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Rassegna Libri

I dipinti delle pareti e della volta della stanza 1.1 della Torre Guevara Die Wand- und Gewölbemalereien in Raum 1-1 im Torre Guevara Ischia - Untersuchung und Erarbeitung eines Konservierungs- und Restaurierungskonzepts Maria Grünbaum

Dal 2011 i restauratori della Università di Dresda guidati dal Prof. homas. Danzl e dalla Prof.ssa Monica Castaldi Martelli hanno condotto varie campagne di restauri nella Torre Guevara di Ischia. Tra loro un ruolo molto importante ha svolto la D.ssa Maria Grünbaum che ha partecipato all’individuazione dei disegni originari-nascosti anche sotto venti altri strati di pittura - ed al loro recupero. Ha poi prodotto una dettagliatissima tesi di specializzazione con un quadro completo delle operazioni condotte e delle

modalità più adatte alla ripulitura e conservazione dei dipinti, nonché degli interventi necessari per la migliore fruizione di questo importante monumento ischitano. La tesi è stata consegnata al Comune di Ischia, alla Soprintendenza di Napoli ed una copia è conservata nella Biblioteca Comunale di Ischia. Il Circolo Sadoul d’Ischia ha curato una prima traduzione provvisoria, soggetta a revisione da parte di tecnici del restauro, della parte descrittiva della tesi in tedesco, pubblicata sul proprio sito (www.

Un'area costiera

di incomparabile bellezza paesistica di Ilia Delizia È trascorso molto tempo da quando alcuni membri del direttivo del Circolo Georges Sadoul di Ischia vagheggiavano la possibilità di proiettare la torre Guevara, un’architettura residenziale turrita di chiara matrice rinascimentale, in imprese culturali di respiro internazionale. L’idea si rafforzava, da una parte, in considerazione dello stato di trascuratezza in cui veniva lasciato l’immobile, manchevole non solo delle cure appropriate a garantire la sua integrità materiale nel tempo ma anche privo di una destinazione d’uso compatibile con il suo valore storico-ambientale; dall’altra l’idea prendeva vigore dal riconoscimento incondizionato dell’unicità del contesto: un’area costiera di incomparabile bellezza paesistica dove sopravvivono i segni di quel giardino di delizie in cui in origine la torre si immergeva, ed ancor

sadoul.it). In introduzione è presente un intervento della prof.ssa Ilia Delizia, che qui gentilmente ci è stato permesso di pubblicare.

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più per quel gioco sottile di corrispondenze che contrappone in serrato dialogo la casa turrita e il Castello, l’isolotto abitato e fortificato che vi si para dinnanzi. Ebbene, se quanto vagheggiato non si è ancora raggiunto per la scarsa considerazione che nel nostro Paese gode la sorte dei nostri beni culturali, nel frattempo si è venuto accumulando sulla torre e intorno alla torre un tale patrimonio di informazioni, di conoscenze, di narrazioni, ma anche di attese, da farci credere che l’obiettivo sperato non solo si possa ma si debba raggiungere. Con l’accordo di programma La Rassegna d’Ischia n. 5/2017

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promosso e gestito dal Circolo Sadoul e sottoscritto tra enti e strutture interessate (il comune d’Ischia quale ente proprietario e le Soprintendenze quali organi di tutela) è stato possibile infatti portare avanti un programma di azioni conoscitive e di interventi conservativi su volte e superfici parietali della torre, le quali celavano, sotto strati eterogenei (intonaci, scialbi, incrostazioni di vario tipo) una complessa e ricca stratificazione figurativa e materica. L’intesa, maturata con l’Università di Belle Arti di Dresda, nello specifico con il Corso di Pitture Murali e Policromia Architettonica diretto dal prof. Thomas Danzl, nel coinvolgere competenze e professionalità di indiscusso profilo, ha visto impegnati nell’operazione “torre Guevara” specializzandi del corso che, a gruppi, con campagne di studio e di lavoro applicativo, distribuite nell’arco temporale 2011-2016, hanno dissepolto e restituito alla collettività pitture nascoste e cicli figurativi di grande interesse storico e artistico. L’operazione di ricognizione, partita con una campionatura a tappeto su pareti e volte della torre, si è poi subito concentrata su una delle sale del piano nobile, esattamente quella in angolo ad est, aperta immediatamente sulle scale, individuata dopo i primi sondaggi quale sala di rappresentanza della famiglia proprietaria. Muovendosi con metodo comparativo e confronti stilistici, il lavoro di squadra ha infatti rin-

tracciato qui le matrici formali che hanno fatto da modello all’impianto originario dei dipinti ischitani, consentendo di collocare Ischia nei circuiti europei della cultura figurativa del tardo Rinascimento. In questo contesto di singolare esperienza didattica e formativa è nata la tesi di specializzazione della dott.ssa Maria Grünbaum che ha come oggetto I dipinti delle pareti e della volta della stanza 1.1 della torre Guevara – Ischia. Presente nei vari cicli operativi, la Grünbaum ha potuto sperimentare direttamente sul campo tutto il percorso delle analisi e le scelte operative adottate per la liberazione delle pitture. Svolta sotto la guida del prof. Thomas Danzl che ne è stato il relatore e con la correlazione del prof. Christoph Herm, la tesi viene ora presentata presso la sala consiliare del comune d’Ischia con l’intervento dello stesso relatore e della prof.ssa Monica Martelli. Proposta come trasposizione, riveduta ed ampliata, dei risultati registrati durante il soggiorno formativo sul campo, questa tesi racconta tutta l’esperienza di rilevazione e valutazione delle pitture scoperte nella sala in esame, dei danni su di esse riscontrati e delle cause che li hanno prodotti, come pure dà conto della natura della materia pittorica, della sua organizzazione formale e delle misure di conservazione individuate per il suo recupero. Corredata da una ricca appendice in tre volumi, la tesi raccoglie e custodisce i resoconti delle numerose analisi effettuate: dai rilievi me-

Ischia - Torre Guevara o detta di Michelangelo 38 La Rassegna d’Ischia n. 5/2017


trici e descrittivi alle foto, dalle rilevazioni dei dati fenomenologici, agli esami radiologici e alle analisi di laboratorio, dai protocolli ai test. Si tratta, in sostanza, di un lavoro ampio, minuzioso e puntiglioso che, se da una parte si può leggere come il protocollo del Corso di formazione in Pitture Murali e Policromia Architettonica di Dresda, dall’altra offre un esempio del riscontro di conoscenze pratiche dirette richieste ad un’aspirante professionista del settore. Un’esperienza, quella della tesi sui dipinti della torre, che si rivela, perciò, un esempio alto di rigore metodologico e di approfondita conoscenza ed esperienza della pratica applicativa. Realizzata in lingua tedesca questa tesi, grazie a Rosario de Laurentiis, è stata tradotta in italiano, ad eccezione degli allegati, per essere offerta a quanti sono interessati alla conoscenza del lavoro svolto in questi anni alla torre e alle potenzialità fruitive che da esso ne possono e debbono scaturire; per questo essa si potrà leggere in rete sul sito del Circolo Sadoul. Tale modalità, mentre risponde all’esigenza di una divulgazione diffusa, è anche testimonianza della sinergia che il Circolo Sadoul, attraverso i suoi membri più ‘volenterosi’, ha saputo stabilire con il gruppo di lavoro, con cui ha condiviso momento per momento la sorpresa delle scoperte, gli interrogativi di decodificazione delle pitture, l’impegno alla collaborazione. Basta ricordare come, allo scoprimento di due pannelli di plausibile soggetto storico, che interrompono la composizione a grottesche, sempre De Laurentiis si sia tuffato immediatamente in una operazione appassionata di decodificazione iconografica e storica che lo ha portato a scavare lontano, nell’alto medioevo, tra i cavalieri bretoni, dove “trova” i capostipiti della famiglia Guevara, il cui legame con la torre ischitana, confermato anche dal ritrovamento di riferimenti araldici, è un elemento di assoluta importanza per chiarire la storia della famiglia proprietaria, le ragioni di un ciclo decorativo databile a cavallo la metà del Cinquecento, l’uso e le trasformazioni dell’immobile nel tempo. Ritornando al contenuto della tesi, e a conferma dei suoi meriti in ordine allo stretto rapporto tra rigore metodologico e approfondita conoscenza degli aspetti tecnico-applicativi, mi piace richiamare l’approccio analitico alle superfici dipinte. Esso non si ferma al riconoscimento della sovrapposizione di strati afferenti ad epoche diverse e quindi anche a mani diverse ma, entrando nel merito degli aspetti tecnici di dettaglio (composizione delle malte e delle vernici, materiale co-

stitutivo di ciascun colore e sua interferenza con additivi, tecnica esecutiva, specifiche di reazione chimica agli agenti esterni, ecc.) qualifica di elevatissima professionalità gli interventi conservativi. Il dialogo continuo tra il dato che emerge dalle indagini sul monumento e l’analisi stilistica dei dipinti, che utilizzano, nella volta come sulle pareti, disegni a grottesca di artisti fiamminghi e tedeschi come modello, a tratti coperti da successivi interventi, suffragano con forza le ipotesi interpretative, le quali così (e solo così) diventano dati storici. L’azione conservativa, realizzata con il consolidamento dell’intonaco rinascimentale e degli strati di pittura che coprono tutte le stratificazioni della fabbrica, viene valutata, da una parte, in ragione del proposito di restaurare le pitture rinascimentali sottostanti, dall’altra essa è condizionata al risanamento statico e funzionale della torre. Difatti le due azioni, quella conservativa dei partiti decorativi e quella del risanamento del manufatto architettonico, sono fortemente connesse, tant’è che nella tesi si legge: “quest’azione è al primo posto dal momento che condiziona tutti gli ulteriori lavori”, visti i danni che il suo stato di trascuratezza e di abbandono hanno provocato e continuano a provocare a volte e pareti dipinte. Se la correttezza metodologica ha rappresentato una garanzia per gli interventi conservativi alla torre, tanto si sono tenuti insieme l’analisi diretta e quella filologica, la previsione delle azioni successive pone una serie di interrogativi risolvibili solo attraverso una scelta critica della traduzione provvisoria e soggetta a revisione tecnica da parte della HfBK di Dresda. Sebbene pare si possa condividere l’orientamento di privilegiare la presentazione delle pitture grottesche, sia per il loro stato di conservazione e di leggibilità complessiva di un ciclo pittorico rinascimentale, che per la scarsa consistenza e frammentarietà delle sovrapposizioni successive, ciò nonostante occorre grande discernimento nelle azioni di pulizia per evitare di liberare completamente i dipinti dalle patine, espressione di grande valore storico. Degli interrogativi legati a queste questioni ovviamente la tesi fa solo un accenno, tanto esse sono scelte che riguardano il progetto di restauro. Ilia Delizia

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Ischia l’isola di Mussolini Dalla visita del Duce all’esilio di Rachele

di Benedetto Valentino Valentino editore, pagine 206, maggio 2017

Benedetto, dopo attenti studi e approfondite ricerche in vari archivi (quelli comunali dell’isola d’Ischia e quello centrale di Roma), oltre che in giornali d’epoca, racconta la storia “del ventennio fascista sull’isola d’Ischia, un periodo che, nel bene e nel male, ha plasmato tutto ciò che accadrà nel dopoguerra”, espressione di un periodo in parte già rivissuto attraverso le pubblicazioni di Albanelli1 e Silvestri2. Il libro si incentra sul legame particolare tra il cittadino onorario Benito Mussolini e Ischia, tra il fascismo e gli isolani, un rapporto profondo che ha inciso nella società locale un segno indelebile. Con la pubblicazione di questa ricerca vi sono nuove certezze storiche. L’Italia in questi anni, pur riuscendo a diventare la terza nazione del mondo per espansione del settore turistico, è spaccata a metà: al Nord si registra un grande incremento di hotel e pensioni, al Sud invece le strutture sono poche. Escludendo Taormina e Mondello in Sicilia e la Costiera Amalfitana in Campania, tutto il resto non presenta alcun insediamento turistico di rilievo. Il fascismo comprende che Ischia è una delle poche realtà del Mezzogiorno dove il turismo ha grandi potenzialità inespresse ed emana ben tre leggi ad hoc: nel 1938 riunisce tutti e sei i comuni in un unico municipio, nel 1939 crea l’Ente Valorizzazione e nel 1941 approva una legge “per l’antico comune di Lacco Ameno”. Presentatore del progetto di legge per la valorizzazione dell’isola è Benito Mussolini in prima persona, che pone Ischia come località privilegiata rispetto a tutte le altre stazioni turistiche italiane, memore di una antica promessa fatta agli ischitani che da subito avevano aderito al fascismo e che furono tra i primi in Italia a concedere le chiavi della città al futuro Duce. La legge di valorizzazione dell’isola nasce quindi come “legge Mussolini”. Fu intuita anche la necessità di avere un piccolo ospedale, la prima struttura sanitaria moderna dell’isola, la “Casa delle Gestanti” di Via Alfredo De Luca, che rappresenta anche l’ultima opera costruita dal fascismo in tutta Italia. Solo la guerra impedisce che si concretizzino tutti i progetti elaborati per la valorizzazione dell’isola. 1 Albanelli Nunzio, Largo Croce, diario di uno scugnizzo al tempo dell’occupazione anglo-americana, Massa, Napoli 2011. 2 Silvestri Giuseppe, Ischia base navale inglese1943-1946, Valentino editore 2005.

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Come Giano bifronte il fascismo manifesta però anche l’altra faccia: ogni aspetto della vita pubblica è sottoposto a censura e controllato. In tutta l’isola gli antifascisti sono soltanto nove, ma solo due di loro, un contadino e un marittimo, pagano per tutti con il confino. Proprio perché l’isola è, per definizione, un territorio circoscritto e quindi facilmente controllabile, sotto la copertura della società “Società Anonima Vinicola Meridionale” operano decine di agenti dell’Ovra, il servizio segreto, che nel nostro territorio vigilava rifugiati politici e artisti provenienti da tutta Europa. Va sempre ribadito che il fascismo si macchia del crimine più grande contro l’umanità: le leggi razziali e i campi di concentramento. Se è vero che gli ebrei “italianizzati”, proprietari di alberghi a Casamicciola, sono risparmiati dalla repressione, va sicuramente ricordato il caso di Edgar Kupfer-Koberwitz3 che proprio da Ischia, dopo una “soffiata”, è prelevato e consegnato alla terribile Gestapo. Dopo il soggiorno isolano sarà trasferito a Dachau, dove sarà condannato a morte. Un altro episodio ci fa comprendere le ragioni militari del bombardamento anglo-americano dell’8 settembre su Forio. Nel 1942 i tedeschi avevano montato come sistema di difesa nella base militare dell’Epomeo 3 Di Edgar Kupfer – Koberwitz la Casa Editrice Imagaenaria d’Ischia ha pubblicato nel 2003 la versione italiana (traduzione del prof. Nicola Luongo) di Die Vergessene Insel. Erlebnis eines Jahres auf Ischia col titolo di Ischia l’isola dimenticata.


un “disturbatore sperimentale” di segnali radar che impediva agli aerei anglo-americani di centrare gli obiettivi. Il sistema fu distrutto dal bombardamento, ma quella che doveva essere una “operazione mirata” su un obiettivo militare strategico si trasformerà in una strage di civili innocenti. Segue il capitolo sulla drammatica occupazione inglese che procura molti più danni della guerra, riducendo alla fame la popolazione. Per contrastare i soprusi dei militari inglesi, da Ischia parte persino un appello alla Società per le Nazioni per il rispetto dei diritti umani e delle convenzioni sottoscritte da Winston Churchill. L’ultimo capitolo è dedicato alla presunta apparizio-

ne del fantasma di Mussolini nella casa di Forio, dove si trovano in esilio la moglie Rachele e i figli. L’obiettivo di questa ricerca rimane la verità documentale, quella che emerge dalle carte dei vari archivi, con il fine ultimo di colmare un vuoto nella storia, che va anche al di là di quella locale. Poiché non mi è mai piaciuta la ricostruzione postuma dei vincitori, né quella descritta dai vinti, tanto meno potevo arrendermi alla totale cancellazione e alla distruzione di ogni memoria. La storia merita sempre di essere trasmessa ai posteri e poiché è trascorso quasi un secolo dagli avvenimenti descritti, essa può solo costituire motivo di studio e non più ragione di divisione politica (Prefazione).

Specchi riflessi di Luciano Castaldi Progetto grafico di Alcast Grafica & Marianna Coppa, 2017 Luciano Castaldi riporta in questo libro “note, articoli, emozioni, ricordi…, materiale già pubblicato”, precisando, però, che il tutto “è stato ampiamente rivisitato, corretto, approfondito, tagliato e cucito”, per cui si può dire che, a leggere le varie pagine, ci si trova dinanzi a qualcosa di nuovo, di inedito: visitazione e non rivisitazione. Ed ecco che rivivono momenti di vita vissuta, partecipati ad un pubblico, noto o meno non importa, attraverso la “concretezza e la fedeltà di un libro, scritto con la passione e l’amore” che hanno sempre guidato l’autore nelle cose che ha fatto. I momenti positivi e negativi sono visti e considerati nella massima coerenza e compostezza, lungi dall’esaltare gli uni e sprezzare gli altri, magari per ottenere plausi e consensi in un senso e giustificazioni nell’altro. Ci piace riportare dal libro di Castaldi la pagina relativa al Vico Annunziata di Forio, relativa ad un periodo non troppo bello di Forio (e non solo di Forio) Sono tornato in vico Annunziata, il vicolo del centro storico di Forio dove sono nato. Sono tornato lì per farmi un po’ di male. Per vedere da vicino quanto già sapevo. Vico Annunziata: non so se sia storia o leggenda ma pare che si chiami così a ricordo di una «ruota» per neonati abbandonati. Ricordo bene il «buco» attraverso il quale venivano passati i bambini: una pietra ben lavorata che mi ha sempre intenerito e suscitato mille domande. Quel foro nel muro, insieme ovviamente all’edicola votiva dedicata alla Madonna, erano i nostri unici motivi d’orgoglio. In effetti, il «nostro» non è mai stato un vicolo pulito, ordinato, profumato o particolarmente «solare»; la sua caratteristica di essere non soleggiato suscita in chi lo percorre un’ombrosa, crepuscolare, malinconia. Non ci abbiamo mai giocato a pallone in quel vicolo cieco.

Da bambini, di giorno, ci passavamo svelti. Zigzagando tra gli escrementi dei cani. Di notte invece, se l’unico lampione si fulminava, volavamo per evitare le cacche e i brutti incontri con le ombre e i rumori che forse sentivamo solo noi. Di corsa, a gambe levate, chiamando mamma ad altissima voce fin su le scale e pregando la Madonnina del vicolo di farci la grazia di arrivare a casa senza dover cenare e penare a causa dello stomaco rivoltato dal fetore delle «delizie» calpestate. A parte questi dettagli, vico Annunziata - modestamente - vantava la presenza dell’ultimo pollaio (serio) che la storia di Forio ricordi. In pieno centro storico, centinaia di coccodè dal fetore insopportabile La Rassegna d’Ischia n. 5/2017

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Forio : Vico Annunziata e "buco" attraverso il quale si passavano i neeonati (Foto Antonio Schiazzano)

circondati da un esercito di topi. A furor di popolo, con una raccolta firme, si decretò la chiusura del pollaio. Firmarono tutti, non mia madre. Per doverosa riconoscenza verso chi quel pollaio teneva in piedi, la signora Maria D’Ascia che ci «restituì» l’acqua corrente negata dai padroni di casa. Ora, di fronte a quel che accade lì, nessuno parla, protesta, propone petizioni. Insomma, vico Annunziata era tutt’altro che il nostro orgoglio di ragazzini timidi e pure (diciamolo) un po’ problematici. Orfani di padre in una casa che, seppure molto dignitosa, ci sembrava sempre troppo

piccola, troppo alta, troppo vecchia, col cesso e la cucinina fuori al terrazzo. Non vedevamo l’ora di cambiare. Eppure, quando finalmente abbiamo lasciato quella casa, ci venne un magone inspiegabile. E anche ora, se ci penso... L’altro giorno dunque sono tornato in quel vicoletto. Mi avevano detto di altri scempi all’edicola votiva dedicata alla Madonna di Pompei. Ho trovato come prevedibile la «mia» Madonnina tra cumuli di fetida munnezza e nuovi, scandalosi lavori abusivi… (…).

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Si odono le Muse

Corso basilare di comunicazione giornalistica scritta di Massimo Coppa

Manuale pratico, in forma di lezioni, di comunicazione giornalistica scritta, con particolare riferimento ai quotidiani (cartacei ed on line) ed ai siti Internet d’informazione. Consigli semplici per scrivere un articolo giornalistico e qualsiasi testo in generale

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Ischia

nelle arti visive francesi dell’Ottocento di Nicoletta D’Arbitrio, Luigi Ziviello Editrice “ad est dell’equatore”, giugno 2017; in copertina: Lancelot Théodore Turpin de Crissé, Il Monte Epomeo nell’isola d’Ischia.

Nell’Ottocento, al seguito del Grand Tour — o indipendentemente da esso — l’isola fu “riscoperta” e minuziosamente esplorata al suo interno da artisti e architetti provenienti dai vari paesi europei, e in particolare dalla Francia: Hébert, Corot, Michallon, Robert, de Crissé, Blouet, Bodinier, Bonnefond, e… numerosi altri, le cui tracce costituiscono il motivo di questa ricerca. “Ed è di eccezionale valore artistico e storico la rappresentazione inedita della realtà ambientale dell’isola con i suoi abitanti, così come si presentava agli occhi dei pittori nell’attraversare territori impervi e di struggente bellezza. È a partire da Valenciennes e da Denis che l’isola, benché nota per le sue acque termali, viene vista ed esplorata nell’incanto dei luoghi e nell’intimità culturale dei suoi abitanti, nei quali ritrovare i naturali discendenti del mito classico, come affermava il critico Etienne-Jean Delécluze a proposito della pittura di Léopold Robert. Una dimensione inedita che pittori e scrittori racconteranno nel corso dell’Ottocento; Ischia diviene il centro dell’attenzio-

ne e quello degli artisti sarà un viaggio emozionale, un trasporto intenso e coinvolgente come riporterà Turpin De Crissé nel libro Souvenirs du golfe de Naples. Si deve agli artisti che si avvicendarono sull’isola, ai loro album, ai loro incantevoli disegni, se non è andata del tutto dispersa l’immagine del suo passato” (interno di copertina).

Misteri di Ischia (terreni e ultraterreni) Enigmi , suggestioni ed inquietudini dell’Isola Verde di Massimo Coppa Youcanprint Editrice, maggio 2017. In copertina, Arnold Boöckling: L’isola dei morti (terza versione)

Indagine condotta su fatti misteriosi e inquietanti che, direttamente o indirettamente, vedono coinvolta l’isola d’Ischia. Una prima parte riguarda fatti che “pur essedo oscuri, sono riconducibili a prosaiche situazioni naturali e materiali”; nella seconda sono invece raccolte “circostanze caratterizzate dall’ambigua ed impalpabile sostanza dei fenomeni soprannaturali”. Abbiamo così da leggere e da ricordare circostanze, a volte non troppo lontane, su eventi su cui

si è scritto in vario modo nel tempo, ma che possono sempre “incontrare l’interesse delle persone” e costituire ancora materia di riflessione e interrogativi e perplessità. Una questione variamente interpretata, anche da parte di famosi archeologi e studiosi, è per esempio la famosa frase di Strabone circa la presenza dell’oro sull’isola d’Ischia, di cui in questa sede si può leggere in parte quanto riporta Massimo Coppa (testo riportato a parte con autorizzazione dell’autore); desta curiosità La Rassegna d’Ischia n. 5/2017

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ancora la domanda se fosse ischitana la “Gioconda”; piacevole leggere notizie e avvenimenti che hanno come riferimento la “dama nera” di Lacco Ameno (1953); sconcerto e amarezza suscitano la vicenda dell’aereo britannico che si schiantò contro un versante dell’Epomeo (1947) ed il comportamento che ebbero alcuni isolani. Si trovano citati nel libro fatti e personaggi del periodo bellico; vi si parla delle basi militari dell’Epomeo, delle apparizioni di Zaro e tanto altro ancora: siluri nucleari sovietici, armi chimiche, spie britanniche, profezie mariane, presenze maligne, riti segreti, vescovi profeti, templi solari…

Oro nel sottosuolo dell’Isola Verde Da Strabone in poi, cercando di raggiungere un miraggio (...)

A parlare per primo di oro ischitano è l’antico geografo greco Strabone. Questi, nel libro quinto della sua “Geografia”, scrive. “Pitecusa fu colonizzata da Eretriesi e da Calcidesi che, benché vivessero nella prosperità grazie alla fertilità della terra e alle sue miniere d’oro (cruseia), abbandonarono l’isola a seguito di lotte e anche perché cacciati da terremoti e da eruzioni di fuoco, di mare e di acque bollenti”.

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In realtà, questa affermazione di Strabone è stata in seguito sempre minimizzata, se non ridicolizzata, perché si partiva dal presupposto che ad Ischia non si fosse mai sentito parlare, successivamente, di miniere d’oro ed anche perché, come detto, secondo i geologi di un tempo, un’isola vulcanica non presenta le condizioni per la formazione di questo minerale. Già Patrizia Mureddu, in un articolo comparso nel n. 27 del 1972 de “La parola del passato”, benemerita rivista di studi antichi, rilevava che l’espressione greca che sta per “miniere d’oro”, usata dallo Strabone, fosse una corruzione (dovuta a trascrizioni successive?) e che significasse, all’origine, “fonderie di bronzo” o, addirittura, botteghe ceramiche”: una cosa completamente diversa, dunque! E che Ischia sia luogo di ceramiche è storicamente notorio; e forse anche di fonderie di bronzo (anche se su quest’ultimo punto c’è una controversia che dura da decenni). Comunque è assodato che si tratti di un luogo dove il bronzo, ed i metalli in genere, anche d’oro, venivano lavorati: ed in questo si viene confortati dagli studi di Giorgio Buchner (archeologo di fama mondiale, scopritore dell’insediamento greco a Lacco Ameno), il quale sostenne di aver ispirato questa tesi alla Mureddu. Giustamente Giuseppe Pipino, in un interessantissimo e documentatissimo saggio comparso su “La Rassegna d’Ischia” n. 6/2009, a cui queste righe sono enormemente debitrici, nota icasticamente che “l’attitudine ad attribuire ad errori delle fonti i particolari che non si riescono a spiegare è piuttosto comune, ma, fortunatamente, il progresso delle conoscenze porta talora a riconoscere la giustezza di notizie in precedenza ritenute prive di fondamento”: è il caso, occorso allo stesso autore, della convinzione che non fossero mai esistite miniere d’oro in Sardegna, per cui decreti di regolamentazione del settore emanati dagli imperatori Valentiniano, Graziano e Valente sarebbero frutto di un errore, di un equivoco. Invece sarà lo stesso Pipino a dimostrare che di oro, in Sardegna, molto probabilmente ce n’era: e la stessa tesi l’applicherà ad Ischia,, confortando le sue ricerche con un’indagine sul territorio e scrivendo, nel 1989: “Nell’isola di Ischia sono state riscontrate, al momento, soltanto lievi anomalie (d’oro) in alcuni livelli piroclastici e ai contatti tra vulcaniti ignimbritiche e sedimenti marnosoarenacei: locali arricchimenti superficiali stanno forse alla base dell’antico ritrovamento aurifero citato da Strabone”. In realtà di oro ischitano parlano anche Elisio (personaggio di cui non si sa quasi nulla, medico alla Corte Aragonese di Napoli), nel 1500, e Giulio Iasolino nel 1588: e la localizzazione del giacimento viene indicata in un punto preciso. Ovviamente ogni ricerca è oggi impossibile, essendo la zona in questione (di cui dirò il nome fra poco) totalmente urbanizzata: però la suggestione resta. Giuseppe Pipino si è preso doverosamente la briga di verificare alla fonte: ha rintracciato e studiato una copia dell’opera di Giovanni Elisio presso la Biblioteca Nazionale di Bologna. Probabilmente pubblicato postumo nel 1519, dedicato al principe Bernardino Sanseverino di Bisignano, il libro censisce sinteticamente i “bagni”, cioè le fonti termali e sorgive, di tutta la Campania, con le malattie che essi guariscono. Dopo un articolato excursus critico sulla storia, le vicissitudini e le contaminazioni dell’opera di Elisio, il Pipino scrive: “Nell’esemplare preso in esame, i ‘bagni’ di Ischia sono gli ultimi ad essere enumerati e, alla fine, si trova una breve nota sull’eruzione del 1301, interessante perché è una delle prime e perché l’evento è esattamente datato. Segue l’indice (rubrica) e, dopo di questo, un breve commiato diretto al solito principe Sanseverino, nel quale l’Autore vanta, oltre alla bontà medi-


cinale delle acque, la fertilità del suolo e la presenza di prodotti naturali: dice, fra l’altro, tradotto dal latino, che l’isola ‘... abbonda di solfo, allume e oro, come fu in passato accertato dagli eccellenti e perspicacissimi veneti’”. Ecco una conferma! L’isola “abbonda di solfo, allume e oro”. Della presenza ed estrazione, nonché lavorazione, dello zolfo e dell’allume c’è assoluta certezza storica. Quindi, l’affermazione sembra fondata e se ne dedurrebbe che valga anche per la presenza dell’oro. Lo stesso Pipino conferma che, nel Quattrocento, le miniere di allume ischitane erano gestite da mercanti veneziani. Anche Scipione Mazzella, nel 1586, nella sua “Descrittione del Regn0 di Napoli” scrive che “nell’isola d’Ischia, detta anticamente Aenariaa vi è la miniera dell’oro, e dell’allume, le quali le ritrovò Bartolomeo Perdice Genovese nel 1465”; e ancora, in un libro basato sull’Elisio e pubblicato nel 1591, il Mazzella scrive che ad Ischia vi sono “miniere d’oro, di allume e di solfo, che furono scoperte nell’anno 1465 dal genovese Bartolomeo Perdice”. Tuttavia lo stesso Pipino getta acqua sui facili entusiasmi, ricostruendo fatti, circostanze e date da cui risulterebbe che, in effetti, il Mazzella abbia equivocato alcuni punti cruciali. D’altro canto, di questo fantomatico “Bartolomeo Perdice” non si sa praticamente nulla, essendo arrivati a noi solo alcuni riferimenti presenti in qualche libro antico. Il medico calabrese Giulio Iasolino, nella sua celeberrima opera “De rimedi naturali che sono nell’isola di Pithecusa hoggi detta Ischia”, del 1588, scrive: “(...) e sono in essa miniere d’oro, come è manifesto non solo per quello che lasciò scritto Strabone, ma anche col testimonio de’ moderni: sì come si dimostra con l’autorità di Giovanni Elisio: il quale nel suo libro, che scrive de’ Bagni di Terra di Lavoro, e dedicato al serenissimo Bernardino Sanseverino, principe di Bisignano, dice che l’isola d’Ischia è abbondante e ferace di frutti, di eccellentissimo grano e vino generoso, di solfo, di allume e d’oro, come ancora l’hanno ritrovata e sperimentata i nobilissimi e ingegnosissimi Signori Venetiani”. Ed aggiunge: “Vi è anco la miniera dell’oro a Campagnano vicino la cappella di Santo Sebastiano; e questa credo sia quella che scrisse Strabone, e ancor quella che avessero gli anni a dietro esaminata, e fattone pruova i Signori venetiani, secondo quanto si legge appresso a Giovanni Ellsio, come abbiamo detto”. Abbiamo dunque, finalmente, anche l’individuazione della zona: la frazione ischitana di Campagnano! E l’esatta indicazione della miniera: “vicino la cappella di Santo Sebastiano”. Questa chiesa esiste ancora oggi? Non è forse proprio la chiesa che affaccia nella piazzetta principale di Campagnano? Essa si chiama, attualmente “dell’Annunziata”, ed è stata realizzata dopo il 1600; quindi in apparenza, non dovrebbe essere quella a cui si riferisce lo Iasolino Tuttavia, come si legge in una sezione del sito Internet della “Rassegna d’Ischia” dedicata agli edifici religiosi isolani, “nel secolo XVII esisteva nella zona una chiesa dedicata a S. Sebastiano in cui si venerava l’Annunciazione di Maria. Non si sa se in seguito questa abbia cambiato titolo oppure, abbandonata, ne sia stata costruita un’altra sotto il titolo dell’Annunziata, che fu restaurata ancora nel 1792”. Quindi, la chiesa di cui parla lo Iasolino può perfettamente essere quella odierna; o un’altra, ma comunque in zona. Nota Giuseppe Pipino nel suo articolo che “la localizzazione della miniera d’oro a Campagnano fu probabilmente suggerita a Iasolino da ricordi ancora vivi sul posto e, a quanto dice, egli poté vederne le tracce (‘... e chiaramente se ne vede una, in quel luogo, dove dicono Campagnano’)”. E ancora:

“La miniera d’oro è indicata, in latino (‘Auri fodina’), sulla carta topografica allegata alla pubblicazione dello Iasolino, carta eseguita nel 1586 dall’incisore romano Mario Carfaro su incarico del medico napoletano e su sue precise indicazioni. Nella carta, orientata a sud, è riportata la legenda dei bagni e dei toponimi, in latino e in italiano, con riferimento alla Fodina auri, miniera di oro”. Ancora lo Iasolino ci sorprende affermando che a Casamicciola, in zona Ombrasco, vi è “un fonte non molto grande, ma di copiose e abbondanti acque chiare, e dolci e senza nessun odore ingrato. Quivi, non senza grande stupore, s’osserva una bellissima meraviglia della natura: perocché quando il fonte è pieno, e ben netto, quelle acque mostrano nella loro superficie uno escremento d’oro, che fa una tela sottile, quasi un sottil velo d’oro finissimo di più di ventiquattro carati.... noi l’abbiamo voluto chiamare bagno Aurifero: perché mena seco l’oro, siccome si legge fanno molti fiumi; anzi abbiam più volte sperimentato e particolarmente quest’anno, 1583, abbiamo fatto vedere a molti signori (...) che accostando leggermente la pianta della mano sopra la superficie dell’acqua vi si attacca quella tela d’oro... È la miniera di questo bagno (per quello che si può raccogliere dalla sua distillazione e dall’essamine della terra e del sale) di oro: ma (per quello che io giudico), mescolato con qualche parte di rame, e con alcuni pochi vapori di solfo...”; concludendo significativamente, come detto: “Né si deve meravigliare niuno di sì fatto bagno, poiché Strabone, e altri, scrivono in quella isola essere miniere d’oro, e chiaramente se ne vede una, in quel luogo, dove dicono Campagnano”. Lo Chevalley de Rivaz, nel 1831, nel suo libro “Précis sur les eaux minérothermales, et les étuves de l’île d’Ischia”, si occupa dell’argomento, asserendo che non è impossibile che ci sia stato dell’oro sull’isola d’Ischia, anche se non se ne trova più, perché “la ricca miniera di Nagyac (oggi ‘Najac’, in Francia, NdA), posta nel cratere di un vulcano spento, prova che non è impossibile la presenza di una miniera d’oro in un paese vulcanico”. Ed oggi la scienza ci dice che, in effetti, è possibile. È ancora il Pipino a tirare le somme del discorso: “E, infatti, le condizioni geologiche dell’isola d’Ischia, secondo le conoscenze più recenti e contrariamente alla vecchia opinione, sono favorevoli alla presenza dell’oro e alla sua precipitazione sotto forma di particelle submicroscopiche di origine epitermale (oro invisibile). Particolarmente indiziati sono l’attività vulcanica recente, l’ambiente acido, la presenza di campi di fratture (faglie), di fenomeni di alterazione delle rocce (caolinizzazione, alunitizzazione e argillificazione), la diffusione di solfo, di solfati di potassio e di alluminio (allume e allumite) e di solfato di rame (calcantite). Mancano però, o sono scarsi, i fenomeni di silicizzazione e, quindi, la formazione di potenti banchi silicei necessari per ospitare importanti concentrazioni aurifere, ma non è detto che non ce ne fosse stata qualche vena, e proprio a Campagnano dove è evidente la presenza di estese faglie allungate in direzione NE-SW. D’altra parte, la presenza di silice è segnalata in varie parti dell’isola, sotto forma di stalattiti di natura silicea e di incrostazioni silicee sulla superficie di ammassi di pozzolana (De Siano, 1801), nonché di opale stalattitico (Jervis 1874). Dunque, in conclusione, l’oro, ad Ischia, può esserci stato. Non tantissimo, non da sguazzarci dentro, ma un pochino, magari, sì. Ora però, non ce n’è più: mettiamoci l’anima in pace (Massimo Coppa).

La Rassegna d’Ischia n. 5/2017

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