Il libro-gioco

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Loredana Farina

IL LIBRO-GIOCO un po’ mestiere un po’ passione



La vita non è quella che si è vissuta ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla. GABRIEL GARCIA MARQUEZ

Sbarcata a Milano nel 1961 con la valigia di cartone dell’emigrante dal profondo Nord, mi è toccata la bella sorte di essere socio fondatore di una casa editrice di libri per bambini. È stato un tassello importante della mia vita, che forse ha lasciato qualche segno anche nel piccolo mondo dell’editoria per i piccoli. Prima che si perda completamente, pure dentro di me, il ricordo di questa avventura che per me si è conclusa anni fa, ho deciso di raccontarne la storia. Si tratta pertanto di appunti e testimonianze di sapore postumo. Spero che qualcosa di questa esperienza possa servire anche ad altri. Magari: sarebbe come un passaggio di consegne.

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PRIMA PARTE

SECONDA PARTE

In sartoria

Analfabeti

Domenico Caputo detto Mimmo

Libro e gioco. Libro-gioco

Giorgio Vanetti o la gallina dalle uova d’oro

La progettazione: libertà e rigore

Franco Cangi che sa far quadrare i conti

A proposito del fare i libri-gioco

Giuliana Crespi o della vitalità

La lettura è qualcosa di corporale

Gestazione

Ts’ai Lun 105

I primi passi

I bambini

pagina 13 pagina 15 pagina 17 pagina 19 pagina 21 pagina 25 pagina 27

INDICE

pagina 71 pagina 73 pagina 75 pagina 77 pagina 79 pagina 81 pagina 85

Mercato e nasometro pagina 29

Il mestiere di editore pagina 31

Ringraziamenti pagina 89

Sette regolette non scritte pagina 37

Fiere

pagina 39

Nemo propheta in patria pagina 41

Librerie Scuole materne Biblioteche pagina 43

Elogio delle macchine pagina 45

1987

pagina 51

Cose che capitano pagina 53

Una società a scopo di lucro pagina 55

Storie di carta pagina 57

Festeggiamenti pagina 59

I quindici anni che sconvolsero il mondo pagina 61

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PRIMA PARTE



Ho imparato il mestiere di far libri per ragazzi lavorando dal 1967 presso la casa editrice AMZ di Mario Abriani. Allora il lavoro in redazione si faceva con forbici, cow gum e tipometro; e tagliare, incollare e misurare sul tavolo dava alla manualità una cadenza da laboratorio di sartoria e alla stanza un’atmosfera casereccia. I libri venivano sfornati secondo i gusti e le preferenze delle nonne e delle zie nate anteguerra, che li avrebbero comprati nelle cartolerie sottocasa e amorosamente impacchettati per regalarli a ignari nipoti appena comunicati o cresimati. Anche il Natale era una festa da santificare con un libro e queste ricorrenze, che scandivano i programmi di lavoro e garantivano il fatturato, venivano benedette dagli editori. Forse solo la mitica signora Rosellina Archinto aveva coi libri per ragazzi un rapporto più laico: i tempi delle uscite non erano prevedibili e le illustrazioni dovevano piacere almeno a lei. Fu così che in Italia si cominciò a pubblicare Leo Lionni, Iela Mari e Maurice Sendak. I ragazzi più fortunati venivano avviati alla lettura di Piccole donne, Piccolo Lord e Cuore in edizione da 160 pagine, mentre altri li leggevano in edizione da 120 pagine, ma nessuno si accorgeva della differenza, perché i fatti raccontati erano gli stessi. Tagli e ricuciture sommarie venivano operati in redazione e riguardavano quasi sempre le descrizioni dei paesaggi esterni o interiori. Le tavole a colori fuori testo erano le più economiche e quindi anche le più diffuse. C’erano poi i libri di divulgazione, illustrati. Parlavano quasi tutti della vita degli animali. Quelli che parlavano delle piante facevano meno fatturato, come quelli che parlavano di storia. Per i maschi andavano anche argomenti tipo armi e corazze o navi e navigatori. Per le bambine: niente. A scriverli erano solitamente chiamati bravi insegnanti in pensione. Gli illustratori si industriavano a fare fotomontaggi e a colorarli. In laboratorio venivano fatte tutte le impaginazioni con forbici, colla, eccetera: dal primo menabò provvisoriamente imbastito a quello definitivo, che portava in gabbia tutte le indicazioni per il trasportatore.

IN SARTORIA

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I libri di Gianni Rodari, che allora cominciavano a diffondersi, venivano voracemente letti prima di tutto dagli addetti ai lavori e dai genitori. Dei disegni di Munari nell’edizione Einaudi non si parlava molto e suscitavano comunque diffidenza. Anche in me. Ai bambini piccoli si davano da leggere solo fiabe classiche, e anche di queste c’erano edizioni da 8 - 12 - 16 - 24 - 48 pagine, risguardi compresi. Le illustrazioni erano quasi sempre “leggiadre”. Che la copertina cartonata e la sovraccoperta possano essere anche un espediente per aumentare il fatturato, fu per me una scoperta assolutamente imprevedibile. Ai bambini piccolissimi non si pensava proprio e i pochi libri di solo cartone, detti cartonati, venivano prodotti quasi esclusivamente in Olanda; leporello, anzi, Leporello: da Mozart, sono quelli che si aprono a fisarmonica. C’erano poi gli “albi da dipingere”. Anche Mondadori ne pubblicava a tonnellate e venivano venduti soprattutto nelle edicole. Molti di questi albi contenevano solo disegni al tratto piuttosto tristanzuoli che dovevano essere colorati dai bambini coi pastelli. Alcuni disegni erano su fogli quadrettati. A volte era previsto l’uso di forbici e coccoina. A volte c’erano anche dei giochi: in gergo, albi attivi. Alcuni albi erano molto belli, ma non era dato sapere chi ne fosse l’autore. L’idea era questa: da un foglio di carta da stampa (allora detta uso mano) in formato cm 71x101 si può ricavare un albo di 24 pagine in formato cm 24x22 da vendere a lire X. Chi riusciva a venderlo a X meno 1 perché aveva una distribuzione più capillare o meno costosa, vinceva. È sempre stato così e su questo terreno si sono combattute molte battaglie con feriti e anche qualche morto. Ma di tanto in tanto capitava che uscisse un libro bellissimo: un miracolo. L’esperienza fatta in AMZ, dove rimasi fino al ’78, fu determinante per la mia professione. E anche per la mia vita. Erano anni in cui spirava un’aria che sapeva di belle primavere e Milano era una città molto viva.

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Siamo stati colleghi in AMZ, dove ha lavorato presso l’ufficio tecnico fino al 1985, dopo aver frequentato un corso di grafica pubblicitaria all’accademia di Brera. Riuscii a convincerlo che valeva la pena provare a metter su bottega, e il ragazzo che ho visto una sera giocare a cavallina in Piazza Maggiore a Bologna è poi molto cambiato negli anni. Napoletano di origine, è quello che si dice “un grande lavoratore”, e istintivamente sceglie la sedia più importante quando ci si siede intorno a un tavolo. Gli piacciono le belle automobili ed è molto riservato. Quando diventammo soci della Cartotecnica Montebello, si buttò nell’impresa con autorità e autorevolezza e fece sentire subito positivamente il peso della sua presenza. Dopo aver guadato passi rischiosi, nel 1989 fu portata a termine la costruzione dello stabilimento di Sarego, che è un fiore all’occhiello sulla giacca di Mimmo. Il prodotto libro ha pochi segreti per lui e la sua familiarità con tirature, avviamenti, moltiplicatori, cilindri, risme, redemptions, coefficienti, break even, mettifogli e altre stregonerie del genere è sorprendente.

DOMENICO CAPUTO detto MIMMO

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Giorgio Vanetti è di Varese e ha cominciato a occuparsi di pubblicità negli anni sessanta. Autodidatta, condivideva lo studio con un amico, Carlo, figlio di quell’Italo Giovanni Mattoni che fu uno degli illustratori delle fortunatissime figurine Liebig. Sbarcare il lunario era un problema non facilissimo da risolvere anche in quegli anni per un giovane agli esordi, ma si confermò un’ottima palestra per la mente. I due grafici progettavano: biglietti di auguri, manifesti pubblicitari, marchi aziendali, scatole e confezioni in genere e anche, perché no, libri e albi con giochi per bambini. Fu così che, in occasione della locale fiera del pollo, Giorgio progettò un manifesto dedicato alle galline ovaiole. Nel manifesto, l’uovo espulso dalla gallina era un foro, dalla perfetta forma d’uovo. Intanto però, con la AMZ editrice di Milano, aveva pubblicato alcune serie di albi e nel 1968 anche i bellissimi Grandi cicli della natura, libretti di cartone a pagine continue che raccontavano ai bambini il ciclo dell’acqua, del seme, delle stagioni: la vita, insomma. Giocando - come di consueto - con l’idea della pagina bucata, Giorgio realizzò il primo prototipo de Il gufo...e gli altri che propose ad AMZ, a Sorgente, a Emme edizioni, a Bruno Munari. Ne ricavò più di un complimento, il suggerimento di realizzare subito altri soggetti, ma anche la certezza che si trattava di prodotti troppo fuori dal coro e pertanto poco appetibili. Anche il marchio della casa editrice è suo: chiaro e leggibile. Ha lavorato negli uffici di Varese fino al 1986.

GIORGIO VANETTI o LA GALLINA DALLE UOVA D’ORO

buco

progetto del poster

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Mentre illustra le sue ipotesi finanziarie, fa tabelle numeriche chiare da capire e belle da vedere: è un’artista dei numeri e della finanza, della quale parla come di un progetto etico possibile. Nel Vangelo secondo Franco sta scritto che il denaro non è mai vile; vili sono se mai le intenzioni con cui viene male usato; sta scritto che il conto economico è solo un metro per misurare la validità di un’iniziativa. È un passionale che non si innamora delle aziende, ma del perseguimento dei risultati. Dice che un bilancio veritiero è come il corpo umano e rappresenta con i numeri la salute dell’azienda. Fa queste affermazioni con tale innocente convinzione che, mentre lo ascolto, dentro di me si insinuano dubbi sottili e perversi: “Vuoi vedere che Marx ha sbagliato tutto e che Max Weber ha veramente ragione?”. Franco è controller di una grande società di Varese, prestato a metà tempo all’industria editoriale che non lo affascina, ma che sa amministrare. Parla la lingua dei bilanci e sa dire quando e come fare un investimento, anche di idee. Accettò con difficoltà l’anomalia del reso librario e il fatto che in Italia sono gli editori che si assumono il rischio finanziario della distribuzione. È nato a Sant’Ambrogio di Varese: un suo compagno di scuola è ora il suo commercialista di fiducia. Dopo la scrivania, il suo ambiente naturale è la montagna.

FRANCO CANGI CHE SA FAR QUADRARE I CONTI

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È la moglie di Franco Cangi e si occupa delle vendite all’estero: International Rights Executive. La loro casa di Barasso (Via del Colle, 16) è stata per i primi anni la sede della casa editrice. Uscita da un’esperienza difficile che aveva messo a rischio la sua capacità motoria, Giuliana colse al volo la proposta fattale dal marito di occuparsi del mercato estero, anche per ritrovare la voglia di vivere. Aveva già fatto l’interprete ed è l’unica fra i soci che si destreggia con disinvoltura fra le lingue straniere. Ai coeditori si propone più come amica che come fornitrice: li invita a casa sua (è un’ottima cuoca) e va con loro in vacanza mentre parla di CIF, di FOB e di lettere di credito. Così ha fatto con il tedesco Hans Fischer, con Micheline Bertrand, con Doris Duenewald della Western Publishing, con la greca Lia Evangelis della Margarita e con altri. Ha dovuto prendere atto della specificità dei mercati e dei vezzi dei clienti, compreso il puritanesimo sessuofobico degli americani. Ha dovuto spesso fare i conti con la presunzione degli uffici acquisti, soprattutto d’oltreoceano: “Che cosa è la lira? Uno strumento musicale?”. Ma Giuliana sorride, offre un dolce e fa firmare un contratto.

GIULIANA CRESPI o DELLA VITALITA’

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Nella pagina precedente: Brucoverde nella versione definitiva. Immagine/manifesto della casa editrice, curiosamente non è però il titolo che ha avuto la tiratura maggiore. A fianco: Il primo progetto dei libri sottoposti da Giorgio Vanetti a molti editori. Sotto: Il gufo‌e gli altri. Come si vede, la prima edizione aveva la spirale metallica con i due dentini esterni sporgenti e gli angoli a punta. Queste imperfezioni, pericolose per i bambini, furono eliminate nelle produzioni successive. Il prezzo di copertina era di L. 5.000.


Il 1976 fu anno di incontri più che frequenti, di progetti molteplici, di dubbi ansiogeni, di ansie da incertezza, di calcoli, conti, previsioni: ogni ritaglio di tempo era occasione per pensare e ripensare, per vedersi e discutere. Capitali: zero. Per campare ognuno di noi doveva mantenere il proprio rapporto di lavoro dipendente. Giorgio, Mimmo e io avevamo messo a fuoco due linee editoriali e strategiche: una collana di sei albi dal titolo Giochiamo a fare sulla quale riponevamo le nostre aspettative commerciali. I cosiddetti albi attivi avevano sempre avuto mercato facile. C’erano poi I libri coi buchi, che Giorgio aveva già ideato, che ci stuzzicavano per la loro eterodossia e sui quali c’era ancora molto da lavorare. Portammo i menabò delle due collane alla Fiera del libro per ragazzi di Bologna del 1977 e decidemmo di stampare tutto ad ottobre: 35.000 copie su sei albi e 1.000 copie ciascuno di Brucoverde e di Il gufo…e gli altri. L’atto costitutivo della società “La Coccinella editrice snc” è del dicembre 1977. Il notaio ci espresse le sue scoraggianti perplessità: cinque soci sono troppi e troppi soci pregiudicano il buon esito di un’impresa. Ma i notai non sanno che la speranza è un rischio da correre e che euforia e professionalità, a braccetto, possono fare molta strada insieme.

La prima carta intestata: l'indirizzo è quello di casa mia.

GESTAZIONE

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Giochiamo a fare. 6 albi da comporre e scomporre, da colorare e disegnare, da ritagliare e incollare, da completare. Formato cm 24x22. 16 pagine stampate a quattro colori su carta uso mano. Copertina in cartoncino verniciato e legatura a punto metallico. Il prezzo di copertina era di L. 500.

Il marchio della casa editrice era sempre posto nell'angolo in alto a destra. Questi albi venivano venduti nelle cartolerie e nelle edicole.

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Per la distribuzione ci rivolgemmo ad alcune agenzie regionali, le cosiddette plurimandatarie, e in particolare alla professionalità collaudata dell’Agenzia Libraria di Augusto Belloni, che ci prese in carico più per amicizia e per scommessa che per fiducia nella qualità dei prodotti. Fu proprio lui che, con voce stupita e complice, ai primi di dicembre del 1977 mi comunicò al telefono: “Si muovono”: voleva dire che I libri coi buchi – accolti in conto deposito e senza convinzione da pochi librai – non stagnavano sui banchi delle librerie. Gli albi, invece, sui quali contavamo tanto, erano desolatamente fermi negli scaffali dei cartolai. Alla Fiera del Libro di Francoforte del 1978, un calvissimo signore di nome Hans Fischer, titolare della Boje Verlag di Stoccarda, acquisì Eine kleine Raupe: 3.000 copie. Boje significa “galleggiante” e noi eravamo salvi. Il solido marco ci dava sicurezza e potevamo realizzare un terzo titolo: Alla ricerca del nido. Alla Fiera di Francoforte del 1979 l’editore francese Nathan acquisì Un petit trou dans une pomme e Hiboux, poissons, souris et Cie. Ebbrezza da champagne! Intanto Giorgio si era momentaneamente ammutinato dicendo che non ne poteva più di pensare solo a cose da bucare. Fu così che andai a trovare un vecchio amico: Carlo Alberto Michelini, detto Miche, e con lui facemmo Le ruote corrono e Contiamo insieme. Felice decisione. Con Miche si è consolidato un rapporto di complicità e di intesa che ha dato nel tempo risultati importanti per la casa editrice. Abbiamo sempre lavorato bene insieme ed è a lui – modenese e ferrarista accanito – che penso quando parlo dell’infanzia che rimane dentro pur nell’accumularsi degli anni.

Il primo dépliant: stampato qualche mese dopo la prima carta intestata, porta l'indirizzo di casa di Franco e Giuliana.

I PRIMI PASSI

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Alla ricerca del nido, terzo titolo della collana. La forma del buco, più interessante e complessa di quella dei due titoli precedenti, fu utilizzata anche per Buchi nell'acqua e Una nuvola (collana Buchevoli). La complessità della forma del buco non fu però apprezzata dai piccolissimi lettori che preferirono buchi concentrici con forme regolari e immediatamente leggibili.

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Contiamo insieme. Sul colore verde di questa copertina e di quella de Il gufo…e gli altri furono sibilate pesanti battute critiche da parte di esperti che sostenevano: “Il verde non vende!” insieme ad altre cose che non scrivo.


Contiamo insieme – in copertina rana verde che strizza l’occhio – è stato il titolo di maggiore successo della collana. Uscito in Italia nell’ottobre del 1978, ha attraversato subito gli oceani verso Argentina, Australia e U.S.A. Passo il Natale del ’78 in tranquilla incoscienza: ho appena dato le dimissioni dalla AMZ e sono senza lavoro retribuito, sicura che valga la pena di dedicare energia solo alla nuova casa editrice. Per campare conto sull’aiuto concreto di alcuni fidi amici e faccio molti piccoli lavori, compreso fabbricare in casa e a mano giocattoli di legno e cogestire d’estate un campeggio, in Calabria. Anni di montagne russe: esaltazione e incoscienza, rischi e angoscia. Molte rinunce quotidiane: un solo paio di jeans da lavare la sera e stirare la mattina. Niente cinema. Nemmeno libri. Pane e mortadella, di Bologna. Nel 1980 esce la collana Gioca e scopri, con fustellatura perimetrale. A questo punto eravamo una vera casa editrice. Intanto avevo cominciato a capire alcune cose a proposito del mestiere che stavo facendo e che mi piaceva tantissimo. Sulla scena del mercato: • che le cartolerie – fino ad allora punto di riferimento per la vendita di libri per bambini – stavano esaurendo la loro funzione, soppiantate dalle librerie, specializzate e non, che cominciavano a dedicare a quella nicchia di mercato uno spazio, non solo prenatalizio, che si apriva a scelte alternative e nuove. • Che il cartonato – uscendo dalla cartolibreria – aveva bisogno di essere svecchiato e rinnovato per adeguarsi al nuovo pubblico delle librerie. • Che la fascia di età prescelta – quella del bambino in età prescolare – era anche quella che aveva più vuoti nella gamma delle proposte editoriali, tutte standardizzate e monotone, ed era invece quella più sicura perché meno soggetta alle nefande leggi del best seller. • Che calmierare il prezzo di copertina sortiva ben due effetti importanti: cioè quello di scoraggiare i concorrenti e quello di allargare la fascia di utenza. Vale a dire, libri belli anche per chi non ha molti soldi da spendere. • Che l’alta tecnologia cartotecnica – per altro ampiamente sfruttata in altri settori – non era mai stata applicata all’editoria per bambini.

MERCATO E NASOMETRO

Avevo costituito una società di sopravvivenza con un amico: io facevo in casa queste paperelle di legno che lui vendeva per le strade e nelle fiere. Ci siamo mantenuti così per molto tempo. Ora Ugo Giambarella vive a Cambridge (USA) e lavora presso un laboratorio della facoltà di biologia di quell'università.

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Non c’era bisogno di andare in Colombia o a Singapore a fare a mano complicatissimi pop-up; in Italia si potevano confezionare, con le macchine, cose molto interessanti e nuove. • Che il libro per bambini – anche come oggetto – doveva rispettare di più i suoi lettori che, almeno fino agli anni ’80, non erano mai stati presi sul serio. Un’altra cosa che andavo scoprendo era che cosa volesse dire far libri per bambini piccolissimi. Un giorno, ero a La libreria dei ragazzi, quando entrò una mamma con la sua creatura di pochi anni. Mentre la mamma si intratteneva a parlare con Roberto Denti, il piccolo sgattaiolò verso gli scaffali con tanti libri in bella mostra, compresi i primi due titoli de I libri coi buchi e infilò immediatamente il ditino nel buco della mela. Quel gesto mi folgorò. Per me è stata la prima e la più importante ricerca di mercato compiuta sul campo. Nel nostro gruppo di lavoro, infatti, non c’è stato un pedagogista che dicesse: “I bambini percepiscono così, i bambini hanno bisogno di questo, i bambini hanno difficoltà a fare quello”. Sono cose, queste, che ho imparato dopo, un po’ per volta, guardando come i bambini maneggiano i libri e ascoltando alcuni preziosi consigli di maestre, librai e bibliotecari. Fu una scoperta continua e credo che proprio questo piacere, questa voglia di capire – che è come la fame che viene saziata quanto basta per tornare sempre – sia stata l’energia pulita di quei primi anni. Gioca e scopri. La prima rilegatura di questa collana era con bindella (o nastro di cotone) sulla costa. Fu Giuseppe Lanzarin, conosciuto nel 1983, a realizzare la costa di cartone e a fustellare le pagine con una macchina da lui messa a punto che abbassava notevolmente i costi di produzione iniziali.

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Stavo imparando a fare il mestiere di editore. Quando provo a definire ora questo mestiere, per natura ambiguo, mi prende quella stessa sensazione di vertigine che provo quando sono chiamata a parlare in pubblico: non so da che parte cominciare. Eppure, mentre lo stavo facendo, tutto mi sembrava abbastanza semplice, anche grazie a quella strana e preziosa fiducia che prende quando sembra di aver capito qualcosa, di essere approdati a una buona intuizione. Quando - partendo da curiosità personali sembra di aver catturato un’idea efficace, che esprime esigenze, sollecitazioni e aspettative che sono nell’aria. Questo stato d’animo precede la pratica. So comunque che fare l’editore, per me, ha anche voluto dire lavorare con altri e comunicare con loro. Il mio primo compagno di chiacchiere è stato Carlo Alberto Michelini. Lui faceva allora bellissimi fumetti a tempera, pubblicati sul Corriere dei Piccoli, e insegnava educazione artistica in una scuola media alla periferia di Milano. Tiravamo tardi parlando di scuola, di ragazzi e di arte rinascimentale. Quando tornavo da una cena a casa sua, ero un po’ soprappensiero, e spesso sbagliavo strada. Miche è un progettista nato. Alla Fiera di Bologna del 1980, mi si avvicinò una gentile e garbata signora: Elve Fortis de Hieronymis. Aveva i cassetti pieni di progetti; alcuni sono stati elaborati da Giorgio e hanno dato vita a collane nuove: Così-cosà e Tira-tira, per esempio. Elve sapeva pensare con le mani e fare poesia con dei pezzetti di carta. Giulia Orecchia pubblicò il suo primo libro nel 1983: Cinque topini. Era un pop-up. C’è sempre un racconto a latere nelle sue illustrazioni, nei dettagli in cui esprime una tenera e sottile vis comica. Ne diede prova anche con i Libromano e i Libropiede. Mario Gomboli è molto versatile: sa scrivere, disegnare, progettare, sceneggiare e molto altro. Suo capolavoro di abilità mentale è stato Animalfabeto: scelta di animali da illustrare coi nomi indicati nelle rispettive lingue e possibilità di sostituzione delle fustelle. Non fece nemmeno un errore. Avevo visto i disegni di Nicoletta Costa pubblicati su un albo dell’editore Chiandetti di Reana del Roiale, in provincia di Udine.

IL MESTIERE DI EDITORE

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Il mio ritratto fatto da Nicoletta Costa.

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Fu accolta con riserva dai miei soci perché faceva mani con quattro dita e montagne senza prospettiva. Ha una vitalità generosa e ironica e a volte – essendo lei triestina – ci incontravamo per lavorare alla stazione di Padova. Mi telefonava e mi scriveva: “Cara Loredana, sto Tuttofacendo…”. Che è di gran lunga il lavoro nel quale si è espressa al meglio. Tiziano Sclavi si lamentava per gli esigui compensi: “Lei vuole che scriva rime divertenti, chiare e caso mai anche un po’ di sinistra, per quello che mi dà!”. Paola Panizon, anzi Paola Rodari, mi intimoriva per via del cognome che porta; e Giusi Quarenghi percorre e ripercorre a piedi i sentieri della valle della sua infanzia, tutte le volte scoprendo o riscoprendo viottoli e passaggi nuovi, come si fa quando si cercano dentro di sé le storie da raccontare. Con queste e con alcune altre intelligenze e sensibilità continuo ancora a chiacchierare, anche quando sono da sola. Fu necessario tuttavia operare delle scelte nella ricerca degli autori: mi andavo rendendo conto, infatti, che la stampa delle illustrazioni su cartone prevede una sintassi illustrativa diversa da quella della stampa su carta e che pertanto non tutti gli stili sono adatti a questo tipo di supporto. Quanto agli scrittori, furono fermamente scoraggiate proposte con la rima fra pulcini e micini. Questi incontri mi consolavano rispetto alle non poche difficoltà pratiche e finanziarie che intanto sopravvenivano. Dovetti provare su di me che muoversi nell’ambito dell’industria della cultura vuol dire anche mescolarsi con problemi finanziari importanti, che nel nostro caso erano derivati dalla totale assenza di capitali iniziali. A questo supplirono le banche: dissanguandoci fino all’ultima goccia per troppo tempo. Il costo che tutto questo comportò, rischiò più volte di mettere in crisi la nostra piccola e coraggiosa impresa e i batticuore non furono pochi. C’era anche bisogno di lucidità, forza d’animo e nervi saldi e questo non me lo ero immaginato, prima. Mi sentivo un cavaliere con più di una macchia e molta paura.


Stella Stellina (collana I Libri coi buchi). Antonella Abbatiello, che lo ha illustrato, ha avuto due grandi maestri: Toti Scialoja e Lele Luzzati.

Come funziona il nostro cervello? (collana Buchi per guardare dentro le cose). Illustrazioni di Nicoletta Costa e testi di Paola Panizon che sono amiche e abitano a Trieste.

Il libro Razzo (collana I libri da appendere) pubblicato nel 1989. Le progettiste sono Giulia Orecchia e Giusi Quarenghi.

Mario Gomboli mandò dall'Egitto questo divertente geroglifico, e dopo poco comparve col progetto della seconda serie della collana Giocaditino.


Trulla in volo (collana Buchevoli). Le illustrazioni sono di Nadia Pazzaglia che - dopo Carlo Alberto Michelini - è stata la prima illustratrice esterna alla casa editrice: Buchi nell'acqua è del 1981. I testi del pieghevole sono di Roberto Piumini che, già molto famoso, cominciò a collaborare nel 1988.

La camera ottica (collana La Coccinella va a scuola). Illustrazioni di Federico Maggioni. Maggioni ha un umorismo corrosivo e una grande cultura grafica. Come Michelini, Sclavi ed Elve Fortis, faceva parte del vivaio del Corriere dei Piccoli.

Casa mia, casa mia (collana Tuttotondo). Le illustrazioni sono di Giuseppe Laganà che per la casa editrice aveva già realizzato Il pianeta Putipù. Molto noto nell'ambito dell'animazione, è un brillantissimo colorista.


Disegno di Tiziano Sclavi: lo fece mentre mi descriveva le capacità del computer appena acquistato, il primo che vedevo all’opera. Sclavi scrisse Giornata di sole (collana Gioca e scopri) quando lavorava ancora al Corriere dei Piccoli.

Libropiede. Dopo i Libromano, nel 1990 fu realizzata questa collana con illustrazioni di Giulia Orecchia e testi di Giovanna Mantegazza. Giovanna Mantegazza svolgeva inizialmente in casa editrice mansioni di segreteria. Manifestò subito però sensibilità per la scrittura e una grande abilità nella composizione in rima. I Libropiede rappresentano uno dei suoi lavori migliori.

Tavola inedita di Elve Fortis de Hieronymis. Riguarda un libro che con rammarico di entrambe - non riuscimmo a realizzare perché troppo complesso nei contenuti. Elve Fortis, scomparsa nel 1992, oltre che grande illustratrice e teorica della creatività che parte dai materiali d'uso comune, era anche scrittrice.


Cosa fa l'orso Meo? (collana Gioca e scopri). Illustrazioni di Anna Curti. La Curti ha esordito in casa editrice nel 1980 proprio con questo fortunato titolo.

Scuola materna (collana Tuttotondo). Illustrazioni di Maria Grazia Boldorini. Con questa illustratrice furono realizzati anche i nove libretti della serie Io e‌

In autostop (collana Buchevoli). Conoscevo Nella Bosnia, che lo ha illustrato, dai tempi della bella avventura editoriale chiamata Dalla parte delle bambine.

Il pallottoliere (collana La Coccinella va a scuola). Illustrazioni e testi di Luca Novelli. La notevole preparazione scientifica di Novelli in molti ambiti si esprime anche con una invidiabile chiarezza espositiva.

Chi fa miao? (collana C'è sotto qualcosa). Illustrazioni di Tiziana Zanetti. Come molti altri suoi colleghi, la Zanetti lavorava soprattutto in ambito pubblicitario.


La creatura comunque cresceva che era un amore e con una personalità forte – cosa che a volte creava qualche problema – ma io le volevo bene. Era una bella avventura e una scoperta che vivevo un po’ di nascosto, come quella della lettura in gioventù: ore di lettura clandestina sotto le coperte, e nessuno doveva sapere quanto mi piacesse e mi mettesse le ali. Catturata dall’aria del tempo, stavo ribellandomi a una delle due grandi maledizioni lanciate alla cacciata dal paradiso terrestre: “Ti guadagnerai il pane col sudore della fronte”. Il sudore c’era, eccome, ma la sensazione che lasciava, questo sudore, non era sgradevole. Anzi, era come se, oltre ai pori, mi dilatasse la vita. Una fitta rete di connessioni si intrecciava fra quello che avevo osservato e imparato in tanti anni di frequentazione coi libri e quello che venivo realizzando per la casa editrice. Mentre facevo, mi passava la paura di non saper fare e mi si chiarivano alcune regolette, non scritte, per fare libri a misura di bambino. La prima. Il cartone è di gran lunga il materiale ideale per i libri destinati ai bambini piccoli, perché col suo spessore non penalizza le loro mani ancora inesperte ed evita di trasformare lo sforzo in fatica frustrante. La seconda. La copertina, manifesto del libro, non deve celarlo. Deve invece incuriosire il lettore che cerca e lasciargli intuire il tesoro: per averlo basta allungare la mano, aprire e girare la pagina, le pagine. È una seduzione che la vista di un libro eserciterà forse per sempre. La terza. Toh! Chi l’avrebbe mai detto? Girare pagina vuol dire far succedere qualcosa. Girare pagina è una curiosità che va sempre premiata con una sorpresa. La quarta. Il bianco è il luogo delle possibilità. Le immagini campite sul bianco sono più leggibili. Il bianco fa silenzio intorno e permette all’attenzione di concentrarsi sull’immagine e su quello che racconta. La quinta. Perché i buchi - le fustellature del cartone - che rendono il libro simile a un oggetto, a una scultura, creano tanta complicità fra libro e lettore? È perché hanno un effetto ipnotico? È perché sono come gallerie in cui entrare e scappar fuori? È perché i buchi sono vuoti da riempire? Perché sono un mistero come la pancia della

SETTE REGOLETTE NON SCRITTE

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mamma? Ecco perché i buchi funzionano nei libri per bambini: perché reggono e sostengono tante domande. E in ogni caso funzionano soprattutto se vengono proposti al lettore come un codice informativo preciso, né casuale né generico. La sesta. Ci sono fatiche che valgono davvero la pena. Rilegato con la spirale, il libro sta sempre perfettamente aperto, cosa della quale il lettore piccolo ha un gran bisogno. Non fu semplice far accettare a librai e bibliotecari un’alternativa al dorso tradizionale, col titolo stampato sulla costa. Ma alla fine, questo elemento così atipico è diventato quello di più immediata riconoscibilità: negli scaffali, a prendere un libro-gioco, si va con mano sicura, anche da parte dei bambini. La settima. Imboccata la strada del libro-gioco, articolare la ricerca solo su questo e trattare il bambino come un lettore vero e proprio, diversificando il più possibile le proposte: che gli permettano di avvistare nuovi orizzonti, che lo incoraggino ad uscire allo scoperto, che lo facciano crescere, insomma. Come dovrebbero fare insieme natura e cultura.

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Chiesi ad Emanuela Bussolati di venire a lavorare in casa editrice quando - dopo la cessione delle quote di maggioranza alla RCS la produzione dei titoli era aumentata e c'era bisogno di nuove menti creative. Emanuela Bussolati era già nota come illustratrice ed era direttore editoriale presso la casa editrice Piccoli. Anche rassicurata dalla sua presenza, dopo pochi mesi maturai la decisione di lasciare via Belfiore.

Schizzi di Carlo Alberto Michelini per il titolo Metti il dito della collana Giocaditino. Qui le dita del bambino interagiscono con le immagini del libro e le animano: nell'ultima pagina, per esempio, si infila il pollice per ciucciarlo.

Indicazioni tecniche per il fotolitista.


La prima fiera del libro della mia vita è stata quella di Bologna nel 1969. Eravamo entrambe agli esordi professionali, ma lei poteva permettersi il duecentesco palazzo di re Enzo. Dieci anni dopo, nella sede di via Stalingrado, raccolsi anch’io i miei primi successi di espositore. Nell’81 poi, mi trovavo per caso da sola nello stand, quando arrivò in forza lo staff della Larousse: esaminarono con attenzione tutti i libri in mostra, poi, con molti sorrisi e parole alate, mi espressero sincera ammirazione. Io guardavo le loro labbra muoversi e le orecchie mi ronzavano. Come il sarto di manzoniana memoria, non seppi dire altro che un impacciato merci e mi ritirai dietro le quinte, a sedermi. Raggiungere Francoforte in auto era una fatica e, passeggiando la sera dopo la prima messe, andai a sbirciare dentro il Frankfurter Hof: mi era stato detto che alloggiavano in quell’albergo figure per me mitiche, da Umberto Eco a Inge Feltrinelli. Fu a Francoforte che proprio un olandese, Mullder, sollevò l’obiezione che per lui i nostri costi di produzione erano troppo alti. Decidemmo allora di realizzare un’edizione economica prima de I libri coi buchi e poi di Gioca e scopri, stampando su cartone da 500 grammi. Con questa soluzione acquisimmo i mercati d’oltreoceano, dall’Australia agli Stati Uniti. Daniele da Volterra è passato alla storia col nome di Braghettone perché gli toccò l’ingrato compito di coprire le nudità della Cappella Sistina: effetti della Controriforma. Mentre a Roma si provvedeva al restauro del capolavoro michelangiolesco, il coeditore americano Grosset & Dunlap ci chiese di coprire con foglie i nudi dei due bambini della copertina del libro Come siamo fatti e di cambiare una scena nell’interno. Questo costume americano perdura in pieno secolo XXI e la rappresentazione del corpo umano è sempre mutila. Perfino l’allattamento dei bambini è previsto solo col biberon. A Mosca, in piena perestrojka, alloggiavo nel bellissimo hotel Cosmos, costruito in occasione delle Olimpiadi del 1980. Alla fiera quando, fra tante scritte in cirillico, riuscii a compitare il nome La Coccinella - sbattei di colpo la portiera della macchina, con dentro l’altra mano, però. Capita. “I libri si fanno coi libri”, mi diceva Mario Faustinelli, mio primo

FIERE

Catalogo della Fiera di Bologna del 1979 - anno internazionale del bambino - con la dichiarazione dei diritti del bambino. La copertina è di Yutaka Sugita.

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Mosca per te. Questa guida della città fu prodotta per conto di un gruppo editoriale moscovita sulla struttura dei Buchi per guardare dentro le cose.

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Come siamo fatti (collana Buchi per guardare dentro le cose). Confronto fra due pagine del libro che parlano dell'apparato riproduttivo. La versione americana è anche purgata nel testo.

maestro in redazione. Le citazioni, infatti, sia esplicite che non, servono anche a trasmettere ai lettori il percorso che si è compiuto. Quando però, dall’82 in avanti, vidi il mercato inondato di scopiazzature mal riuscite de I libri coi buchi e di Gioca e scopri, mi scoppiò la bile. Mi disintossicai solo pensando che c’è ancora chi conosce e apprezza la differenza fra originale e imitazione. Anche fra gli editori ci sono quelli fatti solo di occhi e di calcoli, in base ai quali trivellano il pozzo petrolifero dell’infanzia per ricavarne prodotti più o meno adeguati. Nelle fiere internazionali può capitare di venir colti, a un certo punto, dal dubbio di essere già passati in quel padiglione e di aver già visto quei libri. Queste fiere lasciano solo un grande senso di stanchezza e trasformano in paralisi il formicolio alle mani dato dal gusto di inventare. Credo che i libri, come gli amici, vadano scelti senza pensare agli utili che daranno. Sono questi i libri che formano il catalogo, vero patrimonio delle case editrici perché, come i veri amici, i buoni libri restano ed è così che daranno anche degli utili. A cambiare sono le generazioni dei loro lettori.


Vale anche per La Coccinella. Un libraio di Bergamo, che ero andata a trovare dopo l’uscita dei primi titoli, non voleva credere al made in Italy de I libri coi buchi e, quando glielo dimostrai, rimase deluso. Date le difficoltà tecniche dei progetti, i coeditori dovettero accettare di acquisire non i diritti per stampare i libri nei rispettivi paesi, ma i libri stessi già confezionati. Un intenso traffico di spedizioni permise di raggiungere un milione di copie de I libri coi buchi già nel 1983 e 17 coedizioni nei primi dieci anni, mentre tutte le altre collane seguivano a breve giro. Dall’Italia, il libro-gioco si è diffuso nel mondo. Questi successi sul mercato internazionale ora mi sembrano molto importanti, ma allora mi sembravano, come dire?, connaturati al lavoro che stavo facendo: solo un mezzo per avvistare nuovi orizzonti, cioè nuovi libri. Non mi rendevo conto che stavo ragionando per continenti, come i conquistatori. Oggi so che la parola mercato, anche quando riguarda la cultura, puzza un po’ di omologazione e mi sento colta in fallo.

Qui di fianco e nella pagina seguente le coedizioni del primo titolo della collana Buchi per guardare dentro le cose. Oltre agli editori statunitensi, anche altri coeditori - di paesi e culture diverse - optarono per la copertina casta.

NEMO PROPHETA IN PATRIA

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Alla fine degli anni settanta i più bei libri per bambini erano usciti quasi tutti: Favole al telefono, Piccolo blu e piccolo giallo, Nella nebbia di Milano, Il palloncino rosso, Sembra questo sembra quello, Flicts, Cion Cion Blu e, dopo gli apripista Gianna e Roberto Denti a Milano, da Aosta alla Sicilia erano fiorite una quindicina di librerie specializzate pronte ad accogliere anche I libri coi buchi. Col suo lavoro concreto di promotore della lettura, Roberto Denti ha provato da allora a non far arrossire il nostro Paese rispetto al resto d’Europa. C’erano poi le Città del Sole e i Centri didattici che andavo a visitare in viaggio di piacere, perché anche per questi sognatori i libri per bambini non sono solo una merce. È nelle librerie specializzate che gli editori grossi hanno più difficoltà a fronteggiare la guerriglia dei piccoli ed è in queste che i piccoli si illudono di avere spazio sul mercato. Anche gli insegnanti hanno così punti di rifornimento e di riferimento in cui entrare, guardare, informarsi. È stato in libreria, infatti, prima che nelle scuole, che ho conosciuto degli insegnanti. Quanto alle ricerche di mercato, di cui cominciava a servirsi anche l’editoria per ragazzi, rilevavano l’incremento del numero di lettori giovani, senza però fare alcuna distinzione fra la fascia di età prescolare – cioè quella interessata dai libri-gioco – e quella dei lettori di parole, diffondendo così dati statistici da questo punto di vista poco attendibili e pertanto scarsamente utili a una chiara comprensione del vero andamento del mercato. Ci sono maestre che fanno richieste imbarazzanti: “Guardi che bel libro ho fatto con i miei bambini: perché non lo pubblica?”. Ma ci sono anche maestre che – utilizzando in classe i libri-gioco – ne scoprirono le possibilità intrinseche che sono quelle di rendere i bambini attivi nei confronti dei libri e di avvicinarli prima al bisogno dei medesimi. Sono queste maestre che non hanno temuto di usare i libri in maniera impropria e più creativa, togliendo loro la spirale e utilizzandoli come maschere o come schede diversamente riorganizzabili. Ci sono state anche maestre in grado di dare risposte alla domanda: “Di che cosa avete bisogno?”. Quando Miranda Sacchi dice: “Biblioteche di pubblica lettura” ha nella voce un tono che apre alla mente nuovi orizzonti. C’è dietro il servizio reso ai cittadini; c’è la catalogazione dei libri per il prestito;

LIBRERIE SCUOLE MATERNE BIBLIOTECHE

Marchi delle più importanti librerie per ragazzi operanti in Italia: La libreria dei ragazzi di Milano, aperta nel 1973; quella di Torino, aperta l’anno dopo; quella di Bologna, nata nel 1984.

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Regalo di Laura, in occasione della visita a una classe. Parlare con le maestre e osservare i bambini mentre usano i libri è stato un utile apprendistato.

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Millelibri: lodevole pubblicazione promossa dalla Provincia di Milano a partire dal 1981. Le edizioni de La Coccinella vennero segnalate fin dal primo numero.

c’è il silenzio ordinato e vivo delle sale; c’è il fatto che lettori non si nasce, lettori si diventa. All’inizio degli anni ottanta non tutte le biblioteche di pubblica lettura erano aperte ai ragazzi. Quasi nessuna era aperta ai bambini. Per i libri-gioco ci fu da risolvere il fondamentale problema della catalogazione, ma alla fine, dopo molto impegno, ne vennero a capo e anche questi sono felicemente entrati nei circuiti bibliotecari. Parlare in pubblico mi imbarazza, cosicché sono pochissimi i convegni nei quali sono stata relatore. Mi mettono ancora in ansia: il primo – a Venezia nel 1982 – e l’ultimo – a Sestri nel 1990. Entrambi erano rivolti a bibliotecari. Questo nuovo pubblico, attento e interessato, insieme a una buona strategia di programmazione e di distribuzione delle uscite, sfatarono alcune leggi di mercato che sembravano incontrovertibili: i libri per bambini non si vendevano più solo a Natale (il fatturato della casa editrice nei primi sei mesi dell’anno era pari a quello degli ultimi); le rese si erano assestate intorno al 3% del venduto. Mi capita ancora oggi di incontrare visi che mi sorridono: “Si ricorda di me? Abbiamo parlato di…”. Non mi ricordo di tutti. Percepivo però l’atmosfera di incoraggiante solidarietà che cresceva intorno alla casa editrice e al suo lavoro. L’impagabile complicità che ho letto negli occhi di molti interlocutori, spesso anonimi, non manca tuttora di stupirmi piacevolmente.

Andersen pubblicò gli atti del convegno “Leggere, istruzioni per l'uso” svoltosi a Sestri Levante dall'1 al 3 marzo 1990. L'ultimo giorno del convegno fu dedicato al tema del libro-gioco e intervenne anche Bruno Munari.


In fondo a via Meda c’era una linotipia grande e ben attrezzata. È lì che ho sentito per la prima volta il suono della linotype. Era un ticchettio lieve, come di gocce dense, prodotto da una tastiera abbastanza piccola rispetto alla robusta macchina in cui era inserita. Tutt’intorno odore e sapore di piombo fuso e le mani del linotipista lasciano tracce di nero maneggiando i fogli del dattiloscritto. Lì ho realizzato, con ammirato stupore di neofita, che - da Gutenberg in avanti - i libri si fanno con le macchine. Cinquecento anni di aristocratica tradizione. Cinquecento anni di ricerche. La stampa a caratteri mobili, dal suo nascere, non è stata frutto dell’intuizione di un solo genio, ma delle ricerche condotte nelle officine di tutta Europa. E se, dopo Manuzio e Bodoni, passando per la rivoluzione industriale, il libro, da prodotto elitario è diventato prodotto di massa, il merito della sua larga diffusione va anche ad alcuni inventori, meno celebri dell’orafo di Magonza, ma altrettanto meritevoli. Va a Friedrich König, per esempio, che intorno al 1810 creò la prima macchina da stampa, la pianocilindrica, mossa da energia motrice a vapore: basta coi muscoli, dunque. E basta con muscoli e stracci anche per Friedrich Gottlieb Keller che - trent’anni dopo - inventò la macchina produttrice della pasta di legno per fare la carta. Il merito va a un orologiaio tedesco, Ottmar Mergenthaler che, emigrato negli U.S.A., nel 1885 inventò la linotype che tanto mi ha affascinato. E va ai fratelli Levy che, qualche anno dopo, inventarono il retino quadrettato per la riproduzione delle immagini, la fotoincisione insomma, tecnica utilizzata fino all’arrivo del computer. Quando, nel 1977, dovemmo produrre i primi Libri coi buchi, grazie al consiglio di un amico esperto nella stampa del cartone, ci rivolgemmo a un laboratorio artigiano che faceva scatole. Fino ad allora infatti i cosiddetti cartonati venivano prodotti quasi solo in Olanda, che in questo campo aveva esperienza e tradizione consolidate. In Italia, invece, il cartone era utilizzato pressoché solo per gli imballaggi. Affrontammo con questo perplesso scatolaio di nome Enea il problema della realizzazione degli strani oggetti rilegati con spirale metallica che gli avevamo sottoposto. Non si trattava della

ELOGIO DELLE MACCHINE

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tradizionale stampa e piegatura a dodicesimo, tipica dell’uso della carta, ma fu necessario decidere con lui se una stessa pagina andava ripetuta dodici volte sul medesimo foglio di cartone da 500 grammi, oppure se posizionare le dodici pagine in sequenza su un unico foglio, per operare successivamente l’accoppiatura con la volta e la fustellatura. La prima tiratura di mille copie fu un’avventura, ma la soluzione di tutti i problemi - compresa la fustellatura col décalage delle pagine e l’arrotondamento degli angoli fatti da un’unica fustella - ci fu suggerita qualche anno dopo da un competentissimo e scontroso cartotecnico di nome Ambrogio Brambilla che ci aiutò a crescere professionalmente e a contenere al massimo i costi di produzione: originalità e buon prezzo vogliono dire anche pubblico assicurato e concorrenza scoraggiata. Nel 1983, ormai esperti, quando realizzammo la collana Tira-tira, ci rivolgemmo a un fabbricante di copertine per dischi: l’industria discografica del vinile stava entrando in crisi per l’avvento del CD, e gli allestitori di questo supporto avevano bisogno di riciclarsi per sopravvivere. Poiché, per alcuni aspetti, la confezione della collana aveva caratteristiche simili alle copertine dei dischi a 33 giri, quel cartotecnico modificò di buon grado le macchine fino ad allora usate e potemmo produrre così Cappuccetto Rosso e i successivi cinque titoli. Ogni collana comportò una lunga trafila di prove dai risultati non sempre scontati, ma il nostro entusiasmo curioso e divertito era talmente disarmante da vincere la resistenza e le attonite perplessità dei cartotecnici ai quali ci rivolgevamo: fu così che trasformarono empiricamente piccole macchine già esistenti e con grande inventiva misero a punto una serie di tecniche per velocizzare e rendere semimanuali prima e completamente automatizzate poi molte lavorazioni nelle quali non si erano mai imbattuti. Nel 1983 abbiamo conosciuto un uomo di grande talento, che forse aveva con le macchine lo stesso rapporto che il commendator Ferrari aveva con il suo bolide rosso. Giuseppe Lanzarin sapeva risolvere i problemi prima che gli venissero esposti perché era in grado di inventare tutte le soluzioni tecniche possibili. Dalla collaborazione con lui, poi divenuta fusione societaria, sono nate molte invenzioni. Ha realizzato fustelle continue, piegatrici, pulitrici, raccoglitrici e

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un’infinità di straordinarie attrezzature che ci permisero di mettere sul mercato libri belli e complessi, che anticipavano e scoraggiavano i concorrenti tedeschi, americani e anche italiani, nel frattempo nati come funghi, non senza veleno. Alla genialità di Giuseppe Lanzarin, oggi scomparso, e al suo entusiasmo contagioso la casa editrice deve molto, e la cartotecnica da lui fondata è ora la più importante d’Europa. Lo ringrazio per quello che mi ha insegnato, compreso il valutare i libri di cartone anche dal taglio del dorso. Ci sono collane che, dopo l’avvento dell’elettronica, sono più facili da produrre: la collana Così-cosà, nel 1985 ci diede tali grattacapi nel montaggio delle fotolito da farne ritenere quasi impossibile la realizzazione. Il suo effetto ottico funziona infatti grazie a un montaggio di immagini parallele che hanno uno scarto di dimensione di un millimetro rispetto alla griglia che le copre. Questa precisione è ora ottenibile con i computer. Oggi la linotipia di via Meda è un attrezzatissimo laboratorio di prestampa, con operatori e tastieristi in camice bianco: del piombo, per cinquecento anni sinonimo di stampa, non c’è più traccia. E i libri hanno cambiato odore. Fustellatrici, pieghincolla, foratrici, raccoglitrici, spiralatrici sono macchine semplici, tutte automatizzate, che fanno ormai parte del paesaggio quotidiano delle cartotecniche, ma sono anche grandi invenzioni in grado di realizzare quasi ogni tipo di progetto applicato all’editoria. Il progresso tecnico-scientifico ha investito a tal punto i processi produttivi da intaccare la stessa identità del prodotto libro. A volte questo pensiero mi spaventa un po’, a volte mi mette malinconia. Ma mi è stato detto che viviamo nel migliore dei mondi possibili.

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Pagine fustellate con la stessa lunghezza. Fustellatura con décalage. Collana I libri coi buchi. Foglio di stampa di Brucoverde con le indicazioni del taglio della fustella. La lunghezza delle pagine dalla 1 alla 6 è progressivamente decrescente, e dalla 7 alla 12 è crescente di 1 mm per compensare la rotondità della spirale; gli angoli sono arrotondati. È con questa fustellatura che furono eliminate costose operazioni di rilegatura.

Così-Cosà: Giochiamo a rimpiattino busta aperta

busta chiusa bianca

busta chiusa volta

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Collana Così-cosà. L'immagine degli interni è ottenuta dal montaggio di due illustrazioni a strisce di 10 mm, mentre la griglia esterna è fustellata a strisce vuote di 9 mm alternate a strisce piene di 11 mm.


Collana Tira-tira. I libri sono costituiti da quattro “cannocchiali” di tre elementi ciascuno. Poiché - secondo un detto cinese - un disegno è più chiaro di mille parole, ho provato a visualizzare la lavorazione del libro: non sarei infatti capace di spiegare in modo più comprensibile il procedimento necessario per realizzare questo rompicapo.

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Lo stabilimento della Cartotecnica Montebello SpA, ultimato nel 1989.


Una volta i libri erano di solo testo, con qualche illustrazione in bianco e nero, e la comunicazione avveniva attraverso la letteratura; anche le poche illustrazioni non erano progettate per completare la comunicazione verbale, ma solo come ornamento aggiunto. Il libro non era considerato come oggetto comunicante in sé, ma come supporto per la letteratura. Oggi invece si è finalmente scoperto che l’immagine comunica, anche il colore, le forme, il tipo di carta o cartone, la grandezza dei caratteri tipografici o la forma stessa delle lettere, e comunica anche tutta la tecnologia editoriale e cioè le fustellature, gli spessori, la rilegatura… Oggi siamo finalmente nella «comunicazione visiva» e non solo visiva ma anche tattile, termica, plurisensoriale. Cosa fa un bambino che prende in braccio un gatto? Compie un’azione che interessa tutti i suoi sensi: sente la morbidezza del pelo, sente il peso, vede il colore del gatto, sente il calore, sente la voce, l’odore… In natura queste comunicazioni sono sempre state plurisensoriali. È evidente che un bambino di fronte a un libro che gli occupa uno solo dei suoi recettori sensoriali, sia meno interessato che di fronte a un libro da toccare, manipolare, guardare, trasformare, e anche leggere quanto basta per completare l’informazione globale. Quelli della Coccinella hanno avuto il coraggio di impostare una vera casa editrice solo di libri di comunicazione visiva e tattile, hanno inventato un nuovo modo di fare libri per bambini, e non hanno bisogno di essere incoraggiati o aiutati dato che questi libri hanno grande successo anche all’estero. Libri/giocattolo, libri a sorprese visive, libri che si trasformano, libri nei quali puoi infilare le dita, libri adatti ai bambini, finalmente! BRUNO MUNARI

1987

(Dal primo catalogo ragionato, anno 1987)

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Il grande guru si era pronunciato. Da banda di guerriglieri male in arnese, eravamo diventati un manipolo di duri. Le tattiche messe a punto per conquistare il villaggio nemico avevano funzionato. Il morale era alto e il quartier generale si era insediato in via Belfiore 5 a Milano, dove c’era anche una vera redazione con un grande tavolo. Responsi astrologici preannunciavano che la collana Buchi per guardare dentro le cose, con ascendente favorevole e Mercurio ed Urano in trigono, avrebbe avuto un successo a cinque stelle. Decidemmo di festeggiare il decimo compleanno a Bologna e facemmo convenire tutti all’Osteria dei Poeti: collaboratori, amici, coeditori, agenti di vendita, librai, simpatizzanti e non so più chi. Tutti sommariamente eleganti. A tavola c’era molta confusione e io ero emozionata in maniera sgangherata. A un certo punto arrivarono quattro torte (le quattro porzioni sociali) con sopra le candeline accese e fu intonato un happy birthday disorientato, che trovò la sua alta unità solo sul “te” finale. Spente le candeline, tutti si abbracciavano, baciavano e cercavano di darsi un contegno bevendo. Poi fu dato il via a balli e canti. Poiché l’impianto necessario per parlare dentro di me non era ben collegato, rimediai la serata facendo fotografie: tutte sfuocate.

Gabriella Armando

Tiziana Zanetti

Doris Duenewald

Mario Gomboli

José Antonio Fossati

Laura Magni Elve Fortis De Hieronymis

Gianna Vitali

Giuseppe Laganà

Marilyn Malin e Charles Shirley Roberto Denti

Micheline Bertrand

Nicoletta Costa

Renata Gostoli

Nadia Pazzaglia

Giuseppe Lanzarin Carla Poesio

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Matteo Faglia

Carlo Alberto Michelini

Mario Abriani


Alla fine di novembre del 1987, rientrando a casa in auto, ho un incidente stradale piuttosto grave. Vinco la partita a scacchi con la bella signora ma, da quel giorno, come dice Woody Allen, anche se “non credo in una vita ultraterrena, comunque porto sempre con me la biancheria di ricambio�.

COSE CHE CAPITANO

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Il patto che legava noi cinque soci era molto chiaro: lavoravamo a scopo di lucro. Ma era sul come raggiungere questo scopo che sorgevano le divergenze. L’attenzione ai conti ci permetteva di continuare a reinvestire in novità, tuttavia da qualche tempo si avvertiva un disagio latente. Il mio investimento narcisistico era elevato, poiché pensavo che il marchio avesse anche un valore simbolico e culturale, oltre che commerciale. Anche se il morale era ragionevolmente alto, aleggiava qualche malumore e c’era aria di diserzione. Lo spirito di corpo si stava rilassando: bastavano piccole cose e si veniva subito alla zuffa. Come i bambini. Nel 1989 un emissario diplomatico ci mise in contatto con la RCS che, in cambio della lealtà e della fedeltà alla sua politica, ci diede il diritto di fare sempre quello che era più ragionevole, anche quando, come si sa, spesso le cose più ragionevoli sono le più sbagliate per noi. Il rapporto con il socio di maggioranza ha un peso e la mia libertà di azione è sottoposta a dei limiti impliciti che non riesco ad accettare. Allo scadere del primo contratto biennale di collaborazione, decido che per me è meglio lasciare. È stata una resa volontaria. Benché con qualche rancore.

UNA SOCIETÀ A SCOPO DI LUCRO

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Storie di carta di cartone di carte speciali: da pacco, da lettera, da imballaggio, da disegno; assorbente, crespata, igienica, filigranata; pergamena, patinata, oleata, vergata, velina, vetrata; da musica, da parati, da zucchero, per alimenti; cartacarbone, cartapecora; carta da bollo; cartamoneta. Mescolare le carte. (Dalla quarta di copertina) A carte scoperte.

STORIE DI CARTA

Storie di carta è stata l’ultima collana realizzata prima di lasciare la direzione editoriale della casa editrice. L’idea era quella di far apprezzare ai bambini, ormai completamente permeati dalla levigatezza fredda e indifferenziata della plastica, la ricca matericità tattile dei derivati dalla cellulosa. I libri sono di grande dimensione e raccolgono carte e cartoni d’uso comune: carta da pacchi, adesiva, da tappezzeria; cartone ondulato, grezzo, lisciato, tutti di vari spessori e tutti fustellati, per staccare, appiccicare e costruire, da soli o in compagnia, gli scenari e i personaggi di favole e storie che si conoscono già. La carta mi appassiona. Più della seta e delle spezie, evoca per me la magia dell’Oriente: evoca lunghi viaggi, carovane di mercanti, bivacchi sotto la volta del cielo, città magiche, segreti carpiti, guerre e scontri di civiltà, scambi e incontri di culture, eredità intellettuali. L’epopea della carta attraversa tutta la storia dell’umanità. Nella carta c’è la Cina e il Giappone, c’è Samarcanda, Bagdad e Damasco, c’è la genialità italiana dei mastri di Fabriano e ci sono i suoi infiniti utilizzi non ancora del tutto sfruttati. La carta è la sovrana del regno dei libri. Quando ne vedo o ne tocco uno, mi viene in mente tutto questo e, mentre leggo, entra in funzione una spiazzante messa a fuoco: le parole a stampa perdono di evidenza, mentre affiora in primo piano la grana della carta. Questo effetto non ha mancato di crearmi qualche complesso di inferiorità, ma mi ha dato anche una certezza: non leggerò mai La recherche stampata su carta patinata lucida.

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carta da 100 gr

cartoncino colorato da 190 gr

cartone da 500 gr accoppiato

carta adesiva prefustellata

Sopra: Il libro tuttofare n. 1. Sotto: Cappuccetto di carta. Entrambe le collane prevedono un assemblaggio di derivati dalla cellulosa: questa varietĂ di materiali e questa carta vellutata complessitĂ giustificano un piĂš da rivestimento elevato prezzo di copertina. cartoncino bianco da 250 gr

cartone ondulato detto ondanuda

carta adesiva prefustellata cartone da 500 gr accoppiato

cartone coatizzato

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carta da pacco


Il 1991 è un anno di eventi da festeggiare: i miei primi cinquant’anni di vita, i miei trent’anni di lavoro e la conclusione della terapia analitica. Celebro tutto questo trasferendomi a vivere a Venezia, con un profondo senso di pienezza e di liberazione. È stato uno dei più begli anni della mia vita.

FESTEGGIAMENTI

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SECONDA PARTE



Fare libri per bambini piccoli è un mestieraccio! Autori ed editori sono ancora serenamente analfabeti sul come dovrebbero essere fatti questi libri e nessuno è in grado di dare regole certe. I bambini - grazie al cielo - non sono tutti uguali e ognuno di loro avrebbe diritto ad un ampio ventaglio di proposte tra le quali scegliere in base ai propri gusti. Però, tra Eric Carle e Walt Disney i bambini quasi sempre scelgono il secondo. Bisognerebbe educarli, alfabetizzarli? Ma, a cosa? Al gusto degli adulti? Dioscampi. C’è poi l’imbarazzante situazione per cui i bambini ricevono in regalo libri fatti per loro secondo il criterio dell’“economicamente remunerativo”, comperati da zii e nonni secondo quello del “carino”, consigliati da maestre secondo quello dell’“educativo”. Ogni tanto però succede un fatto magico: esce un libro che piace molto ai lettori, sia bambini sia adulti, che lo scelgono e lo amano insieme. Da quelle parti c’è stato un piccolo miracolo!

ANALFABETI

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Le parole hanno una storia e alcune parole sono molto evocative. La parola “corriera” a me fa pensare a polvere e a strade in terra battuta, a passeggeri sballottati e a senso di vomito, a campi arati e ad atmosfere anni cinquanta quando, in corriera appunto, andavo a scuola. Per quanto riguarda la parola “libro-gioco”, mi sembra figlia degli anni settanta: sa di “convergenze parallele”, anche se so che già intorno al ’50 la Mondadori chiamava “libri-giocattolo” alcune collane per i più piccoli. Nel Novissimo Melzi, regalatomi per il Natale del 1950, del gioco, anzi del giuoco, si dice: “Tutto ciò che si fa per semplice passatempo, per ricreazione, che ha certe regole o in cui si arrischia del denaro”. Tempi duri per i bambini! Ci sono quelli che hanno del gioco solo immagini luminose di prati e di cieli aperti; ci sono quelli per i quali “gioco” è sinonimo di “agonismo”. Quanto ai libri, c’è chi li pensa come sacre raccolte da consultare e tenere in ordine negli scaffali; c’è chi pensa alle pagine stampate come a tante file leggere di lettere in corpo 12. Il regno indiscusso della parola, insomma. Io credo che la mente giochi prima del corpo e che una mente ben allenata sia capace di avventurosi viaggi intellettuali. È per questo che penso che “libro” e “gioco” siano parole che stanno bene insieme e che abbiano molto da dirsi. Giocare è un’attività importante a tutte le età e implica spesso una grande concentrazione per applicare con naturalezza abilità già acquisite. Il senso di piacere che scaturisce da questa concentrazione può dare un'ebbrezza euforica, un gradevole stordimento e allontana i rumori esterni. C’è un momento in cui il gioco non è socializzante ed è quando c’è complicità solo fra noi e l’azione che stiamo compiendo. In questo senso il gioco si avvicina anche al momento ideativo: quello di giocare a fare i libri-gioco. Penso che chi fa il mestiere di progettare libri-gioco debba lasciarsi andare a una felice regressione nell’infanzia e permettere a leggerezza e profondità di dialogare. Altrimenti fa solo l’art director. All’inizio della nostra esperienza editoriale, per definire i nostri lavori

LIBRO e GIOCO LIBRO-GIOCO

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usavamo il termine inconsapevolmente futurista di “oggetti” che ci sembrava improprio e faceva torcere il naso a molti. Parlare di “oggetti” riferendosi ai libri-gioco, non è sufficiente. I libri-gioco sono infatti “oggetti di confine”: non sono solo libri, anche se ne mantengono spesso l’aspetto esterno, e non sono completamente giocattoli, perché il materiale di cui sono fatti - derivato dalla cellulosa - li allontana da questa categoria. Sono mutanti, oggetti di confine, appunto, e la loro caratteristica è che il cartone con cui sono fatti non ha funzione di supporto su cui stampare parole e immagini, ma è una struttura, una forma, ed essa stessa comunica messaggi conoscitivi ed emozionali, racconti insomma da leggere e da esplorare con gli occhi e con le mani. La lettura dei libri-gioco è una lettura da fare con tutti i sensi. Si può dire che i libri-gioco siano insieme contenitore e contenuto. Devo molto all’esperienza fatta in casa editrice, non solo perché ho imparato molte cose, ma perché ha permesso alla bambina che in parte forse sono ancora di continuare a giocare. Come in un tiro alla fune, ho cercato di portare il più possibile il libro verso il gioco e il gioco verso il libro. Probabilmente il meticciato dei libri-gioco ha fatto sì che il mondo accademico li abbia sempre guardati con diffidenza. I docenti universitari si occupano di cose serie: di Letteratura, di Pedagogia, di Psicologia Infantile. Di libri-gioco no: sono cose da bambini.

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Ci sono molte persone che si vantano di non aver mai letto un libro. Molte di queste persone hanno spesso successo economico, si godono una bella villetta con Biancaneve e i sette nani in cemento armato colorato e tutt’al più credono che il Nuovo Testamento sia un aggiornamento di quello Vecchio. Quasi tutte queste persone hanno chiuso coi libri quando, a scuola, sono state obbligate a leggerli. A tutte queste persone la scuola, dell’obbligo appunto, ha negato la scoperta di alcuni piaceri: che i libri aiutano a vivere meglio, che la cultura è fatta anche di sorprese divertenti e che un individuo che pensa, fantastica e si fa delle domande è probabilmente più vicino allo star bene di quello che da tutto ciò si guarda. Come si fa a contrarre il proliferare di nanetti di cemento e ad arginare l’analfabetismo di andata e ritorno? Una strada possibile è far sì che il rapporto fra bambino e libro nasca prima dell’età scolare, mentre si forma la sua intelligenza, progettando e realizzando per lui libri che catturino il suo interesse e che lui possa leggere anche da solo, in tutti i sensi e con tutti i sensi. La parola “progettare” rimanda a quella di ideare, far proposte, elaborare e fa venire in mente viaggi, preparativi, fogli zeppi di appunti, sfrigolìo di idee. Il progetto è anche uno stato d’animo. Ricerca. Impegno. In tutti gli ambiti, privati e professionali, il momento del progetto - di una festa con gli amici, di una spedizione, di una ferrovia - è il più vivo, e le intuizioni più felici nascono da un’atmosfera che ha molto a che fare col gioco. Con quella curiosità e quel piacere di scoprire veri tesori dell’età bambina. È vero che ogni gioco ha le sue regole: a che cosa si contravviene, e su che cosa si litiga se no? Far libri per bambini è un gioco che non si gioca quasi mai da soli. Ci vogliono il progettista, l’illustratore e lo scrittore. Le cose funzionano meglio quando queste persone si conoscono e lavorano volentieri assieme; quando c’è equilibrio fra le loro capacità professionali; quando sanno già che anche le idee degli altri hanno il sapore delle ciliegie; quando, inoltre, hanno raggiunto con tranquillità il non facile compromesso fra quello che si vuole esprimere e gli imperativi commerciali. Perché anche l’editoria, come il cinema, è un’industria in cui la passione è

LA PROGETTAZIONE: LIBERTÀ E RIGORE

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alimentata e tenuta viva più spesso da buoni progetti quotidiani che da capolavori tanto indispensabili quanto rari. Sento ancora il sapore delle ore passate a progettare libri in un’atmosfera di complicità e di rigore, di passione e severità, di libertà e di calcoli in cui alla fine tutto quadrava: dai conti, alla qualità delle proposte, allo star bene insieme. Quanto alle regole non scritte di questo gioco, mi vengono in mente due aforismi di Munari: “La fantasia è una scienza esatta” e “L’uovo è una forma perfetta, benché sia fatto col culo”.

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Il libro-gioco nasce da tre competenze: quella di progettista, quella di illustratore, quella di scrittore. A volte queste competenze sono espresse da persone diverse, a volte no. Il progettista pensa alla struttura del libro, al suo formato, alla sua scansione in capitoli: questo di cartoncino bianco, questo di carta ruvida e porosa, questo con la fustellatura perimetrale. Ha spesso cognizioni tecniche e abilità manuale. Sa usare taglierini e forbici, sa fare incastri e piegature. Pensa al libro come a un’architettura: lo guarda da tutte le parti e pretende che stia in piedi. Ama i materiali derivati dalla cellulosa e con questi passa parecchio tempo a giocare. È un comunicatore speciale, capace di “vedere” il progetto finito dal manufatto, cioè dal menabò. Anche l’illustratore è un comunicatore e comunica con un linguaggio che - come la musica - è universale. È tanto più bravo quanto più è in grado di “dare vita” alle prime immagini, quelle che i bambini leggeranno per la prima volta, occasione del primo viaggio intellettuale, del primo processo di astrazione. Bisogna cercare di capire che cosa succede. Con gli oggetti quotidiani: con una mela, per esempio. Dunque lui, il lettore, ha già conosciuto la mela. Magari non sa ancora dirne bene il nome, ma sa che cosa è: è quella cosa rotonda, rossa, profumata e dolce che la mamma gli sbuccia e, con tanti “ahmm!” di incoraggiamento, gli dà da mangiare. Con la mela ha già familiarizzato: l’ha fatta rotolare e cadere per terra, l’ha messa in bocca e morsa coi primi dentini. Bene. Un bel giorno qualcuno gli mette davanti una figura e, indicandola col dito, dice “Mela!”. Ohibò! Come dovrà essere questa mela, non nata da una pianta, ma da un pennello? Che non è profumata e dolce, ma è lì in bella mostra su una pagina bianca? Questa mela non dovrà solo essere ben disegnata e viva, non dovrà solo essere riconoscibile - cioè leggibile - ma dovrà essere proprio quella mela che a lui piace tanto e che lo fa saltellare sul seggiolone, che sa di pappa e di mamma, di affetti e di riti quotidiani. Per fare una mela così, bisogna avere mano felice e intelligenza del cuore, bisogna essere così grandi da essere rimasti ancora un po’ bambini, bisogna essere illustratori bravissimi. Rari, purtroppo.

A PROPOSITO DEL FARE I LIBRI-GIOCO

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È così che, dopo averla guardata più volte, il nostro lettore la riconosce. Stessa immagine, il dito che indica, la voce della mamma che dice “Me-la”. Ha capito che quella mela è proprio la sua, anzi vuole portarsela a letto. Quella lì, non l’altra, quella vera; ma quella lì può portarsela sotto le lenzuola. Che intimità. Diventerà un divoratore di libri oltre che di mele? E che ci fa qui uno scrittore, un comunicatore attraverso le parole scritte? Lo scrittore, nei libri-gioco, è il complice, è quello che ha il compito di mettere la musica, la colonna sonora. La storia a questo punto è già tutta dentro il libro. Bisogna trovare le parole giuste per raccontarla, anzi, perché mamma e papà la possano raccontare, leggere ancora e ancora e ancora, e poi girare pagina e poi tornare indietro e ricominciare da capo. Perché è la voce che trasforma i segni in suoni e che conta in questo rapporto a tre, da cui ha inizio il primo “inventario degli oggetti del mondo” (Peter Bichsel): per nominarlo e conoscerlo. E l’editore? Qual è il suo ruolo modestamente insostituibile? È quello di fare domande, di suggerire percorsi, di rassicurare, di sommare pensieri, di stemperare inquietudini, di svelare abilità obsolete, di evidenziare limiti impliciti, di ascoltare, interpretare, capire e, alla fine, prendere decisioni. Avere fra le mani un oggetto che di questo percorso porta la memoria è – ogni volta – una gran bella consolazione.

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“I lettori sono quelli che non riescono ad assolvere certe funzioni corporali - penso al WC - se non hanno niente da leggere; che se non hanno niente da leggere non riescono neppure a dormire né a digerire, o che altro ne so. Leggere, presumo, è qualcosa di corporale”. Dopo il primo sconcerto, si può convenire con Bichsel: la lettura è qualcosa di corporale. Prima di leggere con la mente, infatti, si impara a leggere con tutto il corpo. Come fanno i bambini piccoli che ancora gattonano e si ficcano in bocca tutto quello che riescono ad acciuffare, succhiandolo con aria assorta. Che cosa stanno facendo? Stanno leggendo. Ed è così che leggono tutto quello che li circonda, compresi i libri. Leggono prima di tutto con la bocca, poi con le mani che afferrano ed esplorano, col naso che annusa e con gli occhi che riconoscono immagini e stabiliscono analogie. Anche i miei più lontani ricordi legati ai libri riguardano la loro sensorialità di oggetti: ricordo il ruvido della carta porosa dell’interno e il liscio della carta oleata rossa o blu che li rivestiva. Ricordo l’odore di coccoina delle etichette e il rito di tagliare le pagine con il coltello. E ricordo un Pinocchio di cartoncino cui spuntava una lingua rubizza e dispettosa. La lettura è un atto complesso che precede la decodificazione delle lettere a stampa. Se è vero che “nulla è nella mente che non sia stato prima nei sensi” - come dice Tommaso d’Aquino - credo che i libri per bambini piccoli debbano essere oggetti comunicanti in sé e che la loro lettura sia prima di tutto lettura di materiali e di forme. I bellissimi libri per bambini attualmente in commercio, tutti di carte troppo bianche e troppo patinate, sottraggono ai loro lettori una parte del racconto di cui sarebbero capaci. Almeno nella mia esperienza di bambina nata durante la guerra, la voce di chi mi leggeva un libro viene dopo il mio primo contatto col libro. La voce di chi ti legge una storia è quella per cui vale la pena di infilarsi nel pigiama ogni sera e scomparire sotto le lenzuola. Ogni sera, seduti sul bordo del letto, il rituale della lettura a voce alta è un regalo prezioso, una sorta di complicità segreta che prelude alla folgorante scoperta della lettura delle parole: la quale però è anche una tecnica e ha a che fare con l’imparare. La voce di chi legge viene

LA LETTURA È QUALCOSA DI CORPORALE

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dopo il libro, quando la familiarizzazione con la sua fisicità di oggetto è già avvenuta, quando il libro ci ha già raccontato tante cose di sé, di noi e del mondo, tante storie bianche e lisce, ruvide e colorate, maneggevoli e tondeggianti, spigolose e ingombranti, allusive e nitide, profumate di inchiostro e saporite di colla, perché ogni senso abbia la sua parte di gioia.

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Ts’ai Lun, consigliere dell’imperatore, nel 105 dopo Cristo “si mise a fabbricare carta con corteccia d’albero, residui di canapa, vecchi stracci e reti da pesca”. (Dal libro della dinastia degli Han).


Di Bruno Munari conoscevo i libri per bambini e mi aveva molto colpito l’idea che c’è dietro Nella nebbia di Milano. L’ho incontrato nel 1987. Portava a spasso con allegria la sua aura magica. Mi ha gratificata e illuminata con due frasi; prima: “Lei comunica con la cartotecnica”, seconda: “Ogni carta comunica la sua qualità. La carta trasparente comunica trasparenza, la carta ruvida comunica ruvidità”. È stato a Venezia che ha preso forma il progetto Parole di carta. In tutti i libri che avevo visto fino ad allora, anche i libri d’artista, la carta aveva lo stesso tipo di utilizzo: era un supporto al racconto come la tela per il quadro. Gli stessi Libri illeggibili di Munari sono più delle provocazioni, degli stimoli, che dei racconti veri e propri. Con la protezione di Ts’ai Lun, il leggendario inventore della carta, ho provato a fare oggetti comunicanti in sé, in cui siano la carta stessa, il cartone e il cartoncino a raccontare: con la materia, le texture, gli spessori, i colori e con le fustellature. Senza uso delle parole. È il lettore che, lasciandosi andare all’emozione stimolata dai diversi materiali, diventa autore del racconto e narratore della storia che la sequenza delle pagine gli suggerisce. Osservando i lettori di questi libri ho assistito alle reazioni più diverse, comprese scene di panico da horror vacui che si esprimono pronunciando ad alta voce le poche parole stampate, quelle del copyright, dopo essere finalmente approdati all’ultima pagina. I lettori più spontanei di questi libri sono spesso i giovani e le persone meno colte. Mentre costruivo questi racconti, procedevo affascinata dall’idea in sé. Credo però che abbia ragione Saul Steinberg: “A volte si pensa di aver capito tutto e poi ci si meraviglia se, pochi minuti dopo, si capisce di non aver capito niente”. So che nel mio rapporto con la carta ho colto, attraverso la sua mutevolezza e la sua fragilità, anche la mia.

TS’AI LUN 105

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Un amore - Graffiti metropolitani: storia di carta, cartoni ed emozioni. Il mistero della donna di cuori - Quasi un thriller: indizi di carta, cartoni ed emozioni.


Ho trascorso un quarto di secolo a far libri per bambini e ragazzi, ma non ho figli miei. I bambini mi hanno insegnato molte cose, soprattutto quando facevo l’editore. Li ho osservati maneggiare i libri, scrutandoli con attenzione quasi scientifica e ho cercato di utilizzare quello che capivo. So però che devo molto anche alla mia infanzia felice e che non amo indiscriminatamente tutti i bambini.

I BAMBINI

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LA PRIMA FOTOGRAFIA DI HITLER

WISLAWA SZYMBORSKA

E chi è questo pupo in vestina? Ma è Adolfino, il figlio dei signori Hitler! Diventerà forse un dottore in legge o un tenore dell’Opera di Vienna? Di chi è questa manina, di chi, e gli occhietti, il nasino? Di chi il pancino pieno di latte, ancora non si sa: d’un tipografo, d’un mercante, d’un prete? Dove andranno queste buffe gambette, dove? Al giardinetto, a scuola, in ufficio, alle nozze, magari con la figlia del borgomastro? Bebè, angioletto, tesoruccio, piccolo raggio, quando veniva al mondo, un anno fa, non mancavano segni nel cielo e sulla terra: un sole primaverile, gerani alle finestre, musica d’organetto nel cortile, un fausto presagio nella carta velina rosa, prima del parto un sogno profetico della madre: se sogni un colombo – è una lieta novella, se lo acchiappi – arriverà chi hai lungamente atteso. Toc, toc, chi è, è il cuoricino di Adolfino. Ciucciotto, pannolino, bavaglino, sonaglio, il bambino, lodando Iddio e toccando ferro, è sano, somiglia ai genitori, al gattino nel cesto, ai bambini di tutti gli altri album di famiglia. Be’, adesso non piangeremo mica, il fotografo farà clic sotto la tela nera.

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Atelier Klinger, Grabenstrasse, Braunau, e Braunau è una cittadina piccola, ma dignitosa, ditte solide, vicini dabbene, profumo di torta e di sapone da bucato. Non si sentono cani ululare né passi del destino. L’insegnante di storia allenta il colletto e sbadiglia sui quaderni.




Sento di dover ringraziare alcune persone. Nel corso di questo racconto qualcuno è già stato nominato, altri nomi vanno letti fra le righe e hanno a che fare con un privato a volte più lontano nel tempo, a volte più profondo nel cuore: Stella e Ivan Gongalov, Lucia Calza, Carla Nitti, Gigi Piccolo, Gianvittorio Pisapia, Franco Rusconi, Eros Miari, Vera Sighinolfi, Isa Iori, il dottor Mariani della cartiera De Medici, il dottor Marco Sarno, mia cognata e mio fratello.

RINGRAZIAMENTI

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Stampato nel dicembre 2004 da Tipolitografia Cugini Pagani srl - Marcallo con Casone (MI)


Questo libro è stampato su carta Arcoprint. Gli inserti sono di cartoncino Sirio Color e GSK E.W. La copertina è di cartone Stromcard.


Edizione fuori commercio.


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