Le mani sul cacao - commercio equo

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Le mani sul cacao… Quasi quindici milioni di persone, nel Sud del Mondo, sono legate alla coltivazione di una tra le più importanti specie agronomiche, mentre poche società multinazionali controllano gran parte dell’economia che ruota intorno a questa preziosa risorsa e ai suoi trasformati, lasciando ben poco ai produttori locali.

Le mani sul cacao… Migliaia di cioccolatieri in tutto il Mondo compiono autentici miracoli del gusto, lavorando con fantasia ed esperienza il seme di una pianta ritenuta divina dagli antichi Maya, per la gioia del palato di milioni di appassionati. La sfida del Commercio Equo e Solidale, che intende unire giustizia e qualità: prezzo equo ai produttori del Sud e cioccolato di qualità dai piccoli trasformatori del Nord, per una proposta chiara e trasparente ai consumatori.

Le mani sul cacao… Una piccola guida che vi condurrà nel mondo dolce e amaro del “Cibo degli Dei” e nella filiera equosolidale del cioccolato di LiberoMondo.

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1 - IL CIOCCOLATO DALLA... Z ALLA A

Capace di liberare passioni come pochi altri cibi, il cioccolato ha sempre attirato l’attenzione di pasticceri, gastronomi, buongustai e semplici estimatori. Fin dalla scoperta del suo nobile papà, il cacao, si comprese infatti come quei semi costituissero un’eterna fonte di ispirazione culinaria e di “variazioni sul tema”. Dalle abbondanti bevute presso la corte del re azteco Montezuma alle raffinate creazioni degli attuali maestri cioccolatieri, il cacao e i suoi ingredienti sono stati oggetto di un’infinita serie di studi e trasformazioni, e ancora oggi la storia non è finita, anzi. Tentiamo quindi di esplorare il complesso mondo del cioccolato, iniziando… dalla fine!

Tanti tipi per mille esigenze Il cioccolato è un prodotto complesso che ama presentarsi sotto svariati “abiti”: a seconda del contenuto di alcuni elementi fondamentali, primi fra tutti la pasta e il burro di cacao, se ne ottengono, infatti, diversi tipi, adatti a soddisfare qualsiasi tipo di palato, età e utilizzo. Il più elegante di tutti, nel suo taglio scuro ed elegante, è certamente il cioccolato fondente, ricco di cacao (presente con un valore mai inferiore al 43 per cento), oltre a burro di cacao e zucchero. La percentuale di cacao, variando in quantità, definisce vari tipi di cioccolato fondente; dal 50 al 59% si ha il fondente tipo “Surfin”, oltre il 60 e fino al 70% si ha l’extra-amaro, per finire con l’amarissimo, che può arrivare fino al 99% di pasta di cacao! Un buon cioccolato fondente presenta un colore marrone scuro e lucido, un profumo molto intenso, persistente (aromi di cacao, orzo tostato e caffè) e una sensazione croccante al morso. Il tipo “Surfin” è caratterizzato da un colore marrone meno marcato, lucido, profumo intenso e sentori di cacao tostato, tabacco e liquirizia, ed è croccante al morso. Gli amarissimi, infine, rivelano un colore molto scuro, tendente al nero, un aspetto molto brillante e un profumo forte e caratteristico, ricco di aromi di cacao, viole, tabacco e liquirizia; molto croccanti al morso, fondono lentamente in bocca, esaltando così l’intensa nota amara di cui sono provvisti. Il cioccolato fondente impiegato in pasticceria non dovrebbe avere un contenuto in cacao inferiore al 50%, onde evitare prodotti di qualità abbastanza scadenti. Il cioccolato mi-doux è una miscela di cioccolato al latte e fondente in cui la percentuale di pasta di cacao non è inferiore al 38%. Il colore è marrone-lucido, e il profu3


mo, intenso e persistente, rivela sentori di cacao, caffè tostato e liquirizia; abbastanza croccante, al palato si presenta dolce e con una sensazione poco intensa di amaro. Il cioccolato al latte, amato soprattutto dai bimbi grazie al sapore dolce e alla consistenza delicata e cremosa, contiene non meno del 25% di pasta di cacao e una percentuale di sostanza secca derivante dal latte non inferiore a 14. Si presenta con un colore caratteristico marrone chiaro ed è dolce e poco croccante al palato, con una leggera nota di amaro e profumi che rimandano al caramello e al miele. Due tipi particolari di cioccolato al latte sono quello fantasia (sotto forma di granelli o fiocchi) e magro, con latte scremato o disidratato. Il cioccolato al latte è poco indicato in pasticceria e, in genere, in cucina, essendo piuttosto sensibile al calore. Il cioccolato bianco sfoggia il suo caratteristico abito color avorio, lucido e un profumo molto intenso di vaniglia, burro e biscotto. Al morso si presenta poco croccante, mentre al palato rivela un sapore decisamente dolce. Nota fondamentale: è l’unico cioccolato senza… cacao! La maggior parte della sua composizione, infatti, è data da burro di cacao (dal 20 al 50%), saccarosio e latte intero, parzialmente scremato o scremato. Il cioccolato gianduja proviene dalla geniale invenzione di un cioccolatiere torinese dell’800, Pierre Paul Caffarel, appartenente a una dinastia di pasticceri di indiscusso prestigio. L’anima di questo tipo di cioccolato è l’incontro tra cacao e nocciole; il contenuto minimo di pasta di cacao deve essere del 35%, mentre le nocciole, finemente triturate, sono presenti in percentuale variabile dal 20 al 40. Il gianduja classico, fatto esclusivamente utilizzando nocciole piemontesi, si presenta poco croccante al palato, di buona fusibilità e dal gusto delicato ma persistente di nocciole. In virtù della sua cremosità è piuttosto utilizzato in pasticceria, soprattutto nei ripieni e nelle creme. Il cacao in polvere è ciò che rimane della pasta di cacao dopo la spremitura (il procedimento che permette di estrarre il burro di cacao). Il panetto di cacao pressato (“magro”, perché ha perso buona parte del burro di cacao) viene alcalinizzato, per addolcirne il gusto e polverizzato. A seconda del grado di estrazione più o meno forte di burro di cacao si hanno due tipi di cacao in polvere, quello “10-12” e quello “20-22” (il numero si riferisce alla percentuale di burro di cacao che è rimasta nella polvere di cacao). Il burro di cacao è la sostanza grassa ottenuta per “spremitura” della massa di cacao macinata. Può essere utilizzata nella coperture, per arricchire la pasta di cacao e, ovviamente, nel cioccolato bianco. 4


Il cioccolato di copertura, così denominato perché utilizzato in pasticceria e dall’industria dolciaria per produrre soprattutto cioccolatini e praline, contiene soprattutto burro di cacao (minimo 31%) e cacao secco sgrassato in percentuale minima del 2,5%; se il cacao raggiunge la percentuale del 16%, si parla di “cioccolato di colore scuro”. La quantità di burro di cacao determina il grado di fluidità della massa: le coperture più dense, vale a dire quelle con meno burro di cacao, infatti, sono impiegate prevalentemente nella pralineria, mentre coperture via via più fluide sono impiegate nei rivestimenti o nella preparazione degli stampi. Il cioccolato di copertura al latte è un cioccolato al latte con un contenuto minimo di burro di cacao del 31%.

Il consumo di cioccolato nel Mondo e in Italia Il cioccolato è uno dei dolci più amati nel mondo, con oltre 5 milioni di tonnellate di prodotto a base di cioccolato consumato in un anno (dati 2003). Il suo utilizzo, tuttavia, è concentrato in modo particolare in Europa e negli Stati Uniti, sebbene, negli ultimi anni, si stia diffondendo in altre regioni geografiche (India, Cina e Giappone). In Italia abbiamo consumato, nel 2004, 4,26 Kg pro capite di cioccolato, un valore che ci pone al decimo posto nella classifica dei consumi europei, guidata da Svizzera, Belgio, Lussemburgo (con circa 10 Kg pro capite), Germania, Danimarca e Regno Unito (poco meno di 9 Kg); negli Stati Uniti il consumo è di circa 5 Kg pro capite all’anno. Se confrontiamo i dati in base a una media continentale, l’Europa è la maggior consumatrice di cioccolato, con 2 Kg annui, seguita dall’America (soprattutto settentrionale), con poco più di 1 Kg e, a distanza, da Asia, Africa e Oceania, con circa 0,10 Kg. Nel 2005 nel nostro paese sono state prodotte 350.000 tonnellate di cioccolato, pari a un fatturato complessivo di quasi 3 miliardi di euro. Nel quinquennio 2001-2005 il comparto del cioccolato è cresciuto del 16%, registrando il maggior incremento tra tutti quelli del settore dolciario (fonte: AIDI – Associazione Industrie Dolciarie Italiane). Le principali aziende produttrici di cioccolato operanti a livello nazionale sono Ferrero, Barry-Callebaut Italia, Lindt&Sprüngli Italia, Novi, Caffarel, Masterfoods Italia, Nestlé Italiana, Elah-Dufour, Kraft-Foods Italia, Zaini, Pernigotti, Sveglio, Venchi, Witor’s, Majani e Icam. Il mercato, nelle categorie merceologiche tradizionali (tavolette e barrette, snack, creme spalmabili, praline e cioccolatini, ovetti e uova) è in mano a poche multinazionali (Ferrero, Nestlé, Kraft, Elah-Dufour, Lindt&Sprüngli e Masterfoods controllano circa il 70% del fatturato); in molti settori di nicchia, tuttavia, sono cresciute le produzioni di qualità di molte piccole e medie aziende nazionali. Una piccola curiosità: in Italia il cioccolato (come tale e in preparazioni di vario tipo) si consuma per il 35% circa fra la prima colazione e il pranzo, per il 45% nel pomeriggio e per il restante 20% dopo cena, mentre la stagione privilegiata per il consumo del “cibo degli dei” è, ovviamente, l’autunno-inverno.

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Dal cacao al cioccolato: come si compie un miracolo Dalle fave di cacao a una tavoletta di cioccolato o una pralina si realizza un piccolo miracolo dal grande gusto, affascinante e misterioso come il celebre libro “La fabbrica del cioccolato” di Roald Dahl. Ogni passaggio, in realtà, è frutto di tradizioni e tecnologie sviluppatesi senza sosta fin dall’arrivo, nel XVI secolo, delle prime “cabosse” (ossia i frutti) di cacao. Spagna, Italia e Francia nei primi tempi e, successivamente, Inghilterra, Olanda, Belgio e Svizzera sono stati i paesi che più hanno contribuito al progredire del cioccolato in tutte le sue forme. Il primo passaggio e, forse, il più delicato e importante, è quello in cui si compie la tostatura (o torrefazione) delle fave di cacao giunte dalle grandi aree di produzione (Centro e Sudamerica, Africa occidentale e Sudest asiatico). A questo riguardo, occorre fare una precisazione importante, concernente la qualità delle fave. Difetti come muffe e danni meccanici causati da insetti e una raccolta irregolare, o sapori e odori sgradevoli, come quelli di fumo e legno, rendono problematica la lavorazione. La completezza della fermentazione rappresenta un altro Tostatura delle fave punto decisivo: i semi poco o affatto fermentati si presentano con una gamma di colori che varia dal viola all’ardesia. Le fave, opportunamente selezionate e pulite dai detriti, sono riscaldate fino a un tempo massimo di 30 minuti in un “tostino”, una macchina che consente di effettuare una torrefazione a temperatura controllata, generalmente compresa fra i 120 e i 140°C. Tempo e gradi centigradi variano in funzione del tipo di cioccolato che si desidera ottenere e del livello di qualità della materia prima (le fave di maggior pregio, infatti, sono generalmente tostate a temperature prossime ai 120°C). Così come avviene per i migliori caffè, anche nel caso del cacao la fase di riscaldamento va controllata con scrupolo, per evitare sbalzi di temperatura una volta raggiunto il livello ottimale. Le fave appena tostate vengono raffreddate ad aria, poste in un “rompicacao” per l’eliminazione del guscio e inviate alla triturazione, dove rulli (generalmente in granito) schiacciano la granella di cacao, trasformandola in una pasta (massa di cacao). Le tappe successive prevedono la polverizzazione, l’aggiunta di zucchero e un ulteriore passaggio ai cilindri (i rulli di granito), in modo da ottenere una “farina” a cui si fa una prima aggiunta di burro di cacao. La massa di cacao, dopo la macinazione, può essere destinata alla spremitura: un trattamento a caldo, in speciali presse idrauliche, per l’estrazione della componente liquida, che altro non è se non il prezioso burro di cacao. La parte solida che rimane (sotto forma di blocco di cacao), viene polverizzata e alcalinizzata (per addolcirne il gusto). La terza fondamentale tappa si chiama concaggio, definito così perché comporta la lavorazione in conche, tramite movimento conti6

Concaggio


nuo e costante, della pasta fine di cioccolato a temperatura controllata (generalmente tra i 60 e gli 80°C) e per un periodo piuttosto variabile a seconda del tipo di prodotto che si desidera ottenere (si va, infatti, da 10 ore a 4/5 giorni, a seconda del grado di qualità del prodotto). In questa fase viene aggiunta la maggior parte del burro di cacao fuso che, grazie al movimento delle conche, si mescola gradatamente e in modo completo alla massa di cacao. Il cioccolato, che ha ormai assunto una consistenza omogenea (“vellutata” se è rimasto nelle conche intere giornate), viene avviato alla fase del temperaggio, consistente nel condurre la temperatura, in modo lento e costante, ai 45°C circa, così da fondere tutta la frazione grassa. Il temperaggio prevede il passaggio a diverse temperature: dai 45°C appena raggiunti, infatti, si scende repentinamente a 27°C, per poi risalire, lievemente, a 29°C (per il cioccolato al latte e bianco) e 31°C (nel caso di cioccolato fondente). Questa serie di passaggi è necessaria per ottenere una regolare e fine cristallizzazione del burro di cacao. Il cioccolato è pronto! Siamo giunti al momento del modellaggio, in cui il cioccolato viene riversato in appositi stampi (barrette, blocchi, quadrotti e cilindri), avendo cura di evitare il formarsi di fastidiose bolle d’aria. Gli stampi vengono avviati a una leggera refrigerazione e al confezionamento vero e proprio. Il punto di arrivo, non meno importante degli altri, è dato dalla conservazione del prodotto finito, in condizioni adeguate di pulizia, umidità e temperatura e nel giusto lasso di tempo. Se i gradi di umidità (50%) e temperatura (15-16°C) sono abbastanza simili per tutti i vari tipi di cioccolato, il periodo di stoccaggio varia sensibilmente in base al tipo di prodotto: si va, infatti, da un massimo di tre anni per il cioccolato fondente, all’anno circa per quello al latte e agli 8-9 mesi nel caso del cioccolato bianco, di gran lunga il più esigente in quanto a condizioni di immagazzinamento.

Confezionamento delle barrette di cioccolato

Informazioni nutrizionali sul cioccolato Cacao in polvere, burro di cacao, saccarosio, a volte latte: dietro una composizione relativamente semplice, si nasconde in realtà una miniera di sostanze biochimiche e minerali, alcune delle quali tipiche di questo alimento. Vediamo, in sintesi, i principali componenti del “Cibo degli Dei”. Il cacao amaro in polvere contiene grassi e proteine, cui si affiancano lipidi e glucidi se aggiungiamo burro di cacao e zucchero. 100 grammi di cioccolato apportano una quota abbastanza elevata di Kcal (circa 7


500), segno che si tratta di un alimento decisamente energetico (tra tutti i tipi, l’apporto più alto è quello del cioccolato al latte, con circa 550 Kcal; seguono il cioccolato al latte con nocciole e la crema spalmabile - 540 Kcal - quello fondente - 510 Kcal - e il cacao in polvere, 355 kcal. Tra i macronutrienti, il cioccolato è relativamente povero in proteine, mediamente ricco in lipidi (a seconda dei tipi, si va, per ogni 100 g di prodotto, dai 37 g del cioccolato latte e nocciole, ai 26 del cacao in polvere), e presenta un buon contenuto in glucidi (dal 48 al 60%, a seconda delle tipologie). Le proteine del cioccolato non hanno un alto valore biologico, i lipidi sono rappresentati soprattutto da acidi grassi saturi, steroidi e lecitina, mentre gli zuccheri derivano per lo più dall’amido. Minerali e vitamine sono presenti in diversa misura (e natura) a seconda del tipo di cioccolato: ferro e fosforo abbondano nella polvere di cacao, riducendosi fortemente nei vari tipi di cioccolato; il calcio si trova soprattutto nel cioccolato al latte e nelle creme spalmabili a base di nocciole, analogamente al magnesio, minerale importante in alcuni processi biochimici del nostro organismo. Tra le vitamine, vanno segnalate la PP, B1, B2 e A. Vanno ricordate alcune sostanze tipiche del cacao, prima fra tutte la teobromina, alcaloide che esercita una qualche azione di rilassamento sulla muscolatura liscia, nella dilatazione coronarica e nella diuresi. Ricordiamo, inoltre, la tiramina e la feniletilamina, biochimicamente definite “amine biogene”, in grado di agire a livello degli impulsi nervosi del cervello e di scatenare, in soggetti sensibili, fastidiose cefalee. Sfatiamo un mito: il cioccolato non fa venire i brufoli! La letteratura medica, infatti, abbonda di sperimentazioni che smentiscono questo nesso. Controverso, invece, l’effetto antiossidante che eserciterebbe il cacao: è indubbio che i semi di cacao siano ricchi di flavonoidi, sostanze antiossidanti per eccellenza (come catechina, epicatechina e procianidine), ma è altrettanto verificato che tali sostanze si perdono in buona parte durante la tostatura delle fave. La composizione, inoltre, è piuttosto variabile in funzione del tipo di terreno e della varietà coltivata. Si stanno sperimentando, a questo riguardo, prodotti costituiti da cioccolato miscelato con polvere di cacao, anche se con scarse rese dal punto di vista organolettico. Un’ultima considerazione, legata alla funzione del cioccolato come antidepressivo e sul ruolo dell’aminoacido triptofano come precursore della serotonina, un neurotrasmettitore in grado di condizionare il tono dell’umore. Il cioccolato contiene buone dosi di triptofano, ma la connessione con l’attività antidepressiva non è automatica: la produzione di serotonina, infatti, dipende da molti fattori biochimici, per cui non si può ritenere, allo stato attuale della ricerca biomedica, che il cioccolato sia un sicuro ed efficace antidepressivo.

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Cronologia dell’ingegno cioccolatiere da Montezuma ai giorni nostri Il cioccolato come lo conosciamo ai giorni nostri è il risultato di un lungo e originale percorso che, dai riti e costumi delle antiche popolazioni del Centroamerica (Olmechi, Maya, Toltechi e Aztechi) ha condotto alle raffinate e prelibate creazioni degli odierni maestri cioccolatieri. Un percorso che, sebbene punteggiato da scontri piuttosto che incontri di civiltà, ha contribuito a mescolare costumi e tradizioni a volte estremamente diversi fra loro. Come spesso è accaduto nel corso della storia umana, anche in questo caso il cibo si è rivelato un utile momento di scambio tra terre lontane, e che il cacao si sia rivelato un cibo molto speciale, lo si capisce “curiosando” tra le testimonianze delle prime popolazioni che ebbero la fortuna di scoprire e conoscere il “Cibo degli Dei”. Fu Quetzalcoatl, infatti, potente dio azteco, a sottrarre un po’ di cibo agli dei per donarlo agli uomini, e quel cibo era costituito, manco a dirlo, da alcune preziose “cabosse”, ossia frutti della pianta del cacao. Cibo talmente prezioso che divenne addirittura merce di scambio e addirittura moneta (ma solo i semi più belli e grandi, con gli altri si preparava la cioccolata). Fu mezzo di scambio per Maya e Aztechi e, come tutte le monete che si rispettino, al conio ufficiale si affiancò quello dei falsari, che mettevano in circolo semi “contraffatti”, provenienti da altre piante. Il “falsario del cacao” era, ai tempi di Montezuma (primi anni del nostro Cinquecento) un mestiere piuttosto redditizio, seppure pericoloso e perseguito severamente. Dei o non dei, è abbastanza certo che la diffusione del cacao come alimento risalga fino al 1.500 a.C., nelle terre dello Yucatan, ad opera soprattutto degli Olmechi. La pianta del “kakaua” era tenuta in forte considerazione anche dai Toltechi, che la diffusero più a sud, e, successivamente, dai Maya e dagli Aztechi. Nel fatale incontro con l’uomo bianco europeo (ritenuto, per una serie tragica di coincidenze, lo stesso Dio Quetzalcoatl, finalmente ritornato, dopo centinaia di anni, per vendicarsi di un’altra divinità, malvagia e potente, che l’aveva sconfitto), il cacao giocò un ruolo di primo piano. Fu, infatti, uno dei più preziosi doni offerti al falso Quetzalcoatl, alias Hernán Cortez, famoso avventuriero spagnolo che nel 1519, con la benedizione di Carlo V cattolicissimo re appena divenuto imperatore dei due mondi - si dedicò a ogni genere di saccheggi e massacri. Non solo il cacao ma anche il “cacahuatl” o “xocolatl”, oppure ancora “chocol-nahuatl”, a seconda delle scuole di interpretazione, venne offerto ai falsi dei. Si trattava, allora, di cacao macinato e insaporito con spezie che veniva allungato con dell’acqua (“atl”, in azteco, significa acqua). Nel 1528 Cortez, tornando in Spagna, portò con sè anche alcuni semi, frutti e piante di cacao, che destarono subito molto interesse un po’ dappertutto: a corte, fra i botanici, persino tra gli ecclesiastici. Vennero aggiunti un po’ di zucchero e qualche spezia (fra cui peperoncino, cannella e vaniglia), per mitigare il forte sapore amaro, e Il successo fu immediato e internazionale, tanto che trent’anni dopo le famose cabosse di cacao giunsero in Italia (al seguito di Emanuele Filiberto, savoiardo generale delle truppe imperiali spagnole) e, all’inizio del Seicento, presso la corte francese di Luigi XIII. 9


Spagna, Italia e Francia: tra ‘500 e ‘600 il cioccolato e le sue “invenzioni” passeranno da qui: Madrid, Parigi, Torino, Firenze, Roma diventeranno le prime capitali della cioccolata, sebbene quasi sempre in ambito aristocratico ed ecclesiastico (fior di papi, tra cui Clemente VIII, Paolo V e Benedetto XIV, discuteranno sulla liceità o meno del consumo della cioccolata; si era diffuso, infatti, il sospetto che la bevanda eccitasse un po’ troppo gli animi, i sensi e gli ardori…). Nei primi tempi la cioccolata era preparata esclusivamente con l’acqua, arricchita con spezie o, più delicatamente, da scorza di limone ed essenza di gelsomino. In seguito, a partire dalla metà del ‘600, si diffuse l’utilizzo del latte e del miele, oltre alle immancabili spezie e allo zucchero di canna. Nel XVIII secolo, con l’affermarsi della potenza inglese, il cioccolato divenne, con il caffè, la bevanda della buona borghesia (famose le “Chocolate House” di Londra, Oxford e dintorni). Nella prima metà del XVIII secolo si compie, con l’applicazione delle prima meccanizzazione di tipo industriale, un importante passo in avanti: le fave, infatti, cominciano a essere pressate e macinate meccanicamente (Inghilterra), mentre si ha una prima idea della lavorazione del cacao in sequenza (Francia). Sarà tuttavia un farmacista olandese (sic!), Coenraad Van Houten, a fare un secondo grande passo decisivo, vale a dire la separazione, tramite pressione meccanica, del burro di cacao dalla pasta: la polvere di cacao (ricavata dalla pasta “magra”) è cosa fatta. Circa vent’anni dopo, nel 1848 e nuovamente in Inghilterra, Francis Fry introduce la terza “rivoluzione cioccolatosa”, la barretta di cioccolata; basta aggiungere, alla miscela di cacao e zucchero, burro di cacao e non acqua. Semplice, ma geniale, come molte grandi scoperte… La Fry & Son’s è appena nata, probabilmente la prima grande “fabbrica del cioccolato”, sicuramente la prima che abbia colpito l’immaginario collettivo. La tradizione inglese ha occupato ormai un posto di primo piano in Europa, tant’è che un’altra famiglia storica di cioccolatieri, quella dei Cadbury, inventa i cioccolatini. La quarta rivoluzione avviene nella pacifica Svizzera, dove un tale che si chiama Rudolph Lindt mette a punto il sistema per concare la massa di cioccolato, seppure in modo del tutto fortuito (casuale ma geniale, come molte grandi scoperte…). Siamo nel 1879 e si spalancano le porte, a questo punto, per il grande cioccolato; il concaggio, infatti, permetterà il raggiungimento di livelli di qualità prima inimmaginabili. E pensare che gli svizzeri, sessant’anni prima, avevano imparato l’arte del buon cioccolato a Torino, dai signori Caffarel! Visto che parliamo di Caffarel, segnaliamo la nascita, nella Torino fresca capitale d’Italia, del cioccolato gianduja (e relativo gianduiotto): siamo nel 1861, di lì a pochi anni il titolo di capitale del regno le sarà sfilato, a beneficio di Firenze e poi Roma, ma le rimarrà, ben saldo, il quello di capitale italiana del cioccolato. Sempre gli svizzeri, nel 1875, inventano il cioccolato al latte, che proporranno subito e con evidente successone sotto forma di barretta. Ricordiamo ancora l’invenzione delle praline, a Bruxelles, ad opera di Jean Neuhaus 10


(il nome dirà poco, ma se aggiungiamo che era il proprietario della “Côte d’Or”, forse, qualche lampadina si accende…). Un’ultima cosa: nel 1949 un certo Pietro Ferrero da Alba inventa, anche qui per puro caso, la “Nutella”, e scusate se è poco!

La pianta del cacao Il cacao (Theobroma cacao, famiglia Sterculariaceae) è specie prettamente tropicale, crescendo in una fascia compresa tra i 20° latitudine Nord e i 20° Sud, con le eccezioni di Cuba e delle Mauritius, che si trovano un po’ al di fuori di questi limiti. Le condizioni climatiche ideali per la crescita di questa pianta prevedono temperature comprese tra i 25° e i 32°C, precipitazioni abbondanti e regolari, assenza di sole eccessivo e poco vento. I terreni devono essere profondi, freschi e poco argillosi. L’habitat ideale è quello d’ombra, garantito, ad esempio, dalla presenza del banano. La pianta, che in natura è alta mediamente dai 6 agli 8 metri, cresce abbastanza velocemente, strutturandosi in 3-5 branche che ramificano molto e formano una densa chioma. Le varietà coltivate, tuttavia, vengono potate e tenute a un’altezza media di 56 metri. Già al secondo-terzo anno la pianta entra in fioritura, e dal quarto anno inizia a fruttificare regolarmente. Si tratta di una specie cauliflora, vale a dire che fiorisce direttamente sul fusto e sui rami principali. La fioritura, generalmente, è abbondante e suggestiva, con fiori bianco-rosati, sebbene solo una minima parte di essi (1-2 %) fruttificherà. Il frutto, che botanicamente è una cabosside, ha la forma di un pallone da rugby, può raggiungere i 25 centimetri di lunghezza e pesa, mediamente, 500-600 grammi; il colore varia con la maturazione, mutando dal verde-giallo al rosso porpora al viola. Ogni cabosside contiene, mediamente, 40-50 semi, piatti, tondeggianti, lunghi circa 3 centimetri e avvolti da una polpa bianca e succosa dal sapore dolciastro.

La raccolta La maturazione si compie, a seconda dell’altitudine, tra i 4 e i 6 mesi dopo la fioritura, e i frutti vengono raccolti manualmente e aperti sul campo, avendo cura di non danneggiare l’involucro bianco che avvolge le file longitudinali dei semi. La raccolta costituisce una fase abbastanza delicata, perché il fusto, se danneggiato, potrebbe non fiorire più l’anno successivo. Per tale ragione si preferiscono raccolte manuali. I semi, ancora avvolti dalla pellicola biancastra, vengono portati nei locali di fermentazione, dove sono lasciati a riposo per un tempo variabile da 1 a 7 giorni, a se11


conda delle varietà (quelle più pregiate necessitano di tempi di fermentazione corti, mai superiori ai 3 giorni). Il procedimento della fermentazione può seguire una tecnica artigianale, singolare e suggestiva, oppure una più moderna. La tradizione vuole che i semi siano esposti al sole, tra due strati di foglie di banano, disposte a formare un cerchio. Una tecnica più moderna prevede la sistemazione in casse a fondo forato e impilate in cataste. Le casse vengono smosse periodicamente. Nel corso della fermentazione si sviluppa il caratteristico aroma di cioccolato e diminuisce notevolmente la componente amara, mentre la temperatura non deve superare i 50°C; nel corso del processo la pellicola biancastra che avvolge i semi si ammorbidisce gradatamente, fino a diventare liquida e trasformarsi in alcool. In questa fase è estremamente importante garantire una buona aerazione della massa, così da favorire l’ossidazione dell’alcool che via via si forma in acido acetico e garantire il colore e l’aroma tipici del cacao. La fermentazione viene interrotta quando compaiono le prime macchie brune nei semi più esposti all’aria; i semi vengono esposti al sole per circa due settimane, così da abbattere l’umidità fino al 6-7% ed evitare la formazione di pericolose muffe. Trascorso questo tempo si procede alla cernita, ripulitura e stoccaggio dei semi nei tradizionali sacchi di juta. Per fare un Kg di semi di cacao (essiccati) occorrono dalle 20 alle 25 “cabosse”.

Le varietà del cacao Alcuni botanici suggeriscono di suddividere la specie Theobroma cacao in due sottospecie, Theobroma cacao typica e Theobroma cacao leicocarpus: alla prima appartiene il pregiato cacao “Criollo” o “Bianco” , tipico del Venezuela, alla seconda appartiene il cacao cosiddetto “Calabacillo”, detto anche cacao amaro o violetto. Queste due sottospecie sono state incrociate frequentemente nel corso degli ultimi tre secoli, originando una moltitudine di varietà, tutte raggruppabili in una terza sottospecie artificiale, chiamata Theobroma cacao intermedium o “Forastero”. Il frutto del cacao Criollo deve il suo nome dal termine “creole” (straniero), introdotto dagli spagnoli dopo la conquista. Stiamo parlando del cacao dei Maya, originario del Messico ma anche del Venezuela (il “Porcelana”, varietà pregiatissima, è originaria della zona di Maracaibo). Tra le varietà di Criollo più conosciute ricordiamo: “Venezuela”, “Old Red Ceylon”, “Giava”, “Madagascar”, “Nicaragua” e “Samoa”. Il criollo, indubbiamente il migliore di tutti, è sensibile alle malattie, per cui se ne coltiva non più del 5% del totale mondiale; particolarmente ricca di burro di cacao, rivela un gusto delicato e aromi molto apprezzati ed è coltivata in Venezuela e Madagascar per le produzioni dei “cru” e, in genere, di cioccolato pregiato. Il Forastero, originario dell’Amazzonia, è attualmente la varietà più coltivata in Brasile e Africa occidentale, dove fu introdotta dai portoghesi. Costituisce la gran parte 12


della produzione di cacao mondiale (l’80% circa), grazie alla resistenza alle malattie e alla facile adattabilità a vari tipi di terreni. Presenta un gusto spiccatamente amaro e acidulo. Fra le varietà sono degne di nota: “Angoleta”, “Cundeamor” e “Amelonado” (quest’ultima, tipica dell’Ecuador, è indubbiamente la miglior varietà di Forastero). Il terzo grande raggruppamento è quello del “Trinitario”, ed è il risultato dell’incrocio tra varietà di “Forastero” e “Criollo”. Deriva il suo nome dall’isola di Trinidad, dove fu coltivato per la prima volta. Le caratteristiche delle varietà appartenenti a questo gruppo sono intermedie fra i due precedenti: buon contenuto di burro di cacao e aroma abbastanza raffinato. E’ coltivato in diversi territori, dall’America centro-meridionale all’Asia (soprattutto Indonesia e Sri Lanka).

Le aree di produzione Abbiamo già accennato a quali latitudini il cacao sia coltivato e quali siano le condizioni climatiche ideali per la sua crescita. Simili caratteristiche si trovano in America Centrale (e parte di quella Meridionale), Africa Occidentale e Sudest Asiatico (soprattutto Malesia e Indonesia). In particolare, le varietà americane più pregiate provengono da Messico, Caribe, Ecuador, Venezuela, Brasile (zona della Bahía), Ghana e Costa d’Avorio. Nel Sudest Asiatico sono state avviate, negli ultimi trent’anni, numerose e grandi piantagioni di cacao ibrido (di tipo trinitario e forastero). La produzione di fave di cacao si attesta intorno ai 3 milioni di tonnellate annue. Nel 2003, ad esempio, su 3.102.000 tonnellate prodotte, quasi il 70% provenivano dall’Africa, poco più del 13% dall’America Latina e il restante 17/18% dal Sudest asiatico. I dati riportati nel grafico e nella tabella n. 1 evidenziano la classifica dei maggiori produttori e degli addetti per paese (dati quadriennio 2000-2003).

Fascia di produzione del cacao. Fonte: ICCO - International Cocoa Organization 13


Tab. 1 - Confronto produzione e numero addetti per aree di produzione Fonte: ICCO - International Cocoa Organization

Area Produzione

Prod. media (periodo 2000/03)

% prod. sul tot. mondiale

Num. addetti (stima 2001)

Addetti x tonnellata prodotta.

2.019.000 518.000 403.000 2.940.000

68,7 17,6 13,7 100

10.500.000 2.110.000 1.390.000 14.000.000

5,20 4,07 3,45 4,76

Africa Asia e Oceania America Latina Totale Mondo

Principali paesi produttori di cacao (tonnellate) Fonte: ICCO - International Cocoa Organization 1.400.000 1.265.000 1.200.000

1.000.000

800.000

600.000 424.000

411.000

400.000

175.000

200.000

145.000

135.000

129.000 85.000 45.000

40.000

38.000

33.000

15.000

Papua N. Guinea

Colombia

Malesia

Venezuela

0 Costa d'Avorio

Indonesia

Ghana

Nigeria

Brasile

Camerun

Ecuador

Rep. Dominicana

Altri *

Le cifre riportate in tab. 1 permettono alcune interessanti considerazioni, collegate anche alle dimensioni medie delle singole unità di produzione. Indonesia e Ghana, ad esempio, hanno all’incirca lo stesso raccolto, ma il confronto degli addetti nei due paesi è di 1 a 2,5. Tra Brasile e Nigeria questo rapporto è addirittura di 1 a 5! Secondo stime dell’ICCO – “International Cocoa Organization”, associazione che riunisce i paesi produttori e quelli trasformatori del cacao – la coltivazione del cacao è garantita da piccoli produttori, concentrati soprattutto in Africa e, misura minore, in Asia e America Latina; oltre il 90% della coltivazione, infatti, avviene in superfici comprese da 0,5 a 5 ettari. Le principali piazze dell’esportazione del cacao sono Abidjan, Douala e Lagos, per l’Africa, Salvador de Bahía, Ilheus e Guayaquil, in America Latina, Surabaja e Kuala Lumpur nel Sudest asiatico. 14


2 – CACAO AMARO, ANZI, AMARISSIMO!

Cacao amaro non solo per i consumatori e gli estimatori, che ne ricercano con soddisfazione l’inconfondibile gusto e l’aroma. Cacao amaro, purtroppo, anche per i piccoli produttori dell’America Latina, dell’Africa e dell’Asia, sempre più penalizzati da un sistema di commercio internazionale che in molte circostanze globalizza tutto fuorché diritti e profitti. Cerchiamo di analizzare in maniera un po’ più approfondita cosa succede intorno al mondo del cacao.

Le cifre del cacao Le borse mondiali Il cacao è una delle principali “commodities” mondiali e, analogamente a un’altra importante materia prima agricola, il caffè, ha una propria borsa dove viene stabilito il prezzo internazionale. I luoghi che decidono quanto vale una tonnellata di cacao sono essenzialmente due, entrambi al di fuori delle aree geografiche in cui si concentra la produzione. Il cacao centro e sudamericano, infatti, viene prevalentemente quotato alla Borsa di New York (Csce – Coffee, sugar and cocoa exchange), mentre quello africano e asiatico dipendono dalle quotazioni della Borsa di Londra (LIFFE – London International Finance Futures Exchange). Alla determinazione del prezzo sono esclusi i produttori, in quanto il mercato è controllato da pochi importatori, alcune multinazionali e varie società finanziarie di vario tipo che speculano sulle quotazioni dei titoli, incluso quelli relativi alle commodities. Il mercato dei titoli (futures), dipendendo esclusivamente da fenomeni speculativi, non tiene conto delle effettive disponibilità di quantità e qualità del prodotto. Può capitare, quindi, che manovre finanziarie legate a grossi investitori e a società di vario genere, determinino flessioni dei prezzi a volte molto forti, del tutto indifferenti alle produzioni quantitative e qualitative.

Il peso delle multinazionali L’importazione e la produzione del cioccolato sono, per la maggior parte del mercato, in mano a un numero abbastanza ristretto di aziende a carattere transnazionale, la cui azione e gli interessi strategici svolgono, ormai da alcuni decenni, un ruolo importante nella determinazione del prezzo del cacao.

15


Tab. 2 - Principali aziende importatrici di fave di cacao Fonte: ICCO - International Cocoa Organization

Gruppo / Azienda

Archer Daniels Midland Cargill Barry Callebaut Blommer Petra Foods Nestlé Cadbury/Schweppes Cantalou/Cemoi Hershey Ferrero Philip Morris Mars Altri Totale produzione mondiale

Paese

Q.tà trasf. (tonnellate)

% su tot. mercato

Stati Uniti Stati Uniti Francia Stati Uniti Singapore Svizzera R. Unito Francia Stati Uniti Italia Stati Uniti Stati Uniti

470.000 440.000 400.000 170.000 160.000 150.000 100.000 90.000 70.000 70.000 60.000 50.000 970.000

15 14 13 5 5 5 3 3 2 2 2 2 30

3.200.000

100

Leggendo i dati della tabella n. 3 si osserva come quasi il 60% del cacao mondiale sia comprato e sottoposto a prima lavorazione da sei corporate. L’importazione e la prima lavorazione del cacao - cernita, macinazione delle fave e produzione della massa di cacao - sono controllate da grandi aziende europee e americane, presenti nelle principali aree di coltivazione con una estesa e organizzata rete di acquisto del prodotto. In Costa d’Avorio, ad esempio, circa il 25% del mercato è controllato da tre grandi acquirenti. Molte di queste aziende, essendo quotate in borsa, svolgono un ruolo importantissimo di cerniera tra quotazioni del mercato all’ingrosso e speculazioni sui titoli azionari (“futures”). Nel caso dei produttori di cioccolato finito si tratta, anche in questo caso, di poche multinazionali che controllano una grossa fetta del fatturato mondiale: sei di queste, infatti, si spartiscono circa il 70% del fatturato: Mars (USA), Nestlé (Svizzera), Hershey Foods (USA), Cadbury-Schweppes (G. Bretagna), Ferrero (Italia), e Kraft Foods (controllata ora dalla statunitense Altria Group, alias Philip Morris). La tabella n. 4 evidenzia i fatturati delle principali imprese transnazionali del pianeta.

16


Le fette della “torta di cioccolato” - Fatturato delle principali multinazionali del settore (in milioni di dollari) Fonte: The Candy Industry - Gennaio 2004

Barry Callebaut Francia 2.547

Perfetti Van Melle Ita-Ola - 1.599

Lindt & Sprungli Svizzera - 1.212 Mars - USA 8.145

Wm Wrigley Jr. - USA 2.746 Kraft Foods - USA 3.122

Hershey Foods - USA 4.120

Nestlé - Svizzera 7.771 Ferrero - Italia 4.769 Cadbury-Schweppes R.Unito 5.890

Il ruolo dei mercati all’ingrosso Un altro canale che controlla lo scambio di cacao è quello all’ingrosso, in cui avviene la vendita reale dei prodotti; solo in quest’ultimo caso la determinazione del prezzo dipende da fattori direttamente inerenti al prodotto. Negli ultimi vent’anni, tuttavia, essendosi ulteriormente concentrato il mercato del cacao e del cioccolato in poche mani, anche questo canale risente di effetti distorti dovuti a fenomeni oligopolistici e a vendite e acquisti “artificiali”, finalizzati più a condizionare il prezzo del mercato (con ripercussioni sui futures) che non all’esigenza di scorte di magazzino. Generalmente, si calcola che nella filiera legata alla compravendita del cacao i “traders” (vale a dire tutte le tipologie di compratori e venditori, dall’acquisto presso il produttore alla vendita alle industrie di trasformazione) possono ricevere fino al 70% circa del prezzo finale, mentre ai produttori va, mediamente, non più del 5%. Il prezzo del cacao ha subito, negli ultimi trent’anni, forti oscillazioni, dovute in un primo momento al notevole incremento della produzione nel ventennio 1975-1995, soprattutto a causa di nuove piantagioni nel Sudest asiatico (Malesia e Indonesia). La produzione, quasi raddoppiata nel giro di 20 anni, ha portato a un crollo vero e proprio della quotazione, che alla fine degli anni Novanta era circa un quarto di quella trattata alla metà degli anni Settanta. L’introduzione, nelle piantagioni intensive a grande superficie tipica dei paesi del Sudest asiatico, di nuove varietà ibride, più resistenti alle malattie e facilmente adattabili a diversi terreni ma decisamente meno pregiate dal punto di vista della qualità delle fave di cacao, ha contribuito ulteriormente all’abbassamento del valore. La quotazione media dell’ultimo biennio (2004 -05) è stata di 1545 dollari per tonnellata. 17


Le mosse dell’Unione Europea Un altro passaggio fondamentale nella complessa vicenda del prezzo del cacao è la direttiva dell’Unione Europea che, dal marzo 2000, autorizza l’utilizzo, fino a un 5%, di “materia grassa vegetale” diversa dal burro di cacao: un contraccolpo molto forte per i produttori di cacao, soprattutto africani (l’Europa, che importa circa il 40% del cacao mondiale, ha, storicamente, un rapporto privilegiato con i produttori delle ex colonie, soprattutto Ghana, Nigeria, Costa d’Avorio e Camerun, dai quali proviene circa l’85% di tutto il cacao in fave importato dal Vecchio Continente). Il valore di 5, in realtà, va letto in rapporto alla quota minima del 19% di burro di cacao che, fino al 2000, era d’obbligo utilizzare nei paesi dell’Unione Europea: si autorizza, in realtà, la sostituzione del 25% del burro di cacao! La riduzione della quota di burro di cacao a beneficio di altri succedanei comporta un risparmio medio, per le multinazionali che controllano la produzione di cioccolato e derivati, di almeno 200 milioni di dollari (vale a dire, prendendo come riferimento le quotazioni medie del cacao in semi del triennio 2003 - 2005, circa 125.000 tonnellate di fave di cacao in meno, una cifra quasi corrispondente alla produzione media annua del Camerun!). Nel caso le industrie di trasformazione europee decidessero di non utilizzare appieno la percentuale, limitandosi a una sostituzione di burro di cacao pari al 3% (alcuni paesi, infatti, come Francia, Italia e Germania sono critici nei confronti della direttiva), si avrebbe una diminuzione di acquisto di circa 90.000 tonnellate (stime operate da Henry Mason, economista dell’ICCO – International Cocoa Organization, organizzazione internazionale che raduna i principale paesi esportatori e importatori di cacao). Altre previsioni (Università di Amsterdam), più pessimistiche, si sono spinte a calcolare un utilizzo pieno, da parte di tutti i paesi membri dell’UE, della quota del 5%, con una riduzione di importazione di fave di cacao pari a 200.000 tonnellate. Per paesi come la Costa d’Avorio e il Ghana, le cui economie si basano in misura rilevante sulla coltivazione del cacao (rispettivamente 50 e 30% dell’export), la ripercussione sarebbe, in ogni caso, molto forte. Un’altra stima operata dall’ICCO calcola un calo degli introiti, per i produttori, pari all’1% ogni 10.000 ton. di riduzione nella domanda di fave di cacao; in riferimento ai calcoli precedentemente eseguiti significherebbe una perdita compresa il 9 e il 20%, che equivarrebbe a una contrazione complessiva di fatturato variabile tra i 150 e i 320 milioni di dollari, quasi tutti a carico dell’area africana. I succedanei del burro di cacao sono raggruppabili in tre categorie, i “CBE - Cocoa Butter Equivalents “ (olio di palma, illipe’, karite’), i “ CBR - Cocoa Butter Replacers “ (olio di soia, olio di semi di cotone, olio di palma non-laurico) e i “ CBS - Cocoa Butter Substitutes “ (olio di cocco). Alcuni grassi vegetali tra quelli menzionati possono provenire da piante manipolate geneticamente, quasi sempre con contratti di coltivazione estremamente sfavorevoli e vessatori per i contadini, a beneficio delle aziende (europee e americane) detentrici dei brevetti. Tra questi l’unico che potrebbe interessare i contadini africani è il karité, ma la trasformazione di questo prodotto è 18


controllata quasi totalmente da aziende che hanno sede in Giappone, Regno Unito, Olanda, Danimarca e Svezia.

La “benedizione” del Codex Alimentarius La direttiva dell’Unione Europea sui sostituti vegetali al burro di cacao ha avuto, in fase di elaborazione, l’appoggio del Codex Alimentarius, un Organismo creato nel 1962 dalla FAO (Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura) e l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) con l’obiettivo di elaborare un codice di norme relative alla produzione e al commercio dei prodotti alimentari in grado di facilitare gli scambi internazionali, garantire transazioni commerciali leali e assicurare ai consumatori un prodotto sano, igienico, non adulterato e correttamente presentato in etichetta. Attualmente sono membri della Commissione del Codex Alimentarius 165 Paesi, che rappresentano più del 98% della popolazione mondiale. ll Codex Alimentarius propose, nel 1995, con l’appoggio della delegazione britannica e della CAOBISCO (Association of the Chocolate, Biscuit and Confectionery Industries), di consentire l’impiego di grassi vegetali fino al 5% del prodotto finito nonché di ridurre il contenuto minimo di cacao nel cioccolato al latte dal 25 al 20%. Niente male, se si pensa al compito che dovrebbe assolvere un simile organismo!

Cacao e protezionismi Una delle raccomandazioni che le nazioni ricche periodicamente rivolgono a quelle povere, è quella di irrobustire le basse entrate commerciali con un medio-alto valore aggiunto dei loro prodotti d’esportazione. Questo consiglio è, di fatto, ampiamente contrastato dalle stesse economie sviluppate, che, a protezione delle loro produzioni, applicano dazi elevatissimi ai trasformati e semi-trasformati quando transitino attraverso le loro dogane. Il cacao costituisce un caso esemplare al riguardo: può essere esportato in Europa e Stati Uniti senza alcun dazio, ma se vi giunge sotto forma di cioccolato in polvere, incontrerà un’imposta doganale salirà del 15%; se arriverà come cioccolato fondente, su di esso si abbatterà un tasso del 20%. Ecco perché l’Italia, la Francia, la Germania e la Svizzera, che non coltivano cacao, producono più cioccolata della Costa d’Avorio o del Camerun e la Gran Bretagna, che ugualmente non è nota per ospitare grandi coltivazioni di cacao, produce polvere di cacao più di quanta non ne esca dal Ghana. La conclusione è che i paesi produttori di cacao (se si eccettuano paesi come Brasile, il Messico e Venezuela) esportano il 90% di materia prima e meno del 5% di trasformato.

Opportunità o disgrazia? Il difficile mercato del cacao Verso la metà degli anni ’70, il prezzo del cacao veleggiava intorno ai 3.800 dollari la tonnellata, e proveniva da un ciclo abbastanza lungo di crescita. I produttori, soprattutto concentrati nell’America centro-meridionale, nel Caribe e nell’Africa occidentale, faticavano a far fronte alle richieste del mercato mondiale, anche a causa della dimensione medio-piccola delle piantagioni. Il prodotto era quasi sempre di buona qualità e 19


le due uniche grandi famiglie varietali coltivate erano il “Trinitario” (di gran lunga la maggiore) e il “Criollo”. Il prezzo alto e la domanda sempre robusta indussero molti coltivatori, soprattutto africani e asiatici, a investire maggiormente in nuove piantagioni, ma, mentre i primi mantennero, generalmente, la loro dimensione medio-piccola, nel caso asiatico si assistette a una concentrazione fondiaria molto forte e a un tipo di agricoltura di tipo intensivo e industriale. Nel corso di pochi anni vennero immesse sul mercato ingenti quantità di cacao (quasi sempre di qualità inferiore a quella dei mercati latinoamericani e africani). Da 1,5 milioni di tonnellate, infatti, si passò, venti anni dopo, a 3 milioni di tonnellate di cacao in grani immesso sul mercato. Alla concentrazione progressiva della produzione e della commercializzazione nelle mani di pochi grandi soggetti ha corrisposto un analogo processo di accorpamento sul versante del mercato del cioccolato, dove, in breve tempo, sei “corporate” a carattere transnazionale hanno assunto il controllo di oltre il 70% dell’economia di questo importante trasformato del settore dolciario. Gli interessi dei primi si sono sempre più intrecciati con quelli dei secondi, con alcune multinazionali direttamente coinvolte, attraverso loro controllate, nella coltivazione del cacao. In questo processo economico un ruolo determinante è stato giocato dalla Banca Mondiale e dall’ICCO (International Cocoa Organization), che negli ultimi trent’anni hanno sostenuto programmi di sviluppo a favore della coltivazione intensiva del cacao, con forti produzioni in grado di mantenere basso il prezzo: un’azione abbastanza chiara, dunque, a favore delle grandi aziende trasformatrici e a completo sfavore nei confronti dei produttori. Nel passaggio dagli anni Ottanta ai Novanta, inoltre, va annoverata un’altra profonda trasformazione della catena commerciale del cacao, soprattutto per quanto riguarda il mercato africano, di gran lunga il più importante dal punto di vista della produzioVariazioni del prezzo del cacao dal 1975 al 2005 (media annua in dollari per tonnellata)

Fonte: ICCO - International Cocoa Organization

4500

4000

3500

3000

US$

2500

2000

1500

1000

500

0 75

77

79

81

83

85

87

89

91 anni

20

93

95

97

99

01

03

05


ne: il progressivo smantellamento degli organismi di controllo dei prezzi. A partire dal secondo dopoguerra, infatti, alcuni fra i principali paesi produttori crearono un meccanismo di controllo per stabilizzare e uniformare i prezzi. In Nigeria e Ghana, ad esempio, venne creato il “Marketing Board”, un organismo statale che comprava il raccolto dai contadini a prezzi fissi, vincolati ad alcuni criteri di qualità. In Costa d’Avorio e Camerun, la “Caisse de Stabilisation” agiva in modo analogo, sebbene meno rigido e favorevole per i produttori. Questi sistemi comportavano un onere per gli stati, ma garantivano un utile effetto calmierante nei confronti delle forti e repentine oscillazioni dei prezzi, quasi sempre drammatiche per i piccoli produttori. In seguito agli accordi di liberalizzazione previsti dal GATT (General Agreement on Tariff and Trade), questi sistemi scomparvero quasi del tutto. Il progredire delle superfici a coltura intensiva e l’impiego di ibridi sempre più produttivi condussero, in alcuni casi, allo sviluppo di gravi fitopatologie, responsabili in poco tempo della perdita di interi raccolti e delle piante stesse. E’ il caso, ad esempio, del Brasile, dove, sul finire degli anni ’90, un fungo microscopico, la “Vassoura de bruxa” (Crinipellis perniciosa), devastò il 70% dei 670.000 ettari coltivati a cacao nella regione di Bahía, causando la perdita di lavoro a circa 250.000 persone. Nel sudest asiatico, più che vittima, il cacao divenne “carnefice”. L’introduzione della coltura intensiva di questa pianta, infatti, provocò il disboscamento di decine di migliaia di ettari di foresta primaria, soprattutto in Malesia, Indonesia e Papua-Nuova Guinea, con la creazione di problemi ambientali enormi (alterazione dell’ecosistema, impoverimento del suolo, processi di desertificazione, alluvioni, continua minaccia per numerose specie vegetali e animali, ecc.). L’introduzione massiccia del cacao come “moneta” (futures) nei fondi d’investimento delle principali borse mondiali, ha creato, negli ultimi quindici anni, una delle distorsioni più grandi nel prezzo del cacao, soprattutto per quanto riguarda le fluttuazioni, a volte repentine, delle quotazioni. Lo spostamento progressivo della contrattazione del prezzo da meccanismi legati alla compravendita ad altri di natura prettamente speculativa, infatti, ha aggiunto ai prezzi in continua discesa un elemento di forte insicurezza per i produttori. Nel quinquennio 2000-2004 il prezzo alla tonnellata ha subito variazioni molto forti, con oscillazioni anche in brevissimi periodi. Ad esempio, verso la fine del 2000 la quotazione era poco più di 900 dollari, nel settembre del 2002 il valore era di 2150 dollari circa, per scendere a 1800 dollari neppure due mesi dopo e iniziare una fase di discesa costante, fino ai 1600 dollari di fine 2003 e ai 1400/1500 del 2004. Un ultimo, ma non meno importante aspetto legato alla profonda trasformazione delle condizioni di produzione e del mercato del cacao è l’instabilità politica, economica e sociale di alcuni paesi in cui questa pianta viene coltivata in maniera massiccia. Costa d’Avorio, Nigeria e Indonesia, che insieme garantiscono il 60% della produzione mondiale, hanno vissuto a più riprese, negli ultimi quindici anni, crisi a volte drammatiche che hanno influito in modo negativo su vari aspetti legati alla filiera di produzione.

21


Le condizioni di lavoro Le profonde trasformazioni del mercato del cacao negli ultimi venti anni, per i motivi macroscopici che abbiamo appena elencato, hanno influenzato in modo molto forte anche le condizioni di lavoro di chi trae sostentamento da questa risorsa. Per comprendere meglio tali cambiamenti conviene osservare in modo un po’ più approfondito le realtà produttive delle diverse aree di coltivazione del cacao. In America centrale e meridionale la struttura prevalente di coltivazione si basa su piccole piantagioni di proprietà del singolo produttore o su latifondi, alle cui dipendenze lavora un certo numero di coltivatori. La coltura non è mai troppo intensiva, specialmente dopo le vicissitudini del cacao brasiliano durante gli anni ’80 e ’90. Si fa un uso abbastanza diffuso di varietà locali, in alcuni casi con un occhio prevalente alla qualità (Ecuador, Brasile, Venezuela). In Africa occidentale, la figura di gran lunga prevalente è quella del singolo proprietario che, su appezzamenti molto piccoli e frazionati, conduce la propria attività agricola. Si utilizzano varietà coltivate tradizionalmente, anche se non sempre la qualità è garantita, soprattutto a causa di mancanza di risorse per migliorare le tecniche di coltivazione, raccolta ed essicazione. Nel Sudest asiatico prevalgono le grandi superfici, gestite da singoli proprietari o aziende, e la coltura è prevalentemente di tipo intensivo, con uso massiccio di fertilizzandi e pesticidi. Le produzioni sono abbondanti e la qualità medio-bassa. Le fluttuazioni del prezzo del cacao hanno effetti diversi a seconda degli ambienti di coltivazione. Nei primi due casi (piccoli proprietari, coltura tradizionale, prodotto di qualità), una brusca variazione di prezzi al ribasso ha effetti molto forti e negativi, con contrazioni di margini e guadagni a volte esiziali, e comunque affrontabili solo con rimedi drastici. La loro microeconomia può essere considerata di sussistenza, almeno per quanto riguarda la produzione di cacao, in quanto i ricavi sono appena sufficienti a remunerare le spese di produzione e qualche spesa per la famiglia. L’abbassameto del prezzo, anche nella misura di pochi centesimi di dollaro al Kg, può avere pesanti ripercussioni. Nel secondo caso, le maggiori risorse finanziarie consentono accantonamenti e fondi per affrontare i momenti difficili e le turbolenze del mercato. La maggiore dimensione delle aziende, inoltre, facilita l’accesso al credito, cosa che, di regola, non è possibile per i piccoli coltivatori. La necessità di salvaguardare a ogni costo l’attività porta a comprimere il più possibile tutti i costi di produzione, primo fra tutti quello del lavoro dei salariati, e questo è un dato che accomuna tutte le tipologie di piantagioni. Nei paesi dell’Africa occidentale , soprattutto in Costa d’Avorio, Ghana e Nigeria, si fa ricorso, a volte in dose massicce, al lavoro minorile. L’IITA - Istituto Internazionale di Agricoltura Tropicale, ha pubblicato dati inquietanti: solo in Costa d’Avorio i bambini e gli adolescenti che lavorano nei campi di cacao sono oltre 600.000, e di questi il 64% avrebbe meno di 14 anni; inoltre, non più di 5.000 sarebbero pagati regolarmente, mentre circa il 30% non è libero di lasciare i campi. I bambini sono preferiti per le loro caratteristiche fisiche e la loro scarsa propensione a ribellarsi. La maggior parte dei bambini e adolescenti finisce in schiavitù a causa delle difficili situazioni in cui vivono le loro famiglie. Nella maggior parte dei casi, infatti, la famiglia cede alcuni dei numerosi figli come pagamento di un debito o, semplicemente, per “alleggerire” il peso delle bocche da sfamare. In molte zone rurali 22


della Costa d’Avorio, addirittura i 4/5 dei bambini sarebbero avviati al lavoro, senza possibilità di scolarizzazione e svago. In molti casi, inoltre, sono affidate loro le mansioni pesanti (il trasporto dei sacchi con i semi raccolti) o pericolose ( come applicare i pesticidi). Un altro canale molto attivo per il reclutamento dei bambini lavoratori è la promessa di ingenti guadagni fatta a molte famiglie povere e numerose dei paesi confinanti, come il Mali e il Burkina Faso. Salia Kante, vicedirettrice di “Save the children”, stima che nella maggioranza delle piantagioni della Costa d’Avorio lavorino dai 50 ai 100 bambini, venduti dalle loro famiglie per 50 euro, costretti a lavorare nei campi dalle sei di mattina alle nove di sera e rinchiusi la notte in stanze senza letti e prive di bagno; come cibo viene loro fornita una banana e un pugno di mais. Le ragazzine, invece sono impiegate nei lavori di casa, come domestiche, o avviate alla prostituzione. I ragazzi “vecchi”, vale a dire dai 16 anni in su, sono allontanati dalla piantagione oppure vengono fatti sposare con lo scopo di fare figli da destinare al lavoro nelle stesse piantagioni. Quelli che vengono allontanati sono obbligati a riattraversare la frontiera, per sparire nel nulla. Davanti a questo problema, le industrie produttrici di cioccolato hanno negato che il cacao da loro acquistato provenisse da simili piantagioni, poi, dietro forti pressioni di associazioni umanitarie, delle ong e dell’opinione pubblica in generale, si sono impegnate, a partire dal 2005, nel Protocollo di Harkin-Hengel , che prevede, tra l’altro, un attento monitoraggio e l’adozione di una certificazione riconosciuta a livello internazionale. Nelle piantagioni del Sudest asiatico, invece, il problema è rappresentato dalle condizioni precarie dei lavoratori adulti, spesso sottopagati, costretti a turni di lavoro massacranti e senza garanzie di tutela sanitaria (norme antinfortunistiche, protezione dagli agenti chimici, ecc.). Anche in questo caso, uno delle cause principali è il prezzo troppo basso ed estremamente instabile delle cabosse di cacao.

I conti in tasca alla filiera La filiera che dal cacao porta al cioccolato è abbastanza lunga e complessa, e non è sempre facile quantificare i ricavi che vanno agli operatori. Facciamo un percorso a ritroso, ponendo uguale a 100 il prezzo al pubblico di una tavoletta di cioccolato (nel caso di altre tipologie, come praline, cioccolatini e selezioni di cioccolato particolarmente pregiate, le percentuali cambiano, generalmente a sfavore del produttore, trattandosi di valori aggiunti sempre in fase di trasformazione. La fase più prossima al consumatore è quella del commerciante, che, mediamente si trattiene il 25-30% del prezzo finale della tavoletta. La produzione del cioccolato è controllata, come già abbiamo avuto modo di vedere, da poche aziende a carattere multinazionale. Si tratta di “corporate” con sedi e stabilimenti in differenti paesi del Nord e del Sud del Mondo che, per la loro complessità e grandezza, tendono ad assorbire, o almeno a controllare, differenti passaggi della filiera. Alcune di queste hanno interessi diretti anche nelle prime fasi della lavorazione delle fave e nella coltivazione, per cui la determinazione dei ricavi deve tenere conto anche di importanti ramificazioni. Alla multinazionale, mediamente, va il 40-50% del prezzo finale della tavoletta. Questa percentuale può variare fortemente in base alle diverse scelte che può compiere una “corporate” che, ad esempio, può trasformare un 23


semilavorato, farsi carico direttamente di tutta la filiera, dalla fava essiccata alla tavoletta ed estendere il suo controllo alla fase di acquisto presso i paesi produttori (dagli intermediari locali). Le aziende che acquistano il semilavorato o le “cabosse”, si rivolgono quasi sempre a grandi società di importazione (Barry Callebaut, Cargill, Petra Foods, A.D. Midland, ecc…), alcune delle quali controllano fette sostanziose dei mercati nazionali del Sud del Mondo e hanno la capacità di immagazzinare ingenti scorte di cacao in grani. Agli importatori-trasformatori resta, in genere, il 10 - 15% del prezzo della tavoletta, a seconda della specializzazione del lavoro che essi compiono. Le multinazionali, oppure i grandi importatori, si rivolgono a intermediari locali per l’acquisto dei semi essiccati di cacao; si tratta di una figura che ha diversi e più o meno pittoreschi nomi, a seconda dei paesi in cui opera: “trader”, in Ghana e Nigeria, “coyote” in America Latina e “traitant” in Costa d’Avorio e Camerun. L’intermediario è una figura estremamente varia, può essere grande o piccolo e operare su un territorio ristretto o avere punti di appoggio in intere regioni di un paese. L’unica relazione con i contadini, in genere, è quella commerciale, per cui ha interesse ad acquistare al minor prezzo possibile; in questa azione è agevolato dal fatto che, quasi sempre, ha una discreta possibilità finanziaria, per cui può permettersi di pagare subito in contanti e alle condizioni da lui poste. All’intermediario, in base alle sue dimensioni e possibilità, rimane più o meno il 5-8% del prezzo finale della nostra tavoletta. Arriviamo al produttore, a cui resta, nel caso più fortunato, il 5% del prezzo che paga il consumatore. Tradotto in altre cifre, significa un valore pari a 0,5 – 0,8 dollari per ogni Kg di cacao venduto. Calcolando una produzione media di 700 Kg per ettaro di cacao essiccato in grani e una dimensione media di 1,5 ettari per ogni contadino, significa un reddito medio annuo variabile da 1050 a 1700 dollari, ossia dai 90 ai 140 dollari al mese.

Produttori alla riscossa Davanti a una situazione (e a numeri…) di questo tipo, non può stupire il fatto che, nel maggio 2006, i rappresentanti africani dei principali paesi produttori di cacao si siano riuniti ad Abujia, in Nigeria, per dare vita a un cartello, simile a quello dei paesi dell’Opec per il petrolio, finalizzato a discutere, partendo da una posizione più forte ed equilibrata, il prezzo del cacao. Particolarmente chiare ed esauriente il commento, a margine della riunione, del presidente nigeriano Obasanjo: “Vogliamo ottenere prezzi più remunerativi per il cacao africano: è scandaloso che siano decisi in Europa e Stati Uniti senza tenere conto del costo di produzione”. Una delle azioni allo studio è la costituzione di una riserva regionale di prodotto, nel tentativo di contrastare la speculazione delle borse mondiali sulle riserve e stock di grano di cacao create dai grandi importatori che, attualmente, controllano il 65% circa del mercato mondiale del cacao in grani. Il cartello è sostenuto dagli otto principali produttori africani: Costa d’Avorio, Ghana, Nigeria, Camerun, Gabon, Sao Tomé e Principe, Togo, Uganda. Il cartello, inoltre, dovrebbe permettere di cogliere l’opportunità che si sta creando con l’ingresso, nel mercato, di grandi paesi compratori come India e Cina.

24


3 – LE VIE SOLIDALI DEL CACAO

Il cacao, come abbiamo potuto constatare leggendo i dati contenuti nel precedente capitolo, costituisce una risorsa che coinvolge le economie di numerosi paesi del Sud e del Nord del Mondo. Una risorsa talmente importante da entrare nei titoli finanziari delle borse mondiali e nelle strategie economiche e produttive di grandi multinazionali. I produttori di cacao del Sud del Mondo, invece, sono quasi sempre spettatori, in balia delle speculazioni finanziarie e dei prezzi stabiliti da pochi grandi compratori. Esiste qualche altra via alternativa oppure quella che abbiamo approfondito nelle pagine precedenti costituisce l’unica possibilità offerta dal mercato? Si possono costruire alternative concrete o restano solo le utopie?

ll cacao equosolidale: amaro solo nel gusto Il Commercio Equo e Solidale, fin dalla sua nascita, cerca di proporre un altro modo di intendere e praticare la globalizzazione dell’economia: da sfruttamento a condivisione, da mercato imposto a reale incontro della domanda e dell’offerta, dal prezzo svincolato a quello realmente collegato alla natura del bene. Partendo da quest’ultima considerazione, uno dei primi e più significativi impegni del Fair Trade rientra proprio nella valorizzazione delle esigenze del produttore, legando il prezzo dei beni a fattori concreti, costituiti dalle risorse effettivamente investite per ottenere un Kg di semi pronti per essere venduti: attrezzature, materia prima impiegata, lavoro… Tutti elementi di cui quasi sempre le speculazioni internazionali e il forte potere dei grandi compratori non tengono conto. Le esigenze del venditore si incontrano con quelle del compratore, che deve acquistare a un valore che gli consenta di proporre, a sua volta, la merce a un prezzo soddisfacente. Chi è il compratore? E’ questo il secondo elemento su cui, da sempre, riflette il movimento del Commercio Equo e Solidale. Se il compratore è uno dei tanti intermediari della catena, l’unico suo cruccio consisterà nell’acquistare al prezzo più basso e rivendere a quello più alto possibile. Poco gli importano altri fattori, come la qualità del cacao, in cosa dovrà essere trasformato, a quale prezzo finale il trasformato verrà proposto al consumatore. Se, invece, il compratore è il venditore finale è probabile che si ponga molte domande, prima fra tutte cosa sia realmente ciò che sta comprando e come possa valorizzarlo al meglio per conseguire i prodotti finali.

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La filiera, nel caso del Commercio Equo e Solidale, quindi, tende ad accorciarsi, eliminando la rete commerciale degli intermediari, per concentrarsi sui due elementi estremi del percorso, i più trascurati e, forse, i più importanti: il produttore e il consumatore. Un altro fattore legato a questo aspetto è la presenza di più compratori che, interagendo con più produttori, evitano l’insorgere di posizioni di monopolio, altra causa in grado di distorcere in modo forte il prezzo finale. Il terzo elemento fondamentale è legato alle condizioni di produzione: bassi salari, precarietà, assenza di sicurezza e sfruttamento minorile, come abbiamo potuto constatare nel capitolo precedente, sono i principali problemi che emergono nelle zone di produzione del cacao. L’appoggio a cooperative o associazioni di produttori, la garanzia di un prezzo stabile nell’arco dell’anno, a fronte di precisi impegni sulle condizioni di lavoro e il miglioramento continuo di queste sono un altro punto molto importante dell’azione del commercio equo e solidale. Rientrano a pieno titolo nell’azione del Fair Trade anche la difesa e valorizzazione dell’ambiente naturale: il cacao viene coltivato in ecosistemi a volte molto delicati, il danneggiamento dei quali si ripercuoterà, inevitabilmente, sulle economie locali. La filiera del cacao “solidale” prosegue nella valorizzazione del prodotto trasformato. Il movimento del Commercio Equo, ad esempio, si è trovato unito nel denunciare gli effetti negativi e contraddittori legati alla direttiva dell’Unione Europea, che consente l’introduzione di grassi vegetali, fino a un massimo del 5%, in sostituzione del burro di cacao: una scelta che penalizza la qualità, a danno del produttore e del consumatore. La comunicazione trasparente al consumatore finale è l’ultimo passo compiuto dal cacao/cioccolato solidale: grazie alla rete delle Botteghe del Mondo (circa 500 in Italia e parecchie migliaia in tutta Europa) è possibile acquistare non solo prodotti, ma anche essere informati sulle realtà e sulle problematiche, a volte enormi, che si celano dietro un’apparentemente innocente tavoletta di cioccolato, un pacchetto di caffè o un vassoio di banane. Il consumatore, inoltre, può chiedere conto del prezzo che gli viene proposto, ricevendo così informazioni sul prezzo trasparente: l’indicazione, passo dopo passo di tutte le voci di costo dall’appezzamento del contadino allo scaffale della bottega. Si chiude quindi, con il punto vendita equo e solidale, la filiera corta, solidale e trasparente.

Storie al cacao La Cooperativa Sociale LiberoMondo è in contatto, per le sue linee di cioccolato e trasformati, con alcune organizzazioni di coltivatori di cacao. Con due di esse (Cabruca, in Brasile e MCCH in Ecuador) è già stata avviata una collaborazione commerciale, mentre con altre due (Camari, in Ecuador, e Nogamu in Uganda) è in fase di valutazione (settembre 2006) un possibile avvio di importazione. Chi sono e qual è la storia di questi produttori e delle organizzazioni ad essi correlate? Qui di seguito tracciamo il racconto della loro esperienza.

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Camari Paese: Ecuador Sede principale: Quito Struttura: cooperativa con circa 200 organismi associati Principali prodotti esportati: cacao, zucchero di canna, cereali, legumi, zucchero di canna, artigianato Sul web: www.camari.org Camari è una cooperativa, sorta nel 1981 all’interno del FEPP (Fondo Ecuadoriano Populorum Progressio), una ong di ispirazione cattolica che promuove progetti di sviluppo sociale ed economico in tutto il paese. La cooperativa è strutturata in comitati, vale a dire gruppi di coordinamento differenziati in base alle varie attività: esistono, quindi, comitati specifici per la commercializzazione dei prodotti agricoli, artigianali, per la gestione amministrativa e l’attenzione al cliente. I soci sono circa 200, fra piccole cooperative, associazioni e coordinamenti, per un totale di circa 6500 famiglie, e la rappresentanza geografica è nazionale. Lo sviluppo del processo produttivo, la valorizzazione della piccola proprietà coltivatrice e la commercializzazione dei prodotti agricoli e artigianali sono i punti salienti dell’azione di Camari, che intende in questo modo contrastare concretamente lo sfruttamento cui i contadini sono generalmente sottoposti in Ecuador. Se più produttori si coordinano e, attraverso lo scambio di informazioni e l’acquisizione di migliori tecniche di produzione, estendono il ciclo di produzione fino alla trasformazione e commercializzazione, evitano l’azione degli intermediari e ottengono prezzi migliori. La proposta di Camari va nella direzione di rinforzare la partecipazione delle fasce più povere nel mercato, con un ruolo di soggetto protagonista. Al piccolo produttore, quindi, si forniscono stimoli e motivazioni affinché non diventi oggetto di sfruttamento o strumento di corruzione. Camari lavora lungo due direttrici: da un lato l’impresa diretta, con criteri amministrativi e di gestione economica, dall’altro la direzione socio-politica, volta all’orientamento generale dell’impresa stessa e al corretto impiego delle risorse. Uno degli impegni strategici che la cooperativa sta realizzando è la differenziazione della produzione dal punto di vista agricolo e artigianale, così da abbassare il livello di concorrenza interno e ottenere un miglior accesso ai mercati. Gli obiettivi specifici di Camari sono pertanto: - la costituzione di una struttura giuridica propria; 27


- l’incremento del numero dei produttori e l’aumento delle vendite sul mercato interno ed estero; - la promozione della coltivazione biologica e la produzione artigiana naturale; - l’integrazione e il controllo del processo produttivo agricolo e artigianale; - lo sviluppo e la gestione di un modello di commercio elettronico. La relazione commerciale con il commercio equo è iniziata nel 1986. Attualmente la vendita dei prodotti sul mercato estero riguarda il 73% dei prodotti artigianali e il 10% di quelli alimentari. In Ecuador, Camari ha relazioni istituzionali con il PAM (Programma Alimentare Mondiale), la Cooperazione internazionale italiana, la conferenza episcopale ecuadoriana, l’Operazione Mato Grosso e il Comitato Internazionale per lo Sviluppo dei Popoli.

MCCH - Maquita Cushunchic Comercializando como Hermanos Paese: Ecuador Sede principale: Quito Struttura: cooperativa Principali prodotti esportati: caffè, zucchero, cacao, marmellate, cocco,artigianato Sul web: www.fundmcch.com.ec L’acronimo MCCH significa “Diamoci una mano commercializzando come fratelli”, ed è un buon riassunto delle motivazioni che hanno portato alla nascita di questa organizzazione. Nata nel 1985 in una delle zone più povere della città di Quito, con l’obiettivo di creare una rete comune di commercializzazione interna di generi alimentari, la cooperativa ha assunto una dimensione notevolissima ed è ramificata in tutto il paese. A oggi, infatti, si contano 400 organizzazioni, grandi e piccole, associate a MCCH, ognuna con un proprio punto vendita, le ormai famose “Tiendas Populares” o “Tiendas Campesinas”. Le persone coinvolte nell’attività dell’organizzazione sono circa 260.000, sparse in 21 province del paese. La partecipazione democratica dei gruppi alla gestione avviene grazie alle assemblee regionali e all’assemblea generale, a cui partecipano i rappresentanti eletti da ogni gruppo. MCCH è una struttura di secondo livello, che si occupa delle attività commerciali e dell’assistenza finanziaria e tecnica ai soci contadini e artigiani. L’obiettivo centrale di MCCH è la promozione di un’efficace circolazione di beni di prima necessità fra le campagne e le città, evitando la rete dell’intermediazione e degli speculatori. Si intende, quindi, accrescere la forza dei singoli rispetto al mercato naziona-

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le ed estero e, nel contempo, creare spazi di dialogo e confronto fra i settori più poveri ed emarginati dell’economia e della società ecuadoriana, nell’ottica di un cammino comune di autosviluppo e promozione umana. I settori di intervento sono ormai piuttosto differenziati: - coordinamento commerciale e gestione di 17 spacci popolari; - trasformazione dei prodotti (vengono gestiti, ad esempio, 11 mulini); - fondo comunitario, con fondi, depositati dai soci, destinati a progetti di sviluppo comunitario; - “Coordinación de Mujeres”, un coordinamento di donne che ha l’obiettivo di valorizzare i tessuti e i capi di abbigliamento prodotti da 126 gruppi diversi: è attivo sul mercato interno e nell’ambito del commercio equo e solidale; - turismo popolare. Nel 1987 sono sono stati avviati i rapporti commerciali con l’estero, attraverso la rete del commercio equo e solidale. Attualmente, i prodotti alimentari e artigianali di MCCH raggiungono molti paesi europei, e la loro diffusione nel commercio equo italiano è quanto mai intensa e capillare. Dal 1992 è operante il “Programma Cacao”, per venire incontro a numerosi piccoli produttori residenti nella regione di “Esmeraldas”, stanchi di dover dipendere, per le loro vendite, agli intermediari locali (i “coyotes”). La Agroexportadora Maquita gestisce un magazzino per la raccolta delle fave di cacao e la commercializzazione diretta sui mercati esteri, compreso il commercio equo e solidale. Tra le attività del “Progetto Cacao” vanno ricordate l’assistenza tecnica ai contadini, l’organizzazione di corsi professionali e l’informazione costante sui prezzi e sul mercato del cacao. Nel 1991 è stato avviato un progetto di turismo popolare, il cui scopo è quello di valorizzare e proporre itinerari alternativi ai turisti stranieri. In questo modo è possibile abbinare alle bellezze naturali la validità e la ricchezza delle tradizioni e della cultura del paese andino, attraverso il contatto diretto con la popolazione. MCCH è tra i promotori di RELACC (Red Latinoamericana de Comercialización Comunitaria), una rete di cooperative e strutture, appartenenti all’area latinoamericana, che si prefigge la creazione di spazi comuni di scambio commerciale, tecnico, sociale, politico e culturale.

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Cabruca - Cooperativa dos Productores Orgânicos do Sul da Bahia Paese: Brasile Sede principale: Ilhéus - Bahia Struttura: Cooperativa Principali prodotti esportati: cacao, frutta secca tropicale, cuore di palma Sul web: www.cabruca.com.br “Cabruca” è un sistema di coltivazione del cacao, alternativo alle grandi piantagioni intensive, molto diffuso nello stato di Bahia e basato su piccole coltivazioni in ombra, in ambiente di foresta. La coltivazione in un sistema agroforestale garantisce la qualità del prodotto e la difesa della biodiversità, salvaguardando nel contempo la piccola proprietà dai grossi processi di concentrazione terriera. L’omonima cooperativa di coltivatori di cacao con sede nella città di Ilhéus si propone la valorizzazione di questo antico sistema di coltivazione, estendendolo anche ad altri prodotti, fra cui frutta tropicale e “palmitos”. Cabruca è stata creata nel dicembre del 2000, grazie alla collaborazione di numerosi piccoli coltivatori di cacao con il locale IESB (Istituto de Estudios Sócioambientais do Sul da Bahia). La finalità è l’equilibrio fra la coltivazione del cacao e la conservazione della floresta pluviale della “Mata Atlantica”, un fondamentale ecosistema distribuito lungo la fascia costiera atlantica, in ben 17 stati differenti. Sebbene fortemente ridimensionato negli ultimi decenni (tuttora rappresenta l’8% della superficie originaria) rappresenta ancora un importante serbatoio per la biodiversità. La sua presenza è inoltre indispensabile per molti microclimi locali, la fertilità dei suoli, la disponibilità di acqua e la prevenzione dell’erosione e del degrado dei terreni. La cooperativa raggruppa 35 produttori di cacao biologico, per un totale di 1.500 ettari di coltura non intensiva. La coltivazione biologica è condotta grazie all’appoggio dell’IBD (Instituto Biodinâmico de Desenvolvimiento Rural), associato a IFOAM (International Federation Of Organic Agricolture Movements) e al registro tedesco DAR (Deutscher Akkreditierunsgrat). La coltivazione organica deve garantire il rispetto di alcune aree particolarmente fragili, come le rive dei fiumi, per un totale pari al 20% di zona incontaminata, denominata “Riserva di Patrimonio Naturale” La coltivazione biologica non estensiva si è resa necessaria in seguito ai forti danni subiti dalle coltivazioni di cacao ad opera di un fungo, la “Vassoura de Bruxa” (Crinipellis perniciosa) che negli anni Ottanta e Novanta ha compromesso più di metà del raccolto nazionale, colpendo soprattutto le coltivazioni intensive su vasta scala. Lo stato di Bahía si trova a dover affrontare, in molti suoi territori, una crisi economica e ambientale molto forte. La perdita di oltre la metà della produzione di cacao ha creato 30


infatti una serie di ripercussioni negative su molti comparti produttivi, causando la perdita di lavoro a circa 250.000 persone. L’utilizzo massiccio di fertilizzanti e pesticidi, nelle piantagioni intensive di cacao e altri prodotti agricoli, ha provocato una forte contaminazione dei suoli, con fenomeni di isterilimento, inquinamento delle falde acquifere e accumulo di residui tossici nella catena alimentare. Da qualche anno l’IBD e l’IESB (Instituto de Estudos Sócio Ambientais) stanno cercando di invertire questa situazione negativa, e il progetto di Cabruca costituisce un interessante percorso economico, sociale e ambientale. Gli obiettivi che la cooperativa cerca di attuare dal 2000 sono la produzione organica in un contesto di forte monitoraggio ambientale, lo sviluppo e l’approfondimento delle tecniche di coltivazione agroforestali, l’ottenimento del prodotto finito, pronto per la vendita, direttamente nelle aree rurali e la ricerca di contatti diretti per la vendita, senza il ricorso all’intermediazione. -

Cabruca offre ai propri associati i seguenti servizi: avvio e conseguimento della certificazione biologica; assistenza tecnica e professionale; corsi di formazione professionale in campo; commercializzazione dei prodotti.

La cooperativa, inoltre, gestisce comunitariamente impianti per la fermentazione e l’essiccamento e per la preparazione del prodotto per l’esportazione.

NOGAMU (National Organic Agricultural Movement of Uganda) Paese: Uganda Sede principale: Kampala Struttura: ONG che coordina il lavoro di piccoli produttori Principali prodotti esportati: frutta tropicale, cacao, spezie, caffè Sul web: www.nogamu.org.ug NOGAMU è una ONG sorta nel 2001 per promuovere la diffusione dei metodi dell’agricoltura biologica in Uganda. L’organizzazione rappresenta circa 25.000 piccoli coltivatori , sparsi in tutto il territorio nazionale, e ha una triplice finalità: - gestire e sviluppare il programma di certificazione biologica; - incrementare il reddito e il livello di vita dei propri associati attraverso la pratica dell’agricoltura biologica; - sostenere e rafforzare i piccoli proprietari-coltivatori. L’esperienza di NOGAMU ha di fatto sancito la nascita e lo sviluppo dell’agricoltura biologica in Uganda. Nel 2001, infatti, è sorto l’”Organic Standards Committee” , incaricato di fissare le norme dell’agricoltura biologica, seguendo le direttive e raccomandazioni dell’IFOAM (International Federation of Organical Agricolture Movement), ossia la federazione mondiale che rappresenta il movimento dell’agricoltura biologica. 31


L’anno successivo è partito il lavoro volto ad attivare una certificazione a livello nazionale, grazie anche all’appoggio di una organizzazione svedese, la “Swedish International Development Cooperation Agency”. Nel 2004, con la nascita di UgoCert, si è avviata, di fatto, l’esperienza dell’agricoltura biologica certificata in Uganda. Gli obiettivi di NOGAMU possono essere così riassunti: - Promuovere sistemi e metodologie per l’agricoltura biologica e biodinamica e la salvaguardia dell’ambiente forestale; - Promuovere la certificazione dei prodotti biologici; - Creare contatti tra i produttori e i mercati, soprattutto quelli esteri; - Creazione di reti nazionali e regionali tra i produttori, per favorire contatti, e scambi di esperienze, nell’ottica di un rafforzamento delle aziende produttrici; - Sostenere l’attività dei piccoli produttori; - Formazione professionale; - Offrire consulenza legata alla commercializzazione dei prodotti destinati all’export. La produzione del cacao biologico, concentrata soprattutto nella parte centro-occidentale del paese (distretto di Bundibudgyo), è stata avviata in modo continuativo a partire dal 2002. Sono coinvolti circa 1.800 piccoli coltivatori (la media della superficie pro-capite è di circa 1-2 ettari), singoli o raggruppati in associazioni e cooperative. In questo momento (settembre 2006) la Cooperativa Sociale LiberoMondo ha avviato un contatto, cui seguirà una verifica in loco, con alcune cooperative locali, in collaborazione con NOGAMU.

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4 – LA FILIERA SOLIDALE E DI QUALITÀ DEL CIOCCOLATO DI LIBEROMONDO

La nostra cooperativa, da sempre attenta a coniugare commercio equo e qualità lungo tutta la filiera di un prodotto alimentare o dell’artigianato, ha sviluppato anche per il cioccolato un percorso in grado di offrire la massima garanzia alle Botteghe del Mondo e ai consumatori che a esse si rivolgono. A proposito di qualità… Un dato comune lega la produzione di tutto il cioccolato di LiberoMondo: la presenza esclusiva di puro cioccolato, senza ricorso a quel 5% di grassi vegetali che, oltre a costituire un grave danno per i produttori, sono un indiscutibile passo indietro anche dal punto di vista della qualità offerta ai consumatori.

Il percorso del cioccolato I semi, innanzitutto. La raccolta eseguita dai produttori di Cabruca e MCCH è manuale, così da non danneggiare la pianta e garantire le successive fruttificazioni. Dal frutto, staccato dalla pianta e aperto delicatamente, si estraggono i semi, ancora avvolti da una sottile pellicola biancastra. Inizia, così, l’importante momento della fermentazione, che influirà in modo determinante sulla qualità del futuro cioccolato. Le fave sono esposte al sole e aerate costantemente; nel corso della fermentazione si sviluppa il caratteristico aroma di cioccolato e diminuisce notevolmente la componente amara, mentre la temperatura non deve superare i 50°C. Trascorse le due settimane si procede alla cernita, ripulitura e stoccaggio dei semi nei tradizionali sacchi di juta. Il cacao importato da LiberoMondo viene avviato a una prima lavorazione presso la ditta Icam di Lecco, una delle poche aziende in Italia che effettuino direttamente la torrefazione; in questa fase le fave vengono selezionate, tostate, sgusciate e macinate, fino a ottenere un prodotto, la massa (o pasta) di cacao, che costituisce la base per le vere e proprie lavorazioni del cioccolato. La massa sarà utilizzata tal quale per la produzione dei vari tipi di cioccolato, oppure, dopo l’opera33


zione di potassatura, necessaria per neutralizzare gli acidi, “spremuta” per ottener burro di cacao e cacao in polvere, grasso o magro. A questo punto ha temine l’intervento operato dalla ditta Icam. La pasta e il burro di cacao sono inviati, per la produzione vera e propria dei diversi tipi di cioccolato, alla lavorazione artigianale. Il cacao in polvere, invece, raggiunge direttamente il laboratorio di pasticceria della nostra cooperativa. La produzione del cioccolato avviene, in modo artigianale, nei locali del laboratorio Appendino di Cervere, in provincia di Cuneo. Qui la massa di cacao, addizionata a zucchero, latte e altre materie prime, viene sottoposta alle operazioni di mescolamento, raffinazione e concaggio (operazione necessaria per dare consistenza omogenea e “vellutata” al cacao, per aggiungere la giusta percentuale di burro di cacao e per neutralizzare l’acidità dell’impasto). Sempre presso il laboratorio artigianale Appendino si svolgono i passaggi del temperaggio e del modellaggio. Nel primo il cioccolato viene portato a diverse temperature, comprese tra un massimo di 45 e un minimo di 27°C., in base al tipo che si sta preparando. Questa serie di passaggi termici è necessaria per ottenere una regolare e fine cristallizzazione del burro di cacao. Nel modellaggio, il cioccolato temperato viene colato in appositi stampi (barrette, e “quadrotti”), avendo cura di evitare il formarsi di fa-

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stidiose bolle d’aria. Gli stampi vengono avviati a una leggera refrigerazione e smodellati, per giungere al confezionamento finale. La terza e ultima tipologia di lavorazione sarà effettuata nello stesso laboratorio artigianale o in altri simili, a seconda del tipo di prodotto finito che si desidera ottenere. Vediamo, qui di seguito, qual è la strada che viene seguita nella produzione delle varie linee del cioccolato LiberoMondo.

Tavolette di cioccolato La lavorazione prosegue presso la ditta Appendino. Il cioccolato fuso viene aromatizzato, modellato, incartato e confezionato.

Pasticceria artigianale Il cioccolato, modellato in “quadrotti”, è inviato, dalla ditta “Appendino” al laboratorio di pasticceria di LiberoMondo, dove, previamente granellato o fuso, sarà impiegato nella produzione di alcuni tipi di biscotti della nostra linea: melighe al cioccolato, baci di dama, baci di dama al cacao e snacks al cioccolato (“doble” e “tris di baci”). Il cacao in polvere direttamente proveniente dalla spremitura della pasta di cacao LiberoMondo effettuata dalla ditta Icam, viene impiegato nella produzione delle gocce di cacao e dei baci al cacao.

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Tartufi al cioccolato, Pralineria e Morette I laboratori artigianali “Martino Antica Torroneria Piemontese” di Sinio, “Relanghe” di Alba, “CFG-Marolo” di Castellinaldo, tutti in provincia di Cuneo e “Piemont Cioccolato” di Torino – cui è affidata rispettivamente la lavorazione dei tartufi al cioccolato, delle chioccioline e delle morette, ricevono il cioccolato in “quadrotti” (cioccolato fondente, gianduja, al latte e bianco) dal laboratorio artigianale “Appendino”, mentre il cacao in polvere LiberoMondo proviene dalla ditta Icam. Le fasi di lavorazione differiscono a seconda del tipo di prodotto. Il tartufo viene prodotto unendo al cioccolato (fondente, gianduja o bianco, a seconda del tipo), della granella di nocciola e dello zucchero. La deliziosa “ganache” che ne deriva viene ricoperta, nel caso del fondente e del gianduja, di polvere di cacao e, nel caso dei bianchi, da zucchero a velo. Le chioccioline sono realizzate colando il cioccolato fuso negli specifici “stampini”, versando successivamente il ripieno desiderato (tè verde, cacao, nocciola, ecc.). Le morette sono prodotte tramite la “bassinatura”, un procedimento che consiste nel porre in caldaie aperte e rotanti (dette, appunto, “bassine”), il nucleo che si desidera rivestire (nocciola, mandorla, ecc.) e, per aggiunte successive, il cioccolato fuso.Si ottengono in questo modo delle “dragees”, vale a dire delle palline di cioccolato con un cuore di nocciola, mandorla, chicco di caffè…

Giandujotti Il laboratorio artigianale “Gobino”, di Torino, specializzato nella produzione di gianduiotti di altissima qualità, riceve la pasta di cacao e il burro di cacao separatamente; in questo modo è possibile produrre il cioccolato gianduja durante una lavorazione che prevede, nel concaggio, l’aggiunta progressiva alla pasta di burro di cacao, zucchero di canna e farina di nocciole “IGP Piemonte”. La tappa successiva, il temperaggio manuale, è affidata all’esperienza di un operatore che deve scegliere tempo e consistenza giusti per versare il cioccolato gianduja in una tramoggia; il modellaggio avviene per estrusione, senza l’utilizzo di stampi: è la quantità che cola dalla tramoggia che definisce la forma stessa del gianduiotto, caratterizzato da una superficie irregolare ma dalle qualità organolettiche assolutamente intatte.

Panettone al cioccolato Le ditte “Dolciaria Casa” e “Gilber”, che curano con grande esperienza la qualità del panettone al cioccolato di LiberoMondo, ricevono il cioccolato in granella dal nostro laboratorio. La granella, proveniente dallo sminuzzamento dei “quadrotti”, verrà messa direttamente nell’impasto pre-lievitato, insieme a burro, zucchero di canna, tuorlo d’uovo in attesa dell’ultima fase di lievitazione (circa 5/6 ore) e della successiva cottura in forno.

Ovetto al cioccolato Si parte dal cioccolato in “quadrotti”, inviato alla ditta “Orsi” di Genova. Per la lavorazione degli ovetti si utilizza solo cioccolato al latte che, fuso, viene colato negli appositi stampi per il modellaggio, il successivo inserimento della sorpresa, l’assemblaggio, l’incarto e il confezionamento finale.

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Creme di cacao Per le creme spalmabili, l’azienda “Nutkao” di Govone, in provincia di Cuneo, utilizza cacao magro in polvere e zucchero di canna del commercio equo, oltre agli indispensabili derivati del latte, nocciole, lecitina e una piccola quota di oli vegetali, utilizzati non in quanto sostituti del cacao, bensì in funzione della spalmabilità e stabilità della crema. Gli oli vegetali non idrogenati utilizzati da Nutkao (palma e colza) provengono da coltivazioni “ogm free”. La miscela grezza ottenuta, viene “raffinata” con un procedimento meccanico, al fine di ottenere una massa con granulometria estremamente fine, denominata farina, che viene avviata al concaggio per circa un’ora e mezzo. Gli ultimi due passaggi sono il confezionamento e lo stoccaggio in celle refrigerate, in attesa della vendita.

Cioccolate in tazza e Budini Il cacao grasso in polvere di LiberoMondo lavorato dalla ditta Icam, oltre allo zucchero di canna, vengono inviati alla ditta “Lyos Hot & Cold” di Torino, che confeziona, nel suo laboratorio di Torino, i preparati per cioccolata calda in tazza e budini. Particolare attenzione viene dedicata, anche in questo caso, agli ingredienti complementari: per la gelificazione del budino si utilizza la pectina, per addensare la cioccolata farina di semi di carrube e farina di semi di guar (Cyamopsis tetragonoloba) e fecola di patate. L’aromatizzazione dei vari gusti avviene con aromi naturali, mentre i coloranti, quando presenti, sono naturali (come l’annatto).

Torrone e torroncini al cioccolato La copertura utilizzata per i gustosi torroni di LiberoMondo proviene da cioccolato fondente in “quadrotti” lavorato dal laboratorio artigianale “Appendino”. La lavorazione avviene presso i torronifici “Sebaste” di Gallo d’Alba e “Relanghe” di Alba e prevede, a completamento della produzione tipica del torrone d’Alba, la fusione del cioccolato e il colaggio sulla massa del torrone stesso.

Cioccolato e non solo… Ricordiamo brevemente gli altri prodotti (e produttori) coinvolti nelle “storie di cioccolato” di LiberoMondo, rimandando ad altro materiale informativo (reperibile presso la nostra cooperativa e la maggior parte delle Botteghe del Mondo italiane) la descrizione specifica. Un buon cioccolato richiede anche un buon zucchero. Nelle nostre lavorazioni utilizziamo zucchero di canna (cristallino o grezzo, in base alle lavorazioni) proveniente dai produttori di Camari (Ecuador) e Mimbipá, (Paraguay). Dagli stessi produttori arrivano anche il caffè e il peperoncino. Il tè verde proviene dai produttori della Minh Lap Cooperative, in Vietnam, nostri abituali fornitori per quanto riguarda la linea dei tè verdi e aromatizzati. Il cocco è importato da piccoli coltivatori aderenti a Syiath Foundation, in Sri Lanka, ed è lo stesso utilizzato dal nostro laboratorio di pasticceria per produrre le “coccole”, biscotti con farina, zucchero di canna e cocco rapè. Le scorze d’arancia sono fornite dalla Cooperativa Calmañana (Uruguay). 37


Il nostro mondo cioccolatoso in una pagina Tavolette Morena, il cioccolato nel suo spirito classico: fondente extra (60%), extra amaro (75%), al latte, bianco e gianduja. Pepita, il cioccolato “movida”: gustoso e simpatico per ogni momento della giornata: fondente con scorza d’arancia, fondente al tè verde, fondente al peperoncino e bianco al cocco. Cioccolatini e Pralineria Tartufi, cioccolato, nocciole e zucchero miscelati in tre gusti di autentico “sballo” per il palato: fondente, gianduja e bianco. Morette, le “dragees” di commercio equo fatte con i fiocchi: al caffè, nocciole, mandorle, anacardi e noci dell’Amazzonia. Gianduiotti, il classico di Torino fatto da un torinese classico, il laboratorio artigianale Gobino, tra i migliori della capitale subalpina. Chioccioline, ovvero cioccolato, ripieno e fantasia: al tè verde, caffè, cocco, nocciola, cacao. Liquorini, con cacao di Bahía e rhum cubano… Attenti a questi due! Creme spalmabili Equo Bonita, per rivivere, anche a casa vostra, le mitiche imprese alla nutella del celebre film di Nanni Moretti…: classica normale, classica maxi da 750g e bicolore con cioccolato bianco. Ovetto al cioccolato Chico, l’ovetto con cioccolato al latte che papà e mamma “fanno finta” di comprare per i loro bimbi… Pasticceria artigianale I nostri biscotti, proprio come voi, amano alla follia il cioccolato: baci di dama, baci di dama al cacao, melighe al cioccolato e gocce di cacao. Classici natalizi Panettone con gocce di cioccolato, torrone e torroncini ricoperti di cioccolato: di bene in meglio… Preparati per… Cioccolata in tazza, in poco meno di mille gusti: al peperoncino, cacao, nocciola, amaretto, latte di mandorla, cocco, cannella, cioccolata bianca, puro cioccolato fondente. Budini, al cacao, creme caramel, vaniglia, fragola, amaretto, caffè e cocco. Cacao in polvere, ovvero il segreto per una fantastica torta al cioccolato! 38


5 – IL CIOCCOLATO IN TAVOLA

Come tutti i cibi e le bevande, anche il cioccolato è un buon punto di incontro tra diverse culture, un modo reale e pacifico di dialogo tra costumi e tradizioni di civiltà differenti. Imparare a degustare un buon fondente o conoscere il segreto per uno squisito dessert ci rende sicuramente degli ottimi ambasciatori al servizio di re cioccolato!

Consigli utili per degustare il cioccolato Diciamola tutta, degustare dell’ottimo cioccolato è un’autentica sofferenza, perché, inevitabilmente, verrebbe voglia di lasciarsi andare e non fermarsi più, abbuffandosi appassionatamente per dei lunghi quarti d’ora… Eppure, soprattutto negli ultimi anni, l’arte di degustare il cioccolato ha fatto breccia in molti appassionati, ed esistono ormai manuali che illustrano, per filo e per segno, tecniche e segreti per diventare un bravo “sommeiller del cioccolato”. Ripercorriamo, in modo breve ma chiaro, i principali passaggi di una buona degustazione. Innanzi tutto, comodi e rilassati, altrimenti che degustazione sarebbe? Il cioccolato è un alimento che coinvolge tutti i sensi, nessuno escluso, per cui va valutato in cinque modi: tatto, vista, udito, olfatto e, ovviamente, gusto. Prima di partire, però, ancora due o tre raccomandazioni. La prima, importante, è di restare digiuni prima della degustazione, e con la bocca “pulita” e non distratta da altri sapori. Secondo, se dovete degustare più cioccolati, partite sempre da quello più dolce e chiudete con il più amaro, quindi: prima il latte e poi il fondente, prima il ripieno e poi quello semplice. Terzo, degustate in un ambiente con temperatura compresa tra i 18 e i 25°C. Finalmente si parte! Prendete un pezzo di cioccolato, passatelo tra le dita e verificate che si presenti liscio e vellutato. Si hanno già, nel corso di questo primo esame, utili indicazioni sulla finezza e granulosità del cioccolato, nonché sull’intensità del concaggio cui è stato sottoposto. Osservatelo e valutate il suo aspetto, che dovrà essere lucido e senza macchie. Se si presenterà con efflorescenze, sarà sintomo di una precedente esposizione al caldo, con 39


il burro di cacao affiorato in superficie e nuovamente cristallizzato; un altro tipo di efflorescenza è quella dovuta allo zucchero, causata da esposizione a umidità eccessive. Un buon cioccolato fondente si presenta marrone scuro, tendente al rosso (indice del contenuto di cacao aromatico). Il cioccolato al latte di qualità si presenta marrone brillante, con una tonalità meno scura rispetto al fondente. Se osservate un cioccolato bianco, dovrà apparire lucido e color avorio. L’esame olfattivo è importante: annusatelo e imparate a distinguere i profumi e gli aromi fondamentali. In questa fase, operate in due tempi, scoprendo dapprima gli aromi più superficiali o primari, in seguito quelli più nascosti ma intensi e tipici del cacao. L’aroma primario, infatti, si presenterà debole, delicato e penetrante, mentre quello secondario, non troppo dolce, è tipico dei cacao aromatici. Altri parametri importanti sono la persistenza degli aromi (che può durare fino a decine di minuti) e l’equilibrio aromatico (la capacità di bilanciare ricchezza, intensità, finezza e persistenza). Anche il suono ha la propria importanza! Nello spezzare una tavoletta di cioccolato, dovrete sentire un rumore secco nel caso del cioccolato fondente (una specie di “snap”), un po’ più “morbido” per cioccolati al latte, bianco e gianduja. Siamo giunti al momento clou, l’assaggio. Prendete un pezzetto e tenetelo sulla lingua qualche secondo, lasciando che si liberino gli aromi primari, propri del cacao. Masticando il pezzetto e tenendolo a contatto per qualche secondo a contatto col cacao, potrete percepire gli aromi secondari: note fruttate e di spezie, fragranze… fino a oltre quattrocento diverse sensazioni! L’ultima fase dell’esame gustativo si riferisce alla lunghezza degli aromi secondari e l’eventuale retrogusto.

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QUALCHE BUONA RICETTA PER LA VOSTRA CUCINA Presentare in modo esaustivo le ricette al cacao di diversi paesi e culture sarebbe una vera e propria “mission impossible”, per cui ci limitiamo a qualche suggerimento, speriamo utile e originale, per la vostra tavola. Il cioccolato è un alimento che trova impiego lungo tutta la giornata, dalla colazione alla cena. Cerchiamo quindi di sfogliare insieme qualche simpatica ricetta per ogni ora del giorno (o quasi…).

Cioccolazione…

Gemelli alle more (per dodici / quindici biscotti) Farina g. 230 - cacao amaro g. 20 - nocciole tostate g. 50 - zucchero g. 75 - burro g. 180 - tuorli, 2 - cioccolato di copertura fondente LiberoMondo “Morena” g. 200 marmellata di more LiberoMondo g. 200.

● Setacciate la farina sul piano da lavoro insieme al cacao; aggiungete le nocciole frullate insieme allo zucchero a velo e un pizzico di sale; mettete al centro il burro a pezzettini e cominciate a impastarlo con la farina, lavorando con i polpastrelli a movimenti veloci, altrimenti il burro si riscalda troppo. Quando avrete ottenuto un composto sabbioso, aggiungete i tuorli appena sbattuti, per compattarlo. Fatene una palla e mettetela in frigo, avvolta in una pellicola, per almeno mezz’ora. ● Stendete l’impasto sul piano di lavoro infarinato l’impasto (fino a raggiungere lo spessore di mezzo centimetro) e ritagliate dei biscotti tondi con lo stampino. Prendete ora metà dei biscotti e praticate dei fori al centro di ciascuno. Sistemateli sulla placca foderata di carta da forno, distanziandoli bene, quindi cuoceteli per il tempo indicato. ● Mentre i biscotti raffreddano, sciogliete a bagnomaria il cioccolato ridotto a scaglie; versatelo in una bacinella con i bordi bassi, poi tuffatevi la parte superiore dei biscotti con il buco e metteteli a seccare su una carta da forno. Spalmate con un cucchiaino di marmellata di more sui biscotti tondi, accoppiandoli ai biscotti coperti di cioccolata.

Serve: placca da forno-frullatore-pellicola da cucina senza pvc – matterello – stampino da cm 6 e uno un po’ più piccolo per il centro – carta da forno – bagnomaria – bacinella a bordi bassi. 41


Fine pranzo sfizioso

Tortini al cioccolato con salsa mou (per quattro persone) Cioccolato LiberoMondo “Morena” fondente 70% g. 100 – 3 uova – zucchero 30g – burro 70g - farina 15g. Per la salsa mou: zucchero 100g – 2 cucchiai di vino bianco - 2 cucchiai di panna fresca.

● Imburrate bene 4 stampini usa e getta da créme caramel. Raccogliete in una terrina un uovo intero o due tuorli, aggiungete lo zucchero e sbattete a lungo fino a ottenere un composto soffice e chiaro: sollevandolo con la frusta, dovrà cadere a nastro. ● Spezzettate il cioccolato, raccoglietelo in una casseruolina di acciaio, unite 50 g di burro a pezzetti e fate fondere tutto a bagnomaria, mescolando. Incorporate il cioccolato al composto di uova, versandolo a filo e mescolando con la frusta; aggiungete infine la farina fatta scendere da un setaccino per eliminare eventuali grumi. Accendete il forno, portandolo a 195°C. ● Preparate la salsa, mettendo a fuoco, in un pentolino a fondo spesso, lo zucchero con un cucchiaio di acqua: fatelo fondere e continuate le cottura, senza mescolare, fino a ottenere un caramello dorato. Toglietelo dal fuoco e aggiungete subito il vino bianco e la panna. Mescolate bene, lasciate raffreddare la salsa mou e tenetela da parte. ● Con un mestolino versate il composto di uova e cioccolato negli stampini preparati, che riempirete fino a 3/4; passateli in forno e cuocete per 6-7 minuti: i tortini dovranno rapprendersi all’esterno e rimanere cremosi all’interno. Sformateli delicatamente sui piatti, contornateli con un filo di salsa mou e serviteli caldi.

Serve: 4 stampini da créme caramel – frusta per mescolare - terrina – casseruolina per bagnomaria – setaccino – pentolino a fondo spesso – mestolino.

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Con il tè delle cinque

Cuori di frolla ripieni (per quattro persone) 250 g di farina – 100 g di zucchero a velo – 100 g di burro – 1 uovo – 2 bacche di cardamomo verde – 200 g di cioccolato LiberoMondo “Morena” fondente 70% – 2 decilitri scarsi di panna fresca. Preparazione: 30 minuti. Cottura: 15 minuti.

● Aprite le bacche di cardamomo, prelevate i semini e pestateli in un mortaio o con un batticarne, fino a ridurli in polvere. Versate la farina nel mixer, unite lo zucchero a velo e azionate l’apparecchio per pochi secondi, così da amalgamare gli ingredienti. Unite il burro morbido a dadini e azionate di nuovo, fino a formare un composto a briciole. Aggiungete l’uovo e fate ripartire ancora il mixer, fino a che si sarà formata una palla di pasta omogenea; avvolgetela in un foglio di pellicola per alimenti e lasciatela riposare in frigorifero per almeno mezz’ora. ● Dividete la pasta in 4 porzioni e stendetele sul piano di lavoro, fino a ottenere uno spessore di circa 2 mm; rivestite 4 stampi da cartelletta da porzione a forma di cuore, bucherellate il fondo ed eliminate la pasta eccedente. Tagliate quattro piccoli quadrati di carta da forno, bagnateli, strizzateli e stendeteli all’interno degli stampi preparati. Riempite gli stampi con fagioli secchi, oppure riso, e cuocete le basi in forno già caldo a 180°C. per 10 minuti. Levate carta e fagioli, abbassate la temperatura a 160°C. e proseguite la cottura per altri 10 minuti. ● Versate la panna in una casseruola e scaldatela su fiamma bassa, unite il cioccolato spezzettato, levate la casseruola dal fuoco e mescolate con un cuccchiaio di legno fino a che il cioccolato non si sia sciolto. Lasciate raffreddare il composto, versatelo nelle basi di frolla e servite.

Serve: mortaio – impastatrice – 4 stampini da forno a forma di cuore – carta da forno – casseruola.

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Per finire in bellezza una rilassante cena con gli amici

Tronchetto al cioccolato bianco e cocco (per sei persone)

Per la pasta biscuit: 3 uova – 100 g di farina 00 – 100 g di zucchero. Per farcire: 150 g di cioccolato LiberoMondo “Morena” bianco – 2 albumi – 1 decilitro di panna fresca – 3 cucchiai di latte intero – 200 g di cocco grattugiato o cocco in polvere – 80 g di burro – un cucchiaio di rhum. Per decorare: un grosso spicchio di cocco fresco – 2 anici stellati – la scorza di mezza arancia non trattata – trucioli di cioccolato bianco.

● Preparate la pasta. Montate i tuorli con lo zucchero, fino a ottenere un composto gonfio e chiaro. Incorporate la farina setacciata e gli albumi montati a neve ferma con una frusta. ● Ricoprite la placca con un foglio di carta da forno. Versatevi il composto in uno strato omogeneo e formate un rettangolo, livellatelo e cuocetelo in forno a 180°C. per 20 minuti. Al termine della cottura, capovolgete il rettangolo di pasta su un canovaccio da cucina umido e staccate delicatamente il foglio di carta. Arrotolate la pasta con il canovaccio e lasciatela raffreddare. ● Preparate la crema, spezzettate il cioccolato e fatelo fondere a bagnomaria con il burro, il latte e il rhum. Lasciate intiepidire, poi incorporate delicatamente gli albumi montati a neve e la panna montata. ● Srotolate la pasta e ricopritela con circa 2/3 della spuma di cioccolato bianco; arrotolatela di nuovo. Mettete su un largo foglio di carta d’alluminio il cocco grattugiato. Spalmate il rotolo uniformemente con la spuma rimasta e poi passatelo al cocco, in modo da ricoprirlo completamente. Mettetelo in frigo per 2 ore. ● Al momento di servire, togliete il tronchetto dal frigorifero e rifilatelo alle due estremità. Tagliate il a nastro la scorza d’arancia e affettate a lamelle sottili la polpa di cocco. Decorate il tronchetto con gli anici stellati, qualche truciolo di cioccolato bianco, la scorza d’arancia, le lamelle di cocco e servite.

Serve: frusta per montare gli albumi – carta da forno – canovaccio da cucina – casseruolina per bagnomaria – foglio di carta di alluminio.

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Se dovete tirarvi su il morale…

Fondente di cioccolato al peperoncino (per sei persone) Cioccolato di copertura LiberoMondo “Morena” fondente 70% g. 250 - peperoncino fresco, un pezzetto - burro g. 200 - zucchero a velo g. 80 - uova, 4 - cacao amaro LiberoMondo g. 50.

● Sciogliete il cioccolato a bagnomaria insieme al peperoncino, poi aggiungete gradatamente il burro spezzettato, avendo cura di mescolare bene. Fuori dal fuoco eliminate il peperoncino, che avrà rilasciato tutto il suo aroma, quindi amalgamatevi lo zucchero a velo e i tuorli, uno dopo l’altro. ● Montate le chiare a neve fermissima e incorporatele eseguendo dei tagli a croce mediante una spatola di gomma (in questo modo, eviterete di smontarle). ● Rovesciate l’impasto nella tortiera imburrata, foderata di carta da forno. Infornate a 180°C per 25 minuti circa. La torta sarà cotta quando lo spaghetto infilato al centro si presenterà leggermente umido (se volete una torta super, non dovrà seccare troppo). ● Servite il fondente di cioccolato spolverizzato di cacao amaro, accompagnandolo con una crema inglese.

Serve: tortiera a cerniera cm 22 – bagnomaria – spatola di gomma – carta da forno.

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FONTI BIBLIOGRAFICHE

Archivio Progetti della Cooperativa Sociale LiberoMondo “Cacao Amaro” di Rainer Fabian (da “La Repubblica Web” del 10.11.98) “Cioccolato – Nuove Armonie”, di Rosalba Gioffrè (Giunti – Firenze, 2005). “Cos’è il Codex Alimentarius” (dal sito internet Agribionotizie). “ICCO – Statistics” (dal sito ICCO – International Cocoa Organization) “Il cioccolato. Aspetti storici, nutrizionali e legislativi.” Di Mirella Giuberti (da “Zafferano Magazine” N. 15, Novembre 2003). “Il sapore amaro del cacao” di Giuliana Sgrena (da “Il manifesto” del 17.04.01). “Il settore del cioccolato in cifre” (AIDI – Associazione Industrie Dolciarie Italiane). “La guerra del cioccolato europeo” (dal sito www.belice.it). “La rivolta del cacao” di Domenico Quirico (da “La Stampa” del 07.05.06) “Più diritti, più cacao” (dossier tratto dalla campagna Cioccolato positivo promossa da Save the Children e Transfair)”. “Top 100 Global Confectionery Companies” (Candy Industry, 169 (1): 36-37, Gennaio 2004). “Un anno dolce-amaro” di Giovanni Antona (da “Food”, Settembre 2004).

Un ringraziamento particolare per la collaborazione a tutte le aziende artigiane coinvolte nel percorso solidale e di qualità del cioccolato avviato dalla Cooperativa Sociale LiberoMondo. 47


INDICE

Introduzione 1 - Il cioccolato… dalla Z alla A

pag.

3

2 - Cacao amaro, anzi, amarissimo!

pag.

15

3 – Le vie solidali del cacao

pag.

25

4 – La filiera solidale e di qualità del cioccolato di LiberoMondo

pag.

33

5 - Il cioccolato in tavola

pag.

39

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