente a quel clima di celebrazione, si può poi pensare bene, si può chiedere perdono e vedere più chiaramente come poter riparare il male commesso. Può farci bene domandarci: dopo essermi confessato, festeggio? O passo rapidamente ad un’altra cosa, come quando dopo essere andati dal medico, vediamo che le analisi non sono andate tanto male e le rimettiamo nella busta e passiamo a un’altra cosa. E quando faccio l’elemosina, dò tempo a chi la riceve di esprimere il suo ringraziamento, festeggio il suo sorriso e quelle benedizioni che ci danno i poveri, o proseguo in fretta con le mie cose dopo “aver lasciato cadere la moneta”? 18


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La nostra risposta al perdono sovrabbondante del Signore dovrebbe consistere nel mantenerci sempre in quella sana tensione tra una dignitosa vergogna e una dignità che sa vergognarsi: atteggiamento di chi per sé stesso cerca di umiliarsi e abbassarsi, ma è capace di accettare che il Signore lo innalzi per il bene della missione, senza compiacersene. Il modello che il Vangelo consacra, e che può servirci quando ci confessiamo, è quello di Pietro, che si lascia interrogare a lungo sul suo amore e, nello stesso tempo, rinnova la sua accettazione del ministero di pascere le pecore che il Signore gli affida. Per entrare più in profondità in questa “dignità che sa vergognarsi”, che ci salva dal crederci di più o di meno di quello che siamo per grazia, ci può aiutare vedere come nel passo di Isaia che il Signore legge oggi nella sua sinagoga di Nazareth, il Profeta

L’altro ambito nel quale vediamo che Dio eccede in una Misericordia sempre più grande, è il perdono stesso. Non solo perdona debiti incalcolabili, come al servo che lo supplica e poi si dimostrerà meschino con il suo compagno, ma ci fa passare direttamente dalla vergogna più vergognosa alla dignità più alta senza passaggi intermedi. Il Signore lascia che la peccatrice perdonata gli lavi familiarmente i piedi con le sue lacrime. Appena Simon Pietro gli confessa il suo peccato e gli chiede di allontanarsi, Lui lo eleva alla dignità di pescatore di uomini. Noi, invece, tendiamo a separare i due atteggiamenti: quando ci vergogniamo del peccato, ci nascondiamo e andiamo con la testa bassa, come Adamo ed Eva, e quando siamo elevati a qualche dignità cerchiamo di coprire i peccati e ci piace farci vedere, quasi pavoneggiarci.


prosegue dicendo: «Voi sarete chiamati sacerdoti del Signore, ministri del nostro Dio» (61,6). È il popolo povero, affamato, prigioniero di guerra, senza futuro, residuale e scartato, che il Signore trasforma in popolo sacerdotale. Come sacerdoti, noi ci identifichiamo con quel popolo scartato, che il Signore salva, e ci ricordiamo che ci sono moltitudini innumerevoli di persone povere, ignoranti, prigioniere, che si trovano in quella situazione perché altri li opprimono. Ma ricordiamo anche che ognuno di noi sa in quale misura tante volte siamo ciechi, privi della bella luce della fede, non perché non abbiamo a portata di mano il Vangelo, ma per un eccesso di teologie complicate. Sentiamo che la nostra anima se ne va assetata di spiritualità, ma non per mancanza di Acqua Viva – che beviamo solo a sorsi –, ma per un eccesso di spiritualità “frizzanti”, di spiritualità “light”. Ci sentiamo anche prigionieri, non circondati, come tanti popoli, da invalicabili mura di pietra o da recinzioni di acciaio, ma da una mondanità virtuale che si apre e si chiude con un semplice click. Siamo oppressi, ma non da minacce e spintoni, come tanta povera gente, ma dal fascino di mille proposte di consumo che non possiamo scrollarci di dosso per camminare, liberi, sui sentieri che ci conducono all’amore dei nostri fratelli, al gregge del Signore, alle pecorelle che attendono la voce dei loro pastori. E Gesù viene

a riscattarci, a farci uscire, per trasformarci da poveri e ciechi, da prigionieri e oppressi in ministri di misericordia e consolazione. E ci dice, con le parole del profeta Ezechiele al popolo che si era prostituito e aveva tradito gravemente il suo Signore: «Io mi ricorderò dell’alleanza conclusa con te al tempo della tua giovinezza [...] Allora ricorderai la tua condotta e ne sarai confusa, quando riceverai le tue sorelle maggiori insieme a quelle più piccole, che io darò a te per figlie, ma non in forza della tua alleanza. Io stabilirò la mia alleanza con te e tu saprai che io sono il Signore, perché te ne ricordi e ti vergogni e, nella tua confusione, tu non apra più bocca, quando ti avrò perdonato quello che hai fatto – oracolo del Signore Dio» (Ez 16,60-63). In questo Anno Giubilare celebriamo, con tutta la gratitudine di cui è capace il nostro cuore, il nostro Padre, e lo preghiamo che “si ricordi sempre della sua Misericordia”; accogliamo, con dignità che sa vergognarsi, la Misericordia nella carne ferita del nostro Signore Gesù Cristo, e gli chiediamo che ci lavi da ogni peccato e ci liberi da ogni male; e con la grazia dello Spirito Santo ci impegniamo a comunicare la Misericordia di Dio a tutti gli uomini, praticando le opere che lo Spirito suscita in ciascuno per il bene comune di tutto il popolo fedele di Dio. PAPA FRANCESCO 24 Marzo 2016 20


“Collaboratori di Dio” a immagine del Buon Pastore. È l’invito che Papa Francesco ha rivolto ai vertici della Curia Romana nella Messa giubilare presieduta nella Basilica vaticana, nel giorno della festa liturgica della Cattedra di San Pietro. “Nei nostri ambienti di lavoro”, ha detto il Papa, “nessuno si senta trascurato o maltrattato”, ma faccia l’esperienza della misericordia.: Talari e mozzette, cravatte e cappotti. Le une accanto agli altri in processione sotto la Porta Santa, poi ancora vicine durante la Messa in Basilica. Sono le “divise” di chi presta servizio nella Curia Romana e in tutti i dicasteri e istituzioni collegate alla Santa Sede. Divise di sacerdoti e di laici, diverse nella foggia ma unite dalla “stoffa” dell’unica domanda che investe, spiega Papa Francesco, chi è al servizio del Papa e della Chiesa. La domanda di Gesù ai suoi più intimi: “Voi chi dite che io sia?”.

Non trascurare nessuno Da questa professione di fede, prosegue Francesco, “deriva per ciascuno di noi il compito di corrispondere alla chiamata di Dio”. Qui il Papa si rivolge in particolare a cardinali e vescovi, ai pastori, perché siano profondamente ciò questo vocabolo evoca secondo il Vangelo, cioè pronti con la pecora smarrita, quella ferita, quella malata: “Fa bene anche a noi, chiamati ad essere Pastori nella Chiesa, lasciare che il volto di Dio Buon Pastore ci illumini, ci purifichi, ci trasformi e ci restituisca pienamente rinnovati alla nostra missione. Che anche nei nostri ambienti di lavoro possiamo sentire, coltivare e praticare un forte senso pastorale, anzitutto verso le persone che incontriamo tutti i giorni. Che nessuno si senta trascurato o maltrattato, ma ognuno possa sperimentare, prima di tutto qui, la cura premurosa del Buon Pastore”.

Cuore nuovo Il Papa è partito da qui, da un quesito che, afferma subito all’omelia, è chiaro e diretto e di fronte al quale “non è possibile sfuggire o rimanere neutrali, né rimandare la risposta o delegarla a qualcun altro”. Una domanda che non però ha “nulla di inquisitorio, anzi, è piena di amore”, e bussa al cuore per chiedere disponibilità: “Lasciamo che la grazia plasmi di nuovo il nostro cuore per credere, e apra la nostra bocca per compiere la professione di fede e ottenere la salvezza. Facciamo nostre, dunque, le parole di Pietro: ‘Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente’”.

Fedeltà e misericordia Imitandolo, conclude Francesco, “siamo chiamati ad essere i collaboratori di Dio” nell’“impresa fondamentale e unica” di testimoniare la vita della grazia: “Lasciamo che il Signore ci liberi da ogni tentazione che allontana dall’essenziale della nostra missione, e riscopriamo la bellezza di professare la fede nel Signore Gesù. La fedeltà al ministero bene si coniuga con la misericordia di cui vogliamo fare esperienza. Nella Sacra Scrittura, d’altronde, fedeltà e misericordia sono un binomio inseparabile. Dove c’è l’una, là si trova anche l’altra, e proprio nella loro reciprocità e complementarietà si può vedere la presenza stessa del Buon Pastore”.

Chiesa salda su Cristo Gesù, ripete il Papa, “è il fondamento e nessuno ne può porre uno diverso. Lui è la ‘pietra’ su cui dobbiamo costruire”, la roccia grazie alla quale, osservò S. Agostino, la Chiesa regge “pur agitata e scossa per le vicende della storia”: “Non crolla, perché è fondata sulla pietra, da cui Pietro deriva il suo nome. Non è la pietra che trae il suo nome da Pietro, ma è Pietro che lo trae dalla pietra; così come non è il nome Cristo che deriva da cristiano, ma il nome cristiano che deriva da Cristo”. 21

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Papa Francesco: Dio vuole pastori fedeli, dediti, misericordiosi


B i b l i o t e c a Va t i c a n a Opera calcografica per il giubileo

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n’opera calcografica celebrativa, dedicata al Giubileo della Misericordia, è stata presentata mercoledì 24 febbraio 2016 dalla Biblioteca Apostolica Vaticana, alla presenza del cardinale segretario di stato, Pietro Parolin. La realizzazione della stampa, che conferma la tradizione della Biblioteca come luogo di dialogo con l’arte contemporanea, è stata curata da Barbara Jatta, responsabile del Gabinetto delle Stampe e dal vice-prefetto, Ambrogio M. Piazzoni. Celebrare i grandi eventi della Chiesa e raccontare per immagini l’attività della Città del Vaticano: fedele a questo duplice compito il Gabinetto della Grafica della Biblioteca Vaticana ha realizzato in 200 esemplari una stampa artistica per il corrente Giubileo. Ce ne parla, Barbara Jatta: “Nasce sicuramente seguendo una tradizione della Biblioteca Apostolica rispetto alle arti grafiche e alla celebrazioni di eventi importanti per la storia della Chiesa. Già nel Giubileo del Duemila producemmo una bellissima pianta monumentale in nove tavole, - quindi 2 metri per 2 – sulla Roma del Duemila. Poi, successivamente, la Biblioteca realizzò l’attuale pianta dello Stato della Città del Vaticano. L’idea è, appunto, quella di continuare questa trazione. Abbiamo pensato come dare la testimonianza della Biblioteca Vaticana rispetto al Giubileo della Misericordia, che Papa Francesco ha voluto indire”. La scelta degli artisti - il disegnatore Pierluigi Isola e l'incisore Patrizio Di Sciullo - è avvenuta grazie al dialogo, sempre vivo, che la Biblioteca del Papa intrattiene con l’arte contemporanea. Afferma ancora Barbara Jatta: “Questa è una Biblioteca storica, antica, che ha chiaramente tra i fondi più importanti e preziosi in termine di manoscritti, stampati, numismatica e arti grafiche. Però è anche un luogo che vive, che ha più di 100 persone che quotidianamente vivono nel quotidiano e che tendono a fare in modo che questa sia una Biblioteca attiva. Quindi queste iniziative sono proprio in quest’ottica: nel dialogare, in par-

ticolare, con gli artisti contemporanei che producono arti grafiche in queste settore”. Il disegno – e poi l’incisione - è diviso in due parti: nella superiore una veduta ‘capriccio architettonico’, del percorso giubilare delle Sette Chiese di Roma; in quella inferiore un’invenzione allegorica di figure umane e elementi architettonici a simboleggiare le quattordici opere di misericordia. E in quest'ultimo spiccano le 'porte' giubilari, come spiega ancora la curatrice: “Leggendo bene la Bolla d’indizione del Giubileo straordinaria della Misericordia di Papa Francesco, ci siamo resi conto che sono tante le porte sante che lui ha voluto aprire per questo Giubileo straordinario. E quindi abbiamo dato varie porte di accesso: nella parte bassa, una che è simbolicamente un colonnato berniniano, ma anche tutti i grandi templi o le cattedrali che il Santo Padre ha voluto identificare come luoghi di accesso del Giubileo; e, dall’altra parte, una porta di un carcere, in cui i carcerati vengono accolti: è una porta aperta, tra l’altro, del carcere proprio per questa simbologia. Un’opera che conferma la vocazione non solo conservativa del Gabinetto delle stampe della Biblioteca Vaticana e servirà anche a comunicare, attraverso l’arte, il messaggio del Giubileo. Sottolinea ancora la dott.ssa Jatta: “Stamperemo soltanto 200 opere per lasciare una tiratura – diciamo – limitata. Non darne una grande diffusione, perché deve essere veramente qualcosa di particolare che generalmente il Santo Padre omaggia alle persone che vengono a fargli visita. La Segreteria di Stato l’ha già omaggiata due volte: al principe di Monaco, Alberto di Monaco, e al presidente Rohani. E poi la mettiamo in vendita, perché un’opera del genere ha avuto dei suoi costi e quindi chiaramente noi la vendiamo nel nostro catalogo della Biblioteca come uno dei prodotti della Biblioteca. Alla stregua dei libri che produciamo, anche questa, come le altre iniziative analoghe che abbiamo realizzate, la venderemo al pubblico. 22


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iubileo, dialogo interreligioso, impegno per i poveri e ambiente. Sono i temi forti che il cardinale Luis Antonio Tagle ha affrontato alla Gregoriana, durante la presentazione del volume “Religion and Politics”, frutto della scuola Sinderesi, promossa dalla università pontificia. “L’evangelizzazione in Asia e non solo deve avere la forma del dialogo soprattutto con le culture e le religioni”. Esordisce così il cardinale Tagle dialogando con i ragazzi della scuola Sinderesi dell’università Gregoriana. Non studiare le religioni in astratto, creare amicizia Invita i giovani, in particolare, a fare esperienza in luoghi lontani dai propri, dove si può sperimentare il proprio essere minoranza: “Make the religion and the culture of somebody… Rendere concreta la religione e la cultura dell'altro, creando amicizia; non studiare le culture solo dai libri o in astratto. Le culture, le religioni, sono incarnate nelle persone, quindi arriviamo a conoscere le persone: parliamo con loro, litighiamo con loro, piangiamo con loro, ridiamo con loro. Allora saremo capaci di entrare in quel mondo e in quella cultura”. E’ importante, prosegue, “l’intelligenza culturale”. Bisogna chiedersi, riprende il porporato, come la cultura influisce sul proprio modo di pensare e di qui provare a comprendere la cultura e la religione di un’altra persona, come incida sul proprio modo di pensare: Tutti e due cerchiamo dove convergiamo, dove ci differenziamo. Ma la differenza ora non è nemica: è una differenza con il rispetto, anche con una capacità di imparare l’uno dall’altro. Il mio consiglio è che i giovani comincino a crescere e a sviluppare un’intelligenza culturale”.

Giubileo. La chiamata alla misericordia, sottolinea, va oltre i confini della Chiesa cattolica come chiede Papa Francesco. Questo, però, deve avvenire a livelli differenti. La Chiesa, riprende, è chiamata a testimoniare la misericordia non solo ai suoi membri, ma anche all’esterno: “Quello è un segno di misericordia: vedere un fratello, vedere una sorella, vedere un vicino, specialmente quelli che soffrono, gli abbandonati. Se si guarda al mondo, non solo in Asia: ovunque ci sia ingiustizia, c’è una assenza di misericordia. Le vittime dell’ingiustizia non hanno misericordia o sono vittime di azioni prive di misericordia. Quindi, durante l’Anno della Misericordia, guardiamo a tutti loro, alle vittime, ed estendiamo a loro la misericordia, perché vediamo un fratello, un vicino, una sorella”. Un secondo livello, soggiunge l’arcivescovo di Manila, e questo si vede bene in Asia, dobbiamo cercare le fonti di misericordia presenti nelle religioni. Qualcosa che i vescovi asiatici, rammenta, hanno già iniziato a fare. Parla così dell’esempio dei monaci buddisti che condividono il cibo con gli affaAnche le altre religioni possono insegnarci la mi- mati delle loro comunità. Vanno mendicando cibo sericordia non per sé ma per gli altri. Bisogna allora imparare Il cardinale Tagle ha quindi affrontato il tema del da questa testimonianza di misericordia: il meglio

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Tagle: imparare al di là dei confini della Chiesa


viene dato a chi ha bisogno: “Questo imparare la misericordia al di là dei confini della Chiesa cattolica è acquisito in Asia più precisamente nelle famiglie, nelle famiglie interreligiose. Mariti e mogli di tradizioni religiose differenti imparano ad essere misericordiosi l’uno con l’altro ogni giorno, ogni giorno. La famiglia diventa scuola di misericordia, specialmente nelle famiglie interreligiose”. Riguardo al ruolo delle religioni nel mondo globalizzato, il presidente di Caritas Internationalis avverte poi che di fronte ai fondamentalismi irrazionali, gli uomini di fede devono mostrare il contrario: provare che le religioni possano fare il bene, mostrare che le religioni lavorando assieme possano promuovere lo sviluppo umano. Uomini di fede trovino terreno comune nell’aiuto ai sofferenti Ancora, ammonisce che non bisogna permettere che la religione sia usata come mezzo di distruzione. E qui, il cardinale Tagle fa riferimento all’impegno comune delle religioni in particolare rispetto a chi soffre, e oggi soprattutto rifugiati e migranti: “Qualche mese fa con la Caritas abbiamo visitato il campo per rifugiati di Idomeni, in Grecia.

C’era un ragazzo siriano, era solo, e quando gli abbiamo dato del cibo, nel suo inglese, mi ha chiesto: 'Sei un musulmano?'. Ho sorriso ed ho risposto: 'No'. Mentre si allontanava, i suoi occhi erano fissi sui miei. Sono passati almeno due anni da quell’incontro di occhi ed io gli auguro tutto il bene, ogni notte prego per lui. Non conosco il suo nome, ma lui ha ricevuto pane da un non musulmano e per quel breve momento c’è stata una connessione, una connessione tra due persone legate dalla sofferenza”. Da ultimo, il cardinale filippino ha indicato il cambiamento climatico come terreno comune. La Federazione degli episcopati asiatici, evidenzia, ha già pubblicato due documenti su questo con un approccio e un contenuto interreligioso. Su questo, il cardinale Tagle ne è convinto, le persone di fede devono lavorare assieme: “Quindi non riguarda solo gli scienziati, i tecnocrati, ma anche i gruppi religiosi, che potrebbero mettersi insieme per una causa comune. Lasciatemi aggiungere di non dimenticare le religioni tradizionali indigene, non solo le grandi religioni. Anche loro sono importanti nel rispondere nella ricerca della giustizia, della pace e dell’integrità climatica”.

Cardinale di Vienna: Misericordia è la parola d’ordine del momento

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’Anno Santo straordinario indetto da Papa Francesco ha vissuto nel tempo di Pasqua uno dei suoi momenti più salienti. A Roma, dal 4 aprile , si sono riuniti i partecipanti al Congresso Apostolico Europeo della Misericordia ( Wacom), che sabato prossimo vivranno col Papa, in Piazza San Pietro, la Veglia di preghiera per quanti aderiscono alla spiritualità della Divina Misericordia e il giorno dopo saranno di nuovo in Piazza per la Messa presieduta da Francesco. Ad aprire il lavori del Congresso è stato il presidente del Wacom, il cardinale arcivescovo di Vienna, Christoph Schönborn. Misericordia. È la parola d’ordine del momento. Se ne parla ovunque, dalle cattedre universitarie alle sale parrocchiali. Ma la misericordia, quella propa-

gata da Gesù, “in cosa consiste”? È umana, cioè praticabile dagli uomini, o bisogna essere Dio per realizzarla? “È una reazione spontanea che dovrebbe essere in ogni uomo quando si trova di fronte a un vero dolore”, oppure è “solo un atteggiamento” di Gesù, “e di conseguenza dal cristianesimo, specifico per il suo modo di vedere le cose?”. Questione di “viscere” Non sono domande banali, anzi sono “le” domande, di quelle che vanno a toccare il fondo della coscienza di un cristiano. Da esse parte il cardinale Schönborn nella sua lunga e magistrale riflessione. Prima di tutto, spiega, la misericordia di Gesù è una questione di “viscere”. È questo che esprime il 24


Compassione “qui e ora” Ma a chi deve essere rivolta la misericordia? “Gesù ha avuto pietà di singole persone o di tutti?”. Posta così in astratto, dice il porporato, questa domanda non ha senso, perché Gesù stesso ha spiegato come vada intesa la misericordia con la parabola del Buon samaritano. Il sacerdote e il levita che passano oltre l’uomo mezzo morto a bordo strada potevano aver avuto i loro “buoni motivi” per comportarsi così, riconosce il cardinale Schönborn. Magari avevano paura di essere loro stessi aggrediti dai banditi ancora nelle vicinanze. Di entrambi, sottolinea, “non viene detto che cosa provassero, ma solo quello che fecero, perché solo questo conta”. Conta che il samaritano, lo straniero semipagano, fa “qualcosa di diverso”. Si muove a compassione dimostrando che “la misericordia è concreta. Non riguarda in qualche modo un po’ tutti, ma colui che, qui ed ora, ha bisogno del mio aiuto”. Falsa misericordia Tuttavia, Gesù si commuove anche per un intera folla, come nella scena della moltiplicazione dei pani. Il cardinale Schönborn ne trae altri elementi di riflessione. Gesù ribalta la misericordia dei discepoli, che vorrebbero che il Maestro, vista l’ora tarda, congedasse la folla consentendole di procurarsi da mangiare. I ceri “misericordiosi” sembrano loro piuttosto che Gesù, che invece ordina loro di sfamare la gente. Ma se è vero che “la misericordia

Umana e divina La misericordia di Gesù verso i bisognosi, sostiene l’arcivescovo di Vienna, ha “una spontanea base naturale, emotiva” nell’uomo – tanto è vero che è umano “inorridire di fronte all’orrore” e, viceversa, si considera “la mancanza di pietà una mancanza di umanità”. Allo stesso tempo l’amore di Gesù, “certamente anche emotivo”, “non è solo questo. Esso ha un forte momento volitivo, altrimenti non potrebbe superare la ripulsione che provoca, nella nostra emotività, l’incontro con un lebbroso”. “Nella volontà di dedizione”, asserisce il cardinale Schönborn, c’è dunque “anche un elemento di ragione, di non vedere nell’altro la malattia che ripugna, bensì l’uomo che soffre di questa terribile malattia. È perché è un uomo, che Gesù ha compassione”. 25

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verbo greco usato dai Vangeli quando Gesù è “profondamente commosso”. Davanti al figlio morto della vedova di Nain, al lebbroso, ai due ciechi che implorano la guarigione: quando Gesù vede la sofferenza “non passa oltre”, “non distoglie lo sguardo ma – afferma il cardinale Schönborn – si fa raggiungere dal dolore”. Eppure, si chiede il porporato, “è naturale avere pietà di un lebbroso o è ‘soprannaturale’, comprensibile solo per grazia?”. Non è più misericordioso, soggiunge, “uccidere un malato inguaribile piuttosto che la posizione, nata dall’ideale ebraico cristiano, di conservare la vita nonostante il dolore?”.


Distribuite 40 mila Misericordine

di Gesù è esigente” è altrettanto vero, stigmatizza il cardinale di Vienna, che tante volte “la nostra misericordia” in realtà “deriva dal volerci liberare di qualcuno”, come in effetti nel caso dei discepoli. E allora come “come distinguere fra l’apparente misericordia degli apostoli, che è una forma nascosta di egoismo, e l’apparente severità di Gesù che in realtà è la via della sua vera misericordia divina?”.

l termine dell’ Angelus di domenica 21 A febbraio 2016 Papa Francesco ha annunciato il dono della Misericordina, una scatolina a forma di medicinale che all’interno non contiene pillole ma la coroncina della divina Misericordia composta da 59 grani, l’immagine di Gesù Misericordioso e il classico foglietto con posologia e istruzioni. Il kit era stato già distribuito nel novembre del 2013, a conclusione dell’ anno della Fede. A distribuire le oltre 40 mila confezioni arrivate dalla Polonia sono stati poveri, senzatetto e profughi, insieme a molti volontari e religiosi. E' grande la sorpresa e la gioia tra i presenti. Questi alcuni commenti: E’ un’emozione forte! Questa Misericordina io la associo all’amore che il Papa ha verso di noi e che noi dobbiamo trasmettere agli altri. La riceviamo volentieri, perché ci sono tante persone alle quali possiamo darla. Cosa vuol dire la misericordia, la misericordia di Dio? Ci ama, ci perdona e ci invita – anche a noi – a perdonare e ad amarci fra di noi. Ci avvicina al Signore, non soltanto attraverso la preghiera, ma anche attraverso il frutto della preghiera, che è la richiesta anzitutto di perdono per i nostri peccati e quindi una maggiore grazia nella nostra vita di essere in comunione con Cristo e con la Chiesa intera. Un bellissimo regalo! Perché ce ne vuole tanta di misericordia del mondo. Tantissima! Quindi averne avuta un po’ oggi da Papa Francesco è un regalo immenso. Lei recita la Coroncina della Misericordia abitualmente? Sì, si! Assolutamente … Dà conforto e ci si sente meno soli nel mondo. E’ una cosa importantissima, anche perché è un medicinale particolare: per noi che recitiamo il Rosario almeno due volte al giorno è importante! Cosa vuol dire per voi la misericordia di Dio? La misericordia di Dio è fare bene agli altri, senza fermarsi mai: incondizionatamente. Nel “bugiardino", viene spiegata che la Misericordina, pratica diffusa da Santa Faustina Kowalska, suora mistica polacca canonizzata nel 2000 da San Giovanni Paolo II, "è un medicinale spirituale che rinvigorisce nell’anima". E non ci sono effetti collaterale, ma anzi produce "tranquillità del cuore, la gioia esterna e il desiderio di diffondere il bene". E L’efficacia del curativo "è garantita dalle parole di Gesù". E’ consigliata almeno una volta al giorno sia agli adulti che ai bambini, e si può ricorrere ad essa sempre, e in particolare ricordano le istruzioni: quando "desideriamo la conversione dei peccatori", quando "sentiamo il bisogno dell’aiuto nella decisione difficile", o quando manca la forza per resistere alle tentazioni, o non sappiamo perdonare qualcuno.

Cuori di pietra Il problema nasce nel cuore dell’uomo e la vicenda terrena di Gesù è lampante: in Lui “è apparsa la misericordia sulla terra, ma essa suscita il contrario”. È un “enigma”, lo definisce il cardinale Schönborn, che coinvolge anche i discepoli della prima ora e quelli di oggi. “Essere così vicini a Gesù ed avere tuttavia il cuore duro. Com’è possibile tale durezza nella vicinanza del sacro? È mai possibile che la vicinanza, il fuoco della presenza di Dio provochi addirittura rifiuto, freddezza, indurimento del cuore?”. Qui, evidenzia il porporato, si tocca “il mistero dell’iniquità”. Routine, comodità, insensibilità si insinuano per il “raffreddarsi del primo amore” e ciò mina tutto, compresi sacerdozio e matrimonio. Cuori duri e chiusi alla misericordia sono quelli che condannano a morte Gesù, il quale, chiosa il cardinale Schönborn, secondo un criterio umano, “fallisce”. La misericordia inesauribile Ciò fa porre l’ultima domanda: “C’è misericordia anche per noi peccatori? Sì, c’è, assolutamente e inesauribilmente”, replica l’arcivescovo di Vienna. A due condizioni: “verità e pentimento” perché, osserva, “niente indurisce di più un cuore che la propria giustificazione”, mentre “la giustificazione di sé è l’inizio di ogni durezza di cuore nei confronti degli altri”. La parabola dei vignaioli omicidi svela l’essenza della misericordia di Dio in Gesù, conclude il cardinale Schönborn. Si può avere misericordia per gli assassini del proprio figlio? “Gesù donò la sua vita per coloro che lo uccisero. Morì per causa loro, ed accettò la sua morte per loro. Invece della vendetta scelse la misericordia”, perché “Dio – ribadisce il porporato – non voleva vincere la nostra mancanza di misericordia diversamente che con un eccesso della sua misericordia verso di noi”. Questo, conclude, è “il nucleo della fede cristiana: a chi è senza misericordia, egli ha mostrato misericordia, ha perdonato i peccatori, non ha impartito la punizione agli assassini, ma ha donato amore”. 26


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conciliazione sono più forti dell’azione demoniaca della divisione e della violenza tra fratelli”. Questo l’incoraggiamento che il cardinale Marc Ouellet, presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina (Cal), rivolge a tutti i missionari e missionarie spagnole, oltre novemila, che oggi sono presenti nelle Chiese locali ispanoamericane. Tra questi, circa mille sono sacerdoti diocesani e oltre 300 sono partiti tramite l’Opera di Cooperazione sacerdotale gestita direttamente dalla Conferenza episcopale spagnola. “Testimoni della misericordia” è il tema della Giornata Ispanoamericana 2016, loro dedicata, che ricorre domenica 6 marzo. Si tratta di “scelta indovinata – afferma il card. Ouellet - perché rappresenta la risposta di tutti coloro che prestano un servizio missionario all’appello del Papa a lasciarsi abbracciare come discepoli, testimoni e missionari dalla misericordia di Dio”. Un amore senza limiti Nel suo messaggio, il card. Ouellet ricorda che l’amore misericordioso di Dio, che si diffonde nell’esistenza umana attraverso la grazia ed il perdono, è il messaggio della Chiesa universale che deve arrivare a ogni missionario e missionaria al servizio delle Chiese e dei popoli latinoamericani, scrive il porporato invitando poi i missionari ad attraversare la Porta Santa in ogni cattedrale e santuario locale. Il porporato canadese esorta i missionari spagnoli a una conversione personale, ad aprire il cuore ad un “amore attivo” che guarisce e che perdona. “Questa esperienza giubilare –

Quando la misericordia diventa diplomazia

sita ufficiale fuori dalla diocesi di Roma scelse l’isola di Lampedusa. Uno sguardo rivolto agli ultimi, agli “scartati” dalla società e in cui la misericordia è tanto un criterio dell’azione politica a misericordia, uno dei concetti chiave del ma- quanto una guarigione dell’anima. gistero di Papa Francesco, può essere conside- PADRE ANTONIO SPADARO rata anche un processo politico e il filo conduttore DIRETTORE DI CIVILTÀ CATTOLICA E AUTORE della politica estera del Pontefice. E’ quanto è DALL’ARTICOLO “LA DIPLOMAZIA DI FRANCESCO” emerso dall’incontro “la diplomazia della misericordia”, che si è svolto a Roma a Palazzo Mare’elemento fondamentale del significato scotti per presentare l’ultimo numero della rivista della misericordia è che mai niente e nesgeopolitica Limes dedicato alla “terza guerra mon- suno deve considerarsi come perduto, come diale”, secondo la definizione del Papa. perso: questo né nella vita delle persone, ma neL’abbraccio con il Patriarca Kyril a Cuba. La pre- anche nei rapporti tra le nazioni, tra gli Stati e ghiera al confine tra Messico e Stati Uniti a Ciu- tra i popoli. Papa Francesco ha toccato frontiere, dad Juàrez. I gesti dell’ultimo viaggio apostolico barriere, intese come ferite: ricordiamo a Bedi Papa Francesco continuano un percorso ini- tlemme il Muro; la divisione tra le due Coree per ziato l’8 luglio 2013, quando, per la sua prima vi- lui intesa come una ferita aperta; più di recente

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afferma il presidente della Cal – ci pacifica il cuore, ci mette nuovamente in cammino nonostante gli ostacoli e le cadute, ci riempie di gioia e speranza, ci incoraggia di fronte alle difficoltà ed alle sconfitte e ci fa diventare testimoni di misericordia laddove la Provvidenza di Dio ci ha destinato a servire Lui nei suoi figli più bisognosi”. Accogliere senza condizioni Il messaggio sottolinea anche che i missionari sono chiamati ad accogliere tutti senza imporre condizioni morali, per rendere partecipi tutti dell’amore di Dio che perdona, cura e salva, che dà senso alla vita e dona felicità, ricordando i “feriti nel corpo e nell’anima” – persone sole, donne maltrattate e abbandonate, anziani considerati di intralcio, i bambini privi di affetto e di educazione, i migranti e i rifugiati, disoccupati, le vittime della droga e della violenza Siate educatori e testimoni della misericordia Tre consigli chiudono il messaggio del card. Ouellet ai missionari spagnoli di servizio nell’America Latina: in primo luogo, essere disponibili, soprattutto nei confessionali per accogliere tante persone che si accostano al Sacramento del perdono e della riconciliazione. In secondo luogo, rafforzare la propria convinzione che predicare e offrire il perdono in un mondo così violento ed egoista non è un qualcosa di “angelico o illusorio”, come può sembrare, ma è una forza profetica, che trasforma il tessuto sociale e familiare, che suscita l’incontro e impregna di verità e d’amore i rapporti umani e le strutture sociali. Infine, il presidente della Cal chiama i missionari spagnoli a rinnovare l’amore filiale per la Madonna, Madre di Misericordia...

Card Ouellet: durante il Giubileo religiosi portino pace ai cuori iate educatori, testimoni e missionari della mi“ sericordia, consapevoli che il perdono e la ri-


la guarigione del confine tra Stati Uniti e Cuba; Ciudad Juarez e il viaggio nel Messico. Tutte le frontiere per lui sono un luogo in cui la misericordia di Dio si deve manifestare in funzione terapeutica, come guarigione”. Una narrativa che è anche un antidoto alla retorica dei fondamentalismi, per cui il mondo sarebbe a un passo dalla fine e in cui è necessario schierarsi “armi in mano” contro chi è diverso da noi. LUCIO CARACCIOLO DIRETTORE DELLA RIVISTA LImes

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l Papa ci invita a valutare la realtà del mondo per quella che è, senza abbellimenti, ma non per rassegnarci: per intuirla e ribellarsi a questa ideologia della guerra e della morte quasi come una forma di necessità storica. Si sta diffondendo una ideologia per cui saremmo alla fine del mondo e dovremmo quindi prepararci alla

battaglia finale: una battaglia violenta è quella che per esempio il sedicente Stato Islamico propaganda nelle sue riviste patinate. Questa è una ideologia deterministica, violenta, nulla a che vedere con quella misericordia di cui parla il Papa” PIETRO GRASSO PRESIDENTE DEL SENATO DELLA REPUBBLICA ITALIANA La “Terza guerra mondiale a pezzi” di cui ha parlato Papa Francesco di ritorno dalla Corea sarà inevitabile solo se si continuerà ad affrontare le crisi in modo “egoista, divisivo e disumano”. “Il ruolo del Papa è un ruolo importantissimo, perché la diplomazia della misericordia è quella che veramente può far riconciliare il mondo. Questo è il messaggio che riceviamo: in un mondo pieno di conflitti dobbiamo cercare di costruire – come dice lui – ‘ponti e non muri’. Alla misericordia del Papa, laicamente dobbiamo far ricorso alla solidarietà”.

Francesco: il peccato toglie la gioia il perdono di Dio ridona la belleza

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a cecità dello spirito impedisce di vedere il bene. Le tentazioni annebbiano e rendono miope il cuore. Ritroviamo la vista, perché la vita non dipende da quello che si ha. Lo ha detto Papa Francesco, venerdì pomeriggio 4 marzo durante la celebrazione penitenziale nella Basilica Vaticana per l'iniziativa "24 ore per il Signore", che si è svolta in tutto il mondo per far riscoprire il Sacramento della Riconciliazione durante la Quaresima. Che noi si possa vedere di nuovo dopo che i peccati ci hanno fatto perdere di vista il bene. E’ il Vangelo di Marco che Francesco ci dice di prendere quale testimonianza dal “grande valore simbolico” di come il peccato, così come fa la cecità che può condurre alla povertà e a vivere ai margini, possa impoverire e isolare, di come possa distogliere “dalla bellezza della nostra chiamata, facendoci invece errare lontano dalla meta”. La cecità dello spirito – ci dice il Papa – “impedisce di vedere l’essenziale, di fissare lo sguardo sull’amore che dà la vita; e conduce poco a poco alla volta a soffermarsi su ciò che è superficiale, fino a rendere insensibili agli altri e al bene”: "Quante tentazioni hanno la forza di annebbiare

la vista del cuore e di renderlo miope! Quanto è facile e sbagliato credere che la vita dipenda da quello che si ha, dal successo o dall’ammirazione che si riceve; che l’economia sia fatta solo di profitto e di consumo; che le proprie voglie individuali debbano prevalere sulla responsabilità sociale! Guardando solo al nostro io, diventiamo ciechi, spenti e ripiegati su noi stessi, privi di gioia e privi di libertà. E così brutto". E’ la presenza vicina di Gesù, che si ferma, che ci fa capire che lontani da lui “ci manca qualcosa di importante”. Quella Luce gentile che ci guarda “ci invita a non rimanere rinchiusi nelle nostre scure cecità” la sua presenza “ci fa sentire bisognosi di salvezza, e questo è l’inizio della guarigione del cuore”: "Purtroppo, come quei «molti» del Vangelo, c’è sempre qualcuno che non vuole fermarsi, che non vuole essere disturbato da chi grida il proprio dolore, preferendo far tacere e rimproverare il povero che dà fastidio (cfr v. 48)". Ecco quindi la tentazione di andare “avanti come se nulla fosse”, continua Francesco, rimanendo distanti dal Signore e tenendo lontani da Gesù anche gli altri. Riconosciamo dunque “di essere tutti 28


Il nostro è il ministero dell’accompagnamento, perché l’incontro con il Signore sia personale, intimo, e il cuore si possa aprire sinceramente e senza timore al Salvatore. Non dimentichiamo: è solo Dio che agisce in ogni persona. Nel Vangelo è Lui che si ferma e chiede del cieco; è Lui a ordinare che glielo portino; è Lui che lo ascolta e lo guarisce. Noi siamo stati scelti, noi pastori, per suscitare il desiderio della conversione, per essere strumenti che facilitano l’incontro, per tendere la mano e assolvere, rendendo visibile e operante la sua misericordia. Che ogni uomo e donna che si accosti al confessionale trovi un padre, trovi un padre che lo aspetta. Che trovi il padre che perdona". “Chi crede, vede” e va avanti con speranza, “perché sa che il Signore è presente, sostiene e guida”. "E dopo l’abbraccio del Padre, il perdono del Padre conclude Francesco - facciamo festa, nel nostro cuore, perché Lui fa festa!". Numerosi i fedeli che hanno partecipato alla celebrazione penitenziale nella Basilica di San Pietro. Tra loro anche tanti sacerdoti impegnati a confessare nelle parrocchie. Queste alcune testimonianze: Sapere che Dio ti ha perdonato, che c’è un Padre che veramente ti perdona, sempre e comunque, che è comunque disposto ad accompagnarti, ti cambia la vita: ti cambia radicalmente la vita! Sapere che tu puoi ricominciare, che ci sono delle braccia aperte che ti aspettano e degli occhi che ti amano, anche se hai sbagliato, è importantissimo! 29

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mendicanti dell’amore di Dio, e non lasciamoci sfuggire il Signore che passa”: "Questo Giubileo della Misericordia è tempo favorevole per accogliere la presenza di Dio, per sperimentare il suo amore e ritornare a Lui con tutto il cuore … buttiamo via, cioè, quello che impedisce di essere spediti nel cammino verso di Lui, senza paura di lasciare ciò che ci dà sicurezza e a cui siamo attaccati; non rimaniamo seduti, rialziamoci, ritroviamo la nostra statura spirituale, in piedi, la dignità di figli amati che stanno davanti al Signore per essere da Lui guardati negli occhi, perdonati e ricreati. E la parola forse che oggi arriva nel nostro cuore, è la stessa della creazione dell’uomo: 'Alzati!'. Dio ci ha creati in piedi: Alzati!'". Oggi, più che mai, soprattutto i Pastori – prosegue Francesco – sono “anche chiamati ad ascoltare il grido, forse nascosto, di quanti desiderano incontrare il Signore”: "Siamo tenuti a rivedere quei comportamenti che a volte non aiutano gli altri ad avvicinarsi a Gesù; gli orari e i programmi che non incontrano i reali bisogni di quanti si potrebbero accostare al confessionale; le regole umane, se valgono più del desiderio di perdono; le nostre rigidità che potrebbero tenere lontano la tenerezza di Dio". Non si devono “sminuire le esigenze del Vangelo”, avverte il Papa, ma non si può correre il rischio di “rendere vano il desiderio di riconciliarsi con il Padre, perché il ritorno a casa del figlio è ciò che il Padre attende prima di tutto”: "Siamo mandati ad infondere coraggio, a sostenere e condurre a Gesù.


Non dobbiamo mai stancarci di chiedere perdono fatto dei peccati, ho sbagliato”, ma sapere che si per i nostri errori. Questo deve darci lo sprone per può sempre ricominciare e che non è mai troppo poter fare della nostra vita un lavoro sempre più tardi. Questa è una cosa bellissima. bello. Quanto è importante vivere davvero la misericorCome ti chiami? dia nella Confessione? Alice. E’ fondamentale la misericordia nella Confessione. Alice, quanti anni hai? Se non vivessi io da penitente l’abbraccio d’amore, 11. l’incoraggiamento, la forza, che viene anche da quel riconoscere il tuo peccato, non avrebbe senso. Cosa vuol dire, per te, confessarsi? E’ fondamentale per tutta la vita. Proprio domani Per me è molto bello, perché quando mi confesso celebro i 50 anni di sacerdozio e concludo questi mi sento più vicina a Gesù e mi sento anche più miei 50 anni dicendo: “Confido nella tua miseribuona con gli altri. cordia, perché ne abbiamo bisogno. Senza, non possiamo andare avanti!”. Il Papa ci ha invitato a non avere paura quando sbagliamo, ma ad avvicinarci sempre di più, perché Il Papa vi ha invitato a donare tempo ai penitenti. il Signore passa sempre … Allora, in che modo ri- In che modo rispondere a questa sua esortazione? “Non essere frettolosi”, vi ha detto … spondere a questo suo incoraggiamento? Dobbiamo trovare il tempo per ascoltare. Oggi più Non aver paura di sbagliare, perché tanto è la no- che mai manca la dimensione dell’ascolto. Nelle stra realtà. Per cui di che aver paura? Certo l’affi- nostre parrocchie mettiamo degli orari generaldamento al Signore richiede anche la fede: fidarsi mente di servizio per questo ministero. Però, di Lui, fidarsi del fatto che sia buono. quando le persone vengono da noi, dobbiamo semParole bellissime, che ci danno speranza. Perché, pre tenere le porte aperte all’ascolto, per donare la qualche volta, uno guarda dentro di sé e dice “ho misericordia di Dio.

I confessori non siano di ostacolo alla misericordia di Dio

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confessori sono strumenti della misericordia di Dio, non pongano ostacoli a questo dono di salvezza: è quanto ha detto venerdì mattina 4 marzo 2016 Papa Francesco ai partecipanti al Corso promosso dalla Penitenzieria Apostolica a Roma per aiutare i nuovi sacerdoti ad amministrare bene il Sacramento della Riconciliazione. La misericordia – ha affermato – “è la scelta definitiva di Dio a favore di ogni essere umano per la sua eterna salvezza” e “può gratuitamente raggiungere tutti quelli che la invocano”: “Infatti la possibilità del perdono è davvero aperta a tutti, anzi è spalancata, come la più grande delle ‘porte sante’, perché coincide con il cuore stesso del Padre, che ama e attende tutti i suoi figli, in modo particolare quelli che hanno sbagliato di più e che sono lontani”. La misericordia del Padre – ha proseguito – “può rag-

giungere ogni persona in molti modi: attraverso l’apertura di una coscienza sincera; per mezzo della lettura della Parola di Dio che converte il cuore; mediante un incontro con una sorella o un fratello misericordiosi; nelle esperienze della vita che ci parlano di ferite, di peccato, di perdono e di misericordia”. Ma la “via certa” della misericordia, “percorrendo la quale si passa dalla possibilità alla realtà, dalla speranza alla certezza” è “Gesù, il quale ha «il potere sulla terra di perdonare i peccati» (Lc 5,24) e ha trasmesso questa missione alla Chiesa (cfr Gv 20,21-23). Il Sacramento della Riconciliazione è dunque il luogo privilegiato per fare esperienza della misericordia di Dio e celebrare la festa dell’incontro con il Padre”. Quindi ha aggiunto a braccio: “Noi dimentichiamo quest’ultimo, con tanta facilità: io vado, chiedo perdono, sento l’abbraccio del perdono e 30


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vivere in rendimento di grazie, pronto a riparare il male commesso e ad andare incontro ai fratelli con cuore buono e disponibile”. In questo tempo “segnato dall’individualismo, da tante ferite e dalla tentazione di chiudersi – ha rilevato il Pontefice - è un vero e proprio dono vedere e accompagnare persone che si accostano alla misericordia. Ciò comporta anche, per noi tutti, un obbligo ancora maggiore di coerenza evangelica e di benevolenza paterna; siamo custodi, e mai padroni, sia delle pecore, sia della grazia”. Papa Francesco, parlando a braccio, si è chiesto: “Cosa faccio se mi trovo in difficoltà e non posso dare l’assoluzione?”: “Cosa si deve fare? Ma prima di tutto cercare se c’è una strada: tante volte si trova. Secondo: non legarsi soltanto al linguaggio parlato, ma anche al linguaggio dei gesti. C’è gente che non può parlare e con il gesto dice il pentimento, il dolore. E terzo: se non può dare l’assoluzione, parlare come padre: ‘Ma senti, tu, per questo io non posso, ma posso assicurarti che Dio ti ama, che Dio ti aspetta! Preghiamo insieme alla Madonna, perché ti custodisca, e vieni, torna, perché io ti aspetterò come ti aspetta Dio’, e dare la benedizione. Così questa persona esce dal confessionale: ‘Ho trovato un padre e non mi ha bastonato’ … Ma quante volte avete sentito le gente che dice: ‘Io mai mi confesso, perché una volta sono andato e mi ha sgridato’”.

mi dimentico di fare festa. Ma, questa non è dottrina teologica – non c’entra – ma io direi, forzando un po’, che la festa è parte del Sacramento: è come se della penitenza è parte anche la festa che devo fare con il Padre che mi ha perdonato”. Il Papa ha poi aggiunto: “Quando, come confessori, ci rechiamo al confessionale per accogliere i fratelli e le sorelle, dobbiamo sempre ricordarci che siamo strumenti della misericordia di Dio per loro; dunque stiamo attenti a non porre ostacolo a questo dono di salvezza! Il confessore è, egli stesso, un peccatore, un uomo sempre bisognoso di perdono; egli per primo non può fare a meno della misericordia di Dio, che lo ha “scelto” e lo ha “costituito” (cfr Gv 15,16) per questo grande compito”. “Ogni fedele pentito, dopo l’assoluzione del sacerdote – ha osservato - ha la certezza, per fede” che i suoi peccati sono stati cancellati: “Ha la certezza che i suoi peccati non esistono più! Dio è onnipotente. A me piace pensare che ha una debolezza: una cattiva memoria. Una volta che Lui ti perdona, si dimentica. E questo è grande! I peccati non esistono più, sono stati cancellati dalla divina misericordia. Ogni assoluzione è, in un certo modo, un giubileo del cuore, che rallegra non solo il fedele e la Chiesa, ma soprattutto Dio stesso”. Il Papa ha sottolineato l’importanza “che il fedele, dopo aver ricevuto il perdono, non si senta più oppresso dalle colpe, ma possa gustare l’opera di Dio che lo ha liberato,


laici che sono andati per le strade ad invitare fedeli penitenti, ma anche persone incontrate per caso. Si è trattato di persone che sono normalmente molto attratte, interessate e disponibili ad avviare un percorso di riconciliazione. Questo è stato il segno che abbiamo raccolto in questi anni: il coraggio, la semplicità, la fiducia nel proporre il sacramento della Riconciliazione raccogliendo tante persone per ricominciare un cammino.

E ha concluso: “Anche nel caso limite, in cui io non posso assolvere, ma che senta il calore di un padre, eh? Che lo benedici. E semmai torni, torni … Anche che preghi un po’ con lui o con lei. Sempre questo: è il padre lì. E questa è festa pure e Dio sa come perdonare le cose meglio di noi, no? Ma, almeno noi, siamo l’icona del Padre”. Preghiera e riconciliazione Papa Francesco ha presieduto venerdì 4 marzo 2016 nella Basilica Vaticana la celebrazione penitenziale per l'iniziativa "24 ore per il Signore", che si è svolta in tutto il mondo per far riscoprire il Sacramento della Riconciliazione durante la Quaresima. Il Papa si è confessato e poi ha amministrato il sacramento della riconciliazione ad alcuni fedeli che erano presenti al rito di preghiera . In questa occasione, molte chiese nel mondo sono rimaste aperte ininterrottamente per consentire le confessioni. Sulla nascita di questa iniziativa, che ha assume un significato particolare durante il Giubileo della misericordia, don Luca Ferrari, consulente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione ha così commentato l’evento. È stato desiderio del Papa, che si era confrontato con mons. Fisichella, dar vita a questa idea di celebrare il venerdì prima della Domenica Laetare - la quarta domenica di Quaresima - un momento dedicato all’adorazione eucaristica e all’incontro con il Signore nella Riconciliazione. Questa proposta fin dall’inizio ha avuto un’accoglienza assolutamente insperata. Possiamo dire che oggi è una realtà mondiale. È difficile poter contare quante diocesi abbiano aderito, praticamente la grande maggioranza delle diocesi di tutto il mondo. Abbiamo ricevuto telefonate anche dall’Alaska, da tutti i luoghi più dispersi nei quali i sacerdoti, i vescovi, ma anche i semplici fedeli, hanno richiesto sussidi, strumenti per poterla celebrare adeguatamente.

Lei ha un’esperienza in questo campo - potremmo dire di sensibilizzazione - nei confronti del sacramento della Riconciliazione perché a lei fu affidato il compito di organizzare l’evento dedicato alla Confessione durante il grande Giubileo del 2000 che si svolse al Circo Massimo con una grandissima partecipazione di giovani … Fu da allora, appunto, che sono stato coinvolto, quasi risucchiato - in questi anni in particolare - dalle tante domande di sacerdoti, di giovani di tutte le parti di Italia che mi chiedono di organizzare incontri simili. Perché allora proponemmo di vivere il sacramento della Riconciliazione come un evento ecclesiale e come un momento di festa, così come vogliono evidentemente il Concilio Vaticano II e il Magistero della Chiesa, ma secondo una modalità che non è sempre così evidente nella celebrazione abituale della Confessione dove prevale magari un senso di mestizia, di isolamento, di solitudine. A partire dal quell’evento che riscosse un’incredibile partecipazione, già Giovanni Paolo II raccolse la voce di tanti cardinali e vescovi che si erano espressi proprio partecipando da vicino a questo evento, per rilanciare, riproporre il sacramento della Riconciliazione con maggiore fiducia, creatività - un’espressione molto singolare utilizzata per questo sacramento - e perseveranza. È in questo modo che nella sua lettera apostolica Novo millennio ineunte Giovanni Paolo II sigilla un po’ quell’esperienza. Da allora, di fatto, è stato richiesto un po’ dovunque di riproporre in questa modalità il sacramento della Riconciliazione, quindi coinvolgendo tutta la comunità che è destinataria e che è anche portatrice del dono della riconciliazione per tutti. Questo ancora oggi porta dei frutti molto significativi, pieni di fiducia e di speranza. I giovani che partecipano raccolgono molto di più di quello che hanno già nel cuore. Questo posso dirlo anch’io. Per la prima volta in una diocesi è stata fatta questa esperienza: più di mille persone si sono accostate al sacramento con file interminabili. Anche i laici che hanno dato la loro disponibilità per il servizio, sono usciti pieni di commozione, proprio tra le lacrime per la gioia della riconciliazione a cui hanno aderito personalmente nel cammino dei fratelli.

E concretamente, come si sono svolte queste celebrazioni nelle 24 ore? A Roma l’inizio è stato dato con la liturgia presieduta da Papa Francesco nella quale lui stesso, già alla prima edizione, ha voluto confessarsi per primo come segno, come testimonianza. Dopo la celebrazione del rito della penitenza in San Pietro, dove erano presenti più di 60 confessori, nella città di Roma il Pontificio Consiglio ha voluto che in tre luoghi in particolare, tre chiese, fosse disponibile un numero sufficiente di confessori per tutti i fedeli che vorranno accostarsi al sacramento. Oltre a questo – ed è forse il segno più evidente che si vuole lasciare – hanno collaborato con i sacerdoti tanti 32


Intervista a padre Rocco Rizzo “... E come penitenza fai la spesa per chi ha bisogno o paghi la bolletta ad una famiglia povera” dalla Città del Vaticano

NICOLA GORI GIORNALISTA DE L’OSSERVATORE ROMANO

L'Anno Santo della misericordia ha portato a un maggior afflusso di penitenti? ei primi giorni c'è stato un grande aumento di confessioni. Direi che questo fenomeno è durato dall'8 dicembre fino alla solennità dell'Epifania. In questi ultimi mesi, si è registrata una diminuzione, soprattutto delle persone provenienti da fuori l'Italia. Stiamo notando, infatti, che per il momento la maggioranza dei penitenti è di nazionalità italiana. Credo ciò sia dovuto all'allarme per gli attentati terroristici che ha influenzato molto l'arrivo dei turisti e di conseguenza dei pellegrini che vengono da altre nazioni. Ecco, perché i penitenzieri di lingua inglese, quest'anno hanno meno confessioni.

N

Quanti penitenti confessa in un mese? Posso dire che da dicembre a febbraio ho confessato circa 2.000 penitenti. La media nei giorni feriali è di circa 20-30 al giorno. La frequenza dipende da molti fattori, a cominciare dal tempo e dagli appuntamenti in basilica. Dipende anche dalle lingue parlate dai confessori. Io che parlo l'italiano e lo spagnolo ho una buona percentuale di fedeli che posso confessare. C'è da dire

CHI È Padre Rocco Rizzo rettore del Collegio dei Padri Penitenzieri Vaticani dei Frati Minori Conventuali, è nato a Ripacandida (Potenza), il 10 febbraio 1950. Professione solenne ad Assisi il 24 aprile 1976. Ordinazione sacerdotale il 30 dicembre 1976 a Ripacandida, per l’imposizione delle mani dell’arcivescovo Giuseppe Vairo. Ha compiuto gli studi filosofico-teologici presso la Facoltà Teologica San Bonaventura in Roma, dove ha conseguito il dottorato in Cristologia. Ha svolto i seguenti incarichi: Parroco e superiore del convento san Lorenzo Maggiore in Napoli; Direttore del Centro Liturgico Francescano (1982-1997); Collaboratore esterno presso la Nunziatura Apostolica delle Filippine (2000 -2001); Penitenziere ordin.ario della Basilica Papale di san Pietro dal 2003. Ha pubblicato: Giovanni Battista De La Salle e Gregorio Girard OFMConv. Due educatori a confronto (2003); Un giardino di delizie per il Signore’(2013); Don Giuseppe Gentile arciprete di Ripacandida apostolo della nostra terra (2015); il parroco santo di Ripacandida. Giovanni Battista Rossi, (2016) . E’ autore di articoli di interesse storico locale. E’ stato confessore al Conclave 2013 e dei partecipanti agli esercizi spirituali ad Ariccia negli anni 2015 e 2016.

anche che il sabato e la domenica le confessioni aumentano notevolmente, specialmente quando giungono molti gruppi di pellegrini soprattutto da Roma, in particolare le parrocchie che vengono in pellegrinaggio. In quel caso confesso almeno cinquantina fedeli. Ho notato che 33

rispetto all'anno scorso, la domenica c'è un maggior afflusso. I penitenzieri sono sempre gli stessi? In previsione dell'Anno santo, abbiamo aumentato il numero dei penitenzieri. Ai quattordici stabili che formano il Collegio in Vaticano, se ne sono aggiunti una trentina a disposizione. Sono frati minori conventuali che vengono da tutto il mondo. Stanno qui per un periodo almeno 5-6 mesi, alcuni anche tutto l'anno. Alloggiano nel collegio o presso la curia generalizia in piazza XII Apostoli. Con il loro aiuto, riusciamo a occupare normalmente quasi tutti i confessionali, specialmente nella fascia oraria dalle 10 alle 13. Per venire incontro alle esigenze dei


dare per penitenza più opere che preghiere. Come andare a trovare un ammalato, bussare alla porta, fare la spesa a un anziano, pagare una bolletta a chi mancano i soldi, accompagnare in chiesa una persona invalida. Questi sono segni di carità che il penitente dovrebbe compiere ogni giorno. penitenti, abbiamo anche cambiato l'orario: invece che dalle 9.30 alle 12,30 adesso facciamo dalle 10 alle 13. Nel pomeriggio dalle 15.30 alle 18.30. Questo turno vale fino all'entrata in vigore dell'ora legale, poi rimarremo disponibili fino alle 19.

Siete anche voi missionari della misericordia? Per questo Anno santo abbiamo avuto le stesse concessioni dei Missionari della Misericordia. La Penitenzieria Apostolica ci ha concesso le stesse facoltà che il Papa ha dato ai missionari della misericordia. Tra queste facoltà Il Papa nei suoi discorsi ha trac- ricordo la violazione del sigillo ciato l'identikit del confessore. sacramentale, la profanazione Noi ci troviamo perfettamente dell'Eucaristia, la confessione del con quello che dice Papa France- complice e la violenza al Papa. sco: esprimere fraternità, saper Tra i peccati riservati, rimane accogliere, prima di tutto con il esclusa l'ordinazione di un vesorriso, con la gioia nel cuore. scovo senza il mandato del Papa. Durante la celebrazione della penitenza di martedì, 4 marzo, ha Cos'è la misericordia per la gente? ripetuto che la confessione è La gente è vicina al tema della anche una festa. Noi accogliamo misericordia, però poi non trail penitente e lo ascoltiamo, aiu- duce in opere quello in cui crede. tandolo a fare una buona confes- Molte volte, non vogliono chiesione, perché ci sono delle dere il perdono a qualcuno a cui confessioni “pesanti”. Alcuni hanno fatto del male. Mi riferivengono da noi dopo 30 o 40 sco in particolare ad coniugi seanni che non si confessano. E' parati o divorziati. Fanno fatica a una caratteristica che abbiamo perdonare l'uno, l'altra. Rimane notato in questi ultimi tempi. Mi sempre qualcosa. Si dicono disono capitate tante persone che sponibili a perdonare, ma non hanno ascoltato le parole del riescono a dimenticare le offese. Papa e si sono ricordati che 30 o Direi però che in linea di mas40 anni fa avevano commesso sima, la gente ha dei buoni proqualcosa di grave e hanno avver- positi per ascoltare la parola del tito il bisogno di confessarlo. In Papa e sono disponibili a impeparticolare, mi sono capitate delle gnarsi nel sociale, attraverso le donne che avevano compiuto un opere di volontariato. aborto e si portano dietro una ferita aperta che non si chiude mai. Sono cambiate anche le peniAnche se hanno già confessato il tenze? peccato, vogliono riconfessarlo. Rispetto al passato, preferiamo 34

Vi sono momenti in cui non è facile fare il confessore? C'è gente impreparata che non ha il minimo senso del peccato e non sa nemmeno cosa siano e quali sono i peccati. Noi cerchiamo di aiutarli nei limiti del possibile. C'è anche un altro problema: molti vengono da noi, ma non sono nemmeno battezzati. Vogliono confessarsi anche per vedere di cosa si tratta. Questo fenomeno riguarda soprattutto gli esteri. In Italia questo per adesso non si nota, perché esiste ancora una preparazione ai sacramenti che funziona. Spesso però manca la frequenza ai sacramenti. Infatti, quando si presentano alcuni giovani e gli chiediamo da quanto tempo non si confessano, la risposta è dai momenti principali della vita cristiana: dalla prima comunione o dal matrimonio. Avete un modello di confessore? Ai nostri giorni, ricordo il gesuita Felice Maria Cappello, morto a Roma nel 1962 che per oltre quaranta anni confessò centinaia di penitenti nella chiesa di Sant'Ignazio. Per i tempi passati, mi piace ricordare anche un nostro frate, il beato Bonaventura da Potenza, ( 1651-1711), sepolto a Ravello, gemma della divina Costiera chiamato l'apostolo delle confessioni.


Kasper: evangelizza la Chiesa dalla mano tesa, non del dito puntato

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olo una Chiesa dalla mano tesa e non del dito puntato può riannunciare con forza il Vangelo al mondo di oggi: è quanto ha detto il cardinale Walter Kasper al Congresso apostolico europeo della Misericordia che si sta svolgendo nella Basilica romana di Sant’Andrea della Valle. Le colpe dei cristiani Se Dio è diventato uno straniero soprattutto in Europa e nel nostro mondo occidentale – ha detto il cardinale Kasper - “i cristiani hanno una certa colpevolezza” perché “parlano spesso di Dio in un modo che non corrisponde esattamente al Vangelo, la Buona Notizia; parlano spesso non di Dio, che è un Vangelo, ma di un Dio che fa paura, minaccia, punisce”. E' il tempo della misericordia “Oggi – affermava già Papa Giovanni XXIII - è venuto il tempo non delle armi del rigore, ma della medicina della misericordia”. “Oggi - dice Papa Francesco - è il tempo della misericordia. nostre regole di giustizia, Egli è legato solo a se La Chiesa oggi è chiamata essere un ospedale di stesso e alla sua carità”. “Senza la misericordia la campo”. somma giustizia può diventare somma ingiustizia. Dove non c’è misericordia vivono i demoni, Misericordia non è buonismo ha detto Dostoevskij”. Ma “sarebbe una semplificazione o meglio, un grave fraintendimento – osserva il cardinale Ka- Una Chiesa dalla mano tesa sper - opinare che la misericordia sia solo un La misericordia – ribadisce il cardinale Kasper – certo buonismo, e dia testimonianza di un Dio non è semplice buonismo, ma incontrare Gesù per così dire solo gentile e innocuo, che non “nei poveri, negli affamati, assetati, rifugiati, e in prende sul serio il male e i peccati. Non si può tutti i miei fratelli e sorelle bisognosi”. I santi appiattire il concetto di misericordia” facendolo sono quelli che hanno preso sul serio la miserisfociare in “un cristianesimo a buon mercato”. cordia di Dio. E conclude: “Se la Chiesa non è Pertanto “è del tutto errato mettere in contrasto richiusa in se stessa, una chiesa solo per un’élite, verità e misericordia come alcuni fanno”, perché che si crede il Resto santo, che si distacca dalla “la misericordia non toglie le verità della fede, massa cosiddetta perduta, ma una Chiesa dalle anzi le fonda”. porte aperte, soprattutto una chiesa povera per i poveri, una Chiesa in uscita, una chiesa missioDove non c’è misericordia vivono i demoni naria, che sa che non è possibile parlare di Dio, “La misericordia – rileva ancora il porporato - ci il cui nome è misericordia, senza vivere la miseapre la strada per la nuova evangelizzazione” e ricordia”, se non è una Chiesa “del dito morale “ci porta all’aggiornamento dell’annuncio del alzato, ma dalla mano tesa”, solo allora “potrà irVangelo”. “Con la sua misericordia Dio è fedele radiare un raggio di luce e di calore nel nostro - e cioè giusto - a se stesso. Dio non è legato alle mondo”. 35


“Lasciatevi riconciliare con Dio” da Roma

PADRE RANIERO CANTALAMESSA PREDICATORE DELLA CASA PONTIFICIA

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io ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione […].Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio. Poiché siamo suoi collaboratori, vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio. Egli dice infatti: ‘Al momento favorevole ti ho esaudito e nel giorno della salvezza ti ho soccorso’. Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza! (2 Cor 5, 18-6,2). L’appello dell’Apostolo a riconciliarsi con Dio non si riferisce alla riconciliazione storica, avvenuta sulla croce; non si riferisce neppure alla riconciliazione sacramentale che avviene nel battesimo e nel sacramento della riconciliazione; si riferisce una riconciliazione esistenziale e personale da attuare nel presente. L’appello è rivolto ai cristiani di Corinto che sono battezzati e vivono da tempo nella Chiesa; è rivolto, perciò, anche a noi, ora e qui. “Il momento favorevole, il giorno della salvezza” è, per noi, l’anno della misericordia che stiamo vivendo. Ma che significa, in senso esistenziale e psicologico, riconciliarsi con Dio? Una delle cause, forse

la principale, dell’alienazione dell’uomo moderno dalla religione e dalla fede è l’immagine distorta che esso ha di Dio. Qual è l’immagine “predefinita” di Dio nell’inconscio umano collettivo? Basta, per scoprirlo, porsi questa domanda: “Quali associazione di idee, quali sentimenti e quali reazioni sorgono in te, prima di ogni riflessione, quando, nella preghiera del Padre nostro, arrivi a dire: “Sia fatta la tua volontà”? Chi lo dice, è come se chinasse interiormente la testa rassegnato, preparandosi al peggio. Inconsciamente, si collega la volontà di Dio con tutto ciò che è spiacevole, doloroso, a ciò che, in un modo o nell’altro, può essere visto come mutilante la libertà e lo sviluppo individuali. È un po’ come se Dio fosse nemico di ogni festa, gioia, piacere. Un Dio arcigno e inquisitore. Dio è visto come l’Essere supremo, il Signore del tempo e della storia, cioè come un’entità e una legge che si impone all’individuo dall’esterno; nessun particolare della vita umana gli sfugge. L’uomo carnale ha le sue concupiscenze; desidera il piacere, il potere, il denaro, la roba d’altri, la donna d’altri. In questa situazione, Dio gli appare come colui che gli sbarra la strada con i suoi “Tu devi”, “tu non devi”. Anziché una volontà d’amore che vuole solo la felicità dell’uomo, la volontà di Dio, 36


gli appare come una volontà ostile. All’origine di tutto c’è l’idea di Dio “rivale” dell’uomo che il serpente instillò nel cuore di Adamo ed Eva e che alcuni pensatori moderni si incaricano di tenere in vita, affermando che “dove nasce Dio muore l’uomo” (Sartre). Certo, non si è mai ignorata, nel cristianesimo, la misericordia di Dio! Ma ad essa si è affidata soltanto l’incombenza di moderare gli irrinunciabili rigori della giustizia. La misericordia era l’eccezione, non la regola. L’anno della misericordia è l’occasione d’oro per riportare alla luce la vera immagine del Dio biblico che non solo fa misericordia, ma è misericordia. Questa affermazione ardita si basa sul fatto che “Dio è amore” (1 Gv 4, 8.16). Solo nella Trinità, Dio è amore, senza essere misericordia. Che il Padre ami il Figlio, non è grazia o concessione; è necessità; egli ha bisogno di amare per esistere come Padre. Che il Figlio ami il Padre, non è misericordia o grazia; è necessità, anche se liberissima; egli ha bisogno di essere amato e di amare per essere Figlio. Lo stesso si deve dire dello Spirito Santo che è l’amore fatto persona. È quando crea il mondo e in esso delle creature libere che l’amore di Dio cessa di essere natura e diventa grazia. Questo amore è una libera concessione, potrebbe non esserci; è �esed, grazia e misericordia. Il peccato dell’uomo non cambia la natura di questo amore, ma provoca in esso un salto di qualità: dalla misericordia come dono si passa alla misericordia come perdono. Dall’amore di semplice donazione, si passa a un amore di sofferenza, perché, misteriosamente, Dio soffre di fronte al rifiuto del suo amore. “Ho allevato e fatto crescere figli, dice Dio, ma essi si sono ribellati contro di me” (Is 1, 2). Chiediamo a tanti padri e a tante madri che ne hanno fatto l’esperienza, se questa non è sofferenza, e tra le più amare della vita. E che ne è della giustizia di Dio? È, essa, dimenticata, o sottovalutata? A questa domanda ha risposto una volta per tutte san Paolo. Egli inizia la sua esposizione, nella Lettera ai Romani, con una notizia: “Ora si è manifestata la giustizia di Dio” (Rom 3, 21). Ci domandiamo: quale giustizia? Quella che dà “unicuique suum”, a ognuno il suo, che distribuisce, cioè, premi e castighi secondo i meriti? Ci sarà, certo, un tempo in cui si manifesterà anche questa giustizia di Dio. Dio, infatti, ha scritto poco prima l’Apostolo,“renderà a ciascuno secondo le sue opere: la vita eterna a coloro che, perseverando

nelle opere di bene, cercano gloria, onore, incorruttibilità; ira e sdegno contro coloro che, per ribellione, disobbediscono alla verità e obbediscono all’ingiustizia” (Rom 2, 6-8). Ma non è di questa giustizia che l’Apostolo parla quando scrive: “Ora si è manifestata la giustizia di Dio”. Il primo è un evento futuro, questo un evento in atto, avviene “ora”. Se così non fosse, quella di Paolo sarebbe una affermazione assurda, smentita dai fatti. Dal punto di vista della giustizia retributiva, nulla è cambiato nel mondo con la venuta di Cristo. Si continuano, diceva Bossuet , a vedere spesso i colpevoli sul trono e gli innocenti sul patibolo; ma perché non si creda che c’è al mondo una qualche giustizia e un qualche ordine fisso, seppure rovesciato, ecco che a volte si vede il contrario, e cioè l’innocente sul trono e il colpevole sul patibolo. Non è, perciò, in questo che consiste la novità recata da Cristo. Ascoltiamo ciò che dice l’Apostolo:“Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, in virtù della redenzione realizzata da Cristo Gesù. Dio lo ha prestabilito a servire come strumento di espiazione per mezzo della fede, nel suo sangue, al fine di manifestare la sua giustizia, dopo la tolleranza usata verso i peccati passati nel tempo della divina pazienza. Egli manifesta la sua giustizia nel tempo presente, per essere giusto e giustificare chi ha fede in Gesù” (Rm 3, 23-26). Dio si fa giustizia, facendo misericordia! Ecco la grande rivelazione. L’Apostolo dice che Dio è “giusto e giustificante”, cioè è giusto con se stesso, quando giustifica l’uomo; egli, infatti, è amore e misericordia; per questo fa giustizia a se stesso – cioè, si dimostra veramente per quello che è – quando fa misericordia. Non si capisce nulla di tutto ciò, se non si comprende cosa vuol dire, esattamente, l’espressione “giustizia di Dio”. C’è il pericolo che uno senta parlare di giustizia di Dio e, non conoscendone il significato, anziché incoraggiato, ne resti spaventato. Sant’Agostino lo aveva già spiegato chiaramente: “La ‘giustizia di Dio’, scriveva, è quella per la quale, per sua grazia, noi diventiamo giusti, esattamente come ‘la salvezza del Signore’ (Sal 3,9) è quella per la quale Dio salva noi” . In altre parole, la giustizia di Dio è l’atto mediante il quale Dio rende giusti, a lui graditi, quelli che credono nel Figlio suo. Non è un farsi giustizia, ma un fare giusti. 37


Lutero ha avuto il merito di riportare alla luce questa verità, dopo che per secoli, almeno nella predicazione cristiana, se ne era smarrito il senso. E’ di questo soprattutto che la cristianità è debitrice alla Riforma, di cui il prossimo anno ricorre il quinto centenario. “Quando scoprii questo, scrisse più tardi il riformatore, mi sentii rinascere e mi pareva che si spalancassero per me le porte del paradiso” .Ma non sono stati né Agostino né Lutero a spiegare così il concetto di “giustizia di Dio”; è la Scrittura che lo ha fatto prima di loro: “Quando si sono manifestati la bontà di Dio e il suo amore per gli uomini, egli ci ha salvati, non in virtù di opere di giustizia da noi compiute, ma per sua misericordia” (Tt 3, 4-5). “Dio ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccato, ci ha fatto rivivere con Cristo, per grazia siete stati salvati” (Ef 2, 4) . Dire perciò: “Si è manifestata la giustizia di Dio”, è come dire: si è manifestata la bontà di Dio, il suo amore, la sua misericordia. La giustizia di Dio, non solo non contraddice la sua misericordia, ma consiste proprio in essa! Cosa è avvenuto sulla croce di tanto importante

da giustificare questo cambiamento radicale nei destini dell’umanità? Nel suo libro su Gesú di Nazareth, Benedetto XVI ha scritto: “L’ingiustizia, il male come realtà non può semplicemente essere ignorato, lasciato stare. Deve essere smaltito, vinto. Questa è la vera misericordia. E che ora, poiché gli uomini non ne sono in grado, lo faccia Dio stesso – questa è la bontà incondizionata di Dio” . Già Sant’Anselmo d’Aosta (1033-1109), che più di tutti ha riflettuto sul rapporto tra giustizia e misericordia, scriveva: “Quale condotta può essere più misericordiosa di quella del Padre che dice al peccatore condannato ai tormenti eterni e privo di ciò che potrebbe salvarlo: “Prendi il mio Unigenito e offrilo per te”?” . Dio, non si è accontentato di perdonare i peccati dell’uomo; ha fatto infinitamente di più; li ha presi su di sé, se li è addossati. Il Figlio di Dio, dice Paolo, “si è fatto peccato a nostro favore”. Parola terribile! Già nel medioevo c’era chi trovava difficile credere che Dio esigesse la morte del Figlio per riconciliare a se il mondo. San Bernardo gli rispondeva: “Non fu la morte del Figlio che piacque a Dio, la sua volontà di morire spontanea38


mente per noi”: “Non mors placuit sed voluntas sponte morientis.” . Non la morte, ma l’amore ci ha salvati! L’amore di Dio ha raggiunto l’uomo nel punto più lontano in cui si era cacciato fuggendo da lui, e cioè nella morte. La morte di Cristo doveva apparire a tutti come la prova suprema della misericordia di Dio verso i peccatori. Ecco perché essa non ha neppure la maestà di una certa solitudine, ma viene inquadrata in quella di due briganti. Gesù vuole restare amico dei peccatori fino alla fine, per questo muore come loro e con loro. E’ ora di renderci conto che l’opposto della misericordia non è la giustizia, ma la vendetta. Gesù non ha opposto la misericordia alla giustizia, ma alla legge del taglione: “Occhio per occhio, dente per dente”. Perdonando i peccati, Dio non rinuncia alla giustizia, rinuncia alla vendetta; non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva (cf. Ez 18, 23). Gesù sulla croce non ha chiesto al Padre di vendicare la sua causa. L’odio e la ferocia degli attentati terroristici di questa settimana a Bruxelles ci aiutano a capire la forza divina racchiusa in quelle ultime parole di Cristo: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23, 34). Per quanto lontano possa spingersi l’odio degli uomini, l’amore di Dio è stato, e sarà, sempre più forte. A noi è rivolta, nelle presenti circostanze, l’esortazione dell’apostolo Paolo: “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene” (Rom 12, 21). Dobbiamo demitizzare la vendetta! Essa è diventata un mito pervasivo che contagia tutto e tutti, a cominciare dai bambini. Gran parte delle storie portate sullo schermo e dei giochi elettronici sono storie di vendetta, spacciate per vittoria dell’eroe buono. Metà, se non più, della sofferenza che c’è nel mondo (quando non si tratta di mali naturali) viene dal desiderio di vendetta, sia nei rapporti tra le persone che in quelli tra gli stati e i popoli. È stato detto che “il mondo sarà salvato dalla bellezza” ; ma la bellezza può anche portare alla rovina. C’è una sola cosa che può salvare davvero il mondo, la misericordia! La misericordia di Dio per gli uomini e degli uomini tra di loro. Essa può salvare, in particolare, la cosa più preziosa e più fragile che c’è, in questo momento, nel mondo, il matrimonio e la famiglia. Avviene nel matrimonio qualcosa di simile a quello che è avvenuto nei rapporti tra Dio e l’umanità, che la Bibbia de-

scrive, appunto, con l’immagine di uno sposalizio. All’inizio di tutto, dicevo, c’è l’amore, non la misericordia. Questa interviene soltanto in seguito al peccato dell’uomo. Anche nel matrimonio, all’inizio non c’è la misericordia, ma l’amore. Non ci si sposa per misericordia, ma per amore. Ma dopo anni, o mesi, di vita insieme, emergono i limiti reciproci, i problemi di salute, di finanze, dei figli; interviene la routine che spegne ogni gioia. Quello che può salvare un matrimonio dallo scivolare in una china senza risalita è la misericordia, intesa nel senso pregnante della Bibbia, e cioè non solo come perdono reciproco, ma come un “rivestirsi di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine e di magnanimità” (Col 3, 12). La misericordia fa sì che all’eros, si aggiunga l’agape, all’amore di ricerca, quello di donazione e di con -passione. Dio “si impietosisce” dell’uomo (Sal 102, 13): non dovrebbero marito e moglie impietosirsi l’uno dell’altro? E non dovremmo, noi che viviamo in comunità, impietosirci gli uni degli altri, anziché giudicarci? Preghiamo: Padre celeste, per i meriti del Figlio tuo che sulla croce “si è fatto peccato” per noi, fa’ cadere dal cuore delle persone, delle famiglie e dei popoli, il desiderio di vendetta. Fa’ che l’intenzione del Santo Padre nel proclamare questo anno santo della misericordia, trovi una risposta concreta nei nostri cuori e faccia sperimentare a tutti la gioia di riconciliarsi con te nel profondo del cuore.

1.Jacques-Bénigne Bossuet, “Sermon sur la Providence” (1662), in Oeuvres de Bossuet, eds. B. Velat and Y. Champailler (Paris: Pléiade, 1961), p. 1062. 2.S. Agostino, Lo Spirito e la lettera, 32,56 (PL 44, 237). 3.Martin Lutero, Prefazione alle opere in latino, ed . Weimar, 54, p.186. 4.Cf. J. Ratzinger – Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, II Parte, Libreria Editrice Vaticana 2011, pp. 151. 5.S. Anselmo, Cur Deus homo?, II, 20. 6.S. Bernardo di Chiaravalle, Contro gli errori di Abelardo, 8, 21-22 (PL 182, 1070). 7.F. Dostoevskij, L’Idiota, parte III, cap.5. http://www.cantalamessa.org/?p=3050 39


Le opere di misericordia corporale

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n occasione dell'indizione da parte di Papa Francesco dell'Anno Santo della Misericordia, l'Associazione Scienza & Vita partecipa con un contributo di riflessione sulle opere di misericordia corporali e spirituali. Le opere, assegnate una per ciascuno, sono state narrate e interpretate nei testi, in maniera personale e originale, dai membri del consiglio esecutivo dell'associazione con la partecipazione di don Ivan Maffeis, sottosegretario Cei e direttore dell'ufficio comunicazione sociale Cei.

EMANUELA LULLI GINECOLOGA, BIOETICISTA

1.Dar da mangiare agli affamati

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isericordia è amore che si china sulla miseria e sulla povertà umana, e ciascuna situazione di povertà è per noi cristiani un chairòs di misericordia. La società moderna tecnico-scientifica ha indubbiamente prodotto benessere e ricchezza ed ha tolto all’uomo tante miserie attraverso, ad esempio, le reti di assistenza socio-sanitaria e di previdenza; nel contempo però ha anche accentuato quelle forme di divario sociale ed economico che ancora oggi, nonostante tutto, sono presenti nelle nostre realtà. La fame, ovvero la mancanza di cibo e la difficoltà a procurarselo, è certamente molto diffusa in ampie aree del pianeta, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, ma gravi sacche di povertà sono presenti anche nel nostro mondo occidentale opulento: così accanto agli sprechi e alla insorgenza sempre più massiccia di malattie metaboliche legate all’eccesso alimentare, coesistono anche nelle nostra città ampie fasce di popolazione che non riescono ad alimentarsi correttamente. Attualizzare oggi l’opera di misericordia “dar da mangiare agli affamati” significa in primo luogo, ridurre gli sprechi alimentari (se è vero, come è vero, che ogni anno vengono sprecati 1,3 miliardi di tonnellate di cibo prodotto per il consumo umano!) per garantire una equa distribuzione ed accesso al cibo da parte di tutti: anche papa Francesco ce lo ha ricordato già in una sua catechesi pochi mesi dopo l’inizio del suo pontificato, quando ha affermato: “il cibo che si butta via è come se lo si rubasse dalla mensa del povero” (Insegnamenti di Papa Francesco, Catechesi, 5 giugno 2013, p.280. Cfr. Enciclica Laudato sì, 24 maggio 2015,p. 280). Il cibo come l’acqua sono elementi fondamentali

per la sopravvivenza delle persone, ma sono nel contempo il “presupposto” per la emancipazione e la promozione dei popoli e delle singole persone. La difficoltà ad accedere al cibo comporta concomitantemente la difficoltà, o talora la impossibilità, ad accedere alla istruzione, alle cure sanitarie, al lavoro e alla piena socializzazione. È per questo che anche in sede socio-politica l’impegno per garantire l’accesso al cibo deve essere sempre attivo. L’evento culturale del 2015, l’Expo, centrata proprio sul cibo, ha lasciato quale eredità “politica” la Carta di Milano, dove sono indicati i punti-cardine per una corretta ridistribuzione delle risorse alimentari, con l’impegno a sconfiggere la fame entro il 2030. È necessario anzitutto “individuare e denunciare le principali criticità nelle varie legislazioni che disciplinano la donazione degli alimenti invenduti per poi impegnarci attivamente al fine di recuperare e ridistribuire le eccedenze”; in secondo luogo dobbiamo impegnarci per “promuovere l’educazione alimentare e ambientale in ambito familiare per una crescita consapevole delle nuove generazioni”. E proprio verso le nuove generazioni la promessa di un impegno forte: “affermiamo la responsabilità della generazione presente nel mettere in atto azioni, condotte e scelte che garantiscano la tutela del diritto al cibo anche per le generazioni future”. È in qualche modo la traduzione in chiave “alimentare” di quelle preoccupazioni che, all’inizio degli anni ’70, avevano indotto Potter ad identificare nella bioetica – la nuova inter-disciplina che andava ad affacciarsi alla riflessione etico-filosofica applicata alle scienze biologiche e sociali. 40


SCIENZA&VITA

2. Dar da bere agli assetati

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del loro reddito per l’acqua; oppure a Onitsha, in Nigeria, dove si arriva al 18%! In altre zone, come Karachi, Port au Prince, o Jakarta, l’acquedotto pubblico ancora non arriva, con la conseguenza per la popolazione – per lo segnata dalla povertà - di dover acquistare l’acqua trasportata dalle autobotti, con un costo 25-30 volte superiore a quello dell'acqua di rete. Un gravissimo problema, dunque, che rischia di compromettere un futuro di pace e di sviluppo, essendo di tutta evidenza come la possibilità di accedere ad una sicura, pulita e sufficiente fonte di acqua dolce sia un requisito fondamentale per la sopravvivenza, il benessere e lo sviluppo socio-economico di tutta l’umanità. Ma c'è di più. La riserva idrica è in drammatico calo per la crescita dei consumi, che nell’ultimo secolo sono decuplicati a causa dell’aumentata pressione demografica, dell’agricoltura intensiva, dell’industrializzazione e dell’urbanizzazione. Basti pensare che, in 50 anni, la disponibilità d’acqua è diminuita di tre quarti in Africa e di due terzi in Asia. E per il futuro? Per ora, nulla di promettente. Almeno secondo il parere di un gruppo internazionale di oltre 900 esperti del settore, che prevede entro il 2050 una seria crisi globale, a causa dell'aumento planetario della domanda di acqua, dovuto al crescente bisogno di essa da parte dell'industria manufatturiera, dei processi di generazione dell'elettricità e dell'uso domestico. L'acqua, sul nostro pianeta, è un bene di tutti, una risorsa della natura per il bene comune. Eppure ne abbiamo fatto strumento di discriminazione e sfruttamento fra uomo e uomo, fra popolo e popolo. "Dar da bere agli assetati", allora, più che un gesto di misericordia, si impone oggi come opera urgenza di giustizia! Una decisione che spetta anzitutto alla politica e ai potenti della terra, ma che – nel proprio piccolo raggio d'azione – ciascuno di noi può contribuire a realizzare, magari cominciando a curare, con maggiore impegno e responsabilità, un uso corretto e parsimonioso dell'acqua, nel proprio vivere quotidiano, evitando sprechi e superficialità. Anche questo può esser un modo reale per impegnarsi a "dar da bere agli assetati" che, ancora oggi, sono tanti, troppi!

’esperienza del Giubileo straordinario della Misericordia continua a coinvolgere, in tutto il mondo ogni giorno migliaia di credenti Tra i possibili mezzi – suggeriti direttamente da Papa Francesco – a cui ricorrere per vivere in modo più autentico e fruttuoso lo spirito di questo Evento, facendo esperienza concreta del dono reciproco della misericordia, vi è la riscoperta e messa in pratica delle tradizionali “opere di misericordia”, tanto quelle spirituali quanto quelle corporali. Tra queste ultime, il compito di “dar da bere agli assetati”. Ma è ancora possibile, oggi, considerare questo gesto come espressione significativa di misericordia e condivisione umana? Nel nostro contesto contemporaneo, può rappresentare ancora un impegno etico qualificante, ben oltre uno sbrigativo segno di carità spicciola? Ecco che, subito, verrebbe voglia di portarci su un piano differente, più elevato, traducendo per analogia quest'opera di misericordia a livello spirituale. In questa prospettiva, "la sete" da placare sarebbe allora quella conseguente all'aridità dell'anima, alla povertà della vita interiore che affligge ciascuno di noi, in tanti frangenti della vita. Anche questo un impegno misericordioso, sicuramente importante e necessario. Ma, paradossalmente – e non senza un certo senso di vergogna - dobbiamo purtroppo rimanere con i piedi per terra e riconsiderare il valore del "dar da bere agli assetati" nel suo senso più concreto e materiale. Ora, più che in passato,i freddi dati statistici dipingono un'impietosa situazione di ingiustizia sociale a livello planetario, proprio a causa del… "non dare da bere agli assetati"! Ad un miliardo e 800 milioni di persone nel mondo, infatti, è ancora negato l’accesso all’acqua potabile: il controllo e la distribuzione delle risorse idriche stanno alimentando nuovi conflitti tra Nord e Sud del mondo. Mentre, complessivamente, il 20% più ricco della popolazione mondiale, ovviamente concentrato nei paesi industrializzati, consuma ben il 58% dell’acqua disponibile. Il problema continua a rivestire proporzioni drammatiche soprattutto in alcune regioni dell'Africa e dell'Asia. Per esempio ad Addis Abeba, in Etiopia, o a Ukunda, in Kenya, dove i poveri spendono circa il 9%

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speciale opere di misericorida

MAURIZIO CALIPARI


DANIELA NOTARFONSO MEDICO, BIOETICISTA

3. Vestire gli ignudi

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a persona è una uni-dualità di corpo e spirito, come dice Giovanni Paolo II, che vede nella corporeità l’espressione visibile della sua realtà complessa; il corpo è il luogo in cui e attraverso cui la persona prova sensazioni ed emozioni, si comunica ed entra in rapporto con la realtà e con gli altri. Il rispetto e la cura del corpo sono, per questo, segno ed espressione della cura e del rispetto della persona, delle sue dimensioni più profonde. Il corpo esprime con la sua presenza una domanda di relazione, di aiuto, chiama alla responsabilità (come dice chiaramente Lévinas), proprio per questo, però, può anche esprimere o essere strumento o luogo di violenza, sopraffazione, cosificazione, mercificazione. Nel suo “Uno psicologo nel lager” Viktor Frankl descrive il processo di spersonalizzazione dei prigionieri dei campi di concentramento, che avveniva anche attraverso la loro svestizione, come segno di ulteriore sottrazione della loro dignità. Un fenomeno totalmente diverso, ma segno dello stesso processo di svalutazione della persona, è l’uso sistematico del corpo nudo delle donne nelle pubblicità e negli show televisivi dove, anche se attraverso l’apparente esaltazione della bellezza, si sottrae dignità alle donne (ultimamente ciò sta cominciando ad accadere anche per gli uomini, raggiungendo così una ben triste parità) considerate solo corpo, carne in vendita. È anche per questo che “vestire gli ignudi” è un’opera di misericordia corporale: la restituzione della dignità alla persona e quindi al suo corpo che va coperto e custodito come bene prezioso, quale esso è. Un altro aspetto strettamente connesso con questa opera di misericordia è la custodia di un sentimento tipico dell’uomo: il senso del pudore. Esso, come afferma il Catechismo della Chiesa cattolica “preserva l'intimità della persona”(num. 2521) e “custodisce il mistero delle persone e del loro amore”(num. 2522); è una sorta di protesta, di legittima difesa contro il

tentativo di “reificazione” innestato dallo sguardo o dall’atteggiamento aggressivo altrui, che può ridurre il corpo ad oggetto, facendo sentire il soggetto come essere che ha un corpo, ridotto a brutta fisicità, negando quasi il diritto di essere il proprio corpo. Coprire un corpo nudo è gesto di cura e protezione, espressione alta di rispetto per la persona, che può e deve mostrare la propria intimità solo quando è in una relazione di fiducia e amore, accoglienza e dono. Nel capitolo sesto del Vangelo di Matteo, il cibo e il vestito sono riconosciuti come bisogni primari per l’uomo, ma proprio per questo vengono presentati come luogo della premura di Dio per la sua creatura e per il suo bene. Come “gli uccelli del cielo e i gigli del campo”, Dio nutre e veste i figli dell’uomo che possono sperimentare, nel soddisfacimento di questi bisogni, la sua Provvidenza e il suo Amore. Compiere quest’opera di misericordia corporale concede all’uomo il privilegio di farsi strumento della provvidenza divina, segno del suo Amore di Padre, che in tal modo aiuta l’uomo a far risplendere nel suo corpo e sul suo volto la dignità e la bellezza, riflesso della immagine di Dio impressa nella persona umana fin dalla creazione, e quindi nella sua corporeità. 42


DIRIGENTE, MEDICO LEGALE, ASUR MARCHE, AREA VASTA N.1 - PESARO

4. Accogliere i forestieri

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’opera di misericordia corporale che qui prendiamo in considerazione trae il suo fondamento dalle parole di Gesù: “Ero forestiero e mi avete ospitato”. È immediato per noi oggi pensare a come poter declinare la ospitalità del forestiero, dello straniero: è sotto gli occhi di tutti ciò che sta accadendo nel nostro Mediterraneo (ma non solo: si pensi a quanto avviene nelle frontiere interne dell’Europa continentale), il numero di forestieri che arrivano sulle nostre coste e chiedono ospitalità. L’impegno che viene chiesto alle nostre comunità – cristiane, certamente, ma anche civili – è un impegno di accoglienza, di prossimità, di accudimento, che probabilmente non ha avuto precedenti analoghi nel corso dei secoli, almeno per Papa Francesco, già prima di indire l’Anno Giubilare Straordinario della Misericordia, aveva richiamato l’attenzione della comunità umana alla necessità di soccorrere i bisogni delle “periferie esistenziali”, con particolare riferimento ai migranti: come non ricordare le immagini ed i gesti compiuti da lui nel corso della sua visita a Lampedusa l’8 luglio 2013, a pochissimi mesi dalla sua elezione? Come non sentire di nuovo le sue parole risuonare nelle nostre orecchie? “La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza. In questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell’indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro” ( Papa Francesco, Omelia celebrazione della santa Messa a Lampedusa, 8 luglio 2013) Allora l’invito di Francesco, traduzione contemporanea dell’invito di Gesù, deve diventare per tutti noi prassi concreta: le grida di aiuto degli

stranieri che si affacciano alle nostre frontiere, ma soprattutto nelle strade delle nostre città, nei luoghi in cui viviamo abitualmente, non possono restare inascoltate e ciascuno è chiamato a fare la sua parte, a dare il suo contributo. C’è però un’altra dimensione di questa opera di misericordia corporale che vorrei qui sottolineare. Mi piace pensare, infatti, che i pellegrini a cui siamo chiamati oggi a dare ospitalità ed accoglienza non sono soltanto gli stranieri che, spinti dall’insopprimibile desiderio di sopravvivenza, premono alle nostre frontiere: ci sono “stranieri” e “forestieri” morali che, con la stessa intensità, spingono alle frontiere del nostro cuore, della nostra intelligenza, della nostra cultura e chiedono di essere accolti. C’è una accoglienza “culturale” alla quale siamo chiamati, una “ospitalità” dell’intelligenza, dalla quale non possiamo sottrarci, e che – anche e soprattutto come Associazione – ci interpella. Ci sono “forestieri” e “pellegrini” in cammino, spesso senza una meta precisa, che “cercano” con intensità e con passione, per i quali siamo chiamati alla prossimità ed alla ospitalità. “Forestieri” e “pellegrini” che ci vengono incontro, che si interfacciano con le nostre attività, con la nostra Ci è chiesta una “ospitalità” sincera e generosa, che nello stesso tempo non tradisca il fondamento del nostro impegno e della nostra storia, che sia in grado di percorrere le strade del dialogo e dell’accoglienza, condividendo un tratto di strada, senza per questo perdere di vista la meta, quella ricerca della Verità che da sempre guida il nostro agire per amore della scienza e della vita. 43

speciale opere di misericorida

PAOLO MARCHIONNI


DARIO SACCHINI RICERCATORE UNIVERSITARIO CONFERMATO , F ACOLTÀ DI M EDICINA E CHIRURGIA, ISTITUTO DI BIOETICA, UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE DI ROMA

5. Assistere gli infermi

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ra le sette opere di misericordia corporale, “visitare gli infermi” assume un rilievo tutto particolare, dal momento che farsi prossimo a chi soffre rappresenta un modo profondo ed emblematico di avvicinarsi, con espressione di Papa Francesco, alla carne viva e dolente di Cristo Gesù. Il richiamo evangelico immediato va alla parabola del “Buon samaritano” (Lc 10, 25-37), icona di Gesù, che si è addossato le nostre infermità riscattandoci dal peccato, dalla morte e dalle loro conseguenze, di cui la sofferenza in ogni sua forma nella lettura biblica sono il segno. Icona di Gesù e al contempo - al pari delle altre opere di misericordia - segno credibile di incarnazione e di discernimento sulla autenticità della personale professione di fede nel Crocifisso Risorto e di amore verso Dio e verso il prossimo, soprattutto quello debole, povero, sofferente (1Gv 3, 23-24). Di più, nel visitare gli infermi secondo il cuore di Cristo Gesù, ci assimila a Lui e, come Lui, cinto il grembiule nel servire le persone sofferenti. Ci assimila a Lui quale Christus medicus delle anime e dei corpi. L’espressione “visitare gli infermi”, poi, porta in sé almeno tre ulteriori significati. In primo luogo, il verbo “visitare” rinvia al farsi concretamente presente all’altro, non a parole, ma nei fatti, anche e soprattutto quando costa sacrificio, considerando quanto la Beata Madre Teresa di Calcutta - una icona prediletta da Papa Bergoglio nell’Anno giubilare della misericordia – affermava relativamente ad ogni gesto di carità verso il prossimo che, se non costa, rischia di valere assai poco agli occhi di Dio. In secondo luogo, “visitare” dice anche di una non episodicità della misericordia, nel senso che non si ferma al singolo atto caritativo ma cerca, in tutti i modi possibili, continuità, sistematicità, organizzazione, come la parabola citata mostra. Infatti non solo il Buon samaritano presta le prime cure, ma si fa carico del malcapitato sofferente trasportandolo fino ad un luogo dove poter essere accu44

dito, pagando di tasca propria, impegnandosi a continuare a rendersi presente. Da ultimo: visitare significa creatività nell’operare: presenza, tocco, parola, sguardo, preghiera. Il termine “infermi” sottende infine almeno due aspetti. Il primo: l’infermità non si limita solo a quella fisica, bensì anche quella psicologica, spirituale, morale. Anzi, spesso i livelli si intersecano richiedendo un approccio “olistico” secondo un discernimento che porti ad individuare i modi più appropriati per venire incontro a quella particolare persona sofferente. Il secondo: il malato è immagine del Christus patiens (Cristo sofferente), qualsiasi sia il ceto sociale ed economico, la nazionalità, la fede religiosa, la nazionalità, la visione del mondo. in definitiva, dunque, “visitare gli infermi” si rivela come conferma del realismo cristiano, che guarda alla realtà dell’uomo nella sua interezza e nella sua integralità quale valore eminente, in una chiave di lettura che muovendo dall’immanenza della condizione umana e del dolore e della sofferenza volge lo sguardo verso l’origine e il compimento trascendente dell’uomo.


PROFESSORE ORDINARIO DI DIRITTO PENALE, UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE DI MILANO

6. Visitare i carcerati

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l verbo è impegnativo. Richiede disponibilità a un incontro personale con chi è giudicato responsabile di un ferita nei rapporti interpersonali e sociali. Certo, la misericordia è fatta di gesti concreti: il carcere sarebbe ancor più drammatico, soprattutto per chi è solo, se non esistesse il volontariato; e il recupero sociale rimane utopia se non si dà l’offerta seria di lavoro all’ex detenuto; del resto, il carcere è un luogo di vita talmente umano che, all’ingresso, è prescritto il test anti-suicidio, dato il tasso così inaccettabilmente elevato, in esso, dei gesti disperati. Eppure, non si tratta, soltanto, di prestare assistenza, tanto meno ove lo si faccia con quella certa alterigia di chi si sente superiore. Piuttosto si tratta di avvertire un senso di solidarietà, fondato sul mistero della nostra comune attitudine a compiere il male: perché lui, e non io?, si è chiesto più volte il Santo Padre accostando i detenuti. La circostanza che i tribunali abbiano individuato alcuni come colpevoli non può essere motivo per sentirci, all’incontrario, giusti. Non perché debbano confondersi le responsabilità, ma perché visitare i carcerati significa anche essere disponibili a visitare le nostre personali chiusure al bene, le nostre indifferenze, i nostri compromessi. In altre parole, a riconoscerci tutti bisognosi di misericordia. Ed è questo, paradossalmente, che ci rende capaci di giustizia. Ci fa comprendere, infatti, che non si fa prevenzione dei reati senza un impegno personale e comunitario (anche quando costi) al fine di contrastare i fattori che favoriscono la criminalità: siano essi il nero fiscale, i paradisi bancari, 45

la non integrazione dell’immigrato, il rifiuto di controlli seri circa il rispetto delle regole, la demolizione dei servizi sociali, l’inerzia educativa in materia sessuale … Ma altresì ci fa comprendere come sia ben più impegnativo esser vicini alle vittime dei reati, piuttosto che relegarle nella solitudine dell’attesa non pacificante di un contrappasso. E, in radice, come la giustizia non consista nel riprodurre il male, secondo il modello della bilancia, verso chi ne sia reputato autore, ma nel reagire, pur sempre, in base a ciò che è altro dal male. Così che la stessa risposta al reato possa costituire un progetto piuttosto che una ritorsione, significativo per il suo destinatario nonché per il suo rapporto con la vittima e con la società. Senza dubbio servirà cautela in presenza di legami con le forme più gravi della criminalità organizzata: ma non si deve dimenticare che nulla destabilizza di più le appartenenze criminose, rafforzando l’autorevolezza della legge nella società, del fatto che proprio chi abbia delinquito operi una revisione convinta della propria condotta e sia disposto a impegni riparativi. Non a caso papa Francesco parla di una «giustizia che sia umanizzatrice, genuinamente riconciliatrice», orientata «alla riabilitazione e al totale reinserimento del condannato», riprendendo l’invito di san Giovanni Paolo II, nel precedente Giubileo, a superare la centralità della condanna al carcere (con maggior attenzione, semmai, per il contrasto dei profitti perseguiti in modo criminoso). Ben oltre il problema del carcere, è in gioco la riscoperta, nella nostra cultura, della giustizia intesa come risposta intelligente al male secondo il bene, nel solco della giustizia salvifica di Dio e della testimonianza redentiva di Gesù.

speciale opere di misericorida

LUCIANO EUSEBI


CARLO BELLIENI NEONATOLOGO, PROFESSORE A TRATTO, UNIVERSITÀ DI SIENA

CON -

7. Seppellire i morti

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à sotto le palme della Palestina, Gesù in una calda serata forse primaverile, riceveva l’ennesimo appello: “Ti seguirò dovunque”: era uno dei tanti che incontrava per strada o nelle case, emerso tra uno dei tanti che invece lo cacciavano: era appena passato da un paese della Samaria dove gli avevano preparato il pranzo, ma quando avevano saputo che lui stava andando nella vicina Gerusalemme gli avevano chiuso le porte in faccia. Dunque era avvezzo a bruschi cambiamenti nelle promesse e nelle fedeltà umane. All’appello “Ti seguirò ovunque”, il poveraccio che aveva incontrato Gesù aggiungeva: “Però prima dovrei seppellire mio padre”, che di per sé non indicava che il padre fosse morto perché magari intendeva dire che finché il padre era vivo non avrebbe seguito Gesù; oppure voleva dire semplicemente che doveva andare al funerale e poi prendere e seguirLo. E Gesù -che risponderà in maniera simile anche all’altro postulante chi gli dice che vuole seguirlo ma deve prender tempo per congedarsi dai suoi - risponde con la famosa frase “Lascia che i morti seppelliscano i morti”. Dunque dal vangelo arriva l’ordine di non eseguire un’opera di misericordia? No, se pensiamo che sia un alibi per la nostra trascuratezza; Sì, se usiamo l’”opera di misericordia” per comportarci senza misericordia, per non seguire la Misericordia, come alibi per non sostenere uno sguardo di misericordia, che per sua natura non si limita alle leggi terrene. Guai alla misericordia doveristica, auto-assolutoria o compiaciuta, fatta forse per riempire il tempo, perché “così fan tutti”, perché non si ha altro da fare, perché si ha solo paura delle conseguenze. Ma ben venga la misericordia che unisce cuore e ragione. Seppellire un corpo non è riverire un corpo,ma riverire il disegno buono che Dio ha fatto usando quel corpo. E seppellire un corpo può non essere un imperativo primario se c’è un vivo da salvare.

Se non si capisce questo, si venera un cadavere. Ma se si capisce, si ama ancor più l’uomo o la donna padroni di quel corpo ormai polvere. E si può capire che la misericordia cui siamo chiamati non è quella di seguire le leggi scolpite sulla pietra, ma di seguire una persona viva. Ecco il primo punto: che la misericordia o “i principi” non diventino di pietra. Ma comunque il precetto, se non pietrificato e marmorizzato, se insomma non si segue per onorare il precetto, ma per onorale Dio in primis e poi l’uomo, va seguito. Dunque, seppellire i morti è un precetto da seguire perché il corpo che un tempo era vivo, anche dopo la morte non cessa di risentire del suo compito speciale di accompagnamento di un essere umano, e perciò non può essere trattato in maniera trasandata, non deve essere mortificato perché era “compagno della vita”.Una postilla: in realtà oggi vale la pena di dire “seppellite i morti”, perché qualche volta accade di veder se non proprio seppellire dei vivi, almeno preparare in troppo anticipo le esequie a chi magari sarebbe vissuto ma per incuria, abbandono, cattiva sanità, viene indotto a chiedere la morte; che poi sia una morte autorizzata dallo Stato o eseguita nella solitudine dal singolo che ha perso ogni speranza, la differenza non è grande. Occorre mettere un freno all’abbandono e invece di aprire le porte al suicidio, spalancare i cancelli alla compagnia, alla buona sanità, all’assistenza sociale (che non sia più un assistenzialismo ma sia il primo punto di ogni nuova legge finanziaria, senza cui non si va avanti). Tra quelle palme della Palestina, Gesù dava la sua compagnia, la sua assistenza, insegnando a chi lo incontrava a fare altrettanto, per osmosi; a non abbandonare e non abbandonarsi. La parola misericordia ce lo ricorda: non seppellire nella solitudine chi può ancora vivere. 46


PAOLA RICCI SINDONI NEONATOLOGO, PROFESSORE A TRATTO, UNIVERSITÀ DI SIENA

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1. Consigliare i dubbiosi

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la prima opera di misericordia spirituale forse perché in ogni tempo, ed anche nel nostro, è soprattutto l’incertezza, la paura, l’insicurezza a segnare l’universale condizione umana, esponendola al tarlo macerante del dubbio. Anche a chi è stata donata la fede nel Signore che guarda ed agisce nella storia, non mancano momenti, spesso laceranti, della sofferenza interiore, dell’ “aporia” ( così si dice in greco il dubbio) tra il desiderio dell’incontro con l’Assoluto e il grigiore delle prove che paralizzano l’anima e inchiodano il credente in una paralisi rassegnata. La misericordia, invece, quest’opera che il Maestro ci indica come salutare riorientamento del proprio mondo a Dio, non ammette tentennamenti o passi indietro; essa è la via della benevolenza verso gli altri, a cui sempre si deve offrire un’altra opportunità, un altro percorso di riconoscimento. Cosa è la misericordia, se non dire al nostro prossimo: “ho fiducia in te, ti sono vicino, puoi farcela a superare il peso del male che ti opprime”? E’ per questo necessario “consigliare i dubbiosi”, coloro i quali hanno il passo lento e pesante e che, di fronte al buio che ci avvolge, indietreggiano, incapaci di vedere il bene, oltre le sconfitte e i fallimenti. Consigliare può significare allora diventare compagni di viaggio, per sostenere l’altro, per incoraggiarlo, offrendogli l’aiuto di cui ha bisogno, senza prevaricazione, senza sostituzione, mossi dalla certezza che anche solo una parola può rappresentare la spinta per ricominciare. Consigliare i dubbiosi è opera di misericordia anche perché implica un supplemento di solidarietà e di amore mediante lo stare vicino a quanti non osano credere nella certezza di qualcosa che dura, che va oltre le piccole misure 47

umane, che rompe con l’abitudine e il logorio dell’anima. Consigliare è inoltre condividere; come quel cireneo, che offre il suo sostegno al Nazareno sofferente nel corpo e nell’anima, come il passante, quel samaritano, che si prende cura del povero offeso e abbandonato, come quei discepoli che seguendo il Maestro buono, lo riempiono di domande, per colmare i loro dubbi e le loro paure. In questo nostro tempo incerto ed oscuro, sono soprattutto i giovani a consegnarci le loro inquietudini e le loro incertezze; immersi nel clima relativista che tutto appiattisce nell’indifferenza, hanno bisogno vitale di essere consigliati; lo richiedono i loro sguardi stanchi e snervati, lo implorano le loro scelte impulsive e superficiali, lo pretendono quando lo studio diventa per loro motivo di crescita e di ricerca dei valori duraturi. Eppure la filosofia, ad esempio, sembra proprio privilegiare l’arte del dubbio, dello spirito critico, della capacità di non sottomettersi ad una autorità dogmatica. Questo dubbio è certamente salutare, genera le giuste domande, evoca il desiderio di fare chiarezza dentro se stessi, incoraggia alla formazione di una conoscenza critica e personale. Il dubbio, però, è una fase di passaggio, è lo stimolo ad andare oltre, oltre le false sicurezze, oltre gli idoli imposti. Da qui la difficile arte dell’offrire un consiglio, quello che privilegi soprattutto la pratica necessaria dell’ascolto, che abitui alla dinamica del dialogo e accompagni all’individuazione del percorso di vita individuale. A quanti volessero esercitarsi su questa delicatissima opera di misericordia, si consiglia la lettura delle Confessioni di Sant’ Agostino, una splendida opera in cui si intrecciano momenti di lode, di fragilità, di dubbio dentro uno scenario biografico di rara suggestione. Molto amato dagli studenti universitari che lì vedono riflessa la loro storia personale, è un manifesto della condizione umana con i suoi momenti di estasi e di caduta, di gratitudine e di sconcerto, di solitudine e di amicizia. E soprattutto di presenza costante di Dio, che guarda con misericordia i suoi figli e che si fa compagno di viaggio nello Spirito, affinché la fede, nutrita di lotta e di interrogativi, diventi sostanza di una relazione personale matura.

speciale opere di misericorida

Le opere di misericordia spirituale


IVAN MAFFEIS DIRETTORE UFFICIO COMUNICAZIONE SOCIALE CEI

2. Insegnare ignoranti

E

agli

ro solo un ragazzo quando un compagno di seminario, conoscendo la mia passione per la montagna, mi regalò il libro di una nota guida alpina. Insegnava le tecniche con cui accostarsi a una parete, riconoscerne appigli e appoggi, salire esposti su uno spigolo o in opposizione lungo un camino, e calarsi in corda doppia sbalzando con eleganza nel vuoto. Ricordo ore passate ad “addomesticare” un cordino, il nodo “a otto” che chiude l’imbragatura, il “barcaiolo” per assicurarsi in parete, il “Prusik” autobloccante… E le salite lungo la tromba delle scale, le uscite sul cornicione del quinto piano a sbeffeggiare le vertigini, le giornate estive a guadagnarsi i primi chiodi da roccia … L’ultimo – sopravvissuto agli anni – nel suo acciaio dolce fa ancora bella mostra di sé sul tavolo d’ufficio, da tutti scambiato per un semplice e poco pratico tagliacarte. Serviva uscire dall’adolescenza per capire che la montagna è altro. Fino ad allora potevo confonderla con i classici dell’alpinismo citati a memoria o con l’abilità di orientarsi a colpo d’occhio sulla mappa topografica. Erano tutte cose che mio padre sapeva meno di me. Come diverse dai miei scarponi erano le calzature con cui il suo passo lieve e costante saliva il sentiero. La voce calda e ferma del suo “Andiamo” anticipava l’alba: era sveglia che spesso avrei disatteso volentieri, tanto lontani e stonati apparivano nel dormiveglia i progetti della sera precedente. Nel cammino il suo si-

lenzio si faceva grembo accogliente per il mio dire, espressione di una stagione gridata. Vi seminava parole discrete, lavorate con l’intarsio della saggezza artigiana e condivise con il pane del ristoro. Non lo spaventavano le provocazioni: le raccoglieva per rilanciare, riconducendole a un orizzonte più ampio e sereno. Nel seguirmi era disponibile a cambiare mille volte itinerario, ma restava fermo nella rinuncia anche a pochi metri dalla cima, quando avrebbe significato affrontare un passaggio poco sicuro o sfidare un cielo fattosi improvvisamente minaccioso. In sua compagnia non mi sono mai accorto che piovesse; e, comunque, non era quella la cosa più importante. Con la pazienza e la fedeltà del suo esserci, mi ha permesso di riconoscere che più su è sereno, che c’è una speranza più grande delle difficoltà, che la strada non smette di raccontare nuove canzoni, anche se questo – almeno in certi momenti – è atto di fede a caro prezzo. Mi ha insegnato il valore di uno zaino leggero, lo stupore della neve che ridisegna ogni cosa, l’attesa della primavera, custode di nuove partenze. Rispetto a lui sono rimasto un ripetente, ma sento che la ragione è dalla sua: nel suo essere guida facendosi secondo, nel farmi sentire a casa dove c’è famiglia, nel testimoniarmi che si cresce nella misura in cui si accetta la responsabilità delle persone che la vita ha legato alla tua corda. A distanza di tanti anni, il segno che ha lasciato è impronta in cui ancora cammino, mentre sorrido del tempo in cui presumevo di conoscere.

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PROFESSORE ORDINARIO DI DIRITTO PRIVATO, DOCENTE DI FILOSOFIA DEL DIRITTO NELLA F ACOLTÀ DI G IURI SPRUDENZA E DIRETTORE DEL DIPARTIMENTO DI SCIENZE UMANE DELL’UNIVERSITÀ EUROPEA DI ROMA; AVVOCATO CIVILISTA

3. Ammonire i peccatori

“S

ono forse io il custode di mio fratello?” Queste sono le parole che pronuncia Caino allorquando, dopo aver ucciso Abele, risponde al Signore che gli chiede dove si trovi il fratello. Sono parole che segnalano un’indifferenza, una distanza, la scelta di non volersi fare carico della sorte del proprio fratello. Eppure la responsabilità verso la vita degli altri, il loro cambiamento (“ammonire i peccatori”, appunto) può divenire strumento della Provvidenza per cambiare la storia e gli scenari di vita dell’uomo perduto e fargli assaporare l’amore di un Dio che è veramente Padre ed è pronto, come nella parabola del Figliol Prodigo, ad accoglierlo con amore incondizionato e a donargli una nuova opportunità. Ma l’opera di redenzione di Dio ha bisogno anche dell’amore dei fratelli del figliol prodigo che siano disposti a creare un comunità educativa che lo accompagni nel difficile processo di espiazione e riabilitazione. Quando ciò non accade la giustizia non è realizzata in senso integrale ed il rischio che un ammonimento fallito nella funzione rieducativa divenga una pena “diseducativa”, che paradossalmente accentua, invece di contrastare, il peccato, l’errore della persona a discapito della società. Come sempre nel messaggio evangelico, l’unico fattore capace di trasformare stabilmente e nel profondo - l’esistenza è l’amore. Solo un richiamo permeato da questa carità è capace di un salto di qualità che lo faccia divenire vera “ammonizione” utile a tutti: al peccatore ed alla società. L’ammonimento come parola di amore da cui sgorga una comunità educativa. In tanti penseranno: belle parole di un’agenda dei sogni disancorata da una quotidianità molto diversa e ben più dura. La Chiesa è demandata ad offrire al mondo, con linguaggio profetico, la bellezza dell’uomo nuovo che non si rassegna al male ma vince il male col bene. “Vince in bono malum”, il motto Paolino è stato lungo i secoli l’esempio rivoluzionario dei 49

Santi: trasformare i luoghi più bui della storia dell’uomo in orizzonti illuminati dalla Speranza e dall’Amore. E proprio questo manca alla nostra società sempre più ripiegata su se stessa: non solo non riuscire a distinguere il bene dal male ma, ancor peggio, non riuscire più neppure a sognarlo e desiderarlo. Papa Francesco ha accelerato la portata misericordiosa dell’ammonimento nella consapevolezza dell’urgenza per la Chiesa non solo di essere, ma anche di apparire annunciatrice credibile del messaggio evangelico. Papa Francesco avverte e segnala la necessità impellente che la Chiesa, madre e maestra, sia «luce e sale» di un mondo «affaticato e oppresso», testimone autentica della bellezza e della gioia dell’incontro con Cristo Risorto e compagna fedele dei poveri, degli emarginati e degli ultimi della terra. Ma per fare ciò, per avere la credibilità d’illuminare la coscienza troppe volte sopita dell’uomo moderno, la Chiesa e i credenti non devono poter essere accusati di fare sconti a se stessi. Indicare «la via, la verità e la vita» all’uomo che cade e stenta a rialzarsi, deve seguire il comportamento di chi vuole, anzi deve “ammonire” i peccatori rafforzando la propria e accendendo l’altrui conversione, con prassi, costumi e stili di vita in grado di dimostrare che è possibile non rassegnarsi alla banalità e mediocrità esistenziale. Rosario Livatino ha scritto che al termine della vita non ci sarà chiesto quanto siamo stati credenti bensì quanto siamo stati credibili. Il Papa ci invita tutti a essere credibili sapendo che ciò sarà possibile solo se saremo stati prima autenticamente credenti.

speciale opere di misericorida

ALBERTO GAMBINO


CHIARA MANTOVANI MEDICO ODONTOIATRA, BIOTECISTA

4. Consolare gli afflitti

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hi sono gli afflitti? Quali afflizioni colpiscono oggi l’uomo? Quali le più dolorose? Quali le più urgenti da consolare? Si piange per ciò che non si ha ancora o non si ha più, ovvero per ciò che si è perduto o che non si ha speranza di ottenere. Di fatto ogni uomo è afflitto, nella condizione post peccatum. È dunque la nostalgia dell’originario bene perduto che affligge ogni uomo e perciò ogni autentica consolazione non può prescindere dal tentativo di restituire la certa speranza di una felicità ritrovabile. «A me sembra che si debbano ricondurre gli uomini alla speranza di trovare la verità» (Ep. 1,1), diceva sant’Agostino. Forse mai come in questo tempo di dittatura del relativismo l’uomo – che è sempre e comunque “mendicante di significato e compimento” - è manchevole di senso e di prospettiva, e perciò afflitto. L’uso massiccio di farmaci ansiolitici – in tutto il mondo - ce ne fornisce un segnale attendibile e allarmante. La mancanza di beni, materiali e spirituali; la malattia e la sofferenza; il disorientamento e l’abbandono causano il nostro pianto. Chi dunque lo può consolare? E che caratteristiche deve avere la consolazione per essere efficace? Gesù, prima di salire al Padre, ha promesso agli uomini il Consolatore perfetto, come è chiamato nella sequenza del Veni Sancte Spiritus: Consolátor óptime,/dulcis hospes ánimæ,/dulce refrigérium./In labóre réquies,/in æstu tempéries,/in fletu solácium. Paraclito è il termine con cui san Giovanni nel suo vangelo indica lo Spirito Santo. Tratto dal linguaggio giuridico, l'equivalente latino è ad-vocatus, letteralmente "chiamato vicino", l’avvocato inteso come difensore e per estensione consolatore. Nei testi giuridici indica, in un processo, "colui che sta al lato dell'accusato" per difenderlo. Anche a noi è dato di partecipare all’azione divina, quando ci mettiamo al fianco del prossimo, facendoci con le parole e gli atti concreti refrigerio per chi è arso nella passione ingovernabile, nel rimorso, nel-

l’amor proprio ferito. Quando siamo rifugio per chi non sa dove appoggiare il dolore, o alleviamo la fatica del vivere quotidiano o quella straordinaria. Aiutare a ritrovare la calma nella tempesta delle emozioni, e consentire l’uso della ragione, tante volte pone i problemi in altra luce e, se non li risolve, almeno corrobora la forza d’animo. Ma è forse nel pianto condiviso che si ritrova la radice stessa della con-solatio: “Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto.”(Rm 12,15). Nei Vangeli ci viene descritto Gesù in lacrime tre volte: davanti alla tomba di Lazzaro, alla vista di Gerusalemme e nella preghiera che precede la Passione. Si tratta sempre di situazioni che gli ricordano la rovina dell’uomo causata dal peccato. Nella prima resuscita, nella seconda mette in guardia, nella terza sta per offrire se stesso come Redentore. E poi c’è un episodio che contrasta con il moderno efficientismo, anche di certe prospettive caritatevoli: “Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.” (Mc. 6,34) Moltiplicherà anche pane e pesci, subito dopo, ma non inizia dall’assistenzialismo, va al principio: da profeta annuncia il vero, da Re si mette al servizio dell’uomo, da Sacerdote santifica. E fa di noi un popolo di sacerdoti, di re e di profeti. Un ultimo piccolo spunto: l’unica Misericordia, quella del Padre, suggerisce agli uomini le opere di misericordia perché fare il bene cura e guarisce non solo chi lo riceve ma anche chi lo fa. 50


PROFESSORE ORDINARIO DI BIOETICA, ACCADEMIA ALFONSIANA - ROMA

5. Perdonare le offese

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rendersi cura dell’altro nelle sue necessità, dargli da bere nella sua sete o dargli da mangiare nella sua fame o vestirlo nella sua nudità, consolarlo nel suo dolore o consigliandolo nei suoi dubbi, tutto questo è bello, attraente e rispondente al sentire spontaneo dell’uomo. La solidarietà è un valore umano condiviso e la vicinanza empatica e fattiva al dolore e al bisogno altrui suscita con facilità plauso e desiderio di emulazione. Ma perdonare, perdonare chi ci offende, chi ci ferisce, chi ci fa del male? Possiamo dimenticare il male ricevuto, possiamo annullare le ingiustizie subite? Di fronte alla possibilità di perdonare, di dimenticare, di andare oltre le offese ricevute, ci chiediamo: è giusto farlo? Una cosa è certa: perdonare è divino, è atto proprio di Dio perché il nostro Dio è il Dio della misericordia e del perdono e Gesù Cristo ne è il volto. Quante volte noi, consapevoli della nostra fragilità e delle nostre infedeltà all’amore, imploriamo: “Signore, perdonami Signore, abbi pietà di me!”. Gesù ci ha rivelato che Dio è “un Padre che non si dà mai per vinto fino a quando non ha dissolto il peccato e vinto il rifiuto, con la compassione e la misericordia” (Misericordiae vultus, n. 9). Lui può, ma noi? Ci sconcertano e ci lasciano increduli e interdetti le parole del discorso della montagna: “Amate i vostri nemici” (Mt). A Pietro che chiedeva quale fosse la misura del perdono e azzardava un perdono da offrire sette volte, Gesù rispose: “Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette” (Mt 18, 22). La parabola del servo spietato illustra questo perdono sconfinato. Tutta la ricordiamo. Un servo ha ricevuto il condono di un debito enorme da parte del suo padrone, ma non è capace di ripetere questo gesto di magnanimità verso un suo compagno di servizio che gli doveva una somma infinitamente più piccola. Di fronte allo sdegno del padrone per tanta durezza, Gesù conclude: “Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello” (Mt 18, 35). Nel Padre nostro Gesù ci ha insegnato a dire: “Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimet51

tiamo ai nostri debitori”. “La misericordia – commenta papa Francesco – non è solo l’agire del Padre, ma diventa il criterio per capire chi sono i suoi veri figli. Insomma, siamo chiamati a vivere di misericordia, perché per primi è stata usata misericordia” (Misericordiae vultus, n. 9). L’uomo non ha in sé la forza di perdonare perché il perdono è amore di assoluta gratuità e l’uomo, nella sua povertà, non trova in sé le risorse per quel dono assoluto che è – come dice la parola – il “per-dono”. Se però, l’uomo fa esperienza di essere perdonato da Dio, se assapora e vive la dolcezza del perdono, allora può incamminarsi anche lui sulla via del perdono. Come ama il Padre così amano i figli. Come è misericordia Lui, così siamo chiamati ad essere misericordiosi noi, gli uni verso gli altri. Siamo invitati ad entrare nella logica sconcertante dell’amore di Dio: essere misericordiosi per ricevere la sua misericordia (cfr. Mt 5, 7), perdonare per essere da Lui perdonati (cfr. Lc. 6, 37). Il perdono fa sì che il passato non condizioni il nostro presente e che il male ricevuto non diventi ferita sempre sanguinante e dolente. Non sempre è possibile riannodare un legame spezzato o restituire una fiducia tradita perché non sempre l’altro è disposto a cambiare il suo atteggiamento offensivo e non sempre egli si vuole impegnare a non ripetere il male compiuto e riparare. Una cosa, però, possiamo fare sempre e comunque: possiamo superare in cuor nostro il male e fermare la spirale di vendetta, rancore, dolore che il male tenderebbe a perpetuare. Il perdono disinnesca la potenza distruttiva del male perché risponde alla logica del male con la logica dell’amore. Il perdono, a ben guardare, non è passività, ma è potenziale creatività perché, se il perdono viene accolto da chi ha offeso, può rigenerare la relazione ferita e può permette all’altro di vivere una sorprendente e inattesa novità. Il perdono è uno sguardo di speranza sulla vita, è potenza di futuro in noi e nell’altro. Si aprono ai credenti prospettive luminose di testimonianza e di impegno nel mondo. Il perdono, infatti, può diventare il criterio ispirativo non solo delle relazioni interpersonali ferite dai conflitti e dalle ingiustizie, ma anche delle relazioni all’interno della società e delle stesse relazioni internazionali. Il perdono è capacità di andare oltre la storia e la memoria non abolendo il passato, ma trasformando il passato, anche doloroso, in esperienza per camminare con più saggezza verso il futuro. “Il perdono – conclude papa Francesco – è una forza che risuscita a vita nuova e infonde il coraggio per guardare al futuro con speranza” (Misericordiae vultus, n.10).

speciale opere di misericorida

MAURIZIO FAGGIONI


zienza che, per tornare al paradosso iniziale della sopportazione come azione facile perché passiva, dimostra l’opposto e scardina le convinzioni. La pazienza è forza. La pazienza porta con sé la capacità di sostenere qualcosa, senza cedere. Non si rinuncia: si lotta con pazienza. Sopportare è un verbo attivo, la pazienza non è apatia né rassegnazione, non fa rispondere al male con il male, ma con la forza dell’amore per l’altro. Esige una notevole capacità di resistenza per mantenere la posizione in maniera corretta. Richiede equilibrio interiore per poter sostenere situazioni insostenibili. Certo, ai giorni nostri la pazienza non è virtù particolarmente apprezzata, nessuno ha più pazienza di sopportare se stesso, figuriamoci gli altri. Ma in realtà la domanda da porsi è speculare: quand’è che etichettiamo qualcuno come molesto? Quando e perché ci disturba? Perché un determinato comportamento ci infastidisce? Sopportare pazientemente le persone moleste volge lo sguardo sulla persona. E i seccatori sono come i vecchi: sono sempre gli altri. Nel percepire fastidio di fronte a qualcuno e nel sentirne l’insopportabilità si svela una rivelazione di noi a noi stessi. Per questo dovremmo ricordare che verrà un giorno in cui dovremo chiederci: abbiamo avuto con gli altri la stessa pazienza che Dio ha con noi?

EMANUELA VINAI GIORNALISTA SIR

6. Sopportare pazientemente le persone moleste

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opportare pazientemente le persone moleste ai più non sembra un’opera di misericordia, ma un esercizio d’uso quotidiano. Paradossalmente, sembra persino la più facile da seguire. Non c’è bisogno di prodursi in qualcosa di attivo come visitare infermi o carcerati, oppure accogliere e sfamare chi bussa alla porta, basta mettersi in modalità ascolto passivo, annuire ogni tanto e lasciare che la mente vaghi per campi. È questa forse l’opera di misericordia che maggiormente ci interpella nel nostro vivere quotidiano, nel nostro relazionarci con amici, parenti, sconosciuti o colleghi. Ogni luogo che frequentiamo ha in sé il potenziale molesto e se chiedessimo informazioni nel merito a più persone in parti diverse della Terra, con differenti culture e vite, risponderebbero probabilmente tutte alzando gli occhi al cielo ed elencando una serie di seccatori di vario genere. Può esserci un’opera più universale e condivisa? Consultando il web si rilevano quasi 9mila risultati sul tema, solo in italiano... Ci sono riflessioni, consigli, librettini dedicati, ma in molti casi si tratta della stessa questione: come si fa a sopportare pazientemente i molesti? Richieste non teologiche, ma più volte al concreto, a volte con risvolti surreali, come il fedele che scrive a un sacerdote: qual è l’atteggiamento da tenere, soprattutto quando si tratta degli amici? Ora, non conoscendo le amicizie dello scrivente non è possibile avanzare giudizi, ma se uno già ritiene moleste le persone che in teoria è felice di vedere, frequentare, fare progetti, perché li ha scelti e chiamati amici, quale moto di sollecitudine nutrirà mai per il resto del mondo? La chiave è nell’avverbio: la sopportazione è atto di pa52


DOCENTE DI FILOSOFIA MORLAE (I MODULO), DI STORIA DELLE DOTTRINE MORALI E DI FILOSOFIA DELLA STORIA PRESSO L’UNIVERSITÀ CATTOLICA DI MILANO

7. Pregare Dio per i vivi e per i morti

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i sono diversi tipi di preghiera e quella di questa opera di misericordia spirituale è la preghiera di intercessione, che la mentalità moderna tende non di rado a criticare, sia perché influenzata da una certa qual presunzione irrealistica di autarchia (l’uomo che basta a se stesso e tiene il suo destino in pugno), sia perché la accusa di provocare la dismissione dell’impegno umano nella storia demandando a Dio il miglioramento del mondo (cfr. Feuerbach e Bauer). In realtà, preghiera e impegno devono essere congiunti: «Prega come se tutto dipendesse da Dio e impegnati come se tutto dipendesse da te» (s. Ignazio). Certo, Dio conosce già le richieste umane, ma vuole che gli uomini preghino, affinché «pregando siano meritevoli di ricevere quanto Dio onnipotente fin dall’eternità aveva disposto di donare ad essi» (s. Tommaso). Ma che cosa chiedere per i

morti? La vita eterna, la comunione con Dio di coloro che, dopo la morte biologica, si trovano ancora in una condizione, già intuita da Platone (nel Gorgia), di purificazione ed espiazione, e che hanno bisogno di tale purificazione in quanto le loro anime non sono ancora pronte per la beatitudine. Infatti, anche il grande filosofo greco parlava di esseri umani che muoiono sì ancora macchiati da colpe, ma che non sono troppo gravi, e che espiano queste loro cattive azioni in un “luogo” ultraterreno: è un concetto molto simile a quello del Purgatorio cristiano (per un fondamento biblico cfr. 2Mac 12, 45). E che cosa domandare per i vivi? Anzitutto i «vivi» sono tutti gli esseri umani, senza escludere nessuno (anche se differiscono giustamente l’intensità e lo zelo della preghiera per i familiari, per gli estranei, ecc.), nemmeno i nemici (cosa estremamente ardua, ma questo è un altro discorso). Ciò che va domandato è, per es., la fine di una loro sofferenza o almeno la forza per affrontarla, la luce quando c’è da fare una scelta importante, il balsamo su una ferita, ecc.; in generale va domandato il loro vero (e non apparente) bene, che a volte “ha bisogno” proprio di quella sofferenza, di quella ferita, ecc. per realizzarsi (e per questo Dio le tollera). Del resto, la misericordia è uno dei nomi dell’amore, il quale consiste nel volere e cercare appunto il bene dell’amato e il vero bene di noi stessi e degli altri a volte non lo conosciamo, ma «lo Spirito intercede per noi con gemiti inesprimibili» (Rm 8,26-27). Certo, in vista dell’attuazione del vero bene degli uomini, è fondamentale pregare perché siano illuminati i governanti e in genere per coloro che esercitano il potere. In ultima analisi, e soprattutto, il vero e più prezioso bene da domandare è – come nel caso dei morti − la comunione con Dio. Come dice s. Tommaso, «a tutti dobbiamo volere […] la vita eterna» (è in questo senso che vanno amati anche i nemici). Senza questo Bene tutti gli altri umani traguardi, relazioni interpersonali, cose possedute, ecc. risultano essere dei mali. È cruciale rammentarlo in un’epoca in cui persino la predicazione cristiana spesso sorvola sui novissimi, cioè quegli esiti che sono per tutti ineludibili: morte, giudizio, Inferno/Paradiso (cfr. già Platone, come detto). E, come sottolinea Pascal, «lo stato dopo la morte è eterno», pertanto «è impossibile fare un solo passo con sensatezza e con discernimento senza regolarlo in vista di tale esito». 53

speciale opere di misericorida

GIACOMO SAMEK LODOVICI


Amoris laetitia, l’amore nella Famiglia Sintesi dell’esortazione apostolica post sinodale di Papa Francescao LA NOTIIZIA

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’Esortazione post-sinodale sulla famiglia, Amoris Laetitia, è stata presentata in Sala Stampa vaticana, venerdì mattina 8 aprile gremita di giornalisti di tutto il mondo. Sono intervenuti il cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo dei Vescovi, il cardinale arcivescovo di Vienna, Christoph Schönborn, e i coniugi Francesco e Giuseppina Miano, che hanno preso parte ad entrambi i Sinodi sulla famiglia voluti da Papa Francesco e celebrati in Vaticano nei mesi di ottobre 2014 e 2015. Chirografo di Papa Francesco ai Vescovi di tutto il mondo per accompagnare la lettura della esortazione apostolica post-sinodale

Amoris Laetitia : misericordia e integrazione per tutte le famiglie Misericordia e integrazione: questo il nucleo dell’Esortazione apostolica post-sinodale “Amoris Laetitia – La gioia dell’amore”, firmata da Papa Francesco il 19 marzo e diffusa venerdì 8 aprilei. Suddiviso in nove capitoli, il documento è dedicato all’amore nella famiglia. In particolare, il Pontefice sottolinea l’importanza e la bellezza della famiglia basata sul matrimonio indissolubile tra uomo e donna, ma guarda anche, con realismo, alle fragilità che vivono alcune persone, come i divorziati risposati, ed incoraggia i pastori al discernimento. In un chirografo che accompagna l’Esortazione inviata ai Vescovi, il Papa sottolinea che “Amoris Laetitia” è “per il bene di il bene di tutte le famiglie e di tutte le persone, giovani e anziane” ed invoca la protezione della Santa Famiglia di Nazareth. L’Esortazione raccoglie i risultati dei due Sinodi sulla famiglia, svoltisi nei mesi di ottobre 2014 e 2015. Cap. 1 - La Parola di Dio in famiglia e il dramma dei profughi Misericordia e integrazione: Amoris Laetitia ruota attorno a questi due assi che ne rappresentano l’architrave. Il Papa ricorda che “l’unità di dottrina e di prassi” è ferma e necessaria alla

Chiesa, ma sottolinea anche che, in base alle culture, alle tradizioni, alle sfide dei singoli Paesi, alcuni aspetti della dottrina possono essere interpretati “in diversi modi”. Il primo capitolo del documento, dedicato alla Parola di Dio, ribadisce la bellezza della coppia formata da uomo e donna, “creati ad immagine e somiglianza di Dio”; richiama l’importanza del dialogo, dell’unione, della tenerezza in famiglia, definita non come ideale astratto, ma “compito artigianale”. Ma non vengono dimenticati alcuni drammi, tra cui la disoccupazione, e “le tante famiglie di profughi rifiutati ed inermi” che vivono “una quotidianità fatta di fatiche e di incubi”. Cap. 2 - La realtà e le sfide della famiglia. La grande prova delle persecuzioni Poi, lo sguardo del Papa si allarga sulla realtà odierna, e insieme al Sinodo, tenendo “i piedi per terra”, ricorda le tante sfide delle famiglie oggi: individualismo, cultura del provvisorio, mentalità antinatalista che – scrive Francesco – “la Chiesa rigetta con tutte le sue forze”; emergenza abitativa; pornografia; abusi sui minori, “ancora più scandalosi” quando avvengono in famiglia, a scuola e nelle istituzioni cristiane. Francesco cita 54


anche le migrazioni, la “grande prova” della persecuzione dei cristiani e delle minoranze soprattutto in Medio Oriente; la “decostruzione giuridica della famiglia” che mira ad “equiparare semplicisticamente al matrimonio” le unioni di fatto o tra persone dello stesso sesso. Cosa impossibile, scrive il Papa, perché “nessuna unione precaria o chiusa alla trasmissione della vita assicura il futuro della società”. Ideologia gender è “inquietante” Francesco ricorda poi “il codardo degrado” della violenza sulle donne, la strumentalizzazione del corpo femminile, la pratica dell’utero in affitto, e definisce “inquietante” che alcune ideologie, come quella del “gender” cerchino di imporre “un pensiero unico” anche nell’educazione dei bambini. Davanti a tutto questo, però – è il monito del Papa – i cristiani “non possono rinunciare” a proporre il matrimonio “per essere alla moda” o per un complesso di inferiorità. Al contrario, lontani dalla “denuncia retorica” e dalle “trappole di lamenti auto-difensivi”, essi devono prospettare il sacramento matrimoniale secondo una pastorale “positiva, accogliente” che sappia “indicare strade di felicità”, restando vicina alle persone fragili. Matrimonio non è un ideale astratto. Chiesa faccia salutare autocritica Troppe volte, infatti – afferma il Papa con una “salutare autocritica” – il matrimonio cristiano è stato presentato puntando solo sul dovere della procreazione o su questioni dottrinali e bioetiche, finendo per sembrare “un peso”, un ideale astratto, piuttosto che “un cammino di crescita e di realizzazione”. Ma i cristiani - nota Francesco – sono chiamati a “formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle”, così come faceva Gesù che proponeva un ideale esigente, ma restava anche vicino alle persone fragili.

Cap. 3 - La vocazione della famiglia e l’inalienabile diritto alla vita In quest’ottica, l’indissolubilità del matrimonio non va intesa come “un giogo”, e il sacramento non come “una ‘cosa’, un rito vuoto, una convenzione sociale”, bensì “un dono per la santificazione e la salvezza degli sposi”. Quanto alle “situazioni difficili ed alle famiglie ferite”, il Papa sottolinea che i pastori, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere, perché “il grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi”. Se da una parte, dunque, bisogna “esprimere con chiarezza la dottrina”, dall’altra occorre evitare giudizi che non tengano conto della complessità delle diverse situazioni e della sofferenza dei singoli. Francesco ribadisce, poi, con forza, il “grande valore della vita umana” e “l’inalienabile diritto alla vita del nascituro”, sottolineando anche l’obbligo morale all’obiezione di coscienza per gli operatori sanitari, il diritto alla morte naturale e il fermo rifiuto alla pena capitale. Cap. 4 - L’amore nel matrimonio è amore di amicizia Ma qual è, allora, l’amore che si vive nel matrimonio? Francesco lo definisce “l’amore di amicizia”, ovvero quello che unisce l’esclusività indissolubile del sacramento alla ricerca del bene dell’altro, alla reciprocità, alla tenerezza tipiche di una grande amicizia. In questo senso, “l’amore di amicizia si chiama carità”, perché “ci apre gli occhi e ci permette di vedere, al di là di tutto, quanto vale un essere umano”. In quest’ottica, il Pontefice sottolinea anche l’importanza della vita sessuale tra i coniugi, “regalo meraviglioso”, “linguaggio interpersonale” che guarda “al valore sacro ed inviolabile dell’altro”. La dimensione erotica dell’amore coniugale, dunque, non potrà mai intendersi come “un male permesso o un peso da sopportare”, bensì come “un dono di Dio 55

amoris laetitia

GLI OTTO PUNTI CHIAVE 1. Le norme: temi dottrinali e culture diverse 2. L’autocritica: formare le coscienze, non sostituirle 3. L’Eucaristia: i cosiddetti irregolari sono in grazia di Dio 4. Maltrattamenti domestici: la violenza codarda contro le donne 5. Le unioni omosessuali: no a equiparazioni ma rispetto per i gay 6. La sfida mancata: educazione sessuale e contraccezione 7. L’amore coniugale: l’eros è un dono per le creature 8. La misericordia: Non giudichiamo le madri sole


che abbellisce l’incontro tra gli sposi”. Per questo, Amoris Laetitia rifiuta “qualsiasi forma di sottomissione sessuale” e ribadisce, con Paolo VI, che “un atto coniugale imposto al coniuge…non è un vero atto d’amore”.

pastorale familiare; il bisogno di guidare i fidanzati nel cammino di preparazione al matrimonio, perché “imparare ad amare qualcuno non è una cosa che si improvvisa”; l’importanza di accompagnare gli sposi nei primi anni di matrimonio, affinché non si fermi la loro “danza con occhi Cap. 5 - L’amore diventa fecondo. Ogni figlio ha meravigliati verso la speranza” e siano generosi diritto a madre e padre nella comunicazione della vita, guardando al Soffermandosi, quindi, sulla generazione e l’ac- contempo ad una “pianificazione familiare giucoglienza della vita all’interno della famiglia, il sta”, basata sui metodi naturali e sul consenso rePapa sottolinea il valore dell’embrione “dal- ciproco; la necessità di una pastorale familiare l’istante in cui viene concepito”, perché “ogni missionaria che segua le coppie da vicino e non bambino sta da sempre nel cuore di Dio”. Di qui, sia solo una “fabbrica di corsi” per piccole élites. l’esortazione a non vedere nel figlio “un comple- Preoccupante l’aumento dei divorzi. I figli non mento o una soluzione per un’aspirazione perso- siano ostaggi nale”, bensì “un essere umano con un valore Oggi, crisi di ogni genere minano la storia delle immenso”, del quale va rispettata la dignità, “la famiglie – dice il Papa – ma ogni crisi “nasconde necessità ed il diritto naturale ad avere una una buona notizia che occorre saper ascoltare afmadre ed un padre”, che insegnano “il valore finando l’udito del cuore”. Di qui, l’incoraggiadella reciprocità e dell’incontro”. mento a perdonare e sentirsi perdonati per La famiglia esca da se stessa per rendere ‘dome- rafforzare l’amore familiare, e l’auspicio che la stico’ il mondo Chiesa sappia accompagnare tali situazione in Al contempo, il Papa incoraggia le coppie che modo “vicino e realistico”. Certo: nella nostra non possono avere figli e ricorda loro che la ma- epoca esistono drammi come il divorzio “che è ternità “si esprime in diversi modi”, ad esempio un male” – sottolinea l’Esortazione – e che cresce nell’adozione. Di qui, il richiamo a facilitare la in modo “molto preoccupante”. Bisogna, allora, legislazione sulle procedure adottive e di affido, prevenire tali fenomeni, soprattutto tutelando i sempre nell’interesse del bambino e figli, affinché non ne divencontrastando, con le dovute leggi, tino “ostaggi”. Senza diil traffico di minori. Quindi, menticare che, di fronte a HA SCRITTO Francesco sottolinea che ovunviolenze, sfruttamento e “L’amore di cui parla Francesco non que c’è bisogno di “una robusta prepotenze, la separaci chiede di essere diversi e non ci iniezione di spirito familiare”, ed zione è inevitabile e “mogiudica. Ci accoglie e riconosce” incoraggia le famiglie ad uscire ralmente necessaria”. Michela Marzano, Corsera, 9 aprile da se stesse, trasformandosi in Divorziati risposati non si 2016, p. 1 “luogo di integrazione e punto di sentano scomunicati unione tra pubblico e privato”. PerQuanto a separati, divorziati ché ogni famiglia – è il monito del Papa – è chia- e divorziati risposati, l’Amoris Laetitia ribadisce mata ad instaurare la cultura dell’incontro e a quanto già espresso dai due Sinodi: occorre direndere ‘domestico’ il mondo. Per questo, il Papa scernimento ed attenzione, soprattutto verso colancia “un serio avvertimento”: chi si accosta loro che hanno subito ingiustamente la scelta del all’Eucaristia senza lasciarsi spingere all’impegno coniuge. Nello specifico, i divorziati non risposati verso i poveri ed i sofferenti, riceve questo sacra- vanno incoraggiati ad accostarsi all’Eucaristia, mento “indegnamente”. “cibo che sostiene”, mentre i divorziati risposati non devono sentirsi scomunicati e vanno accomCap. 6 - Alcune prospettive pastorali. Accompa- pagnati con “grande rispetto”, perché prendersi gnare gli sposi da vicino cura di loro all’interno della comunità cristiana A metà dell’Amoris Laetitia, il Papa riprende, in non significa indebolire l’indissolubilità del mamodo sostanziale, i temi sinodali. Ad esempio ri- trimonio, ma esprimere la carità. chiama: la necessità di una formazione più ade- Rispetto per omosessuali, ma nessuna analogia guata per i presbiteri e gli operatori della tra matrimonio e unione gay 56


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L’Esortazione ricorda poi le “situazione com- coglierne le ragioni e la bellezza. I genitori siano, plesse” come quelle dei matrimonio con disparità dunque, soggetti attivi della catechesi, non imdi culto, “luogo privilegiato di dialogo interreli- ponendo, ma proponendo l'esperienza spirituale gioso”, purché nel rispetto della “libertà reli- alla libertà dei figli. giosa”. Riguardo alle famiglie con persone di tendenza omosessuale, si ribadisce la necessità di Cap. 8 - Accompagnare, discernere e integrare le rispettare la loro dignità, senza marchi di “ingiu- fragilità sta discriminazione”. Al contempo, si sottolinea Riprendendo, quindi, uno dei temi centrali del che “non esiste alcun fondamento” per assimilare dibattito sinodale, il Papa si sofferma sulle famio stabilire analogie “neppure remote” tra le glie che vivono situazioni di fraunioni omosessuali ed il matrimonio gilità ed afferma, in primo secondo il disegno di Dio. E su queluogo, che “non ci si HA SCRITTO sto punto, è “inaccettabile” che la deve aspettare dal“La dottrina cattolica sulla famiglia Chiesa subisca “pressioni”. Parl’Esortazione una può anche rivelarsi flessibile, ma ha un ticolarmente preziosa, poi, è la nucleo duro intoccabile. Il tino è inclusivo, nuova normativa parte finale del capitolo, dedi- problematico, disponibile a pendere in con- generale di tipo casiderazione i punti di vista eccentrici, le cata all’accompagnamento panonico, applicabile a situazioni limite, le esperienze locali” storale da offrire alle famiglie tutti i casi”. Pertanto, Massimo Franco, Corsera, 9 colpite dalla morte di un loro caro. i pastori dovranno proaprile 2016, p.1- 33 muovere il matrimonio Cap. 7 - Rafforzare l’educazione dei figli, cristiano sacramentale, diritto-dovere dei genitori unione esclusiva, libera e fedele tra Ampio, poi, il capitolo dedicato all’educazione uomo e donna; ma dovranno anche accogliere, dei figli, “dovere gravissimo” e “diritto primario” accompagnare ed integrare con misericordia le dei genitori. Cinque i punti essenziali indicati fragilità di molti fedeli, perché la Chiesa deve esdall’Esortazione: educazione non come con- sere come “un ospedale da campo”. “Non ci capiti trollo, ma come “promozione di libertà respon- di sbagliare strada – scrive Francesco – La strada sabili che nei punti di incrocio sappiano scegliere della Chiesa è sempre quella di Gesù: della misecon buon senso e intelligenza”. Educazione come ricordia e dell’integrazione”, quella che non coninsegnamento alla “capacità di attendere”, fattore danna eternamente nessuno, ma effonde la “importantissimo” nel mondo attuale dominato misericordia di Dio “a tutte le persone che la dalla “velocità digitale” e dal vizio del “tutto e su- chiedono con cuore sincero”, perché la logica del bito”. Educazione come incontro educativo tra Vangelo dice che “nessuno può essere condangenitori e figli, anche per evitare “l’autismo tec- nato per sempre”. nologico” di molti minori scollegati dal mondo No a norma canonica generale, ma discernireale ed esposti alle manipolazioni egoistiche mento responsabile caso per caso esterne. Integrare tutti, dunque – raccomanda l’EsortaEducazione sessuale sia educazione all’amore e zione – anche i divorziati risposati che possono al sano pudore partecipare alla vita della comunità ad esempio Il Papa dice, poi, sì all’educazione sessuale, da in- attraverso impegni sociali o riunioni di pretendere come “educazione all’amore” da impar- ghiera. E riflettere su quali delle attuali esclusioni tire “nel momento appropriato e nel modo liturgiche e pastorali possano essere superate con adatto”, insegnando anche quel “sano pudore” “un adeguato discernimento”, affinché i divorche impedisce di trasformare le persone in puro ziati risposati non si sentano “scomunicati”. “Non oggetto. A tal proposito, Francesco critica esistono semplici ricette – ribadisce il Papa – Si l’espressione “sesso sicuro” che vira al negativo può soltanto incoraggiare ad un discernimento “la naturale finalità procreativa della sessualità” responsabile dei casi particolari, perché “il grado e sembra trasformare un eventuale figlio in “un di responsabilità non è uguale per tutti”. nemico dal quale proteggersi”. Infine, la trasmis- Eucaristia non è premio per i perfetti, ma alisione della fede, perché la famiglia deve conti- mento per i deboli nuare ad essere il luogo in cui si insegna a In due note a pie’ di pagina, poi, il Papa si sofferma


sulla disciplina sacramentale per i divorziati risposati: nella prima nota afferma che il discernimento pastorale può riconoscere che, in una situazione particolare, “non c’è colpa grave” e che quindi “gli effetti di una norma non neHA SCRITTO cessariamente devono essere ““Bastano poche frasi per capire gli stessi” di altri perché questo Papa sia amato da casi. Nella se- molti e detestato da qualcuno” Aldo Cazzullo, Corsera, 9 conda nota, aprile 2016, p.1 Francesco sottolinea che “in certi casi” l’aiuto della Chiesa per le situazioni difficili “potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti”, perché “il confessionale non deve essere una sala di tortura” e “l’Eucaristia non è un premio per i perfetti, ma un alimento per i deboli”. Esame di coscienza per divorziati risposati. Leggi morali non sono pietre Per i divorziati risposati, risulta comunque utile “fare un esame di coscienza” ed avere un colloquio con un sacerdote in foro interno, ovvero in confessione, per aiutare la formazione di “un giudizio corretto” sulla situazione. Essenziale, però – sottolinea il Pontefice – è la garanzia delle condizioni di “umiltà, riservatezza, amore alla Chiesa”, per evitare “messaggi sbagliati”, come se la Chiesa sostenesse “una doppia morale” o i sacramenti fossero un privilegio da ottenere “in cambio di favori”. Perché è vero che “è meschino” considerare l’agire di una persona solo in base ad una norma ed è vero che le leggi morali non possono essere “pietre” lanciate contro la vita dei fedeli. Però la Chiesa non deve rinunciare “in nessun modo” a proporre l’ideale pieno del matrimonio. Anzi: oggi è più importante una pastorale del consolidamento, piuttosto che del fallimento, matrimoniale. Chi pone condizioni alla misericordia di Dio annacqua il Vangelo L’ideale evangelico, allora, non va sminuito, ma bisogna anche assumere “la logica della compassione verso le persone fragili”. Non giudicare, non condannare, non escludere nessuno, ma vivere di misericordia, “architrave della Chiesa” che non è dogana, ma casa paterna in cui ciascuno ha un posto con la sua vita faticosa. E questo, in fondo, è “il primato della carità” che non pone condizioni alla misericordia di Dio “annacquando il Vangelo”, che non giudica le famiglie ferite con superiorità, in base ad una “morale 58

Amoris Laetitia, dono per le famiglie nel segno della misericordia

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no “sguardo positivo” e “originale” sulla bellezza dell’amore coniugale e sulla famiglia. Il cardinale Lorenzo Baldisseri ha tratteggiato così il valore di Amoris Laetitia, sottolineando subito come sia, particolarmente significativo, che questo documento venga pubblicato nell’ambito del Giubileo della Misericordia.

Baldisseri: Amoris Laetitia mostra tutta la bellezza della famiglia L’Anno Santo, ha detto il porporato, “è davvero una buona notizia per le famiglie di ogni continente, specialmente per quelle ferite e umiliate”: “Il titolo Amoris Laetitia è in piena continuità con l’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium: dalla gioia del Vangelo alla gioia dell’amore nella famiglia. Il cammino sinodale ha presentato la bellezza della famiglia parlando dell’amore: esso costituisce il fondamento dell’istituto familiare, perché Dio è amore tra Persone, è Trinità e non solitudine”. Amoris Laetitia, ha tenuto a precisare, approfondisce dunque “il Vangelo del matrimonio e della famiglia”. Dall’Esortazione, ha ammonito, non bisogna aspettarsi una “nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi”. Piuttosto, Amoris Laetitia “offre concreti orientamenti pastorali che, nella continuità, acquistano un valore e una dinamica nuova”.


Coniugi Miano: in Amoris Laetitia si coglie la famiglia in cammino

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a lettura di Amoris Laetitia, hanno affermato da parte loro i coniugi Miano, è stata “un momento di grande commozione e di profonda gioia”. E la gioia è stato il sentimento che hanno condiviso, “per un testo magisteriale che nel parlare della famiglia riconduce all’essenziale, a quello che più conta; e lo fa con un linguaggio diretto, semplice, per tutti”. Dunque, non un “testo per addetti ai lavori”, ma “per addetti alla vita”. Quindi, hanno messo l’accento sulla dimensione del cammino, fondamentale per capire il Sinodo ma pure la famiglia. La riflessione di Giuseppina Miano: “La categoria del cammino è fondamentale per capire il senso della vita della famiglia che traspare da queste pagine. Che la vita della famiglia sia un cammino viene ripetuto con chiarezza; un cammino in cui non bisogna stancarsi di guardare avanti, di avere grandi orizzonti, non bisogna smettere di sognare, e di cui imparare a gustare ed apprezzare ogni passo senza temere il divenire, le trasformazioni che il cammino porta con sé, avendo piuttosto il senso dell’imperfezione e della crescita”. I coniugi Miano hanno quindi evidenziato quanto il Papa richieda alle famiglie di credere nella cultura dell’incontro, a non chiudersi “nell’individualismo del piccolo nido” ma ad avere un cuore grande che sappia ritrovare “il gusto di relazioni autentiche”.

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al canto suo il cardinale Christoph Schönborn ha innanzitutto rilevato che in questo documento ritroviamo “il linguaggio e lo stile” di Francesco, le sue sono “parole che scaldano il cuore”. Non bisogna lasciarsi “spaventare” dalla sua lunghezza, ha ripreso l’arcivescovo di Vienna, nella convinzione che leggendo Amoris Laetitia si troverà “gioia nella concretezza e nel realismo” del testo. “Integrazione”, ha detto il cardinale austriaco, è la parola guida dell’Esortazione. Con questo documento viene superata “l’artificiosa, esteriore, netta divisione fra regolare e irregolare”. Ed ha annotato che il Papa è “riuscito a parlare di tutte le situazioni senza catalogare”, senza “categorizzare” perché lo sguardo di Gesù “non esclude nessuno”: “Nessuno deve sentirsi condannato, nessuno disprezzato. In questo clima dell’accoglienza, il discorso della visione cristiana di matrimonio e famiglia diventa invito, incoraggiamento, gioia dell’amore al quale possiamo credere e che non esclude nessuno, veramente e sinceramente nessuno”.

fica ed illumina” la vita familiare anche “nei giorni amari”, trasformando le difficoltà e le sofferenze in “offerta d’amore”. Per questo, il Papa esorta a non considerare la famiglia come “una realtà perfetta e confezionata una volta per sempre”, bensì come uno sviluppo graduale della capacità di amare di ciascuno. “Camminiamo, famiglie, continuiamo a camminare!” è l’invito conclusivo di Francesco che incoraggia le famiglie del mondo a non “perdere la speranza”.

fredda da scrivania”, sedendo sulla cattedra di Mosè con cuore chiuso, ma si dispone a comprendere, perdonare, accompagnare, integrare. Cap. 9 - Spiritualità coniugale e familiare. Cristo illumina i giorni amari Nell’ultimo capitolo, Amoris Laetitia invita a vivere la preghiera in famiglia, perché Cristo “uni59

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Schönborn: leggendo l’Esortazione, nessuno si sente condannato


Non c’è rottura, ma sviluppo organico della dottrina

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al canto suo, rispondendo alle domande dei giornalisti – il cardinale di Vienna ha ammonito a non concentrare l’attenzione esclusivamente sulla questione, pur importante, dell’accesso ai Sacramenti per i divorziati risposati. Si è però soffermato su quanto affermava Giovanni Paolo II nella Familiaris Consortio: “San Giovanni Paolo parla di tre situazioni diverse. La terza è il caso nel quale i risposati hanno moralmente la convinzione che il loro primo matrimonio non sia valido. Non ha tirato la conclusione su questo fatto, ma io penso che ci siano delle situazioni in cui non sia possibile trovare una soluzione canonica, ma in cui – nella certezza morale che questo primo matrimonio non sia sacramentale e con la coscienza della quale parla Papa Giovanni Paolo e cioè che sono convinti che non siano sposati sacramentalmente - ammetterli ai Sacramenti era già una prassi da lungo tempo e che né Papa Giovanni Paolo, né Papa Benedetto hanno esplicitamente messo in dubbio”. Dunque, ha affermato il porporato, non c’è rottura tra Amoris Laetitia e il magistero dei Pontefici precedenti sulla famiglia. Non c’è cambiamento, ha ripreso, ma innovazione, sviluppo organico della dottrina: un’innovazione nella continuità. Al tempo stesso, è stato il suo suggerimento, bisognerebbe "ridiscutere" la prassi dei Sacramenti, non solo per i divorziati risposati ma in generale.

Amore, accompagnamento e discernimento

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l cardinale arcivescovo di Vienna Christoph Schönborn, durante la presentazione della Esortazione apostolica di Papa Francesco “Amoris Laetitia” in Sala Stampa, si è soffermato sulle parole chiave del documento. Ecco le tre risposte:: La parola chiave è amore: Amoris Laetitia. E’ significativo che il Papa non parli della carità, ma dell’amore. Tutta la pienezza dei sentimenti, degli atteggiamenti nella coppia e nella famiglia, infatti, tutta questa ricchezza è al centro. Io direi che questo documento è anzitutto un grande inno all’amore familiare e nel centro del testo, geograficamente nel centro, ma anche spiritualmente nel centro, si trova il IV capitolo. So che tutti leggeranno l’VIII capitolo dove si trattano le questioni difficili, controverse, ma il IV capitolo è veramente il cuore del testo, perché è una lunga meditazione sull’Inno di San Paolo, nel XIII capitolo della Prima Lettera ai Corinzi, sulla carità e sull’amore. E questo è il nucleo. San Giovanni dice: “Abbiamo creduto nell’amore”. Papa Francesco crede nell’amore, nella forza at60


Questo documento ha, secondo lei, anche un nuovo linguaggio? Direi che questo documento è un “evento di lingua”, come già è stato l’”Evangelii Gaudium”. È un “evento”, una freschezza, un’immediatezza di linguaggio, che colpisce, perché a volte dobbiamo ammettere – umilmente! – che i nostri documenti ecclesiastici non sono tanto leggibili … Si sente che il Papa è un uomo che ha insegnato la letteratura, che ama i poeti, gli scrittori. Ha un linguaggio con un sapore di vita, di freschezza, di immagini. E parla delle realtà della vita con una vicinanza alla gente, che si sente: si sente che è un uomo che è stato tanto vicino alla gente. Ma non bisogna dimenticare, anche qui, la continuità: leggendo tutto il quarto e il quinto capitolo, penso alle catechesi di San Giovanni Paolo II sulla teologia del Corpo, ma è molto più ampio: la vita della coppia anzitutto. Papa Francesco è, secondo me, in forte continuità con questo approccio molto concreto, vivo, della realtà quotidiana. Forse lui include un po’ di più ciò che lui chiama la “famiglia allargata”; parla dei nonni, degli zii, dei cugini: di tutta questa ricchezza dell’ambiente familiare che forse è un po’ mancata nei documenti ecclesiastici sulla famiglia. 61

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traente dell’amore, e per questo può essere abbastanza sfiduciato, critico nei confronti di un atteggiamento che vuole regolare tutto con delle norme, di chi pensa che basti accordarsi alla norma. No, dice il Papa: “Questo non attira; ciò che attira è l’amore”. E questa per me, da domenicano, è la posizione classica di San Tommaso d’Aquino. Io spero che, dopo la pubblicazione del documento, si faccia uno studio per mostrare quanto questo documento sia in linea con il grande San Tommaso d’Aquino. E’ l’autore più citato in tutto il documento tra i teologi, i maestri, i Padri della Chiesa. E la profonda convinzione di San Tommaso è che solo il bene ci attira. L’orientamento nell’agire umano si fa attraverso l’attrazione del bene, della felicità. E questo ideale della famiglia cristiana, della coppia, non è un ideale astratto, è il profondo desiderio dell’uomo. Ma questa meta, questa finalità, si raggiunge passo dopo passo, mano a mano. E per questo l’altra parola chiave del documento è ”accompagnamento”: l’accompagnamento che fanno i genitori con i loro figli, che fanno i pastori con i fedeli, che fa il Papa con la Chiesa. Accompagnamento su una strada in cui sono tutti. Ed io, che vengo da una famiglia molto ferita, da una cosiddetta “patchwork family”, ho sofferto da giovane di questa quasi separazione che si fa spesso nella Chiesa: qui sono quelli “in ordine”, che si comportano bene, e qui sono gli altri che sono irregolari; qui i buoni, quelli in regola, e qui gli altri che sono un problema. Papa Francesco, nella linea di Gesù, della Bibbia e del Nuovo Testamento, ci mostra che noi siamo tutti in cammino, tutti, senza eccezione. Anche quelli che hanno la fortuna di vivere in una situazione di pace familiare, serena, nella fede e che camminano bene, anche loro hanno bisogno di conversione, anche loro hanno bisogno di misericordia. E, dunque, accompagnare è la parola chiave per i pastori, per le comunità cristiane. E’ importante, perché il Papa invita le comunità a questo accompagnamento. E poi, terza e ultima parola chiave, dopo amore e accompagnamento, è discernimento. “Discernimento” è molto ignaziano. Il Papa è gesuita e formato dagli Esercizi di Sant’Ignazio. Il discernimento è ciò che ognuno di noi deve fare: cosa Dio vuole da me nella vita quotidiana, nelle grandi scelte della vita, eccetera. Discernimento anche nelle situazioni difficili. E qui c’è un punto che si deve fortemente sottolineare: questo è in continuità con san Giovanni Paolo II, perché questo documento è basato in gran parte sulla “Familiaris Consortio”. Dobbiamo mostrare in dettaglio quanto sia nella linea della “Familiaris Consortio”, cosa fa il Papa, che ha già fatto il Sinodo dello scorso ottobre. Nel 1984, nella “Familiaris Consortio”, San Giovanni Paolo II diceva: i pastori, per amore della verità, sono obbligati a discernere le situazioni. E poi enumera tre diverse situazioni di rottura del matrimonio, ma sono molto diverse. E cosa vuol dire? Papa Francesco ci mostra che questo discernimento vuole anche un accompagnamento diverso: non fa una casistica dell’accompagnamento, ma piuttosto una scuola dell’attitudine del pastore e della comunità, che accompagnano con uno sguardo attento alla realtà – il Papa lo dice parecchie volte nel documento – le situazioni come sono, le famiglie come sono: un accompagnamento variegato. E in una piccola nota aggiunge che questo aiuto della Chiesa può esserci, in certi casi, anche con i Sacramenti; non dice di più. Forse alcuni diranno: “Non basta”. Lui dice: “Fate un buon discernimento”.


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CHI È

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Sguardi sul mondo Europa 2016 A Lesbo per svegliare il mondo “

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engo per portarvi speranza, i profughi sono volti e storie e non numeri”. Sono le parole di Papa Francesco pronunciate nel corso della commovente visita tra i profughi sull’isola greca di Lesbo, sabato 16 aprile. Cinque ore dense di sguardi, di abbracci, di incontri. Molti sono stati i momenti toccanti, soprattutto nel campo profughi di Mòria, dove il Papa ha salutato bambini, donne, uomini raccogliendo le loro lacrime, le loro speranze, le loro richieste di aiuto. A condividere questa visita di solidarietà col Papa sono stati il Patriarca ecumenico Bartolomeo I e l’arcivescovo ortodosso di Atene e di tutta la Grecia, Ieronymos. La sosta a Lesbo è stata l’occasione per levare un forte appello congiunto alla comunità internazionale perché si mobiliti senza tentennamenti in difesa delle vite umane e contro le cause che alimentano le fughe di massa di intere popolazioni. Papa Francesco: “Cari fratelli e sorelle, oggi ho voluto stare con voi e vorrei dirvi che non siete soli”- ha detto - commosso. E’ arrivato Francesco, è davanti a loro, ai rifugiati, ai migranti, a tutti coloro che sono i protagonisti della “catastrofe umanitaria più grande dopo la seconda guerra mondiale”, così dice già a bordo dell’aereo che lo porta a Lesbo, quando con poche parole, da subito indica l’impronta di questa visita, diversa dagli altri viaggi apostolici, spiega, quando “si fanno tante cose” quando “c’è la gioia dell’incontro”, perché questo viaggio qui in Grecia è “segnato dalla tristezza”, è “un viaggio triste”. Migranti non sono numeri, sono persone Francesco parla della gente che soffre, che non sa dove andare, che è dovuta fuggire, racconta di questo tratto di mare che è divenuto ormai un cimitero, con i tanti annegati. Ed ecco che il desiderio di portare la sua vicinanza a chi fugge da guerre e violenza si concretizza in uno dei luoghi simbolo dei drammatici esodi: Papa

Francesco entra a Mòria, uno dei campi rifugiati tra i più tristemente noti. Lo accolgono alcune centinaia di migranti, bambini, donne con il velo, anziani, al suo fianco il patriarca Bartolomeo e l’arcivescovo Ieronymos. Abbraccia i bambini, stringe le mani ai ragazzi più grandi, da loro riceve molti biglietti e richieste di selfie, e anche disegni, che il Papa, dice lui stesso, metterà sulla sua scrivania. Lo accolgono felici queste persone, migranti che non sono numeri ma volti e nomi, scrive Francesco in un tweet. Sono immagini di gioia da un luogo intriso di immensa tristezza. Per molti di loro, di fede non cristiana, questa presenza forse non avrà un significato religioso, sicuramente però sanno che chi hanno di fronte è oggi l’unica voce che si alza a difesa dei loro diritti di esseri umani. E con lui le voci di Bartolomeo e di Ieronymos. Tre leader religiosi che si sono spinti in questo luogo di frontiera per ricordare al mondo che non si devono chiudere gli occhi davanti alle sofferenze di chi cerca una vita migliore, di chi è stato costretto a “fuggire da situazioni di conflitto e di persecuzione”, e a farlo soprattutto per i figli: “Conoscete il dolore di aver lasciato dietro di voi tutto ciò che vi era caro e – quel che è forse più difficile – senza sapere che cosa il futuro avrebbe portato con sé. Anche molti altri, come voi, si trovano in campi di rifugio o in città, nell’attesa, sperando di costruire una nuova vita in questo continente”. Il mondo si faccia attento a queste tragedie Parla così Papa Francesco a questi occhi che guardano, forse per la prima volta da mesi a questa parte, con la speranza di potercela fare. Perché Francesco è tra loro “semplicemente“, spiega lui stesso, per stare con loro e per ascoltare le loro storie: Siamo venuti per richiamare l’attenzione del mondo su questa grave crisi umanitaria e per implorarne la risoluzione. Come uomini di fede, desideriamo unire le nostre voci per parlare aperta64


La solidarietà dei giovani Il Papa parla ai migranti, ma le sue parole sono un messaggio per tutti: “Sappiamo per esperienza quanto è facile per alcune persone ignorare le sofferenze degli altri e persino sfruttarne le vulnerabilità”, anche queste crisi però “possono far emergere il meglio di noi”: “Lo avete visto in voi stessi e nel popolo greco, che ha generosamente risposto ai vostri bisogni pur in mezzo alle sue stesse difficoltà. Lo avete visto anche nelle molte persone, specialmente giovani provenienti da tutta l’Europa e dal mondo, che sono venute per aiutarvi”.

Appello all'Europa Per i cristiani il modello da seguire deve essere quello del Buon Samaritano, quello della sua misericordia, e l’appello è, prosegue Francesco, “a mostrare quella stessa misericordia a coloro che si trovano nel bisogno”. E’ un richiamo all’Europa, quello che fa il Papa: “Possano tutti i nostri fratelli e le nostre sorelle in questo continente, come il Buon Samaritano, venirvi in aiuto in quello spirito di fraternità, solidarietà e rispetto per la dignità umana, che ha contraddistinto la sua lunga storia”.

Il “grazie” al popolo greco L’impegno e la generosità del popolo greco sono al centro dei pensieri del Papa, lo ha detto all’arrivo al premier greco Tsipras nei pochi minuti di incontro privato all’aeroporto, quando ha ringraziato il popolo greco che, nonostante la grave crisi economica, dimostra “solidarietà e dedizione ai valori universali”. La questione dei rifugiati, è il punto emerso dal colloquio, è un problema europeo e internazionale la cui risposta deve essere comprensiva e rispettare le leggi europee ed internazionali. Resta ancora moltissimo da fare, am-

Bartolomeo: il mondo sarà giudicato da come ha trattato i profughi Un appello fortemente condiviso da Bartolomeo e da Ieronymos al fianco del Papa per gridare al mondo que-

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mette Francesco rivolto agli ospiti di Moria, ma “c’è sempre qualcuno che può tendere la mano e aiutarci”. Quella mano che lui tende a chi, come un giovane profugo, a una giovane donna, gli si getta ai piedi piangendo e chiedendo di essere benedetto: “Questo è il messaggio che oggi desidero lasciarvi: non perdete la speranza! Il più grande dono che possiamo offrirci a vicenda è l’amore: uno sguardo misericordioso, la premura di ascoltarci e comprenderci, una parola di incoraggiamento, una preghiera. Possiate condividere questo dono gli uni con gli altri”.

mente a nome vostro. Speriamo che il mondo si faccia attento a queste situazioni di bisogno tragico e veramente disperato, e risponda in modo degno della nostra comune umanità”.


sta tragedia della crisi dei rifugiati. Chi ha paura dei rifugiati non ha guardato nei loro occhi, e nei loro volti, dice il Patriarca. “Il mondo – denuncia Bartolomeo – sarà giudicato dal modo in cui vi ha trattato”. Ieronymos: indifferenza è bancarotta dell'umanità Le nostre voci sono unite, aggiunge Ieronymos, nel condannare lo sradicamento, nel denunciare ogni forma di svalutazione della persona umana, nonché la “bancarotta dell’umanità e della solidarietà” dell’Europa.

perché la “protezione delle vite umane è una priorità”. È quanto si afferma nella Dichiarazione congiunta firmata a Lesbo da Papa Francesco, dal Patriarca ecumenico Bartolomeo I e dall’arcivescovo ortodosso di Atene e di tutta la Grecia Ieronymos, al termine del loro incontro con i profughi sull’isola greca. Una “colossale crisi umanitaria” quale il mondo non ha mai visto dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale. E il mondo deve muoversi con solidarietà “immediata”, soprattutto rimuovendo i motivi scatenanti – guerre e violenze varie – che hanno innescato questo gigantesco e inarrestabile movimento di massa di immigrati e profughi.

SULL’AEREO CON DODICI PROFUGHI SIRIANI Il Papa ha voluto compiere un gesto di accoglienza nei confronti dei rifugiati, accompagnando a Roma con Solidarietà, compassione, generosità La Dichiarazione congiunta che Papa Franl’aereo in cui egli sesso viaggiava, tre famicesco, il Patriarca ecumenico Bartologlie di rifugiati dalla Siria, 12 persone meo I e l’arcivescovo ortodosso di in tutto, di cui 6 minori. Si tratta di “Siamo venuti per Atene Ieronymos firmano sul persone che erano già presenti nei implorare la soluzione podio dal quale hanno appena campi di accoglienza di Lesbo di questa grave crisi umanitaria” rivolto i loro saluti è scritta in prima dell’accordo fra “Siamo venuti per richiamare l’attenzione del mondo su questa grave crisi certo modo con l’inchioUnione Europea e Turchia. umanitaria e per implorarne la risolustro della tragedia inconzione. Come uomini di fede, desideriamo trata poco prima – il lento L'iniziativa tramite una unire le nostre voci per parlare apertaincontro col dolore senza trattativa tra Santa Sede, mente a nome vostro. Speriamo che il più parole e i singhiozzi liItalia e Grecia mondo si faccia attento a queste situazioni di bisogno tragico e veramente beratori dei disperati con Il portavoce della Sala disperato, e risponda in modo degno l’uomo della speranza, l’unico Stampa vaticana padre Fededella nostra comune umanità”. leader mondiale che abbia vorico Lombardi, prima di laPAPA FRANCESCO A luto raggiungerli e stare con loro sciare Lesbo ha detto ai giornalisti LESBO 16 aprile 2016 sotto una tenda, conoscere visi e storie che l’iniziativa del Papa è stata realize lasciando distanze di sicurezza e muri a zata tramite una trattativa della Segreteria chi pesa con la bilancia della politica anche i di Stato con le autorità competenti greche e itagrammi di umanità. “La tragedia della migrazione e del liane. dislocamento forzati”, afferma un passaggio della DiL'accoglienza a carico del Vaticano. L'ospitalità garan- chiarazione, richiede “una risposta di solidarietà, compassione, generosità e un immediato ed effettivo tita dalla Comunità di Sant''Egidio Tutti i membri delle tre famiglie sono musulmani. Due impegno di risorse. Da Lesbo facciamo appello alla cofamiglie vengono da Damasco, una da Deir Azzor (nella munità internazionale perché risponda con coraggio, zona occupata dal Daesh, il sedicente Stato Islamico). affrontando questa enorme crisi umanitaria” e le sue Le loro case sono state bombardate. L’accoglienza e il cause con “iniziative diplomatiche, politiche e caritamantenimento delle tre famiglie saranno a carico del tive e attraverso sforzi congiunti, sia in Medio Oriente Vaticano. L’ospitalità iniziale – ha detto padre Lom- sia in Europa”. bardi - sarà garantita dalla Comunità di Sant’Egidio. Impiegare ogni mezzo LA DICHIARAZIONE CONGIUNTA: immigrati, basta “Come capi delle nostre rispettive Chiese – affermano i tre firmatari – siamo uniti nel desiderio della pace e rotte della morte nella sollecitudine per promuovere la risoluzione dei La tragedia umanitaria che vivono gli immigrati ri- conflitti attraverso il dialogo e la riconciliazione”. Richiede “una risposta di solidarietà, compassione, gene- conoscendo quanto già fatto in termini di assistenza, e rosità e un immediato ed effettivo impegno di risorse” ringraziando la Grecia per il suo impegno, il Papa e le 66


Asilo temporaneo, status di rifugiato Ancora un esortazione viene rivolta a “tutti i Paesi” perché, perdurando “la situazione di precarietà”, estendano “l’asilo temporaneo” e concedano “lo status di rifugiato a quanti ne sono idonei”, ampliando “gli sforzi per portare soccorso” e adoperandosi “insieme a tutti gli uomini e le donne di buona volontà per una fine sollecita dei conflitti in corso”.

Eliminare le rotte della morte E necessari in modo altrettanto urgente”, incalza la Dichiarazione, sono “un più ampio consenso internazionale e un programma di assistenza per affermare lo stato di diritto, difendere i diritti umani fondamentali in questa situazione divenuta insostenibile, proteggere le minoranze, combattere il traffico e il contrabbando di esseri umani, eliminare le rotte di viaggio pericolose che attraversano l’Egeo e tutto il Mediterraneo, e provvedere procedure sicure di reinsediamento”.

Priorità della vita umana Riaffermando “con fermezza e in modo accorato” la decisione di “intensificare” i rispettivi “sforzi per promuovere la piena unità di tutti i cristiani”, Papa Francesco, il Patriarca Bartolomeo e l’arcivescovo Ieronymos – citando la Charta Oecumenica del 2001 – si dicono desiderosi di voler “contribuire insieme affinché venga concessa un’accoglienza umana e dignitosa a donne e uomini migranti, ai profughi e a chi cerca asilo in Europa”. L’Europa oggi, sottolineano, “si trova di fronte a

Assistere i rifugiati di tutte le fedi L’orizzonte del documento congiunto si allarga nella parte conclusiva, arrivando a comprendere il conflitto mediorientale, per il quale i firmatari “insieme” implorano “solennemente la fine della guerra e della violenza”, una “pace giusta e duratura e un ritorno onorevole per coloro che sono stati costretti ad abban-

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donare le loro case”. “Chiediamo alle comunità religiose – si afferma – di aumentare gli sforzi per accogliere, assistere e proteggere i rifugiati di tutte le fedi e affinché i servizi di soccorso, religiosi e civili, operino per coordinare le loro iniziative”.

due personalità ortodosse si appellano, scrivono, “a tutti i responsabili politici affinché sia impiegato ogni mezzo per assicurare che gli individui e le comunità, compresi i cristiani, possano rimanere nelle loro terre natie e godano del diritto fondamentale di vivere in pace e sicurezza”.


PAPA FRANCESCO “Ringrazio quanti hanno accompagnato con la preghiera la visita che ho compiuto nell’Isola di Lesbo, in Grecia. Ai profughi al popolo greco ho portato la solidarietà della Chiesa. Erano con me il Patriarca Ecumenico Bartolomeo e l’Arcivescovo Ieronymos di Atene e di tutta la Grecia, a significare l’unità nella carità di tutti i discepoli del Signore. Abbiamo visitato uno dei campi de irifugiati: provenivano dall’Iraq, dall’Afghanistan, dalla Siria, dall’Africa, da tanti Paesi… Abbiamo salutato circa 300 di questi profughi, uno ad uno. Tutti e tre: il Patriarca Bartolomeo, l’Arcivescovo Ieronymos ed io. Tanti di loro erano bambini; alcuni di loro – di questi bambini – hanno assistito alla morte dei genitori e dei compagni, alcuni morti annegati in mare. Ho visto tanto dolore! E voglio raccontare un caso particolare, di un uomo giovane, non ha 40 anni. Lo ho incontrato ieri, con i suoi due figli. Lui è musulmano e mi ha raccontato che era sposato con una ragazza cristiana, si amavano e si rispettavano a vicenda. Ma purtroppo questa ragazza è stata sgozzata dai terroristi, perché non ha voluto rinnegare Cristo e abbandonare la sua fede. E’ una martire! E quell’uomo piangeva tanto…” Angelus, domenica 17 aprile 2016

una delle più serie crisi umanitarie dalla fine della Seconda Guerra Mondiale”. Dunque, “esortiamo la comunità internazionale a fare della protezione delle vite umane una priorità e a sostenere, ad ogni livello, politiche inclusive che si estendano a tutte le comunità religiose”. Francesco: Europa sia patria dei diritti, non respinga i migranti Rinnovo “un accorato appello alla responsabilità e alla solidarietà” di fronte ad un’emergenza drammatica. E’ uno dei passaggi del discorso che Papa Francesco ha rivolto alla cittadinanza e alla comunità di Lesbo, incontrata al porto dell’isola. Dal Pontefice un sentito ringraziamento a quanti stanno compiendo ogni sforzo per accogliere i migranti, quindi l’esortazione a costruire la pace dove la guerra ha portato distruzione. Per essere veramente solidali, ha avvertito, bisogna rimuovere le cause e adottare politiche non unilaterali. “Quando Lesbo è diventata un approdo per tanti migranti in cerca di pace e di dignità, ho sentito il desiderio di venire qui”. Incontrando la cittadinanza dell’isola greca, Francesco confida subito i suoi sentimenti ed esprime gratitudine, ammirazione per come il popolo greco, “nonostante le gravi difficoltà da affrontare” ha saputo “tenere aperti i cuori e le porte”. Mai dimenticare che migranti sono persone Il Papa rinnova, dunque, un “accorato appello alla responsabilità e alla solidarietà di fronte a una situazione tanto drammatica”, migranti che vivono la disperazione “per i disagi materiali e per l’incertezza del futuro”: “Le preoccupazioni delle istituzioni e della gente, qui in Grecia come in altri Paesi d’Europa, sono comprensibili e legittime. E tuttavia non bisogna mai dimenticare che i migranti, prima di essere numeri, sono persone, sono volti, nomi, storie. L’Europa è la patria dei diritti umani, e chiunque metta piede in terra europea dovrebbe poterlo sperimentare, così si renderà più consapevole di doverli a sua volta rispettare e difendere”. Le barriere creano divisioni, non aiutano progresso dei popoli Purtroppo, è il rammarico del Papa, “molti bambini non sono riusciti nemmeno ad arrivare: hanno perso la vita in mare, vittime di viaggi disumani e sottoposti alle angherie di vili aguzzini”:“Voi, abitanti di Lesbo, dimostrate che in queste terre, culla di civiltà, pulsa ancora il cuore di un’umanità che sa riconoscere prima di tutto il fratello e la sorella, un’umanità che vuole costruire

ponti e rifugge dall’illusione di innalzare recinti per sentirsi più sicura. Infatti le barriere creano divisioni, anziché aiutare il vero progresso dei popoli, e le divisioni prima o poi provocano scontri”. “Per essere veramente solidali con chi è costretto a fuggire dalla propria terra – ha proseguito il Papa – bisogna lavorare per rimuovere le cause di questa drammatica realtà: non basta limitarsi a inseguire l’emergenza del momento, ma occorre sviluppare politiche di ampio respiro, non unilaterali”. Impedire che il cancro della guerra si diffonda, basta traffico di armi Quindi, ancora una volta, Francesco ha chiesto di “costruire la pace là dove la guerra ha portato distruzione e morte, e impedire che questo cancro si diffonda altrove”: “Per questo bisogna contrastare con fermezza la proliferazione e il traffico delle armi e le loro trame spesso occulte; vanno privati di ogni sostegno quanti perseguono progetti di odio e di violenza. Va invece promossa senza stancarsi la collaborazione tra i Paesi, le Organizzazioni internazionali e le istituzioni umanitarie, non isolando ma sostenendo chi fronteggia l’emergenza”. Di qui l’auspicio che abbia successo il Primo Vertice Umanitario Mondiale che si terrà a Istanbul il mese 68


Greco cattolici ucraini: piena comunione con Papa Francesco

Dio non è indifferente alle tragedie che feriscono l’umanità Ancora, ha evidenziato che la sua presenza a Lesbo “insieme al Patriarca Bartolomeo e all’Arcivescovo Ieronymos sta a testimoniare la nostra volontà di continuare a collaborare perché questa sfida epocale diventi occasione non di scontro, ma di crescita della civiltà dell’amore”: “Cari fratelli e sorelle, di fronte alle tragedie che feriscono l’umanità, Dio non è indifferente, non è distante. Egli è il nostro Padre, che ci sostiene nel costruire il bene e respingere il male. Non solo ci sostiene, ma in Gesù ci ha mostrato la via della pace. Di fronte al male del mondo, Egli si è fatto nostro servo, e col suo servizio di amore ha salvato il mondo”. Questo, ha ripreso, “è il vero potere che genera la pace. Solo chi serve con amore costruisce la pace”, “superando la spessa coltre dell’indifferenza che annebbia le menti e i cuori”.

iamo venuti per riaffermare la nostra co“S munione col Papa e per chiedere il suo aiuto per il popolo ucraino”. Lo ha detto Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk dopo l'incontro del Sinodo Permanente della Chiesa greco-cattolica Ucraina con Francesco in Vaticano, svoltosi sabato 5 marzo. “Il Papa ci ha ascoltato”, ha detto l'arcivescovo Shevchuk che ha ricordato come Francesco sia considerato un’"autorità morale che parla della verità, una voce molto importante per il popolo ucraino". La Chiesa greco cattolica si è detta pronta a collaborare per il bene dell’intera nazione, in un piano che includa organismi internazionali e non. La guerra in Ucraina, causata dall’invasione russa, ha coinvolto 5 milioni di persone, provocato diecimila morti, migliaia di feriti e costretto due milioni di persone a vivere fuori delle loro case. Il conflitto ha provocato un pesante impoverimento della popolazione. “Facciamo si’ - ha affermato l'arcivescovo Shevchuk - che l’Anno della Misericordia diventi realtà anche per il popolo ucraino”.

LA PREGHIERA PER I MIGRANTI Infine, il Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo e l’arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia Ieronymos hanno rivolto una preghiera composta per l’occasione affinché il Signore dia conforto a quanti sono così duramente provati nella crisi umanitaria dei migranti. Al termine dell’incontro con la cittadinanza e con la comunità cattolica al Porto di Lesbo, il Papa ha pronunciato questa preghiera per i migranti: "Dio di misericordia, Ti preghiamo per tutti gli uomini, le donne e i bambini, che sono morti dopo aver lasciato le loro terre in cerca di una vita migliore. Benché molte delle loro tombe non abbiano nome, da Te ognuno è conosciuto, amato e prediletto. Che mai siano da noi dimenticati, ma che possiamo onorare il loro sacrificio con le opere più che con le parole. Ti affidiamo tutti coloro che hanno compiuto questo viaggio, sopportando paura, incertezza e umiliazione, al fine di raggiungere un luogo di sicurezza e di speranza. Come Tu non hai abbandonato il tuo Figlio quando fu condotto in un luogo sicuro da Maria e Giuseppe, così ora sii vicino a questi tuoi figli e figlie attraverso la nostra tenerezza e protezione. Fa’ che, prendendoci cura di loro, possiamo promuovere un mondo dove nessuno sia costretto a lasciare la propria casa e dove tutti possano vivere in libertà, dignità e pace. Dio di misericordia e Padre di tutti, destaci dal sonno dell’indifferenza, apri i nostri occhi alle loro

25 anni fa il ripristino delle strutture cattoliche in Russia ono stati ricordati i 25 anni dal ripristino strutture cattoliche della Federazione Srussa,delle per volere di san Giovanni Paolo II. Era infatti il 13 aprile 1991. Dopo 70 anni di clandestinità la Chiesa cattolica in Russia trovò nuova vita. Intanto a seguito dello storico incontro all’Avana nel febbraio scorso tra Papa Francesco e il Patriarca russo Kirill il 6 e 7 2016 una delegazione bilaterale dell’arcidiocesi della Madre di Dio a Mosca e della Chiesa ortodossa russa ha visitato il Libano e la Siria per promuovere iniziative, coordinare gli aiuti e sostenere i cristiani in difficoltà. sofferenze e liberaci dall’insensibilità, frutto del benessere mondano e del ripiegamento su sé stessi. Ispira tutti noi, nazioni, comunità e singoli individui, a riconoscere che quanti raggiungono le nostre coste sono nostri fratelli e sorelle. Aiutaci a condividere con loro le benedizioni che abbiamo ricevuto dalle tue mani e riconoscere che insieme, come un’unica famiglia umana, siamo tutti migranti, viaggiatori di speranza verso di Te, che sei la nostra vera casa, là dove ogni lacrima sarà tersa, dove saremo nella pace, al sicuro nel tuo abbraccio".

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prossimo. Francesco ha rinnovato l’appello a “cercare soluzioni degne dell’uomo alla complessa questione dei profughi”.


La gioia delle famiglie siriane portate da Lesbo “

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er noi è ancora un emozione incredibile, un sogno essere a Roma!” C’è ancora stupore ed incredulità nelle tre famiglie siriane portate a Roma dal Papa, durante il suo viaggio nell’isola greca di Lesbo, e accolte nella capitale, dalla Comunità di Sant’Egidio. Linda Bordoni ed Helene Destombes hanno raccolto la testimonianza di Hassan e Nour Zahidà la coppia più giovane dei tre nuclei, arrivati in Italia con il loro bambino. Una fuga iniziata da Damasco in Siria, e proseguita verso Aleppo per raggiungere la Turchia e da li cercare di raggiungere la Grecia con un barcone di fortuna. E’ stato questo il lungo e periglioso cammino che Hassan e Nour insieme al loro figlio sono stati costretti a percorrere per fuggire dalla guerra. La testimonianza di Nour: Noi abbiamo lasciato la Siria nel dicembre del 2015, perché mio marito era stato richiamato alle armi: in quel periodo, infatti, richiamavano tutti gli uomini tra i 18 e i 45 anni per unirsi all’esercito siriano, perché si era in guerra! Il nome di mio marito era segnalato ad ogni caserma di Polizia e quindi non potevano uscire dal Paese attraverso le frontiere regolari, ufficiali. Siamo stati obbligati di prendere il “cammino illegale”. Quando tempo siete rimasti a Lesbo? Un mese. Siamo arrivati il 18 marzo. Circa un mese … Come si svolgeva la vostra vita nel campo?

In un primo momento era buona … Ma questo solo nei primi cinque giorni, perché non vi era molta gente. Dopo sono arrivate tantissime famiglie e quindi nel campo c’erano tantissime famiglie, tanta gente … E l’acqua non c’era, neanche nei bagni: semplicemente non c’era acqua sufficiente per tutti! Ci hanno anche detto che avrebbero dovuto mettere insieme in un’unica stanza anche 2-3 famiglie … Sì, questa è stata la vita nel campo nell’ultimo periodo… Poi la notizia improvvisa ad inaspettata di essere stati scelti tra quelle famiglie che il Papa avrebbe portato con se a Roma. E l’emozione diventa difficile da raccontare. La testimonianza del marito Hassan: E’ stato davvero un sogno. Noi stavamo comprando qualcosa in centro, a Lesbo, alle otto di sera; siamo rientrati nel campo di Karatepe e il responsabile, Stavros, ci ha detto che qualcuno aveva scelto tre famiglie per portarle in Italia. Non ci hanno detto niente, però, del tipo di volo e con chi fosse. Quindi non ci hanno detto nulla del Papa e che sarebbe stato un volo speciale con lui. E cosa avete provato, quando lo avete scoperto? E’ stato di nuovo un sogno, veramente. Non riuscivamo a capire cosa stesse succedendo. Poi lo abbiamo capito, quando abbiamo incontrato il responsabile della Comunità di Sant’Egidio. E l’incontro con il papa rimarrà un ricordo da portare nel cuore per sempre. 70


Finalmente questa famiglia può guardare verso il futuro con gioia. Hassan: Il nostro sogno, veramente, è di venire accettati qui in Italia, in particolare in Italia. Spero di poter avere una nuova vita qui, al sicuro, specialmente per i miei figli e per mia moglie. Siamo alla ricerca di una vita sicura. Non c’è nessun problema con il Paese. Il mio sogno infatti era quello di raggiungere un Paese che fosse sicuro per la mia famiglia; di integrarmi nella comunità italiana; di avere una vita completa assieme alla mia bella famiglia.

Grande è la riconoscenza dei due sposi verso Papa Francesco. Queste le parole di Nour: Voglio ringraziare il Papa per il suo gesto. Non c’è stato nessun uomo religioso musulmano e nessun presidente arabo – e questo l'ho detto già tante volte – che abbia fatto la stessa cosa. Si dice che condividiamo le stesse cose - condividiamo la stessa lingua, condividiamo la stessa religione – ma non c’è stato un uomo religioso o un Presidente arabo che abbia sentito la nostra sofferenza. Soltanto il Papa! Il Papa ha pregato per noi, ha sentito la nostra sofferenza; ha deciso di andare a Lesbo per vedere realmente cosa stesse succedendo; è andato a visitare il campo di Moria, in cui ci sono tante tensioni, per vedere cosa succedesse. Quindi voglio dirgli: “Grazie! Grazie! Grazie per averci salvati!”. Io spero che questo suo gesto possa influenzare e toccare tutti, che possa cambiare le posizioni politiche e che le frontiere si possano aprire davanti a tutti questi rifugiati. Ci sono tante, tante situazioni difficili al campo e ci sono tantissime persone che hanno bisogno di aiuto. E sono tutte persone normali, che hanno dovuto abbandonare tutto a causa della guerra. Noi abbiamo dovuto lasciare

Nour: Per mio figlio: spero che abbia una vita felice, che possa giocare insieme agli altri, che completi i suoi studi, che impari la lingua italiana e che si possa integrare bene nella società; per me e mio marito, che troviamo un lavoro. Io volevo dire che siamo persone normali. Non siamo dei jihadisti; non siamo dei terroristi! Siamo delle persone normali come voi. Sogniamo soltanto una vita normale in un Paese in cui vi sia la pace. Vi amiamo. Noi apparteniamo ad un comunità mista, vivevamo con i cristiani, con i musulmani, con gli alawiti … Non siamo jihadisti! Non siamo terroristi! Non abbiamo alcuna forma di razzismo verso gli altri.

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il nostro Paese a causa della guerra … Noi vogliamo solo vivere in un luogo che sia libero, che rispetti tutte le persone, che rispetti tutte le religioni.

La gioia di Hassan: Sì, abbiamo incontrato il Papa all’aeroporto. Ci ha chiesto della situazione a Lesbo e noi gli abbiamo detto che apprezzavamo gli sforzi fatti per i rifugiati, specialmente quelli siriani, quelli provenienti dal confine fra la Macedonia e la Grecia ed anche quelli rinchiusi nei campi di Keratepe e Moria.


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essere in primo piano per il governo perché bisogna pensare a risolvere la questione dei rifuVescovi tedeschi: impegno per rifugiati, famiglia giati, senza aggiungere al dibattito altre questioni che porterebbero lontano dalla soluzione”. Ine lavoro fine, i vescovi tedeschi hanno riflettuto sui temi “Principi di impegno della Chiesa per i rifugiati”: della famiglia e del lavoro, analizzati attraverso questo il principale documento diffuso dalla un apposito documento intitolato “Misure per Conferenza episcopale tedesca (Dbk) al temine conciliare lavoro e vita familiare”. della sua Assemblea Plenaria, svoltasi a metà febbraio 2016. A presentare i documenti alla Elezioni in Irlanda. Vescovi: cristiani non posstampa – riferisce l’agenzia Sir - è stato il presi- sono eludere Vangelo dente della Dbk, card. Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco-Frisinga, presso l’Abbazia di Salute, emergenza abitativa, educazione, sicurezza, ambiente, responsabilità dell’Irlanda nella Schöntal. comunità internazionale. Sono questi oggi i problemi che più preoccupano i cittadini irlandesi Missione della Chiesa per integrare i profughi Riguardo all’assistenza ai rifugiati, il porporato ha nel clima generale di incertezza in cui vive il evidenziato che “la Chiesa deve compiere una mis- Paese. E a questi temi è dedicata la nota pastorale sione importante per integrare e contribuire ad dei vescovi sulle elezioni legislative del 26 febuna riuscita collaborazione con coloro che proven- braio. gono” da altri Paesi. La Plenaria episcopale ha lavorato intensamente sulle sfide proposte dalla crisi La crisi del sistema sanitario e l’emergenza abidei rifugiati, anche confrontandosi con esperti tativa come Volker Türk, membro dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati (Acnur) come il presi- Tra i problemi più gravi, la nota - firmata da mons. Eamon Martin e card. Diarmuid Martin, dente della Caritas tedesca, mons. Peter Neher. rispettivamente presidente e vicepresidente della Conferenza episcopale, insieme ad altri due veCercare di conciliare famiglia e lavoro “Alcuni vescovi – ha affermato il card. Marx - scovi - mette al primo posto la crisi del sistema hanno evidenziato che, nonostante qualche po- sanitario nazionale. “La risposta a questa crisi – lemica politica, la soluzione dei problemi deve affermano i vescovi - non è lo scarica-barile”, 72


apa Francesco, accogliendo l’invito delle massime P autorità e dei vescovi polacchi, si recherà in visita pastorale in Polonia dal 27 al 31 luglio prossimi in oc-

XXXI Giornata Mondiale della Gioventù. Il Papa arriva mercoledì 27 luglio all’aeroporto di Cracovia-Balice. I primi incontri sono quelli con il presidente della Repubblica e con i vescovi polacchi. La sera, la bozza del programma prevede che all’arcivescovado di Cracovia il Papa si affacci alla stessa finestra dalla quale Giovanni Paolo II usava parlare con i giovani. Giovedì 28 luglio è prevista la tappa a Czestochowa con una preghiera privata davanti all’icona della Madonna Nera e la Santa Messa in occasione del mille cinquantesimo anniversario del Battesimo della Polonia. Venerdì 29 luglio sono previsti in mattinata la visita al campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau e nel pomeriggio la Via Crucis sulla Spianata di Cracovia. Sabato 30 luglio, visita al Santuario della Divina Misericordia a Łagiewniki; la bozza del programma prevede che il Papa attraversi la Porta Santa e si rechi nella cappella in cui è sepolta Santa Faustina Kowalska ( la cappella non è nel Santuario, ma accanto). Quindi, la Santa Messa con i sacerdoti, i religiosi e i seminaristi. Nel Santuario, è previsto che il Papa confessi alcuni giovani; poi il pranzo con alcuni di loro. In serata, la Veglia di preghiera per la Giornata mondiale della gioventù. Domenica 31 luglio, Papa Francesco celebra in mattinata la Santa Messa con l’invio dei giovani. Nel pomeriggio l'incontro con i volontari della Gmg, il Comitato organizzatore e i benefattori. Infine, la cerimonia di congedo e la partenza per Roma.

casione della XXXI Giornata Mondiale della Gioventù che si celebrerà a Cracovia. Lo ha reso noto ufficialmente la Sala Stampa della Santa Sede. La Gmg si svolge nell'Anno giubilare sul tema «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia» (Mt 5,7). Nel suo Messaggio per la Gmg, pubblicato nel settembre dell’anno scorso, il Papa ricorda ai giovani che la gioia di Dio è perdonare, ma la misericordia non è “buonismo”, né sentimentalismo perché non cancella la giustizia. Nello stesso tempo, però, “l’unica via per vincere il male è la misericordia”: la giustizia è necessaria, ma non sufficiente, perché “giustizia e misericordia devono camminare insieme”. Quella di Cracovia è la prima Gmg ad essere celebrata, a livello mondiale, dopo la canonizzazione dei Giovanni Paolo II. Sarà la terza volta che un raduno internazionale dei giovani coincide con un Anno giubilare. Così accadde nel 1983-84, durante l’Anno Santo della Redenzione, e poi nel Grande Giubileo del 2000, quando più di due milioni di giovani di circa 165 Paesi si riunirono a Roma per la XV Gmg. Presentato in Polonia il viaggio del Papa nel Paese E’ stato presentato a Cracovia e Varsavia una prima bozza del programma del viaggio che il Papa compirà in Polonia dal 27 al 31 luglio prossimi in occasione della

perché essa è il risultato di un “fallimento grave”di tutta la politica. Un’altra grave difficoltà sulla quale viene richiamata l’attenzione è l’emergenza abitativa, che – si sottolinea - non riguarda solo chi dorme per strada, ma tutte quelle famiglie costrette a vivere in abitazioni insalubri a causa dell’annosa assenza di una seria politica di edilizia popolare.

umano dal concepimento alla morte naturale”. A questo proposito essa ribadisce la ferma opposizione della Chiesa a qualsiasi modifica di tale principio così chiaramente sancito dalla Costituzione irlandese. Il dovere di aiutare i migranti

Infine, i vescovi ricordano le responsabilità dell’IrTroppe disuguaglianze nell’educazione e sicu- landa nella comunità internazionale con riferimento rezza a rischio in particolare all’attuale emergenza migratoria. Memore della sua storia di Paese di emigrazione e noIn Irlanda c’è poi il problema delle troppe disu- nostante l’attuale congiuntura economica, l’Irlanda guaglianze nelle opportunità educative: “La vera – si sottolinea - è oggi chiamata a rispettare i suoi imdisuguaglianza nelle scuole irlandesi – ammoni- pegni internazionali accogliendo quelle comunità scono i vescovi - non è di natura religiosa, bensì che fuggono dalle persecuzioni, dalla fame e dalla dieconomica”, perché dovuta all’inadeguato soste- scriminazione religiosa. gno alle comunità più povere e alle scuole con molti bambini svantaggiati. Un’altra grave emer- La responsabilità dei cristiani in politica genza è inoltre la criminalità sempre più violenta che ha accresciuto l’insicurezza dei cittadini. A Alla luce di tutte queste considerazioni, la nota preoccupare in particolare l’episcopato è la dif- ricorda le particolari responsabilità dei cristiani fusione del narcotraffico che sta distruggendo le nella vita politica e sociale del Paese che non posvite di tanti giovani. sono prescindere dagli insegnamenti del Vangelo e quindi essere subordinate alla convenienze poLa difesa di un’ecologia integrale che difenda la vita litiche. “La politica non è solo l’arte del possibile: è una vocazione dove gli interessi dei cittadini La nota si sofferma poi sul tema della difesa del- dovrebbero essere rispettati e in cui il rispetto e l’ambiente, ricordando l’”ecologia integrale” evo- la fiducia dei cittadini potranno essere conquicata da Papa Francesco nella “Laudato sì” che stati solo con l’onestà e l’integrità”, conclude il implica “l’uguale diritto alla vita di ogni essere messaggio. 73

sguardi sul mondo

Papa Francesco in Polonia dal 27 al 31 luglio


6 A 1 20 RIC E Guadalupe M A

baricentro spirituale dell’America “

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l viaggio apostolico in Messico è stato per tutti noi un’esperienza di trasfigurazione. Come mai? Il Signore ci ha mostrato la luce della sua gloria attraverso il corpo della sua Chiesa, del suo Popolo santo che vive in quella terra”. Un corpo – ha ricordato – “tante volte ferito, oppresso, disprezzato e violato nella sua dignità”: In effetti, i diversi incontri vissuti in Messico sono stati pieni di luce: la luce della fede che trasfigura i volti e rischiara il cammino”.Un viaggio che ha avuto il “baricentro spirituale” nel pellegrinaggio al Santuario della Madonna di Guadalupe: “Rimanere in silenzio davanti all’immagine della Madre era ciò che prima di tutto mi proponevo. E ringrazio Dio che me lo ha concesso. Ho contemplato, e mi sono lasciato guardare da Colei che porta im-

pressi nei suoi occhi gli sguardi di tutti i suoi figli, e raccoglie i dolori per le violenze, i rapimenti, le uccisioni, i soprusi a danno di tanta povera gente e di tante donne”. Da tutta l’America – ha aggiunto il Papa vanno a pregare là dove la Vergine si mostrò all’indio San Juan Diego, dando inizio all’evangelizzazione del Continente. E questa è “l’eredità che il Signore ha consegnato al Messico”: “Custodire la ricchezza della diversità e, nello stesso tempo, manifestare l’armonia della fede comune, una fede schietta e robusta, accompagnata da una grande carica di vitalità e umanità. Come i miei Predecessori, anch’io sono andato a confermare la fede del popolo messicano, ma contemporaneamente ad esserne confermato; ho raccolto a piene mani questo dono perché

vada a beneficio della Chiesa universale”. Il Santo Padre ha inoltre ricordato come sia stato accolto con gioia dalle famiglie messicane che hanno dato “delle testimonianze limpide e forti”. Lo stesso – ha detto – si può dire “per i giovani, per i consacrati, per i sacerdoti, per i lavoratori, per i carcerati”.

A Cuba Si è accesa una luce profetica di risurrezione Il Pontefice si è quindi soffermato sull’incontro a Cuba con il Patriarca di Mosca e di tutta la Russia Kirill: “Un incontro tanto desiderato pure dai miei Predecessori. Anche questo evento è una luce profetica di Risurrezione, di cui oggi il mondo ha più che mai bisogno. La Santa Madre di Dio continui a guidarci nel cammino dell’unità”.


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ettercela tutta. Rassegnarsi mai” è il titolo del messaggio dei vescovi messicani presentato, a conclusione della loro Assemblea plenaria, il 7 aprile . Due mesi dopo la visita di Papa Francesco nel Paese, i presuli sottolineano che “il messaggio del Pontefice è calato nel profondo e ci ha lasciato delle sfide che dovremmo affrontare”, ribadendo poi il loro impegno ad andare avanti con coraggio di fronte alle difficoltà che “oscurano, deprimono e distruggono” la nazione. La risposta dei vescovi è un invito a non sprecare il

grande patrimonio culturale e la diversità di risorse del Paese e di lavorare insieme “senza egoismo” in un progetto comune. Uniti nell’essenziale, cioè la fede stessa Durante la conferenza stampa per la presentazione del messaggio conclusivo della Plenaria, si è riflettuto sul discorso rivolto ai vescovi da Papa Francesco nel corso del suo viaggio apostolico nel Paese, lo scorso febbraio. Un discorso dai toni netti che il rieletto presidente della Conferenza episcopale, il cardinale Francisco

Robles Ortega, ha affermato sia stato accolto dall'episcopato non "come un rimprovero”, e che se "anche così fosse, il Papa ne avrebbe comunque il diritto, in quanto massima autorità della Chiesa”. E ancora il porporato ha detto: “Le parole del Papa ci sfidano ad una riflessione sui nostri atteggiamenti nella missione che portiamo avanti”. Anche il neosegretario generale dell’episcopato, mons. Alfonso Miranda, ha affermato che sebbene ci siano delle “differenze” tra i vescovi come indicato dal Pontefice, “queste sono piuttosto una ric-

AMERICANEWS

Vescovi Bolivia Il narcotraffico minaccia la convivenza

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saggio è una riflessione pastorale e un appello per un dialogo sincero nella società, al fine di riconoscere "la portata e la gravità del problema che minaccia la convivenza pacifica e democratica del paese". Dal narcotraffico derivano tutti i mali della società "Infatti, il traffico di droga, oltre a causare la tossicodipendenza, porta la violenza, la corruzione, la menzogna, l'ingiustizia e la morte" si legge nel comunicato. I vescovi chiedono inoltre di non avere paura di "questa triste realtà", né di essere passivi o rassegnati "a confrontarsi con queste verità scomode associate a tale problema." Dinanzi alla richiesta del governo ai vescovi di segnalare i casi delle autorità coinvolte, i vescovi ricordano il caso di due ex capi dell’anti-droga boliviana, detenuti uno negli Usa e un altro in Bolivia.

a Conferenza episcopale della Bolivia (Ceb) ha ribadito la gravità del problema del traffico di droga, che "minaccia la convivenza pacifica e democratica del Paese". Lo ha fatto nei primi di aprile, in un comunicato diffuso al termine della sua Assemblea tenutasi a Cochabamba. I vescovi hanno ripreso il contenuto della Lettera pastorale pubblicata pochi giorni fa, in cui avevano lanciato l’allarme perché il narcotraffico è ormai arrivato ad alcune strutture statali, messaggio che ha provocato la reazione del Presidente Evo Morales. La Chiesa chiede passi più decisi contro il narcotraffico Nel comunicato i vescovi riconoscono gli sforzi e le iniziative del governo nella lotta al traffico di droga, in atto da diversi anni, ma sottolineano che "bisogna fare passi più decisi da parte di tutti". Ribadiscono che il loro mes-

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sguardi sul mondo

Messico Non costruire muri, ma ponti


chezza che non intacca l’unità, perché il corpo episcopale è unito nell’essenziale, cioè la fede stessa”. Non possiamo costruire muri tra di noi “Il Messico deve essere costruito come una famiglia dove nessuno è di troppo”, afferma l’episcopato nel suo messaggio, invitando a lavorare e ad impegnarsi insieme, in comunione di fede. “Non possiamo costruire muri tra di noi, né per altri - si legge nel testo Siamo un popolo che sa darsi una mano a vicenda e costruire ponti al di là delle differenze: riconoscerle e parlarne faccia a faccia ci fa crescere nella verità e nell’unità”. “Mettercela tutta” - la frase usata da un giovane e ripresa più volte dal Papa durante

il suo viaggio in Messico - è per i vescovi “un vero criterio cristiano per far fronte alla tentazione di credere nella vittoria della morte e di pensare che la corruzione, la droga, il narcotraffico, la violenza, l’impunità e il consumismo siano le offerte da proporre”. I vescovi, quindi, dicono "no" alla “rassegnazione” e al “vivere inginocchiati davanti al male”, perché non si può “calpestare la speranza di vivere in una società giusta e fraterna”. La marijuana per uso medicinale A proposito del dibattito sulla possibile legalizzazione dell’uso della marijuana, il presidente dell’episcopato messicano, interpellato dai giornalisti, ha dichiarato che i vescovi “non demonizzano” l’uso di tale erba a scopo medici76

nale, ma sono contrari a una legislazione che ne permetta l’uso ludico. Il cardinale Robles ha spiegato che, nonostante la Chiesa non sia stata invitata a partecipare ai cinque dibattiti organizzati dal governo sull’argomento, essa ha presentato la sua posizione il mese scorso, durante un incontro organizzato dalla Pontificia Università del Messico. “Spetta alla scienza analizzare fino a che punto questa sostanza sia un bene per l’uomo e quali siano i rischi del suo utilizzo”, ha detto il porporato, sottolineando che non si tratta di “legalizzare o autorizzare con leggerezza” l’uso della marijuana, ma di capire, ad esempio, i danni che la dipendenza da essa provoca sui giovani, sulle famiglie e sulla società.


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orire non è la stessa cosa di essere uccisi”: si apre così la dichiarazione diffusa dal cardinale Thomas Collins, arcivescovo di Toronto, in Canada, riguardante il dibattito nazionale sull’eutanasia. Lo scorso 25 febbraio, infatti, il “Comitato speciale del governo canadese sull’aiuto medico a morire” ha pubblicato un rapporto intitolato “L’aiuto medico a morire: un approccio incentrato sul paziente”. Uccidere non è una cura medica In tale rapporto governativo si raccomanda che “il suicidio assistito sia accessibile alle persone affette da patologie psichiatriche; che le sofferenze psicologiche rientrino tra i criteri che danno diritto a tale pratica; che, nell’arco di tre anni, il suicidio assistito sia accessibile anche ai minori di 18 anni; che tutti i professionisti del settore sanitario siano obbligati ad orientare correttamente i pazienti che chiedono il suicidio assistito; che tutte le strutture sanitarie sovvenzionate dallo Stato canadese offrano tale pratica”. Di conseguenza, sottolinea il cardinale Collins, “a breve, uccidere un paziente non sarà più considerato un crimine, bensì sarà visto come una sorta di cura medica, approvata e regolamentata dalla legge”.

giunge il porporato – è uno Stato che sopprime i diritti della coscienza”. Cure palliative siano accessibili a tutti Poi, il cardinale Collins richiama l’importanza delle cure palliative: al momento, “esse sono accessibili solo al 30 per cento della popolazione” e questa è “la vera tragedia, inaccettabile”. “Invece di trovare i modi per accelerare la morte, allora – è il richiamo del porporato – bisognerebbe far sì che le cure palliative siano accessibili a tutti i canadesi, in particolare a coloro che soffrono di malattie mentali o che sono tentati dal suicidio”. Tutelare dignità umana intrinseca in ogni persona Quindi, il porporato si sofferma sul valore intrinseco della persona che “non deriva da cosa può fare, ma dalla sua dignità intrinseca in quanto essere umano”. Se invece, che “si fa dipendere la dignità della persona dalle sue capacità funzionali, la società entra in un territorio pericoloso in cui le persone vengono considerate meri oggetti, da scartare se ritenuti inutili”. La nota del porporato si conclude, quindi, con l’appello a “tenere a mente la dignità inerente ad ogni persona” ed a “comprendere fino in fondo le implicazioni distruttive di simili proposte normative”, di fronte alle quali bisogna offrire “alternative di vero amore e di vera misericordia”.

Non permettere obiezione di coscienza significa discriminazione religiosa Non solo: il porporato evidenzia come “la richiesta, per un medico che rifiuti di uccidere un paziente, di garantire che qualcun altro lo faccia al posto suo, è una grave violazione della coscienza che non si verifica in nessun altro Paese al mondo”. “È ingiusto – ribadisce l’arcivescovo di Toronto – forzare le persone ad agire contro la propria coscienza” perché è un atto di “intolleranza e di discriminazione religiosa che punisce coloro che si mettono al servizio dei bisognosi”. In questo caso, “uno Stato che oltrepassa il suo legittimo ruolo – ag-

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sguardi sul mondo

Canada Arcivescovo Toronto: no eutanasia, promuovere cure palliative


reportage

6 1 20SIA In viaggio A

tra i mille volti dell’India da New Delhi

SIMONA CORSETTI NOSTRO INVIATO

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istica, spiazzante, affascinante; assordante e variopinta, invadente ma gentile, trepidante umanità. Sono alcune delle parole scritte di getto durante le prime ore di permanenza a Delhi, in viaggio verso Agra, la città del Taj Mahal. Dicono che la prima impressione sia quella che conta, ma dell’India non ci si può accontentare semplicemente di questo. Il primo impatto stordisce, ma una volta riusciti ad abbandonarsi a quel peculiare fluire dell’esistenza senza opporre resistenza alcuna, l’India si svela in tutta la sua ricca complessità, traboccante di spiritualità. Si impara a riconoscerla negli occhi delle persone in attesa sul ciglio della strada circondate da animali, nella fatica dei lavoratori instancabili sotto al sole cocente, nello sguardo e nei semplici gesti dei fedeli in preghiera in uno degli innumerevoli templi che popolano ogni angolo di piccole e grandi città. La realtà che incontriamo oggi è quella estremamente complessa di un Paese che, conquistata da poco l’indipendenza, è impegnato a confrontarsi con le grandi sfide del mondo moderno e con tutte le problematiche che ne derivano: la corsa all’industrializzazione e l’inquinamento, il progresso tecnologico e la povertà che colpisce ancora larga parte della popolazione. Ma oltre questa facciata, ogni singolo e più minuto aspetto della vita quotidiana continua a essere permeato di quella magica complessità che si nutre di riti ancestrali e credenze millenarie in cui si riconosce ancora oggi, viva più che mai, l’India autentica sopravvissuta attraverso i secoli. Vi ritroviamo quell’aura di suggestione e mistero che ci è stata tramandata da tanta letteratura, e che è entrata ormai a far parte del nostro immaginario. È così che risulta più facile del previsto, per il visitatore straniero che si accinge a scoprire le bellezze di questo Paese, percorrere a ritroso il fil rouge che lega gli

indiani di oggi alle testimonianze storiche del loro passato. Tra le mete più famose troviamo senza alcun dubbio quelle che formano il cosiddetto Triangolo d’Oro, cuore pulsante dell’India del nord, dove spiccano in particolar modo gli antichi palazzi dell’epoca Moghul. Primo fra tutti, il Forte Rosso di Delhi, la capitale che conserva anche la moschea più grande dell’India, Jama Masjid, e l’interessante area archeologica del Qutb Minar, un complesso del XII secolo dominato da un altissimo minareto. L’affascinante mausoleo di Humayun è l’edificio che si dice abbia ispirato il monumento simbolo dell’India, il Taj Mahal. Riconosciuto come una delle sette meraviglie del mondo moderno, a rendere famoso il grande mausoleo di Agra è soprattutto la storia della sua fondazione: invocato dalle guide turistiche come “monumento dell’amore”, è stato dedicato alla moglie prediletta Mumtaz Mahal dallo scià Jahan, condannato a passare gli ultimi anni della sua vita ammirandolo in lontananza dal Forte Rosso al di là del fiume, dove lo aveva rinchiuso il suo secondogenito. Per finire, Jaipur, fiabesca capitale “rosa” del Rajastan, dove passeggiando tra le splendide architetture del Forte Amber incastonato tra le montagne proviamo a immaginare lo splendore che doveva regnare nelle antiche dimore dei sovrani Moghul. Tra le cose che più colpiscono, le complesse decorazioni che riprendono i motivi più vari, testimonianza della fusione di elementi islamici, indù e gianisti tipica di moltissima arte indiana. Forse è anche per questo che non ci si stupisce troppo quando, in un moderno tempio induista, si intravedono, tra le altre figure scolpite sulle colonne, quelle di Cristo, Maria, e altri Santi della religione cristiana. Come ci spiega un amico bramino, un po’ stupito dalla nostra domanda riguardo al significato di quelle raffigurazioni: “la nostra religione professa la tolleranza; quale modo migliore se non accogliere nei nostri templi le divinità di tutte le altre?”. Rispondiamo con un sorriso. 78


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apa Francesco ha espresso venerdì 4 marzo il suo profondo dolore per l’uccisione delle quattro Missionarie della Carità in Yemen assieme ad altre 12 persone, in un attacco terrorista. In un telegramma a firma del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, il Pontefice ha assicurato le sue preghiere per le famiglie delle vittime di questo “atto di violenza insensata e diabolica”. Ancora, il Papa prega che questa strage “svegli le coscienze, guidi ad un cambiamento dei cuori ed ispiri tutte le parti a deporre le armi e intraprenda un cammino di dialogo”. In nome di Dio, Francesco chiede a tutti di “rinunciare alle violenze, rinnovare il proprio impegno per la gente dello Yemen, in particolare i più bisognosi” che le missionarie di Madre Teresa "hanno cercato di servire". Il Papa impartisce infine la sua benedizione apostolica a quanti soffrono a causa della violenza e in particolare alle Missionarie della Carità. Mons. Hinder: vera testimonianza di carità Ancora nessuna certezza sul movente e i mandanti del brutale assalto nei pressi di Aden in Yemen, nella casa di assistenza gestita dalle Missionarie della Carità. . C’è inoltre massimo riserbo per motivi di sicurezza sulla superiora, unica sopravvissuta alla strage. Al Qaida nega ogni responsabilità. : Si chiama padre Tom Uzhunnalil il sacerdote salesiano indiano che viveva nella struttura e al momento

dell’assalto era in cappella dove è stato rapito. Un suo confratello da Sana’a informa i Salesiani di tutto il mondo e li invita a pregare, mentre ancora non ci sono rivendicazioni, seppure circolino i nomi dell’estremismo islamico locale affiliato all’Is. Si chiamavano invece Anselm, Marguerite, Judit e Reginette le suore che dal Rwanda, dall’India e dal Kenya da anni su richiesta del governo accoglievano e curavano gli ultimi di Aden nella casa dove uomini armati e in uniforme le hanno cercate e uccise. Già nel "98 due di loro erano morte così, poi la distruzione della chiesa della Sacra Famiglia a Aden. Infine, la guerra civile che da oltre un anno, per mano dei ribelli Houthi, ha richiamato in Yemen, Iran e Arabia Saudita e ha reso il Paese un caos: 14 milioni di persone sono a rischio malnutrizione, seimila sono i civili morti. Sgomento per quanto accaduto c'è nel cuore del vicario apostolico dell’Arabia meridionale,mons. Paul Hinder, che più volte ha visitato la comunità di Aden e le suore. La prima reazione è chiara: si rivolta il cuore quando si vede gente capace di uccidere queste suore, e forse anche nel nome di Dio: come ha detto il Papa è un atto, diciamo, diabolico! Io le ho visitate parecchie volte e ho visto con quanta dedizione, con quanto amore si siano prese cura di queste persone. Veramente una testimonianza di carità e di vicinanza a tutti coloro che sono lasciati sulla strada. Tanta gente,

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anche in Yemen, è ferita veramente nel profondo, vedendo cosa capita. Perché è poi la povera gente che ne soffre. Queste suore sapevano che stavano rischiando la vita, stando lì e donandosi in tutto e per tutto? Sì. Questa è stata una loro decisione profonda. Loro mi hanno detto – sin dall’inizio, un anno fa – quando è cominciata la guerra: “Noi dobbiamo rimanere con il popolo, con i nostri poveri, qualunque cosa succeda”. Veramente un sacrificio di vita, veramente una positiva contro testimonianza rispetto all’atto che hanno fatto questi criminali. Sono state invitate proprio dal governo yemenita a fare quello che facevano? Ma tanti anni fa, prima a Aden e poi a Sana’a, a Hodeidah a Taiss: sono lì e sono rimaste anche nelle altre tre comunità. E lo stesso anche questo padre che non sappiamo dove sia. Anche lui è tornato sapendo che fosse rischioso, però con questo spirito missionario, dicendosi: “Io devo essere lì in questo momento”. Ha chiesto al suo provinciale: “Mi dai il permesso di tornare?”, perché riteneva fosse importante avere qualcuno che testimoniasse la vicinanza, anche in quanto prete. Ora possiamo soltanto pregare il Signore che ci torni, speriamo … Ma non sappiamo. Se le religiose erano state incaricate dal governo e la gente si è sempre

sguardi sul mondo

Yemen Uccise 4 suore di Madre Teresa di Calcutta Atto di violenza diabolica


resa conto del servizio che loro fanno, a chi dà fastidio la loro attività e perché questo? Io non vedo una ragione. Non so il perché, se non l’odio di qualcosa che è "radicale". Ma se qualcuno credere veramente in Dio non può fare una cosa simile! Come si fa a restare in un Paese difficile, quanto tutto intorno, come per esempio nello Yemen, c’è una grande confusione e una guerra che non si è mai fermata del tutto? Finora c’è stata una protezione, ma è chiaro che non è assoluta e tocca anche altri. Soprattutto ad Aden la situazione è diventata ormai molto critica. Non sappiamo proprio come potrà continuare. Il Papa ha scritto che prega che questa strage svegli le coscienze e guidi ad un cambiamento dei cuori. Qual è il suo di auspicio? Io non vedo un’altra cosa. Ma non si può mai chiudere la porta al nemico. Questo non vuol dire che li lasciamo fare ciò che vogliono… Ma anche io prego per la conversione di questa gente, che fa così male. Prima di tutto io prego per

coloro che sono stati uccisi e per coloro che sono stati risparmiati e che vivono nella paura. Card. Gracias: testimoni dell’amore di Cristo “Il raccapricciante omicidio delle quattro Missionarie della Carità ha gettato la Chiesa dell'India e dell'Asia in una profonda tristezza. Siamo in lutto per questa tragedia”: così il card. Oswald Gracia, presidente della Conferenza episcopale indiana, ha commentato l’uccisione delle quattro suore Missionarie della Carità. Religiose in aiuto disinteressato delle persone più svantaggiate “Le Missionarie della Carità – ha rilevato il card. Gracias in una nota pubblicata dall’agenzia AsiaNews – hanno continuato a spegnere la sete di Gesù in Aden attraverso l'amore,

la gentilezza, la compassione e servendo in maniera disinteressata, senza alcuna considerazione per la loro sicurezza, le vittime più svantaggiate”. Si è trattato di “un servizio fatto per amore personale nei confronti di Gesù, attraverso il loro servizio per il popolo dello Yemen”, sottolinea il porporato, auspicando che il sangue versato dalle religiose porti “frutti di pace per il popolo che servivano”. In preghiera anche per padre Tom, salesiano operante ad Aden Il pensiero del porporato è andato poi a padre Tom Uzhunnalil, salesiano originario del Kerala, anch’egli operante ad Aden: “La Chiesa in India e in Asia prega per il ritorno sicuro di questo suo figlio”, ha detto il card. Gracias, informando che un’ora di adorazione eucaristica è stata offerta per il sacerdote indiano.

Corea: al confine con il Nord un appello di pace

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n appello ai governanti di Seoul e Pyongyang, alle nazioni che confinano con la Corea e al popolo, affinché si torni subito sul sentiero della pace e si dia alla penisola il potere di auto-determinare il proprio futuro. Lo firmano due vescovi cattolici – mons. Lazzaro You Heung-sik e mons. Pietro Lee Ki-heon – che guidano le commissioni episcopali per la Giustizia e la pace e per la Riconciliazione del popolo coreano. I due presuli hanno celebrato insieme ieri una Messa sul confine, nella diocesi di Uijeongbu, e hanno poi presentato l’appello.

Le ferite di un conflitto che provocano nuove tensioni e problemi sociali Per 60 anni - scrivono i vescovi - abbiamo vissuto un armistizio, che non è la fine della guerra, e portiamo ancora addosso le ferite di questo conflitto nella nostra società. Queste a loro volta provocano nuove tensioni e nuovi problemi sociali. Se dovesse esplodere 80


ASIANEWS La Corea del Nord si dichiara pronta ad usare, in qualsiasi momento, armi nucleari. La gravissima minaccia arriva dopo le nuove sanzioni – le più dure degli ultimi 20 anni – decise all'unanimità dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, con il via libera anche di Russia e Cina, e nel giorno dell’inizio della più grande esercitazione militare congiunta nella storia della penisola coreana. Le manovre, condotte da Stati Uniti e Corea del Sud, proseguiranno fino al 30 aprile coinvolgendo, a partire da oggi, 17 mila soldati americani e quasi 300 mila militari sudcoreani. L’imponente esercitazione, quasi in contemporanea con il settimo Congresso del Partito dei lavoratori nordcoreano, il primo in oltre 30 anni, è una risposta al recente test nucleare – il primo con bomba all’idrogeno secondo le autorità nordcoreane – e al lancio di razzi e satelliti, nelle ultime settimane, da parte del regime di Pyongiang. La Corea del Sud ha infine reso noto che delibererà nuove sanzioni contro la Corea del Nord.

Ai governanti di Nord e Sud Fermatevi, per favore! La situazione sembra non avere fine ma cercate, per favore, la via della forza e della sapienza per la pace! La sicurezza nazionale che sottolineate entrambi è la sicurezza dei popoli. Secondo questa interpretazione, dunque, la sicurezza migliore dovrebbe essere la sicurezza per entrambi. Per diventare simboli della pace e non del conflitto, in Corea si dovrebbero svolgere incontri, conversazioni, scambi e collaborazioni tra il Sud e il Nord. Per ottenere queste cose, però - sottolineano i vescovi - si dovrebbero rispettare le dichiarazioni e gli accordi che nonostante le difficoltà i due lati hanno già contratto. Questi vanno mantenuti e poi sviluppati. Si deve ripensare alla chiusura della zona industriale di Kaesong, che è il segno dello scambio, della collaborazione, dell’unificazione e della pace tra il Sud e il Nord. Non dobbiamo dimenticare che l’unificazione della Corea che tutti vogliamo è il frutto che nasce dalla pace.

ideologie, accettiamo la varietà nell’ordine della fondazione democratica, e troviamo la strada della pace sul sentiero della verità e della giustizia. Gesù ha detto ai suoi apostoli, prima della sofferenza e della morte sulla Croce: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore.” (Gv 14,27). La pace che il nostro Signore ci ha promesso non è mai la situazione incerta e costrittiva che viene dalla forza delle armi. La pace che il Signore ci chiede è la pace della tolleranza e della convivenza sulla base della giustizia di Dio e dell’amore di Dio.

Alle nazioni confinanti La nostra nazione è stata colonizzata dal Giappone e dopo la II Guerra mondiale è stato divisa senza che venisse interrogata la nostra volontà. A causa di questo trattamento abbiamo subito dolori e ferite per decine di anni. Al contrario la Germania, dopo aver perso la guerra, è stata sì divisa come la Corea, però sta festeggiando il 26mo anniversario dell’unificazione nazionale. È chiaro che il problema della Corea non è un problema della nostra razza - osservato i presuli sudcoreani - ma è collegato con le nazioni che la circondano. Speriamo che vogliate riaprire i “Colloqui a sei sul disarmo nucleare”. Ci appelliamo a tutti voi: riconoscete che la pace della Corea contribuirà alla pace nell’Asia del Nord-Est e partecipate in maniera positiva al nostro viaggio verso la pace.

Il primo dovere è la preghiera Attraverso la preghiera, la Chiesa partecipa all’impegno per la pace. Con la preghiera dobbiamo trovare la volontà di Dio e chiedere l’aiuto del Signore. In un periodo come quello attuale, in cui il Paese ha tante difficoltà, dobbiamo far ripartire il movimento di preghiera che tante volte ha già salvato la Corea. Gli scambi e le collaborazioni tra il Sud e il Nord sono un “dovere dell’amore” per noi fedeli, che non possiamo rifiutare. Se con la forza delle preghiere - conclude l'appello dei vescovi sudcoreani - anche la misericordia del Signore solidarizziamo insieme e agiamo e anche conseguiamo, potrà realizzare “la tua volontà, come in cielo così in terra.” (AsiaNews).

Al popolo della Corea e ai cristiani La pace vera è possibile solo attraverso il perdono e la riconciliazione (cfr. S. Giovanni Paolo II, XXXII Giornata Mondiale della Pace). Dobbiamo allontanarci dal pensiero della guerra fredda, che ci porta alla rovina scrivono i vescovi - e aprire un nuovo periodo per le generazioni future. Lasciamo il campo consunto delle

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sguardi sul mondo

ancora una volta la guerra in Corea, con le nuove e potentissime armi a disposizione, il Sud e il Nord non potrebbero sopravvivere. Il Papa Pio XII ha detto che la pace non fa perdere nulla mentre la guerra fa perdere tutto. Perciò, affinché la Corea possa trovare la pace, la Chiesa cattolica coreana lancia tre appelli.


6 A 1 20 IC OXFAM: con El Niño 60 milioni R F A di persone a rischio fame

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el 2016, saranno 60 milioni le persone nel mondo – 50 solo in Africa – a rischio fame a causa dei danni causati da El Niño. La denuncia è di Oxfam Italia, organizzazione che si occupa di aiuti umanitari e sostegno a progetti di sviluppo in tutto il mondo. Per comprendere meglio la gravità di questo fenomeno, Roberta Barbi ha incontrato Alessandro Cristalli, responsabile del Programma Oxfam Italia per il Corno d’Africa: El Niño è un fenomeno climatico che ricorre ogni tre-sette anni. Comporta una siccità estrema in molti Paesi nella fascia tropicale, che va dai Caraibi fino all’Africa centrale e meridionale, comprendendo tutto ciò che c’è in mezzo, ovvero i Paesi del Pacifico e del Sud-Est asiatico. Causa una siccità estrema e quindi crea difficoltà, soprattutto alle popolazioni che già vivono in condizioni di estrema precarietà. Gli effetti di El Niño sono sempre più devastanti e agiscono in particolare in 19 Paesi: dal cosiddetto “corridoio arido” dell’America centrale alle isole del Pacifico, ma la situazione peggiore si registra in Africa. È corretto? Si registra in Africa perché già le condizioni di vita, in particolar modo nel Corno d’Africa e in Africa meridionale, sono molto dure. Ci sono cioè zone aride, che sono molto popolate, ci sono decine di milioni di persone che vivono di pastorizia o agricoltura dipendente da già scarse piogge, quindi, andare a colpire ulteriormente con una siccità che si aggiunge a queste condizioni davvero difficili, mette a rischio veramente un numero molto elevato di persone. Nel concreto cosa si può fare immediatamente per far fronte ai bisogni di queste popolazioni e a lungo termine per contrastare questo fenomeno? Nel concreto bisogna salvare vite. Ora è il momento dell’emergenza: El Niño è insorto a fine 2015 ed è nel pieno del suo impatto. Quindi, bisogna portare acqua, cibo alle popolazioni che sono in condizioni di emergenza e attivare l’aiuto umanitario. Bisogna anche suscitare l’interesse e le responsabilità dei go-

verni dei Paesi che possono veramente donare e possono anche implementare una risposta umanitaria. Non solo i governi, ma anche le istituzioni internazionali e le Ong, Oxfam Italia è in prima linea per questo. L’appello che l’Oxfam ha lanciato alla comunità internazionale s’inserisce nella campagna “Sfido la fame”. In che cosa consiste? La fame è un problema ancora molto diffuso: ad oggi si calcola che siano quasi 800 milioni le persone al mondo che soffrono di fame. Soffrire di fame non vuol dire avere “un fastidio”, ma essere indeboliti, essere suscettibili alle malattie, morire prima, avere difficoltà a lavorare. La fame è tutt’oggi una realtà in questo mondo e bisogna sconfiggerla. Oxfam Italia chiede ai governi degli Stati del mondo una presa di responsabilità, perché il problema sia affrontato con donazioni, azioni e implementazioni di programmi. Abbiamo poi una serie di attività che vogliono anche informare i cittadini su quali sono le cause della fame. E abbiamo, poi, una serie di richieste che facciamo anche alle aziende e alle multinazionali che producono cibo affinché si seguano anche delle pratiche sostenibili ed eque nei confronti della popolazione. Noi chiediamo anche una donazione ad Oxfam Italia che può essere fatta andando a visitare il sito:http://donazioni.oxfamitalia.org/, un link facilmente reperibile dal nostro sito, in modo che possiamo veramente contribuire in prima persona ad alleviare le sofferenze delle persone colpite da El Niño. 82


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imane critica la situazione sanitaria in Sud Sudan: la presenza di 14 mila sfollati in precarie condizioni igieniche nelle località di Lozoh e Witto ha portato a un aumento del numero di casi di malaria e dissenteria. Un funzionario dell’Onu ha parlato di 50 mila morti e 2,2 milioni di rifugiati e sfollati dall’inizio della guerra civile.Questa è la testimonianza di don Dante Carraro, direttore di Medici con l’Africa Cuamm, Ong che porta assistenza sanitaria agli sfollati di queste aree: La situazione sanitaria è aggravata dal fatto che il Paese non abbia ancora trovato una stabilizzazione. Quando dico “grave” intendo dire che il Sud Sudan si ritrova a non avere alcun ginecologo e una sola ostetrica per 20 mila mamme che partoriscono … Cosa fate, nel concreto, per migliorare la situazione sanitaria in queste aree nel breve periodo? Abbiamo un team di 4-5 persone che sono concentrate attualmente in quattro ospedali – quello di Yirol, quello Cuibet, quello di Lui e quello di Maper – per dare risposte sia in termini di prevenzione, sia in termini di assistenza e cura: in particolare per i parti della mamme, perché c’è un’altissima mortalità materna; e per i neonati e i bambini, perché c’è un’altissima mortalità infantile.

e vanno fuori, che vanno direttamente nelle aree in cui questi sfollati si sono raccolti. Attraverso queste cliniche mobili riesci a continuare – seppur con tanta fatica – tutto il sistema di vaccinazione, perché se lo salti vuol dire che fra due anni o tre anni risalta fuori la poliomielite o altre malattie … Facendo in questo modo, invece, riesci a raggiungere direttamente le persone, dando loro quell’assistenza sanitaria che altrimenti non saresti in grado di dare.

Chi sono i cosiddetti “gunshot” ossia gli “sparati”? Quando un Paese come il Sud Sudan, specie nella parte Nord, si ritrova ad avere kalashnikov, fucili di vari tipo in mano a ragazzi di 13-14 anni – e li ho visti con i miei occhi – è inevitabile che chi fa assistenza sanitaria si ritrovi ad avere anche questi “sparati”. Ti sparano perché hanno bevuto la birra e ti vogliono rubare la motoretta; ti sparano perché non hai dato loro una mancia; ti sparano per qualsiasi situazione, come sta capitando …

Come si può intervenire sulla questione a livello internazionale? A livello internazionale io credo che vada posta l’attenzione in ogni tavolo e in ogni modo, perché non c’è dubbio che il Sud Sudan adesso abbia bisogno di tanto aiuto a livello diplomatico, che è però solo un livello: lì le diplomazie devono fare la voce pesante, devono condizionare gli aiuti ad una pace che deve essere trovata. E poi l’altro livello - se uno è quello diplomatico e istituzionale - è quello degli aiuti per la povera gente, perché non c’è dubbio che mentre i grandi Salva Kiir e Machar, i generali di turno e chi ha il potere in mano combattono, discutono e fanno la guerra, quella che invece soffre e rischia di essere abbandonata è la povera gente … Quindi un invito alla Comunità internazionale di avere a cuore queste urgenze.

In cosa consistono le campagne di cliniche mobili? Quando c’è un alto livello di insicurezza, com’è quello attuale attorno all’ospedale di Lui – faccio un esempio – dove hai 14 mila sfollati, è ovvio che i presidi normali del sistema sanitario saltano completamente: la gente lascia la casa, si concentra in una certa aerea che considera più sicura e vive là. Allora sono necessarie queste cliniche mobili, cliniche cioè che partono dall’ospedale

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sguardi sul mondo

In Sud Sudan l’impegno di medici con l’Africa Cuamm


campanianews

Renzi a Napoli di tutto di più

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a Bagnoli alla Terra dei Fuochi, dalle ecoballe al suo ritorno a Napoli fino alla squalifica di Higuain. E' un premier Matteo Renzi che affronta ogni tipo di argomento, quello andato in diretta il 13 aprile 2016 su Facebook per #matteorisponde, in diretta coi cittadini italiani. Un evento che ha coinvolto quasi 800mila persone che hanno posto a Renzi le più disparate domande. Per quanto riguarda la Campania, Renzi ha detto: «Anche a Napoli ho visto un'Italia viva. Sono stato a Napoli due volte negli ultimi giorni, se ci torno una terza volta a qualcuno gli prende uno stranguglione. Direi di fare una pausa». Nel corso del suo filo diretto, il presidente del Consiglio è tornato anche su Bagnoli: «Siamo stati a Bagnoli - ha detto - mi piacerebbe postare il grandissimo progetto per la pulizia di Bagnoli, lasciata per anni a marcire, una schifezza voluta dall'incapacità della classe politica del passato. Per anni nessuno ha fatto niente, quelli del comune hanno fatto orecchie da mercante. Noi la cosiddetta colmata la toglieremo, grazie al lavoro del governo e del commissario Nastasi e di Invitalia sarà ripulita e restituita ai napoletani» ha spiegato. «Sarebbe interessantissimo poi parlare di tutte le questioni aperte a partire da Pompei, Bagnoli, Nisida, Irpinia, la Napoli-Bari e le crisi industriali». «In uno dei prossimi #Matteorisponde ci sarà De Luca - ha annunciato il premier -. Spero che nelle prossime settimane presenteremo i progetti per la Campania. È molto importante evidenziare che la gara è partita per le ecoballe: ci 450 milioni di euro e toglieremo quell'autentica vergogna. Non parleremo mai più di terra dei fuochi perché riusciremo a rimettere a posto quell'area grazie al presidente della Regione e al governo». «Sono stato a Napoli due volte negli ultimi giorni - ha concluso -, se ci torno una terza volta a qualcuno gli prende uno stranguglione. Direi di fare una pausa» ha detto il premier Matteo Renzi nel #matteorisponde.

BAGNOLI: LA PIÙ GRANDE OPERA DI RISANAMENTO AMBIENTALE “Noi mettiamo 272 milioni per la bonifica di Bagnoli», rispettando il piano regolatore del Comune di Napoli. Così il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha spiegato i punti cardine del piano presentato giovedì 7 aprile in prefettura, a un gruppo di cittadini che lo interpellavano su Bagnoli all'uscita da una pizzeria in piazza Sannazzaro a Napoli. A chi gli chiedeva come mai il risanamento non lo abbia lasciato fare al sindaco, il premier ha risposto: «Non lo ha fatto, se lo faceva era meglio per tutti. Se lo fa, volentieri». Il premier dopo la conferenza stampa in Prefettura e un lungo incontro con Antonio Bassolino, si era concesso una la pizza da «50 Kalò» in piazza Sannazzaro. L’impegno del Governo per Napoli, in cui i problemi della città, a cominciare da Bagnoli, diventano per Renzi «ferite per l’Italia» con l’annuncio della «più grande opera di risanamento ambientale mai fatta non solo in Italia, ma in Europa. Un progetto che porteremo a termine perché ci mettiamo la faccia».

LA CAMPANIA HA MAGGIORI POTENZIALITÀ DI CRESCITA PORTICI. «Penso di non dire una cosa azzardata dicendo che la Campania nel mondo è la regione che ha maggiori potenzialità di crescita». Così il ministro per i Beni Culturali Dario Franceschini al suo arrivo al museo di Pietrarsa a Portici (Napoli) dove sta per prendere il via la seconda edizione degli Stati Generali del Turismo. Il ministro, accompagnato dall'amministratore delegato di Fs Renato Mazzoncini, ha fatto il suo ingresso nel museo a bordo di un carrello anni '30 utilizzato per lo spostamento dei cosiddetti cantonieri, gli operai addetti alla manutenzione della linea ferroviaria.

HA DETTO «Sia al nord che al sud troviamo regioni dove la raccolta differenziata non è partita e c’è un uso ancora troppo intenso delle discariche, alcune abusive e già oggetto di un’infrazione Ue. Abbiamo troppi impianti di depurazione mal funzionanti o che addirittura non ci sono. Così sono dovuto intervenire in moltissimi casi con il potere sostitutivo, cioè nominando come mi permette lo 'sblocca Italia' - dei commissari ad acta per portare a termine questi interventi. È una patologia del sistema. Se devo nominare un commissario vuol dire che c’è qualcosa che non ha funzionato. Il turismo non lo spaventi con le trivelle ma col mare sporco». E poi, insiste, «il referendum interessa 48 piattaforme, 30 di fronte alla costa emiliano -romagnola, tra Ravenna e Rimini. Non mi pare che Ravenna e Rimini abbiano problemi di turismo. E forse non è un caso che quella regione non sia tra quelle che hanno promosso il referendum. Invece in prima linea c’è la Puglia, che di queste 48 piattaforme non ne ha nessuna». GIAN LUCA GALLETTI Ministro dell’ambiente, Avvenire,13 aprile 2016 84


MATERA

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Incontro con don Michele Leone, direttore dell’ufficio tecnico diocesano Matera si sono svolte sabato pomeriggio 5 marzo le solenni celebrazioni di riapertura al culto della Cattedrale dedicata a “Maria SS. della Bruna” a conclusione dei lavori di restauro durati dieci anni. A presiedere il rito che ha visto anche l’apertura della Porta Santa e la dedicazione del nuovo altare, è stato il cardinale segretario di Stato , Pietro Parolin. Nel portare il saluto e la benedizione di Papa Francesco, il cardinale ha ricordato che la cattedrale è il cuore della vita liturgica e che le sue sono porte di grazia. “Qui, ha detto, si entra per amare Dio, di qui si esce per amare gli uomini”. Riguardo poi all’apertura della “Porta dei Leoni”, quale porta giubilare, ha invitato i fedeli ad approfittarne per crescere nella fede e per imparare ad “offrire agli altri quella misericordia che riceviamo dall’Alto”. “Tuttavia - ha ricordato - è la porta santa interiore quella che, più di ogni altra, va spalancata a Cristo, in modo che possa entrare ed aprirci la strada verso una vera novità di vita”. Costruita in stile romanico pugliese nel XIII secolo sull'area dell'antico monastero benedettino di Sant'Eustachio, la Cattedrale era rimasta chiusa per tutto il tempo dei lavori.: Era un giorno atteso veramente da tanto. Ecco, i dieci anni di lavoro non sono attribuibili soltanto ai lavori in se stessi, ma alla scarsità dei finanziamenti che sono stati dati negli anni precedenti, e anche a tanti aspetti legati al mondo burocratico. Quello che è importante è che nell’ultimo triennio, nel momento in cui la diocesi è entrata direttamente in azione, si è riusciti a risolvere tutti i problemi per completare il restauro.

Il secondo intervento è stato la pulitura di tutto l’esterno del monumento mediante la rimozione di tutta la patina dello sporco. Il terzo intervento è stato di restauro di tutto l’interno della Cattedrale.

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Nel nuovo altare, i frammenti di ossa di San Giovanni da Matera e di Sant’Eustachio, il patrono della città: si conservano le radici per guardare avanti? Sì, certamente. Il profondo legame con le origini racconta della perennità e della stabilità della Chiesa che cammina verso un futuro, con radici ben fondate nel passato. La Cattedrale rappresenta essenzialmente la Chiesa locale, che riunisce in sé tutte le cellule delle comunità parrocchiali. La Cattedrale è la sede dove il vescovo ammaestra, guida e santifica il popolo. È il punto di riferimento, è il simbolo più alto di tutta la Chiesa locale. La Cattedrale sarà anche una cattedrale giubilare, cioè una chiesa dove c’è una Porta Santa… Finora la nostra Porta Santa è stata nella Chiesa di San Francesco, che svolgeva funzioni cultuali e di cattedrale. Da questa sera si apre la Porta Santa proprio nella chiesa Cattedrale. Qual è il sentimento vissuto in questo momento dall’arcivescovo di Matera? L’arcivescovo neo-eletto e non ancora insediatosi nella Chiesa di Matera, mons. Antonio Giuseppe Caiazzo, è ovviamente felicissimo di questo, e attende di essere immesso in questo dinamismo di chiesa locale. Ed è felice anche dell’esito dei lavori. L’arcivescovo, mons. Salvatore Ligorio, ora arcivescovo di Potenza, che ha seguito tutte le tappe, è anche lui felicissimo perché, oltre che condividere le pene, ha potuto anche apprezzare la bellezza e lo splendore dei risultati raggiunti.

La Cattedrale risale al XIII secolo. Quali interventi sono stati realizzati nella lunga opera di restauro che, appunto, oggi la restituisce ai fedeli? Sono stati organizzati tre ordini di intervento. Un primo intervento, il più importante e anche quello che si vede di meno, è quello di consolidamento. La cattedrale presentava alcune criticità: una criticità seria era legata al fatto che le capriate spingevano verso la facciata principale, e quest’ultima era in una fase di leggero distacco, di quasi un centimetro. Allora è stato necessario riequilibrare tutto, mediante un intervento strutturale, studiato molto a lungo da esperti.

E così, immagino anche i fedeli… Il popolo è felicissimo, perché la Cattedrale di Matera è il monumento più significativo della città ed è anche il più rappresentativo. E quindi il popolo di Dio si è radunato già, festante, e continua ad esserlo perché ritrova la sua Cattedrale. E poi, in modo particolare, molti bambini e ragazzi entrano per la prima volta in questa chiesa che finora hanno visto soltanto dall’esterno, circondata dalle impalcature.

Lei diceva che ci sono stati anche altri interventi, però …

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basilicatanews

Riapre la Cattedrale dopo un restauro durato 10 anni


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Vie Francigene Un cammino lungo la storia da Novara

MARIA TERESA ROSSI FERRARIS PRESIDENTE DI EUROPA PROGRESSO

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na stella polare di antiche vie si irradia dall’incantevole Borgo di Gozzano, in Provincia di Novara, nelle quattro direzioni. Un tempo seguita dai pellegrini in cerca del divino e delle sue tracce terrene, oggi si scrolla la polvere dei secoli per tornare percorribile. E’ la via Francigena, anzi le vie Francigene, non una sola strada ma un intero sistema viario percorso da imperatori, nobili, diplomatici, eserciti, mercanti e da religiosi che si recavano a Roma per proseguire poi per la Terra Santa o all’inverso, risalire verso altri luoghi di pellegrinaggio come Santiago de Compostela. Lungo la strada: il sacro, i borghi, la natura Lungo la strada: il sacro, i borghi, la natura; luoghi cullati o malridotti dal tempo e dalla storia. Frammenti di medioevo, castelli, monasteri, chiese e torri accanto ai resti gloriosi delle ere che l’hanno preceduto. La via Francigena del Vescovo Sigerico arriva in Italia dopo avere attraversato l’Europa e in Italia percorre le regioni: Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia Romagna, Toscana e Lazio. L’itinerario religioso continuava a sud verso gli imbarchi, direzione: Gerusalemme. Più che un unico tracciato una strada-territorio, dunque. Numerose varianti, una rete di sentieri, percorsi e strade; effetti di un medioevo caratterizzato da divisioni politiche e precarie condizioni viarie e ambientali. Per questo cammino, per queste varianti in Italia si lavora molto. L’obiettivo è individuare concretamente sul terreno i tracciati, ricucirli e rivitalizzarli. Perché i numeri parlano chiaro. Il turismo religioso è un fenomeno in costante e progressiva crescita. Il flusso dei pellegrini è inarrestabile in ogni parte d’ Europa e per le diverse religioni. Per essere pronta ad accogliere questa Europa in cammino, l’Italia può contare sui numerosi progetti che anche gli enti e le amministrazioni locali, in accordo con il Ministero dei Beni Culturali stanno mettendo in opera su questi antichi tracciati, ripedonalizzando, mettendo in sicurezza e organizzando servizi e infrastrutture. Nel territorio della Provincia di Novara l’inconfondibile freccia gialla è già pronta ad indicare il cammino ai pellegrini del

duemila, ai viaggiatori nemici della fretta, ai curiosi alla ricerca di scorci e tesori culturali nascosti. Abbiamo voluto farci promotori di un lavoro di squadra con istituzioni ma anche associazioni impegnate sul piano culturale, religioso e turistico, storici e geografi, gente del posto preziosa custode di antiche memorie. Il Comune di Gozzano a tal fine ha coordinato e coinvolto i Comuni di Briga e Soriso sul cui territorio incidono i percorsi, per valorizzare, arricchire d’infrastrutture utili, restaurare i beni di pregio, mettere in sicurezza quella storica rete di traffici e pellegrinaggi. La passione per il progetto, la caparbietà degli autori ha già dato i primi frutti, ovvero il finanziamento della Fondazione Cariplo affinché restauro e ricerca, sviluppo economico e turismo possano offrire al territorio borgomanerense un’opportunità di crescita e di preservazione di resti archeologici, opere d’arte e testimonianze del passato preservando anche dall’arrembaggio del cemento una campagna di grande bellezza. Le vie Francigene, storiche arterie di traffici e pellegrinaggi diventano così anche simbolo di cooperazione e dialogo. L’obiettivo è creare un modello di lavoro sinergico che dalla Provincia di Novara si esporti nelle altre Provincie lavorando proprio su quelle varianti e percorsi minori che portavano i pellegrini non solo a raggiungere la Francigena di Sigerico a Vercelli o a Mortara, ma li invitava a scoprire e riconoscere anche le nume86


Foto di Vittorio Castelli rose deviazioni che portavano a luoghi di culto e devozione popolare con ritualità legate al passato e per pregare i Santi taumaturgici al fine di ottenere la guarigione di certe malattie. Nella provincia di Novara s’incontrano in continuazione, anche casualmente, passeggiando in campagna e nei piccoli borghi, infinite espressioni di devozione: pievi, cappelle, santuari, conventi, castelli, ruderi di antiche abbazie ma anche feste patronali, processioni, tradizioni religiose ancora molto sentite. Sono preziosi esempi di architettura, arte e storia, che riportano alla mente il passaggio di pellegrini, mercanti e diplomatici lungo strade dai nomi molto significativi: via degli Imperatori, via Francigena, via Francisca, via Biandrina, siti Cluniacensi, via del Répit, Compostellana, via del Sale, della Seta, dell’Oro.

mente religiosa ad una di ricerca di significato e autenticità, di risveglio emotivo, di benessere fisico e mentale, inteso come conoscenza, piacere dell'incontro, armonia con l'ambiente circostante. La risposta a questi bisogni consiste nell'offrire esperienze educative, culturali, sociali, partecipative ed emozionali, che consentano di comprendere le caratteristiche “profonde” dei luoghi. Non si tratta tanto delle antiche strade, intese come strutture fisiche a valenza storico-archeologica, ma piuttosto delle vie intese come esperienze, ricerca di antichi sensi dell’andare. Il lago d'Orta presenta caratteristiche paesaggistiche, storiche, culturali e spirituali che lo rendono meta perfetta per queste nuove forme di turismo contemporaneo. La presenza di tanti segni che ricordano i pellegrinaggi di un tempo favorisce la ricerca di quelle esperienze e di quei significati che non riguardano solo i viaggiatori moderni, ma tanto più gli abitanti delle zone in cui quei segni possono essere rintracciati quotidianamente. I luoghi e le vie che li collegano possono diventare altrettanti teatri in cui abitanti e viaggiatori ritrovano, trattati in chiave moderna attraverso un'offerta articolata di proposte, gli “antichi sensi dell'andare” connessi al pellegrinaggio. Ognuno di questi temi può essere affrontato attraverso percorsi, reali e metaforici, che traggono spunto dalle esperienze di pellegrinaggio radicate nel territorio. Il cittadino del ventunesimo secolo ricalca i passi del-

La testimonianza di un’epoca passata Quale significato possono avere questi luoghi per la popolazione moderna, sia quella che ogni giorno scorge la testimonianza di un'epoca passata, sia quella che attraversa un territorio per brevi periodi, per lavoro o per turismo? Il viaggio indirizzato verso mete d’interesse religioso si prospetta oggi come una forma di turismo che esprime la persistenza della memoria di storie e di luoghi “religiosi”. Cambiano a volte le intenzioni che generano il viaggio: da una caratterizzazione essenzial-

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l'uomo e della donna medievali, scoprendo e sperimentando qualcosa che lo riguarda grazie ai segni e alle narrazioni del passato rivisti e rivissuti con sensibilità contemporanea. I tre bei Borghi beneficiari del progetto “Sulle vie della storia” sono Comuni che già hanno sentito l’esigenza di condivisione e vicinanza e fanno parte della prima Consulta della Pace del Piemonte, fondata nel settembre 2015. Si tratta di Gozzano, capofila del progetto, dove l’abitato del centro storico si raggruppa intorno all’area del Castello, là dove sorgeva l’antico Castrum medioevale. Il mercato medioevale si teneva settimanalmente (a partire dal 919) e una volta all’anno si svolgeva un’importante fiera in occasione della festa patronale. È lo scenario ideale per affrontare il tema degli scambi, della circolazione di merci e di valorizzazione dell'artigianato e delle piccole produzioni. Poi Briga che nel XII secolo fu uno dei centri più importanti dei conti di Biandrate nel Novarese, vanta una posizione strategica sulla strada verso Gozzano, il Cusio e l'Ossola. Esercitava il controllo dal colle che sovrastava il paese: da lassù si potevano dominare la pianura verso la città e la Riviera d'Orta, nonché i passaggi diretti al Vergante ed al lago Maggiore. Qui è in corso un importante restauro della deliziosa chiesa del Motto, luogo di riposo e spiritualità con intorno altre testimonianze di culto di grande rilievo anche legate a Infine Soriso piccolo Borgo ricco di beni culturali e religiosi degni di riscoperta come la Chiesa della Madonna della Gelata, testimonianza fondamentale dei santuari à répit, dove venivano portati i bambini morti prima del battesimo, per tornare alla vita solo per il tempo di “un respiro”. Come afferma la storica Fiorella Mattioli Carcano nel suo libro Santuari à répit: “Benchè il prodigio si risolvesse estinguendosi nell’ineluttabilità del trapasso, per un attimo –breve come un respiro-, nell’immaginario e nel sentire dei devoti, si concretizzava il miracolo più grande: il dono della vita eterna.” In un’epoca in cui prodotti e servizi sembrano omologarsi nell’offerta, il viaggio spirituale è un buon modo per rispondere alle esigenze del new tourism, legato ai nuovi bisogni della

società, interessata a coniugare l’equilibrio e la serenità dello spirito con esigenze fisiche e di benessere della persona, sempre più desiderosa di occasioni di viaggio come esperienze educative, sociali, partecipative ed emozionali, che consentano di comprendere le caratteristiche “profonde” dei luoghi. Per una società che rifiuta schemi di vacanza standardizzata e desidera eventi, novità e attività legate alla natura, a percorsi tematici, i percorsi storici dei pellegrini dei secoli andati, calcati dai moderni viandanti, assumono, in quest’ottica, un significato diverso. In un melting pot di motivazioni (religiose e laiche) che giustificano il viaggio, il novello “pellegrino”, che considera il viaggio come un’occasione di costruzione identitaria, di arricchimento spirituale e culturale, va accolto anche considerando il suo status socio-economico, i suoi comportamenti, motivazioni e sentimenti ai fini di una offerta turistica dimensionata alla domanda ed ottimale strumento di pianificazione. Luoghi e percorsi culturali d’interesse religioso diventano prodotto (culturale, economico) e strumento di marketing strategico territoriale, che coinvolgono attori diversi, portatori d’interesse pubblico e privato, impegnati a considerare il visitatore un cliente, con il quale stabilire un’interazione aiutandolo a conseguire un’esperienza, che lo interessi, lo impegni emotivamente e gli consenta di stabilire un legame indelebile con il luogo visitato. Le nuove strategie del turismo europeo Le vie Francigene della Provincia di Novara meritano l’attenzione di soggetti diversi, desiderosi di restituire l’antica funzione di “ponte” tra il Piemonte e l’Europa e tra il Piemonte e le regioni a sud dell’Italia. Le vie Francigene sono cammini che uniscono l’Europa all’Oriente, sino diventare elemento identitario, da cui partire per trasformare le strade in nuove occasioni di dialogo e cooperazione. Gli itinerari culturali del Consiglio d’Europa, tra i quali la via Francigena e la via di Santiago de Compostela occupano uno spazio importante, potrebbero essere le nuove strategie per il turismo europeo, un turismo i cui flussi, secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale del Turismo, raggiungeranno nel 2020 i 760 milioni di arrivi internazionali, mentre il turismo domestico dovrebbe raggiungere una cifra più del doppio. Le cifre che riguardano il turismo religioso e viaggiatori nei luoghi di culto superano ormai i 330 milioni di turisti l’anno. Sicuramente è una scommessa ambiziosa, che dovrà essere capace di incrociare sensibilità e interesse dei viaggiatori, degli enti locali, degli operatori turistici e delle comunità, contando sull’ottimismo dell’intelligenza delle emozioni. 88


Le celebrazioni al Piglio e città di Serrone e di Piglio hanno onorato venerdì 18 marzo il loro figlio migliore: padre Qurico Pignalberi, religioso dell ‘Ordine dei Frati Minori Conventuali, nato a Serreone l’11 luglio 1891 e morto ad Anzio presso la Casa Francescana il 18 luglio 1982. Tre anni dopo, il 30 marzo 1985, il suo corpo veniva portato presso il nostro convento di san Lorenzo al Piglio per riposare nella cappella del sacro Cuore. L’evento del Piglio aveva un motivo particolare, anche se ogni mese il giorno della sua morte beata, viene ricordato, con particolari celebrazioni. Due settimane prima, giovedì 3 marzo, Papa Francesco aveva firmato il decreto sulle virtù eroiche esercitare dal padre Maestro. La prima tappa è stata raggiunta: padre Quirico è stato proclamato Venerabile. Arriveranno, ci auguriamo presto, le altre: la beatificazione e la canonizzazione. Erano in tanti nella chiesa francescana. Prima della celebrazione dell’evento, i fedeli delle parrocchie di Piglio, Serrone, Forma, Trevi ed Anagni, hanno percorso il viale che porta alla cappella, partecipando alla Via Crucis: riflessioni prese dal Vangelo e pensieri spirituali di padre Quirico, invocazioni e preghiere, hanno scandito questo primo momento di forte ed intensa partecipazione. Padre Angelo e fra Lazzaro

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hanno aperto e guidato i fedeli sulla via dolorosa che porta al calvario. Toccava al padre Provinciale Vittorio Trani, concludere il rito, benedicendo il popolo di Dio con il sacro legno della Croce. Nella chiesa conventuale, si svolgeva, subito dopo, la Tovola rotonda alla quale partecipavano mons. Lorenzo Loppa, Vescovo di Anagni-Alatri; mons. Gianfranco Girotti, OFMConv., Reggente emerito della Penitenzieria Apostolica; padre Angelo Paleri, Postulatore generale dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali; padre Vittorio Trani, Ministro Provinciale; padre Enzo Tacca, vice postulatore, che, dopo le presentazioni del guardiano del convento padre Angelo Di Giorgio, dava lettura del Decreto firmato da Papa Francesco. Il vescovo diocesano tratteggiava brevemente il cammino compiuto dal 2005 con l’apertura e la chiusura del processo diocesano,mentre il Vescovo Girotti delineava i punti fermi della personalità spirituale di padre Quirico, maestro e testimone di vita francescana austera e gioiosa, sempre aperto ai bisogni della comunità conventuale e alla Chiesa locale. Padre Paleri ripercorreva l’iter della casa fino a questo primo traguardo, mentre il Provinciale Padre Trani, dopo aver ringraziato i presenti per la corale partecipazione, sottolineava come questa prima celebrazione comunitaria, dava l’inizio di un cammino che deve 89

coinvolgere le due comunità civili e religiose del territorio, la provincia romana e l’intero Ordine che continua a guardare al padre Quirico come ad un modello radicale di vita francescana autentica. Alle celebrazione del Piglio hanno preso parte i parenti di padre Quirico, i parroci ed i sindaci di Serrone, di Piglio, di Acuto, di Trevi nel Lazio e di Anagni; il padre Quintino Rocchi che era Ministro Provinciale quando padre Quirico era di comunità ad Anzio e al momento della morte; il padre Paolo Fiasconaro, Direttore del Centro Missionario Italiano OFMConv. ; padre Gianfranco Grieco, giornalista e scrittore che, nel suo breve intervento ha sottolineato il rapporto ed i sentimenti di stima e di affetto intercorsi tra padre Quirico e Papa Giovanni Paolo II, particolarmente attratti dalla santità mariana e kolbiana del martire francescano conventuale polacco. Papa Wojtyla e padre Quirico si erano incontrati a Torre Spaccata il primo aprile 1979, durante la visita pastorale del papa polacco.

speciale padre quirico

Padre Quirico Pignalberi verso la gloria


Un “santo” nel cuore del suo popolo MONS. GIANFRANCO GIROTTI VESCOVO REGGENTI EMERITO DELLA PENITENZIERIA APOSTOLICA

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ppena 34 anni fa era in mezzo a noi. Ora abbiamo la gioia e l’emozione di rivolgerci direttamente a lui fiduciosi nella sua santità e nell’efficacia intercessione presso Dio. Penso che tra i motivi che hanno indotto a questa celebrazione, oltre a rendere manifesto a tutti il Decreto sull’eroicità delle virtù del nostro Padre Maestro, Padre Quirico, vi sia quello di continuare a divulgare la devozione nei suoi confronti e pregare soprattutto per la sua intercessione nei momenti di bisogno, di malattia e di sofferenza. Per tale motivo desidero in questa circostanza rievocare i tratti più salienti della sua vita, visti dalla parte di un suo ex Novizio di 60 anni or sono, tratti che, senza dubbio, già noti per quasi tutti voi. Che il Padre Quirico sia stato considerato già in vita un esempio di santità è un fatto riconosciuto da tutti. La ‘tensione alla santità’ lo distinse fin dalla fanciullezza. La semplicità e l’austerità sono state le caratteristiche umane alla base del suo progresso nella via della perfezione evangelica. La spiritualità francescana, poi, è totale nella sua vita. Sia nell’Ordine (dai superiori e da tutti i confratelli) che fuori dell’Ordine (i Vescovi, i sacerdoti, e i semplici fedeli), tutti gli hanno sempre tributato stima e riverenza per le sue eccelse doti spirituali. Per 40 anni al Piglio Il periodo del ministero più lungo e centrale della sua vita è stato quello svolto come Maestro di Novizi, prevalentemente qui a San Lorenzo nel Piglio. Lo esercitò per circa 40 anni, formando generazioni di giovani alla vita francescana, non tanto con eruditi discorsi sulla santità, quanto con la pratica di una vita santa. Sempre disponibile all’apostolato della predicazione e del confessionale, accorreva ad ogni richiesta nei paesi vicini. Visse una vita semplice, austera, povera, dedita alla preghiera, alla contem-

plazione e alla penitenza, fatta spesso di veglie prolungate, di digiuni, di discipline, anche a sangue. Al riguardo mi piace riferire un fatto a nessuno noto, che lo ha rivelato, però, nel corso del Processo canonico, la Suora infermiera, Suor Bianca Breschigliaro, delle Suore Francescane Missionarie di Assisi, che lo accudiva giornalmente: aveva sul petto delle croci segnate da cicatrici molto forti. Alla Suora che gli chiedeva: “che cosa hai, che cosa hai combinato qui’”, diceva semplicemente :”Non lo so, non ricordo”. Per sei anni la Suora gli ripeté “alla fine me lo dovrai pur dire”, ma lui rispondeva sempre, con semplicità estrema: “Non mi ricordo”. Si capiva chiaramente che erano cicatrici provocate da un cilizio. Si alimentava, inoltre, dell’indispensabile, si dissetava con acqua calda, si teneva sempre in un angolo per non essere di disturbo agli altri, assorto nella preghiera e nella meditazione. Un vero uomo di Dio Dove si dimostrò un vero uomo di Dio fu nel 1945, quando fu incaricato di ristabilire la pace nella vicina cittadina di Trevi, la cui popolazione era entrata in grave conflitto col Vescovo, perché non accettava la nomina del nuovo Parroco. La città si spaccò in due, per cui fu richiesto l’intervento della Sacra Congregazione del Concilio che inviò un suo delegato Qui si dimostrò un vero uomo di Dio: con coraggio e con pazienza seppe riconciliare la gente che, nonostante avesse dimostrato inizialmente grande ostilità nei suoi confronti (fu maltrattato e insultato, mattina e sera, a tutte le ore che usciva di casa), pian piano comprese ed accettò la sua mediazione, cominciando a considerarlo con grande rispetto. L’ultimo periodo della sua vita è quello dell’infermità, che lo condusse alla morte. E’ questo un tempo caratterizzato dall’orazione e dalla paziente sofferenza. La sua è stata una vita che è consistita non in avvenimenti straordinari, non in un ministero appariscente, bensì in una attività uniforme e – direi – sostanzialmente nascosta. E’ stato, Padre Qui90


rico, una figura esemplare di religioso francescano, molto umile, ch si consegnò totalmente a Dio nel sacerdozio ministeriale. Gli elementi che certamente ebbero a caratterizzare la sua vita sono quelli della continuità e della fedeltà di un servizio quotidiano e perciò – ripeto – uniforme e nascosto. In questo senso possiamo dire che P. Quirico ha dato a noi - suoi Novizi, a tutti i Novizi - ed ha testimoniato a noi una vita di preghiera e di penitenza. Questi due elementi – la preghiera e la penitenza – sono quelli che sempre lo hanno contraddistinto: pregava in continuazione e praticava penitenze particolarmente rigorose, forse, per alcuni di noi, eccessive.

Cappellano militare (ricordo che tale impegno gli meritò una ricompensa ufficiale: l’onorificenza di “Cavaliere di Vittorio Veneto”.); la seconda è il successo della delicata questione di Trevi e la terza il coraggio dimostrato in tempo di occupazione nascondendo e proteggendo i soldati ricercati dalle forze di occupazione tedesca, facendoli passare come religiosi di passaggio o sfollati. Un modello per i religiosi di oggi Termino nel porre qualche domanda: che cosa dice a noi, cosa dice alla Chiesa, in particolare alla Chiesa di oggi, una figura di religioso come quella di Padre Quirico? E’ attuale, è accettabile, è un esempio da proporre, specie ai religiosi del nostro tempo? Un motivo per dubitare potrebbe venire dal suo stile di vita, perché, certo, non è facile intravedere nella vita e nella spiritualità del Padre Maestro un modello di santità per i nostri tempi. Eppure, se la Provvidenza divina ci ha dato questa persona di virtù eroiche, dobbiamo saper rilevare qualche messaggio duraturo. Mi pare possiamo formulare due messaggi: 1- Fedeltà ai propri principi. Il Padre Quirico, l’ormai venerabile P. Mastro, ha creduto nella sua vocazione, ha abbracciato le esigenze della sua scelta e si è prodigato di realizzarle con estrema coerenza. Lui questi ideali li ha vissuti nel suo tempo, ma importante è la fedeltà ai propri ideali, che rimane un valore indiscusso in ogni tempo e in ogni circostanza. Tale messaggio – ritengo – ha un grande rilievo anche oggi.

Due santi: Kolbe e Quirico Non sto qui a dilungarmi sulla sua devozione all’Eucaristia e alla devozione all’Immacolata. Impressionante quella all’Eucarestia: era dedito per ore, anche di notte, all’adorazione del Santissimo Sacramento. La devozione all’Immacolata risulta particolarmente evidente non solo nel rapporto di amicizia intercorso tra P. Quirico e San Massimiliano Kolbe e nella con- fondazione della M.I., bensì anche nella quotidiana, esemplare pratica del Rosario. Preghiera e penitenza distinsero la persona del Padre Quirico e di conseguenza ne qualificarono il ministero rendendo, il maestro esemplare per i novizi a lui affidati. Credo che noi non rendiamo piena giustizia alla figura del Padre Maestro se puntassimo l’attenzione solo sulla preghiera e sulla penitenza: potremmo, in effetti, considerarlo e ritenerlo come una persona totalmente o almeno tendenzialmente aliena da rapporti sociali e quindi da attività pastorali al di fuori della cerchia conventuale. Ed, invece, dobbiamo riconoscere che P. Quirico ha bene meritato anche in attività ecclesiali diverse dal ministero dei Novizi. Ne cito solo tre: la prima è l’impegno dimostrato durante la guerra come

2- Fedeltà alla strada personale. Egli è rimasto fedele al proprio iter spirituale e di virtù che erano consone con la sua struttura psicologica. Era la sua strada. La chiamata alla santità, sappiamo, sempre si inserisce nella storia concreta della persona. Tale messaggio ha un valore anche oggi: tutti siamo chiamati alla “nostra” santità. 91


Padre Roberto Carboni vescovo di Ales-Terralba adre Roberto Carboni dei frati minori conventuali della Sardegna, noP minato da Papa Francesco il 10 febbraio 2016 nuovo vescovo di AlesTerralba, ha ricevuto lì ordinazione episcopale ad Oristano domenica 17

LIBRI

aparile 2016 per le mani dell’Arcivescovo di Sassari Mons. Paolo Atzei, francescano conventuale. Nato il 12 ottobre 1958 a Scano Montiferro, provincia di Oristano e diocesi di Alghero-Bosa, è stato accolto nel seminario dei frati minori conventuali di Sassari; è passato poi al collegio San Francesco in Oristano, ove ha conseguito la maturità classica. Nel 1977 ha iniziato il noviziato nel convento della basilica di sant’Antonio a Padova. Ha studiato filosofia nel seminario San Massimo dottore, in Padova e teologia alla Facoltà teologica di San Bonaventura in Roma. Il 27 giugno 1982 ha emesso la professione perpetua e il 29 settembre 1984 è stato ordinato sacerdote. Nel 1986 ha conseguito la licenza in psicologia alla Pontificia università Gregoriana. Dal 1989 è iscritto all’albo degli psicologi e psicoterapeuti della Sardegna. Ha collaborato con la rivista «Fraternità», di cui è stato direttore, ed è diventato pubblicista, iscritto all’albo della Sardegna dal 1997. Dal 1985 al 1992 è stato direttore spirituale nel Centro nazionale di orientamento vocazionale al Sacro convento di Assisi; dal 1991 al 1993 docente incaricato di psicologia all’Istituto teologico di Assisi; dal 1993 al 1994 viceparroco di San Francesco di Assisi in Cagliari; dal 1994 al 1999 rettore del postulato francescano del collegio San Francesco di Oristano; dal 1994 al 2001 segretario e vicario provinciale, nonché docente incaricato di psicologia alla Pontificia facoltà teologica della Sardegna. Dal 2001 al 2013 è stato, con i frati delle Marche, missionario a Cuba, dove è stato direttore spirituale del seminario interdiocesano, docente di psicologia, rettore dei postulanti e rettore della chiesa di San Francesco all’Avana. Dal 2013 segretario generale per la formazione del suo ordine.

FRATE ELIA, COMPAGNO E VICARIO DI SAN FRANCESCO

C

ome San Francesco, frate Elia è entrato vivo nella leggenda. La sua sorte straordinaria ha colpito vivamente l'immaginazione HA SCRITTO dei contemporanei e dei posteri. Primo compagno e Vicario di San Compagno di Francesco che lo ebbe Francesco, Ministro generale dell'Ordine, amico e confidente di sempre caro, Elia da Assisi (qualcuno Cardinali e di Papi, colui che per venti anni fu la guida, il direttore preferisce da Cortona) compì studi giue l'organizzatore del movimento francescano si vide espulso dalla ridici e fu un eccellente organizzatore. Chiesa e dall'Ordine, ribelle e scomunicato, scandalo e obbrobrio Delle sue doti diede prova nella carica per i fedeli, immensa vergogna per i frati. Il suo nome si tramandò di ministro provinciale in Siria (1217circonfuso da un fitto velo di terrore e di cupa maledizione. Per 20) e poi in Italia, dove fu vicario geoltre cinque secoli, egli fu il frate maledetto, il traditore e il corrut- nerale dei francescani (1221-27); tore dell'ideale serafico, l'Anticristo annunziato dai veggenti. Le ottenne, tra l’altro, la stima del cardivecchie cronache evitano di nominarlo, oppure lo nominano con nale Ugolino dei Conti, vescovo di sdegno misto a orrore. La maggiore conoscenza dei tempi, il più ap- Ostia (poi papa Gregorio IX), con cui profondito studio delle fonti, i nuovi documenti venuti alla luce e collaborò nell’arduo compito di ordiillustrati da dotti imparziali permettono oggi di riportare la figura nare il movimento in cui professava la di frate Elia in un quadro storico più sereno e più veritiero. Attra- propria fede. verso le molte rivendicazioni che cuori generosi hanno tentato, la ARMANDO TORMO Il Sole 24 ORE, 3 APRILE 2016 Storia ha già concluso con la completa riabilitazione di frate Elia. La sua vita prodigiosa toccò le più eccelse cime e cadde quindi nella disgrazia più cupa, ma non fu mai né volgare né vile. Nell'Ordine francescano, la sua figura primeggia con un rilievo e una dignità che il tempo e la calunnia non hanno potuto offuscare. Possiamo oggi riportarla nella sua vera luce, affidandoci semplicemente alla storia. I documenti, sebbene incompleti, sono tuttavia sufficienti per dare un ritratto preciso. Basta valersene con imparzialità. I biografi che si sono finora occupati di frate Elia hanno peccato per un verso o per l'altro. Fra tutti ha dimostrato una singolare incomprensione il Lempp, ritenuto per molto tempo lo storico più preciso di frate Elia.Dove non sbaglia sin dall'inizio, il Lempp si contraddice, e le contraddizioni sono frequenti e crude. Ben più precisi sono stati gli scrittori francescani che hanno preceduto il Lempp, e che il Lempp ha citato senza averne notato l'importanza. Meglio che l'Anonimo Cortonese, che ha peraltro il pregio di essere il primo in data (1755), meritano speciale considerazione il P. Maestro Antonio Maria Azzoguidi , Minore Conventuale (1757) e il P. Ireneo Affò , Minore Osservante. (1783) che hanno trattato il tema con intelligenza e acume, saggiando le antiche fonti con spirito di sana critica e sfatando assurde leggende. (I. studio delle fonti, p.9-10). SALVATORE ATTAL ( Soter), Frate Elia compagno di san Francesco, Edizioni Mediterranee Roma 2016, p.240, 24,00 euro. 92


arte

Paola Crema Tutto è re-invenzione GIULIANO SERAFINI CRITICO D’ARTE

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’opera di Paola Crema rivela, prima ancora che una dichiarazione di poetica, un attestato di falsità. Il suo universo di millantata archeologia è quanto di più autentico e univoco possiamo aspettarci da un artista, proprio là dove in realtà tutto è finzione e re-invenzione: dalla scultura monumentale all’oggetto decorativo, fino agli elaborati fotografici che impunemente mostrano reperti affioranti da terreni antichi, da scavi ricostruiti in studio. Come dire che l’artista chiude la sua ricerca a qual-

Sommerse visioni ELENA GRADINI

Di corpi, di volti e di sguardi, sono sommerse visioni di un antichissimo mondo perduto, primitivo ma non feroce, lontano e vicino che comunica il proprio esistere nella sabbia e attraverso essa. Così l’occhio spietato ed immoto di Antino ammonisce nel suo grido soffocato un vivere che rimanda ad un mondo che fu. Nel candido caolino l’oro abbacinante risuona e moltiplica il suo eco su noi mortali facendo fuggire lo sguardo verso altri miti, altri luoghi che la terra nasconde e restituisce a suo piacere. E un reperto alita di nuova vita nel suo essere frammento, né la nobile materia rinvenuta perde la sua forza, piuttosto gioisce in armonica fusione con la Madre Terra. Così dal gesto sapiente nasce la poesia dell’opera, che Paola Crema regala racchiusa nel mito antico e moderno, mentre Zeus rapace riaffiora col suo profilo aquilino e Bithin si abbandona sotto la candida coltre al suo ultimo, lentissimo respiro.

CRITICO D’ARTE

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siasi sospetto di verosimiglianza per aprirsi all’ipotesi del desiderio di quel mondo sepolto, esasperando perfino le modalità tecniche e strumentali che servirebbero a riesumarlo. E a questo punto parlare di doppio inganno può diventare perfino obbligatorio. Paola Crema fa insomma suo il principio sovrano dell’ambiguità in arte senza rinunciare alla propria buona fede ideologica. Che non è cosa facile, in tempi in cui il fattore concettuale spinge sempre più alla deriva il senso ultimo, se c’è, dell’arte. Ne consegue che in questa ibridazione di strategie mentali, anche la forma è assoggettata a innesti stilistici e storici quanto mai avventurosi, a un amalgama di suggestioni estetiche capaci di smentire le possibili illusioni dell’osservatore e di ricondurre l’opera al suo legittimo habitat di pura immaginazione.


E V E N T I 2016

San Lorenzo Maggiore Napoli - Caritas francescana in azione

Monticchio, 8 maggio 2016 Processione in onore di san Michele arcangelo

La Fraternità dei Padri Conventuali di Maddaloni, la parrocchia di Sant’Anna alla Vittoria di Cervino e la parrocchia di Santa Sofia di Maddaloni insieme a varcare la Porta Santa della Chiesa Cattedrale di Caserta Per il GIUBILEO DELLA MISERICORDIA.

Maddaloni, 16 aprile 2016, “Lo Spirito di Assisi” ultimo incontro del Forum sulle Religioni al Centro Studi Francescani

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