4° Memorial Cimurri GP Bioera

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Reggio Emilia: un Tricolore e due ruote Da quando, in età romana, era chiamata Regium Lepidi – dal nome del fondatore della città e della via che dà il nome alla regione, Marco Emilio Lepido – Reggio Emilia ne ha fatta tanta di strada. Segnando negli ultimi decenni un incremento demografico tra i più alti d’Italia (da 130.000 a 160.000 abitanti dal 1990 al 2008), questa terra non ha però perso quel suo sapore antico, che la rende unica pur nella sua semplicità. Unica e semplice come un mezzo che è sempre andato di pari passo con l’evolversi della città, resistendo al tempo e alle mode: la bicicletta. Complice un terreno pianeggiante, una città a misura d’uomo e la campagna a ridosso, la bicicletta a Reggio è sempre stata usata come le scarpe: per andare avanti e indietro, fare la spesa, incontrarsi, non importa se vestendo la pelliccia o la tuta unta di grasso. Oggi, certo, andare in bicicletta è più una scelta che una necessità: si fa per sport, per passione o per turismo, forse per riconquistare quel senso di libertà che l’automobile ha indebolito. Con qualche pedalata si raggiunge ogni angolo, specie a Reggio Emilia, respirando la città e le sue pietre. Quelle che ricoprono gran parte del centro storico, collegando Piazza San Prospero, Piazza Fontanesi, Piazza del Monte, Piazza della Vittoria e Piazza Prampolini. Proprio qui si affaccia la Sala del Tricolore, teatro oltre 210 anni fa della nascita del Primo Tricolore, il 7 gennaio 1797, a quel tempo bandiera ufficiale della Repubblica Cispadana. Divenuto simbolo dell’Italia Unita nel 1861, ha dato origine all’attuale tricolore. Un vessillo che ha portato fortuna a Paolo Bettini, campione olimpico 2004 e due volte campione del Mondo che proprio domenica scorsa dopo il Mondiale di Varese ha deciso di appendere la bicicletta al chiodo. Memorabili le sue due apparizioni al Memorial Cimurri da campione iridato, nel 2006 e 2007. Parola del “Grillo”: “Il Tricolore nato qui è ormai più di un semplice portafortuna, tanto che quando Giorgio Cimurri è arrivato in Germania ci siamo promessi di onorare quel simbolo. E’ stato bellissimo vedere che la bandiera è l’elemento che unisce i due podi mondiali di Salisburgo e Stoccarda. Quella del Tricolore è una tradizione che deve continuare anche dopo il sottoscritto, spero con tanti altri azzurri vincenti. Reggio? Ormai è chiaro che per me non è una città come tutte le altre". Dal canto suo, Alfredo Martini, storico Commissario Tecnico della Nazionale e Presidente onorario della Federazione Ciclistica Italiana, ha definito Reggio Emilia, città dell’amico Giannetto Cimurri, “una città che canta il ciclismo”, per la passione che scorre in questa terra per le due ruote.


Semplicemente, Memorial Cimurri Dagli storici duelli tra Coppi e Bartali fino alle recenti imprese mondiali di Bettini e Ballan, passando per Merckx, Armstrong e l’indimenticato Pantani, il passo è breve. Perché il ciclismo, oltre che uno sport, è anche e soprattutto passione. Passione che si esprime nella pedalata, nel sudore profuso per scalare una vetta o per tirare una volata, ma anche nella gioia di aver compiuto grandi imprese. E non c’è grande distinzione se l’impresa avviene tra i professionisti o tra i ciclisti alle prime armi, perché la fatica è spesso la stessa. Passione, sudore, impegno, amore. Amore per la bici e la propria città. In poche parole: Giannetto e Chiarino Cimurri. Padre e figlio, uniti dall’affetto familiare e da un’inesauribile energia, da sempre marchio di fabbrica della famiglia. Eccoci qui, dunque, a presentare questo 4° Memorial Cimurri – Gran Premio Bioera. Manifestazione che è già divenuta appuntamento di riferimento nel panorama professionistico internazionale, oltre che importante momento per la valorizzazione di tutto il territorio reggiano. Non solo e non tanto per i “big” partecipanti a questa 4^ edizione (Alessandro Ballan, Davide Rebellin, Alessandro Petacchi, Danilo Di Luca, Franco Pelizzotti, Daniele Bennati) e per i nomi di chi il Memorial l’ha già vinto (Murillo Fischer, Enrico Gasparotto e Leonardo Bertagnolli), ma soprattutto per i grandi nomi a cui è dedicata, Giannetto e Chiarino, gente che lo sport non lo ha semplicemente frequentato, ma vi ha lasciato un segno: si può esser campioni anche senza riempire troppo gli albi d’oro. I Cimurri lo sono da generazioni per il modo in cui hanno portato a spasso per il mondo il nome di una città: parli di loro e viene in mente Reggio Emilia, e viceversa. A Giorgio Cimurri dobbiamo questa bella iniziativa: “Che il Memorial sia stato apprezzato dal mondo del ciclismo è ormai un dato di fatto, siamo al quarto anno e di strada né abbiamo fatta, ma il traguardo vero è lontano. In questi anni il ricordo di mio padre e di mio fratello mi ha sempre accompagnato: organizzare questa gara in loro onore e rivedere tante persone che li hanno conosciuti, mi ha permesso non solo di mantenere vivo il loro ricordo, ma anche di conoscerli ancora, attraverso le tante testimonianze, i tanti aneddoti, storie e racconti che li riguardano. Da una gara nata per loro, a una grande gara per il ciclismo. Questo è l’obiettivo che mi pongo oggi, fare del Memorial un traguardo e un podio indimenticabile per chi vi partecipa. Portare a Reggio, la mia città, la città di Chiarino e di Giannetto, il grande sport”. Che accada di nuovo nel nome dei Cimurri non è certo una casualità.


Il passaggio sulle “Vele”, che spettacolo La partenza del Memorial Cimurri è prevista intorno alle ore 11 dalla sede del main sponsor Bioera, alle porte di Cavriago. Seguiranno 2 giri di un breve circuito nel territorio cavriaghese prima della discesa verso Reggio Emilia e quindi Scandiano, da dove partirà la parte più impegnativa della gara, con un nuovo circuito di 34,3 km da ripetere 4 volte, quando avrà inizio la spettacolare quanto selettiva salita dei Pavulli (già affrontata durante l'arrivo reggiano del Giro d'Italia 2001, tappa Montecatini-Reggio Emilia, vincitore Pietro Caucchioli). La veloce discesa del Cavazzone riporterà quindi gli atleti ad Albinea, prima di affrontare una nuova salita: i circa due km di Montericco, con una discesa nota tra i ciclisti reggiani come "la Russia". Il gruppo inizierà poi i 14 km verso il centro di Reggio. Qui scatterà lo spettacolare circuito cittadino (4 km x 3 giri) che porterà gli atleti a darsi battaglia lungo le via del centro. L'arrivo è previsto in Viale Allegri dopo circa 199 chilometri di gara. Come nella passata edizione, tuttavia, il momento forse più suggestivo del percorso sarà costituito dal passaggio sulle cosiddette “Vele di Calatrava”. Tre grandi archi bianchi che si candidano a raccontare la Reggio Emilia del XXI secolo e a interpretarne la relazione tra tradizione e innovazione. Questi ponti, così ribattezzati dal nome dell’architetto che li ha progettati, lo spagnolo Santiago Calatrava (artefice, tra l’altro, della stazione ferroviaria di New York, del nuovo stadio Olimpico di Atene, di tre ponti che attraversano il Trinity River di Dallas, in Texas, e del tanto discusso ponte che attraversa il Canal Grande, a Venezia), sono opere destinate a diventare un nuovo simbolo di Reggio e l’ideale “ponte” verso il futuro della città nel contesto di un’Europa globalizzata, in mezzo a scenari anche locali in rapida evoluzione. Lo stesso ideatore dei ponti, Calatrava, ha immaginato queste opere come segni che marcano il territorio: “I ponti in un giorno sono visti da più di centomila persone, per questo ho voluto introdurre delle strutture che, al di là della pura funzionalità, assumessero un carattere simbolico. Il paesaggio della Pianura Padana è sostanzialmente piatto e verde. Era necessario sviluppare degli elementi che dessero vita al luogo: archi, semiarchi, onde, in modo da creare dei segni distintivi sul territorio”. Facile intuire come su questi viadotti – quello centrale di scavalcamento dell'autostrada A1 e della futura linea ad Alta Velocità, pesante oltre 4000 tonnellate e lungo oltre 220 metri con un arco alto circa 50 metri, e quelli Sud e Nord, ponti gemelli, lunghi 179 metri e larghi 15 – il serpentone dei corridori del Memorial Cimurri si preannunci a dir poco suggestivo.


Dici ciclismo, pensi a Giannetto Giannetto e Chiarino: uomini di sport senza tempo. Due reggiani, padre e figlio, uniti dall’affetto e da quella passione per lo sport che è stata la loro ragione di vita. Giannetto Cimurri è stato un mito del ciclismo, vero ambasciatore dello sport reggiano quando ancora la globalizzazione non esisteva. Nato nel 1905 a Reggio Emilia e scomparso a ben 97 anni nella sua città, ha attraversato l’intero secolo lasciando un segno indelebile in questo sport: massaggiatore della Nazionale per 34 anni, ha vissuto da vicino 8 Olimpiadi, 74 campionati del mondo tra strada, pista e ciclocross, 11 Tour de France, 10 Romandia, 6 Svizzera, 40 Giri d’Italia portati a termine e altri 6 non completati, oltre a infinite corse nazionali e internazionali. Un curriculum ineguagliabile cui va aggiunta l’attività nel calcio (massaggiatore per anni della Reggiana) e nel pugilato (del campione europeo Gino Bondavalli). Con Fausto Coppi aveva stabilito un rapporto strettissimo, tanto che Giannetto diventò intimo amico e confidente del “campionissimo”, che voleva essere seguito solo da Cimurri, lavoratore meticoloso che non si limitava alla preparazione. Uomo di spirito e grande iniziativa, insignito dell' onorificenza di Cavaliere per meriti sportivi, nel 1930 fondò il Velo Club Reggio, mentre nel ‘33 aprì un negozio di articoli sportivi gestito dalla famiglia capace di affermarsi ben presto in città. Nel '51 ideò il “Premio Disciplina”, assegnato ogni anno ad una promessa del pedale reggiano. Negli anni ’80 eccolo organizzatore dell’AssoMondiale, che ha riunito per diversi anni a Reggio Emilia i campioni mondiali viventi in Italia. Cavaliere della repubblica per meriti sportivi dal 1965, Croce dell’Ordine Ospedaliero di Malta dal ’49, a Giannetto sono stati conferiti numerosi riconoscimenti, tra cui la Stella d’oro per meriti sportivi conferitagli dal Coni nel 1988. Il 27 maggio 2001, un anno prima della sua scomparsa e lo stesso giorno in cui il Giro d’Italia fece tappa a Reggio Emilia, è stata inaugurata a Reggio in zona Campovolo una Pista di Avviamento al Ciclismo intitolata a suo nome, tra le prime in Italia ad accogliere i campioncini delle due ruote per allenarsi in tutta sicurezza. Sempre in tema di carovana rosa, il 21 maggio 2007, in occasione della tappa Reggio– Lido di Camaiore, fu assegnato in sua memoria un traguardo volante a Castelnovo Monti (RE).


Oltre a quelle due occasioni, ricordiamo che il Giro d’Italia transitò in terra reggiana nel 1983 (tappa Marina di Pietrasanta-Reggio Emilia), e nel lontano 1927, ai tempi di Binda e Girardengo, nella tappa Reggio Emilia - Lucca. Tra le ultime passioni portate a termine da Giannetto ricordiamo invece il Museo della bicicletta, situato in Via Porta Brennone nel centro di Reggio, arricchito col tempo dai cimeli dei più grandi campioni, sempre rimasti in contatto con lui fino alla sua scomparsa, il 26 dicembre 2002. Il Museo raccoglie cimeli storici legati alla storia del ciclismo e 135 biciclette tra le quali alcune di quelle appartenenti a Girardengo, Coppi, Bartali, Gimondi e Francesco Moser, che ha recentemente ricordato come Giannetto “aveva una capacità incredibile di infondere fiducia”. L'allestimento del materiale del museo era stato curato personalmente da Giannetto, che riuscì ad accaparrarsi anche una vittoriosa maglia rosa di Marco Pantani e una delle quattro Bianchi di Fausto Coppi preparate per il campionato mondiale su strada, regalatagli in persona dal campione nel ‘53. Forse pochi sanno che Giannetto tentò anche l’esperienza col ciclismo praticato. Nel corso della sua prima gara, a San Maurizio, cadde però rovinosamente: “Mi ruppi un ginocchio e temetti un'amputazione della gamba destra – ricordava Giannetto –. Così dovetti abbandonare lo sport praticato e da lì in poi mi sono dedicato agli altri”. Nacque così la sua vita di massaggiatore. Scoperta di Giannetto era stato, tra gli altri, il campione del mondo ’91 e ’92 Gianni Bugno, che proprio Cimurri portò al professionismo. Tanti ricordi irripetibili anche dall'epoca della polvere, quando i campioni si chiamavano Binda e Girardengo, Coppi e Bartali, fino all'epoca dell'asfalto, con Adorni, Gimondi, Merckx. Cimurri ha sempre amato anche chi era poco famoso: "Sono nato con gli isolati, quelli che correvano per conto proprio e a proprie spese, e non li ho mai abbandonati", raccontava in occasione dei 90 anni, quando festeggiò il suo compleanno con la famiglia di Fausto Coppi, il ciclista al quale è stato più legato. Gli amici ricordano che sarebbe potuto diventare ricco grazie a Merckx, che gli offrì un assegno in bianco per averlo come masseur. Ma Cimurri glielo restituì perché – si dice – non poteva tradire la piccola società per cui lavorava. Nominato nel 2000 “simbolo sportivo del Novecento reggiano” dai lettori della Gazzetta di Reggio, nel 2007 gli è stata dedicata la mostra “Giannetto Cimurri, una storia a pedali”. Una raccolta di scatti realizzata in collaborazione con la Fototeca della Biblioteca Panizzi in occasione del Memorial Cimurri. Un vero e proprio viaggio nel ciclismo attraverso immagini inedite che ci fanno rivivere un ciclismo di cui rimpiangiamo lo spirito, la passione, la genuinità.


Chiarino Cimurri, basta il nome Una vita per la sua città. Tennis, basket, calcio, ciclismo, ma soprattutto l’orgoglio di sentirsi reggiano, di poter dedicare la sua vita alla sua città. Chiarino Cimurri, degno erede di Giannetto, era tutto questo e ancora di più. Ecco perché, guardando attraverso i suoi occhi in uno dei tanti scatti che lo ritraevano, si carpisce ancora la forza per guardare avanti con ottimismo ed entusiasmo. In lui c’era l’essenza stessa dello sport. Quello sport vero che va sempre più scomparendo. Lui, semplice e speciale allo stesso tempo, sapeva come far battere il cuore. Chiarino è stato un messaggio, di più, un simbolo, per lo sport e per la sua amata città, in mezzo alla gente che amava e aveva imparato ad amarlo. Perché, si sa, di per sé un simbolo è privo di significato, ma con un bel numero di persone alle spalle può far cambiare il mondo. Nato a Reggio Emilia il 3 settembre 1938, sposato con Giuliana e padre di una figlia, Veronica, Chiarino ha sempre brillato di luce propria, alimentando quel fuoco di passione ricevuto dal padre Giannetto. “Dacci una mano” era il suo motto, che faceva trasparire la capacità di farti sentire sempre partecipe del suo progetto. Per lo sport reggiano Chiarino aveva dato l’anima, diventando per basket e calcio una sorta di salvatore della patria (una serie di scatti più o meno celebri di questi anni si può trovare sul sito www.cimurri.it). Eppure, sino al 1995, Chiarino Cimurri era stato l’uomo del tennis. Prima come responsabile del Settore tecnico maschile e accompagnatore della squadra di Coppa Davis, poi come Consigliere Nazionale della Federazione Italiana. Ruoli e sfide come sempre di primo piano. Fino a quel momento erano state poche le apparizioni nel basket, grazie al suo amico Piero Montecchi che lo invitava alle partite e lui vestiva i panni di tifoso della Pallacanestro Reggiana. Ma nessuno avrebbe mai pensato che quella sarebbe diventata una delle sue grandi passioni. E dire che il suo ingresso aveva coinciso col momento più buio della storia. Era il giugno 1995. Il futuro era nebuloso. Per interessamento del sindaco Antonella Spaggiari furono coinvolti nell’operazione di salvataggio tanti imprenditori e sportivi reggiani. Nella cordata c’era, ovviamente, Cimurri.


Per due stagioni Chiarino visse l’avventura quasi defilato, poi quando la squadra salì in serie A1 assunse la carica di vice presidente. Ben presto era diventato l’anima di una società che visse tutta la stagione sul filo di lana, ma che faceva vedere di avere qualcosa dentro. Quel qualcosa scattò nei play off, dove Reggio eliminò Milano e Treviso arrivando alla semifinale scudetto. Con il basket era scoccata definitivamente la scintilla, che lo spinse a prendersi via via più responsabilità sino alla stagione 1999-2000, quando assunse la carica di presidente. Annata disgraziata, vista la retrocessione, ma l’anno dopo Chiarino ripartì alla carica per risalire subito in A1, prima della beffa in finale contro Livorno all’ultimo secondo. Due mazzate dure da digerire, che accentuarono la spinta verso l’addio alla società, poi passata nelle mani di Stefano Landi. Il suo tempo con la Bipop era finito, ma non quello col basket. Via dalla Pallacanestro Reggiana e subito presidente della Legadue, nel giugno del 2001. Una creatura nata dalla separazione della vecchia Lega Basket che un tempo univa serie A1 e A2, da lanciare come prodotto nuovo. E Chiarino lo fece alla sua maniera, con il solito, grande entusiasmo, accettando rischi e scommesse. Come quella di trasmettere il basket alla domenica alle 12. Una scelta coraggiosa, perché lui era sempre così: pronto alle sfide. Un anno di presidenza di Legadue, poi la chiamata della Reggiana Calcio. Così definì il passaggio l’ex sindaco di Reggio Antonella Spaggiari: “Cimurri è un uomo di sport e quando gli dai una maglia, la indossa e scende in campo”. Puntuale, Chiarino accettò quando il primo cittadino gli chiese di correre in aiuto della Reggiana. Il suo spessore di dirigente sportivo fu subito messo a dura prova nel luglio 2002, quando la Reggiana stava per sparire dalla faccia del calcio. Cimurri chiamò a raccolta gli amici e col consueto ottimismo riuscì a compiere il miracolo, ridando slancio a una società sul punto del tracollo. Tracollo in C2 che è poi avvenuto, nell’estate del 2005, quando Chiarino ormai se n’era già andato. Un caso, forse, o più probabilmente una coincidenza. Più bella è la storia che ha portato alla nascita della Tricolore Reggiana, nel 2003, e del Torneo di calcio giovanile “Città di Reggio – Trofeo Cimurri”, che da 4 anni ricorda la sua figura. A Chiarino Cimurri è stato inoltre intitolato il centro sportivo “Rosta Nuova” nel cuore della città. Era il 14 giugno 2008. Oggi, il Memorial internazionale di ciclismo ricorda Giannetto e Chiarino Cimurri. Su di loro si è detto tanto: mai abbastanza. E mai ci si stancherà di ricordare quanto hanno dato: allo sport e alla nostra città. A cura di Luca Marani – lucamarani@tin.it


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