L'OFFICIEL HOMMES ITALIA OTTOBRE 2021

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FALL 2021

N° 27- OTTOBRE 2021

Golden Boy

MALUMA is Crossing Over

Data di prima emissione in edicola: Ottobre 2021

LOOK GIORGIO

ARMANI E TIFFANY & CO.

Anniversary Issue


























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L’EDITO LET'S CELEBRATE Nel 1921 iniziava l’avventura de L’OFFICIEL che negli anni ’70 accoglieva nella sua famiglia un nuovo nato: L’OFFICIEL HOMMES, creato con l’idea di dare una voce ufficiale alla moda maschile internazionale. Continuano così le celebrazioni di questo anniversario tanto importante. E dopo aver festeggiato a settembre i primi 100 anni sul palcoscenico femminile, questo numero de L’Officiel Hommes Italia vuole continuare una festa di stile chiamando a raccolta un line-up di talenti unici, accomunati dalla passione. Storie di successo come quella di Juan Luis Londoño Arias aka Maluma, pop-star dall’audience internazionale. Di un gruppo icona della musica come i Duran Duran. O di Roberto Bolle, diventato il re indiscusso della danza. E poi raising stars come Sangiovanni, AJ Tracey, Luka Sabbat, Blanco o Jack Savoretti, scelte per comporre un team di personalità vincenti tra moda, arte, cultura pop e intellighenzia contemporanea. In comune la definizione di uno stile homme senza barriere, lontano anni luce da un rigido tradizionalismo e impegnato ad abbattere le regole di un classico imperante. Alla scoperta di un nuovo modo di essere uomo che è figlio di una storia centenaria, cementanta tra sperimentazione e curiosità. Sempre con un pizzico di divertente irriverenza. —Giampietro Baudo

20

OUR STARS: DALL'ALTO E DA SINISTRA-Maluma in GIORGIO ARMANI; Sangiovanni in DSQUARED2; Roberto Bolle in BOTTEGA VENETA; AJ Tracey in GIVENCHY; Luka Sabbat in RALPH LAUREN PURPLE LABEL; Alessio Pozzi in FENDI, Nacho Penin in FENDI; Duran Duran in DOLCE & GABBANA; Blanco in ETRO; Jack Savoretti in LARDINI; Tom Rey in BRUNELLO CUCINELLI, CARTIER e JAEGER-LECOULTRE; Edem Oueslati in LOUIS VUITTON.



Look Giorgio Armani e Gucci

COFFEE TIME testo di

74

Silvia Frau

THE DANCING GOD - ROBERTO BOLLE Fabia Di Drusco foto di Alberto Maria Colombo styling di Fabrizio Finizza

76

testo di

LET'S DISCOVER SANGIOVANNI Giulia Gilebbi Gabriele D'Agostino styling di Marco De Lucia e Paola De Cegli

88

testo di foto di

QUIET & LOUD

Andrea Vailetti styling di Giulio Martinelli

Look Gucci

41

30

foto di

BROADUS' STYLE - CORDELL BROADUS Ian Buosi styling di Orietta Corbelli

41

foto di

FRAMMENTI DI VITA - FRANCESCO TERZO E ALESSANDRO FILIPPO FICARELLI testo di

BOND CHOICE testo di

48

Silvia Frau

DECLINAZIONI IN BLU testo di

46

Simone Vertua

50

Silvia Frau

NEO FORMALE - GENNARO DARGENIO Simone Vertua Oreste Monaco styling di Terry Lospalluto

52

testo di foto di

NODO ALLA GOLA testo di

MUGLER MOMENTUM testo di

56

Silvia Frau

58

Fabia Di Drusco

IN THE WORLD OF LUKA SABBAT Philippe Combres foto di Greg Swales styling di Richie Davis

60

testo di

SKIN FOOD - AUGUSTINUS BADER BLENDED IDEAS - OLIVIER ROUSTEING testo di

66

Fabia Di Drusco

PLAYING THE GAME - AJ TRACEY Marco Torcasio Alan Gelati styling di Aga Dziedzic foto di

68

Silvia Frau

PARIGI GOURMET - ENRICO BUONOCORE

70

Cristina Manfredi foto di Alexandre Jonette testo di

GREEN TASTE - MICHELANGELO MAMMOLITI

72

Silvia Frau

Gioielli Boucheron

testo di

98

testo di

Look Ralph Lauren Purple Label. Gioielli Piaget

testo di

88

140

FASHION OVERVIEW

107

THE NEXT CULT

108

foto di

Stefania Paparelli Giulio Martinelli

styling di

98



Look Commission. Orologio Richard Mille

40TH IN STYLE

Fabio Barbieri foto di Francesco Finizio styling di Fabrizio Finizza

178

testo di

L'O DOSSIER - VIKTORIJA ROSENBERG E LEONAS PAULIUS, KIT WOO, PATRICIO CAMPILLO, FEDERICO CINA, FLORENTIN GLÉMAREC E KEVIN NOMPEIX, EMILY BODE 181 Devin Yadav

testo di

SHOPPING LIST

190

L'O 100

193

STAR POWER - MALUMA

194

Carrie Battan Pamela Hanson styling di Ryan Young Wolf testo di foto di

MORE IS MORE

Raffaele Cerulo styling di Simone Rutigliano

206

Look Issey Miyake

foto di

194

THE FAB SIX foto di

Francesco Finizio Fabrizio Finizza

120

styling di

FREE SPIRIT

Kosmas Pavlos styling di Luca Falcioni

132

foto di

MODERN DANDY Isabelle Bonjean styling di Emily Minchella

140

foto di

CREATIVE MINDS

147

DURAN DURAN

148

Fabia Di Drusco foto di Alan Gelati styling di Chloe Beeney testo di

FASHION REMIX - KIM JONES E CHITOSE ABE Cristina Manfredi foto di Brett Lloyd

240

THE NEW CLASSIC - CLÉMENT CHABERNAUD foto di

152

testo di

Zeb Daemen Gabriella Norberg

218

styling di

THE IN CROWD - JAMES TURLINGTON, ROBERTO ROSSELLINI, GABRIEL-KANE DAY-LEWIS, AURÉLIEN ENTHOVEN 228 Sabrina Abbas Lia Clay Miller styling di Michael Cook testo di

Look Celine homme by Hedi Slimane

foto di

DREAM MAKERS testo di

236

Piper McDonald e Tori Nergaard

PRACTICE MAKES PERFECT - MCARTHUR BINION Ted Loos William Jess Laird styling di Kimberly Nguyen

240

testo di foto di

HOME RUN - SHAWN HENDERSON

Dan Rubinstein foto di Stephen Kent Johnson

248

testo di

DRESS CODE

256

Anne Gaffié

Look Alexander McQueen

testo di

228

BE BLANCO

156

Cristina Manfredi foto di Bogdan styling di Tiny Idols testo di

THE FRENCH WAVE - PAUL SZCZERBA, PIERRE MAHÉO, ALEXANDRE MATTIUSSI, ERWAN LE LAUËR testo di

Anne Gaffié e Baptiste Piégay

WE ARE FAMILY - SILVIO CAMPARA Margherita Meda foto di Filippo Ferrarese

160 166

testo di

JACK SAVORETTI

Giorgia Cantarini foto di Mattia Guolo testo e styling di

172 206



D IR ET T OR E R ES P ON S A B IL E G iam piet r o B au do MA N A G ING FA S HION ED IT OR G iu lio Mar t in elli

-

MA N A G IN G FEA T U R E ED IT OR Fabia D i D r u s c o

CR EA T IV E ED IT OR A T L A R G E P r is c illa D e G ior gi

FASH ION DEPARTMEN T Fabrizio Finizza_Fashion Edi tor at Lar ge Alessandra Faja_Ac c essory Ed itor at L ar ge Terry Lospalluto_Fashion assistan t EDITORIAL DEPARTM EN T Silvia Frau_Editorial Man ager C ristina Manfredi_Fashion Con su ltan t C aroline C orbetta_Art C o n su ltant Marc o Torc asio_Music C on su ltant ART & GRAPH IC DEPAR TMEN T Giulia Gilebbi_Graphic D esign er Luc a Ballirò_Graphic C o n su ltant

S A L ES & MA R KET IN G HEA D OF S A L ES Car lot t a T om as on i c . t om as on i@ jalou m ediagr ou p. c om S A L ES MA N A G ER Oliv ia P in t o o. pin t o@ jalou m ediagr ou p. c om S A L ES MA R KET IN G EXECU T IV E Fr an c a N u n z iale f . n u n z iale@ jalou m ediagr ou p. c om

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IN T ER N A T ION A L D IR ECT ION B en jam in Eym èr e, Mar ia Cec ilia A n dr et t a

PH OTO & IMAGE C ONTRIB U TORS

IN T ER N A T ION A L

Bogdan, Isabelle Bonjean, Ian Buosi, Raffaele Cerulo, Alberto Maria Colombo, Zeb Daemen, Gabriele D’Agostino, Filippo Ferrarese, Francesco Finizio, Alan Gelati, Mattia Guolo, Pamela Hanson, William Jess Laird, Brett Lloyd, Stephen Kent Johnson, Alexandre Jonette,Lia Clay Miller , Oreste Monaco, Stefania Paparelli, Kosmas Pavlos, Greg Swales, Andrea Vailetti, Barbara Zilli. FASH ION C ONTRIBU TORS Chloe Beeney, Michael Cook, Orietta Corbelli, Paola De Cegli, Richie Davis, Donato D'Aprile, Marco De Lucia, Aga Dziedzic, Luca Falcioni, Tiny Idols, Emily Minchella, Kimberly Nguyen, Gabriella Norberg, Simone Rutigliano, Ryan Young Wolf. TEXT C ONTRIBU TOR S Sabrina Abbas, Fabio Barbieri, Carrie Battan, Philippe Combres, Anne Gaffié, Giulia Gilebbi, Ted Loos, Piper McDonald, Tori Nergaard, Baptiste Piégay, Dan Rubinstein, Devin Yadav.

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L’O FFI C I EL

L’O FFI C I EL G LO B A L ED I TO R I A L T E A M

G LO B A L C O - C H A I R M EN M a r i e - J o s é S u s s k i n d - J a l o u, M a x im e J a l o u

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G LO B A L C H I EF E X E C U T I V E O FFI C ER , D I R E C TO R O F E X E C U T I V E A N D A D M I N I S T R AT I V E B OA R D S B e n j a mi n E y m è r e

G LO B A L E X E C U T I V E D I R E C TO R Giampietro Baudo G LO B A L A R T I S T I C A N D C A S T I N G D I R E C TO R Jennifer Eymère

G LO B A L D EP U T Y C H I EF E X E C U T I V E O FFI C ER , M EM B ER O F E X E C U T I V E A N D A D M I N I S T R AT I V E B OA R D S M a r i a C e c ili a A n d r e t t a

G LO B A L C O N T R I B U T I N G C R E AT I V E D I R E C TO R Tr e y L a i r d G LO B A L ED I TO R I A L T E A M Laure Ambroise | Mode

C O N S U LT I N G G LO B A L C H I EF C R E AT I V E O FFI C ER S t e f a n o To n c h i

G LO B A L C A S T I N G, P R O D U C T I O N & B O O K I N G Joshua Glasgow

G LO B A L C H I EF R E V EN U E O FFI C ER Anthony Cenname

G LO B A L H E A D O F C O N T EN T P R O J E C T S A N D FA S H I O N I N I T I AT I V ES C a r o li n e G r o s s o

G LO B A L A R T I S T I C A N D C A S T I N G D I R E C TO R Jennifer Eymère

C O N S U LT I N G E X E C U T I V E M A N AG I N G ED I TO R R e g a n S o lm o

G LO B A L ED I TO R I A L C O M M I T T EE G i a m p i e t r o B a u d o, J e n n i f e r E y m è r e, S t e f a n o To n c h i

G LO B A L G R A P H I C T E A M G i u li a G il e b b L u c a B a lli r ò E X E C U T I V E A S S I S TA N T S C é li n e D o n ke r Va n H e e l c .d o n ke r v a n h e e l@ e d i t i o n s j a l o u.c o m

G LO B A L C O N T R I B U T I N G D ES I G N D I R E C TO R Micheal Riso

G i u li a B e t t i n e lli g.b e t t i n e lli@l o f f i c i e li t a li a.c o m

G LO B A L M A N AG I N G T E A M S a b r i n a A b b a s, S a r a A li, J e a n n e P r o p e c k

I N T ER N AT I O N A L

FI N A N C E A N D A D M I N I S T R AT I O N

C H I EF D I S T R I B U T I O N J e a n - Fr a n ç o i s C h a r li e r j f.c h a r li e r @j a l o u m e d i a g r o u p.c o m I N T ER N AT I O N A L P R O D U C T I O N M A N AG ER Joshua Glasgow j.g l a s g o w @j a l o u m e d i a g r o u p.c o m

CFO Thierr y Leroy F a x + 3 3 (0) 1 5 3 01 10 4 0 t.l e r o y @j a l o u m e d i a g r o u p.c o m

INTERNATIONAL EDITIONS L’Officiel de la Mode, L’Officiel Hommes Paris, L’Officiel Voyage, L’Officiel ART International, Jalouse, La Revue des Montres, The International Watch Review, L’Officiel Island, L’Officiel Peak, L’Officiel Jewels, L’Officiel Arabia, L’Officiel Hommes Arabia, L’Officiel ART Arabia, L’Officiel Argentina, L’Officiel Austria, L’Officiel Baltics, L’Officiel Belgique, L’Officiel Hommes Belgique, L’Officiel ART Belgique, L’Officiel Brasil, L’Officiel Hommes Brasil, L’Officiel China, L’Officiel Hommes China, Jalouse China, L’Officiel India, L’Officiel Indonesia, L’Officiel Italia, L’Officiel Hommes Italia, L’Officiel Korea, L’Officiel Hommes Korea, La Revue des Montres Korea, L’Officiel Latvia, L’Officiel Lithuania, L’Officiel Hommes Lithuania, L’Officiel Malaysia, L’Officiel Mexico, L’Officiel Maroc, L’Officiel Hommes Maroc, L’Officiel NL, L’Officiel Hommes NL, L’Officiel Poland, L’Officiel Hommes Poland, L’Officiel Russia, L’Officiel Singapore, L’Officiel Hommes

G EN ER A L S E C R E TA R Y Fr é d é r i c L e s i o u r d f.l e s i o u r d @j a l o u m e d i a g r o u p.c o m H R M A N AG ER Émili a Ét i e n n e e.e t i e n n e @j a l o u m e d i a g r o u p.c o m AC C O U N T I N G M A N AG ER Ér i c B e s s e n i a n e.b e s s e n i a n @j a l o u m e d i a g r o u p.c o m

I N T ER N AT I O N A L A N D M A R K E T I N G D I R E C TO R I N T ER N AT I O N A L L I C EN S ES, B U S I N ES S D E V ELO P M EN T & B R A N D M A R K E T I N G Fl a v i a B e n d a f.b e n d a @l o f f i c i e l.c o m G LO B A L H E A D O F D I G I TA L P R O D U C T Giuseppe de Mar tino Norante g.d e m a r t i n o @l o f f i c i e l.c o m G LO B A L D I G I TA L P R O J E C T M A N AG ER B a b il a C r e m a s c o li b.c r e m a s c o li@l o f f i c i e l.c o m G L OB A L ED IT OR IA L C O N TE N T A N D A R C H I V E S Giulia Bet tinelli g. bet t in elli@ lo f f ic ie l i t a l i a . c o m

A DV ER T I S I N G G LO B A L C H I EF R E V EN U E O FFI C ER Anthony Cenname

F O U N D ER S G E O R G ES, L A U R EN T e t U L LY JA LO U (†)

M A N AG I N G D I R E C TO R FR A N C E R o b e r t D. Ei s e n h a r t I I I

P U B L I S H ED BY L ES ED I T I O N S JA LO U

Singapore, L’Officiel St Barth, L’Officiel Switzerland, L’Officiel Hommes Switzerland, L’Officiel Thailand, L’Officiel Hommes Thailand, L’Officiel Turkey, L’Officiel Hommes Turkey, L’Officiel Ukraine, L’Officiel Hommes Ukraine, L’Officiel USA, L’Officiel Hommes USA, L’Officiel Vietnam.

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M ED I A D I R E C TO R I TA L I A N M A R K E T C a r l o t t a To m a s o n i c .t o m a s o n i@l o f f i c i e l.c o m

S A R L a u c a p i t a l d e 6 0 6.0 0 0 e u r o s S i r e t 3 31 5 32 176 0 0 0 87 C C P N ° 1 824 62 J P a r i s H e a d o f f i c e :128 Q u a i d e J e m m a p e s, 75 010 P a r i s



Quiet & Cromie soft di cammello e una palette ancorata al marrone tradizionale sfidano un cult della nuova stagione: un pantone extra-strong di fluo e colori vitaminici vitaminici.. Photography ANDREA VAILETTI Styling GIULIO MARTINELLI


L’TREND

LOUD


IN APERTURA, DA SINISTRA—Giacca

e pantaloni, ERMENEGILDO ZEGNA XXX; pull, ETRO; stringate di camoscio, CHURCH'S. Giacca, pantaloni e stivali, BALMAIN; turtleneck e cappello, BERLUTI. In tutto il servizio anello, Mor's own. IN QUESTA PAGINA, DA SINISTRA—Completo e pull di lana, BOSS. Completo di velluto a coste, polo e borsa di pelle, TOD'S; stringate di camoscio, CHURCH'S. NELLA PAGINA ACCANTO—Trench impermeabile e turtleneck, JIL SANDER BY LUCIE AND LUKE MEIER; camicia, BERLUTI; pantaloni, RAF SIMONS.


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IN QUESTA PAGINA, DA SINISTRA—Giacca

e pantaloni, BERLUTI; camicia con rouches, ETRO. Cappotto di cotone a coste, turtleneck e guanti di pelle, PRADA; pantaloni, ALEXANDER McQUEEN; stivali, BALMAIN. NELLA PAGINA ACCANTO—Cappotto a vestaglia, TAGLIATORE; camicia, ALESSANDRO GHERARDI; pull, GIAMPAOLO; pantaloni, ETRO. MODEL: Mor Mbaw @ INDEPENDENT MGMT; HAIR: Daniel Manzini @ W-MMANAGEMENT; MAKE UP: Riccardo Morandin @ W-MMANAGEMENT using GUCCI BEAUTY; CASTING: Laura Stella Motta @ SIMPLE AG; PHOTO ASSISTANT: Alberto De Vecchi; STYLING ASSISTANTS: Terry Lospalluto, Barbara Zilli e Donato D'Aprile.

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IN QUESTA PAGINA, DA SINISTRA—Cappotto, camicia

di seta stampata, tank top, pantaloni e cintura, AMIRI; mocassini in broccato, ETRO. Cappotto, GUCCI; pull, PIACENZA CASHMERE. NELLA PAGINA ACCANTO—Piumino, 2 MONCLER 1952; camicia, pantaloni e occhiali da sole con logo, LOUIS VUITTON.

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IN QUESTA PAGINA, DA SINISTRA—Cappotto

e turtleneck, MSGM; giacca e pantaloni di tessuto tecnico, DSQUARED2. Pull di lana, pantaloni e scarpe fluffy, DOLCE & GABBANA; calze, stylist's own. NELLA PAGINA ACCANTO—Trench con frange sulle maniche e camicia, BURBERRY.

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L’IDOLE

Broadus’ style Spirito imprenditoriale, filantropo filantropo,, ex calciatore e padre delle piccole Cordoba Journey e Chateau avute con Phia Barragan-Broadus. Figlio di Snoop Dogg e Shante Broadus, Cordell Broadus, classe 1997, è salito in passerella per Dolce & Gabbana, Gabbana, Tommy Hilfiger e Philipp Plein e lavorato come direttore creativo di Joyrich Joyrich.. Al momento sta lavorando alla sua impresa la Esuoh Cleaning Co e sogna di collaborare con Chanel e con i gioielli Chrome Hearts. Hearts. Photography IAN BUOSI - Styling ORETTA CORBELLI


«LA soddisfazione PIÙ GRANDE DELLA MIA vita È STATA DIVENTARE padre padre.. ED È ARRIVATA CON MIA figlia CORDOBA JOURNEY CORDELL». CORDELL». 42


IN APERTURA—Cappotto e pantaloni, GIORGIO ARMANI. A LATO—Felpa, ROSE IN GOOD FAITH; pantaloni, SANDRO; sneakers, BEPOSITIVE. IN QUESTE PAGINE—Camicia e pantaloni, PHILIPP PLEIN. PRODUCTION: Shawn

Mann @ 52 WEST AGENCY LLC; PHOTO ASSISTANT: Anuar Aly.

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«IL MIO motto È TENERE SEMPRE LA testa BASSA, TIRARE FUORI IL PETTO E lavorare ALL’INFINITO»». ALL’INFINITO

IN ALTO—Completo e camicia, SANDRO; stivali, GIORGIO ARMANI. IN BASSO—Completo e camicia, BOSSI; sneakers, BEPOSITIVE.

44


Perfetto, dal chicco alla tazzina.

Scopri di più

delonghi.com


frammenti DI VITA

Il duo composto da Francesco Terzo e Alessandro Filippo Ficarelli racconta il valore dei momenti, momenti, con la loro ultima collezione battezzata Pandora Moments. Moments. Nel 1968 il sociologo Jean Baudrillard pubblicava il libro “Il sistema degli oggetti”, un testo in cui veniva trattato il valore simbolico dell’oggetto in relazione all’uomo. Nell’immaginario comune i gioielli costituiscono la rappresentazione degli oggetti-simbolo per antonomasia. «Sono un’espressione visiva di ciò che amiamo, chi siamo, le nostre radici, la nostra cultura, la comunità a cui apparteniamo, il nostro stile personale, le nostre passioni, i ricordi e le emozioni», spiegano Francesco Terzo e Alessandro Filippo Ficarelli, direttori creativi di Pandora. «La relazione tra gioielli e corpo è unica. Raccontano una storia e racchiudono un significato profondo: è qualcosa di autobiografico che trascende le tendenze». Operativi da Copenaghen, la coppia trae ispirazione dai loro viaggi e dal Paese natale, l’Ita-

lia. Dal 2017 dirigono il marchio danese fondato nel 1982 da Per Enevoldsen e la moglie Winnie. I loro gioielli sostenibili vengono rifiniti a mano con materiali di alta qualità e sono conosciuti universalmente grazie a un prezzo di mercato accessibile. La loro ultima collezione, Pandora Moments, si basa sull’idea di racchiudere un attimo della propria vita in un oggetto. «Attraverso i nostri charm, il modo in cui li indossiamo e dove li indossiamo, raccontiamo agli altri la nostra storia. I nuovi gioielli permettono di indossare questi talismani in modi inaspettati». Si tratta di orecchini a cerchio da comporre con i ciondoli preferiti, charm holder da borse, cinture, passanti dei jeans e portachiavi. -Simone Vertua


www.moonboot.com

Photographed by Koekkoek


BOND choice Daniel Craig interpreta il suo ultimo 007 e collabora all’ all’estetica del nuovo Omega Seamaster Diver 300M 007. L’ultima avventura dell’agente con licenza di uccidere, dal titolo “No Time to Die”, sarà nelle sale dal prossimo 8 ottobre. Gli appassionati di orologi, pur nel ritmo incalzante a cui ci ha abituato l’action movie, non potranno non notare al polso di Daniel Craig l’Omega Seamaster Diver 300M 007 Edition, un orologio che rispetta i requisiti di un segnatempo militare e il cui design lo stesso attore ha contribuito a definire. Un 42 mm, particolarmente leggero, perché realizzato in titanio Grado 2 – ma c’è anche con cinturino NATO a righe marrone scuro, grigio e beige –, e sottile grazie alla bombatura del vetro zaffiro. Alimentato da un calibro Omega 8806 Co-Axial Master Chronometer, è impermeabile fino a 30 bar (300 metri / 1000ft.). Sul fondello ha una serie di numeri tutti da decifrare, che riprendono il formato degli orologi militari: “0552” è un codice numerico legato al mondo navale, “923 7697” quello degli orologi subacquei. La lettera “A” indica che ha corona a vite, mentre “007” è, ovviamente, l’iconico codice di James Bond. Infine, il numero “62” si riferisce all’anno del primo film della serie. - Silvia Frau

"No Time to Die" © Danjaq and MGM. 007 and related James Bond Indicia © 1962-2021 Danjaq and MGM. All Right Reserved.

L’OBJET



declinazioni in BLU Colore mannish per eccellenza, il blu, in tutte le sue sfumature, accompagna le giornate lavorative autunnali così come le fughe del weekend al mare. Non sfigura sotto la giacca, che si scosta leggermente lasciando intravedere il quadrante blu, come nel Royal Oak Offshore Driver di Audemars Piguet e nell’Iconic Link di Daniel Wellington; o scopre dettagli eleganti, come le lancette del Clarissima di Baume&Mercier e quelle del Pasha de Cartier, che ha anche i pulsanti in spinelli e il cinturino intercambiabile d’alligatore. Al tempo stesso è un accessorio sportivo, che dà il meglio di sé nelle occasioni informali, ed è portabilissimo nel weekend, soprattutto se il cinturino è in caucciù con effetto cordura, come nel Defy 21 Ultrablue di Zenith, o nell’orologio della Mason Collection di Tommy Hilfiger. E hanno una connotazione very sporty il

GMT-Master II di Rolex – brand sponsor delle più importanti regate – e il Pilot Watch Chronograph, nella Blue Angels edition.

—Silvia Frau

IN ALTO DA SINISTRA—Royal Oak Offshore Dive con nuovo movimento Calibro 4308,

AUDEMARS PIGUET. Classima, orologio automatico, datario, con quadrante grigio ardesia e cinturino in tela, BAUME&MERCIER. GMT-Master II in acciaio segna l'ora su due fusi orari differenti, ROLEX. Cronografo Defy 21 Ultrablue, ZENITH. IN BASSO DA SINISTRA—Orologio multifunzione Mason Collection, TOMMY HILFIGER. Segnatempo della linea Iconic Link con quadrante in blu artico, DANIEL WELLINGTON. Pilot Watch Chronograph edition Blue Angels, con carica automatica, cassa in ceramica e cinturino in caucciù, IWC SCHAFFHAUSEN. Pasha de Cartier, cronografo con cassa in acciaio ornato da spineli e lancette in acciaio azzurrato,CARTIER.



NEO formale L’universo Circolo 1901 è una sfida continua per conciliare l’eleganza l’eleganza tradizionale con l’abbigliamento comfy. Come ha raccontato il CEO e fondatore Gennaro Dargenio. «È una giacca che crede di essere una felpa, oppure una felpa che crede di essere una giacca?» questa è la domanda che pone Gennaro Dargenio durante le sue riunioni ai colleghi. Ma facciamo un passo indietro, al 2008, quando il settore tessile venne travolto dalla crisi finanziaria che portò alla chiusura di tantissimi marchi. In quel momento così sfavorevole, Gennaro Dargenio, classe 1970, decide di inaugurare il suo marchio a Barletta. Un progetto che nasce con l’obiettivo di interpretare una nuova idea di casual presentando la Easy Jacket: una giacca dal taglio formale confezionata in felpa, concepita per premiare la comodità e lo stile di vita di coloro che la indossano. «È il nostro capo cult, una giacca realizzata con materiali inusuali che liberano l’uomo dalle costrizioni sartoriali maschili. Che sia in felpa, jersey, piquet o in maglia la nostra giacca si differenzia unendo l’eleganza al comfort. Il mio obiettivo era creare un capo di ispirazione classica ma con l’elasticità e la performance di un capo sportivo o streetwear. Successivamente abbiamo deciso di lanciare il nostro Easy Outfit, un total look composto da capi perfetti per diverse occasioni d’uso nella quotidianità di tutti. Chiunque li può indossare e declinare con libertà e con il proprio stile, continuando a rimanere autentico». L’OFFICIEL HOMMES ITALIA: Da dove proviene il nome del marchio?

Text by SIMONE VERTUA Photography ORESTE MONACO Styling TERRY LOSPALLUTO


L’PROJECT


GENNARO DARGENIO: Volevamo un nome che fosse inclusivo, che si rivolgesse a un target di persone con le quali condividere idee ed emozioni oltre che a rappresentare la filosofia di vita “Proudly Authentic”. Persone che nel Circolo mantengono la propria identità. LOHI: Che cosa significa per voi?

Sentirsi liberi di mostrare il proprio essere, il proprio stile e il modo di vedere la vita abbattendo le convenzioni, che non fanno altro che renderci tutti uguali.

GD:

LOHI: A quali convenzioni ti riferisci?

Siamo riusciti ad introdurre nel mondo formale tessuti stretch, materiali considerati inusuali come il jersey che veni-

GD:

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vano reputati come “blasfemi” per gli addetti ai lavori. Gli acquirenti prediligono eleganza, comodità, qualità e durevolezza. LOHI: E quali sono i vostri tratti distintivi?

Coniugare l’eleganza al comfort induce a ripensare al modo di vestire quotidiano abbattendo le distinzione tra look da ufficio e tempo libero. Il nostro stile accomuna più generazioni, dai millennials ai boomers, affinchè chiunque possa sentirsi libero di mostrarsi con la propria attitude.

GD:

LOHI: Quali sono i vostri clienti?

Il profilo dei nostri clienti è trasversale per età, tutti possiedono un denominatore comune, uno stile di vita metropolitano e contemporaneo. Sono uomini e donne che non sono ossessionati

GD:


dalle tendenze, non hanno voglia di vestire con le costrizioni del formalwear, ma non possono rinunciare al dress code elegante. LOHI: Qual è il vostro concetto di tailoring?

GD: Mischiare funzioni e ruoli del vestire. Il nostro processo di sviluppo stile e produzione viene gestito in azienda, questo ci permette di sperimentare anche con trattamenti di stampa che sono solo nostri.

LOHI: Come si sviluppa la vostra distribuzione?

GD: L’Italia rappresenta la fetta più grande del fatturato e siamo pre-

senti su tutto il territorio. Abbiamo aperto in Svizzera, Germania, Spagna, Francia, Scandinavia, UK, Olanda, Russia, Giappone, Corea e negli USA, che hanno creduto e supportato la nostra visione.

LOHI: Su che cosa si orienta il vostro futuro?

GD: Vorremmo continuare a lavorare su un duplice fronte dedicato a collezioni uomo e donna. Per i progetti a lungo termine investiremo nella ricerca, nell’innovazione e nella comunicazione. Il nostro obiettivo centrale rimane però uno solo: fidelizzare il cliente, coccolandolo fino a farlo innamorare del nostro universo di prodotti. IN APERTURA—Completo di cotone e turtleneck a coste, CIRCOLO 1901. NELLA PAGINA ACCANTO—Giacca di cotone doppiopetto, turtleneck a coste

e pantaloni, CIRCOLO 1901. IN QUESTE PAGINE—Cappotto a motivo check, cardigan di maglia, t-shirt e pantaloni di cotone, CIRCOLO 1901. MODEL: Diop

Ngouda; PHOTO ASSISTANT: Simone Monaco.

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Cravatta in plastica creata da Enrico Baj nel 1969 del collezionista Filippo Santoro, photo courtesy Mercanteinfiera.

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L’HAPPENING NODO alla gola “La spina dorsale di un uomo. Storia della cravatta” cravatta” è una delle mostre collaterali di Mercanteinfiera, a Parma,, realizzata con il distretto della Parma seta di Como che spera di essere presto proclamata Città creativa UNESCO. UNESCO. “Un uomo che si toglie la cravatta compie un atto erotico”, fu questa una delle risposte all’inchiesta della British Clothing Industry Association sulla cravatta e il suo uso, commissionata a inizio Novecento dal NYTimes. Ma quella che d’Annunzio definì “la spina dorsale di un uomo” – frase che dà anche il titolo alla mostra collaterale all’interno di Mercanteinfiera a Parma – non è solo la storia di un accessorio, perché la sua genesi si perde nel tempo, tingendosi di leggenda. Cercando nella simbologia si potrebbe arrivare fino al periodo egizio, quando una corda fermata da un nodo serviva a proteggere il defunto nel viaggio per l’Aldilà, o alle scene che ritraevano i legionari romani in combattimento contro i Traci, con una pezza di stoffa al collo. O ancora alle più note (nella storia della cravatta) truppe croate, alle quali spesso si fa risalire la parola, “croatta”; anche se leggendo uno dei primi trattati di moda, il “De gli habiti antichi et moderni di diverse parti del mondo” di Cesare Vecellio (1521-1601), edito a Venezia nel 1590, e quindi precedente, rimane il dubbio sia vero. Un accessorio amato dal Re Sole, che anche quando nel Seicento si diffusero colletti e gorgiere, le rimase fedele, tanto da istituire una carica singolare: “il cravattaio”, che gli faceva un nodo impeccabile ogni mattina. Una tradizione, quella dei nodi, che prosegue nell’Ottocento a Parigi, dove vengono impartite vere e proprie lezioni private – oggi sono 14 i nodi più comuni anche se se ne usano di fatto tre: l’Orientale, il mezzo Windsor e il Windsor –, e anticipando la nascita della cravatta contemporanea, avvenuta a metà del secolo in Inghilterra: la régate, usata inizialmente durante le regate. Un accessorio che trova

in Italia, e in particolare nel comasco, famoso per la lavorazione della seta, uno dei luoghi di eccellenza artigianale, come spiega Paolo Aquilini, direttore del Museo della seta, con cui è stata realizzata la mostra, a cui hanno partecipato anche Confartigianato, Confindustria e l’Associazione Italiana Disegnatori Tessili. «Non è solo una questione tecnica, di fustelle, imbottiture, fodere, creare una cravatta è l’equivalente di realizzare un’opera di architettura e ingegneria». Sua la scelta dei pezzi: «porteremo 40 cravatte, date dal Museo e da aziende private, per celebrare i 40 anni alla fiera di antiquariato, design d’autore, modernariato e collezionismo vintage. Alcune saranno “cravatte impossibili”: come quelle di legno e piume, fino a quella di plastica realizzata da Enrico Baj del ’69, che in realtà era l’invito a una mostra. Ma ci saranno anche tanti attrezzi, come le antiche fustelle in metallo», e poi disegni, bozzetti, messe in carta jacquard. E un momento di confronto su temi quali la sostenibilità. «In particolare con i progetti di Montero 1902, che con Re-silk crea da vecchi tessuti un nuovo filo di seta da tessere, o BestTie, di Tata Stoppani, che invece abbina vecchia stoffe come fossero le lettere di una poesia dadaista». E un bel biglietto da visita per Como, la cui capacità di filare, terrese e tingere la seta artigianalmente potrebbe essere premiato con il titolo di Città Creativa Unesco, ma per il verdetto bisogna attendere il prossimo novembre. “La spina dorsale di un uomo. Storia della cravatta” è con “Back to the games”, mostra sui videogiochi dai ’70 ai 2000, una delle collaterali di Mercanteinfiera. -Silvia Frau

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L’EXHIBITION WW

MUGLER momentum La mostra del Musée des Arts Décoratifs di Parigi, in scena fino al 24 aprile 2022, ci restituisce il mondo di un genio della moda, Thierry Mugler. Dalla metà degli anni ’70 ai ’90 le sue sfilate sono l’hot ticket della fashion week parigina, per lui sfilano leggende come Diana Ross e Tippi Hedren (la “Marnie” di Hitchcock), drag queens, pornostar e tutte le super models dell’epoca, da Linda Evangelista a Nadja Auermann, da Estelle Lefébure a Emma Sjoberg, protagoniste sul suo catwalk di performance elettrizzanti, narcisistiche e ultra sexy. Sono le sue glamazons, le sue eroine super powerful di cui lui immagina destino e battute mentre ne disegna gli abiti, strizzate in corsetti cromati, abiti sirena di paillettes, tute di latex per una silhouette da insetto, armature metalliche da robot di “Metropolis” di Fritz Lang… Mugler utilizza latex, PVC, vinile, colori impattanti, si rifà ai peplum movies, ai costumi hollywoodiani di Edith Head, alle statue monumentali della propaganda sovietica. È lui a restituire un senso visionario, eccitante e fiabesco, dannatamente edgy, alla Haute Couture. I più grandi fotografi ne catturano l’immaginario, da Guy Bourdin a Jean-Paul Goude, da Dominique Issermann a Sarah Moon, da Helmut Newton a Ellen Von Unwerth. Ma è lui stesso, nelle campagne che comincia a scattare nel ’76, ad averci regalato i momenti più iconici, con le silhouettes di Jerry Hall, Iman, L’Wren Scott stagliate a fianco dei cavalli alati del Grand Palais di Parigi, della moschea di Djenné nel Mali, dei ghiacciai della Groenlandia, delle dune di sabbia del Sahara algerino o di White Sands in New Mexico, sulla stella rossa sovietica gigante di Volgograd o sulla cima del Chrysler… Creatore di outfit iperfemminili, Mugler immagina per gli uomini silhouette ultramascoline,oppure riveste entrambi i generi di uniformi identiche. -Fabia Di Drusco

Photo: David Bowie, collezione “Les Cowboys” S/S 1992.

Arriva finalmente al MAD di Parigi “Couturissime” la grande retrospettiva su Thierry Mugler, creata per il MMFA di Montreal due anni fa.



in the world of

LUKA Sabbat

Modello, attore attore,, regista, produttore e stilista, a 23 anni Sabbat si prepara a una nuova sfida come designer nel mondo dell’arredo. arredo. Diventando anche il volto di Ralph’s Club, Club, nuova fragranza del marchio Ralph Lauren. Lauren. Text by PHILIPPE COMBRES - Photography GREG SWALES - Styling RICHIE DAVIS


L’BEAUTÈ


Sua madre era una stilista, suo padre un designer. E anche Luka Sabbat, che ha respirato creatività fin da quando era bambino, ha deciso di abbracciare il fashion system. Tanto che oggi, a 23 anni, è alternativamente modello, attore, regista, produttore, stilista e designer. Su Instagram ha più di 2,5 milioni di follower ed è un vero influencer, pronto a scrivere il futuro della moda. La sua prossima sfida? L’universo delle fragranze, visto che è stato appena scelto come volto del nuovo profumo di Ralph Lauren, Ralph’s Club. Un’essenza particolare il cui lancio è stato accompagnato dalla creazione di un club virtuale, ispirato all’esperienza che si vive entrando nel Ralph’s Club di Manhattan, inaugurato nell’autunno del 2019. L’OFFICIEL HOMMES ITALIA: Sei un attore, un artista e un produttore...

A cosa stai lavorando in questo momento? Sto finendo un film, realizzato con il mio amico Duke Nicholson. E sto iniziando a lavorare alla creazione di nuovi pezzi d’arredo e di mobili design. LUKA SABBAT:

«PER ME moda VUOLE DIRE STILE E creatività CHE PRENDE FORMA NEI vestiti vestiti.. LE PERSONE POSSONO crearli E COMPORLI IN MODI totalmente DIVERSI, FARLI SEMBRARE belli E DAVVERO unici unici.. LA MODA È creazione creazione»». Di recente hai mostrato le tue opere d’arte e i tuoi mobili alla mostra “Sized” a Los Angeles. Come è nato questo progetto così concettuale? LS: Il mio amico Alexander May ha riunito un gruppo composto da artisti affermati e designer emergenti per creare una collezione di pezzi a partire da componenti vintage. Le mie creazioni (Carseat Prototype 1 & 2, 2021) sono in realtà le prime che ho realizzato, in collaborazione con Skylar Williams nel suo laboratorio a Boulder City, in Nevada. In quello spazio incredibile c’erano vecchi sedili per auto e pezzi di legno, oltre a una serie infinita di vecchi oggetti. Ho chiesto a Skylar se non potevamo creare qualche oggetto nuovo recuperando alcune parti di tutta questa spazzatura. Ha risposto entusiasta e l’abbiamo fatto, lavorando a quattro mani. LOHI:

LOHI: Una delle tue grandi passioni è l’illustrazione e stai preparando

una raccolta di disegni che verrà pubblicata prossimamente...

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Sì, sarà una raccolta di sketch realizzati nel corso del 2019, un anno in cui ho viaggiato molto. Ho disegnato tante cose in tempi diversi. E ho deciso di racchiuderle in un libroalbum di ricordi.

LS:

LOHI: L’anno scorso hai partecipato al Festival del cinema di Cannes per il film di apertura “I morti non muoiono”, e poi c’è stato il COVID che ha cmbiato tutto. Come hai vissuto la pandemia, l’isolamento e l’essere costretto in casa? LS: All’inizio è stato strano perché sono così abituato a essere in azione, a viaggiare e volare ovunque. È stato strano quando tutto si è fermato all’improvviso. Nei mesi del lockdown ho capito quanto sono stato fortunato fino a quel momento. Poi il lavoro è ricominciato, tutto è tornato alla normalità e le cose stavano ritornando ad andare bene. Ma all’improvviso mi sono reso conto che mi piace meno viaggiare, che amo di più poter dedicare del tempo ad altro. Vorrei viaggiare solo per le cose che sono assolutamente necessarie, non voglio muovermi per muovermi, senza vivere l’esperienza del viaggiare. LOHI: Sei un vero cittadino del mondo: hai origini haitiane, tedesche e irlandesi, sei cresciuto a Parigi e New York e vivi a Los Angeles. C’è qualcuna di queste culture che più ha influito nella costruzione della tua personalità? LS: No, penso che tutto coesista in modo equilibrato. Ho un’etica europea però, per il resto tutto coabita nel mio carattere. A volte è quasi più situazionale, come se alcune parti si attivassero più di altre in momenti diversi, in base al luogo in cui mi trovo. Diciamo che sogno in inglese, ma conto in francese, perché ho imparato la matematica alla scuola francese. Anche la mia routine digital quotidiana è in francese. LOHI: Hai vissuto a lungo nelle stanze dello Chateau Marmont di Los Angeles. Ti piace questo trend imperante della “staycations”? LS: Ci ho vissuto per quasi quattro anni, in realtà. Non era nemmeno un soggiorno, è stata la mia vita reale per un po’. Ci sono stati alti e bassi, ma sì, adoro questa idea della “staycation”. Anche se in realtà i miei anni allo Chateau non li ho mai visti così: a Los Angeles non avevo un altro posto dove andare, l’hotel era la mia residenza principale. Non avevo una casa, quindi ho soggiornato allo Chateau. Come quando abitavo al Mercer hotel, perché non avevo un’altra casa a New York. Mio padre viveva a Brooklyn ma io non volevo stare con lui. Non erano soggiorni nel senso che, quando non sapevo dove andare, questi hotel mi aprivano le porte. Quindi ho detto okay, vivrò qui. LOHI: Sei un’icona della moda contemporanea e un influencer. Cos’è

per te la moda?

LS: Per me è lo stile, la creatività che prende forma nei vestiti. Le

persone possono crearli e comporli in modi totalmente diversi. Puoi mescolare pezzi, combinarli insieme e farli sembrare belli e unici. La moda è una forma di creazione piuttosto decisa, estremamente soggettiva. È come l’arte. Potresti chiedermi cos’è l’arte, ma la risposta di un’altra persona sarà completamente differente. IN APERTURA—Tuxedo doppiopetto di shantung di seta, camicia, papillon e mocassini, RALPH LAUREN PURPLE LABEL. NELLA PAGINA ACCANTO—Giacca da smoking di gabardine di lana, camicia di cotone, pantaloni di shantung di seta e papillon di satin, RALPH LAUREN

PURPLE LABEL.




«SONO sempre STATO attratto DALLE fragranze INDOSSATE DA MIA nonna E MIA MADRE, DUE figure CHE SONO RIMASTE fedeli AL LORO profumo PER TUTTA LA vita vita»». Sei il nuovo volto di Ralph’s Club, l’atteso profumo di Ralph Lauren. Come sei stato scelto per questo progetto? LS: È stato un percorso lungo e articolato, abbiamo chiacchierato molto e ci siamo scoperti poco per volta. Ho incontrato Ralph nel suo ufficio a New York, il posto più pazzo che avessi mai visto. Abbiamo parlato e ci siamo conosciuti ma poi non ho saputo più nulla per diversi mesi. Un giorno il mio agente mi ha chiamato per dirmi che volevano che fossi il nuovo volto del Ralph’s Club, chiedendomi se fossi interessato a farlo. Gli ho detto: “è una domanda retorica? Certo che voglio lavorare con Ralph!” Non potevo rifiutare di collaborare con una icona della moda americana. LOHI:

LOHI : Qual è il tuo primo ricordo di un profumo?

Sono sempre stato attratto dalle fragranze indossate da mia nonna e da mia madre, due figure che sono rimaste fedeli al loro profumo per tutta la vita. Sono cresciuto in una grande casa dove abitavamo tutti insieme, per un po’ ho dormito nello stesso letto di mia mamma e di mia nonna. Ricordo che al risveglio la mia prima sensazione, era quella del loro profumo.

IN QUESTA PAGINA—T-shirt

LOHI: E qual è il tuo odore preferito?

GROOMING: Michael Anthony @ FORWARD ARTISTS ; PRODUCTION: Alexey Galetskiy @ AGPNYC; PHOTO ASSISTANTS: Amanda Yanez, Yolanda Leaney e Chevy Tyler; STYLIST ASSISTANTS: Kenzia Bengel de Vaulx e Josephine Chumley.

LS:

LS: Probabilmente

quello così unico e speciale di mia madre.

di cotone a righe, pantaloni di seta e lino e foulard di seta, RALPH LAUREN PURPLE LABEL. NELLA PAGINA ACCANTO—Tuxedo doppiopetto di shantung di seta, camicia e papillon, RALPH LAUREN PURPLE LABEL.

THE SMELL OF TOGETHERNESS Il nuovo Ralph’s Club di Ralph Lauren è la creazione di uno dei grandi maestri della profumeria contemporanea, Dominique Ropion, autore in una lunga carriera di decine di fragranze per i marchi più celebri. Tra i suoi masterpieces, Carnal Flower e Portrait of a Lady, sensualissimi best seller di Frédéric Malle, ma anche profumi simbolo degli anni ’90, come Amarige di Givenchy e il femminile di Safari dello stesso Ralph Lauren. Sempre per Malle ha firmato anche degli instant classic per gentlemen contemporanei, come Cologne Indélébile, Geranium pour Monsieur e Vetiver Extraordinaire. L’ispirazione del nuovo profumo, maschile e femminile, creato per la maison

Ralph Lauren? Le notti newyorchesi più folli e stilose, cui l'iconico designer americano aveva dedicato la collezione Autunno/Inverno 2019, popolate di personaggi eleganti, eccentrici e anticonformisti. Per l’autore il profumo, intensamente boisé, è «al tempo stesso elegante, forte e impertinente, un profumo che sfida i limiti della sensualità». Un mix di lavandina e salvia sclarea, la cui freschezza è equilibrate dal calore del legno di cedro della Virginia e dal vetiver, che per Dominique Ropion comunica prima di tutto un senso di togetherness, al punto che pur essendo evidentemente mascolino può risultare particolarmente audace e seduttivo su una donna. 65


Skin FOOD

Augustinus Bader, Bader, autorità della medicina rigenerativa e cofondatore del marchio beauty di culto, lancia una linea di integratori breakthrough.

L’OFFICIEL HOMMES ITALIA: Il mercato di food supplements è in crescita esponenziale, con lanci eccellenti come Holistic Health della Clinique La Prairie. Cosa caratterizza la vostra linea? CHARLES ROSIER: Ogni volta che immettiamo un prodotto sul mercato lo decidiamo in base ai risultati clinici: per lanciarlo pretendiamo che produca un miglioramento significativo. La ricerca ha coinvolto un network di esperti di medicina rigenerativa coordinati dal dott. Shibashish Giri. Ogni dose di The Skin contiene 25 miliardi di microbi probiotici in modo da creare un buon microbioma, oltre a nutrienti destinati agli stessi microbi che in questo modo producono Urolithin A, il solo composto a oggi conosciuto che ristabilisce la capacità cellulare di riciclare i mitocondri. Fondamentale il sistema di delivery, cruciale nel favorirne il trasporto alle cellule e l’effettiva assimilazione invece che il semplice accumulo nel sistema gastro

intestinale. The Skin agisce sulla sintesi del collagene, riduce l’apparenza di discromie, previene la formazione di rughe. In futuro commercializzeremo anche altri integratori, benefici per i capelli, il sistema immunitario e la qualità del sonno. L’utilizzo in combinazione con prodotti di altri marchi può indebolire/azzerare l’efficacia dei vostri? CR: Abbiamo sviluppato una linea cui continuiamo ad aggiungere nuovi prodotti (come la nuovissima The Eye Cream) per rispondere alla domanda di chi non potrebbe fare a meno di una beauty routine articolata. Si possono usare i nostri cosmetici anche con altri marchi, a condizione che la pelle sia pulita: se usi un siero diverso dal nostro prima di applicare la crema potresti sbarrare la strada al TFC8, il complesso trademark di aminoacidi e vitamine che crea l’ambiente ottimale per l’espletarsi dei processi fisiologici di riparazione e rigenerazione. LOHI:

La riformulazione vegana di The Rich Cream è l’inizio di un processo di riformulazione di tutti i prodotti in quest’ottica? CR: No, abbiamo soltanto voluto declinare il nostro prodotto best seller anche in una formula che rispondesse a una domanda importante, tanto più che c’erano pochi componenti da cambiare, visto che abbiamo escluso fin dall’inizio tutti gli ingredienti sospetti, solfati, siliconi. LOHI:

LOHI: Il prossimo step? CR: Il

lancio di una linea haircare.

-Fabia Di Drusco

In alto: Il professor Augustinus Bader e Charles Rosier.

Non sono passati neppure tre anni dal lancio dell’hero product di Augustinus Bader, The Cream, eppure il brand è riuscito a costruirsi una reputazione di culto, entrando nella ristrettissima cerchia dei big players all’avanguardia della transformative beauty. Lanci successivi ne hanno consolidato la notorietà, e ora è il momento dei food supplements. Ne parliamo con il Ceo Charles Rosier, il finanziere francese che riuscì a convincere il professor Bader, rinomato per le sue ricerche nel campo delle cellule staminali e della medicina rigenerativa, a declinare in campo cosmetico la ricerca trentennale che gli aveva permesso di inventare nel 2008 un gel efficacissimo nel cicatrizzare ustioni di terzo grado, che agiva segnalando alle cellule staminali della pelle di generare nuovi tessuti.



blended IDEAS L’estetica di Olivier Rousteing per Balmain incontra quella di Chivas in una limited edition davvero speciale. speciale. La parola chiave è blended. Miscelato. L’idea di unire ingredienti di qualità per ottenere un risultato eccellente nello scotch, come nella vita. Lo sapevano i fratelli James e John Chivas, che hanno introdotto questo concetto nella Scozia del XIX secolo, selezionando e unendo i migliori whisky di malto e di grano. E lo sanno oggi nell’azienda che porta il loro nome e continua la loro visione: unire idee, persone, brand. Ed è così che l’estetica audace di Olivier Rousteing, creative director Balmain, incontra il savoir-faire di Chivas in due bottiglie in edizione limitata Balmain x Chivas XV. Un tocco francese, come quello dato dal passaggio dello scotch nelle botti di Cognac. «Proprio come Balmain, Chivas ha sempre aderito ai più alti standard e nessuna delle due case ha paura di spingere i confini e rompere le convenzioni obsolete», ha spiegato Olivier Rousteing. «Quanti hanno familiarità con il nostro universo noteranno che questa collaborazione include un motivo caratteristico della casa: la catena dorata sovradimensionata. Ogni volta che ho incluso questo ornamento nelle collezioni, è stato un simbolo dello spirito di sfida della nostra ribelle e inclusiva Balmain Army, un atteggiamento audace e coraggioso che celebriamo con Chivas». Disponibile in due drop, il primo è una bottiglia in edizione limitata e numerata, con un design dorato, armature metalliche e catene, mentre l’altra ha un disegno simmetrico di catene e cinture, entrambi ispirati alle collezioni della Maison; infine una edizione con la bottle bag disegnata dal team accessori di Balmain. E proprio durante le fashion week, non mancherà l’occasione di provare lo scotch, anche in versione cocktail, in tanti pop-up bar. -Silvia Frau


L’COLLAB


PARIGI gourmet Al settimo piano del Cheval Blanc, con vista sulla Ville Lumière, Lumière, apre la prima location internazionale di Langosteria Langosteria,, il ristorante fondato da Enrico Buonocore.

Tutto è iniziato a Milano, con un locale in via Tortona per nulla appariscente. È il 2007 quando Enrico Buonocore che non è chef apre Langosteria, grazie al suo fiuto d’imprenditore. Punta sul pesce e sui frutti di mare a due condizioni: che siano freschissimi e della qualità più alta. Ci aggiunge un ambiente stiloso il giusto, un servizio che riesce a essere accurato senza cadere nel formale e vini al top, et voilà il suo locale diventa the place to be in città. Seguono a ruota le aperture sempre a Milano del Bistrot, del Caffé, quello pied dans l’eau a Paraggi. E ora tocca a Parigi in partnership con Cheval Blanc Paris, la nuova maison del gruppo LVMH. Il locale si trova al settimo piano dell’Hotel Cheval Blanc, con uno spazio interno aperto su di una terrazza super scenografica. L’affaccio è sulla Senna, con vista a 360 gradi sui tetti della città, mentre gli interni sono stati curati da Peter Marino. Per seguire l’apertura, avvenuta ai primi di settembre, Buonocore si è trasferito nella Ville Lumière con il suo staff, Alessandro Zingarello che guida il progetto, Michele Biassoni, executive chef e Gianluca Penna, restaurant manager, affiancati dagli storici corporate executive chef Domenico Soranno e Denin Pedron. Che cosa vi aspettate da questo opening parigino, il primo su scala internazionale? ENRICO BUONOCORE: Grazie a questo progetto ci siamo resi conto di quanto Langosteria sia un marchio conosciuto nel mondo, molto più di quanto immaginavamo. La situazione attuale non consente ancora grandi afflussi di clienti internazionali, perciò ora stiamo lavorando per conquistare la clientela locale, che ha una gran voglia di novità. Non abbiamo fatto un’inagurazione ufficiale, com’è tipico nostro, però i primi feedback sono pazzeschi. Giorno dopo giorno il locale diventa sempre più Langosteria. Al momento il ristorante lavora solo di sera da mercoledì a domenica, in un secondo momento arriveranno anche i pranzi. L’OFFICIEL HOMMES ITALIA:

E qual è l’essenza del vostro brand? Siamo ossessionati dai dettagli. Qui in hotel, all’inizio penso ci abbiano preso per matti, poi però cominci con le

LOHI: EB:

serate e tutti si rendono conto che certe nostre rigidità diventano una qualità enorme. Mi fai un esempio di vostre f issazioni vincenti? Innanzitutto la luce. Poter comandare l’intensità di ogni singolo faretto, o spegnere quello di cui non hai bisogno. Mi piace che i tavoli siano illuminati, ma non i corridoi. Poi c’è la disposizione dei tavoli, per rendere veloce il servizio e caldo l’ambiente. E anche le divise. Spesso nei ristoranti le vedo sgualcite, mal stirate o mal progettate. Le nostre chiariscono subito i ruoli, mentre le scarpe sono uguali per tutti. Infine, le vignette con la mongolfiera, i piccoli giochi sui tavoli, sono elementi che suscitano empatia.

LOHI: EB:

Modif icherete qualcosa della vostra cucina per avvicinare meglio i francesi? EB: Langosteria non cambierà pelle e sarò ancora irremovibile sui tempi di cottura della pasta, i clienti se ne innamoreranno. E contiuneremo a non far pagare la location, sebbene la vista qui sia davvero emozionante, con un colpo d’occhio abbracci il Louvre, la Torre Eiffel, il Sacro Cuore. LOHI:

Dopo Parigi state pensando a nuovi opening? Pre-covid ci eravamo prefissati degli obiettivi, l’emergenza ci ha però costretti a pensare in primo luogo a proteggere il nostro personale. È stato doloroso salutare quelli che hanno deciso di tornare nella propria città, ma durante l’estate abbiamo ricominciato ad assumere, anche grazie ai risultati strepitosi di Paraggi. In tanti, al nostro posto, avrebbero puntato su Londra, una scelta più semplice. Parigi, invece, è una città tutta da conquistare e con il nostro gruppo io mi sento un po’ ambasciatore dell’Italia. Vorrei dimostrare non solo le nostre capacità gastronomiche, ma anche quelle organizzative.

LOHI: EB:

Ma tu quando esci a cena in un altro locale, te la godi? Quando indosso il cappello di Langosteria sono molto esigente, se esco a cena, sono un osservatore. LOHI: EB:

Text by CRISTINA MANFREDI Photography ALEXANDRE JONETTE


L’INTERVIEW


green TASTE Michelangelo Mammoliti, Mammoliti, chef de La Madernassa nelle Langhe Roero, Roero, racconta la sua visione della cucina: naturale, minimale, neurogastronomica. Giovane, talentoso, ambizioso. È Michelangelo Mammoliti, due stelle Michelin alla Madernassa (Cuneo), miglior chef 2021 per la guida Identità Golose – il congresso italiano di cucina d’autore – e tra i protagonisti del prossimo San Pellegrino Sapori Ticino, evento elvetico di cucina contemporanea. Allievo di Marchesi, all’Albereta prima e al Marchesino poi, ha iniziato ad apprezzare fiori, germogli e erbe aromatiche (tutt’ora molto presenti nei suoi piatti) nella cucina gardesana di Stefano Baiocco, fino ad approdare nei blasonati ristoranti francesi di Alain Ducasse, Pierre Gagnaire,Yannick Alleno, Marc Meneau. Lì ha imparato rispettivamente: «Il rispetto per le materie prime, la creatività, l’arte di gestire una brigata e il lato umano». E specifica: «Quando arrivi in certi posti perdi un po’ la retta via, sei nel lusso sfrenato, le possibilità economiche sono notevoli, pensi di essere ma non sei. A 28 anni mi sono detto: “io non sono così. Non è il mio percorso”. E lì lo chef autodidatta Marc Meneau, un grande cuoco, mi ha mostrato l’importanza del lato umano, che non avevo visto». È allora che torna in Italia, dopo l’esperienza d’Oltralpe, in Piemonte, dove è nato in una famiglia di ristoratori – «a 11 anni sapevo già che volevo diventare chef» – e arriva a La Madernassa, grazie a un collega. Una prima stella Michelin, poi la seconda... con una cucina, la sua che è, «naturale, perché fa riferimento al lavoro nell’orto, alla ricerca sui semi, l’utilizzo delle erbe, alla riscoperta di vegetali antichi; minimale, perché sono piatti dall’apparenza semplice, e neurogastronomica

perché dà emozioni, coinvolge i sensi». Un lavoro quest’ultimo nato confrontandosi con una amica psicologa, fatto sullo studio della percezione del sapore e dei modi in cui influenza la cognizione e la memoria. «All’inizio facevo piatti che non mi appartenevano. Mi sono preso del tempo, ho ripreso le ricette di famiglia – come la giardiniera a cui sono legato dall’infanzia –, unito a quello che ho imparato nelle esperienze precedenti. Sono nati i miei piatti. Come “Omaggio a Kandinsky”, un trompe d’oeil nel piatto che a livello gustativo è un inganno, qualcosa che non ti aspetti, che scatena un ricordo». Tra i suoi ingredienti preferiti cita il cardo, la cipolla, l’anguilla, la nocciola e il tartufo, e ovviamente i prodotti dell’orto. Il suo, di orto, è all’interno del resort immerso nelle Langhe Roero, anch’esso coinvolto in una rivoluzione green, ed ha permesso al ristorante di essere riconosciuto dalla “We’re Smart Green Guide”, guida internazionale di cucina vegetale. «Prima ancora di essere cuoco mi sento giardiniere. Perché semino, pianto... e anche se non sono un botanico sono 15, 16 anni che studio. Bisogna conoscere bene i prodotti che si usano in cucina», s’interrompe. «E anche la tecnica, che è importante quanto il sapore. Non puoi improvvisarti, senza la tecnica non puoi cucinare un grande piatto». Gli chiediamo se è vero che per la terza stella si dà cinque anni? Lui conferma, «se non metti degli step poi ti fermi, nel lavoro devi sempre darti degli obiettivi». E seguirli. -Silvia Frau

SAN PELLEGRINO SAPORI TICINO, L'ITALIA PROTAGONISTA Nel cantone elvetico, in autunno, splendono le stelle Michelin per il San Pellegrino Sapori Ticino, evento in agenda fino al 22 novembre e ideato dal vulcanico Dany Stauffacher, che armato di passione, creatività e solida cultura enogastronomica, ha voluto valorizzare le eccellenze del territorio unendole ai grandi nomi della cucina internazionale. Il tema scelto per la quindicesima edizione è "Il Ticino incontra Le Regioni d'Italia". Ospiti d’onore sono chef due stelle Michelin provenienti da Nord a Sud dello Stivale e ospitati nelle cucine dei colleghi svizzeri, per proporre la propria idea di cucina – non sono cene a quattro mani – in location scenografiche. Dal già citato Michelangelo Mammoliti, a Donato Ascani del Glam by

Bartolini di Venezia, da Peter Girtler del Gourmestube Einhorn di Vipiteno a Nino di Costanzo del Danì Maison di Ischia. E ancora, Francesco Bracali dell'omonimo ristorante di Ghirlanda (GR), Alberto Faccani del Magnolia di Cesenatico e Stefano Baiocco del Villa Feltrinelli di Gargnano (BS). Infine Anthony Genovese, del Pagliaccio di Roma, Matteo Metullio dell'Harry's Piccolo di Trieste e Pino Cuttaia de La Madia di Licata (AG). Un Grand tour italiano che permette di comprendere come sta evolvendo la cucina e come, pur essendo contemporanea, non perda il legame con il ricordo, le tradizioni i sapori e la memoria. Ed anche (forse) come l'elemento vegetale stia diventando sempre più protagonista.


L’GOURMAND


coffee TIME Una giornata inseguendo Brad Pitt. Dall’acquisto dei chicchi di caffè in un drugstore, a un giro per le strade di Los Angeles in moto, poi la sosta al rifornimento benzina, e ancora con lui, verso casa, per una pausa caffè. O cappuccino. Questo in sintesi il cortometraggio con cui il regista Damien Chazelle insieme al direttore della fotografia Linus Sandgren e Justin Hurwitz per le musiche originali – includendo l’attore un totale di quattro premi Oscar –, hanno interpretato lo spirito De’ Longhi, leader nel settore delle macchine per il caffè. «Brad Pitt ci è sembrato l’ambassador perfetto per interpretare lo spirito della nostra azienda, che è internazionale e coraggiosa ma al contempo understated», ha detto Massimo Garavaglia, CEO Gruppo De’ Longhi, marchio italiano nato nel 1974. «L’attore è inoltre appassionato di arte, architettura e design, e non nasconde il suo impegno per le questioni di uguaglianza e giustizia, così come la sua attenzione per quelle ambientali». Un’altra forte connessione ai solidi valori dell’azienda che lo ha scelto per promuovere la propria immagine a livello internazionale, insieme a un interesse vero per la cultura del caffè e del lifestyle italiano. Anche se il caffè conquista sempre più Paesi ed è “patrimonio” di tutti: lo si tosta e lo si beve in tanti modi diversi. Ed è ormai parte delle nostre abitudini, della nostra vita quotidiana, dei momenti di socializzazione; in questo periodo spesso trasferiti in casa. Magari quella di Brad Pitt. -Silvia Frau

Photography: Lachlan Bailey courtesy De’Longhi.

È Brad Pitt a rappresentare il brand italiano De De’’ Longhi, leader nella produzione di macchine da caffè. caffè. Con un video del regista premio Oscar Damien Chazelle chiamato a raccontare uno dei riti del lifestyle italiano che ha conquistato il mondo.


L’OBJECT


the dancing

GOD Un fisico statuario, un’ un’eccezionale padronanza tecnica, una dedizione assoluta alla danza, di cui è il volto italiano nel mondo. Roberto Bolle ha il merito di aver reso pop il balletto classico,, attraendo un pubblico trasversale e vastissimo. classico Text by FABIA DI DRUSCO Photography ALBERTO MARIA COLOMBO Styling FABRIZIO FINIZZA


L’ICÔNE


IN APERTURA—Completo oversize di lana, EMPORIO ARMANI; camicia, LOUIS VUITTON. IN QUESTA PAGINA—Cappotto con ricamo gioiello e pantaloni a sigaretta, ALEXANDER McQUEEN; turtleneck, JIL SANDER BY LUCIE AND LUKE NELLA PAGINA ACCANTO—Trench di vernice e turtleneck, BOTTEGA VENETA. In tutto il servizio, boots di gomma, BOTTEGA VENETA.

MEIER.



PASSIONE, DISCIPLINA, dedizione dedizione.. PREREQUISITI DI (QUASI) TUTTE LE STORIE DI successo successo,, TANTO PIÙ NECESSARI PER CHI IL successo LO conquista SPINGENDO IL PROPRIO corpo OLTRE IL limite limite,, COME GLI atleti CHE HANNO DOMINATO L’IMMAGINARIO collettivo DURANTE quest’estate quest’estate.. O COME Roberto Bolle, Bolle, IL SIMBOLO DELLA DANZA italiana NEL MONDO. Étoile della Scala dal 2004, e per 10 anni, dal 2009 al 2019, Principal Dancer dell’American Ballet Theatre di New York, Bolle è un superbo interprete del repertorio classico che ha saputo rendere pop la danza portandola a un pubblico trasversale e vastissimo, con appuntamenti live come “Roberto Bolle and friends” e “OnDance” e spettacoli televisivi come “Danza con me”. L’OFFICIEL HOMMES ITALIA:

per la danza?

Cosa ha fatto scattare la tua passione

ROBERTO BOLLE: A cinque anni ero già innamorato della musica, mi bastava sentirla per mettermi a ballare. A sette anni i miei mi hanno iscritto a una scuola di danza a Torino, poi a Vercelli, a 12 anni sono entrato alla scuola della Scala, e dai 15 in poi hanno continuato a darmi ruoli sempre più importanti negli spettacoli.

Tanto più che eri stato notato anche da Nureyev, che ti voleva in scena all’Arena di Verona in “Morte a Venezia”, nel ruolo di Tadzio... senza che la Scala ti permettesse di farlo per una questione di età. Ma nonostante i riconoscimenti, ci saranno stati momenti difficili in cui avresti voluto mollare tutto?

LOHI:

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RB: Il peggior momento di crisi l’ho vissuto a 13 anni, col passaggio dalle medie alle superiori. Prima ogni sabato alle 2 prendevo il treno per Vercelli, poi la scuola finiva alle 6 anche di sabato e questo significava weekend di pesante solitudine a Milano, al punto che mia madre mi iscrisse allo scientifico di Vercelli per darmi un piano B. È stato particolarmente difficile perchè ero sempre da solo, allora non c’erano collegi per ragazzi, avevo una camera nell’appartamento di una signora anziana. Sono andato avanti per passione, e per la consapevolezza dell’importanza di essere alla Scala. LOHI: Dopo un film come “Black Swan” di Darren Aronofsky viene naturale pensare al mondo della danza come a un ambiente di rivalità scatenata. RB: È vero che se in alcuni balletti si crea uno spirito di gruppo, in generale è una disciplina molto gerarchica e da un certo livello in poi solitaria. Per questo amo balletti come “Sogno di una notte di mezz’estate” nella coreografia di Balanchine, dove la presenza di quattro coppie principali ti toglie dalle spalle la responsabilità dello spettacolo. LOHI:

Sei teso prima di entrare in scena?


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IN QUESTA PAGINA—Giaccone di pelle e completo con micro stampa, VERSACE; camicia di cotone, LOUIS VUITTON. NELLA PAGINA ACCANTO—Giacca di fresco di lana, DIOR; camicia di cotone, LOUIS VUITTON. NELLA PAGINA PRECEDENTE—Completo gessato, camicia di cotone e coperta con stampa logo, LOUIS VUITTON.


RB: Nei primi anni sentivo molto la pressione, non mi sentivo pronto, tanto più che la danza è una disciplina che richiede variazioni così difficili che è molto facile sbagliare, l’abilità sta nel far sì che il pubblico non se ne accorga, un’abilità che possiedo così così. Ancora adesso il momento più difficile è entrare in scena, poi la tensione scende, ti astrai dal pubblico, prendi confidenza con lo spazio, il pavimento… Riuscire a dimenticare il resto e concentrarti su di te è frutto dell’esperienza.

stilisti, sei anche apparso nelle campagne di Ferragamo e quest’anno di Bottega Veneta… RB: Mi affascina la creatività della moda, la ricerca estetica che porta avanti. Con molti stilisti ho un rapporto fin da quando ero primo ballerino (dal ’96, nda), vivendo a Milano ho sempre frequentato le sfilate, e anche nei casi in cui lo stile del brand è distante dal mio trovo sempre interessante vedere come cambia il costume.

LOHI: Avevi dei modelli?

A parte l’episodio che hai diretto per “Milano 2015” ti hanno mai proposto di lavorare per il cinema? RB: Solo per documentari. Il cinema lo adoro, prima della pandemia ci sono sempre andato molto, sono anche stato giurato al Festival del Cinema di Roma, non ho un genere favorito, guardo un po’ di tutto, anche se per intenderci non vado a vedere i film di supereroi, i vari ”Avengers”.

Anthony Dowell del Royal Ballet. E poi naturalmente i grandi che si erano imposti a tutti, Nureyev, Baryshnikov.

RB:

E dei mentori? RB: In assoluto Elisabetta Terabust, che si è battuta moltissimo perché rimanessi alla Scala. Se non ci fosse stata lei sarei andato all’estero, avevo già fatto richiesta al Royal Ballet dopo l’esperienza di una summer school. In retrospettiva non andare è stata la mia fortuna, il Royal Ballet ti tiene molto stretto. D’altro canto la Scala era così fortemente gerarchica che era difficile emergere per merito. È stata Elisabetta a cambiare questo stato di cose, perché prendeva i giovani e li portava dove voleva lei, lottando con le tradizioni del corpo di ballo, per cui dovevi fare tutta la trafila di passaggi di ruolo, e coi sindacati... mentre io volevo ballare subito.

LOHI:

LOHI: La tua partner preferita?

RB: Alessandra Ferri. Con lei c’era un’intesa speciale, era insuperabile nei ruoli romantici, drammatici, dal punto di vista interpretativo, grazie alla sua estrema naturalezza nel trasmettere emozioni è stata una delle migliori ballerine in assoluto. LOHI: I tuoi ruoli preferiti?

Mi sono sempre piaciuti quelli romantici, “La dama delle camelie”, “Manon”, “Romeo e Giulietta” ma ultimamente il balletto che preferisco interpretare è “Boléro”, per la genialità della costruzione: non esci mai di scena, diventi un idolo pagano, perché è questo che ne ha fatto la versione di Béjart, un rito pagano.

RB:

Come autodefiniresti il tuo stile? Quali sono i tuoi punti di forza? E di debolezza? RB: Penso che il mio stile sia elegante, armonioso, mentre a causa della statura ho più difficoltà sui movimenti veloci. D’altro canto l’altezza contribuisce a rendermi più espressivo e imponente. LOHI:

LOHI: La carriera di un ballerino è anche determinata dalla sua con-

formazione fisica. RB: Indubbiamente: non puoi modificare la struttura ossea o il collo del piede, ma puoi lavorare sulla rotazione en dehors, sull’elasticità del muscolo, sulla potenza del salto, tutte caratteristiche che vanno implementate con un lavoro quotidiano. Com’è stata la tua esperienza all’American Ballet Theatre? Completamente diversa da tutto quello cui ero abituato, è una compagnia che non ha un teatro, si fanno tante settimane di prove di tutto il repertorio e poi si va nei vari teatri. Mentre alla Scala lavoriamo su un solo spettacolo alla volta e ci sono infinite prove, luci, costumi, orchestra. Certo a New York hai la sensazione di essere al centro del mondo artistico.

LOHI: RB:

LOHI:

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Che rapporto hai con la moda? Corteggiatissimo da tutti gli

LOHI:

«IL balletto CHE preferisco INTERPRETARE È Boléro, PER LA GENIALITÀ DELLA costruzione:: NELLA costruzione VERSIONE DI Maurice Béjart NON ESCI MAI di scena, DIVENTI UN idolo PAGANO PAGANO»». LOHI: Consideri

Milano la tua “casa”? Si, Milano è “casa”, mi piace la sua dimensione piccola, ne amo la moda e l’architettura, la possibilità di vivere l’eccellenza della città senza il senso di invivibilità della metropoli, anche se ovviamente mi piace andare a Londra o a New York perché hanno un’altra energia.

RB:

LOHI: Il

pubblico della Scala è diverso dagli altri? È un pubblico caloroso che viene per vedere me prima ancora che per lo spettacolo.

RB:

LOHI: Il 1° ottobre alla Scala si terrà la prima del tuo nuovo balletto, “Madina”, una nuova produzione a partire dal romanzo di Emmanuelle de Villepin, “La ragazza che non voleva morire”. RB: È una sfida artistica molto importante, per la prima volta interpreto un ruolo da super cattivo, sono un terrorista che vorrebbe indurre la nipote a farsi esplodere…

Altri progetti? La mia missione è mettere la danza alla portata di tutti, mi piace trasmettere, correggere, dare indicazioni, lavorare coi giovani. Il pubblico ama già molto il balletto classico, dove ho la libertà di un direttore artistico, come in “Roberto Bolle and Friends”, cerco di portare la tecnologia nel balletto. LOHI: RB:



IN QUESTA PAGINA—Camicia e pantaloni con dettagli militari e boots di gomma, BOTTEGA VENETA. NELLA PAGINA ACCANTO—Cappa di lana, VALENTINO. NELLA PAGINA PRECEDENTE—Bomber oversize con colletto lavorato e tuta di lana jacquard, PRADA. GROOMING: Riccardo

Morandin @ W-MMANAGEMENT using MAC COSMETICS ITALIA; LIGHT DESIGN: Lorenzo Sampaolesi; PHOTO ASSISTANT: Gaia Ragnoli.


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L’STAR

Sangiovanni Let’s discover

Faccia da santo e anima ribelle ribelle,, il cantautore-rivelazione racconta con la sua musica l’amore in tutte le forme forme.. Parole leggere, sound pop e atmosfera dreamy ci accompagnano nel suo mondo dove #tuttotornaumano. Text by GIULIA GILEBBI Photography GABRIELE D’ D’AGOSTINO Styling MARCO DE LUCIA e PAOLA DE CEGLI


Non credo di averlo raggiunto, ma è molto difficile gestire la mia vita ora. È cambiata, sono cambiato io, le persone al mio fianco, le dinamiche, tutto… È come se fossi nato una seconda volta, ma già da essere cosciente, che viene completamente travolto dal mondo. Non c’è una regola da seguire, solo lavorare e impegnarsi.

S:

LOHI: Il 24 settembre è uscito il tuo ultimo singolo “Raggi Gamma”…

S: Il pezzo parla di un atto d’amore verso qualcuno, o qualcosa, che si ama davvero. È un invito a ritrovare la nostra umanità per stare meglio con noi stessi e con gli altri perché vedo tanto odio e intolleranza tra le persone. Come dico alla fine del ritornello “Se sorridi è così, che tutto torna umano”. L’amore un tempo era più semplice e durava tutta una vita. Adesso è scontato, superficiale e spesso si riduce al solo sentimento carnale mentre per me è qualcosa di molto spirituale. I miei genitori stanno insieme da trent’anni, i miei nonni da più di cinquanta. Ma quell’amore lì io posso solo immaginarlo e farmelo raccontare. Sembra più romantico e puro.

Diciotto anni sono pochi e Giovanni Pietro Damian, aka Sangiovanni, lo sa bene. Alla sua età si vive sulle montagne russe, un sali e scendi di emozioni continuo tra testa e cuore, che a volte toglie il respiro. E allora la vita si prende di pancia: sogni, paure, incertezze, affetti… tutto sembra complicato, sospeso come in una lattiginosa nube cosmica. Credi di avere il mondo in pugno, per poi vederlo crollare poco dopo. E Sangio sa bene anche questo, ma di una cosa è assolutamente certo: la sua musica. L’OFFICIEL HOMMES ITALIA: Come

hai scelto il tuo nome d’arte? Ho iniziato a fare musica in un momento particolare della mia vita, avevo problemi in famiglia ed ero ribelle. Per me era naturale esserlo, per tutti gli altri era qualcosa di sbagliato, da reprimere. Mia madre per scherzare mi diceva: “Sei sempre santo tu! Non fai mai niente di male!”. Così ho deciso di usare quel “santo” come particella del mio nome, ed ecco Sangiovanni. Spacca di brutto!

SANGIOVANNI:

I tuoi genitori ti hanno supportato? Si. Quando le cose hanno iniziato ad andare bene ci hanno creduto un po’ di più. All’inizio mi ripetevano che avrei dovuto cercare anche un piano B, perché il mondo della musica è imprevedibile e il talento e l’impegno non sempre bastano.

LOHI: S:

Sei un cantautore, che cosa rappresenta la scrittura per te? Scrivere è una delle poche cose per cui vivo, che riesco ancora a fare solo per me stesso. Ho iniziato nella mia cameretta e capita ancora... È la mia soluzione ai problemi, mi salva le giornate e dal malessere che a volte mi porto dentro.

LOHI: S:

LOHI: Nell’ultimo anno, la tua vita è stata stravolta. Come si gestisce il “successo” alla tua età?

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LOHI: Nella stessa canzone dici anche: “Ho mille problemi, ho mille pensieri per la testa”... S: Ho tante cose a cui pensare. Non ho una casa, vivo praticamente in una stanza di hotel, dormo poche ore a notte da quasi quattro mesi, vedo la mia famiglia una volta la settimana. Aggiungerei anche la pressione dei social, dove la gente cerca spesso un nemico e a volte lo vede in me. Con la musica posso comunicare messaggi positivi, sento responsabilità verso il pubblico e questo a volte mi porta a vivere una vita che non corrisponde alla mia età anagrafica. LOHI: Continuo a citarti utilizzando i versi delle tue canzoni: “Prendo la metro per portarti un regalo un po’ strano”. Qual è il regalo più strano che hai ricevuto e che hai fatto?

«IN TEMA DI comunicazione KANYE WEST È AVANTI anni luce.. CREA scenari luce DOVE LE immagini PRENDONO VITA E TUTTO È curato NEL MINIMO dettaglio dettaglio.. NON SI LIMITA A FARE musica MA VERA ARTE performativa. LA MIA IDEA DI musica È MOLTO VICINA». VICINA».


IN APERTURA—Completo stampato, camicia e sneakers, GUCCI. IN QUESTA PAGINA—Trench di pelle con motivo logo traforato, gilet di lana con sciarpa, pantaloni e boots, FENDI. NELLA PAGINA ACCANTO—Blazer, camicia, bermuda di ecopelle, sandali di vernice e calzini, DSQUARED 2.



IN QUESTA PAGINA—Piumino over, t-shirt stampata, pantaloni di cashmere, cappello e sandali, 2 NELLA PAGINA ACCANTO—Pull e pantaloni di lana, VALENTINO; borsa "Roman Stud" e

MONCLER 1952 MAN; calzini, DSQUARED2. stivali, VALENTINO GARAVANI.

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Il più bello è la mia nipotina, la figlia di mia sorella. I suoi occhi, il suo visino, le sue mani, sono vita. Forse il più strano che ho fatto è il mio cuore.

S:

Entro l’anno uscirà il tuo nuovo album. Quale direzione musicale stai esplorando? S: Non lo so ancora ma nella musica ricerco sempre la verità, a prescindere dal genere. Sono figlio di un sacco di influenze, mi piace il cantautorato italiano così come Justin Bieber ed Harry Styles. Forse sto diventando pop, se è giusto definirmi tale. LOHI:

LOHI: “Malibù” è stata un successo incredibile. Perché hai scelto proprio Malibù e non un qualunque altro posto nel mondo? S: Per tanti è sinonimo di estate californiana, il mare, le palme e la lussuria. Ma è anche una città legata a doppio filo con il mondo della musica, c’è uno degli studi di registrazione più importanti al mondo, lo Shangri-La dove hanno suonato tutti i grandi, come i Red Hot Chilli Pepper. LOHI:

C’è una canzone che avresti voluto scrivere?

S: Una su tutte “Afrodite” di Blanco. La ascolto e mi fa del bene. LOHI: Tre

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artisti under 25, che dettano il panorama musicale?

Blanco, che ha portato qualcosa di originale e incredibilmente forte. E poi anche Madame e Tha Supreme.

S:

La collab che vorresti fare in questo momento? ne sono moltissime. Sarei fiero e onorato di farla con Jovanotti, un vero idolo della comunicazione. È geniale. Vorrei essere una sua versione 2.0. LOHI:

S: Ce

LOHI: Un paio di mesi fa Kanye West ha lanciato il suo album “Donda” con una performance molto più vicina all’arte contemporanea che a un concerto. L’hai seguito? S: Kanye West con “Donda” ha fatto qualcosa di nuovo. Non gli interessa vendere dischi, vuole fare arte con la musica e fa in modo che la gente (tanta gente) lo ascolti. In Italia siamo ancora lontani da tutto questo, non ci appartiene e non lo capiamo. LOHI: L’approccio è interessante, non trovi?

Assolutamente. La mia idea musicale è molto vicino a quella. Se parliamo di comunicazione Kanye West è avanti anni luce, crea scenari dove le immagini prendono vita, niente è lasciato al caso e tutto è curato nel minimo dettaglio. Non si limita a fare musica ma vera arte performativa, se ci riesci hai vinto! Al contrario Drake, ad esempio, fa bei pezzi ma si ferma lì.

S:


LOHI: Che rapporto hai con la tua immagine e la moda?

S: L’immagine è quella di sempre, non è cambiata molto. È vera

e mi piace che non sia ben definita. Non mi importa se è femminile, maschile o se per qualcuno è sbagliata. Lo stesso vale per la moda, indosso quello che mi fa stare bene e sentire a mio agio. È un tema che mi appassiona, ricerco i capi, i termini corretti, i designers… è un mondo non lontano dalla musica, parallelo, a volte simbiotico. LOHI: La nostra società si basa (ancora ed innegabilmente) sullo stereotipo del bello. Cos’è per Sangio la bellezza? S: È amare senza filtri e vedere le cose nell’essenza per apprezzarle così come sono. La frase “Sei oggettivamente un bel ragazzo/a” per me è insignificante, le persone belle sono quelle pure. LOHI: Da qualche settimana è ricominciato il programma televisivo “Amici” di Maria de Filippi, al quale hai partecipato lo scorso anno. C’è un consiglio che daresti a un allievo della “classe”? S: Di vivere il momento senza pensare troppo, soprattutto al dopo. Non ci si deve precludere nulla, tutti gli errori, le sconfitte, le vittorie servono a crescere e sono indispensabili. Rimpiango quei giorni, vivevo in pace in una bolla. Ora sono nel mondo, sulla terra e le cose sono ben diverse!

«LA MIA immagine È QUELLA DI sempre sempre.. È VERA E MI PIACE CHE NON SIA BEN definita. NON IMPORTA SE È femminile,, MASCHILE O femminile SE PER QUALCUNO È SBAGLIATA» SBAGLIATA». IN QUESTE PAGINE—Camicia

e pantaloni di maglia e lurex su camicia di popeline, EMPORIO ARMANI; calze e scarpe stringate, DSQUARED2; bracciali, Sangiovanni's own. A DESTRA—Piumino con cappuccio e pantaloni a stampa paisley, ETRO; calzini, DSQUARED2.

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IN QUESTA PAGINA—Piumino, DSQUARED 2; turtleneck e gonna di nylon, 2 MONCLER 1952 MAN . NELLA PAGINA ACCANTO—Duvet jacket e pantaloni, STELLA M c CARTNEY; pantofole, DSQUARED 2. GROOMING: Stefania

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Visentin using @ COTRIL; PHOTO ASSISTANT: Luca Broilo; LOCATION: Fucine Vulcano (Milano).




L’TALENT

playing

my

GAME

La sua hit più celebre sta per superare i 160 milioni di stream. Uno scatto non scontato nella carriera di un artista che mescola garage, rap, drill con lyrics introspettive. Lui è AJ Tracey, classe 1994, nome in ascesa nel panorama musicale. Nato a Brixton e cresciuto a Ladbroke Grove – quartiere di Londra a cui ha intitolato la sua hit di maggior successo – AJ Tracey, all’anagrafe Ché Wolton Grant, è una delle star più in vista del rap inglese. “Flu Game” è il suo secondo disco ufficiale che, come da titolo e artwork, trova la sua fonte d’ispirazione principale nel mondo del basket. Un omaggio vero e proprio all’epica partita disputata da Michael Jordan nel 1997 a Salt Lake City, contro gli Utah Jazz. Dancehall, pop, trap e garage

music rappresentano un melting pot di generi a cui attingere a piene mani, condensato in un disco di 16 tracce che l’ha trasformato nell’artista inglese del momento. Dagli ambienti poveri di West London al dominio del rap britannico mainstream. Rispetto alla tua adolescenza, adesso hai più fiducia in te stesso o permangono alcune insicurezze?

L’OFFICIEL HOMMES ITALIA:

Text by MARCO TORCASIO - Photography ALAN GELATI - Styling AGA DZIEDZIC


IN APERTURA—Piumino con cappuccio e passamontagna di lana, GIVENCHY. IN QUESTA PAGINA—Bomber di pelle, PRADA; joggers, NIKE. NELLA PAGINA ACCANTO—Giacca da college, LOUIS VUITTON.



IN QUESTA PAGINA —Cappotto di shearling, BOTTEGA VENETA; pantaloni, HAIDER ACKERMANN. NELLA PAGINA ACCANTO—Pull di lana e borsa a tracolla, DIOR.

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AJ TRACEY: Sono cresciuto in un contesto fortunato perché mia madre si è sempre presa cura di me. La mia famiglia mi è stata costantemente vicina e questo mi ha consentito di non preoccuparmi di quello che gli altri avrebbero pensato di me. Chiaramente anche io ho le mie insicurezze, sono un essere umano, ma non rappresentano motivo di preoccupazione. Le mie radici rimangono un punto fermo della mia vita anche adesso che assaporo il gusto del successo. LOHI: Il tuo vero nome è Ché, come il rivoluzionario argentino Ché Guevara, e tuo padre è originario di Trinidad. Questi elementi hanno segnato in qualche modo il tuo percorso? AT: Le origini di mio padre hanno influenzato il mio background facendomi scoprire sonorità tipicamente caraibiche e avvicinandomi molto alla musica reggae. Vibrazioni fortemente rivoluzionarie da un punto di vista anche culturale, poiché vettori di tematiche importanti legate al concetto di libertà degli individui. LOHI: Hai davvero iniziato condividendo musica online con lo pseudonimo di Looney?

AT: Sì, da dentro la mia cameretta mettevo in rete i miei primi esperimenti musicali servendomi della piattaforma SoundCloud e aspettavo con ansia le impressioni del mondo là fuori. LOHI: Garage britannico, grime and drill, trap statunitense e R&B sono tra le tue influenze più riconoscibili. Come convergono generi diversi tra loro nel tuo progetto musicale? AT: Mi muovo sulla scena londinese con una certa versatilità. Ogni artista ha il suo tratto distintivo e credo questo sia il mio. Mi piace scivolare tra le suggestioni e cerco di dare del mio meglio per far sì che il prodotto di questa mia esplorazione coincida con suoni il più possibile sorprendenti. LOHI: La versatilità di cui parli ti ha consentito di diventare l’avamposto di una giovane generazione del rap britannico che spazia con disinvoltura tra stili differenti. Perché è così importante non porsi limiti di sorta? AT: Vivere all’interno di una scatola chiusa non porta da nessuna parte. Bisogna uscire allo scoperto per dare libero sfogo alla propria immaginazione e alla creatività. Un vero artista non vorrebbe mai sentirsi costretto, ma libero di viaggiare con fluidità verso nuovi orizzonti. LOHI: Il tuo debutto è disco d’oro e molti dei tuoi singoli sono certificati platino. Tra questi anche il summer anthem “Ladbroke Grove”. Cos’ha di così speciale quella canzone? AT: È un pezzo davvero sorprendente. Il garage è un genere musicale molto complesso, io stesso forse sono ancora troppo giovane per decodificarlo e comprenderlo fino in fondo, ma grazie a “Ladbroke Grove” le persone hanno capito quanto io abbia cercato di rispettarne la vera essenza. LOHI: Pensi che la scena rap britannica possa diventare la forza musicale dominante in UK? AT: Non ho idea di cosa succederà, ma sono certo che “the next big thing” sarà differente da tutto il resto. In UK non temiamo il cambiamento e siamo sempre pronti ad evolverci. È dannatamente eccitante. LOHI: I tuoi video hanno raggiunto visualizzazioni da capogiro, ma è abbastanza chiaro che non sei interessato solo ai numeri. A cosa stai puntando in realtà? AT: Vorrei far sapere ai ragazzi là fuori che possono raggiungere ciò che io stesso ho raggiunto anche con un background povero alle spalle. È questo il mio messaggio: potere alle intenzioni. LOHI: Ti abbiamo visto indossare gli abiti di Donatella Versace per interpretare la Flash Collection del marchio sulle note di “Step On”. Come costruisci i tuoi look? AT: Amo mescolare più stili. Dallo street style newyorkese allo streetwear iconico che Kim Jones disegna per il menswear Dior. Apprezzo molto anche brand come Bottega Veneta che si impegnano a rispettare i massimi standard di sostenibilità ambientale. È questa la più grande sfida per la moda contemporanea.

Cosa c’è nella tua comfort zone? Decorazioni iper-colorate, il mio computer e tutti i miei videogames. LOHI: AT:

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IN QUESTA PAGINA—Cardigan, MARNI; pantaloni, HAIDER ACKERMANN; sneakers, LOUIS VUITTON. NELLA PAGINA ACCANTO— Gilet e pantaloni, RICK OWENS; collana, BOUCHERON; sneakers, NIKE. GROOMING: Dorita Nissen @ WIZZO AND CO using BENNY HANCOCK FOR MEN and CHARLOTTE MENSAH MANKETTI RANGE; STYLING ASSISTANT: Georgia Petrou.



L’STYLE

FASHION OVERVIEW THE CREW: Stefania Paparelli, Giulio Martinelli, Alessio Pozzi, Francesco Finizio, Fabrizio Finizza, Mattia Liam, Ibrahima Ndiaye, Bastien De Bels, Federico Manelli, Sergio Amore, Vitor Andrade, Oleksander Kuborskyi, Alhassane Francois, Adedayo Atiba, Kosmas Pavlos, Luca Falcioni, Nacho Penin, Isabelle Bonjean, Emily Minchella, Tom Rey.


the

next

CULT Maglieria old style. Bold fake fur. fur. Proporzioni da bravo ragazzo. ragazzo. Barocchismi etnici. Overvsized silhouette. Accenti active e tessuti hi-tech hi-tech.. Interpretati dal super model Alessio Pozzi. Pozzi. Photography STEFANIA PAPARELLI Styling GIULIO MARTINELLI



NELLA PAGINA ACCANTO—Gilet

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IN APERTURA—Gilet di mohair e pantaloni di cotone con impunture, MSGM. IN QUESTA PAGINA—Camicia di seta, pantaloni e maxi sciarpa di cashmere, FENDI.

con collo a V, pantaloni e sneakers, HERMÈS. In tutto il servizio collane vintage, orecchino Alessio's own.


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IN QUESTA PAGINA—Cappotto bimaterico di shearling, LOEWE. NELLA PAGINA ACCANTO—Cappotto di shearling stampa animalier, felpa e t-shirt di cotone, jeans

fascia di lana e stivali "Berlin", CELINE HOMME BY HEDI SLIMANE.

"Kurt",

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NELLA PAGINA ACCANTO—Giacca tuxedo di jacquard, t-shirt di pizzo e pantaloni di misto lana e seta, DSQUARED 2. IN QUESTA PAGINA—Cappotto di lana con collo di shearling, TOD'S; camicia di pelle, BALLY.


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IN QUESTA PAGINA—Giacca

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doppiopetto con motivo Paisley, gilet a trecce, pantaloni over con stampe jacquard, ETRO; camicia di pelle, BALLY. NELLA PAGINA ACCANTO—Cappotto di lana effetto pelliccia, denim e sneakers, DOLCE & GABBANA.

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IN QUESTA PAGINA—Lungo cappotto e pantaloni di denim, LOUIS VUITTON. di re-nylon, turtleneck, pull di lana mohair, pantaloni di flanella gessata e scarpe stringate, PRADA. NELLA PAGINA ACCANTO—Camicia e gonna di pelle, TRUSSARDI MODEL: Alessio Pozzi @ ELITE; HAIR: Desirée Palma; MAKE UP: Riccardo Morandin CREW LOREM IPSUM—Lorem Ipsum@ W-MMANAGEMENT; PRODUCTION: Paolo Gerina; CASTING: Simone Bart Rocchietti @ SIMOBART CASTING; STYLING ASSISTANTS: Terry Lospalluto, Donato D'Aprile e Barbara Zilli.

NELLA PAGINA ACCANTO—Giaccone

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the

fab

SIX

Ricordi punkish. Knitwear mania. mania. Think pink. Suggestioni militari. militari. Neo-sportswear. Neo-sportswear. Underground black. L’uomo del prossimo inverno esplora nuove frontiere, frontiere, complice una squadra di trend destinati a cambiare le regole regole,, tradizionali, del menswear menswear.. Photography FRANCESCO FINIZIO Styling FABRIZIO FINIZZA



IN APERTURA, DA SINISTRA—Occhiali

da sole con montatura di metallo e doppie lenti, BRUNELLO CUCINELLI. Piumino di tessuto tartan, KWAY®; canotta a coste, BIKKEMBERGS; pantaloni di tessuto tecnico, ICEBERG; anfibi, CELINE HOMME BY HEDI SLIMANE. Gilet a stampa camouflage, maglia a rete con oblò di metallo, kilt, pantaloni e anfibi, CELINE HOMME BY HEDI SLIMANE. IN QUESTA PAGINA, DA SINISTRA—Pull over e tuta di lana jacquard e dolcevita, PRADA. Felpa con cappuccio, camicia di cotone, denim con scritte, cintura con fibbia, coperta con stampa logo e sneakers, LOUIS VUITTON. NELLA PAGINA ACCANTO, DA SINISTRA—Giaccone di lana con colletto di velluto a coste e dettagli di metallo, FAY; camicia e pantaloni di denim, JACOB COHEN; dolcevita, CANALI; sneakers, DIOR. Pull e pantaloni di lana a lavorazioni crochet, MARNI. In tutto il servizio collane, models' own.


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IN QUESTA PAGINA—Bolero di piume, GUCCI. NELLA PAGINA ACCANTO, DA SINISTRA—Tuta in tessuto tecnico stampato, MOSCHINO; sneakers, model's

own. Tuta in suede, collana con cristalli, GCDS; sneakers, DIOR. Pantaloni, GCDS; doposci, MOON BOOT X GCDS.

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IN QUESTA PAGINA, DA SINISTRA—Completo di fresco di lana, LUIGI BIANCHI MANTOVA; dolcevita, CANALI; collana, LOUIS VUITTON; borsello a tracolla con chiusura di metallo, DIOR. Bomber in tessuto tecnico, BIKKEMBERGS; dolcevita, PRADA; pantaloni, LORO PIANA; collana, LOUIS VUITTON. NELLA PAGINA ACCANTO, DA SINISTRA—Cappotto con piping, camicia stampata, pantaloni con coccarda e stivali di gomma, DIOR. Trench di tessuto silver, pantaloni di crêpe, SALVATORE FERRAGAMO; sneakers, DIOR. Giubbino e pantaloni, LORO PIANA FEATURING HIROSHI FUJIWARA; dolcevita, PRADA.


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IN QUESTA PAGINA—Felpa con tasche in tessuto tecnico, STONE ISLAND; pantaloni, BIKKEMBERGS; guanti di pelle e borsa a tracolla di renylon, PRADA; cappello di velluto a coste, OBEY. Pattini, BOTTEGA VENETA. NELLA PAGINA ACCANTO, DA SINISTRA—Felpa con cappuccio, UNITED COLORS OF GHALI X BENETTON; polo a righe, UNITED COLORS OF BENETTON; pantaloni, DISCLAIMER; cappello, KWAY®; collana, SWAROVSKI; sneakers, model's own. Tuta bilcolore, LACOSTE; sneakers, LOUIS VUITTON. Felpa con dettagli tecnici e pantaloni di cotone, FILA; cappello, EDWIN.


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IN QUESTA PAGINA, DA SINISTRA—Top a collo alto e pantaloni di pelle, GUCCI; anfibi, CELINE HOMME BY HEDI SLIMANE. Camicia di seta e pantaloni di pelle, ROBERTO CAVALLI, stivali, VALENTINO GARAVANI. T-shirt, _SUCKS.; giacca, CARLO PIGNATELLI. NELLA PAGINA ACCANTO, DA SINISTRA—Completo e top a rete, VALENTINO; collane, SWAROVSKI e LOUIS VUITTON. Giacca, pantaloni, top di maglia, collare di maglia lavorato a coste e collana a catena con lucchetto logo, GIVENCHY. MODELS: Mattia Liam @ WHY NOT MODELS; Adedayo Atiba @ THE CLAW MODELS; Sergio Amore e Vitor Andrade @ IMG MODELS; Ibrahima Ndiaye, Bastien De Bels e Federico @ INDEPENDENT; François e Oleksander Kuborskyi @ WONDERWALL MGMT. NELLA Manelli PAGINA ACCANTO— Camicia e Alhassane gonna di pelle, TRUSSARDI GROOMING: Silvia STYLINGLorem ASSISTANTS: Cecilia Lioce. CREWSidoli; LOREM IPSUM— Ipsum

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free

SPIRIT Un viaggio-esplorazione alla scoperta degli elementi della natura natura.. La capsule creata da Silvia Venturini Fendi per l’uomo di Fendi è una rilettura in chiave fashionista di una vita open air. Ricordi di escursionismo e di alpinismo si mixano con dettagli che evocano marmo e pietra, stampe minerali minerali,, cromie legate alla terra e accessori nati dalla declinazione di bag iconiche. iconiche. Photography KOSMAS PAVLOS Styling LUCA FALCIONI



IN APERTURA—Camicia e pantaloni sartoriali e sciarpa di lana intrecciata con logo, FENDI. IN QUESTA PAGINA—Turtleneck di shearling e cotone con logo, cappello di suede e borsa “Baguette Trunk Mini” di NELLA PAGINA ACCANTO—Camicia e bermuda fantasia, occhiali da sole e sneakers, FENDI.

pelle, FENDI.



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IN QUESTA PAGINA—Camicia e pantaloni fantasia e slipper con motivo FF a rilievo, FENDI. NELLA PAGINA ACCANTO—Pull con motivo FF a rilievo, bermuda, borsa “Peekaboo ISeeU” di pelle e stivaletti stringati NELLE PAGINE PRECEDENTI—Giacca e pantaloni con profili a contrasto, FENDI. MODEL: Nacho

di pelle,FENDI.

Penin @ IMG MODELS; GROOMING: Suzana Neziri; GROOMING ASSISTANT: Miriam Pagliarulo; LOCATION: Trulli Mansueto, Noci (Bari)



Modern DANDY

Il concept (o l’idea collettiva) di ciò che identifica l’abbigliamento abbigliamento maschile si è chiaramente ampliato e modificato negli ultimi anni. Mentre tagli provocatori, provocatori, tessuti trasparenti e dettagli eccentrici hanno trovato il loro posto nel guardaroba dell’uomo contemporaneo contemporaneo,, anche il suo dress-code in materia di gioielleria è cambiato. L’orologio L’ orologio non è più l’unico protagonista del polso: uno scintillante segnatempo Richard Mille appare ancora più sofisticato accanto a un bracciale in oro Tiffany & Co., Co., mentre un anello Clash de Cartier trova felicemente posto accanto a un moderno orologio Jaeger-LeCoultre Reverso. E sebbene la perla perla,, una delle pietre preferite dalla Gen Z, Z, brilli con tutto il suo splendore su una collana Boucheron Boucheron,, il diamante mantiene forte il suo status di re della joaillerie e diventa scintillante su un anello De Beers. Beers. Il mondo dell’alta alta gioielleria al maschile è pieno di opzioni, dal classico e raffinato all’over-the-top all’over-the-top,, per completare qualsiasi look. Regalando al menswear un acuto di eccentricità, sempre meno folle. Photography ISABELLE BONJEAN - Styling EMILY MINCHELLA



IN APERTURA—Orologio "RM 07-01" con diamanti, RICHARD MILLE; collana "Tiffany City HardWear" e bracciale "Tiffany 1837TM" in oro giallo, TIFFANY & Co. ®; giacca, SANDRO. IN QUESTA PAGINA—Sautoir "Liberated Spirit" con diamanti, MESSIKA; anello con diamanti taglio cuore, DE BEERS JEWELLERS; giacca, EMPORIO ARMANI. NELLA PAGINA ACCANTO— Orecchini, bracciale con diamanti, CHAUMET; bracciale "Serpenti Viper" in oro bianco con diamanti a doppia spirale e anello "Monete" in oro rosa con moneta antica, BVLGARI; camicia, FENDI.

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IN QUESTA PAGINA—Choker "Vladimir" con doppio filo di perle di diamanti e collana "Jack de Boucheron triple wrap" in oro bianco,BOUCHERON; giacca, AMI PARIS; foulard, CHARVET. NELLA PAGINA ACCANTO— Anello "Clash de Cartier" in oro bianco, CARTIER; bracciale "Flow" in oro bianco e diamanti, BARE FINE JEWELRY BY DRIES; orologio "Hybris Mechanica" in platino con cinturino di pelle, JAEGER-LECOULTRE; giacca, BRUNELLO CUCINELLI; sciarpa, CHARVET. MODEL: Tom

Rey @ SUCCESS MALE MODELS AGENCY.



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L’EXTRA

CREATIVE MINDS THE CREW: Duran Duran, Alan Gelati, Chloe Beeney, Fabia Di Drusco, Chitose Abe, Kim Jones, Brett Lloyd, Cristina Manfredi, Blanco, Bogdan, Tiny Idols, Paul Szczerba, Pierre Mahéo, Alexandre Mattiussi, Erwan Le Louër, Anne Gaffié, Baptiste Piégay, Silvio Campana, Filippo Ferrarese, Margherita Meda, Jack Savoretti, Mattia Guolo, Giorgia Cantarini, Simone, Bricchi, Francesco Finizio, Fabrizio Finizza, Fabio Barbieri, Viktorija Rosenberg, Leonas Paulius, Kit Woo, Patricio Campillo, Federico Cina, Florentin Glémarec, Kevin Nompeix, Emily Bode, Devin Yadav.


DURAN Duran Sono stati una delle band simbolo degli anni ’80. Al punto che non c’era praticamente adolescente che non avesse in camera il poster di John Taylor o di Simon Le Bon. All’inizio dell’era di MTV i loro video, “Girls on film”, “Save a prayer”, “Hungry like the wolf”, trasmessi in non stop, erano stati determinanti per lo scatenarsi della Duranmania. Folle di groupies (Lady Di inclusa) sembravano disposte a tutto, e la loro musica faceva ballare chiunque. La storia inizia con due adolescenti di Birmingham, amici fin da bambini, Nick Bates e Nigel Taylor, che si sarebbero poi reinventati come Nick Rhodes e John Taylor: nel ’78 formano una band il cui nome, scovato da John, deriva da un personaggio del cult sci-fi anni ’60 “Barbarella”. Il gruppo trova la sua formazione definitiva con l’arrivo prima del batterista Roger Taylor, poi di Andy Taylor alla chitarra (nessuno dei Taylor è imparentato con gli altri) e infine con la comparsa di Simon Le Bon. Tutto accade molto velocemente, il primo a scommettere su di loro è Dave Ambrose della EMI, lo stesso che aveva messo sotto contratto i Sex Pistols. Debuttano nell’81, con un album che porta il loro nome e il cui primo singolo, tra synth pop e new wave, “Planet Earth”, diventa una hit nella top chart inglese. Ma è il secondo album, “Rio”, che li porta ai primi posti delle classifiche americane e li trasforma da club band in pop star. È l’inizio di un periodo di wild parties, fidanzate trofeo (leggi top models, Renée Simonsen per John, Yasmin Parvaneh, tuttora sua moglie, per Simon), di tensioni crescenti tra ego fuori controllo. Nell’84 si separano, John, con Andy e Robert Palmer, forma i Power Station, Nick e Simon diventano Arcadia, Roger suona con entrambi i gruppi. Tornano insieme per “Live Aid”, il più grande evento musicale della storia che terrà oltre due miliardi di spettatori incollati alle televisioni di tutto il mondo. Un’iniziativa di Bob Geldof per raccogliere fondi per la carestia in Etiopia che vedrà salire sui palchi di Wembley e Filadelfia tutti quelli che contano nel mondo della musica, da Bob Dylan a David Bowie, dai Queen agli U2. Quando incidono “Notorious”, che esce nell’86 ed è ancora un successo, Roger Taylor se ne è già andato per trasferirsi in una fattoria in campagna, più tardi se ne andrà Andy, convinto che la band fosse diventata troppo commerciale, mentre nel ’97 si defila anche John, per andare a disintossicarsi dalla cocaina. Tornerà nel 2001, come Roger, ma nel frattempo il fenomeno Duran Duran cede il center stage ad altre band, altri generi di musica, altre estetiche, anche se naturalmente realizzano altri album, ogni tanto una hit… L'OFFICIEL HOMMES ITALIA: Lo scorso 22 ottobre è uscito il nuovo album, il quindicesimo della vostra carriera, “Future Past”, a sei anni di distanza dal precedente del 2015, “Paper Gods”. Come è nato questo progetto?


Nick Rhodes e John Taylor, i fondatori dei Duran Duran, raccontano il nuovo album, le dinamiche tra membri della band e il loro (fondamentale) rapporto con la moda moda.. Text by FABIA DI DRUSCO - Photography ALAN GELATI - Styling CHLOE BEENEY


Avevamo iniziato a lavorare all’album prima del lockdown, e quando abbiamo ripreso la prospettiva di tutti era molto diversa. Di grande ispirazione è stato avere in studio Graham Coxon, il chitarrista dei Blur, e Mike Garson, il pianista di Bowie, per noi una leggenda in assoluto, ma anche Giorgio Moroder, lo ammiriamo da quaranta anni e questa è la prima volta che lavoriamo con lui, riuscendo a realizzare, credo, una canzone al 100% Duran Duran e al 100% Giorgio Moroder. JOHN TAYLOR: È un album in cui traspare la personalità di ogni membro della band e di ognuno degli artisti cui abbiamo chiesto di collaborare. Mentre all’inizio abbiamo fatto dischi dominati da super producers, perché in un certo senso non sapevamo chi fossimo veramente.

LOHI: Il disco favorito tra tutti quelli dei Duran Duran?

LOHI: Quali sono i musicisti che vi hanno influenzato di più?

di direzione, quando parti da una pagina bianca la mattina e esci dallo studio la sera con la consapevolezza di aver creato qualcosa. Ma se facessi la stessa domanda a Simon lui ti direbbe che il suo momento preferito è la performance live. JT: Mi piace la fase creativa iniziale, quella dove si determina il mood, il tono, quella dove siamo più prolifici; poi rallentiamo: Simon può stare mesi su un testo e io divento matto. Come bassista poi posso stare in studio a fare qualche suono di incoraggiamento, ma mi rendo perfettamente conto che loro vanno avanti senza di me. E poi c’è il momento live, è sempre stato il mio elemento, è

NICK RHODES:

NR: David Bowie, Iggy Pop, Lou Reed, i Kraftwerk, gli Sparks, e

poi i T. Rex, i Roxy Music. Io e John abbiamo scoperto insieme il punk rock, i Sex Pistols, i Clash, Siouxsie and the Banshees, più tardi la musica elettronica di Giorgio Moroder. JT: Ovviamente i Beatles e non solo per la genialità dei loro testi e della loro musica, ma perché hanno sperimentato di tutto, aperto tutte le strade. E David Bowie, la referenza assoluta per ogni membro della band, i Clash, i Queen... mi piacciono i gruppi versatili che non cessano di reinventarsi, di uscire dalla comfort zone di un solo genere musicale. Per questo non ascolto abitualmente la musica che amo, e invece dedico molto tempo ad ascoltare la musica che non conosco. LOHI: Vi siete lasciati, riconciliati, riallontanati, sono entrati a far parte

della band musicisti diversi. Com’è la dinamica dei vostri rapporti? JT: Con Nick il legame è fortissimo, siamo entrambi figli unici, entrambi Gemelli, con Simon c’è una profonda alchimia, in realtà siamo come una famiglia, legati da tante dinamiche differenti. Non siamo autori di canzoni, direi che piuttosto lavoriamo come architetti, siamo espressionisti astratti: possiamo lavorare sul sound di un brano sei mesi prima di scrivere il testo. Siamo in quattro e siamo una democrazia, e lavoriamo con tutta una serie di collaboratori, ascoltando tante opinioni quando ormai la maggior parte della musica contemporanea nasce con solo due figure, artista e producer. Credo che se siamo rimasti rilevanti è perchè abbiamo lottato per esserlo, non ci siamo adagiati su un groove riproposto all’infinito. La nostra è una forma di terapia di gruppo fondata sulla forza di stare insieme. Personalmente ho bisogno di una spinta, il successo e gli anni mi hanno fatto diventare pigro, ho fatto album dove ho suonato due note e che poi sono stati presi in mano da altri. In “Rio” abbiamo suonato qualsiasi cosa fosse possibile suonare per catturare l’attenzione, più tardi a New York, lavorando con musicisti pazzeschi, mi sono messo in discussione, mi sentivo piccolo, non troppo bravo. Avevo cominciato con la chitarra, ma poi sono passato al basso perché tutti volevano suonare la chitarra… NR: John ed io siamo amicissimi, avevo 10 anni quando l’ho conosciuto, lui dodici. Eravamo figli unici e siamo cresciuti come fratelli. Ma anche con gli altri membri della band il rapporto è molto stretto. Mi sembra impossibile siano passati 40 anni, siamo stati tanto tempo insieme, siamo sempre stati molto ambiziosi, abbiamo sempre puntato a essere i migliori e abbiamo sempre cercato di essere contemporanei, di utilizzare la tecnologia più avanzata. Non ci siamo mai identificati con un genere musicale e non siamo rimasti attaccati a un singolo tipo di musica. Io e John siamo sempre stati ossessionati dalla grafica e ci siamo sempre considerati un collettivo di creativi. 150

In realtà il nostro lavoro va considerato nella sua interezza, anche se ovviamente “Rio”, nell’82, è stato l’album chiave. Ma direi anche “Notorious”, che credo abbia influenzato molti altri artisti e “The Wedding Album”, del ’93, con quella che è forse la mia canzone preferita, “Come Undone”. E poi anche l’album della nostra riunione . Siamo sempre stati molto meticolosi, molto esigenti su tutti i dettagli, non è un caso se in 40 anni abbiamo fatto in tutto 15 album, avremmo potuto farne il doppio, ma forse è per questo che abbiamo retto il test del tempo. JT: “ Rio” e “Seven and the Ragged Tiger” (’83).

NR:

LOHI: Qual è la fase che preferite nella realizzazione di un disco?

NR: Quella iniziale, della creazione ancora priva di limiti, di confini,

«NON SIAMO autori DI canzoni, DIREI CHE lavoriamo COME ARCHITETTI, SIAMO espressionisti ASTRATTI. SIAMO IN quattro E SIAMO UNA democrazia. LA nostra È UNA SORTA DI terapia DI GRUPPO, fondata SULLA FORZA DI stare INSIEME INSIEME»». quando temina il parlare e inizia il livello puro di connessione con la musica, una magia che mi ha attratto fin da ragazzo. Avevo 16 anni quando ho iniziato a esibirmi in pubblico, ma quella sensazione di pericolo prima di iniziare perché tutto può succedere, e poi l’ondata di adrenalina che ti trasmette la felicità della gente quando inizia a cantare e ballare la tua musica, sono sempre presenti. Abbiamo suonato davanti a audience piccole come in festival come quello di Whight in cui fino all’orizzonte vedevi solo pubblico. È stato incredibile ogni volta. LOHI: I concerti cui siete più legati? JT:

Ovviamente “Live Aid”, perchè far parte di quel line up


pazzesco di artisti è stato esaltante, ma anche il primo tour fatto in UK con solo due singles e le ragazze che urlavano. Stavano sotto il palco e non ci ascoltavano neppure veramente, l’unica cosa che volevano era catturare la nostra attenzione. Anche Coachella è stata un’esperienza incredibile, e poi ricordo certi concerti pazzeschi in Italia: a Milano per il tour di “Notorious” ci siamo esibiti per la prima volta in uno stadio (San Siro, nda). LOHI: Cosa vi piace fare quando non lavorate?

NR: Io non smetto mai di lavorare, nella fase iniziale del lockdown ero orripilato all’idea di non poterlo fare. Ho risolto sistemando il mio archivio digitale di fotografie e producendo “Astronomia”, quattro album con Wendy Bevan, pubblicati separatamente nelle date dei solstizi e degli equinozi di quest’anno, con l’ultimo che uscirà a dicembre. Wendy è creativa, chic, umorale, abbiamo molte cose in comune, anche lei è fotografa. Avevo lavorato come produttore al suo disco, poi quando abbiamo capito che con il lockdown dovevamo bloccare tutto, perché non aveva senso realizzarlo senza promuoverlo in tour etc etc ci siamo decisi a lavorare su qualche canzone puramente strumentale, ed è stato così stimolante che i pezzi sono diventati 52. JT: Penso che stare sdraiati bordo piscina sia uno dei grandi piaceri della vita, non per nulla ho scelto di vivere in California. LOHI: Siete sempre stati molto sensibili alla moda, e il vostro look è stato indubbiamente una delle ragioni del vostro successo. NR: Mi piacciono gli abiti ben disegnati, ben strutturati, odio lo sportswear, non mi vedrete mai in jeans o in tuta. Ho sempre seguito i nuovi designer, in particolare quelli usciti dalla Central Saint Martins, mi piace andare alle loro sfilate, sostenerli pubblicamente. Ho adorato Hedi Slimane da Saint Laurent, credo sia stato il momento d’oro del menswear. Non mi piace la moda ridicola, anche se apprezzo un tocco di sense of humour, voglio sentirmi elegante e chic. Tra i capi del mio guardaroba che amo di più alcuni outfit di McQueen di quando c’era Lee, alcuni incredibili pezzi di Gaultier degli anni ’80, ma anche di Comme des Garçons, Yohji Yamamoto, di un grandissimo sarto come Antony Price (figura fondamentale nella creazione dello stile di Bryan Ferry, nda), di Thierry Mugler, Montana, Galliano, Tristan Webber. Avere un aspetto favoloso è uno dei piaceri della vita. Dal punto di vista della moda il lockdown è stato una catastrofe. JT: Sono sempre stato un fashion victim, forse per una questione genetica, mio padre creava (letteralmente, sceglieva le stoffe e poi li cuciva) alcuni abiti per mia madre, e poi la scena musicale era dominata da artisti come i Queen o David Bowie, c’era molta competitività sugli abiti. Senza dimenticare l’influenza del punk rock, dei Sex Pistols. Non abbiamo mai indossato i jeans. Mia moglie (Gela Nash, cofondatrice di Juicy Couture, nda) è una creatrice di moda, parliamo di moda tutto il tempo. LOHI: All’epoca usavate il make up, come Bowie e Adam Ant...

Sono assolutamente a mio agio col make up, ti fa sentire differente, aggiunge un tocco di teatralità alla giornata più grigia, ho iniziato a truccarmi a 16 anni e non ho mai smesso, mi guardo la mattina allo specchio e penso che la mia faccia non potrebbe che migliorare col trucco. Allora c’era molta chiusura, il fatto che fossimo truccati piaceva solo a una fan base gay, oggi la mentalità è più aperta, c’è molta più libertà di espressione. JT: Se proprio voglio fare sensazione metto l’eyeliner, ma non mi interessa più. Lavoro invece molto sul mio corpo, lo prendo molto sul serio, sono molto healthy, e faccio un lavoro costante per mantenerlo all’altezza delle esigenze di un tour.

LOHI: Vi considerate in primis una British band?

Indubbiamente, anche se io continuo a sentirmi europeo nonostante la Brexit. Non mi piace chi ragiona in piccolo, se collaborassimo tutti in armonia invece che assistere ai conflitti tra superpotenze sarebbe molto più semplice affrontare in modo più efficiente i grandi problemi del pianeta come il cambiamento climatico. Ma siamo una British band perché non saremmo concepibili senza la musica inglese venuta prima di noi, senza David Bowie ad esempio, o senza la moda inglese, senza Vivienne Westwood o senza il sarto dei Roxy Music...

NR:

LOHI: È possibile essere una star della musica senza essere narcisisti?

A 22 anni non ero un narcisista, a 26 sì perché tutto lo stile di vita di una rockstar ti spinge ad esserlo, a concentrare tutta l’attenzione solo su te stesso. È ovvio che un atteggiamento del genere quando si lavora in team è disastroso, le tensioni esplodono. JT: Io narcisista non ho mai smesso di esserlo. JT:

NR:

IN QUESTA PAGINA, DA SINISTRA—Cappotto doppiopetto, camicia e pantaloni, DOLCE & GABBANA; foulard e scarpe, Nick's own. Completo con gilet, DOLCE & GABBANA; scarpe, Simon's own. Completo e pull di lana, DOLCE & GABBANA, scarpe, Roger's own. Giacca di pelle, t-shirt e jeans, DOLCE & GABBANA, sneakers, John's own. In tutto il servizio gioielli, THEO FENNEL. IN APERTURA, DA SINISTRA Giacca, camicia e pantaloni, DOLCE & GABBANA. Pull di lana, STELLA McCARTNEY; t-shirt e jeans, DOLCE & GABBANA. Cappa, KAUSHIK VELENDRA; camicia e pantaloni, DOLCE & GABBANA; nastro, Nick's own. Pull e pantaloni, DOLCE & GABBANA. HAIR: Cristiano Basciu @ RICHARD WARD HAIR; MAKE UP: Carol Morley @ CAROL HAYES MANGEMENT using ARMANI BEAUTY; DIGITAL OPERATOR: Vlady Vala; PHOTO

ASSISTANT: Stephen Young; STYLING ASSISTANT: Natalie

Richardson.

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fashion REMIX Dior e Sacai, due mondi all’apparenza lontani si incontrano incontrano,, si mescolano e si reinventano nella capsule collection che i rispettivi direttori creativi, Kim Jones e Chitose Abe hanno progettato. Sull’asse Parigi-Tokyo Parigi-Tokyo.. «Lavorare con Sacai è stata una scelta molto personale per via della nostra amicizia. Conosco Chitose da tanto tempo e abbiamo spesso parlato dell’idea di fare qualcosa insieme. In più c’è sempre stato un legame tra Dior e il Giappone. Abbiamo pensato che fosse bello rinforzarlo in un momento in cui non è possibile farlo fisicamente». Nelle parole di Kim Jones, direttore creativo del menswear di Dior, c’è il succo di una collaborazione che sta affascinando i fashion connoisseur di tutto il mondo. A partire dal mese di novembre, nelle boutique della maison francese, arriverà la capsule collection che Jones ha disegnato a quattro mani con Chitose Abe, la stilista giapponese anima creativa di Sacai. I due raccontano insieme i contorni del progetto dove abbondano il blu e il denim (anche in verde oliva), intervallati da sciabolate di puro bianco. Kim è travolgente nel descriverlo, Chitose è la dispensatrice di eleganti risposte-bonsai. L’OFFICIEL HOMMES ITALIA: Chitose, Kim, come avete fatto a lavorare

a distanza tra Parigi e Tokyo?

Text by CRISTINA MANFREDI Photography BRETT LLOYD



IN QUESTE PAGINE, DA SINISTRA—Parka

di faille con patch "Dior and Sacai" su felpa, orecchini e cappello, DIOR E SACAI; camicia di faille con inserti impermeabili con patch "Dior and Sacai" su t-shirt a maniche lunghe, pantaloni, basco, borsa "Mini Sella" di nylon e pelle e cintura con fibbia "CD", DIOR E SACAI. IN APERTURA, DA SINISTRA—Camicia di cotone con ricamo "Dior Oblique" e inserti impermeabili, pantaloni di cotone, orecchini e collana, patch "Dior e Sacai", DIOR E SACAI; blouson di lana, cashmere e cotone con zip laterale e patch "Dior and Sacai", pantaloni di lana con inserti di tessuto impermeabile, basco e sneakers di pelle, DIOR E SACAI; casacca con spacchi laterali su t-shirt a maniche lunghe, pantaloni di cotone con patch "Dior and Sacai", orecchini e collana a maglie e borsa "Sella" di nylon e pelle con porta borraccia, DIOR E SACAI. MODELS:

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Ludwig Wilsdorff @ PREMIUM MODELS; Thatcher Thornton @ SUPA MODEL MANAGEMENT; Woosang Kim @ PREMIER MODEL MANAGEMENT.


KIM JONES: I campioni hanno fatto avanti indietro tra uno studio

e l’altro e noi due ci siamo parlati un sacco. Tutti quanti, sia a Tokyo sia a Parigi, hanno lavorato insieme. CHITOSE ABE: Confrontarmi con Kim e con il suo team è stato fantastico. Le idee di Kim sono sempre fonte di ispirazione, ma siamo stati a stretto contatto con tutto il team fino alla fine, per comprendere e rispettare al massimo l’uno l’universo dell’altra. LOHI: Chitose, secondo te che cos’hanno in comune Dior e Sacai? CA: È

meraviglioso che Dior, una maison con così tanta storia e tradizione sia sempre disposta a nuove sfide, in cerca di innovazione. Sebbene Sacai non abbia molta storia alle spalle, anche noi ci sfidiamo di continuo per poter evolvere. Credo che sia questo stesso tipo di spirito a unirci.

LOHI: Kim, come avete fatto a integrare l’estetica di Dior in questa capsule? KJ: I codici della maison sono presenti nel modo e nella tecnica di costruire gli indumenti: abbiamo incorporato dei fiori in un giardino. Lo scopo principale di questa collezione era quello di fondere i due universi, Dior e Sacai, prendere le nostre silhouette iconiche e trattarle alla Sacai maniera. LOHI: Quali sono i pezzi che meglio rappresentano lo spirito del progetto? Ce n’è qualcuno che ti piace in particolar modo? KJ: Amo molto le borse, il bomber, i cappelli e il maglione con la rosa. Credo siano il perfetto equilibrio tra Sacai e Dior. E poi ci sono le shapes che partono dalle classiche silhouette di Dior per venire poi rilette con un twist alla Sacai: sono diventate un pochino più ampie, un po’ più easy. LOHI: E per te, Chitose, qual è il capo di punta?

Il bomber MA-1, perché rappresenta i rispettivi codici, la giacca sartoriale e il modello MA-1. Dalla loro ibridazione salta fuori un outerwear completamente nuovo e moderno.

CA:

LOHI: Kim quanto c’è di tailoring in questo progetto?

KJ: Per le costruzioni dei capi abbiamo fatto ampio ricorso all’ar-

tigianalità dell’atelier di Dior, poi li abbiamo lavorati seguendo lo stile tipico di Chitose, i suoi tagli e le sovrapposizioni. È stato un processo veramente interessante.

LOHI: Con che criterio avete scelto i colori?

All’inizio ci siamo messi a cercare tante nuance diverse, alla fine ci siamo convinti che il bianco e il nero fossero le scelte più forti. Sul fronte denim, invece, abbiamo aggiunto un verde oliva, un colore molto Sacai, che però anche noi di Dior usiamo molto. L’idea di lavorare su dei monotoni ci sembrava la migliore.

KJ:

LOHI: La collezione però non è fatta solo di abiti. Come avete lavorato alla creazioen degli accessori? KJ: Per le scarpe abbiamo usato lo stesso concetto del ready-towear, mettendo insieme alcune delle suole iconiche che corrispondessero al meglio sia a Dior sia a Sacai. Abbiamo unito materiali e dettagli tecnici tipici di Sacai con i pellami e l’artigianalità che appartengono a Dior. E optato per due forme tra i nostri modelli casual, l’Explorer e il Dior Snow Boot Sole, per sviluppare una nuova silhouette per le Derby e gli stivaletti Chelsea. Il risultato è un mix tra i due marchi: abbiamo seguito la visione di Sacai, quell’idea di mescolare insieme universi differenti.



BE Blanco Per Riccardo Fabbriconi, in arte Blanco, il diciottenne rivelazione della musica italiana nel 2021 2021,, quello che davvero conta è una cosa sola: fare musica che sia destinata a non essere dimenticata.

Chissà se tra un anno Riccardo Fabbriconi, in arte Blanco, si sarà abituato alle interviste, ai concerti, alle apparizioni in tv. Diciotto anni, di cui l’ultimo passato a collezionare successi, dischi di platino, milioni di view in rete. Lui che sfogava emozioni, rabbia, tenerezza e vita urlando nei campi dietro casa, in un paesino nel bresciano. Quello stesso Riccardo che alla musica ci è arrivato senza pensare a niente (a parte forse rimorchiare qualche ragazza), ha duettato con Salmo, nella hit “La Canzone Nostra” dopo che il super produttore Mace l’aveva ascoltato su YouTube, facendolo scoprire al mondo. Poi è arrivato Sfera Ebbasta con un altro singolo-bomba “Mi fai impazzire”, durante l’estate. Adesso tocca al suo album d’esordio, “Blu Celeste”, un lavoro che innanzitutto dimostra che il ragazzo ha una voce potente sì, ma pronta

anche a svelare di sè fragilità e ferite. E che lo proietta in una dimensione di successo a cui si offre con il distacco di chi, a fine giornata torna a casa dalla famiglia e dagli amici di sempre, come se niente fosse cambiato. Che effetto ti fa vedere il tuo album pubblicato e soprattutto ascoltato? BLANCO: Sono sincero, non ho obiettivi a riguardo: faccio musica perché mi piace e non mi interessa arrivare primo. Quella al massimo è una conseguenza, però mi riempie di soddisfazione sapere che suscita emozioni negli ascoltatori. L’OFFICIEL HOMMES ITALIA:

LOHI: E ora che stai toccando con mano le dinamiche dello show business, come ti trovi?

Text by CRISTINA MANFREDI - Photography BOGDAN - Styling TINY IDOLS


In molti pensano che la scena musicale sia un concentrato di opportunisti, beh non è vero. In questi mesi ho ricevuto da grandissimi artisti delle attestazioni di stima che mi hanno davvero fatto piacere. Certi rancori possono nascere a pelle, ma magari poi si traducono in grandi amicizie, destinate a durare nel tempo.

B:

LOHI: Spesso ti mostri nudo o quasi, la moda non ti interessa?

No anzi, mi piace molto solo non amo quella classica, a me piace la moda che definisco “marcia”. Mi piacciono gli abbinamenti assurdi, sui generis: hai presente la Boiler Room di Valentino dove ho cantato elegantissimo dalla vita in su, ma sotto in mutande? Ecco quello. E poi mi piace la maglietta dei DSquared2, con la scritta “Don’t be fighetta”. Quando alla nudità, niente è più bello che diventare un tutt’uno con il proprio corpo. Corro nudo nei boschi e la trovo la cosa più naturale del mondo.

B:

LOHI: Come costruisci la tua giornata? La musica la consideri ormai

un lavoro o ancora un gioco?

B: Quando trasformi la tua passione in un mestiere, non lavorerai

mai. Oggi mi piace concentrarmi su me stesso, dare valore al mio tempo, che poi è quello che mi dice sempre mia mamma, è davvero incredibile come le mamme non sbaglino mai. Mi prendo dei momenti in cui me ne sto da solo a pensare, perché da quello stream of consciousness nasce sempre qualcosa.

LOHI: Per esempio?

B: Sto riflettendo molto sul rapporto tra la vita e la morte. Considero un fallimento fare musica se non riesci a lasciare un’impronta vivida. Vorrei che almeno una persona mi ascoltasse anche dopo la mia morte, me ne basterebbe solo una. Credo che si muoia davvero solo quando si scompare dalla memoria degli altri.

«A ME PIACE LA moda CHE DEFINISCO “marcia marcia”. ”. MI PIACCIONO GLI abbinamenti ASSURDI, sui generis: HAI PRESENTE LA Boiler Room DI Valentino DOVE HO CANTATO elegantissimo DALLA VITA IN SU, MA SOTTO IN mutande? ECCO, QUELLO» QUELLO». 158

LOHI: A breve inizierai a esibirti in concerto. Ti spaventa il confronto

col pubblico? Ho cantato all’Arena di Verona, non male come inizio, però non vedo l’ora di vedere la gente in piedi che balla. Non riuscirei a fare un live con tutti seduti. Ho molte più paure che sicurezze, credo però che se le accetti e sei trasparente con te stesso diventino meno paurose. B:

Qual è il tuo grande desiderio oggi? Voglio essere felice e soddisfatto di me. Raggiungo picchi di felicità e di tristezza, vivo di alti e bassi continui e in quei picchi c’è sempre un pizzico di nostalgia.

LOHI: B:

I tuoi amici cosa dicono del tuo successo? Ho amici che conto sul palmo della mano e non credo servano nemmeno cinque dita. Sono interessati, ma fino a un certo punto. Quando usciamo insieme non parliamo mai di questo. Diciamocelo: non gliene frega un cazzo!

LOHI: B:

LOHI: Una cosa di te che vuoi cambiare? B: Ti

dico invece quella da non cambiare: voglio non scordarmi mai chi sono.

IN APERTURA—Camicia, ETRO. IN QUESTA PAGINA—Pantaloni in pelle, ANDREA GROSSI. NELLA PAGINA ACCANTO—Giacca a lavorazione patch e pantalone

DIESEL; canotta custom made, TINY IDOLS; shoes, CULT.

di denim,



the FRENCH WAVE

Gli uomini francesi sono sempre stati ammirati per lo charme innato nel loro vestire quotidiano. Un nuovo gruppo di label label,, e di designer basati a Parigi Parigi,, sta reinventando il daily look in versione maschile. Nel decennio scorso, un’eccezionale generazione di designer ha dominato e definito il mondo dello stile quotidiano francese. Balibaris, Officine Générale, AMI Paris e Le Gramme si sono ritagliati le rispettive nicchie nel mondo dell’abbigliamento francese per la vita di tutti i giorni, continuando ad allargare i confini della moderna uniforme. Dalla grazia indolente di Alain Delon agli outfit sempre di tendenza di Timothée Chalamet, lo stile alla francese è stato spesso al centro delle conversazioni di moda. Nonchalance, semplicità e individualità espressa attraverso una specifica

uniforme sono caldeggiate oggi dai creativi che disegnano le linee di cui sopra: Paul Szczerba, Pierre Mahéo, Alexandre Mattiussi ed Erwan Le Louër. Ciascuno, a suo modo, ha attinto all’essenza del daily style e ha creato un business model per portare la propria visione a un’audience più ampia, senza scendere a compromessi sui valori. L’OFFICIEL HOMMES incontra quest’avanguardia di stilisti francesi per parlare del futuro del menswear, variegato tanto nei modelli che negli obiettivi.

Text by ANNE GAFFIÉ and BAPTISTE PIÉGAY



BALIBARIS

Creato nel 2010 da Paul Szczerba, Balibaris ha fatto centro proponendo un guardaroba maschile senza tempo, costruito intorno a tagli impeccabili e materiali immacolati. L’OFFICIEL HOMMES ITALIA: Com’è nato Balibaris?

PAUL SZCZERBA: Il mio tirocinio l’ho fatto in un fondo di investimenti

dove vedevo nascere start-up ogni giorno, un’esperienza che mi ha dato una nuova visione dell’imprenditoria, come qualcosa di accessibile. Dopo il mio primo stipendio, volevo comprarmi dei vestiti meravigliosi, ma non trovavo nulla che davvero corrispondesse a ciò che stavo cercando. Ho cominciato partendo dal mio stesso bisogno di un guardaroba funzionale. Alla fine del 2010 ho lanciato il mio brand con una collezione di cravatte.

LOHI: A chi ti ispiravi?

A Ralph Lauren, per l’aspetto sia imprenditoriale sia creativo, dal momento che anche lui ha iniziato con le cravatte. Ha creato uno specifico American lifestyle al di là del brand moda. PS:

LOHI: Qual è la tua idea di guardaroba maschile oggi?

PS: Deve corrispondere alla tua personalità. È essenziale riconoscersi in ciò che si indossa, a livello estetico e funzionale. LOHI: Indossi solo le tue creazioni? Quali altri brand

ti soddisfano? Si, vesto i nostri modelli, ma mi piace abbinarli con brand tradizionali, come Ralph Lauren o Filson. Mi interessa anche quella generazione di designer di cui Officine Générale fa parte.

PS:

LOHI: Come ti vestivi da teenager?

162

Se dovessi descrivere il mio stile di allora direi un “elegant skater”.

PS:

LOHI: Come vedi il futuro del menswear?

PS: Penso a un guardaroba più ampio e in cambiamento, con al centro una serie di pezzi essenziali. Gli uomini proseguiranno nel rifuggire dai canoni prestabiliti e andranno in cerca di novità, continuando a comprare il basic da abbinare ai capi più creativi. LOHI: Che tipo di cambiamenti hai visto nei desideri dei tuoi clienti?

Ho lavorato molto sulla trasparenza e voglio offrire ai miei clienti un prodotto che non solo soddisfi un bisogno, ma che rifletta anche i loro valori.

PS:

LOHI: Quali sono state le tue priorità durante quest’ultimo anno eccezionalmente atipico? PS: La sicurezza dei dipendenti era la cosa più importante, poi abbiamo lavorato per proteggere l’azienda, assicurandone il finanziamento. Abbiamo preso tutte le misure necessarie a livello di risorse umane, e nel contempo abbiamo continuato a lavorare, soprattutto allo sviluppo delle collezioni a venire. Abbiamo concentrato i nostri investimenti sul digitale per migliorare tutti i servizi associati e, di conseguenza, è migliorata anche la customer experience. È stato un successo che ha portato il nostro e-commerce a un’incredibile crescita.


OFFICINE GÉNÉRALE

Quando Pierre Mahéo ha lanciato Officine Générale, Générale, nel 2012, da subito il marchio si è distinto per la produzione di pezzi che erano tanto ambiziosi – di sartoria sartoria,, con tessuti di qualità e provenienza certificata – quanto giocosi. L’OFFICIEL HOMMES ITALIA: Puoi ritornare per un momento a come hai cominciato nella moda? PIERRE MAHÉO: Mio nonno possedeva dei negozi di tessuti da sartoria a Vannes e mio padre era un coltivatore di ostriche a Morbihan. Sono cresciuto a metà tra un mondo decisamente maschile e uno super raffinato. E questa dicotomia credo abbia influenzato non poco il mio gusto estetico. LOHI: Ti

senti di avere partecipato, insieme ad altri designer, a un rinascimento della moda maschile? PM: A Parigi è successo qualcosa che non si è visto altrove. I brand che hanno iniziato insieme a noi, con lo stesso spirito, in Italia o negli Stati Uniti, sono spariti. Credo che noi siamo cresciuti molto velocemente e molto presto perché abbiamo presentato durante la settimana della moda di Parigi, che tra tutte è quella più seguita. Soprattutto sul fronte maschile e in particolar modo per il suo carattere di talent scouting homme. Come definiresti il DNA del tuo brand? PM: Una certa nonchalance, attenzione alla qualità e sincerità. LOHI:

Chi sono i tuoi modelli in fatto di business? Agnès B, perché è rimasta fedele a se stessa. Rispetto moltissimo anche Isabel Marant, la paragonerei a Paul Smith, LOHI: PM:

che ha sempre mantenuto il suo entusiasmo. Come hai visto evolvere la tua clientela? Abbiamo clienti che sono con noi fin dal primo giorno e altri che possono permettersi di vestire qualunque brand ma che pensano non sia sempre necessario spendere molti soldi. Non ho voluto un logo perché non volevo entrare in quel gioco. Di tanto in tanto sponsorizziamo un post su Instagram, ma finisce lì: niente post in continuazione e niente campagne, preferisco investire in sviluppo, negozi e strutture.

LOHI: PM:

Qual è la tua personale visione di guardaroba maschile ideale? Disegno solo ciò che indosso e indosso molte poche cose. Ho un’uniforme, quattro pantaloni e tre giacche dello stesso modello, per adattarmi alle stagioni. Mi piace anche creare in punto di contatto da un anno all’altro, creare una continuità mutevole. LOHI: PM:

Che consiglio daresti a chi oggi voglia lanciare un brand? Mettete in piedi un buon team. E non pensiate che sia facile, perché non lo è. Anche entrare in un negozio è molto importante in questo settore, rende l’esperienza d’acquisto un vero piacere. Dovete comunicare un’idea del vostro DNA e rimanervi fedeli, così che prenda consistenza stagione dopo stagione, poco per volta. LOHI: PM:

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AMI PARIS

Alcuni dei suoi più accaniti fan arrivano al punto di avere il suo logo tatuato sul braccio. Per Alexandre Mattiussi questo riconoscimento non fa che rafforzare l’idea del suo brand brand,, AMI Paris, come di una famiglia famiglia.. Come hai avviato AMI Paris? Ho iniziato la mia carriera in LVMH da Dior, Givenchy e Marc Jacobs. Sebbene fossi consapevole del valore dell’esperienza accumulata nel lavorare in un grande gruppo, ho sempre voluto essere indipendente. Ho passato dieci anni a disegnare vestiti, ma non sapevo per chi li stavo disegnando. Troppo cari, troppo estremi. Mi infastidiva la mancanza di autenticità, era come essere uno chef e non voler mangiare quello che si è cucinato. Mi piace essere un consumatore di ciò che faccio ed AMI Paris è nato nel 2011 con questo spirito, quando avevo quasi 30 anni. L’OFFICIEL HOMMES ITALIA: ALEXANDRE MATTIUSSI:

LOHI: Come

definiresti questo specifico DNA che ti appartiene sin dall’inizio? AM: Volevo subito create un guardaroba classico, pragmatico, timeless, oserei dire universale. Sono arrivati subito i clienti e sono ancora gli stessi? Fin dal primo giorno, ho raccolto gli ordini del quartetto vincente a livello di distribuzione: Barney’s, Mr. Porter, 10

LOHI: AM:

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Corso Como e Le Bon Marché. Ho subito anche aperto un pop-up shop e ho mantenuto la mia prima clientela. Alcuni mescolano certi pezzi di dieci anni fa con quelli della scorsa stagione e i loro figli sono i miei nuovi clienti. Amo il retail e le boutique – l’idea di essere un commerciante di zona. Posso vestire Kendall Jenner, oppure essere da A NOUS Paris. Non ho paura di prendere il mio posto in un panorama fashion che è mutato. E non ho quella snobberia di voler vestire solo un certo tipo di clientela. LOHI: Se dovessi creare da zero AMI Paris nel 2022, da che parte andresti? AM: Esattamente nella stessa direzione. Non bisognerebbe avere paura di prendere dei rischi e di fare sbagli. Devi seguire le tue intuizioni, avere fiducia in te stesso e lavorare sull’autostima. È un percorso lungo, ma ne vale la pena. E poi, più prosaicamente, gli investimenti sono diventati molto più democratici negli ultimi anni, c’è davvero un’intenzione economica, politica e finanziaria di aiutare i giovani imprenditori.


LE GRAMME

A partire dal 2013, il fondatore di Le Gramme, Erwan Le Louër, ha rivoluzionato il mondo della gioielleria maschile lanciando sul mercato una serie di creazioni dal design minimale e dall’attitude giocosa giocosa.. L’OFFICIEL HOMMES ITALIA: Ci puoi parlare degli inizi di Le Gramme?

Le Gramme è nato da un desiderio e da un’ovvietà: creare gioielli da uomo con un’estetica minimale. Forme elementari, materiali di qualità, un imprinting e un certo tipo di finitura. ERWAN LE LOUËR:

Dove trovi ispirazione quando lavori alla creazione dei tuoi modelli? ELL: Guardo ai designer industriali, in particolare a Dieter Rams, con i suoi oggetti minimali e funzionali. E a Martin Szekely, la cui mostra “Draw No More” mi ha molto infuenzato, perché sintetizza le riflessioni che ci possono essere dietro al disegno di un oggetto, o sulla forma che diventa ovvia quando segue una funzione. A mio parere, il design deve soddisfare un bisogno. Anche il lavoro di architetti come John Pawson e Axel Vervoordt mi ispira, così come gli imprenditori che hanno il talento di rapportarsi tanto al business quanto alla creazione, come Nicolas Bos da Van Cleef & Arpels, o Pierre Mahéo, il fondatore di Officine Générale. LOHI:

Quali sono stati i tuoi più importanti successi a livello commerciale? ELL: Le Gramme è nato con la Ribbon Collection, la più rappresentativa del concept del marchio, con delle forme semplici e raffinate. Pochi anni dopo, la Cable Collection ha arricchito la nostra gamma. Diventata iconica, la Cable prende ispirazione direttamente dal mondo dell’architettura e dalla costruzione dei ponti con tiranti. LOHI:

Come vedi il futuro del menswear? Gli uomini stanno esprimendo il proprio gusto nella moda, nella bellezza e nella gioielleria, è una specie di liberazione. E sono felice di poter vivere questo incredibile momento di cambiamento. LOHI: ELL:

Se tornassi indietro agli esordi, c’è qualcosa che faresti diversamente? ELL: Sono davvero trasparente, farei come Le Gramme, non cambierei assolutamnete nulla. Non ho il tocco magico, ma le cose sono andate abbastanza bene. LOHI:

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we are FAMILY


Silvio Campara, Campara, Ceo di Golden Goose, Goose, ci porta nei nuovi spazi dell’ dell ’ headquarter milanese. Che è stato realizzato come una vecchia casa di ringhiera, ringhiera, perché lì succedeva tutto e i vicini formavano quasi un nucleo familiare. familiare. Text by MARGHERITA MEDA - Photography FILIPPO FERRARESE


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Il piccolo orto dietro casa. L’altalena del primo bacio. Il vecchio paio di scarpe da indossare come portafortuna. Il calore dei pranzi in famiglia. Golden Goose, l’azienda che da vent’anni domina il settore delle sneakers nasce qui, nel mezzo del folclore italiano. «Non vendiamo solo sneakers», racconta Silvio Campara, CEO di Golden Goose, «noi vendiamo tutti i ricordi che si creano camminando nello nostre scarpe. Oggi indosso questo paio, le ho da ben quattordici anni. Perchè le tengo? Perché ho vissuto talmente tante avventure che non posso più considerarle un semplice capo d’abbigliamento, sono diventate parte della mia storia». Gli scettici diranno banale, eppure i numeri parlano chiaro: famosa in tutto il mondo, l’azienda continua a crescere, creando attorno a sé una fanbase inattaccabile. Per festeggiare i primi vent’anni d’attività e come buon auspicio per i prossimi a venire, Golden Goose inaugura il nuovo headquarter a Milano: Marelli 10. Un gioco di luci, tecnologie, architettura, arte e sopratutto, persone, firmato dal team d’architetti Golden e Campara. Dalla struttura dell’edificio, alla luce naturale che invade ogni ufficio, l’headquarter vuole essere un vero e proprio memento della filosofia Golden Goose “Everyone can be a star”. Uno slogan semplice eppure necessario per i giovani d’oggi, a

volte troppo angosciati dalle preoccupazioni del mondo per potersi concedere il piacere di raggiungere i propri obiettivi. E proprio con i giovani, Golden stabilisce un rapporto simbiotico, di fratellanza, facendoli sentire protetti e spronandoli a visioni fuori dall’ordinario. Si sviluppa così su tre piani Marelli 10, un hub creativo più che un ufficio, in cui lavoro, fantasia e piacere si fondono insieme. Come racconteresti il nuovo headquarter? Negli ultimi otto anni la Famiglia Golden Goose si è allargata: da 17 siamo passati a 850 talenti (di cui il 70% è under 32) e abbiamo sentito la necessità di creare un luogo dove spazio, persone e architettura non fossero a servizio dei fatturati ma della creazione di valore. Lo slogan di Marelli 10 è “For You, For your loves, For the World”. Perchè? Coerentemente all’ essere “enabler” di creatività, così anche gli spazi devono “liberare” energia e non promuovere vecchi processi coercitivi. L’OFFICIEL HOMMES ITALIA: SILVIO CAMPARA:

LOHI: Che ruolo ha

la luce? Di ispirare ognuno di noi in ogni momento della giornata. L’edificio è stato progettato per ricordare una vecchia casa di SC:

IN QUESTA PAGINA, DALL'ALTO DA SINISTRA:

"The Dreamer Room", la sala riunioni. La mensa interna. La reception. NELLA PAGINA ACCANTO, DALL'ALTO:

L'ingresso del nuovo headquarter di Golden Goose. Lo showroom. NELLA PAGINA SUCCESSIVA: L'ufficio di Silvio Campara, Ceo di Golden Goose. IN APERTURA- Il

giardino interno.

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ringhiera, un tempo tutto si svolgeva all’interno del giardino e più che di vicini si parlava di famiglia allargata. Così ci piace pensare possa funzionare anche tra di noi

che il nostro messaggio sia semplice: “Everyone can be a star”, l’unico requisito è credere in se stessi. Questa è la Perfect Imperfection di Golden.

Il nuovo headquarter è visitabile anche da esterni? Assolutamente sì. Abbiamo creato appositamente tre experiences che raccontano al pubblico la filosofia Golden: “The Journey”, un tunnel immersivo dove il visitatore può tuffarsi nel viaggio metafisico di Golden e della sua Family, “The Dreamer Room” con il suo soffitto inaspettato e “The Golden Garden”, il primo orto idroponico mai realizzato all’interno di un luogo di lavoro.

LOHI: Vi hanno definito come le prime Sneakers Haute Couture… vi rivedete in questa definizione? SC: Se per “Haute Couture” ci riferiamo alla capacità di “mani artigiane”, confermo. Il nostro successo è stata una combinazione di intuito, creatività ed execution. Abbiamo capito che il mondo stava passando da codici formali a codici più informali, e che questo fenomeno aveva bisogno di un’ icona. L’appealing delle nostre sneakers è l’artiginalità: questa rende i nostri prodotti “non perfetti”, un concetto totalmente nuovo per il mercato. Il vantaggio di essere stati i primi? Abbiamo fatto un sacco di errori, abbiamo imparato, abbiamo capito quale doveva essere il next step: includere il consumatore nel processo creativo.

LOHI: SC:

Il tuo ufficio è stato realizzato dall’artista Stickymonger… Ero a New York, mi sono imbattuto nelle sue opere nella galleria di fronte al flagship store di Golden Goose a Soho, innamorandomene. Un giorno, mentre osservavo uno dei nuovi lavori, chiesi alla persona che stava di fianco a me se anche lei amasse quel quadro e questa mi rispose “L’ho fatto io”! È nata una bellissima amicizia e uno stretto rapporto di collaborazione. Quando stavamo progettando Marelli 10 ho pensato subito a Stickymonger, l’ho chiamata e detto “Dovresti progettare la mia Cappella Sistina”.

LOHI: SC:

LOHI: Golden Goose rappresenta la nuova azienda 2.0: dinamica, coinvolgente e sopratutto giovane. Qual è il segreto? SC: La ricetta è semplice: ascoltiamo le nuove generazioni mettendole nella condizione di sentirsi protagoniste. A riprova di ciò, Golden Goose ha creato un comitato chiamato “G Generation”, ovvero un gruppo di ragazze/i sotto i 30 anni che contribuiscono ai progetti aziendali attraverso idee concrete e condividendo la loro visione del mondo. Vogliamo

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LOHI: Proprio

da questa necessità nasce Golden Goose LAB Le persone oggi vogliono essere rilevanti, tradurre la propria creatività in disegni e frasi pensati da loro. In una società dove i social diluiscono sempre di più l’individuo per clusterizzarlo in “mode” , c’è sempre di più il bisogno di elevarsi e l’unico strumento autentico per farlo è la propria creatività ed emozioni personali. Da qui nasce anche Golden TV: la prima piattaforma dove prodotti e contenuti verranno co-creati con la propria community. SC:

LOHI: Un aggettivo per descrivere i primi 20 anni di Golden Goose e uno per descrivere i prossimi 20? SC: Straordinari, davvero fuori dall’ordinario. E per il futuro... rimanere Imperfect.


One Hundred People and Ideas from a Century in Fashion

A richly illustrated survey celebrating the Centennial anniversary of L’OFFICIEL. From its early days as a chronicle of the developing fashion industry in Paris, to its current multimedia position at the center of global culture, art, celebrity, and design, L’OFFICIEL has always had its finger on the pulse of the present, while confidently anticipating the future. Featuring more than 1,000 striking images that span 100 years of cutting-edge fashion. Edited by Stefano Tonchi $95 Available for preorder now: https://bit.ly/OFFICIEL_100_ENG


JACK Savoretti


Il cantautore si racconta nel nuovo disco “Europiana”: un viaggio musicale autobiografico scandito da 11 tracce dal sound vintage, che celebrano l’Europa e la sua cultura del suono. suono. Text & Styling GIORGIA CANTARINI - Photography MATTIA GUOLO


«Il progetto “EUROPIANA EUROPIANA”” RACCHIUDE LA VOGLIA DI libertà, E IL FASCINO DEL VIAGGIO on the road. CON QUESTO DISCO HO VOLUTO celebrare L’EUROPA E COSA VUOL DIRE ESSERE europei OGGI OGGI»». L’OFFICIEL HOMMES ITALIA: Il tuo ultimo album si intitola “Europiana”, cosa significa? JACK SAVORETTI: “Europiana” è una parola che ho inventato mentre stavo guardando la premiazione dei Grammy per il “Miglior Album Americano”. Scherzando mi sono detto: “non esiste una definizione di album europeo, quindi non sarò mai nominato”, io che sono cresciuto tra Italia, Svizzera e Inghilterra. Quando mi chiedono che genere di musica faccio rispondo istintivamente “europiana”. “Europiana” è la genesi di un sound che si è sviluppato quando la musica degli Stati Uniti si è scontrata con la musica europea negli anni ’60 e ’70. Il risultato è un’eleganza nel suono tipica dello stile romantico europeo, in particolare quello di Italia e Francia.

Si definisce un giornalista di musica più che un autore. Documenta quello che accade intorno a lui, grazie alla forza della musica: un mezzo che connette e fa viaggiare anche quando non si può. Parliamo di Jack Savoretti, cantautore anglo-italiano, che è impegnato nelle tappe del tour di “Europiana”. L’album, inciso negli studi di Abbey Road proprio a 90 anni dalla sua inaugurazione, mescola un gusto moderno e rétro. Con ballad e uptempo che portano a galla i ricordi della sua infanzia in Italia e un forte desiderio di tornare alla vita di prima. Quest’album segue il successo di “Singing to Strangers” registrato a Roma nello studio di Ennio Morricone, arrivato ad essere primo in classifica in Uk nel 2019, dove Jack ha collaborato con due colossi della musica come Bob Dylan e Kylie Minogue. E il nuovo album non è da meno, con la partecipazione del re della disco Settanta Nile Rodgers degli Chic e la leggenda pop rock di John Oates. 174

LOHI: Quali sono le influenze europee a livello musicale che pensi di aver incluso nell’album? JS: Julio Iglesias, Serge Gainsbourg, Yves Montand, i Gipsy Kings, Lucio Battisti, Mina, Giorgio Moroder e i Daft Punk. Credo che nella musica non ci sia più quella necessità di guardare all’America, all’Inghilterra. Il cantante francese vuole essere come i grandi cantanti francesi del passato, anche il cantautorato italiano di oggi è rinato, sta tornando alle tradizioni rimanendo contemporaneo. Basta guardare l’ultima edizione di Sanremo. “Europiana” racchiude quella voglia di libertà, quel fascino del viaggio on the road. Io voglio celebrare l’Europa, cosa significa essere europei adesso, come conviviamo con la nostra cultura, che prende forma dall’arte, dal teatro, dalla letteratura, dal cinema. La musica può decisamente connettere tutte queste discipline insieme ed essere il fuoco che le alimenta. L’album è un po’ il mio modo non di unire in senso letterale, ma di cercare di far capire quanto siamo tutti legati culturalmente, anche se diversi politicamente o economicamente.

Parliamo delle collaborazioni illustri di quest’album, con Rodgers e Oates, come sono nate? JS: Sono andato da Nile Rodgers perché molto del suono di LOHI:

IN APERTURA—Cappotto, cardigan di lana e camicia, LARDINI. IN QUESTA PAGINA—Giacca di lana, camicia, pantaloni e chelsea boots, LARDINI. NELLA PAGINA ACCANTO—Giacca, lupetto, camicia stampata e pantaloni, LARDINI .

In tutto il servizio, bracciali, Jack's own.



“Europiana” è espressione di quello che è successo alla musica europea tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70. Nile ne è un po’ responsabile grazie al successo internazionale degli Chic, quando la tradizione del songwriting europeo, che è narrazione melodica e nostalgica, si è scontrata con la disco e il funk che provenivano dall’America. Per quanto riguarda John Oates avevo fatto una cover di “Rich Girl” su Instagram durante il lockdown, e lui l’ha commentata. Quindi ho pensato che questo mi desse carta bianca per contattarlo. Così l’ho fatto e sono così felice perché è uno dei miei eroi. Hall & Oates sono proprio tutto per me, una delle band pop rock americane di maggior successo tra la fine dei ’70 fino ai ’90. In futuro vorrei collaborare con la cantautrice francese Clara Luciani, la regina della musica stile “europiana” . LOHI: Nell’album ci sono diverse canzoni che potrebbero sembrare melanconiche, come “When you are lonely” o “Who’s hurting who”: ci puoi spiegare cosa volevi dire? JS: Il lockdown ci ha provati tantissimo e per quanto mi riguarda ho capito come la solitudine riesce a definire l’amore che provi per una persona o l’amore che questa prova per te. Non si tratta di un disco triste, la nostalgia è intesa come voglia di rivivere i momenti speciali. Portofino, dove passavo le estati, è lo scenario del disco, ma chi lo ascolta può sentirsi ovunque desideri. Tutti ricordiamo la prima volta in cui abbiamo ascoltato le canzoni delle vacanze, ballato sui tavoli, la prima volta sul motorino, il primo bacio. In più le canzoni lente sono da ballare in due. Non capisco perché non si faccia più.

Con la moda che rapporto hai? Io mi vesto sul palco come mi vestirei per andare a un evento o a una occasione speciale. Sono cresciuto nella moda, mia mamma faceva la modella tra gli anni ’60 e ’70, e tutti i suoi amici di allora sono professionisti di successo. Mia sorella Beatrice è da sempre la mia fashion advisor facendo anche lei parte del fashion system. Non mi piacciono i trend, mi fanno quasi paura. Trovo che il brand italiano Lardini esprima esattamente quello che cerco. È uno stile senza tempo che funziona ieri, oggi e anche domani. Poteva essere di culto 100 anni fa e lo sarà tra altri cento. Sarà sempre elegante, lo sento genuino, senza sforzo. La famiglia che c’è dietro questo marchio di tradizione sartoriale è fatta di persone vere, trasparenti, competenti. E per me conta molto.

LOHI: JS:

176

«SUL palco MI VESTO COME MI vestirei PER ANDARE A UN evento O A UNA OCCASIONE speciale speciale.. SONO CRESCIUTO NELLA moda, MIA MAMMA FACEVA LA modella NEGLI ANNI ’60 E ’ 70 70»».

LOHI: Come è stato registrare e incidere l’album negli studi dei Beatles?

Una delle emozioni più grandi. Quando entri in un luogo “sacro” come quello torni ad essere ragazzino. Perché ogni musicista, quando entra agli Abbey Road Studios e prende in mano il suo strumento, lo suona come non ha mai suonato prima nella sua vita. Torna ad essere il ragazzo che sognava di suonare nei Beatles o nei Pink Floyd. E questo album doveva essere realizzato ai massimi livelli, senza tralasciare i dettagli che fanno la differenza. E dopotutto ho cantato con il Neumann U47, lo stesso che amava Frank Sinatra. Un microfono unico per uno studio che ha fatto la storia della musica.

JS:

IN QUESTA PAGINA—Pull di lana jacquard, pantalone e chelsee NELLA PAGINA ACCANTO—Cappotto e pull di lana, LARDINI.

boots, LARDINI.

GROOMING: Daniele Villanueva @ JEUNE ANGE MILANO using AVEDA ITALIA; PHOTO ASSISTANTS: Eleonora Benvenuto e Matteo Delia; STYLING ASSISTANT: Laura

Lombardo.


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40TH in style «Per me Emporio Armani è un contenitore di idee idee,, destinato a un pubblico trasversale, cosmopolita e metropolitano». Così nel 1981 Giorgio Armani lanciava il suo progetto cool identificato da un logo ad aquila, aquila, in volo da 40 anni. «Mi piaceva l’idea di un luogo in cui si potesse trovare di tutto e a un giusto prezzo. Quell’idea è ancora valida oggi: per me Emporio Armani è un contenitore di capi, accessori e idee, destinato a un pubblico trasversale, cosmopolita e metropolitano». Era il 1981 e Giorgio Armani, a sei anni dalla nascita della sua maison, era pronto a iniziare una nuova avventura. Rivoluzionario ante litteram, in quegli anni lo stilista di Piacenza voleva parlare al mondo, democratizzare il suo universo creativo, iniziare una conversazione con una generazione di neofiti. Erano gli anni ’80 e la stessa filosofia ha accompagnato il marchio in questi 40 anni di attività. Trasformando Emporio Armani in un laboratorio di creatività young, in una factory capace di distillare l’universo estetico del designer rendendolo fruibile a un pubblico sempre più internazionale, affascinato dall’aquilotto diventato simbolo di nuovo vocabolario di moda. «Nacque per caso. Mi viene ancora in mente il momento in cui lo disegnai, mentre ero al telefono, dopo aver ricevuto una richiesta del mio socio Sergio Galeotti, che aveva l’urgenza di definire un logo per raccontare il progetto Emporio Armani», ha raccontato il designer in una delle sue interviste. «Buttai giù lo schizzo, senza troppo pensare, e quel simbolo di irraggiungibilità lanciò il mio nome nell’Olimpo dei giovani. Non avrei mai pensato che quel

disegno, fatto in fretta, potesse essere un segno così travolgente». Essenziale, minimalista nel tratto, elegantemente armonioso. Chiamato a vegliare su un progetto unico e dirompente come la strategia di comunicazione che ne accompagnò la nascita e la sua evoluzione (un enorme murale, rinnovato ogni stagione, in pieno centro di Milano dal 1984 mentre dal 1989 fino al 1998 viene pubblicato Emporio Armani Magazine, bibbia estetica del progetto, ndr). Quell’aquila stilizzata, nobile nel portamento e regale nella simbologia, divenne il passe-partout di una generazione pronta ad avvicinarsi alla moda con uno sguardo diverso, curioso e anticonformista, metropolitano, fedele ai dettami dell’Armani pensiero. Scanditi da eleganza quotidiana e rigore formale, da sobrietà raffinata e nonchalance cool. Come quell’aquila dai grafismi interrotti che era pronta a spiccare un volo, arrivato al 40esimo anniversario. «Dal punto di vista creativo Emporio Armani mi consente, pur conservando il mio stile, molte possibilità di soluzioni contemporanee, libere... Perché c’è vitalità e spensieratezza, ma anche un’allure e una dignità speciali», ha raccontato Armani. «Furono in molti a sorprendersi allora e a sconsigliarmi di tentare l’impresa perché temevano che il marchio ne avrebbe risentito, ma per fortuna si sbagliavano».

Text by FABIO BARBIERI - Photography FRANCESCO FINIZIO - Styling FABRIZIO FINIZZA


IN QUESTA PAGINA—Blouson MODEL: Simone

over, camicia di cotone, pantaloni e foulard di seta, EMPORIO ARMANI.

Bricchi @ I LOVE MODELS MANAGEMENT; GROOMING: Manuel Ian Farro using ARMANI BEAUTY.


HOUSE DREAMS of

100 YEARS OF GROUNDBREAKING IMAGERY, INSPIRING STORIES, AND INTERACTIVE NFTS.

An immersive virtual exhibition celebrating 100 years of Fashion. OPENING SEPTEMBER 30TH Register for exclusive access at lofficiel100.com


Dossier

Così come sta cambiando la definizione stessa di mascolinità con il passare degli anni, anni, anche l’attenzione e l’hype l’ hype legata ai brand uomo e ai loro designer sta acquisendo sempre più importanza. Seguendo la tradizione centenaria di scouting de L’OFFICIEL L’OFFICIEL,, questo dossier creato in collaborazione con i partner globali del magazine punta ad accendere i riflettori su una generazione di upcoming upcoming.. Designer che stanno guidando la conversazione legata alla nuova mascolinità, superando regole e imposizioni cementate nei secoli dal vestire comune. E regalando agli uomini di tutto il mondo un nuovo modo di potersi esprimere. Text by DEVIN YADAV


LEONSENBERG, Lituania La natura "monotona" della cultura dei luoghi di Viktorija Rosenberg e Leonas Paulius, ha reso i designer, e il loro lavoro, tutt'altro che noioso. «In Lituania la gente ha ancora paura di parlare ad alta voce... Mentre a noi interessa creare nella direzione opposta, più audace», raccontano spiegando il concept del marchio Leonsenberg. L'etichetta unisex ha alle spalle cinque collezioni svelate attraverso performance sui generis. Il risultato è rumoroso, sgargiante e provocatorio.


KIT WOO, Malesia Kit Woo descrive il suo marchio omonimo come "ambiguo". Cresciuto in Malesia, Woo ha studiato moda a Singapore, poi si è trasferito a New York per frequentare il Pratt Institute. Quando è tornato a casa, nel 2016, ha fondato il suo brand sperimentale e ha deliberatamente rifiutato la mentalità della "giusta vestibilità". Tutti i suoi pezzi incoraggiano chi li indossa a trovare stili e capi adatti a loro, piuttosto che chiedere a chi li indossa di conformarsi.


THE PACK, Messico Cresciuto a Città del Messico da un padre che lavorava in politica e da una madre economista, Patricio Campillo era immerso nella cultura del charro: il tradizionale cavaliere messicano. Dopo le prime esperienze lavorative, ha scoperto la sua vocazione grazie a un amico stilista di abbigliamento femminile, che gli ha chiesto di creare una capsule collection maschile. Due anni dopo, Campillo ha lanciato The Pack, un marchio intriso di un forte orgoglio per la storia, il patrimonio e l'artigianato messicano. Dall'estetica androgina, ispirata alla natura, alla tradizione e, sì, anche ai charros.


FEDERICO CINA, Italia All'età di tre anni, Federico Cina disse a sua madre che sentiva di essere "nato nel posto sbagliato". All'età di sette stava imparando a cucire dalla zia sarta. A dieci, poi,cuciva da solo e confezionava vestiti per gli amici. Dopo aver lasciato casa per frequentare la scuola a Firenze, e successivamente aver lavorato a New York per Brooks Brothers e a Milano per Emilio Pucci, è tornato nella sua terra natia, l'Emilia Romagna, con un rinnovato amore per le sue radici. Semifinalista per dell'LVMH prize2021, considera il suo più grande traguardo: «l'essere in grado di accettare e trarre positività dalla mia cultura e dalle mie origini».


EGONLAB, Francia I designer di EgonLab, Florentin Glémarec e Kevin Nompeix, vantano una lunga gavetta tra Jean-Paul Gaultier, Alexander McQueen e Phoebe Philo. Sono loro ad averli influenzati nel loro progetto, tanto quanto i loro nonni. «Hanno sempre mescolato perfettamente sartoria e abbigliamento sportivo!», racconta il duo, che a soli due anni dalla creazione del marchio EgonLab ha trionfato all'ANDAM Fashion Award. I loro pezzi “urban-punk su misura” vivono volutamente negli spazi “intermedi”: mai del tutto categorizzabili, i loro vestiti fungono da armature malleabili per chi li indossa, che è libero di farne ciò che desidera.


BODE, Usa La collezione Autunno/Inverno 2021 di Bode, battezzata "A Year Off", riflette il senso globale di perdita e tristezza dell'ultimo anno e mezzo; ed è anche una lettera d'amore sartoriale allo zio della stilista Emily Bode, Bill Bode, e all'anno in cui è partito alla fine degli anni '60, ritardando l'università per viaggiare ed esplorare il mondo. I pezzi della collezione sono un cenno allo stile di vita di Bill in quel periodo, in netto contrasto con la pausa lunga più di un anno di COVID-19. Incorporando le tradizioni "femminili" di trapuntatura e rammendo in capi da uomo che nella versione Bode offrono una nuova interpretazione dell'abbigliamento da lavoro moderno.


SEAN SUEN, Cina Un vero artista ancora prima di essere stilista, il graphic designer diventato imprenditore di moda Sean Suen utilizza i tradizionali costrutti di strutture, materiali e composizione per cercare un futuro concetto di mascolinità. Suen descrive i suoi modelli come «senza pretese, romantici e diversi». Crea traendo ispirazione dal cinema e dall'architettura per impostare una prolifica varietà di offerta vestimentaria: dai pezzi artistici a quelli legati allo streetwear. 188


FREIHEIT, Brasile Fondata da Marcio Mota, Freiheit (che significa "libertà" in tedesco) incarna i concetti di abbigliamento da lavoro vintage, forme genderless e moda slow. Ispirato alle forme dell'architettura brasiliana e ai primi ricordi di sua nonna alla macchina da cucire, Mota racconta il suo concept di moda come un'arte magica. «Sono affascinato dalle infinite possibilità che il filo e il tessuto insieme possono produrre. Il mondo ci spinge a pensare in modo diverso per migliorare le cose».


SHOPPING LIST

BOTTEGA VENETA bottegaveneta.com

DRIES VAN NOTEN driesvannoten.com

2 MONCLER 1952 moncler.com

BOUCHERON boucheron.com

DSQUARED² dsquared2.com

A. POTTS apottscollection.com

BRIONI brioni.com

DUNHILL dunhill.com

ACNE STUDIOS acnestudios.com

BRUNELLO CUCINELLI brunellocucinelli.com

EDWIN edwin-europe.com

AKILLIS akillis.com

BURBERRY burberry.com

EGONLAB egonlab.com

ALESSANDRO GHERARDI alessandrogherardi.com

BVLGARI bulgari.com

EMANUELE BICOCCHI emanuelebicocchi.it

ALEXANDER Mc QUEEN alexandermcqueen.com

CALVIN KLEIN calvinklein.it

EMPORIO ARMANI armani.com

AMI PARIS amiparis.com

CANALI canali.com

AMIRI amiri.com

CARBONE ccarbone.com.ar

ANN DEMEULEMEESTER anndemeulemeester.com

CARLO PIGNATELLI carlopignatelli.com

ARDUSSE ardusse.com

CARTIER cartier.com

ATELIER FREIHEIT atelierfreiheit.com

CELINE HOMME BY HEDI SLIMANE celine.com

AUDEMARS PIGUET audemarspiguet.com

CHARVET charvet.com

BAGTAZO bagtazocollection.com

CHAUMET chaumet.com

BALIBARIS balibaris.com

CHURCH’S church-footwear.com

BALLY bally.com

CIRCOLO 1901 circolo1901.it

BALMAIN balmain.com

COMMISSION commission.nyc

BARE FINE JEWELRY BY DRIES bare-jewelry.com

DANIEL WELLINGTON danielwellington.com

BAUME & MERCIER baume-et-mercier.com

DAVI PARIS daviparis.com

BEPOSITIVE bepositive.it

DE BEERS JEWELLERS debeers.com

BERLUTI berluti.com

DISCLAMEIR disclameirofficial.com

BIKKEMBERGS bikkembergs.com

DIESEL diesel.com

BOBBY DAY bobbydaybk.com

DION LEE dionlee.com

GUCCI gucci.com

BODE bodenewyork.com

DIOR dior.com

HAIDER ACKERMANN haiderackermann.com

BORSALINO borsalino.com

DIOR AND SACAI dior.com

HERMÈS hermes.com

BOSS hugoboss.com

DOLCE & GABBANA dolcegabbana.com

ICEBERG iceberg.com

ERIC BOMPARD eric-bompard.com ERMENEGILDO ZEGNA XXX zegna.com ERNEST W. BAKER ernest-w-baker.com ETRO etro.com FAY fay.com FALKE falke.com FEDERICO CINA federicocina.com FENDI fendi.com FILA fila.com FRED fred.com GCDS gcds.it GIAMPAOLO giampaolo1962.com GIORGIO ARMANI armani.com GIVENCHY givenchy.com GOLDEN GOOSE goldengoose.com


L’CAST ISSEY MIYAKE isseymiyake.com

MOSCHINO moschino.com

SANDRO sandro-paris.com

IWC® iwc.com

MSGM shop-msgm.com

SEAN SUEN seansuen.com

JACOB COHEN jacobcohen.it

N°21 BY ALESSANDRO DELL’ACQUA numeroventuno.com

SONORA sonoraboots.it

JAEGER-LECOULTRE jaeger-lecoultre.com

NICCOLÒ PASQUALETTI niccolopasqualetti.com

STELLA Mc CARTNEY stellamccartney.com

JIL SANDER BY LUCIE AND LUKE MEIER jilsander.com

NICK FOUQUET X FEDERICO CURRADI nickfouquet.com

JOHN LOBB johnlobb.com

NIKE nike.com

KAUSHIK VELENDRA maisonvelendra.com

OBEY obeyclothing.eu

KIDS OF BROKEN FUTURE kidsofbrokenfuture.com

OFFICINE GÉNÉRALE officinegenerale.com

KIT WOO kitwoo.studio

OMEGA omegawatches.com

KWAY® k-way.com

PAUL SMITH paulsmith.com

L.B.M. 1911 lbm1911.com

PHILIPP PLEIN plein.com

LACOSTE lacoste.com

PIACENZA CASHMERE piacenzacashmere.com

LARDINI lardini.com

PIAGET piaget.com

LE GRAMME legramme.com

PRADA prada.com

LEONSENBERG instagram.com/leonsenberg

QUAY X MALUMA quayaustralia.com

LOEWE loewe.com

RAF SIMONS rafsimons.com

LORO PIANA it.loropiana.com

RALPH LAUREN PURPLE LABEL ralphlauren.it

LORO PIANA FEATURING HIROSHI FUJIWARA it.loropiana.com

RED redegroup.it

LOUIS VUITTON louisvuitton.com

REPOSSI repossi.com

STONE ISLAND stoneisland.com _SUCKS. suckshop.it SWAROVSKI swarovski.com TAGLIATORE tagliatore.com THEO FENNELL theofennell.com TIFFANY & CO. ® tiffany.com TOD’S tods.com TOM FORD tomford.com TOMMY HILFIGER tommy.com TOMMY HILFIGER X TIMBERLAND tommy.com TRULLI MANSUETO

trullimansueto.it UMIT BENAN umitbenan.com

UNIFORME uniforme-paris.com UNITED COLORS OF BENETTON benetton.com

RICHARD MILLE richardmille.com

UNITED COLORS OF GHALI X BENETTON benetton.com

RICK OWENS rickowens.eu

VALENTINO valentino.com

ROBERTO CAVALLI robertocavalli.com

VALENTINO GARAVANI valentino.com

MESSIKA messika.com

ROLEX rolex.com

VERSACE versace.com

MISSONI missoni.com

ROSE IN GOOD FAITH roseingoodfaith.com

WALES BONNER X ADIDAS walesbonner.net

MIU MIU miumiu.com

SAINT LAURENT BY ANTHONY VACCARELLO ysl.com

WING + WEFT GLOVES wingweftgloves.com

MOON BOOT X GCDS moonboot.com

SALVATORE FERRAGAMO ferragamo.com

ZENITH zenth-watches.com

LUIGI BIANCHI MANTOVA lubiam.it MANOLO BLAHNIK manoloblahnik.com MARNI marni.com

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The authentic Italian hospitality


La moda maschile fa parte della tradizione centenaria de L’OFFICIEL nel raccontare un’industria e l’evoluzione di una società. Mentre negli anni il guardaroba femminile ha giustamente conquistato il centro della scena nel crescente mondo della moda, anche il menswear ha lavorato per creare look e tendenze significative, sia davanti che dietro la macchina fotografica, come viene raccontato in “Dream Makers”, che esplora la storia di alcuni fotografi che hanno costruito l’estetica de L’OFFICIEL. Negli anni ’70, infatti, la moda maschile divenne così importante per il fashion system che L’OFFICIEL le dedicò una pubblicazione dedicata: L’OFFICIEL HOMMES, e in seguito un secondo progetto editoriale, L’Optimum. Oggi, gli atteggiamenti nei confronti del genere e dell’identità sessuale sono cambiati e la rigida distinzione binaria tra moda maschile e femminile sembra quasi bizzarra. Ma la mission de L’OFFICIEL di documentare come si vestono gli uomini continua.

In questo numero, ci siamo concentrati sulle persone e le idee che sono al centro della conversazione globale sullo stile, tra musica, arte, design e moda, ovviamente. Lo testimonia la nostra star di copertina, la supernova musicale internazionale Maluma, che incarna con grazia una mascolinità evoluta. Questo autunno, poi, le vecchie tradizioni hanno trovato una nuova vita e l’arte francese del vestire, davvero unica, viene ripresa da una generazione più giovane di designer. Ad essi si uniscono un gruppo di stilisti di talento selezionati in collaborazione con gli editors internazionali de L’OFFICIEL per “L’O Dossier”, una carrellata esclusiva dei migliori stilisti homme, scelti in tutto il mondo. Infine, i riflettori sono puntati sulle nuove tendenze delle collezioni Autunno/Inverno 2021, dove colori forti e cromie silenziose, flash luminosi e silhouette naturali, stampe eclettiche e toni tenui si mescolano nel guardaroba dell’uomo di oggi. All’insegna di una varietà poliedrica, animata da un tocco di stravaganza.


STAR power Maluma sta portando la musica latina nel mondo. L’artista colombiano ha fatto uscire due dischi nell’ultimo anno e quest’autunno conquista un nuovo palcoscenico, grazie al debutto a Hollywood in “Marry Me”, Me”, insieme con Jennifer Lopez. Lopez. Text by CARRIE BATTAN Photography PAMELA HANSON Styling RYAN YOUNG



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Forse nessuno più di Maluma ci ha guadagnato dalla marcia della pop music verso la globalizzazione. Nato Juan Luis Londoño a Medellín in Colombia, il cantante e rapper è cresciuto nel mondo del reggaeton e della Latin trap, facendo musica fragorosa e sexy, in egual misura romantica, scabrosa, sbruffona e delicata. Mentre l’ondata di Latin crossover spazzava il mondo, con una svolta pop e una ripulita ai testi, ha continuato ad attrarre platee sempre più grandi, fino ai due album che l’hanno consacrato al successo “F.A.M.E.” e “11:11”, rispettivamente del 2018 e 2019. Con il dilagare della pandemia agli inizi del 2020, Maluma – il cui nome d’arte è un composto dei nomi di sua madre, suo padre e delle sue sorelle – ha messo a segno diversi milioni di visualizzazioni su YouTube, raccolto nomination ai Video Music Awards e Latin Grammy e concretizzato collaborazioni con gente tosta come The Weeknd e Madonna. Il suo look vigoroso e ardentemente cool l’ha reso uno dei più amati dal mondo della moda, e il suo carisma ha attratto anche l’attenzione di Hollywood, dove interpreta l’amante di Jennifer Lopez nella commedia romantica “Marry Me“, presto in uscita. Maluma è sufficientemente enigmatico e affascinante per far si che i tabloids abbiano associato il suo nome a un potenziale interesse romantico di Kim Kardashian nella fabbrica di pettegolezzi del post divorzio da Ye (come ora vuole farsi chiamare Kanye West, ndt). Ha quella sorta di magnetismo spontaneo, abbinato a una mascella marcata e a parecchi tatuaggi che aggiungono un tocco da bad-boy alla Justin Bieber, che si traduce globalmente. Con ogni metrica immaginabile, Maluma trascende dall’etichetta di pop star latina; in effetti trascende il significato dell’essere pop star. Semplicemente è una star. Sentendo il racconto di Maluma, la sua ascesa non è solo il prodotto di lavoro duro, talento o buon tempismo, c’è qualcosa di più intangibile in gioco: «Cerco solo di restare vero, di far esplodere la mia essenza», mi ripete di continuo mentre dialoghiamo su Zoom, collegati dalla sua casa appena ristrutturata a Medellín. Un’essenza palpabile anche in video-call. Maluma indossa un giubbotto di jeans, rischiara lo schermo, chiacchiera con entusiasmo e candore, sorride molto e altrettanto facilmente scivola in un mood più riflessivo. A un certo punto spiega che l’entertainment, ovvero moda, recitazione, musica, è semplicemente la sua natura: «Ce l’ho nel DNA». Mentre il resto dell’industria musicale nel 2020 ha subito lo stop per via della pandemia, Maluma ha lavorato. Dopo quasi una decade di tour non stop, ha passato molti mesi a casa in Colombia, molto spesso da solo, per rifocalizzarsi sulla sua musica e per registrare due nuovi progetti: “Papi Juancho” e “7DJ”. Anziché continuare a muoversi verso uno spazio pop commercialmente praticabile a livello globale, Maluma ha fatto qualche passo indietro, verso quel reggaeton e quella Latin Trap che l’hanno reso ciò che è (e sarà in tour con la sua nuova musica in autunno). Non importa quale strada decide di prendere, scommette sul fatto che i suoi fans lo seguiranno. L’OFFICIEL HOMMES: Il MALUMA:

tuo nome su Zoom è Hercules. (Ride) Mi piace Ercole.

IN APERTURA—Camicia, GIORGIO

ARMANI; cappello, BORSALINO; foulard, RALPH LAUREN PURPLE LABEL. In tutto il servizio orecchini, Maluma's own. NELLA PAGINA ACCANTO—Turtleneck, SALVATORE FERRAGAMO ; pantaloni, COMMISSION; bracciali, TIFFANY & Co.®; mocassini, MANOLO BLAHNIK.

«IN QUESTO momento DELLA MIA vita SENTO CHE LA MIA essenza È IL lavoro. LAVORARE, ECCO COSA faccio QUANDO SALGO SU UN PALCOSCENICO»». PALCOSCENICO Ti dividi tra la Colombia nativa e città di Miami. Dove ti trovi ora? M: Sono nella mia città natale, passo un po’ di tempo con la mia famiglia e i miei animali. Qui è tutto bello, ho ricostruito la mia casa, ma quello che conta è quello che abbiamo fuori: gli alberi, la natura, le montagne. Amo Miami, ma alle volte è troppo per me. Mi piace essere più rilassato e qui a casa mia non c’è nemmeno un piccolo rumore. Amo davvero restare a casa anche se, certo, Miami è bella quando devo lavorare. Ho appena preso un nuovo spazio a Miami, un posto stupendo, ma la Colombia è meglio. LOH:

LOH: Buona parte dell’industria musicale si è bloccata durante la pandemia, tu invece hai pubblicato due album. Come hai trascorso il tempo durante il lockdown? M: È stata dura, perché ho passato tre o quattro mesi a casa (in Colombia) e non mi era mai capitato prima; sono stato in tour per qualcosa come otto anni, non-stop. Poi, quando tutto è successo, beh, se devo essere onesto, ero felice di essere tornato a casa. Ho costruito questa casa quattro anni fa, senza mai avere il tempo di godermela. Però, dopo tre mesi, ero del tipo, “no, devo lavorare”. Sono un vero workaholic. LOH: Dove hai trovato la motivazione per registrare a casa, da solo, durante una pandemia? M: È stato bello perché nessuno poteva raggiungermi. Non un ingegnere del suono, nemmeno i produttori. Perciò ho dovuto registrare da solo di nuovo, come facevo dieci anni fa. Non avevo nessuno vicino che cercava di dirmi quello che dovevo fare e ho registrato la musica che mi piace. Ho fatto due album, è stata una grande ispirazione recuperare le mie radici e quel tipo di musica che in passato avevo amato.

Avevi qualche rituale particolare per riuscire a restare concentrato? M: A dirla tutta, ho bevuto vino tutti i giorni, l’hanno fatto tutti, vero? Perciò ogni mattina avevo un po’ di mal di testa. Andavo in piscina e cercavo di allenarmi più tardi intorno al mezzogiorno o all’una, dopo di che stavo un po’ con mia madre. Prima di dormire, mi piace pregare, quello era il rituale migliore: sapevo che tante persone stavano morendo e io ero qui, a godermi la mia casa e la mia famiglia. Ho provato molta gratitudine. LOH:

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Giacca e camicia, COMMISSION; pantaloni, UMIT BENAN; orologio, RICHARD MILLE; mocassini, GUCCI.

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IN QUESTA PAGINA—Tank top, TOM FORD; NELLA PAGINA ACCANTO—Completo, SALVATORE

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pantaloni, ERMENEGILDO ZEGNA XXX; cappello, BORSALINO; bracciali, TIFFANY & Co.®. FERRAGAMO; tank top, TOM FORD; occhiali da sole, QUAY X MALUMA; mocassini, JOHN LOBB.


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LOH: Parliamo un po’ dell’ispirazione alla base di “7DJ” (7 giorni in Giamaica), il tuo nuovo album, fortemente influenzato dal reggae e dal dancehall? M: È da quando ho iniziato a fare musica che volevo registrare un album in Giamaica, un sogno che non riuscivo mai a realizzare perché ero sempre in tour. Sono arrivato al punto in cui ho sentito che stavo facendo troppe canzoni commerciali, mentre volevo fare solo quello che davvero mi andava di fare. Ho deciso di fermarmi con il tour e ho detto a tutti che volevo andare in Giamaica. Sono stato là otto giorni con i miei amici, che sono i miei produttori ed è stato incredibile. Siamo andati a tutte le feste clandestine, mi sono goduto la Giamaica al 100%, così ho deciso di raccontare tutta la storia, tutto il concept dell’album deriva da lì. LOH: Hai detto di essere stato in tour per quasi otto anni di fila. Come sarà ritornare sul palco quest’autunno? M: Un piano ambizioso, l’ammetto. Nessuno stava facendo concerti quando abbiamo annunciato il “Papi Juancho USA tour”, ma sono abbastanza certo che funzionerà. Lo show sarà al centro degli stadi, a 360 gradi. Ho dei nuovi musicisti e ballerini e un concept tutto nuovo, sarà pazzesco. Kim Jones e il team di Dior disegneranno venti look per il tour. Lui è uno dei grandi del settore e abbiamo un ottimo rapporto, non si tratta solo di lavorare insieme, siamo amici, è speciale non solo come stilista, ma come persona. LOH: Sei diventato una pop star globale, facendo davvero un crossover con il mondo latino. Con “Papi Juancho”, l’album dell’anno scorso, sei tornato un po’ alle origini. Come gestisci il tuo pubblico latino-americano rispetto a quello globale? M: Onestamente, è molto difficile. Cerco di fare esplodere la mia essenza. Ne parlo spesso, non credo di dover cantare in inglese per raggiungere mercati diversi. Voglio solo essere me stesso e divertirmi a fare la musica che amo. Se la gente vuole ascoltarla, ne sono molto grato. Se no, ci sono un sacco di artisti in giro e se vogliono ascoltare pezzi in inglese, va bene lo stesso. In questo momento sento che la mia essenza è il lavoro. Lavorare, ecco cosa faccio, e spero di fare divertire la gente quanto mi diverto io. So che le persone sentono quando sono fedele alle mie radici. LOH: Te

l’immaginavi che saresti diventato un fenomeno globale? sempre voluto essere una star globale. La gente a scuola mi prendeva in giro, proprio come la mia famiglia. Non so, era come se avessero paura che non ce l’avrei fatta. Poi ho iniziato a lavorare ed ero molto disciplinato, sapevo di avere i numeri per farcela, sono nel bel mezzo della strada, ma le cose stanno per succedere. M: Ho

LOH: Qual è il momento in cui hai capito che davvero stava succedendo? M: Era il mio primo tour negli States e volevamo fare gli stadi. Quando mi sono reso conto che ogni data era sold out, mi sono detto: “wow, qui sta succedendo qualcosa di grosso”. Oppure NELLA PAGINA ACCANTO—Gilet

a trecce e bermuda con logo GG, GUCCI; cappello, BAGTAZO; collana e bracciale, TIFFANY & Co.®; sandali, MANOLO BLAHNIK.

TALENT: Maluma; HAIR: Luis

Rivera; MAKE UP: Tina Echeverri; PRODUCTION: Beth Alonso e Gerrit Kretz; DIGITAL TECH: Carlos Rojas; TAILOR: Sara Lassalle; PRODUCTION ASSISTANT: John Beltran; PHOTO ASSISTANTS: Milton Arellano, Robert McKim e Fabio; STYLING ASSISTANT: Lauren Constantine.

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«VOGLIO soltanto RIUSCIRE A ESSERE me stesso, DIVERTIRMI E fare la musica CHE AMO. SE LA gente VUOLE ascoltarla LE SONO DAVVERO MOLTO grato grato»». quando in Israele sono venuti in 50mila a un mio concerto. E poi la nomination per i Video Music Awards. LOH: E quando hai realizzato che potevi avere lo stesso impatto anche sul mondo della moda? M: Se devo essere onesto, fin dall’inizio. Già agli esordi, vedevo che c’erano dei brand colombiani che volevano lavorare con me, mi mandavano vestiti, e sentivo proprio che non mi vedevano solo come un cantante, ma come una fashion icon. Poi i grandi nomi hanno iniziato a invitarmi a tutte le sfilate che facevano in Europa. È qualcosa che ho nel mio DNA, non è stato difficile per me, ci sono nato, forse perché mia madre e mio padre hanno sempre amato vestirsi bene. LOH: Anche

tu hai ceduto ai pantaloni della tuta, come hanno fatto tutti durante la pandemia? M: Indossavo la tuta tutti i giorni, mi sono rilassato, in pantofole. Prima ero sempre vestito a dovere, ogni giorno della mia vita. Avevo bisogno di godermi la mia casa e non c’è niente di male nel godersela in tuta e maglione. LOH: Sei nel cast di “Marry Me”, il film di J.Lo in uscita. Come ti sei approcciato al set? M: Ero nervoso, ero lì con Owen Wilson, era il mio primo film ed era a Hollywood, capisci? La prima volta sul set, ho sentito che ero nato per recitare. Lavorare con Owen Wilson è stato difficile perché lui è un attore davvero grande, ma nella prima scena girata insieme è stato lui a dire “wow, te la stai cavando alla grande”. Era tutto quello che mi serviva per calmare i nervi. Lavorare con Jennifer Lopez è stata un’esperienza meravigliosa, è una vera maestra. Ha molta disciplina, le piace fare tutto per bene, ho imparato molto da lei. Non sono stanco di parlare di “Marry Me”, perché è uno dei più grandi sogni della mia vita. LOH: Te lo devo chiedere, ma da dove è nato il pettegolezzo di te che esci con Kim Kardashian? M: Non lo so proprio! Eravamo insieme alla sfilata di Dior, l’ho incontrata lì per la prima volta e con me c’era anche Kourtney. La gente ha iniziato a parlare, non so perché abbiano cominciato a chiederle se stavamo insieme, forse perché stava ottenendo il divorzio, però no, siamo buoni amici. Non ci sentiamo molto spesso, ma ci auguriamo sempre il meglio l’uno per l’altra.


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IN QUESTA PAGINA—Turtleneck, SALVATORE

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FERRAGAMO; pantaloni, COMMISSION; bracciali, TIFFANY & Co.®; mocassini, MANOLO BLAHNIK. NELLA PAGINA ACCANTO—Giacca, SALVATORE FERRAGAMO.


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MORE

More IS

Figure massimaliste che si muovono in una moderna Arcadia. Arcadia. Poeti romantici romantici,, artisti maledetti e muse sofisticatamente sauvage a incarnare un presente dove si intrecciano feticismi leather, leather, acuti decorativi e spirito bohémien. bohémien. Photography RAFFAELE CERULO Styling SIMONE RUTIGLIANO



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IN APERTURA, DALL'ALTO—Giacca, LOEWE; pantaloni e collana, GUCCI; stivali, ACNE STUDIOS. Top, pant e cintura, DION LEE; stivali, SAINT LAURENT BY ANTHONY VACCARELLO. Abito, orecchini e stivali, MIU MIU. Top e orecchini, N°21 BY ALESSANDRO DELL'ACQUA; pantaloni, LOEWE; borsa, GIVENCHY; stivali, SONORA. IN QUESTA PAGINA, DA SINISTRA—Turtleneck, SAINT LAURENT BY ANTHONY VACCARELLO ; cardigan, LOEWE. NELLA PAGINA ACCANTO—Completo a motivo check, camicia, cappello, borsa, scialle di lana e stivali, LOUIS VUITTON; orecchino, NICCOLÒ PASQUALETTI; anelli, EMANUELE BICOCCHI; cintura, DION LEE.

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IN QUESTA PAGINA—Cappotto con interno di eco pelliccia, orecchini e stivali, PRADA. NELLA PAGINA ACCANTO—Giacca, top e pantaloni, VALENTINO ; borsa "Rockstud", VALENTINO GARAVANI.

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IN QUESTA PAGINA—Collana e anelli, GUCCI. NELLA PAGINA ACCANTO, DA SINISTRA—Giacca, pantaloni, guanti e stivali, GIVENCHY.

Gonna con applicazioni, leggings, orecchini di cristalli, borsa "Antigona Lock" e stivali di gomma, GIVENCHY.

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IN QUESTA PAGINA—Pull con maniche balloon e cardigan, pantaloni con zip e cinture, BOTTEGA VENETA. NELLA PAGINA ACCANTO—Cardigan traforato, ARDUSSE ; pantaloni e cintura, ACNE STUDIOS ;

cappello, NICK FOUQUET X FEDERICO CURRADI; collane, NICCOLÒ PASQUALETTI.

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IN QUESTA PAGINA—Spolverino, camicia, pantaloni e cappello, DIOR ; stivali, SONORA . NELLA PAGINA ACCANTO, DA SINISTRA—Miniabito, VERSACE; abito degradè, bracciali e anfibi, ALEXANDER M c QUEEN. Gilet, ARDUSSE;

pantaloni, LOEWE; stivali, SAINT LAURENT BY ANTHONY VACCARELLO. Tank top, ARDUSSE; pantaloni, MARNI; elmetto, GUCCI; cintura, ACNE STUDIOS.

MODELS: Edem Oueslati @ BOOOM THE AGENCY; Omar MAKE UP: Raffaella Tomaiuolo; PRODUCTION: Justin

Diouf @ INDEPENDENT MGMT; Hugo Tiem e Maria Peña @ THE CLAW; HAIR: Nicola Valzania; Gerbino; CASTING: Costanza Carozzo; STYLING ASSISTANTS: Simona La Via e Lorraine Betta.

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the NEW

Classic

Grazie a una sinfonia di tailoring generoso, generoso, knitwear più morbido e una tavolozza di sfumature neutre, il menswear ritorna alle sue radici raffinate, come racconta Clément Chabernaud. Photography ZEB DAEMEN Styling GABRIELLA NORBERG



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IN APERTURA—Top senza maniche di lana, GIVENCHY; pantaloni, ANN DEMEULEMEESTER; bracciali, stylist's own. IN QUESTA PAGINA—Camicia, DAVI PARIS, tank top, ANN DEMEULEMEESTER; pant, WALES BONNER; collana, stylist's own; mocassini, BRUNELLO CUCINELLI. NELLA PAGINA ACCANTO, DA SINISTRA—Pull e pant, FENDI, top, ANN DEMEULEMEESTER; scarpe, AMI PARIS. Coperta di lana, GIVENCHY; orecchino, Clément's own.

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IN QUESTA PAGINA—Montone, AMI

PARIS; giacca, DRIES VAN NOTEN; turtleneck, HERMÈS; pantaloni a zampa, ERNEST W. BAKER; collana, stylist's own; stivali di pelle, DAVI PARIS. NELLA PAGINA ACCANTO, DA SINISTRA—Pull e camicia di cotone, UNIFORME; foulard, SAINT LAURENT BY ANTHONY VACCARELLO. Completo di fresco di lana, turtleneck a fantasia, calze e scarpe stringate, PRADA.

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IN QUESTA PAGINA, DA SINISTRA—Collana

e anello, SAINT LAURENT BY ANTHONY VACCARELLO. Giacca e pull, ERNEST W. BAKER; camicia di cotone e stivali, LOUIS VUITTON; pantaloni, SAINT LAURENT BY ANTHONY VACCARELLO. NELLA PAGINA ACCANTO—Camicia, PAUL SMITH; tank top, stylist's own; pantaloni, HERMÈS; cappello, WALES BONNER X ADIDAS; calze, FALKE; scarpe, PRADA.

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IN QUESTA PAGINA, DA SINISTRA—Spolverino, pull,pantaloni, JIL

SANDER BY LUCIE AND LUKE MEIER; collana, stylist's own; cintura, SAINT LAURENT BY ANTHONY VACCARELLO. Giacca, camicia e lupetto, DIOR. NELLA PAGINA ACCANTO—Pull V-neck, AMI PARIS ; camicia, ETRO ; bermuda, DRIES VAN NOTEN; collana e bracciale, SAINT LAURENT BY ANTHONY VACCARELLO; calze, FALKE; scarpe stringate, PRADA. MODEL: Clément Chabernaud @ IMG MODELS; GROOMING: Eduardo ASSISTANT: Etienne Oliveau; STYLING ASSISTANT: Sara Biriukov.

Bravo; PHOTO

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IN CROWD the

Idee fresche e volti nuovi si incontrano in un portfolio speciale. speciale. Di figli e nipoti di alcune delle più importanti icone della moda, moda, chiamati a sfoggiare le ultime capsule collection create dalle maison con artisti e creativi fuori dagli schemi. Una infinita, costante, incessante ricerca del nuovo. I marchi del lusso internazionale continuano a scommettere sull’hype che circonda i drop di piccoli progetti creati a quattro mani con artisti e designer fuori dagli schemi. A continuare questa conversazione legata al nuovo, e portarla a uno step successivo, è un portfolio sui generis che vede protagonisti alcuni modelli di prossima generazione. Figli e nipoti di figure iconiche, che hanno scritto la storia delle passarelle e quella di Hollywood. A loro è toccato il compito di svelare le capsule collection nate dall’unione di due menti creative. Il marchio francese Celine, guidato da Hedi Slimane, si è trovato al centro della conversazione sul menswear, presentando collezioni ispirate alla cultura giovanile di oggi. E per la nuova collezione invernale ha chiesto a sette artisti di partecipare allo show “Teen Knight Poem”, popolato di giovani uomini che vagano con nonchalance sulle mura di un castello francese. Tra questi artisti compare Cambria Guevara, di Los Angeles, alias Mermaid Hex, che ha creato un motivo grafico stampato su un gilet di jeans, t-shirt, scarpe da ginnastica e un longboard, creando un’uniforme da skater completa. Nella maison Givenchy, l’artista grafico Chito è stato scelto dal direttore creativo Matthew M. Williams per aggiungere il suo tocco ai nuovi classici del marchio. I design aerografati di ispirazione pop dell’artista nato a Seattle, basato

in Messico, appaiono su felpe con cappuccio, giacche a vento, ciabatte e sull’iconica borsa Antigona. Tommy Hilfiger ha invece collaborato per la seconda volta con Timberland. Il risultato è una capsule di 16 pezzi ispirata agli anni ’90 pronta a riscrivere le leggi dello streetwear. Il marchio storico Louis Vuitton enfatizza le sue collaborazioni, chiamandole “Louis Vuitton Squared”. La seconda release di LV² continua la conversazione creativa tra il direttore artistico del menswear, Virgil Abloh, e Nigo, il fondatore dell’etichetta giapponese A Bathing Ape, appena nominato direttore artistico di Kenzo. Un omaggio alle silhouette degli anni ’50 e ’60, i design della capsule collection sono intrisi di uno spirito che unisce Oriente e Occidente. Infine, poche realtà hanno avuto più successo di Moncler nell’ambito delle collaborazioni. Conosciuto per il suo abbigliamento da sci, il marchio ha trovato una seconda vita attraverso il suo progetto Moncler Genius, in cui i designer ospiti sono invitati a infondere il proprio punto di vista su capi iconici. Ad esempio la capsule 6 Moncler 1017 Alyx 9SM, realizzata in tandem con il marchio 1017 Alyx 9SM, ha regalato un tocco futuristico a piumini, leggings e pants. Senza dimenticare Saint Laurent Rive Droite, che presenta una collezione in continua evoluzione di capi super stilosi oltre a mostre d’arte, spettacoli, eventi e oggetti legati al quotidiano contemporaneo.

Text by SABRINA ABBAS - Photography LIA CLAY MILLER - Styling MICHAEL COOK


JAMES TURLINGTON, NIPOTE DI CHRISTY TURLINGTON, IN CELINE Cintura, CELINE HOMME BY HEDI SLIMANE; skateboard, CELINE X MERMAID HEX.


ROBERTO ROSSELLINI, FIGLIO DI ISABELLA ROSSELLINI, IN CELINE L’OFFICIEL HOMMES: Sei un modello, un fotografo e disegni la tua linea, CTRL +. Il tuo prossimo progetto? ROBERTO ROSSELLINI: Lavoro nella fattoria di mia madre a Long Island, principalmente con gli animali ma anche facendo alcuni piccoli lavori di giardinaggio, e ho studiato biologia marina. Sto cercando di applicare queste esperienze al mio lavoro creativo e mi piacerebbe fare qualche esperienza di cinematografia subacquea per una realtà come il National Geographic, Geographic, ad esempio. Gilet di denim, felpa con cappuccio, gonna con motivo check, e scarpe stringate, CELINE HOMME BY HEDI SLIMANE; calze, CALVIN KLEIN.


ROBERTO ROSSELLINI IN MONCLER Gilet di piumino, MONCLER; piumini, 6 MONCLER 1017 ALYX 9SM.

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GABRIEL-KANE DAY-LEWIS, FIGLIO DI ISABELLE ADJANI, IN SAINT LAURENT LOFFICIEL HOMMES: Quali sottoculture hanno influenzato il tuo stile personale? GABRIEL-KANE DAY-LEWIS: Crescendo a Parigi mi sono appassionato al Tecktonik, che è una specie di danza elettronica. Tutti quelli che lo fanno si pettinano i capelli con una tonnellata di gel e indossiamo sempre jeans di Cheap Monday incredibilmente attillati con una felpa con cappuccio di American Apparel. Completo, scarpe e collane, SAINT LAURENT BY ANTHONY VACCARELLO; Boom box, SAINT LAURENT RIVE DROITE; guanti, WING & WEFT; orecchini. Gabriel-Kane's own.


GABRIEL-KANE DAY-LEWIS IN TOMMY HILFIGER X TIMBERLAND Bomber stile college, giacca di cotone, pantaloni e marsupio a tracolla, TOMMY HILFIGER X TIMBERLAND; camicia a righe, TOMMY HILFIGER; t-shirt e calze, CALVIN KLEIN; scarpe, CELINE HOMME BY HEDI SLIMANE; orecchini, Gabriel-Kane's own.

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AURÉLIEN ENTHOVEN, FIGLIO DI CARLA BRUNI, IN LOUIS VUITTON L’OFFICIEL HOMMES: Di recente ti sei trasferito da Parigi a New York. Qual è stato il più grande shock culturale? AURÉLIEN ENTHOVEN: Mi sono trasferito nella Grande mela solo una settimana fa. La prima volta che sono stato a New York avevo 11 mesi, la seconda volta avevo 11 anni ed entrambe le volte solo per tre giorni. In Francia ci salutiamo facendo il bisous, ma ho imparato che non devi farlo qui; è visto come qualcosa di super strano!

Giacca, pantaloni e stivali collezione "LV2 by Virgil Abloh", LOUIS VUITTON; guanti, WING & WEFT; cappello, THE LEATHER MAN.


JAMES TURLINGTON IN GIVENCHY L’OFFICIEL HOMMES: Prima il baseball e ora la moda. Com'è stato questo passaggio? JAMES TURLINGTON: Sport e moda sono opposti, ma è stato fantastico fare qualcosa di totalmente nuovo. Giocavo a baseball da quando avevo quattro anni, quindi era tutta la mia vita e avevo lo stesso programma ogni giorno. Sono rimasto sorpreso da quanto sia veloce il fashion system; non sai mai cosa sta succedendo fino al giorno prima. . HAIR: Sean

Gilet e pantaloni, GIVENCHY; cappello, GIVENCHY X CHITO. Michael Bennett; MAKEUP: William Scott @ THE WALL GROUP; PRODUCTION: Shayan Asadi; PHOTO ASSISTANT: Leah James; STYLIST ASSISTANT: Myles Colbert.

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DREAM makers Dai raffinati ritratti in studio degli anni ’50 agli scatti dal glamour concettuale degli anni ’90, ’90, i fotografi Roland Bianchini, Bianchini, Patrick Bertrand, Bertrand, Hiromasa Sasaki e Francesco Scavullo, Scavullo, assidui collaboratori de L’OFFICIEL L’OFFICIEL,, hanno introdotto una nuova forma d’arte.

Se l’outfit è l’indubbio protagonista di ogni servizio di moda, l’art direction e la tecnica che stanno dietro a una foto raccontano il contesto dell’indumento, costruiscono una narrazione e creano un mondo abitato da sogni di moda. Dagli anni Sessanta in poi, L’OFFICIEL ha iniziato a collaborare con una serie di fotografi di talento, capaci di fare storytelling attraverso l’immagine. Sono i fotografi che hanno reimmaginato le nuove collezioni di readyto-wear e couture da Parigi, creando un proprio immaginario di moda attraverso le pagine della testata.

I fotografi de L’OFFICIEL che hanno seguito le sue orme, come J-L Guegan e Rodolphe Haussaire, hanno portato avanti l’enfasi sulla narrazione, utilizzando tecniche di luci e colori saturati per creare pathos e suscitare emozione. Negli anni ’70 fanno la loro apparizione gli editoriali così come noi li conosciamo, ed evolve la fotografia di moda come mezzo di comunicazione. Nel 1968, il 29enne Patrick Bertrand, appena uscito dalla scena musicale ye-ye degli anni Sessanta entra a far parte di L’OFFICIEL, Cattura momenti intimi di coppie iconiche come Jane Birkin e Serge Gainsbourg o Alain Delon e Romy Schneider, oltre a produrre innumerevoli copertine di dischi di pop star francesi, tra cui France Gall e Marie Laforet. Il documentario di

Text by PIPER MCDONALD & TORI NERGAARD

Models photographed for L’OFFICIEL in 1968-1995

Nel 1966, Roland Bianchini iniziava la sua carriera durata 13 anni in seno al magazine. Mentre lavorava per L’OFFICIEL come fotografo principale, ha scattato la prima copertina con una modella di colore – Sandi Collins – così come l’icona francese Catherine Deneuve e un numero incalcolabile di collezioni di moda. Gran parte del lavoro di Bianchini si svolgeva in studio, dove ha trasformato i ritratti rigidi e impeccabili degli anni

Cinquanta nelle prime versioni dei moderni editoriali.



Bertrand sulle icone ye-ye, così come gli esordi come fotografo per Paris Match nel 1957, offrivano un senso di movimento e personificazione nei suoi lavori di moda. Gli scatti di Bertrand per L’OFFICIEL istigavano al movimento nell’immagine di moda, instillando nel magazine un senso di vitalità. Tra i tardi anni Ottanta e i primi Novanta, c’è stato un passaggio dalle silhouette audaci e gioiose delle decadi precedenti verso uno stile più smorzato, eppure egualmente glamorous. Questa nuova era di eleganza casual nelle pagine di L’OFFICIEL vive grazie a Hiromasa Sasaki e Francesco Scavullo. Conosciuti semplicemente come Hiromasa e Scavullo, i due fotografi ritraggono le top tra le supermodel dell’epoca, con addosso i look di Gianni Versace o di Jil Sander. Hiromasa ha iniziato a lavorare per il magazine nel 1989 e, prima di L’OFFICIEL, aveva frequentato il Fashion Institute

IN QUANTO creatori DI immagini immagini,, producevano PIÙ DI UNA documentazione SU UN particolare TREND O SU UNO stile. E IN REALTÀ spingevano OLTRE I confini DELLA MODA E DELLA cultura. of Technology di New York, dove aveva assistito fotografi del calibro di Denis Piel e Steven Meisel. L’abilità di Hiromasa consiste nel fare evolvere il glamour audace degli anni Ottanta nel fascino femminile del minimalismo degli anni Novanta. Il A SINISTRA, DALL'ALTO—Modella in Pierre Cardin e Jean Patou per L’OFFICIEL , 1971; modella in Guy Laroche e Pierre Cardin per L’OFFICIEL, 1970; modelle in Guy Laroche e Givenchy per L’OFFICIEL, 1977: tutte le fotografie sono di Roland Bianchini. SOPRA, DELL'ALTO—modelle

in Christian Aujard e Paul Bon per

L’OFFICIEL, 1970; modella in Christian Dior e Yves Saint Laurent per L’OFFICIEL,1969: tutte le fotografie sono di Patrick Bertrand.

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fotografo cattura il soggetto, aggiungendo un senso di raffinata giovinezza con una predisposizione al movimento e al contatto ineludibile come lo sguardo dei modelli ritratti. Hiromasa ha lavorato con il magazine fino al 2017. Forse il fotografo più celebre ad essere stato pubblicato ripetutamente su L’OFFICIEL, Scavullo ha lavorato per il magazine lungo tutti gli anni Novanta. Newyorkese, classe 1921, ha cominciato come assistente del leggendario fotografo Horst P. Horst a 24 anni e solo negli anni Sessanta si è fatto un nome. Le sue immagini si abbinavano all’energia dinamica del concomitante movimento per la liberazione della donna. I primi scatti di Scavullo celebravano la sessualità impudente tipica di quell’era. Negli anni Settanta, bazzicava lo Studio 54 con i glitterati di New York, da Halston a Bianca Jagger e la sua ascesa è stata facilitata dai ritratti che regalava alle celebrity, come Grace Kelly, David Bowie e Gore Vidal. L’approccio stilistico di Scavullo all’immaginario della moda ha dato vita ad alcune tra le copertine e i servizi più iconici di L’OFFICIEL nei suoi cento anni di storia. Le sue luci brillanti e un senso di profondità scenica, che sono la sua cifra di stile, consentono a chi guarda di concentrarsi facilmente su supermodelle come Claudia Schiffer o Elle MacPherson. Con

l’aiuto del suo partner e collaboratore da sempre, Sean M. Byrnes, le sue cover di Shalom Harlow in Gianni Versace, Karen Mulder in Chanel e Christy Turlington in Dior irradiano l’eleganza glamorous e al contempo easy degli anni Novanta. In studio, la sua estetica essenziale eppure ammaliatrice ha portato bellezza e fantasia alle pagine stampate di L’OFFICIEL.

SOPRA, DALL'ALTO—Stella Tennant in Chanel per L’OFFICIEL , 1996; modella in Ungaro e Dior per L’OFFICIEL, 1993; modella in Paul Ka e Yves Saint Laurent per L’OFFICIEL, 1994; modella in Dolce & Gabbana per L’OFFICIEL, 1995: tutte le fotografie sono di Francesco Scavullo. A SINSTRA, DALL'ALTO—Modella in Chanel per L’OFFICIEL , 1989; Nadege in Chanel per L'OFFICIEL 1989; Jane Powers in Ann Demeulemeester e Versace per L’OFFICIEL, 1993: tutte le fotografie sono di Hiromasa Sasaki.

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Le tele di McArthur Binion, Binion, ricoperte di griglie, sono più di quel che sembra. A uno sguardo attento si rivela l’abilità dell’artista artista di trasformare l’ordine e i modelli in qualcosa di decisamente reactive reactive.. L’arte nella sua accezione migliore è tutto fuorché semplice, facilmente riducibile o mono-dimensionale. Il pittore McArthur Binion, basato a Chicago, è da oltre cinquant’anni che, letteralmente e figurativamente, aggiunge strato su strato alle sue tele. Se qualcuno dovesse dare ai suoi dipinti più recenti uno sguardo affrettato, li leggerebbe come ottimi lavori astratti: elaborate griglie di linee e colori bilanciate, che funzionano

perfettamente a quel livello. Per alcuni artisti, sarebbe abbastanza. Un esame più attento rivela però che le linee non sono perfettamente dritte, e che le piccole variazioni creano un sottile movimento, una tensione. Appena sotto l’ultimo strato – un posto che Binion chiama il “sottoconscio” dell’opera, un’espressione che dimostra la sua capacità di scrittore – salta fuori che c’è tutto un altro dipinto, altre forme di immagini

Text by TED LOOS Photography WILLIAM JESS LAIRD Styling KIMBERLY NGUYEN




all’interno dei quadrati della griglia. Per esempio, nel tempo Binion ha dipinto stralci della sua vecchia rubrica degli indirizzi, richiamando una specie di autobiografia dai nomi e numeri del suo passato. La complessità del suo lavoro ha alimentato il fiorire dell’ultima parte della sua carriera. Binion è inserito nelle collezioni permanenti del Met, del Whitney, dello SFMOMA, anche gli Obama hanno acquistato diversi suoi quadri. E fino al 23 ottobre la Lehmann Maupin gallery di New York ospita “Modern:Ancient:Brown” una sua mostra di undici dipinti. Uno dei pezzi più significativi dello show è “Modern:Ancient: Brown:Cross(ed) The Line”, una nuova opera in inchiostro, olio e carta su legno. La griglia impressiona, ma sbirciando gli strati sottostanti, emergono immagini spettrali di un linciaggio in

aggiunge: «Mi piacciono i vestiti di qualità altissima». E nel suo guardaroba, oltre ad alcuni pezzi fatti su misura, ci sono pezzi di Balmain e di altri stilisti. Rashid Johnson, l’artista superstar di una generazione più giovane rispetto a Binion, che lo considera un mentore, dice di lui: «È sempre stato un creatore di immagini davvero sicuro di sé». Più ancora, Binion sembra avere avuto la percezione del suo destino, in particolare a riguardo della sua recente fioritura. «Mi entusiasma vedere tutta l’attenzione data al suo lavoro, mi ha sempre detto che sarebbe successo», dice Johnson che, da quando aveva 19 anni, ha studiato con Binion al Columbia College di Chicago, dove Binion ha insegnato per 23 anni. «Era sicuro di sé, anche se non riuscivo a vedere la sua strategia – stava trattenendo i suoi lavori degli anni ’70, con questo rinascimento in mente. E io allora dicevo: “Ok”, ed è successo per davvero»

«NON VOGLIO sminuire LE MIE mostre PRECEDENTI, MA QUELLA A CUI STO LAVORANDO È potenza PURA PURA»». Indiana. «È il pezzo chiave dell’allestimento», dice Binion, 76 anni questo mese. «Le immagini ritraggono l’uomo nero che fu linciato, così come la famiglia bianca che si era messa il miglior vestito della domenica per partecipare al linciaggio», aggiunge. Per un artista nero del Mississippi che, insieme alla sorella, raccoglieva cotone in una tenuta quando aveva tre anni, la scena risuona. «È semplicemente parte della storia di chi sono», dice Binion. «È feroce, ma stavo finendo il dipinto nella stessa settimana in cui si stava svolgendo il processo di Derek Chauvin per l’assassinio di George Floyd. Una coincidenza molto pesante». Negli ultimi anni, Binion, amante del jazz di lungo corso, ha dimostrato un tempismo che ogni musicista ammirerebbe: quando il mondo era pronto ad abbracciarlo appieno, anche lui era pronto. Quattro anni fa, la sua carriera e visibilità hanno avuto una grossa spinta quando un dipinto della sua serie “DNA” ha attratto l’attenzione della Biennale di Venezia del 2017, diventando un highlight della mostra. «Ho dato a tutti un calcio in culo. Questo è il mio miglior lavoro di sempre», dice parlando della mostra in corso. «Non voglio sminuire le mie mostre precedenti, ma questa è potenza pura». Il suo brio si estende anche al suo gusto personale. Binion dice di essere «sempre vestito in modo diverso rispetto a tutti gli altri» e A DESTRA—Coat, A. POTTS ; sweater, ISSEY MIYAKE. NELLA PAGINA ACCANTO—Giacca, camicia e pantaloni, BOBBY

scarpe, McArthur’s own. IN APERTURA—Giaccone, ETRO.

DAY;

Franklin Sirmans, il direttore del Pérez Art Museum di Miami, nota come Binion sia stato coerente rispetto al suo approccio nei decenni, mentre vari modi di dipingere hanno perso popolarità nel mondo dell’arte mondiale. «Di recente, è in voga la rappresentazione e la figura», dice Sirmans. «McArthur ha insistito con l’astrazione e porta avanti la sua causa». Dopo aver trascorso i primissimi anni in Mississippi, Binion si era trasferito a Detroit a quattro anni. «Avevo un blocco e balbettavo», dice della sua infanzia, continuando a balbettare. Ha sviluppato quella che definisce l’abilità di una, «comunicazione non verbale», 243



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che poi ha trasferito alla pittura, sebbene non nell’immediato. «La prima volta che sono entrato in un museo era quello di Arte Moderna, avevo 19 anni», dice Binion, una visita avvenuta mentre stava lavorando come junior editor in una pubblicazione newyorkese, dopo essere stato cacciato dalla Wayne State University di Detroit (dove successivamente avrebbe completato un corso di scrittura creativa). «Non avevo mai messo piede in un museo o qualcosa di simile», l’espressionismo astratto, in particolar modo lo aveva travolto, così come il lavoro di Jasper Johns. Successivament Binion ha frequentato la prestigiosa Accademia d’Arte Cranbrook in Michigan, ateneo in cui era stato una delle prime persone di colore a ottenere un master in belle arti. Sebbene abbia amato l’esperienza, aveva vissuto anche la frustrazione del senso di isolamento, un sentimento che sarebbe poi tornato una volta rientrato a New York, per affermarsi come artista. «Non volevo essere sempre l’unica persona nera», dice, «non c’era gente nera nella parte downtown della città».

delle storie di successo nate dal lavoro della fondazione siano di donne. Nel suo studio, Binion arriva presto tutti i giorni, traccia le sue ambiziose griglie su enormi tele, alcune delle quali gli richiedono di lavorare in cima ad alte scale a pioli e a ruotare in corpo per trovarsi nella posizione giusta. «Probabilmente mi ammazzerò», dice ridendo. Ha sempre messo particolare attenzione alla tecnica e al lavoro perfezionato nei decenni, anziché contare solo su brillanti idee concettuali. «Nel 90% degli artisti, il cervello è meglio della loro mano. Io voglio che la mia mano sia meglio del mio cervello», dice.

«NEL 90% DEGLI artisti artisti,, IL cervello È MEGLIO DELLA LORO mano.. IO VOGLIO mano CHE LA mia mano SIA MEGLIO DI QUELLO CHE È IL MIO cervello cervello»». Ma i vantaggi erano comunque tanti. Nel 1973 era in una collettiva insieme a Dan Flavin e Sol LeWitt, il che spiega i suoi considerevoli primi successi. «Il mio affitto a Tribeca era di 145 dollari al mese», racconta Binion, che insegnava, guidava un taxi e faceva arte, oltre a fare parte della scena culturale della downtown anni ’80, essendo amico di Jean-Michel Basquiat e altri. «Era così incredibile». Stabilitosi a Chicago nel 1991, Binion si concentra sull’insegnamento, sebbene continui a fare arte, pur non organizzando spesso delle mostre. E ora che raggiunge un livello completamente nuovo di risultati e fama, sta rafforzando il suo impegno verso il Midwest delle sue radici, tracciando anche la strada per rendere più semplice l’affermazione di altri. Nel 2019 ha creato la Modern Ancient Brown Foundation, che auto-sostenta a beneficio degli artisti emergenti di Detroit. Oltre a donazioni e seminari, parte quest’autunno una residenza per nove artisti. «Voglio scoprire il prossimo me», dice Binion, «spero che ce ne siano tanti». Poi aggiunge che spera che molte A DESTRA—Giaccone, FENDI. NELLA PAGINA ACCANTO—Maglione e pantaloni, DIOR. NELLE PAGINE PRECEDENTI—Cappotto, ISSEY MIYAKE; pantaloni

e calzature, McArthur’s own.

GROOMING: Jo Franco; PRODUCTION: STYLIST ASSISTANT: Sasha Leon.

Shayan Asadi; PHOTO ASSISTANT: Alex Morgan;

Il titolo di uno dei lavori della Lehmann Maupin, “Stuttering:Standing:Still (LDM II) VI” del 2013, introduce il tema della balbuzie – forse un argomento atipico per altri, ma non per Binion. L’artista la considera l’opposto di un ostacolo. «La balbuzie mi ha salvato la vita», dice. «Se da giovane fossi stato in grado di parlare in scioltezza come gli altri miei amici, sarei sicuramente diventato avvocato, perché questo è quello che fai quando cresci povero e vuoi aiutare gli altri». Invece ha riversato la sua energia nel dipingere ripetitivamente linee, creando uno schema ritmico, ma anche interrompendolo con movimenti ampi e piccoli. Sembra pensare che la sua condizione non solo abbia guidato la sua carriera, ma abbia anche influenzato la sua estetica: «La ripetizione è la mia balbuzie, è proprio così», dice Binion. Il risultato sono delle opere allo stesso tempo vibranti e aperte all’interpretazione. «Volevo avere qualcosa per tutti», commenta Binion pensando alle differenti reazioni che suscita e che incoraggia. «Questo è quello che mi piace. È lì che c’è la sfida». 247


HOME

run

All’interior designer Shawn Henderson piace fare business in modo tradizionale.. Ma i suoi progetti sono tradizionale totalmente legati alla modernità modernità.. C’è qualcosa nella storia personale e nelle dinamiche di Henderson che somiglia a un ritorno al passato nella sua accezione migliore. Gli interior designer che stanno iniziando ora sono ossessionati dal numero di followers su Instagram, cercano di correre prima di camminare – vittime di un’economia della personalità che premia i selfie e l’auto-promozione più della soddisfazione dei propri ricchi clienti. E per molti di loro, i selfie vanno a braccetto con un’idea di business per cui i potenziali clienti vedono i loro decorator come dei personal shopper, anziché dei rispettati professionisti di cui dovrebbero fidarsi.

Text by DAN RUBINSTEIN Photography STEPHEN KENT JOHNSON



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Shawn Henderson non è tra quelli. È più probabile che vediate una foto di lui con la sua mamma, piuttosto che a Mykonos. C’è qualcosa nella storia personale e nelle dinamiche di Henderson che somiglia a un ritorno al passato nella sua accezione migliore. «Non sono solo un decoratore di interni, anche se lo sono», dice. Preferisce mantenere una distanza professionale dalla sua clientela chic che include Sam Rockwell, Octavia Spencer e Glenn Close. «Una volta che ho stabilito un concept, è importante che tutto gli sia ricollegabile». Non ama fare shopping con i clienti e ammette di averne probabilmente persi proprio per questo. La sua prima monografia, “Shawn Henderson: Interiors in Context”, edita da Monacelli, esce questo mese e prende in considerazione i suoi progetti dal 2011 a oggi. Ciò che salta all’occhio di qualuque osservatore è quanto questi siano consistentemente inconsistenti in termini di stile. Qual è l’aspetto che li unisce tutti? A prescindere dal tuo gusto personale, ogni stanza è estremamente vivibile, senza nemmeno un’ombra di esibizionistmo o di sudditanza nei confronti di trend effimeri. «Amo tutti i tipi di decorazione, ma bisogna rispettare l’appropriatezza dello spazio», dice Henderson. In un rifugio modernista nel bel mezzo della natura incontaminata di Aspen, uno specchio sfaccettato dai bagliori

C’È QUALCOSA NELLA storia PERSONALE E NELLE dinamiche DI HENDERSON CHE somiglia A UN ritorno AL passato NELLA SUA ACCEZIONE migliore blu dell’artista Sam Orlando Miller se ne sta appeso su un camino in soggiorno, sopra a una poltrona in pelle di pecora e a un incredibile tavolino da caffè fuori misura che fa da gigantesco vassoio per libri e sculture. Pochi capitoli più in là, in un pied-à-terre nel West Village, un sofà di metà secolo in un sofisticato giallo senape è affiancato da un paio di piantane in lucite. In una fattoria nel Connecticut l’immagine è rusticchic con una poltrona Bergère di pelle rossa, poggiata su di un tappeto che ricorda un plaid. Sembrano tutti scollegati, ma ciascuno di questi progetti soddisfa i bisogni del singolo cliente IN QUESTA PAGINA—Una

chaise longue di Hans Wegner posta nell'angolo dello chalet Montana; la sala da pranzo della Connecticut farmhouse, le cui sedie sono dell'artista francese Pierre Abadie, attorno al tavolo di Gustav Stickley. NELLA PAGINA ACCANTO—Un ritratto di Shawn Henderson IN APERTURA—L'istallazione artistica della biblioteca nella casa di Greenwich include fotografie di Robert Mapplethorpe e Nan Goldin.

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e si armonizza con l’architettura unica di ogni casa, anziché cercare di contrastarla. Henderson fa spesso uso di mobili su misura, di pezzi vintage che non ti fanno mai dire: «Oh, l’ho già visto un milione di volte» e di arte contemporanea che non sembra selezionata da un consulente avido di intascare la propria commissione. Al contrario, sembra che le case siano state costruite intorno a quei pezzi. È anche strategico nelle sue scelte. Per uno dei suoi progetti più stravaganti, una casa a New Orleans, ha progettato un letto a baldacchino foderato in velluto blu Klein (uno dei suoi colori preferiti, una specie di marchio di fabbrica). Le grandi dimensioni del letto minimizzano il volume della stanza e i suoi alti soffitti, senza riempire i muri di opere d’arte o esagerare, mettendoci dentro troppa roba. «È un modo architettonico di decorare», dice, «Si tratta di creare spazio nello spazio». Il suo carattere senza pretese sorprende solo se non si conosce la sua storia di self-made man. Cresciuto in una famiglia proletaria nei sobborghi di Albany, nello stato di New York, ricorda di quanto risistemava ossessivamente il mobilio del bungalow dei suoi in stile Arts & Craft. «Soffrivo un po’ di disturbo ossessivo compulsivo. E sono stato molto fortunato ad avere sempre saputo cosa volevo fare». Anche da bambino - il più giovane di sei figli - dava consigli di décor ai suoi genitori. La sua 252

prima incursione nel mondo del design gli deriva dalla lettura dell’edizione americana (oggi chiusa) di House & Garden. In un’epoca in cui non era concepibile che i ragazzi amassaro l’arredo di interni, Henderson ricorda quando rubava House & Garden dallo studio del dottore e poi lo nascondeva dentro a un’altra rivista, come se fosse un numero di Playboy. Dopo aver studiato interior design e storia dell’arte nella vicina Rochester, ha lavorato in uno studio locale, progettando ristoranti e spazi residenziali, aiutandosi con i disegni fatti a mano (cosa che fa tuttora, senza CAD), mentre cuciva cuscini come extra per guadagnare qualcosa in più. Un’offerta di lavoro inaspettata a New York lo porta a lavorare poi con il noto progettista Thad Hayes, (Ammette di essere stato inizialmente scartato per quella posizione, ottenendola due anni più tardi, dopo che la persona selezionata si era rivelata inadatta, grazie a una educata nota scritta a mano dopo il rifiuto che aveva lasciato una buona impressione). I quattro anni passati con Hayes sono stati fondamentali per il giovane designer. «Ho imparato il processo che c’è dietro al IN QUESTA PAGINA—Le

sedie Papa Bear di Hans Wegner sono poste vicino al camino della Connecticut farmhouse. NELLA PAGINA ACCANTO—Nell'ufficio, una sedia di Paul McCobb è abbinata alla scrivania in palissandro danese.


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design», spiega. «Da Thad ho compreso come ci debba essere una ragione per qualunque cosa tu faccia». Shawn conquista autonomia e apprende a trattare coi clienti. Prima degli iPhone e dell’online decorating, ricorda di essere andato in giro per Manhattan con una macchina fotografica, a fare foto di mobili e a imparare quanto più era possibile dai commercianti in persona, forse l’ultima generazione di designer a lavorare così. «Provo molta nostalgia per quei tempi», dice. Aveva 31 anni quando nel 2003 si è messo in proprio. Oggi il suo primo libro gli fa apprezzare ancora di più il tempo trascorso con Hayes, vede un legame tra Hayes e l’Henderson che sarebbe diventato, un beniamino dell’industria. «Negli interni di Thad ti puoi rilassare», dice, «e anche nel mio lavoro è un aspetto così importante. Deve esserci un senso di appropriatezza, devi sentirti bene». Henderson indica un interno contemporaneo fatto di pannelli legno ad Aspen che è presente nel libro, come quello più in linea con quanto pensa che Hayes avrebbe fatto: una selezione di mobili low-profile per non competere con la vista mozzafiato delle montagne fuori dalle finestre.

Henderson RICORDA QUANDO RUBAVA House & Garden DALLO STUDIO DEL dottore E POI LO nascondeva DENTRO A UN’ALTRA rivista,, COME SE rivista SI TRATTASSE DI UN numero DI Playboy. Il suo primo hotel, Rock House Turks and Caicos, sarà completato all’inizio dell’anno prossimo, e si sta preparando al debutto della sua linea di arredi chiamata Swain, realizzata in tandem con un altro interior designer, Mike Rupp. La collezione, in arrivo sul mercato il prossimo anno, è ispirata al mobilio francese degli anni ‘30, con un mix eclettico che «In teoria, si dovrebbe poter ben combinare». Il libro è una specie di regalo di compleanno fatto a se stesso, dato che compirà 50 anni a novembre. «Sono all’apice della mia vita e dal punto di vista della carriera, ho le idee chiare sulla mia visione e approccio». IN QUESTA PAGINA, DALL'ALTO—Nel moderno rifugio di Aspen, uno sfaccettato specchio di Sam Orlando Miller domina il salotto; nella camera da letto c'è un dipinto di Brent Wadden. NELLA PAGINA ACCANTO, DALL'ALTO IN SENSO ORARIO—Il divano di Cesare Lacca è appoggiato ai piedi del letto a baldacchino in velluto blu, nella stanza da letto della casa del French Quarter. Nell'appartamento di Riverview, una fotografia di Cy Twombly di Horst P. Horst è appesa sopra a due rare sedie di Hans Wegner. Una fotografia di Wolfgang Tillmans è appesa al muro color malva nella Greenwich townhouse. La lampada di Barber Osgerby pende sopra al tavolo di Chris Lehrecke, nella sala da pranzo della casa di Hillsdale.

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La fascinazione della moda per le feste è stata raccontata nelle pagine de L’OFFICIEL OFFICIEL,, dove un dress-code esageratamente glamour prometteva serate wild & chic. Mentre l’era COVID-19 ha decisamente cancellato le feste sfrenate, le passerelle hanno cercato di far rivivere l’atmosfera di una serata ad alto tasso di glamour. Questa ossessione ricorrente per tutto ciò che luccica è forse una risposta sartoriale al lockdown imposto dalla pandemia o alle continue restrizioni attuate. Nel complesso, il mood contemporaneo ricorda molto la cultura disco dei Seventies che è stata spesso celebrata nelle pagine de L’OFFICIEL. Templi leggendari della musica dance e disco, come l’iconico Studio 54 a New York o Le Palace a Parigi, sono diventati il simbolo ​​ dell’eccesso e del glamour di un’intera

epoca. Un periodo di divertimento leggero e senza freni, un breve momento di allegria tra la rivoluzione culturale degli anni ’60 e la trance del more-is-more che ha caratterizato tutti gli anni ’80. Dal lurex alla pelle fino al broccato, passando per l’eleganza di uno smoking bianco, gli anni ’70 sono stati un momento di moda senza eguali, un periodo di esuberanza, liberazione e libertà, nato dall’emergere di cultura nottambula e di un’intellighenzia urbana, che ha lasciato un segno indelebile e duraturo sulla nostra cultura e sul costume contemporaneo. —Anne Gaffié



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