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Anno XXXIV N. 4 Agosto / Settembre 2013 Euro 2,00

Una Carta aragonese contenente le isole di Ischia, Procida, S.to Stefano

Ragguaglio istorico topografico della Isola d'Ischia (II)

Pagine d'Autore : Cavascura Lacco Ameno - Piazza Rosario : dicembre 1881 / febbraio 1883 Fonti archivistiche: I luoghi sacri de "Li bagni" d'Ischia Rassegna Libri - Ex libris

I nuovi emblemi dell'Isola d'Ischia Periodico di ricerche e di temi turistici, culturali, politici e sportivi Dir. responsabile Raffaele Castagna


La Rassegna d’Ischia

Immagini dell'isola d'Ischia

Anno XXXIV- N. 4 Agosto/Settembre 2013 Euro 2,00 Periodico di ricerche e di temi turistici, culturali, politici e sportivi

Editore e Direttore responsabile : Raffaele Castagna

La Rassegna d’Ischia Via IV novembre 19 - 80076 Lacco Ameno (NA) Registrazione Tribunale di Napoli n. 2907 del 16.02.1980 Iscritto al Registro degli Operatori di Comunicazione n. 8661.

Stampa : Press Up - Ladispoli (Roma)

Sommario 2 Immagini di Ischia 3 Motivi

5 Una Carta aragonese contenente le isole di Ischia, Procida, Santo Stefano

16 Lacco Ameno - Piazza Rosario Dicembre 1881 - Febbraio 1883

21 Ragguaglio istorico topografico della Isola d'Ischia (II) 37 Tibet 41 Fonti archivistiche I luoghi sacri de "Li bagni " di Ischia

46 Amarcord degli anni '50 e '60 Cinema, divertimento, socializzazione 48 Ex libris 51 Forio - Nella villa La Colombaia Mostra collettiva di artisti ischitani 52 I vincitori dell'Ischia Film Festival 2013 53 Pagine di Autore Cavascura 55 Rassegna Libri Chiuso in redazione il 30 luglio 2013 In copertina I - I Maronti (Foto di G. Silvestri)

Le opinioni espresse dagli autori non impegnano la rivista La collaborazione ospitata s’intende offerta gratuitamente - Manoscritti, fotografie ed altro (anche se non pubblicati), libri e giornali non si restituiscono - La Direzione ha facoltà di condensare, secondo le esigenze di impaginazione e di spazio e senza alterarne la sostanza, gli scritti a disposizione. conto corrente postale n. 29034808 intestato a Raffaele Castagna - Via IV novembre 19 80076 Lacco Ameno (NA) www.larassegnadischia.i www.ischiainsula.eu info@larassegnadischia.it rassegna@alice.it


MOTIVI

Raffaele Castagna

I nuovi emblemi dell’isola d’Ischia

Sembra ormai svanito il tempo in cui l’isola amava presentarsi ai suoi abitanti, ai suoi ospiti, occasionali o assidui frequentatori delle sue stagioni, estive o invernali, con i suoi apparati paesaggistici di cui l’ha dotata la natura, con la purezza e la salubrità delle sue acque marine e del suo clima, con i bei tramonti solari; aspetti in un certo senso pur presenti ancora oggi, ma gli occhi e la mente non sono più molto portati a percepirli, perché distratti da una diversa realtà che va imponendosi su tutto con i suoi molteplici colori che si irraggiano sotto il sole cocente: prevalgono cioè quei cumuli di rifiuti sparsi o racchiusi in buste che sono sparsi dovunque, nei centri, nei vicoli, nelle strade… senza ritegno (una certa giustificazione!: “fan tutti così ed io mi adeguo”), a testimonianza di un’età consumatrice e di una popolazione restia a qualsiasi regola e alla salvaguardia di un ambiente incomparabile qual era (forse non più) quello dell’isola. Circostanza alla quale si sono perfettamente adeguati gli ex-villeggianti accasatisi sull’isola con proprie abitazioni. Come il noto quiz televisivo (Reazione a catena), “uno tira l’altro” e vince (!?) il malcapitato cui tocca di veder ridotto a cesso pubblico per tutte le ore, diurne e notturne, lo spazio antistante la sua casa; a volte anche rifiuti di peso come televisioni, suppellettili varie, materassi, bidoni non più utilizzabili. Volendo, si potrebbe parlare anche di quelli che sono considerati gli amanti e protettori dei cani, pronti a lasciarvi indifferentemente la mattina davanti casa un bel

“servizio” e proseguire la passeggiata in compagnia. Oggi in fondo dobbiamo ammettere che anche i rifiuti costituiscono un panorama da fissare fotograficamente e da trasmettere in giro come ottima visione per dare sviluppo (!?) al turismo. A tale realtà si sono assuefatte anche le amministrazioni comunali che non sono in grado di assumere provvedimenti seri, di far rispettare le loro delibere; se si fanno presenti certe esigenze, sono abili a prendersi gioco di voi con le solite chiacchiere: “ora faremo”, “pazienza”, “non c’è personale”… Più facile far gironzolare i vigili per controllare se le macchine rispettano le soste temporanee, le strisce blu… Ma lo monitorizzano mai direttamente il paese la sera o la mattina, rinunciando magari qualche volta a presenziare a questa o a quella manifestazione? Oltre tutto si tratta anche di una questione di igiene, considerato che non si effettua alcuna disinfettazione. L’isola, non c’è che dire, se la passa proprio male, anche perché più che attrezzarla e dotarla di servizi per una popolazione che cresce continuamente e che d’estate ancora aumenta enormemente, la si impoverisce sempre più privandola di talune dotazioni prima conquistate: ridimensionamento di un ospedale che ci siamo trovati soltanto grazie ad Angelo Rizzoli (e lo stato non ne tiene conto), per la giustizia si intende imporci il continente, nonostante che aumentino i costi e diminuiscano i collegamenti, il trasporto pubblico terrestre, che una volta si voleva valorizzare per spingere ad una La Rassegna d’Ischia n. 4/2013

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In alto si legge un avviso del Comune che vieta di depositare in loco i rifiuti

ridotta utilizzazione dei mezzi privati, è sempre più carente; le stesse strutture culturali (una volta si parlava di turismo culturale) languono per mancanza di personale e per la scarsa propensione politica di investire in questo settore. Il giornalista Nino Longobardi scriveva sul Messaggero nell’agosto del 1967 in un articolo intitolato “I barbari ad Ischia”: «Più che di un articolo, Ischia dovrebbe essere oggetto di una monografia dal titolo: “Come si tenta di distruggere un’isola”. La ottusità delle autorità preposte alla tutela turistica della “perla del golfo di Napoli” raggiunge una perfezione da considerare esemplare. Si sa bene che la salvaguardia del nostro patrimonio naturale è in bancarotta dalle Alpi al mare. Ischia, purtroppo, non fa eccezione alla regola, ma la conferma clamorosamente». E pensare però che allora ci si riferiva essenzialmente all’abusivismo edilizio, continuato poi ancora nel tempo; che si dovrebbe dire oggi di fronte alla nuova realtà che presenta un notevole degrado, espresso non soltanto dal sorgere, qua e là, di una casa o casetta, ma dalla presenza continua di rifiuti per ogni dove, tra l’indifferenza generale e il tacito assenso delle autorità amministrative? Parafrasando una vignetta satirica di Altan notata in un giornale di non so quale anno (L’Espresso), ci si potrebbe chiedere, di fronte alla caterva di problemi che assillano l’isola, dove siano gli amministratori (sindaci, 4 La Rassegna d’Ischia n. 4/2013

assessori…), con pronta risposta: “Ci si sono seduti sopra”. Amministratori sempre pronti a correre a presenziare manifestazioni ed eventi di facciata, mai presenti e mai pronti prima a tentare di educare le popolazioni, poi decisi a reprimere certi abusi e a far rispettare le delibere che d’altra parte hanno pur sempre loro stessi adottato. Oltre tutto, l’isola è anche diventata caciarona per alcuni aspetti, legati allo scarso controllo del territorio, smentendo quelle parole che il re Ludwig I di Baviera fece aggiungere all’affresco di Rottmann sulle arcate del giardino di corte a Monaco: Corri a Ischia / lontano dal frastuono della vita / là troverai quella pace / che da tempo ti è sfuggita via1». Oggi il frastuono c’è (e si sente), manca la pace. E il “come si tenta di distruggere un’isola” va senz’altro corretto in un “come si è distrutta (o si sta distruggendo) un’isola (!?), invece di valorizzarne le sue risorse naturali, come il termalismo, e culturali, sempre trascurate: si pensi che la Biblioteca Antoniana viene aperta solo con le associazioni di volontariato (Centro Studi), difficoltà sono palesate anche per il Museo Pithecusae. Peraltro quest’aspetto è assolutamente atavico, se si pensa, come dice A. Di Lustro, a come sono stati trattati nel tempo (e sono trattati) gli archivi dei nostri Comuni: «.. gli amministratori certamente sono da considerarsi…. benemeriti della cultura per il modo come hanno da sempre custodito i documenti dei vari Comuni, compresa l’anagrafe. Per questi loro… acquisiti meriti – mea quidem sententia – andrebbero arrestati e condannati a carcere severissimo per gravissimi delitti da loto pepetrati contro la nostra storia2. 1 P. Buchner – Gast au Ischia, 1968. Versione italiana di Nicola Luongo in Ospite a Ischia. Lettere e memorie dei secoli passati, Imagaenaria Edizioni Ischia, 2002. 2 A. Di Lustro, I luoghi sacri de li Bagni di Ischia (articolo in questo numero, nota 15). Problemi, problemi, problemi... E dove sono gli amministratori? Ci si sono seduti sopra.


A proposito di

Una Carta aragonese (pergamena) contenente le isole di Ischia, Procida e Santo Stefano di Vincenzo Belli

Parte centrale della pergamena che contiene le mappe di Ischia e Procida; dimensioni 425x286 mm.

(da Jacazzi D., La memoria e l'immagine del territorio napoletano nelle pergamene aragonesi, in Architettura nella storia, vol. I Tav. VIII-1)

Il prof. Vladimiro Valerio, che è autore di numerosi lavori nel campo della cartografia ed ha rinvenuto molti documenti originali in Italia ed all’estero, nell’ambito del Seminario sul tema La rappresentazione dello spazio nel Mezzogiorno Aragonese - le mappe del Principato Citra (7 marzo 2013)1, ha ripercorso con Ferdinando La Greca una parte del loro precedente lavoro2, proiettando non 1 Seminario nell’ambito del PRIN (Progetti di ricerca di interesse nazionale) 2009: “La rappresentazione dello spazio nel Mezzogiorno Aragonese - le mappe del Principato Citra”, organizzato dall’Università degli studi di Napoli Federico II, Dipartimento degli studi umanistici Società Napoletana di Storia Patria. Napoli, Società Napoletana di Storia Patria (7 marzo 2013). Gli Atti verranno pubblicati in data non ancora nota. 2 La Greca F., Valerio V. -”Paesaggio antico e medioevale nelle mappe aragonesi di Giovanni Pontano: le terre del Principato Citra”, Acciaroli (Sa), Edizioni del Centro di promozione

solo alcune delle immagini di quel prodotto, ma anche quella di una pergamena formato 28x42 cm circa, in scala approssimata di 1:120.000, contenente le isole di Ischia, Procida e Santo Stefano, che non vi figurava. Vista la indicata datazione di quelle mappe, che si fanno risalire all’epoca aragonese, commissionate forse dallo stesso Alfonso o dal figlio Ferrante, in una storia che vede coinvolti un gruppo di personaggi storici veramente notevole, fra i quali Giovanni Gioviano Pontano, Ferdinando Galiani, Bernardo Tanucci, il nostro interesse è evidente, e quanto raccolto in merito non si esaurisce in questi primi appunti. Lasciando alla lettura del testo di V. Valerio e F. La Greca ed alla futura pubblicazione degli atti del convegno la culturale per il Cilento, 2008. SNSP coll. NF. B 00641; BNN coll. MSS. bibl. 0609.

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proposta di analisi e collocazione temporale di questa importantissima testimonianza, la presente attenzione si concentrerà sul documento iconografico che si trova custodito presso l’ASNA.

La carta Dato il supporto di questa mappa, le modalità di presentazione, le condizioni di illuminazione della sala della SNSP, le dimensioni dello schermo, le capacità visive dello scrivente, durante il seminario citato, ho potuto solo leggervi in caratteri quasi longobardi3 un Barano, un qualcosa per Forio, che non possono fornire alcun elemento per una, sia pur prima, riflessione. La carta in questione viene così presentata dal Valerio4: [si tratta di] alcune pergamene solo di recente pubblicate, e da me rinvenute nell’Archivio di Stato di Napoli nel lontano 1985..... Si tratta di quattro pergamene raffiguranti le isole di Ischia e di Procida, una porzione del territorio della Campania, il Gargano e parte del basso Lazio... Secondo la stessa fonte, il Galiani in una sua lettera del 1767 l’avrebbe definita bellissima carta d’Ischia. La collocazione della carta, all’ASNA, è la seguente5: … Ecco di seguito una schedatura sommaria delle quattro pergamene, tutte redatte con inchiostro carminio, conservate nell’Archivio di Stato di Napoli, Ufficio Iconografico 64, 65, 66, 67 (già Archivio Farnesiano, 2114, n.i 1, 2, 3 e 4: 64) Isole di Ischia e di Procida, 28 x 42 scala 1:120.000 circa.... Su di essa si riportano alcune annotazioni dallo stesso lavoro, senza le relative note: p. 24, 25: .... si tratta effettivamente di un eccezionale disegno dell’isola, dal contorno molto accurato e corretto, dove pur nella semplificazione della scala riescono a trovare posto i simboli relativi ad un tratto di acquedotto e ad un impluvio di acqua che scende dal monte Epomeo verso la costa settentrionale dell’isola. La toponomastica risulta ricchissima ed in una denominazione precedente a quelle cinquecentesche: ad esempio, Punta Imperatore è chiamata “Promontorio Cesareo”, e Punta Cornacchia “Promontorio della Cornice”. Inoltre, per la prima volta compare il nome del Monte Epomeo così come lo chiamava Strabone (Ἐπωμέα) e non S. Nicola, come era in uso nella tradizione medievale, e Strabone era stato riscoperto nel mondo occidentale, insieme a Tolomeo, solo nel XV secolo. 3 Così sono state presentate nel seminario le scritte di tutte le carte. 4 Valerio, La Greca, op. cit. pag. 24. 5 Valerio, La Greca, op. cit. pag. 24 nota 66.

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Si tornerà sulle considerazioni su alcuni toponimi citati e si rimanda, quanto al tratto di acquedotto, per annotare che ho acquisito l’opera in due volumi6, nella quale le pergamene in questione sono discusse in un lavoro che contiene anche immagini, molto piccole purtroppo, ma in buona parte leggibili, tratte da quella di Ischia, Procida, S. Stefano: acquisizione superata, come si mostra nel paragrafo seguente, dalla successiva visione diretta del documento in esame.

La pergamena dell’ASNA Ho potuto consultare la pergamena, che è in condizioni molto precarie, custodita in una semplice cartellina di cartoncino, senza alcun’altra protezione; essa presenta una lacerazione nella parte destra, ad un quarto di altezza dalla base, la cui presenza nelle precedenti immagini non risulta chiaramente individuabile. Il disegno e le scritte, tracciate con inchiostro colore terra di Siena bruciata, molto sbiadito, probabilmente color seppia in origine, si leggono in generale abbastanza bene: la riproduzione fotografica, con i mezzi di contrasto diretti ed indiretti, ne migliora la intelligibilità, salvo in qualche caso, per le pieghe e le colorazioni del supporto dovute alla sua vetustà. L’esame diretto contrasta dunque con la generalizzazione del colore carminio per le carte citate nel testo di F. La Greca e V. Valerio, p. 24, nota 66.

I toponimi Per riflettere sulla lettura della carta, si sono tabellati tutti i toponimi che si riescono ad individuare, confrontandoli con quelli citati da D. Jacazzi7, e con i corrispondenti attuali, e/o da altre fonti. Titolo della carta a parte, si è proceduto, con qualche difficoltà, a decifrare il tutto partendo da Forio e procedendo in senso orario (riquadro pagina seguente). Per le isole vicine si legge un Bibara per Vivara, mentre i toponimi di Procida sono: Sto Catholico, Rocca di Procita, Prom. Socciaro (oggi Solchiaro).. La scritta Agabita Ins., sulla costa napoletana, si ritiene indichi l’isolotto di S. Martino, con l’Agabita che tiene luogo di un odierno Gaveta8. Diversi interessanti elementi emergono dalla lettura di questa pergamena: la rilevanza numerica dei nomi di scogli; ben evidente il lago dei Bagni, con il tondo aureliano; chiara anche la presenza della salina di Citara, che appare più allungata di quanto non compaia nella mappa del Cartaro. 6 Jacazzi D., La memoria e l’immagine del territorio napoletano nelle pergamene aragonesi, in “Architettura nella storia - scritti in onore di Alfonso Gambardella”, Milano, SKIRA, vol. 1: pp.8998 e tav. VIII-1, 2007. 7 Vedi nota precedente. 8 Nella carta dello Stigliola (1546-1623) figura in quella posizione un corrispondente T. La Gaveta.


TOPONIMI Lettura (Testo Jacazzi - op. cit.)

Lettura personale

Toponimo attuale / altro

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Isola d'Ischia vel Aenaria

Isola d'Ischia

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Scopulo Carusio

Lo scoglio vulgo lo Caruso del Cartaro

Forillia

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Forillia

Farallioni

Gli Scopuli Formicularum del Cartaro?

Lo laco

Lo laco

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Sco. della Trelia (o treglia)

-----------Casa Messola

Civita d'Ischia

Prom. della Cornice Casa Messula

Civita di Ischia

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M. Epomeo

Santo Pancratio

S. Pancratio

Campagnano

Cam-pagn-ano to

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Prom. di S.to Pancratio

Barano

Barano

Testaccio

Pr. Acuto

Testaccio

Lacco Ameno

Punta Cornacchia

Fungo (già la Triglia) Casamicciola

Castello d'Ischia Epomeo

Campagnano

Edificio religioso di S, Pancrazio da tempo scomparso Punta San Pancrazio

Il Pr. Acus del Cartaro Testaccio

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Prom. di S. Angelo

Fontana

Fontana

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Prom. Cesareo

Saliceto

Forio

to

Saliceto

Si deve sottolineare che tutti i casali sono rappresentati con un disegno di maniera, per agglomerato urbano sovrastato da un campanile. La rappresentazione dell’isola, con il nord in alto, appare ruotata di circa 30° in senso orario, il che fa riflettere sui 7° di declinazione magnetica dell’epoca, per un rilievo eseguito anche con l’ausilio della bussola, come si trova indicato in Valerio. Si deve inoltre sottolineare che in Jacazzi D.9 si parla del 1480 come data della collocazione di questo documento10, mentre altrove si è più generici, parlando solo di epoca aragonese.. Infine, sul colore dell’inchiostro usato, il Valerio indica il carminio, mentre la Jacazzi parla di un generico color bruno11 che meglio si adatta al colore direttamente apprezzato. Esaminando le carte del territorio peninsulare, indicate come coeve, ma copia degli originali, si nota che il co9 Jacazzi D., La memoria…., op. cit. 10 In Valerio, La Greca, Paesaggio… op. cit. a pag. 90, dopo aver elencato varie parti del regno raffigurate nelle carte, Ischia compresa, si dice: … Si trattava, come certamente notato, di un sistematico rilevamento, eseguito intorno al 1480, che copriva, a differenti scale, tutte le terre del Regno di Napoli. 11 Jacazzi D., La memoria… op. cit. nota 13 a pag. 97.

Barano

Isolotto di S. Angelo e localmente anche La Torre Fontana Sorgeto

Punta Imperatore

lor rosso riguarda i soli casali, il bruno gli altri contorni, mentre grigi ed azzurri sono impiegati per i rilievi. Le scritture della pergamena, in cosiddetti caratteri longobardi, sono identiche a quelle delle copie delle carte del Regno.

La datazione Sulla data del 1480 indicata nell’opera di Jacazzi, mancando elementi documentari per sostenerla, si fanno tutte le preliminari ovvie riserve; un elemento sottolineato in questo lavoro merita invece di essere citato ed indagato, leggendovi infatti12: … Nei pressi di Barano è disegnato un tratto dell’acquedotto che, secondo la testimonianza dello Iasolino, era stato realizzato da Orazio Tuttavilla governatore dell’isola nella seconda metà del Cinquecento. L’apparente contraddizione potrebbe essere spiegata con l’ipotesi che l’acquedotto aragonese, riportato nella pergamena con un percorso ridotto rispetto all’attuale, venne ampliato nella seconda metà del cinquecento nel tratto da Campagnano alla “Civita”… Il brano riportato in tale opera alla nota 17 è il seguente: A questo fine l’Illustris. E Reverendis. Cardinale Gran 12 Jacazzi D., La memoria… op. cit. pag. 92.

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Vela, essendo Vicerè in questo Regno, e mirando all’utile comune, concedette allora certe immunità, che si dicono tratte di vino; acciò che si portasse, e si riducesse la detta acqua di Buceti al borgo d’Ischia; il che fu eseguito in parte dal molto Illustre Signore Horazio Tuttavilla, che n’era Governatore a quel tempo, il quale avendo fatto forare una montagna, l’acqua per gli Aquedutti è pervenuta già all’ingiù alla parte laterale verso la Città, per lo spazio, quasi di due miglia. Nostro Signore conceda, che venga al ter­mine disegnato senza alcuno sinistro intoppo di terre minerali: la quale potrebbe corrompere la perfezione, il sapore, e la qualità sua…...13. Il d’Ascia riprende questa versione14: …L’antico acquedotto venia costruito verso 1’anno 1590, atteso che il Comune d’ Ischia mancava di acque potabili, per essere stato occupato dal mare il freschissimo, e rinomato fonte alla spiaggia di Cartaromana, ove ergesi il Ninfario dei signori di Guevara…... Per provvedere all’utile del Borgo di Celso — oggi Comune d’ Ischia — il Cardinal Granvela Vicerè di Napoli, concedette a questa università alcune immunità ed esenzioni dal paga­mento della gabella sul vino, detta tratta, acciocché queste somme riscosse pel detto dazio invece di andare a profitto del regio erario, fossero invertite alla costruzione dell’ acquedotto che l’acqua di Buceto ad Ischia avesse condotta. Quest’opera fu in parte eseguita da Orazio Tuttavilla che in quei tempi era dell’ Isola il governatore …. Anche la Sardella15, nelle schede da lei pubblicate, e 13 Iasolino G., De’ Rimedi naturali che sono nell’isola di Pithecusa hoggi detta Ischia- Napoli, 2000 Imagaenaria Edizioni Ischia, dicembre 2000. 14 D’Ascia G., Storia dell’isola d’Ischia - Bologna, Arnaldo Forni Editore, giugno 1998, pag. 62. 15 Sardella F. - Architetture di Ischia, Ischia, Edizioni Castello Aragonese 1985, by Analisi Trend, 1985, pag. 92.

tratte dal Catalogo della Soprintendenza nulla di diverso aggiunge: …La costruzione dell’acquedotto…fu decretata dal Vicerè Antonio Perrenot, Cardinale di granvela. Fra il 1571 -1575 fu incaricato per l’esatta costruzione e vigilanza D. Orazio Tuttavilla, governatore dell’isola…. Dopo aver ricordato che il cardinale Antoine Perrenot de Granvelle fu Vicerè dal 19 aprile 1571 al 18 luglio 1575, e dopo aver detto che non si può concordare con l’apparente contraddizione della Jacazzi, per tempi e dimensioni del manufatto nettamente distinti, non restano che poche ipotesi: - la pergamena non è di epoca aragonese ma al più della seconda metà del 1500; - la pergamena contiene opere non ancora realizzate, ma solo in progetto, e in tal caso perché disegnarne un solo tratto, a meno che questo non fosse il solo allora previsto?; - la parte dell’acquedotto, che compare anche nella rappresentazione del Cartaro, vi è stata aggiunta in epoca successiva, ipotesi che la visione diretta del documento non consente però di sostenere. Purtroppo, allo stato, non si hanno certezze: nel corso del Seminario è stata presentata anche un’analisi filologica, di carattere generale, analizzando toponimi e modalità di scrittura; datazioni per altre vie chimico-fisiche, pur possibili, ma assai poco probabili, non sono disponibili. È interessante anche notare che la Jacazzi, in un suo successivo lavoro16, nel parlare dell’acquedotto, si esprima così (figura in basso): …. Nei pressi di Ba­rano è disegnato un tratto dell’acquedotto che, secondo la testimonian­za dello Iasolino, era stato realizzato da Orazio Tuttavilla, governatore 16 Jacazzi D., Il territorio campano in età aragonese, pp. 87-98 in: Santoro M. -”Pomeriggi rinascimentali”, Pisa-Roma, F. Serra, 2008. BNN coll. 2009 B 0021, pagg. 93-94.

Due carte a confronto: a sinistra, particolare della celebre mappa del Cartaro, ruotato per porre il nord in alto; a destra, analogo particolare della pergamena. Si noti come orientamento, estensione, andamento, del tratto di acquedotto, siano perfettamente corrispondenti; analogo andamento e posizione hanno le montagne, individuabili nella pergamena per il crinale che appare più chiaro, da non confondersi con pieghe della pergamena.

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dell’isola nella seconda metà del Cinquecento. L’acquedotto aragonese, riportato nella pergamena con un percorso ridotto rispetto all’attuale, venne ampliato nella seconda metà del Cinquecento nel tratto da Campagnano alla “Civita”…... avendo così eliminato tutto ciò che nel precedente lavoro era collegato all’apparente contraddizione nella datazione della pergamena, ma sempre con lo strano, ulteriore tratto, partente da Campagnano. Si deve notare inoltre che la figura di questo testo, sempre in bianco e nero, che contiene buona parte della pergamena che riguarda le isole di Ischia e Procida, nonostante sia molto più grande di quella contenuta nel testo: La memoria e l’immagine.. op. cit., è di qualità inferiore e quindi molto meno leggibile. Sulla questione della datazione delle carte così si esprime il prof. Giovanni Vitolo17 in un suo scritto datato 9 marzo 2009, leggibile in rete al sito corrieredelmezzogiorno.corriere.it, anche se egli si riferisce alle sole carte del Regno e non a quella di Ischia: … Il primo problema che si pone è infatti il seguente: esse furono il risultato di una apposita campagna di rilevazione condotta in tutto il regno o furono realizzate (a tavolino o anche con l’integrazione di indagini sul terreno) sulla scorta di antiche e dettagliate carte di tradizione romana, che fornirono la base sulla quale furono riportati i nuovi toponimi? Valerio propende a credere

che le mappe siano state realizzate ex novo da tecnici aragonesi, pur avendo essi utilizzato strumenti e metodi degli agrimensori romani. La Greca, che di professione è un antichista, pensa invece a materiali cartografici di età romana, ritrovati da Giovanni Pontano a Roma, probabilmente nel 1492, che avrebbero fornito la base fisica, sulla quale sarebbero stati eseguiti aggiustamenti e variazioni toponomastiche….

17 Giovanni Vitolo è professore di Storia Medievale presso l’Università Federico II di Napoli: il suo articolo ha il seguente titolo: La geografia del Pontano - E il Regno apparve «tale e quale» - Gli aragonesi maestri della cartografia, «Belle ed eccezionalmente precise: scoperte le sorprendenti cartine disegnate nel Quattrocent».

18 Istituto Idrografico della Marina – “Golfo di Napoli”, carta n° A8, 1794. Si tratta della nota carta di Ant. Gio. Rizzi Zannoni, ora acquistata, dopo averla ammirata nelle annuali esposizioni di Galassia Guttenberg, a Napoli, nello stand dell’Istituto Idrografico della Marina, e promessa in copia, ma senza seguito.

Elementi per una datazione basati sull’esame della pergamena Esaminando la pergamena, si notano alcuni elementi, oltre al citato acquedotto, che si possono considerare in chiave di datazione indiretta: - l’arenile di Citara contiene la salina, presente anche nella celebre rappresentazione del Cartaro del 1586. In merito, nella figura riportata (in basso) se ne è proposto un confronto fra tre differenti rappresentazioni che, partendo dalla sua dimensione maggiore, quasi esattamente per meridiano, consentono di porre quella del Cartaro certamente dopo quella della pergamena, se si considera la sua certa progressiva riduzione nel tempo. - Un’altra via di riflessione la pone l’aver trovato le carte aragonesi come proposta al Rizzi Zannoni per la sua carta del Regno: ora se si osserva la carta di Ischia da lui disegnata nel 179418 e se ne osserva l’orografia, si possono fare i seguenti rilievi:

Fig. 3 - La salina di Citara in tre rappresentazioni che vanno dalla data, imprecisata della pergamena, al 1965 nella proposta di lettura della Buchner. A sinistra) Particolare dalla mappa del Cartaro (1586), che presenta il tratto di costa dell'Isola, dall'Imperatore all'abitato di Forio, con la salina ben evidente; al centro) dalla pergamena, stesso particolare, e tenuto conto della rotazione oraria di questa rappresentazione di circa 30°, con la salina che che, conservando la forma della precedente, appare molto più estesa per meridiano, coprendo l'intero arenile di Citara; a destra) la stessa zona delle due precedenti, nell'elaborazione in Buchner D. (1965), con evidenziata la batimetrica di 2 m, che mostra la progressiva riduzione dell'estensione per meridiano della salina, che sembra essersi ridotta alla sola parte superiore.

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anno della morte del vescovo Ambrogio Salvio che lo commissionò al padre domenicano Bartolomeo de Angelo20, morto nel 158421 e nato a Napoli nel primo trentennio del secolo XVI (Treccani): quindi l’arco di tempo in cui i domenicani fondarono il monastero procidano cade sicuramente nell’intervallo 1530 – 1557.22

In alto a sinistra particolare dell'isola di Capri (da Vitolo G., Belle ed eccezionalmente precise: scoperte le sorprendenti cartine disegnate nel Quattrocento Belle ed eccezionalmente precise. Sito corrieredelmezzogiorno.corriere.it -napoli -Cultura. Datato 09/03/2009; nel riquadro grande particolare della carta di Rizzi Zannoni (Istituto idrografico della Marina). Analogo appare il tratteggio per la rappresentazione dei rilievi.

-- la carta non contiene né l’acquedotto, né la salina; -- pur dichiarandosi l’A. geografo del Re ed essendo da poco più di 30 anni ultimato il dispendioso restauro delle tre torri regie (T. di Monte Vico, T. della Cornacchia, T. di Sant’Angelo)19, la sola torre menzionata è quella dei Guevara: le torri regie, all’epoca supposta di redazione della pergamena, non erano ancora state costruite; -- la rappresentazione dei monti è simile a quella delle mappe aragonesi, mentre così non appare nella pergamena di Ischia, nella quale un incerto tratteggio si legge nelle zone costiere, meglio evidente per le isole di Procida e S. Stefano. Queste considerazioni inducono a pensare che il geografo padovano non avesse visto né la bellissima carta, sempre che di questa si tratti, né quella del Cartaro, o che non ne avesse tenuto conto, preferendo disegnare la sua in accordo con la restante rappresentazione della carta del Regno. Visti poi gli interventi di copiatura e manipolazione del materiale che il Galiani aveva rinvenuto nel Dêpot parigino, il tratto di acquedotto che compare nella pergamena potrebbe esservi stato aggiunto sulla base della rappresentazione del Cartaro, che è la prima che lo propone, non comparendo diversamente in alcuna delle successive, ciò che l’esame diretto porta però, come già detto, ad escludere. - Un altro rilevante elemento di riflessione lo fornisce l’esame della rappresentazione dell’isola di Procida, nella quale, nella zona a settentrione della Chiaiolella è indicato un edificio religioso che dovrebbe essere il monastero domenicano, trasferito poi in S. Margherita Nuova perché non più sicuro. L’esercizio del citato convento domenicano di S. Margherita deve essere posto in un anno antecedente al 1557, 19 Vedi Appendice VV del sito www.ischiainsula.eu

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In merito dal sito http://sit.provincia.napoli.it si apprende che: … Il cenobio di Santa Margherita Vecchia fu costruito a partire dall’VIII secolo sull’omonimo promontorio in posizione elevata. Ma purtroppo ben presto questa posizione si rivelò infelice, perché i frati erano troppo distanti dalla cittadella fortificata della Terra e quindi soggetti alle incursioni saracene. Nel XVI secolo il convento risulta trasferito all’ordine domenicano, che riesce ad ottenere nel 1585 dal cardinale Innico D’ Avalos i terreni necessari per una chiesa più vicina a Terra casata, intitolata Santa Margherita Nuova…. Conclusioni Quanto ora annotato costituisce una sorta di promemoria per future indagini, con un qualche supporto documentario. Non si può alla luce di quanto appreso collocare cronologicamente in modo esatto la carta, ma la presenza dell’acquedotto, quella del convento di Procida nella zona del promontorio di S. Caterina; le dimensioni della salina di Citara, portano a collocarla prima, sia pur non di molto, del documento del Cartaro, e probabilmente prima del 1557, comunque in piena prima metà del XVI secolo, e non nel secolo precedente come generalmente si ritiene: quindi con ogni probabilità non aragonese. La mancanza di elementi sull’edificio dedicato a S. Pancrazio, impedisce un eventuale collegamento fra le sole due costruzioni religiose presenti in questo documento. Infine, circa la conoscenza recente di questo importante documento si devono tenere presenti varie fasi: - fino al 1984, data di pubblicazione della prima edizione dell’opera di D. Buchner sulle carte geografiche, la mappa in questione non era nota, almeno in campo nazionale; - nel 1985, secondo dichiarazione di Vladimiro Valerio, lo stesso ritrova la carta presso l’ASNA; 20 Il cognome di questo religioso è variamente riportato, trovandosi: Angelo, de Angelo, Angeli, de Angelis. 21 Si trova anche in Memorie degli scrittori del Regno di Napoli di E. d'Afflitto , tomo I, 1782, p.359 che la data esatta della morte è il 18 settembre 1584, specificando che morì di morte repentina. 22 Il prof. Agostino Di Lustro, considerando che un agostiniano, fra’ Cosmo da Verona, nel secolo XVII redasse una carta di Ischia, mostrandovi le sedi del suo ordine, avanza, a solo livello di ipotesi, che possa essere stato lo stesso frate domenicano l’autore della pergamena, o persona da lui incaricata, o religioso legato al monastero (Buchner D. N. - Ischia nelle carte geografiche del cinquecento e seicento- Lacco Ameno, 2000 Imagaenaria Edizioni Ischia, lug. 2000.


- del lavoro di Dora Niola Buchner sulle carte geografiche di Ischia nel ‘500 e ‘600 sono note due edizioni: la prima del 1984 (Bologna, Li Causi), la seconda del 2000 (Lacco Ameno, Imagaenaria); lo strano è che Vladimiro Valerio nella sua presentazione della seconda edizione del 2000, datandola Napoli, giugno 2000, scrivesse23: …L’isola d’Ischia è uno dei pochi territori per il quale possiamo disporre di un’antica e storicamente stratificata serie cartografica. La pianta realizzata da Mario Cartaro nel 1586 per il volume di Giulio Iasolino sui bagni termali dell’isola si pone immediatamente all’attenzione del mondo cartografico contemporaneo. Fino a quella data, l’isola era comparsa solo sporadicamente ed in dimensioni estremamente ridotte in opere geografiche; una sua immagine non era mai stata inserita nemmeno negli Isolari, opere principalmente destinate alla descrizione delle isole del Mediterraneo, ed in seguito ampliati alle isole del nuovo mondo e dell’Asia…. 23 Si noti che, salvo per la data e per la mancanza dell’elenco delle tavole, la presentazione del 2000 è perfettamente uguale a quella dell’edizione precedente, ed ovviamente dello stesso Valerio: ringrazio il prof. Agostino Di Lustro, per questa informazione.

1480

Data

Alla luce di quanto sopra, appare che questo autore ponga come prima data quella del 1586, né pare potesse fare diversamente nel presentare allora un’opera dedicata esclusivamente all’isola di Ischia, ma se ben 15 anni prima egli aveva ritrovato la pergamena, detta aragonese, perché non farne menzione? Si possono formulare almeno due ipotesi: la prima, è che Vladimiro Valerio volesse riservarsi di presentare in futuro la sua scoperta; la seconda è che non ne volesse comunque far menzione, o che se ne fosse dimenticato, cosa che appare però meno probabile. Il suo recente interesse, col citato seminario del PRIN, potrebbe motivarsi con la recente pubblicazione di alcuni lavori che ne parlano, e la pubblicano, sia pur in immagini di dimensioni ridotte ed in bianco e nero24. Per fare un sia pur provvisorio punto della situazione, si tabellano gli elementi noti: 24 La riproduzione digitale a colori presentata in questi appunti è la sola fino ad oggi eseguita nel laboratorio fotografico dell’ASNA, che custodisce in merito solo alcune diapositive scattate precedentemente: le immagini mostrate nei lavori citati sono quindi state eseguite direttamente dagli autori dei testi che le contengono..

Elementi sulla pergamena con Ischia, Procida, S. Stefano Autore

sconosciuto

Fonte

Jacazzi D., La memoria e l'immagine..., op. cit.

Datazione pergamena

Le carte geograf. op. cit. Prima edizione

Nessuna menzione

SNSP coll. II Stanza 01.E.11 (9; Capasso 05. BB.13 Nessuna menzione

1° giugno 1767

F. Galiani

1984

D. N. Buchner

1896

A. Blessich

1897

A. Blessich

La geografia alla corte ar... op. cit.

1985

V. Valerio

Paesaggio antico... op. cit.

1991

F. Brancaccio

2000

D. N. Buchner

Geografia, cartografia... op. cit.

2008

D. Jacazzi

2013

V. Valerio, F. La Greca

2007

D. Jacazzi

Note

Arhivio Storico Ital. op. cit. pp. 369-371

Lettera a Tanucci

L'abate Galiani... op. cit.

BNN coll. Misc. Busta B 0353 (4Nessuna menzione

Le carte geograf. op. cit.

La memoria e l'immagine..., op. cit. vol. I pp.89-98 e Tav. VIII-1

Scoperta pergamena all'ASNA SNSP coll. NFC00400(7 Nessuna menzione Nessuna menzione

Il territorio campano... op. cit. pp. 87-98 Seminario PRIN

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Sulla data del 1480, la sola cosa che si riesce ad apprendere è che il Buonincontri dette in questa data, nel suo Tabulæ Astronomicæ, latitudine e longitudine di Napoli. Altra data che è emersa è quella del 1492, per un rinvenimento a Roma da parte del Pontano di materiale cartografico servito come base alle carte in questione. I nominativi dei cartografi, possibili autori della/e pergamena/e indicati in letteratura sono: Giovanni Gioviano Pontano, il Galateo (al secolo Leandro Alberti), Gabriele Altilio, Lorenzo Bonincontri; altri nomi sono M. Manilio Plantedio, Camillo Leonardi: ci sarebbe veramente tanto su cui indagare se questa pista si consolidasse. Su Bonincontri e Alberti si trova che fossero i maggiori cartografi dell’epoca. Da Brancaccio25: ... principali geografi del tempo: il Bonincontri ed il Galateo. Dei due, il Bonincontri, che forse risentì l’influenza del Toscanelli e che ricoprì la cattedra di astronomia nello Studio, riattivato nel 1465 e divenuti, con la creazione di cattedre di materie umanistiche, il principale centro di formazione della “intellighentia” regnicola, diede largo impulso, con la diffusione dello Astronomicon di Manilio, alla indagine dela geografia fisica, e per primo, ricorrendo ad osservazioni geodetiche, riuscì a rilevare la latitudine e la longitudine di Napoli, come si apprende dalle Tabulae astronomicae, composte nel 1480 in collaborazione con Camillo Leonardi.... In conclusione di questi appunti, Allegati a parte, si deve inoltre riflettere sulla precedente collocazione di questa carta nell’Archivio farnesiano dell’ASNA, posizione che pone molti altri interrogativi, che si è appena tentato di chiarire, ma che richiede una specifica indagine, per ora rimandata. Le ricerche che si sono effettuate, per cercare di seguire il tanto materiale che gli aragonesi riuscirono a portare con sé, lasciando il Regno ed Ischia, cercandovi tracce di eventuale materiale cartografico, sono oggetto di un lavoro separato che si spera di poter portare nei tempi necessari alla comune attenzione. Allegato A

Lettera del Galiani (1 giugno 1767) Dato il particolare interesse, si riporta l’intera lettera del Galiani,26 nella quale la parte riguardante le carte è 25 Brancaccio G., Geografia, cartografia e storia del Mezzogiorno, Napoli, Guida ed., 1990. SNSP coll. nf C00400, BNN 1992 D0026. La copia presso BNN, di titolo leggermente diverso (“Fra descrizione e raffigurazione grafica: il Mezzogiorno d’Italia nella geografia storica”), è un ciclostilato da dattiloscritto, eseguito a cura dell’autore: per le citazioni ci si riferirà a quella consultata presso la SNSP, pag. 118. 26 “Archivio Storico Italiano”, Firenze, presso G. P. Vieusseux, anno 1878 tomo II, 1878. File pdf dal sito www.archive.org

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quella contenuta nel terzo paragrafo; la nota che precisa il significato di un appellativo napoletano che il Galiani affibbia al Tanucci è con ogni probabilità dell’autore che la presenta. Eccellenza, Nello scorso martedì stando il conte di Cantillana27 a Marli prese un pretesto d’andare dal duca di Choiseul28 che teneva qui la conferenza co’ ministri esteri, e dal discorso tenuto con lui conobbi non essermi punto ingannato in tutto quello che la sera avanti avevo scritto a V.E. Trovai in primo luogo il duca poco istruito dell’affare, e che lo riguardava come minuzia. Giocosamente adunque ne parlammo, ed io mi contenni a cose generali. Gli dissi che a Napoli era un regno nuovo che si stava fabbricando: che il mastro da cocchiara Tanucci ogni giorno metteva qualche pietra che fondasse i dritti de’ Re, o la sicurezza de’ cittadini, o la regola, o l’ordine, o la solidità, o il decorum. Che tali erano queste che si stabilivano ad imitazione degli altri regni più ordinati su’ Consoli esteri. Choiseul mi rispose con qualche amenità filosofica che ha in tutti i suoi discorsi: fate quello che volete, ma facciasi agli Inglesi quello che fate ai Francesi, e non ci lagneremo; poi mi soggiunse queste formali parole: “Che volete ch’io vi dica, oggi la nostra picca è cogli Inglesi. A dir il vero forse è eccessiva, forse anche è superflua, forse è umiliante. In altri tempi non ci saremmo tanto piccati, nè guardato così per minuto quel che ad altri facevasi: ma sia maggior oculatezza che si voglia oggi avere sugl’interessi del commercio francese, sia picca nascente della guerra svantaggiosa fatta, certo è che questo è in ora il nostro debole; non vogliamo cedere punto agli Inglesi”: poi si volse a me ridendo e mi disse vous direz que nous faisons comme le gueux, qui plus il ont de l’orgueil. Ho voluto trascrivere per minuto il discorso, che può indicare a V.E. la maniera di pensare del duca, e quella grandezza d’animo sempre superiore alla fortuna, ed alla bassa politica che traspare in ogni suo detto. Poi mi disse, che in Francia i consoli mandavano le patenti al ministero, e che quando questo le accettava poi si mandavano ad enteriner ai parlamenti. Per imitar ciò in Napoli pare che dovrebbero i Consoli esteri rimetter in mano di V.E. le loro patenti, e dalla sua Segreteria notificarsi alla camera reale che vuole il re che si dia l’exequatur e l’istesso co’ Viceconsoli. Ma qualunque metodo s’introduca, quando sia universale, qui non si farà gran difficoltà. Si sa che ogni paese ha gli usi proprii. In Francia parla prima il Re, poi il parlamento, che è cosa grossa; da noi pare che sia a rovescio. Quidquid sit non vorrei che V.E. si lasciasse scappar tanti breviarj da mano, e s’impigliasse la cosa, che non può far difficoltà. Il Duca ha capito benissimo che è vantaggio degli stessi (pagg. 369-371). Solo in lettura online o in formato txt. 27 Cantillana: il marchese di Cantillana era ambasciatore del regno di Napoli in Francia. 28 Choiseul: il conte Choiseul era ministro [francese] delle relazioni esteriori.


Consoli che l’exequatur delle loro patenti sia dato con qualche solennità di formalità. I dispacci non si riguardano in Francia come il linguaggio solenne, patente, e irrevocabile de’ Re. Choiseul avea poca voglia di parlar di questa bazzecola del Console e gli premeva ch’io gli dicessi qualche cosa de’ gesuiti in Napoli, ma ne parlò con premura, con peso, con valore, dicendogli io che nulla ne sapevo, e che credevo che nulla si facesse, mi disse replicatamente due e tre volte mais souvenez vous qu’ils sont le ennemis de la maison de Bourbon, parole, che mi pare che pesino assai. Per altro la via presa in Napoli mi pare bellissima, dolcissima, efficacissima se si sta fermi a sostenerla. Basti fargli pagare i loro debiti. La loro ricchezza era come la loro santità larva, menzogna, apparenza. Qui in Francia hanno lasciati quattordici milioni di debiti de’ quali soli quattro o cinque si sono potuti pagare col sequestrato. Io sono sicuro, che se in Napoli si obbligano a pagar i debiti, falliranno tutti. Faccia adunque V.E. una giunta di ministri che liquidino i debiti, gli averi, i pesi forzosi, le fondazioni, e vedrà che non resta nulla, anzi non ci sarà capienza per tutti i creditori. Merita d’essere scritta a V.E. la causa che mi fece andar martedì da Choiseul. Sono i famosi papiri de’ quali ho già parlato in altre mie. Stavano questi nel dépôt de la guerre un luogo sacro, adito impenetrabile. Una specie di miracolo me ne fece aver la notizia: ne domandai comunicazione al duca. Non è grazia questa che si soglia accordare. È il dépôt delle carte geografiche, una specie di santuffizio qui, e con più ragione di quello di Roma, ma il duca con infinita gentilezza mi rispose, che tutto il dépôt era a’ miei ordini, e che non ci erano segreti per la famiglia. Dette gli ordini, ma gli ordini non bastarono, perchè il custode s’imbrogliò a trovar queste pergamene che io pur sapeva che ci erano, ma che egli aveva sempre ignorato d’avere. Bisognava adunque rinforzar l’impegno. Aggiunsi la duchessa al duca col mezzo dell’amico Gatti, che sta con lei a Chanteloup. La duchessa fece pulito. Impegnò il custode ad una fatuosissima ricerca in tutto quell’immenso deposito di carte. Sinora se ne sono disotterrate dieci, ma ne spero altre. Alla finezza di farle trovare il duca ha aggiunto quella di mandarmi gli originali fino a casa, e di farmi anche comunicare una bellissima carta d’Ischia che era la sola cosa buona, che nel nostro regno ivi fosse. La duchessa voleva anche farmi risparmiar tutta la spesa della copiatura, ma non si è potuto, perchè l’incontro delle pergamene si è trovato così obliterate che que’ giovani disegnatori non si sono fidati, ho dovuto farle copiar sotto gli occhi miei, ed ho speso un luigi a carta, che non è caro. Ma la signora duchessa in mezzo al beneficio mi ha fatto un dolce rimprovero per un servizio, che crede io abbia mancato di rendergli stando in Napoli, ciò è di far continuare a dare all’abate Bartelemy suo confidentissimo amico i volumi d’Ercolano. mando a V.E. l’originale lettera scrittami dall’amico Gatti su di ciò. Io con un petto apostolico ho digià rispo-

sto all’abbate e alla duchessa, che quando io stava in Napoli avevo cominciato a parlare a V.E. di queste istanze del Bartelemy, e che V.R. mi era parso ben disposto, ma che in quel frattempo venne una di quelle tante diavolerie dell’inficetur Durefort, che mise V.E. di tanto malumore, e con ragione, che io non ebbi più cuore di parlarle di grazia per Franzesi, mentre il prototipo Franzese di Napoli tirava calci all’impazzata a chi coglie coglie. Ora io non dico altro, ma sia sicuro V.E. che continuandosi a dar gli Ercolani a Bartelemy farà grandissimo piacere alla duchessa. Mi rallegro di V.E. Appio oculato. Per non incappar nell’epiteto del vecchio Appio, bisogna che ella si guardi egualmente dagli ingegnieri camerali, e da’ militari. Io non voglio mancar alla cosa pubblica per quanto un parigino può concorrere alla via Appia, coll’indicarle un onesto uomo ingegniere, ed abile, e pratichissimo appunto di questo negozio. Chiamasi Domenico Spina. Certi signori Fiorentini non goffi l’hanno preso per loro agente in alcuni fedi Campani. Credo che sotto questa figura V.E. lo conosco. Dell’onestà sua potrà far fede il commissario di Campagna, dell’abilità è valevole quella di mio fratello, e mia. Io gli debbo una bellissima carta appunto di tutta questa strada che si ha da fare, che ha molto servito a perfezionar la mia, oltre a varie altre misure geografiche, che gli ho fatte prendere. Parigi, 1 giugno 1767 Il carteggio del Galiani col Tanucci data dal 1759 al 1769, esso è custodito all’ASNA29 Nel citato testo di Valerio e La Greca si menzionano lettere in data 6 aprile, 18 maggio, 1 giugno, 4 ottobre nel 1767; 18 aprile 1768; 13 marzo 1769; sul complesso delle carte rivenute dal Galiani pp. 17, 18, 24, 25 dello stesso testo. Alcuni brani della lettera del 6 aprile 1767 sono stati riprodotti in Jacazzi30, e qui di seguito trascritti: ... Ho trovato un tesoro. In un luogo se­greto di qui trovansi non pochi avanzi delle carte geografiche, che, per quanto io possa congetturare, i nostri antichi re fecero fare del Regno di Napoli, e verosimilmente furono portate qui da Carlo VIII. Io ne ho viste solo tre o quattro, ma mi dicono esservene una ventina, benché molti pezzi del Regno manchino ....Sono un monumento veramente curioso e uti­le. Sono sopra pergamena scritta con carattere quasi longobardo. Vi si vedono luoghi che oggi non esistono, e mancano altri fondati dopo.... Tenuto presente che Carlo VIII fu a Napoli il 22 febbraio 1494, e che fino a quasi tutto il 1495 fu nel napoletano, anche se strascichi e combattimenti nel regno du29 In “Archivio Storico Italiano”. Firenze, Deputazione di Storia Patria per la Toscana, si trovano alcune lettere, in: Bazzoni A. “Carteggio dell’abate Ferdinando Galiani col marchese Tanucci”, n° 54, a, s.III, II, 2 (1869) da p.10; n°55, a.X, s.III, I, 3, da p.40. 30 Jacazzi D., La memoria…, op. cit. pag. 90.

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rarono fino al 1496, se si accettasse l’ipotesi che le carte aragonesi furono da lui portate in Francia, esse dovrebbero datare a prima del 1494.

Allegato B Cenni su studi delle carte aragonesi nel secolo XIX Si possono trovare sicuramente già in questo secolo alcuni riferimenti bibliografici: Colangelo31; Blessich32 e 33 . Nel primo, alle pp. 285-286, si trovano indicazioni delle quattro carte, con l’ipotesi che fosse stato Carlo VIII a portarle a Parigi, anche se l’A. le colloca erroneamente nelle Regia Biblioteca, e non nel Deposito della Guerra. Colangelo p.285-286: IX. Vera, et integra limit. Regni Neapolitani Mappa Topo. Ferdinandi Regis jussu mensurata… studio et opera Joan. Jov. Pontani. In fol. Atlantico. Del secolo XVIII. Sono quattro carte geografiche, che contengono la confinazione del Regno di Napoli collo stato Romano, e nell’ultima carta è il titolo enunciato e nella fine della medesima leggesi ancora: Et così finisce la decriptione delli confini del Regno di Napoli contenuta in quattro tabule topografiche. Queste carte furono scoverte nella Biblioteca Regia di Francia dall’Abate D. Ferdinando Galiani, che n’estrasse una co­pia, e quindi fattesi incidere, non se ne tirarono, che pochissime copie. E facile indovinare come tali carte si siano trovate in Francia. Le medesime si dovevano conservare nella Biblioteca de’ nostri sovrani Aragonesi, donde da Carlo VIII, furono prese, e trasportate in Francia con moltissimi altri codici, e pregiatissimi monumenti. L’esemplare, che noi conserviamo ci fu dato in dono dal nostro amico D. Francesco Daniele, il quale sebbene da più anni abbia terminato il suo terreno corso di vita, ci ha la­sciato però una grata memoria di lui per la sua dottrina, e multiplice erudizione non meno, che per essere stato lo specchio di ogni virtù. Dalla lettura pare di poter concludere che non si tratti però della carte con la pergamena di Ischia, che è all’ASNA in originale e non in copia, e della quale non sono note riproduzioni a stampa. Gli altri due lavori, nulla aggiungono in chiave di approfondimento di un viaggio che da Parigi potrebbe aver portato a Napoli la pergamena con Ischia.

������������������ Colangelo F. – Vita di Gioviano Pontano, Napoli, dalla tipografia di Angelo Trani, (1826). File pdf in google books. 32 Blessich A. - L’ abate Galiani geografo: contributo alla storia della geografia moderna, Napoli, 1896 Trani: Tip. V. Vecchi e C.), 1896 - Già pubbl. in: Napoli nobilissima, vol. 5., fasc. 10. BNN coll. misc. busta B 0353 (4 - v. pp. 145-150. 33 Blessich A.- La geografia alla corte aragonese in Napoli : notizie e appunti, Roma, Ermanno Loescher & C, (1897). SNSP coll. II stanza 01.E. 11

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Particolare delle isole di Procida e Vivara. Cerchiato un edificio religioso alle spalle della Chiaolella.

Nota sul Monastero di S. Margherita in Procida Un elemento per una datazione indiretta della pergamena potrebbe essere, come detto, quello basato sulla presenza di un edificio religioso nella zona del promontorio di S. Margherita nella parte meridionale dell’isola di Procida. A questo riguardo si legge in Mazzucchelli G. M.34: .... Angelo (Bartolommeo d’) Napolitano, dell’Ordine de’ predicatori, fiorì dopo la metà del secolo decimosesto. Fu figliuolo del Convento di S.Domenico di Napoli, Baccelliere di Sacra Teologia, Fondatore dei Conventi di Caivano e di Santa Margherita di Procida, e morì nel 1584, come consta dalle Scritture dell’Archivio del Convento di S. Domenico di Napoli riferite dal P. Teodoro Valle35, il quale tuttavia, sapendo altronde che del detto convento di Procida si tiene per fondatore anche il P. Ambrogio Salvio di Bagnouli Vescovo di Nardò, è d’opinione che o opera d’amendue sia stato fondato, o che l’uno sia il Fondatore, e l’altro l’Ampliatore...36 e, pertanto, tenuto conto delle date di morte dei due, comunque si consideri il Salvio, il tutto collocherebbe la istituzione del convento di S. Margherita vecchia entro il 1557. Una più completa lettura della situazione si trova in Echard J.37: …F. Bartholomeus ab Angelo 34 Mazzucchelli G. M. - Gli scrittori italiani cioè notizie, e critiche intorno alle vite, e agli scritti dei letterati italiani, Brescia, presso Giambattista Bossini, vol. I parte 2a, (1763), p. 269. File pdf da google books. 35 Il padre Teodoro Valle da Piperno, è un domenicano. 36 Ambrogio Salvio (1491-1557) di Bagnoli Irpino, fu domenicano, filosofo, teologo e vescovo. Fu confessore personale dell’imperatore Carlo V. Ampliò la Chiesa di San Domenico e vi istituì un educandato. I suoi resti si trovano nella Chiesa di Santo Spirito a Napoli. 37 Echard J., Scriptores ordinis prædicatorum, Parigi, Lutetiaæ Parisiorum, tomo II, 1721, p. 269. File pdf da google books.


1584 F. Bartholomeus ab Angelo sicuius Parthenopeus, in patria S.Dominici ordinem amplexatus, sacræ theologiæ baccalaureus, vir fuit pietate, religione & doctrina commendatus, de quo teste Vallio p. 242 hæc in archivio dictæ domus habetur memoria MS: F.Bartholomeus de Angelis Neapolitanus sacra theologia baccalaureus filius S. Dominici, fundator conventuum Caivani & Prochita, vir eruditione merito venerandus, multas opera edidit. Migravit a seculo anno MDLXXXIV. Censet idem Vallius ita Prochitensis domus dici fundatorem, quod ejus erectioni, una cum Ambrosio Salvio de Bagnuoli ord. Prædic. Episcopo Neritonensis, operam suam contulerit.... Il Vallio di cui si parla è lo stesso padre Théodore Valle, autore di un testo38 nel quale si legge: Del Fra Bartolomeo de Angelis Napolitano, e del P. Fra Benedetto Nicotera di Marigliano Il P. Frà Bartolomeo de Angelis Napolitano, religioso dell’Ordine di Predicatori della provincia del Regno, Baccelliere di sacra Teologia, e diligente indagatore dell’antichità. Fu Padre essercitato nelle scienze, e molto studioso.....Di lui fa mentione il Piò, & il Gozzeo di Ragusa, dicendo Frater Bartholomeus de Angelis Neapolitanus, Sacræ Theologiæ Baccalaureus Provintiæ Regni, Pater amabilis; discretus, prudens, devotus, ac humilis. Scripsit.... Trà le scritture del Archivio del regale Convento di San Domenico di Napoli, ritrovo scritto di questo buon Padre, che fusse figlio di detto Convento, e che fusse fondatore de i Conventi di Caivano, e di s. Margherita diProcida. E perchè hò anche ritrovato, che il P. F. Ambrogio Salvio di Bagnuoli, Vescovo di Nardò, sia anch’egli fondatore di questo Convento, bisogna dire, ò che per opra d’ambidue fusse stato fondato, ò che uno di loro sia il fondatore, e l’altro ampliatore, che ben spesso accade, ch’anco gli ampliatori sortiscono il nome di fondatori, come credo sortisca il sudetto Frà Bartolomeo de Angelis, come nelle scritture sopr’accennate si ritrova, e dicono così. Frater Bartholomæus dè Angelis Neapolitanus, Sacræ Theologiæ Baccalaureus, filius Sancti Dominici. Fundator Conventuum Caivani, & Prochitæ, vir eruditione, & merito venerandus, multa opera edidit. Migravit à Sæculo anno 1584.

- l’edificio sulla collinetta di S. Margherita in Procida; - il tempietto39 di San Pancrazio, in Ischia, col suo nome (Sto Pãcratio), posto sull’omonimo promontorio. Si deve inoltre notare che, mentre per il solo cenobio di Procida la notazione grafica adottata sia sormontata da una croce, per quello di S. Pancrazio essa sia comune a quella di casali notoriamente più rilevanti, come p.es. Testaccio, Campagnano, Barano, Fontana, limitandosi a quelli della zona. Sulla datazione del secondo nulla può aggiungere il Di Lustro: :…quando sia stata fondata non sappiamo perché mancano riferimenti documentari…40 ora, però, possiamo dire che mentre la mappa del Cartaro lo documentava come esistente nel 1586, la mappa in esame lo retrodaterebbe al 1557, anno della morte del vescovo di Nardò. La storia dell’edificio religioso procidano, che si trova anche indicato come sede di un cenobio, non sembra però essere così limitata nel tempo, in quanto lo si trova presente sin dall’8° secolo, e passato dai benedettini ai domenicani, trasferito nella sede di S. Margherita Nuova, più sicura in quanto vicina alla Terra Murata dell’isola: trasferimento datato al 1585 per concessione dei terreni da parte del cardinale Innico d’Avalos. Sembra quindi che il domenicano Bartolomeo d’Angelo o de ANGELIS, rilevasse dai benedettini il cenobio, ma che alla sua repentina morte, avvenuta il 18 settembre 1584, i religiosi del suo ordine si siano dati da fare per abbandonare l’insicura posizione, a meno che egli stesso ne avesse promosso il trasferimento. Si annoti, per una ulteriore riflessione, che i due edifici di S. Pancrazio, ad Ischia, e di S. Margherita Vecchia, a Procida, erano probabilmente l’uno in vista dell’altro, e distanti in linea d’aria 6 700 m circa.

Vincenzo Belli 39 Nonostante non si sappia di che tipo di edificio si tratti, occorre ricordare che nella mappa del Cartaro esso compaia con la scritta: T.Sti Pancratyi. 40 Di Lustro A., Fonti archivistiche per la storia dell'isola d'Ischia: I luoghi sacri del territorio di Testaccio, La Rassegna d'Ischia n. 3/2013 pp. 42-45.

Si ricordi che si è pervenuti a quanto sopra considerando che l’elemento singolare di questa carta delle tre isole, più Vivara, è che mentre i casali vengono rappresentati di maniera, con un gruppo di edifici sormontati da un campanile, vi compaiano due soli edifici religiosi specificamente indicati : 38 Valle T., Breve compendio de gli più illustri padri nella santità della vita, dignità, uffici, e lettere ch’hà prodotto la Prov. del regno di Nap. dell’ord. de predic., Napoli, per Secondino Roncagliolo, 1651, pp. 242-243. File pdf da google books

La Rassegna d’Ischia n. 4/2013

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Lacco Ameno - Piazza Rosario Dicembre 1881 – Febbraio 1883

di Giovanni Castagna

Agli inizi del mese di dicembre 1881 dalla piccola banchina della Marina di Lacco Ameno, lungo via Rosario fino alla piazza omonima del Lacco di sopra e proprio davanti alla chiesa che, oggi ancora, dà il nome alla piazza e alla strada, chiesa molto lesionata dal terremoto del 4 marzo, iniziò un continuo andirivieni d’uomini, di donne e di carrette, tra grida, richiami e ragli d’asini. «Somattieri» di Lacco: Vincenzo Cucuruzzo, Francesco Ballirano, Francesco Antonio Calise e due «bracciali» forestieri (Stefano di Meglio e Giovanni Giovatore) trasportavano i «pesi» di calce che Luigi Scelzo inviava da Castellammare, nonché quelli prelevati da Cristoforo Monti a Casamicciola. Quasi contemporaneamente Brigida Patalano, Rosa Petrucci, Francesca e Giustina Calise, Carmela Galano, Catuogno Egiziaca, Iacono Giustina, Celeste Piro, Brigida de Martino e Olimpia Pascale trasportavano acqua per lo spegnimento della calce. Da quel giorno (4 dicembre) fu tutto un fervore di opere sotto lo sguardo attento dei membri della commissione, intenti a controllare il materiale che a mano a mano arrivava (1). 1) La commissione che controllava i lavori e ogni settimana inviava la nota delle spese al Vescovo d’Ischia ed al Comune era composta dal sindaco Gaetano Monti, presidente, don Abramo de Siano, l’insegnante Raffaele Taliercio e il venditore di lavori in paglia, Giuseppe Piro. La commissione, eletta il 15 ottobre 1881, con De Siano Scipione funzionante da Sindaco, era, tuttavia, composta da Abramo de Siano fu Ambrogio, Pascale Tobia fu Giuseppe, Nesbitt Luigi fu Nataniele, Taliercio Raffaele di Michele, Piro Giuseppe fu Pietro, Monti Raffaele di Sebastiano ed essa aveva la facoltà di indirizzare domande

16 La Rassegna d’Ischia n. 4/2013

Le coffe e il crivello per lo stucco comprati a Napoli, le sei «secchie» portate dal bottaio Giuseppe Regine di Forio, sposatosi e domiciliato a Lacco Ameno, le zeppe del falegname Francesco Raia di Portici, ma domiciliato anch’egli a Lacco Ameno, quelle di quercia del falegname Antonio Mattera, zeppe preparate con legname offerto da Giovanni Climaco. Ciò che colpisce in quest’opera di riparazione della chiesa del SS.mo Rosario è l’intervento corale di quasi tutti gli abitanti di Lacco Ameno e, soprattutto, quelli del Lacco di sopra (piazza Rosario, Casamonte, Casapera, via Ballano) che offrivano del materiale: legname, pietre, mattoni, spalatroni… mentre ben 35 persone, fra donne e uomini, non avendo altro, offrivano giorni di lavoro gratis con il compenso di un solo pane (‘a pagnotta), comprato alla Marina da Maria Angelica de Filippo che forniva anche olio e sarde. Da Gennaro Asprea ci si forniva di chiodi, di puntine e di piombo, mentre per la polvere di marmo, il rosso di Spagna, il giallo di Siena, il nero bragia e il rosso bruciato bisognava recarsi a Casamicciola da Giuseppe Senese. Coloro che offrivano del materiale occorrente alla fabbrica non erano soltanto di Lacco Ameno, come Catuogno Vincenzo Antonio fu Gaetano che donò tutto il lapillo e la pozzolana «occorsi tanto per la chiesa del Rosario quanto per quella di Sant’Anna»; Michele Pisani, il corriere detto Pappone, che offrì per un mese, dall’8 maggio all’8 giugno 1882, alloggio gratuito ai due maestri stuccatori: Pietro Sonnino e Nocerino Agostino di Pozzuoli (2); Ca-

lise Giampietro un legname, Diego Buonocore 20 legnami, Domenico Castagna un legname e pietre, ma anche forestieri come i coniugi Balsamo di Casamicciola «che offrirono una buona porzione dei vetri blu per il finestrone»; il vetraio Achille Casularo che prestò «gratis l’opera sua nel fare il finestrone a vetri colorati» con la promessa di farne un altro a sue spese per la cupola; il Sig. Michele Circelli, negoziante di generi di ottone di Napoli che aumentò da uno a quattro i doppieri posti nelle pareti interne della chiesa, donando anche due doppieri di ottone da situarsi ai lati del gran quadro della Madonna oltre a 2 candelieri piccoli e una bugia. Mentre i lavori proseguivano non pochi erano i curiosi, soprattutto ragazzi che, per lo più seguivano la carretta di Francesco Antonio Monti e l’asino di suo figlio Domenico, che trasportavano lapilli e pozzolana, calce dalla banchina della Marina, pietre da Casamonte, da San Montano e da Monte di Vico, 1220 mattoni scelti da Casamicciola, di cui 720 di prima qualità, pietre pomice dalle cave di Fiaiano per la volta della cupola, quadroni e quadronelli, comprati a Napoli da Maria de Luise… Il parroco don Carlo Monti, ogni mattina, dal balcone al primo piano del suo palazzo (3), sembrava sorvegliasse gli operai che giungevano ancora mezzo assonnati, scambiandosi appena qualche parola, prima di entrare nella chiesa o salire sul tetto, mentre altri si apostrofavano urtandosi sulla soglia del negozio «Sale e Tabacchi» di Cristoforo Pascale, situato a pianterreno dello stesso palazzo.

alle autorità civili ed ecclesiastiche nonché a famiglie agiate dalle quali si poteva «certo sperare un soccorso, un obolo». 2) In seguito dal 10 giugno al 9 settembre,

furono alloggiati nella casa di Caterina Castaldi, vedova Monti. 3) L’attuale palazzo Manzi


Nel corso dei mesi e a seconda dell’avanzamento dei lavori, ogni mattina arrivavano «mastri» muratori: Antonio e Francesco Taliercio, De Angelis Angelo, Maetti Carmine, De Dominicis Domenico e Pasquale Amato di Napoli per l’asfalto, i manovali Gennaro di Costanzo e «mastro Peppe» di Napoli; i «mastri» falegnami: Francesco e Gennaro Raia per l’accomodo del finestrone della cupola e di quelli dei muri laterali, Leonardo Monti, Patalano Francesco e il giovane apprendista-falegname Ernesto de Causio; mastro Alfonso il fabbro ferraro; i vetrari Achille Casularo di Procida domiciliato a Lacco Ameno, per il finestrone a vetri colorati, e Savino Alfonso di Napoli «per mettere in opera 80 vetri ai finestroni della cupola e ai due laterali della Chiesa»; il pittore Michele Vittogré per dipingere «a marmo i quattro altari della chiesa» (gli altari di stucco delle quattro cappelle) ed il pittore Carlo Mastropietro; un marmorario di Napoli «per accomodo all’altare maggiore del danno causato dal terremoto»; Giovanni Antonio Galasso per aggiustare l’organo deteriorato della chiesa … Di tanto in tanto venivano i corrieri Nunzio Patalano e Michele Pisani, come anche Vincenzo Cacciutto portando «scope e scopilli», sempre nel continuo andirivieni di donne per il trasporto dell’acqua. I lavori proseguivano a ritmo intenso, a volte si lavorava anche di notte al lume di lampade ad olio. Ci furono due interruzioni: il 4 marzo (4) e il 15 agosto festa dell’Assunta. E tutto fu pronto per il 4 febbraio 1883, giorno della riapertura della chiesa e delle Sante Quarantore. Per l’occasione si fittarono dal signor Cacace di Napoli 15 lampadari grandi e 26 piccoli, e Pappone, 4) «Ricorrendo l’anniversario del 4 marzo 1881 si sono sospesi i lavori della fabbrica e della Chiesa perché tutti potessero prendere parte alla processione di penitenza e a tutte le altre funzioni proprie del giorno».

Lacco Ameno - Due immagini della Chiesa del Rosario dopo il terremoto del 28 luglio 1883

il corriere, riuscì a noleggiare paranzelle e barchette per il trasporto delle cento undici sedie, comprate a Napoli. Da Casamicciola giunsero in carrozzella «l’Eminentissimo Mons. Carlo Mennella e il Reverendissimo D. Di Martino». La festa, nonostante qualche scoppio di mortaretti e qualche altra manifestazione esterna, fu un fervente tripudio di fede, un gaudio intimo e tutti provarono un certo orgoglio nel veder riaperto il loro tempio e non

nascosero le lacrime mentre onde musicali zampillavano dall’organo, anch’esso restaurato, risuonavano sotto la volta e fuggivano attraverso la porta aperta, irrorando nella notte la risacca e l’odore dei pini e dei castagni. Alle 2130 del 28 luglio dello stesso anno (1883), come per una vasta zona dell'isola, tutto tramutò in rovina per lo scoppio del più forte terremoto che Ischia ricorda.

Note complementari a) I lavori costarono Lire 4.411,97. Le note spese venivano portate al Vescovo d’Ischia. Il Comune di Lacco Ameno partecipò con Lire 500. Le Somme introitate in occasione delle feste per la riapertura della Chiesa e per le Sante Quarantore fuLa Rassegna d’Ischia n. 4/2013

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rono L. 368,12, fra le quali: Municipio di Lacco Ameno L. 10, Scipione De Siano L. 5, Don Stanislao Buonocore L. 5. Francesco Impagliazzo L. 5, Elia Castagna L. 4, offerte dei fedeli di Lacco Ameno L. 171,3 b) «Ore 13,05 del 4 marzo 1881, a Lacco 5 morti e diversi feriti tra diroccate e rese inabitate si contano 194 case. Cadde la chiesa S. Giuseppe al Fango e quella del Rosario fu seriamente lesionata». Cfr. D’Ambra Nino, Eruzioni e terremoti nell’isola d’Ischia, Centro di Ricerche Storiche d’Ambra, Forio d’Ischia, Arti Grafiche Grassi, Napoli 4 marzo 1981, p.20. Nella stessa opera d’Ambra riporta la «Relazione all’Accademia Pontaniana di Napoli del 31 agosto 1881 firmata da F. Schiavoni, S. Zin-

no e G. Guiscardo relatore, ove a pagina 99 si legge: «A Lacco Ameno la scossa è stata avvertita, dicevano, abbastanza forte. Le case danneggiate poco, la chiesa molto. Nella terza cappella* sul lato destro il crocifisso sull’altare s’è appoggiato alla tela che gli sta alle spalle senza uscire dall’incastro aperto di dietro che collega la croce alla base rimasta immobile; e un candeliere dell’altare della seconda cappella** è caduto sulla mensa come spinto nella stessa direzione della croce. La direzione della spinta sarebbe stata Est-Ovest». Precisiamo il posto delle cappelle: * cappella di S Gaetano; **Cappella S. Pietro (1876), * Cappellone S, Gaetano; ** Cappella Santa Maria di Loreto (1756)

La Chiesa nel 1765 La chiesa del Santismo Rosario è edificata in detta Università del Lacco di sopra che ha per confini dal lato di ponente li beni di Pietro Piro, da levante la Ven.le Chiesa di Santa Maria dell’Assunta della Confraternita dei Laici sotto quel titolo, dal lato di Gregale li beni della Ven.le Chiesa di Santa Maria delle Grazie della Città d’Ischia da Reverendi Padri Conventuali che si tengono censuati d’Andrea Monti quondam Lodovico; e da mezzogiorno quella publica piazza del Lacco di sopra. Quella essendo una chiesa piccola co’ tetto di tegoli, fu dalla Università predetta del Lacco diroccata ed in luogo d’essa edificata la presente che si osserva colla spesa di più migliaia di ducati. Il principio della sua redificazione si fu nel settembre 1701 ed essendose portata a stato di potervisi dentro celebrare fu sotto l’8 Giugno 1715 benedetta dall’Ill.mo e Red.mo Mons.r qm Luca Trapani allora Vescovo d’Ischia; ed a 22 ottombre 1741 consegrata dall’Ill.mo e Red.mo Mons.r Fra Nicola Antonio Schiaffinati, olim similmente Vescovo d’Ischia e dedicata sotto gli auspici gloriosissimi e di essa SS.ma Vergine del Rosario e degli incliti Martiri Santi Aurelio, Rufina, Lucina e Sabaria. La Chiesa è composta a forma di Croce con due Cappelloni laterali e quattro cappelle fondate ad una nave. Nell’altare maggiore si venera la Vergine Gloriosissima del Rosario col suo Bambino in braccio con corone d’argento in testa, con a’ piedi Santo Domenico, Santa Caterina da Siena, San Biagio e Santa Lucia, con due altri quadri nelle colonne di detto Altare maggiore; in uno la gloriosa S. Anna e nell’altro S. Vincenzo da Paoli. Nel Cappellone di mano destra la gran Madre di Dio e suo Figliolino che sposa Santa Caterina Alessandrina; e al di sotto con altro quadro più piccolo della Vergine e l’anime del Purghetorio. Nel Cappellone a man sinistra San Gaetano, e al di sotto un altro quadro più piccolo con l’effigie della Vergine Addolorata. E nelli due nicchietti a lato di quei Cappelloni, in uno a destra la statuetta di S. Domenico e nell’altro a sinistra la statuetta di S. Antonio Abbate di mezzana grandezza. Nelle due cappelle laterali che le sono alla destra nella prima attaccata alla sagrestia si venera la statua del Glorioso San Giuseppe col Bambino in braccia, ed un quadretto picciolino di sopra dell’Immacolata Concez.ne, 18 La Rassegna d’Ischia n. 4/2013

e nell’altra appresso che si è della famiglia Marona la Purificazione di Maria Vergine coll’effigie dei gloriosi San Giacomo Apostolo e San Francesco d’Assisi nelli due lati di quella cappella. Nelle altre due cappelle laterali a sinistra: nella prima all’incontro della sagrestia si esprime Santa Maria di Loreto, colli santi Apostoli Pietro e Paolo, Sant’Alberto Carmelitano e San Vito; e nell’ultima eretta sotto l’adorabile nome di Dio, della Famiglia Pascali, la SS. Trinità. Ella la Chiesa tiene avanti di sé situato il suo Campanile nel suo atrio co’ campane di peso rotoli centonovanta alta palmi tre colle figure del Crocifisso e della Vergine del Rosario comprata nel 1709 sotto il reggimine del q(uonda)m Francesco Marona Deputato e benedetta nel dì 31 Dicembre 1710 dal suddetto fu Vescovo d’Ischia D. Luca Trapani, da lui le fu posto il nome di Maria.* Tiene in cima quel Campanile il suo orologio per comodo del Publico; ed ave la chiesa due stanze per sagrestia con cisterna ed altri comodi ivi apparenti con un’altra Campana piccola per uso delle Messe.** La costruzione della chiesa del SS. Rosario, quella «piccola con tetto di tegoli» doveva risalire agli inizi del ‘600, ma la bolla di concessione di patronato all’Università del Lacco è del 1640, anno in cui l’Università operò forse dei lavori di ristrutturazione, riservandosi il diritto di patronato. Lavori che dovettero durare un po’ più di un anno come risulta dai seppellimenti. Dal 20 0ttobre 1640 fino al 10 gennaio del 1642, infatti, * Nota a margine Qui si nota come essendosi detta campana rotta nel 1771 e quella rifatta con l’aggiunta di altro bronzo è riuscita di peso cantara due e quaranta ed è stata benedetta del Revmo Padre Abbate di Sant’Agrippino di Napoli nel Reggimine dei Magci Deputati Notar Cristoforo Di Spigna e Antuono Calise. ** Cfr. Notar Cristoforo di Spigna, «Inventario della Venerabile Chiesa del SSmo Rosario del Lacco coll’Istrumento della sua consegrazione», luglio 1756.


non vi fu alcun seppellito nella chiesa del Rosario. La stessa cosa si verifica durante i lavori indicati dal notaio Cristoforo di Spigna: nessuno viene seppellito nelle sepolture della chiesa nel periodo che va dal 7 giugno 1701 all’8 gennaio 1716.

La Chiesa nel 1876

(da un inventario)

Una porta di legno massiccio pittata verde, «con corrispondente chiusura di ferro», ed una antiporta di legno anche pittata. Varcata la soglia, a destra una vasca di marmo per l’acqua santa e uno scanno di legno, pittato e fisso al muro. Proseguendo sulla destra: - la Cappella della Trinità «con un quadro di tela e cornice di legno dorata coll’effigie della SS.ma Trinita». La cappella comporta un altare di fabbrica... - subito dopo la cappella, un confessionale di pioppo, pittato. - segue la Cappella di San Pietro «con quadro di tela a cornice di legno dorata coll’effigie di detto Santo. L’altare è di fabbrica… - pulpito «di legno pittato e con cornicione dorato», fisso al muro. Vi si sale «per una scala di legno entrandosi per una bussola di legno pittato». - un confessionale «di noce a pulitura» - la Cappella San Gaetano «con quadro di tela coll’effigie di detto Santo e cornice di legno indorata». L’altare è di marmo ed ha «la custodia foderata con portina di ramocedro indorato». - l’altare maggiore di marmo pregiato, di prospetto, sotto la cupola michelangiolesca con i suoi ampi finestroni che comportano ottanta vetri colorati; - una balaustra di marmo, con due gradini di marmo e una porticina di ferro delimita il presbiterio. - al disopra dell’altare, il quadro di tela della Vergine del Rosario fra due statuette di legno, San Domenico e Sant’Antonio Abate, e due quadretti, «con corrispondenti lastre», raffiguranti il Cuore di Gesù e il Cuore di

Maria. - dietro 1’altare, un sedile di legno pittato, fisso al muro, per il coro e, ai due lati, sempre fisse al muro, due credenze di marmo. la porta della sacrestia, sulla sinistra, un campanello fisso al muro e una piccola vasca di marmo per l’acqua santa. Proseguendo sulla sinistra, a qualche metro dai gradini di marmo della balaustra: - la Cappella di Santa Caterina con «il quadro di tela e cornice di legno dorato», L’altare è di marmo con un crocifisso … - segue una nicchia movibile «di noce a pulitura» con dentro la statua di Santo Stanislao Kostka col Bambino in braccia e tre angeli di legno. - un confessionale di noce a pulitura e, a pochi metri, - la Cappella di San Giuseppe con una nicchia fissa al muro e con dentro «l’antica statua di San Giuseppe con Bambino in braccia», l’altare è di fabbrica; sulla destra dell’altare,«un quadro con lastra con l’effigie di Santa Filomena». - un confessionale di pioppo pittato - la Cappella della Purificazione. ove c’e «un quadro di tela di legno dorato» ed un pannello di seta, l’altare è di fabbrica. Ed eccoci di nuovo alla porta d’entrata sulla sinistra, ove ritroviamo uno scanno di legno, pittato, fisso al muro, ed una vasca di marmo per l’acqua santa che fanno riscontro con quelli situati a destra. La volta è «scompartita in riquadri con rosoni e festoni». Al disopra dell’entrata un palco di fabbrica su cui c’e il grande organo, fisso al muro, a «nove registri con pedali e contra-bassi» e rispettivi mantici, protetto da tendine d’un pallido verde. Dalla soglia uno sguardo d’insieme alla chiesa nella luce che piove dai due finestroni della cupola e dai sei ampi finestroni laterali con vetri colorati. I fedeli dispongono di venti scanni movibili «di legno pittato». Nella sacrestia nuova un pancone di legno «con nove tiratoi», un pie-

distallo e un crocifisso di legno. Due grandi stipi, fissi al muro e «forniti di chiusura», contenenti gli arredi. Altri tre piccoli stipi, anche fissi al muro. Al di sopra di un altarino di fabbrica, sfornito di tutto, c’è una nicchia fissa al muro con dentro la statua dell’Immacolata; ha sulla testa un diadema di dodici stelle d’argento ed è «guernita di due piccoli pendenti d’oro» e d’una medaglia con cornice d’argento. Alle pareti, nove quadri: sei con cornice e tre senza. Un tavolino di legno e quattro sedie; cinque grandi scanni, fissi al muro e due piccoli, movibili. La sacrestia prende luce da due finestre di legno «con cancellate pure di legno». In un angolo, poco discosta dall’imboccatura della cisterna, una porticina si apre su una scala che porta in uno stanzino, da cui si può passare «sopra gli astrici, dove il campanile comporta tre campane di bronzo: una circa di due quintali e mezzo, l’altra di circa un quintale e la terza di mezzo quintale». Nella sacrestia vecchia, piuttosto buia e umida, due grandi stipi. In uno si conservano: il parato di cera, un gran baldacchino di legno inargentato, due ombrelli di seta, un vecchio pallio e uno stendardo «colle rispettive aste». Nello stesso stipo si conserva anche la statua di carta del Cristo Risorto. Nell’altro stipo, la statua della Madonna del Rosario. che ha «la testa e le mani di scultura, il resto tutto di legno». La Madonna è vestita con abito e manto stellato d’oro, ha il Bambino in una mano e nell’altra una corona. Sulla testa una corona d’argento ed anche il Bambino ha una corona d’argento. Al collo della Madonna pendono: un laccettino misto di piccoli coralli di oro, una piccola medaglia con sei perle, un paio di fioccagli, un altro paio di fioccaglini ed un filo d’ oro. Giovanni Castagna

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Ischia - Festa agli Scogli di S. Anna

Il Palio 2013

Ragguaglio istorico topografico dell'isola d'Ischia Si pubblica, su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, il testo del manoscritto adespoto identificato come "Ragguaglio istorico topografico dell'isola d'Ischia", conservato presso la Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele di Napoli, Fondo S. Martino, ms 439, ritenuto, secondo quanto scrive Agostino Lauro (1970), «degno di attenzione da parte di chi si è interessato alla storia d'Ischia negli ultimi trenta anni». Ma «le conclusioni alle quali sono pervenuti i diversi studiosi, dopo esame più o meno diligente di esso, non sono concordi sul valore, sul tempo della compilazione, sull'autenticità dell'opera» (A. Lauro1). Rimandando ad altra occasione il riferimento specifico a coloro che hanno voluto ricercarne e valutarne gli aspetti controversi sopra indicati, diciamo che il manoscritto è diviso in tre parti con i seguenti titoli:

Alla tradizionale Festa a mare agli Scogli di S. Anna, ad Ischia Ponte, con la sfilata delle barche addobbate, la giuria ha così assegnato i premi: Barca 
prima classificata: “Ischia tra fede e tradizione”:
 Comune di Ischia, realizzata dagli amici di Sant’Anna. Seconda classificata: “Spusalizio ‘e marenaro”: Comune di Ischia, realizzata dai ragazzi della Mandra. Terza classificata: “La storia di Santa Restituta”: Comune di Lacco Ameno, realizzata da Lacco Ameno. Quarta classificata: “Appuntamento ad Ischia”: Comune di Barano, realizzata dagli “Amici di Buonopane”. Premio Funiciello (miglior bozzetto artistico): “Spusalizio ‘e marenaro”: Comune di Ischia. Premio Nerone (la barca più spettacolare) “Ischia tra fede e tradizione”: Comune di Ischia. Premio Domenico Di Meglio (giuria popolare) “Ischia tra fede e tradizione”: Comune di Ischia. Il Palio è stato peparato dal pittore e ceramista ischitano Rosario Scotto di Minico. 20 La Rassegna d’Ischia n. 4/2013

1) Ragguaglio istorico topografico dell'isola d'Ischia (fogli1-101). 2) Ragguaglio istorico topografico del castello d'Ischia (fogli 102-129). 3) Ragguaglio istorico ecclesiastico d'Ischia (fogli 130-174). Trascrizione del testo di Giovanni Castagna Parte II

La prima parte è stata pubblicata nel n. 3 Giugno/Luglio 2013. 1) Lauro Agostino, A proposito di un manoscritto della Biblioteca Nazionale di Napoli, in Archivio storico per le Province napoletante, terza serie, anni VII-VIII - LXXXV-LXXXVI dell'intera collezione, Napoli, Società Napoletana di Storia Patria, 1970.

Al Centro di Ricerche Storiche d’Ambra si è svolta venerdì 12 luglio 2013 una serata dedicata al compianto artista Lello Ravone, il cui leitmotif è stato il verso di Charles Baudelaire: Uomo libero, tu amerai sempre il mare! Un’esposizione di foto ispirate al mare, realizzate magistralmente dallo stesso Ravone, è stata aperta sino al 4 agosto 2013.


Ragguaglio istorico topografico della Isola d’Ischia II

Ora sembra di starsi in circostanza a doversi dare distinta notizia delle accenzioni, e dell’eruzioni vulcaniche accadute nell’isola d’Ischia, e colle analoghe riflessioni, le quali concorrono a dilucidare li di loro avvenimenti in ordine a lumi istorici per la detta Isola. Tra gli scrittori, che ne fanno menzione compita, ci è il dotto filosofo, e Geografo Strabone, il quale citando l’antico istorico scrittore Timeo di Taormina, fa nel l. 5. p. 248 dell’ediz.ne napol.na noto alla posterità che il monte Epomeo, ed altri monti tramandarono, e vomitarono fuoco, e tali volte le accenzioni furono sì violente, sì eccessive, e sì formidabili, che tra il fuoco, e l’acqua del mare arrivò a succedere un’empetuoso, e troppo straordinario combattimento, mentre il fuoco entrò per tre stadii, o siano per 375 passi dentro il mare; e questi per sua natura resistendolo, e ritenendolo, alla purfine giunse a vincerlo, e ad estinguerlo; e lo vinse in modo, che da poi entrò nell’isola, l’allagò, e la covrì di acqua. Il rumore, lo strepito, il fragore, e il moto furono sì grandi, e sì spaventevoli, che gli abitanti del continente rimpetto lasciarono, ed abbandonarono la costa littorale e fuggirono nell’interno della campagna. Timeus (1) etiam de Pithecusis tradit, veteres mira fidem excedentia perhibuisse, paulo ante suam aetatem media insula collem, cui nomen Epomeo, terraemotu concussum ignem evomuisse, et quod inter ipsum, et mare medio erat rursum perpulisse, et terram in cinerem versam rursus vehementi turbine (quales Graeci vocant tiphonem) Insulam appulisse, tribusque inde in altum mare recessisse stadiis, pauloque postea rursum ad terram dedisse impetum, marisque fluxu inundasse insulam, ignemque in eo hoc pacto extintum; fragore autem percultos eos, qui continentem habitabant, ex ora maris in campaniam profuggisse. Tales enim insula habet eruptiones, propter quas etiam missi eo a tiranno siracusano Hjerone, una cum muro a se extructo insulam dereliquerunt. Giulio Jasolino nell’unire li testi di Strabone, e nel commentarli così nel l.1. c. 1 traduce, e riferisce in questa forma su detti avvenimenti. Innanzi al monte Miseno è posta l’isola di Procida, altre volte spiccata dall’isola d’Ischia. I popoli Eritriesi, e Cal1) Tymaeus deve leggersi, e scriversi, che fu, e scrisse 300 anni prima dell’Era Cristiana, a tempo di Agatocle Tiranno di Siracusa, e lo stesso, che da Siracusani, e dagli archivi di Siracusa rilevò le notizie relative alli successi in tempo della colonia spedita da Ierone, ed in tempo delli Cumei Eritriesi, e de’ Calcidesi, e forsi da figli e nipoti di quelli, che furono nell’isola, d’onde furono costretti a partire.

cidesi hanno abitato insieme, ed indifferentemente l’isola d’Ischia; quali essendo già ricchissimi e per le biade, e per li frutti della terra, e per le miniere dell’oro, nata tra loro contenzione abbandonarono l’isola: Finalmente scacciati da tremuoti, e da fuochi che esalavano, e dal crescere del mare, e dal bollore delle acque se ne partirono; conciosiaché ha questa isola molte di sì fatte eruzioni, per le quali alcuni mandativi da Ierone tiranno Siracusano furono costretti abbandonare un muro, che vi aveano fatto, ed insiemamente tutta l’isola. Onde poi nacquero le favole, colle quali si dice che Tifeo stia sepolto in quell’isola, e che quando si rivolta su li fianchi, svaporano fuori fiamme, ed acque bollenti; Imperochè molte volte accade, che le isole piccole abbiano sì fatte acque bollenti. Veramente sono cose più verisimili quelle, che scrisse Pindaro mosso da quel che si vede, che tutto quel tratto, cominciando dalla Città di Cuma sin’in Sicilia, è infocato, ed ha certe caverne profonde, che corrispondono l’una coll’altra, e si estendono fin’in Grecia, ed in altre terre ferme; per questa caggione Mongibello, l’isole di Lipari, il territorio di Pozzuoli, il Napolitano, il Bajano, e le Pitecuse sono di tale natura, quale hanno lasciato tutti i scrittori scritto: In che intendono molto bene Pindaro, sotto tutti questi luoghi cantò, che stava sepolto Tifeo. Timeo ancora dice, che quelli antichi scrittori inventarono molte favole delle Pitecuse; e che molto più avanti, quel monte Epomeo, che sta nel mezzo, per alcuni tremuoti vomitò incendi, e che questa terra, che sta frapposta, gettò molti fuochi nel mare, e che tutta quella parte di terra, ch’era già ritornata incontro, esalando in alto a guisa di tifone, cioè in modo da poi se ne tornò indietro; e tornando anche indietro il mare al suo luogo, coperse l’isola, e smorzò il fuoco di quella. Per lo rumore del quale smorzamento, quelli, che abitavano la terra ferma, lasciando la marina, se ne fuggirono nella parte superiore della Campagna. Le acque calde di questi luoghi si crede, che abbiano la virtù di sanare coloro, che patono di male di Pietra. Dell’isola di Capri anticamente furono due Terricciuole, ma ora è solamente una, la quale fu occupata da Napolitani. Costoro avendo perduto in guerra l’isola d’Ischia, la ricuperarono di nuovo, concedendola loro Cesare Augusto. Fin qui Iasolino, che traduce. Lo stesso Strabone nel medesimo libro rapporta, appoggiato agli antichi scrittori, che li Calcidesi e gli Eritriesi furono tirati ad abitare in Ischia per la fertilità de’ campi, e per le miniere dell’oro; propter feracitatem agri, et auri fossilia: Post etiam terraemotibus exturbati, ignisque, marisque, atque calidarum aquarum eruptione se ne passarono nel vicino continente. La Rassegna d’Ischia n. 4/2013

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Plinio (Ist.nat.l.II) benvero facendo parola delle straordinarie accenzioni, e delle sotterranee ignee esalazioni successe nell’isola, si spiega in questo modo: In eadem et oppidum haustum profundo, alioque motu terrae stagnum emersisse, et alio provolutis montibus insulam extitisse Prochitam. Che per effetto delle accenzioni ignee sotterranee, e dei tremuoti nella medesima isola una Città murata venne attinta, assorbita, e profondata: Con altro tremuoto surse, ed uscì fuori un lago; E con altro terzo tremuoto sommossi, rivoltati, e rotolati i monti venne formata, ed ebbe l’esistenza l’isola di Procida. Lo stesso scrittore in altro luogo riferisce, che tale isola fu detta, e chiamata Procida, perché staccata, avulsa, e gettata da Ischia. Quia ab Aenaria profusa erat, Prochita fuit dicta. Prochita Απο το προκυμαι Profusa: Avulsa. Cornelio Severo, che visse nel tempo di Augusto nel far menzione de vomignei d’Ischia si esprime coll’avverbio dinotante un ben lungo trasandato tempo, e di modo, che la parte di sopra si era raffreddata da molti anni. Flagrans Aenaria quondam. L’espressate formidabili eruzioni, vulcani, e sovversioni, le spaventevoli accenzioni, vomiti, e gettiti di fuoco, le terribili esalazioni, ardori, e fiamme, e gli fragori, rumori, ed esplosioni sono stati così antichi, che niuno scrittore ne divisa epoca, secolo, e tempo. Strabone appena accenna, che taluni straordinari avvennero poco prima dell’età di Timeo: Oscuro per oscuro; Forsi voleva intendere quelli accaduti al tempo de Siracusani, di cui si farà disitinta parola. Il Fazzello nell’istoria di Sicilia, e sopra di ogni altro Giulio Ossequente asseriscono di esserne accaduti nell’anno di Roma 663 sotto il consolato di Giulio Cesare, e di Lucio Marsio: ma sono parole per parole, e non documenti per pruove. Se così fusse stato, e successo, chi più di Strabone, il quale fu vicino al cennato consolare, non ne avrebbe tenuto le notizie, e non ne avrebbe fatta menzione? Scrittore, che s’interessò a fare delli descritti successi una particolare memoria; e per le quali fa capitale del solo Timeo, che cita, intendendo in tale modo dare autorità alli fatti, che riferisce; e quel solo antico scrittore, che ricercò tra gli antichi archivi della Sicilia. Ci è stato alcuno scrittore ancora verso la fine del 18 secolo, che si è fatto ardito di fissare il tempo di taluni vulcani, ed eruzioni avvenute nell’isola, e come fu il Medico Andria, il quale confidentemente li fissò circa li primi secoli nella nostra era; ma altri scrittori abbenchè semplici osservatori de fenomeni della natura, pure hanno dimostrato disprezzo, e nausea di tale sentimento. Infatti se dello sbuccio del Vesuvio accaduto nell’anno 80 dell’era volgare se ne scrisse con tanta distinzione, essendo quel tempo illuminato, e dedito a descrivere le novità del mondo, l’avrebbero benanco significato de flagranti successi d’Ischia. Soltanto dell’ultima eruzione, e sovversione vulcanica avvenuta in una grande, ed estesa pianura rimpetto al Castello, e che toccò anco le di lei prossime alture, luogo al 22 La Rassegna d’Ischia n. 4/2013

presente, e nel passato denominato Arso, e Cremate, si può fissare il tempo, il secolo, e l’anno. Onde di tale avvenimento si può fissare, e se ne fissa l’anno, il quale fu il 1301, allorchè il fuoco sotterraneo, e sovversivo bruciò per due mesi di continuo. Di questo assunto si è fatta, come si farà ancora, distinta parola nel descriversi il distretto della Città d’Ischia, e delle accennate Cremate, che si può riscontrare, siccome più appresso circa il dipresso delle vulcaniche eruzioni, ed esalazioni, e del di loro tempo se ne scriverà con posatezza, riflessione, e maturità; nell’intelligenza, che di molti avvenimenti è così rimoto il tempo, ed al dentro dell’antichità antichissima, che diversi colli, promontori, e monti, che si esalarono dalle sotterranee effervescenze, e che un tempo pure vomitarono fuoco, si sono all’intutto cangiati della primiera di loro natura, e sostanza, e si sono modificati in altra. Dal mentovato tempo della vulcanica sovversione delle Cremate sin’al presente non si è sofferta nell’isola altra simile calamità; e sembra forsi che l’isola, ed in particolare quella parte della stessa rimpetto al Castello, ed al nord nelli di lei sotterranei, e profondità si ebbe a discaricare totalmente di quelli materiali sulfurei bituminosi, e piriti, atti ad accendersi, e potersi accendere; o forsi si ebbero maggiormente ad aprire, e comunicare li sotterranei meati, e corrispondenti concavi col Vesuvio, e con Etna, per dove si tramandano li di lei materiali accensibili, stante le tante acque perenni bollenti, e fumarole esistono, e si osservano su la superficie dell’isola, danno a dividere, e dinotare, che fuoco, solfo, e materiale pirito, ed accensivo effettivamente prosieguono ad essere, ed a stare sotto il profondo sotterraneo territorio, e suolo di essa isola. Le sopra divisate scosse di terra, le vulcaniche eruzioni, le sovversioni, le accenzioni, e l’esplosioni di fuochi furono divulgate con esorbitanze tanto enfatiche, ed eccessive, con effetti sì perniciosi, e dannevoli, con devastazioni tanto alterate, e terribili, e con comparse si spaventevoli, e disanimanti, che gli stessi antichi scrittori, li quali le riferiscono, e tramandano a posteri entrano, ed entrarono nel dubio di esserci potuto avvenire nel riferirsi li successi delle soverchierie, e delle notabili alterazioni: Però se Timeo, e Strabone avessero ocularmente osservato, e fatto delle analisi su l’espressati fulminanti accaduti, avrebbero deposto ogni dubiezza, e l’avrebbono creduti ben veri, e realmente successi. Si giri intorno all’isola, e si principii dal Castello, il quale è una gran rupe, o sia un’alto, e largo scoglio di durissima e densa pietra elevatosi, ed inalzatosi in mezzo al mare per effetto di una straordinaria violenta eruzione, ed esplosione ignea vulcanica, seguita verso la parte di terra dalle stesse vulcaniche ignee eruzioni, ed indi dalla catena degli alti, e larghi monti, e promontori della villa di Campagnano, che della consimile pietra tira sin’alli confini della marina al di là del Testaccio, li quali monti, e promontori anco si osservano di essere sorti, inalzati, ed elevati dal fondo del mare, ed a forma di piramidi, e di pari in grand’estenzione, e larghezza, ed in grande altezza si veggono da esso fondo poi erti, e proporzionatamente acuminati.


Indi nel fondo dell’indicato mare verso il nord, il nordest, l’est, e il sudest dal lido sin a tre miglia fuora si osservano, e si guardano ad occhi nudi sotto acqua lunghe, e larghe tirate, e catene di scogli, e certi si ergono a forma di colonne sotto acqua, ed altri a foggia di lunghe mura, che vicino alli lidi molti s’inalzano assai al disopra del mare, ed altri sono immersi quali monti sotto la sabbia, e quella invero, che più sorprende, è quella lunga quasi di tre miglia, ed assai larga tirata di scogli sotto acqua denominata il secco dalla parte dell’est, distante dal lido circa tre miglia, che girando si congiunge con altra lunga tirata verso il nordest, ed il nord, chiamata vulgarmente il Ciglio. Appunto tali lunghe, e larghe tirate di scogli sotto acqua, ed altri scogli sopra acqua, che la accennata catena di monti, ed altre rupi, e facciate di pietre vulcaniche fanno evidentemente conoscere, e rilevare, che un tempo le accensioni ignee vulcaniche, e la viva flagrante fiamma tramandate dalle parti sotterranee dell’isola, e sue adiacenze tanto verso il nord, quanto verso l’est non solo entrarono nel forte del mare per tre stadii al dire di Strabone, ma per miglia, e fin’a tre; onde la fiamma elevata, il mare inalzato, il rumore, lo strepito, e li tremuoti doverono apportare agli abitanti del continente rimpetto dell’alterazione, e dello spavento; siccome fanno conoscere, e rilevare, che l’acqua del mare in fine vinse la forza, e la violenza della fiamma, e del fuoco, l’estinse, e così inondò, ed allagò l’isola, il suo littorale, e le sue adiacenze. Lo stesso si osserva, e si mira nello girarsi l’isola, e soprattutto ne’ confini del comune di Forio cogli alti scogli della nave, e dell’imperatore, come di altre tirate vulcaniche di esso comune, specialmente in quello lungo, largo, ed esteso tratto di eruzioni, e sovversioni formidabili, e sorprendenti da tale comune a quella la più spaventevole d’ogni altra, e la più eccessiva del comune del Lacco, le quali corrono sotto le denominazioni di Zara, Caccavelle, della Cornacchia, di Santo Montano, e del Monte di Vico. Cotal Monte di Vico è quello che sorpassa ogni altra vulcanica eruzione, ed esplosione, e forsi non mica inferiore alli monti della villa di Campagnano. Lo stesso si eleva dal fondo del mare tendente al nord, ed a perpendicolo s’inalza ad una notabile altezza diunita ad una gran larghezza, e con orrore si mira stendersi sin sotto l’Epomeo. Il medesimo pare giusta l’osservazioni di essersi in gran parte staccato, e di essersi nel gran fondo di quel mare, e tra la sabbia immerso, e profondato: potuto derivare da tremuoti, e dagli grandi urti del mare formiano e toscano; e con faciltà per essere una elevazione di scoglio non acuminato, ed a pero, ma a perpendicolo, e piana al disotto, onde soggetto a gravitare, ed a staccarsi. Lo stesso si osserva, e si guarda per il successivo lido, e per il tratto del Castiglione, che va ad unirsi colla tirata de monti vulcanici di Casamicciola, e de monti di sotto il Cretaio, i quali si attaccano all’altra tirata de monti vulcanici che sovrastano alla villa de bagni, che dalla parte di sopra si uniscono col vulcano del fondo di bosso, e coll’altro laterale alla cava delle nocelle; e dalla parte di sotto coll’eruzioni di Sant’Alesandro, dell’intorno del Lago, e del promontorio di San Pietro; e che finalmente tendono a quasi unirsi colle Cremate, colla rupe del Ca-

stello, e sue vicinanze, e colli ridetti monti della villa di Campagnano Al pari de’ monti, e promontori laterali al mare dell’intorno della intiera isola se ne osservano degli altri di lunga più orribili, e spaventevoli nell’interno dell’isola; e da per ogni dove, e nel mezzo di essa, in dove si osservano de gruppi di monti ed alti, ed altissimi, i quali nell’altezza di lunga superano quelli dell’intorno e delle littorali. Taluni de medesimi acuminati si osservano per il grand’elasso forsi del tempo carozzati, e ridotti a materia friabile: Altri anco acuminati, ma che ancora conservano la primiera, e l’antica natura di pietra dura, e forte, abbensì siano coverti di materia terrosa, e pozzolanica. Altri pure acuminati, ma si mantengono pumicei, sebene con dispendio facili ad essere ridotti a coltura. Altri elevati, ma con gran pianura di pietra dura, e forte di sopra, ed essa a stento rompendosi, e spezzandosi con forza di ferri per lo più sin ad otto, e dieci piedi, al disotto si trovano di già modificati a materia lapillosa, sabbiosa, e terrosa; ed altri, che modificati a pietra tufacea, e maschiosa, e di molti alti, ed acuminati, si osservano nella maggior parte sterili, ed in alcuna porzione aumentati, e coltivati, e per lo più a piante boscose. Inoltre all’intorno dell’isola si osserva, che all’infuori di certi seni divenuti spiagge sabbiose ogni sua costa, e laterale era vulcanizzata, ed una gran porzione coverta di pietra durissima, densa, e forte, la quale o per causa di tremuoti, o di violenti scosse del mare si è staccata, ed è caduta nel fondo del mare, ed in certi luoghi è stato lo staccamento così grande, che non ostanti gran parte di essersi assorbita dal fondo del mare, e dalla sabbiosa rena, pure si è formata tale tirata, che si suole chiamare scogliera. Altra causa del suddetto distacco, e caduta è stata realmente, che la parte a di dentro essendosi per l’antichità, e per la continua acqua piovana assorbita, modificata in materia terrosa, la pietra vulcanica rimasta fuori si distacca e cade, sì per non potersi sostenere per il proprio peso, sì per non tenere appoggio, e sì per venire urtata dalla parte di dentro, la quale per l’assorbimento delle acque piovane suole ingrossare e dilatare, e così venendo premuti, gravati, ed urtati li laterali, naturalmente debbono piegare, e crollare. Sicchè dalle osservazioni, e dalli giudizi dedotti siccome lusingasi, che le antichissime voci, e fatti divulgatisi relativi alli straordinari, eccessivi, ed orribili sotterranei fuochi, fiamme, ed accenzioni avvenute ne rimoti tempi non avevano dell’esorbitante, e del favoloso, rapporto ancora alle terribilissime esplosioni, così si può pervenire a conoscersi, e potersi conoscere dal seguente successo quanto sia, e possa essere incalcolabile la forza, la violenza, e l’esplosione dell’effervescenze, e delle accenzioni de fuochi sotterranei. Li publici fogli dell’anno 1814 riferiscono con termini di certezza, che nel dì 22 di maggio di tale anno alle due pomeridiane nel mare di Azzow in alcuna distanza dal lido, all’improvviso dopo tante straordinarie scosse, dopo formidabili fragori, e dopo sì gran gettito in aria di pietre grosse, e piccole, a moltissima altezza fin’a venire rispettiLa Rassegna d’Ischia n. 4/2013

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vamente oscurata la luce del sole, si vide, e si osservò sorta, e sortita dal fondo di quel mare una isola di pietra calcarea, di diametro dall’Est al vest di settanta tese, ed alta dalla superficie, e linea del mare un passo, e mezzo. Li publici fogli di Giugno 1818 ne fanno riminiscenza in occasione di alcun fenomeno comparso, ed osservato in essa nuova isola prodottasi. Ma affinchè nulla si preterisca rapporto a quanto o di vero, o di esorbitanza siasi scritto d’Ischia, e di taluni scrittori, che si hanno fatto lecito scrivere, e tramandare alla memoria, e particolarmente Servio nell’interpretrare, e commentare Virgilio pretende di dare ad intendere, che attaccato al monte Miseno ci era un altro monte, il quale si denominava Inarime. Onde ad esso appunto essendo stata ne’ rimoti ed ignoti tempi per effetto d’inesplicabile tremuoto, e di orribile vulcano distaccata, e proiettata l’isola d’Ischia, venne la stessa isola a ritenere la ridetta denominazione di Inarime; la medesima notizia così datasi a capire, e congetturata da Servio indusse il Baccio nel capo II De Thermis ad asserire con ogni franchezza, e senz’alcun appoggio Aenaria quam et Inarime a monte, quo a Miseno fuerit avulsa dictam legimus. Ma ciò lo creda pure Chi sogni, e favole ascoltar desia. Nulla pregiudicandosi però la gran dottrina istorica naturale, e la gran dottrina medica di esso erudito dottore, che meritò di essere prescelto per medico da Sisto V.

Ulteriori ricerche, riflessioni, e dilucidazioni rapporto agli avvenimenti vulcanici dell’isola d’ischia Omero, Pindaro, Timeo, Virgilio, Ovidio, Severo, Strabone, Plinio, e Lucano facendo parola dell’isola d’Ischia, e suoi vulcanici successi, si spiegano, e fanno intendere, di essersi così detto, divulgato, e scritto, e colla frase di essere un tempo avvenuti: ma niuno si è fidato fissare giamai epoca, e data di tempo. Se il Fazzella, l’Ossequente, Andria e talun’altro si sono avanzati a divisare alcun dato tempo di certi particolari successi vulcanici, le di loro assertive, o le di loro congetture rimangano pure, e restino con essi. Strabone, e su le tracce ancora di Timeo, tratta individuarne di taluni straordinari vulcanici accidenti ad un presso di tempo, come a dire di averli menzionati colle frasi: e poco prima di Timeo alcuni; a tempo della dimora de Calcidesi, e delli Eritriesi nell’isola altri; Ed altri poi nell’atto, che nella stessa domiciliavano li Siculi Siracusani: ma senza mai fissarsi precisa data o di olimpiadi, o di consoli, o di sovrani d’insigni regni. Beroso è solo quell’autore, che individua un preciso tempo di quelle vulcaniche ignee eruzioni avvenute nella parte, che attualmente si divisa sotto la nomenclatura di provincia di Napoli, e maggiormente nelli vicini e littorali, 24 La Rassegna d’Ischia n. 4/2013

ed a vista del mare, e che può col di lui istorico rapporto arrecare lumi per il tempo dell’eruzioni, e degli avvenimenti vulcanici dell’isola d’Ischia. Egli fu Caldeo, e sacerdote del tempio di Delo in Babilonia: visse circa trecento (300) anni prima dell’era cristiana, e scrisse un’opera sotto il titolo delle antichità Babilonesi: Opera utile, e vantaggiosa alla repubblica letteraria: Della stessa Eusebio di Cesarea si prese l’impegno, e la cura di raccoglierne, e rapportarne de gran pezzi, e frammenti, e dappoi Annio di Viterbo si dedicò a procurarne un manoscritto in originale, e ci riuscì, che diede alla luce. Nel libro 5 Beroso riferisce, che nel tempo regnava Alario Rè degli Assiri; nell’Italia tre vulcani per lungo spazio di tempo bruciarono, e vamparono, li quali tre vulcani vengono disegnati, e notati colle voci d’Istrios, Cymeos, e Vesuvios. Eo tempore Italia in tribus locis arsit multis diebus circa Istrios, Cymeos, et Vesuvios. Con tali voci o Beroso, ed Annio, o Eusebio paiono di divisare li luoghi, e gli abitanti, o forsi così chiamati negli antichi tempi, o adattati a quelli luoghi, ed abitanti de’ di loro tempi. Taluni scrittori intendono situare, come situano il regnare di Alario Rè degli Assiri verso l’anno 450 dopo l’epoca del Diluvio. Il diluvio giusta il Canonio di Petavio avvenne nell’anno del mondo 1656: Onde gli accennati vulcani doverono comparire circa l’anno 2106 del mondo. Gli Istrii corrispondono a quelli luoghi della dinotata provincia di Napoli, i quali al presente, e da tempo antico, si nominarono, e si nominano Astroni: antico formidabilissimo vulcano raffreddato vicino al lago di Agnano; che si stende all’Olibano, e Leucogeo, al monte Ermeo colla isola di Nisida, e gli adiacenti scogli, ed al monte di Sant’Eramo; e dalla parte di dentro a Pianura, a Soccavo, e forsi alli Tifani di Capua, ed a monti di Caserta. Cotal vulcano Cornelio Severo in questo modo accenna: Testisque Neapolis inter, et Cumas locus est multis iam frigidus annis. Il Leucogeo, che Strabone con voce poetica chiamò il foro di Vulcano, presentemente si nomina la Solfatara; in parte attaccato al mare e raffreddato, ove si guarda una spaventevole elevazione di durissima pietra per effetto di violenta, e forte eruzione; ed in parte è in azzione ignea, sulfurea, e calorica; Dove si osservano perenni fumarole, soffii, ed esalazioni caldissime; ed ove fu solito raccogliersi del solfo, e dell’alume. Li Cimei debbono essere, come gli stessi, che furono detti Cimeri, e Cumani, mentre nella lingua greca, e latina Cyma, e Cumae corrispondono alla voce Cuma, e s’intesero per quella città, e luogo, che si dice Cuma. Sicchè il vulcano vampante mentovato da Beroso sotto la voce Cymeos deve corrispondere, e corrisponde a quella tirata, che si suole dire la regione abbruciata, cominciando dal monte Tauro, si stende ne’ monti di Baia, di Averno, di Miseno, e della distrutta città di Cuma, siccome verso Vico, Linterno, e Montragone, o sia monte Massico: Luoghi questi tutti raffreddati, all’infuori del suolo di Scauda, dove si osservano dei gurgiti di acque bollenti, ed ove anticamente esistevano bagni minerali; ed all’infuori di Baia,


in cui esistono e fumarole, e perenni gurgiti di acque termali e bagni; ed ove nella notte del 29 di settembre dell’anno 1537 si produsse un’eruzione vulcanica, che bruciò il suolo dell’antica villa Bauli, e l’abitazione di Tripergola. Cotale vulcano elevatosi in alto viene chiamato Monte Nuovo. Li Vesuvii di Beroso non corrispondono all’attuale igneo vulcano, attivo, e vampante, ma bensì al gran monte laterale raffreddato, che si chiama Somma. Il presente Vesuvio comparve, e vampò, eruttando esorbitanze di fuochi sotterranei, e pietre, e ceneri nell’anno ottanta, 80, dell’era cristiana, regnando Tito Imperatore. Li scrittori riferiscono concordemente, che il sito dello stesso era piano, e non monte, o colle elevato: Taluno però riferisce, che in esso suolo esisteva una bocca, ed una conca divisante di essersi per la stessa tramandato, ed eruttato vulcanico fuoco, e che essendosi estinto, del medesimo se ne perdé la memoria. E così dové essere, ed avvenire, mentre se tale bocca per qualche tempo avrebbe gettato fuoco, e materia vulcanica, per legge meccanica, e per effetto naturale si sarebbe ammontata, ed inalzata, ed avrebbe la propia base di molto estesa, siccome è avvenuto dall’anno ottanta in quà, nel quale spazio il suddetto vulcano di tanto si è elevato, dilatato, ed esteso colli replicati gettiti, e vomiti di materiali, e colle ripetute forze vive, e violente delle corse, e torrenti: che quando si accostano vicini al mare, ivi si sogliono profondare, e quando da esso si discostano, sogliono appianare valloni, e voragini; e siccome tanti luoghi, ed abitazioni in vicinanze dell’additato vulcano soffrirono emergenza sì perniciosa, e devastazione distruttiva, come rimasero sommerse, e seppellite colle di loro adiacenze le illustri città dell’Ercolano, e Pompeiano; e fu tale il formidabilissimo scoppio del divisato vulcano, tanto nel suo primo tempo verso l’anno 80 dell’era cristiana, quanto nel prosieguo de gran scoppii, delle grandi esplosioni, e de grandissimi gettiti ne successivi tempi, che l’Europa, l’Asia, e l’Africa non furono esenti dalli di lui terribili effetti, e dalle ceneri, ove arrivarono a cadere. Lo stesso antichissimo vulcano di Somma potè ben corrispondere all’elevazione de’ monti di Sarno, e della catena degli alti monti, li quali da Nocera tirano fin’al Capo Prenusso, non essendoci di essi nell’antichità veruna notizia. Lucio Floro il quale fa comprendere di avere scritto nel tempo di Traiano, e non lungi dal tempo della prima esplosione dell’attuale Vesuvio, dà con tutta chiarezza ad intendere, che mentre egli scriveva, proseguiva a gettare fuoco, e di essersi di già inalzato a monte, e come il Tauro, il Falerno, e il Massico, e di essere, e trovarsi aumentato di viti. All’ora appunto poterono avvenire dell’eruzioni vulcaniche nell’isola, ed elevarsi de gran monti vulcanici dal fondo del mare; e tali fenomeni sì per l’interno della stessa, quanto per il suo littorale; come la rupe del Castello, del Castiglione, del monte di Vico, de monti Campagnano, e di altri, la di cui pietra vulcanica del Leucogeo; del pari, che l’apparenza delli vulcani prodotti nell’isoletta di Nisida, e di altri scogli del mare del monte Ermeo, simile, ed eguale all’apparenza degli vulcanici prodotti nel mare del comune

d’Ischia. Ed allora doverono succedere le produzioni, e l’esplosioni vulcaniche nel mare di Ponza, e Ventotene, delle quali successivamente si farà distinta menzione. Intanto quantunque per base de lumi di taluni antichi vulcani si pongono li rapporti storici di Beroso, e certi corrispondenti ragionati giudizi su l’assunto, per tutta volta pare, che l’animo si conosca nelle difficoltà, mentre tanto di molti vulcani, e monti vulcanici dell’Isola d’Ischia, quanti di molti vulcani, e monti vulcanici della terra, non essendoci la menoma notizia, nell’antichità o presso gli antichi scrittori, si và a rilevare, che li di loro avvenimenti, e successi doverono accadere in tempo tanto rimoto, ed oscuro, che sono, e furono al di là di ogni umana cognizione. Quindi si opina di non lasciarsi fare delle ricerche, e delle ragionate diligenze, affinchè si possa pervenire a un dipresso di tempo, nel quale le accennate vulcaniche novità, e produzioni avessero potuto succedere. Idio, O. M., e saviissimo proveditore quando coll’universo creò, e fece l’orbe terraqueo, l’ebbe a creare, a fare, ed a mettere alla luce in un bello, spacioso, ameno, agiato, e vistoso aspetto, e di forma di dover’essere la consolazione, e la delizia dell’uomo, e di dover’essere la di lui faccia, e superficie per lo stesso prospera, aggevole, e felice. A tale riguardo, e riflesso dotò esso orbe di tutto equilibrio, di un generale plausibile ordine, come di meccaniche leggi, e di staggioni omogenee, costanti, ed analoghe alla felicità dell’uomo. Lo costruì, e lo costituì con natura continente particelle ignee, caloriche, elettriche, sulfuree, ferree, vitrioliche, nitree, saline, alcaline, e pirite, e di altri semi, e generi uniformi, ed unisoni a tali costituenti, ma con vincolo, condizione, e legge sempre equilibrata, ed equilibrante, onde esso orbe terraqueo, e con esso la natura delle cose create fussero ben mantenute, sostenute, e conservate. A qual’uopo dispose con ordine speciale, che la faccia, e la superficie dell’orbe, e di essa natura fussero in tal modo costituite, ed equilibrate, che ne seguisse, e ne avvenisse perennemente, ed insensibilmente e delle parti esterne, e delle parti interne tal evaporazione, sfoco, ed esalazione, che l’enunciato orbe, e l’accennata natura creata delle cose non fussero giamai per ricevere qualunque menoma alterazione di straordinario moto, e di azzione. Ma l’infelice disgraziata umanità avendo conculcato, e postergato il sistema delle leggi naturali scritte, e scolpite nelle anime, e ne cuori, ed avendo varcati li termini prefissi del divino fatto e del tutto, onde essendo incorsa nello giustissimo, ed esattissimo di lui sdegno divino, trasse a sè la pena di dover’essere, e di essere l’orbe colla natura delle cose sommerso, ed immerso sotto una generale, ed universale alluvione, allagamento, ed inondazione di acqua per lunga durata; ed indi a dover soffrire, e soffrire la perdita della bellezza del di lui vago, ed ameno aspetto, e del di lui bello equilibrato ordine. Imperochè la superficie dell’orbe essendo divenuta fredda, e gelata, per la lunga durata delle acque su essa, e par fin’a mesi sette, e più, che del lunghissimo prosieguo dell’umidità, siccome all’intutto cessò la perenne inLa Rassegna d’Ischia n. 4/2013

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sensibile evaporazione, ed esalazione, così gli enunciati componenti e generi ignei pirii accensibili per effetto di legge meccanica, e naturale fuggendo dalle vicinanze superficiali, si doverono internare, e s’internarono nelle parti inferiori, e nelle viscere di esso orbe, in dove si doverono unire, e si congiunsero ad altri simili, ed eguali componenti, costituenti, e generi, per cui vennero a formare, come si formarono delle alteratissime effervescenze, delle violentissime accensioni, e dell’incalcolabili incendi, ed esalazioni, ed esplosioni. Essi per effetto di straordinaria potenza, ed attività, e per effetto di vivissima forza, e per effetto di un quasi soprannaturale, e di un insuperabile fuoco non potendo essere trattenuti da quella parte di terra li conteneva, li covriva, e li restringeva, ebbero a prorompere, come proruppero effettivamente, scoppiarono, ed esplosero in formidabilissimi sbocchi, in spaventevoli vulcani, ed in terribilissime eruzioni, e sovversioni su la faccia, e su la superficie della terra; che doverono avvenire, ed avvennero sì nel tempo, e durata dell’accennato allagamento, ed inondazione, e sì nel tempo vicino alla stessa, ed a un dipresso. Verso, e circa tale rimotissimo tempo, e de’ quali non ci è memoria dinotante una precisione presso tutti gli scrittori dell’antichità, doverono succedere, come successero in mezzo al mare dell’elevazioni, e comparse di tante, e sì diverse isole, le quali per il trascorso del gran tempo tutte si osservano modificate, come successero dell’elevazioni, dell’esplosioni, degli inalzamenti, e delle comparse di tanti, e sì alti monti, rupi, e scogli; taluni de quali si osservano in tutto, o in parte ancora vulcanizzati, o solamente modificati nella parte esterna, ed altri benvero modificati. Cotali monti si possono ben accennare, designare, e notare nella più notabile parte, e numero; ed essi sono, il monte Tricuspide Epomeo elevato sin’all’altezza di passi 1500, esteso ne’ comuni di Fontana, e Serano, di Monopane all’est, al sud, ed al nord, e de’ comuni di Casamicciola, del Lacco, e di Forio, e tale la di lui estensione occupa forsi due terzi dell’isola: lo stesso gran monte, che in due punte, e nella vasta di lui estensione si osserva modificato in tutto, e quasi tufaceo, in maschione, in cretaceo, in argilloso, in terroso, e pozzolanico, ed in dove ad occhi anco nudi si mirano intersparse tante, e tante diverse particelle sulfuree, vetrioliche, aluminose, e gessose. In altra parte, e punta, che guarda Casamicciola, e il Lacco non si è affatto modificato, non ostanti l’elasso del tempo, ma si è sempre mantenuto nella pietra vulcanica, dura, e forte; Se non ché giusta l’osservazioni una gran parte se ne dové staccare nel trasandato tempo, e parte se ne staccò da poco, ed a memoria de’ vecchi; e viene chiamata Catecra. Gli Appennini, e li gran Sassi d’Italia; le Alpi confinanti alla stessa, ed alla Francia; li Pirenei, e gli alti monti di Spagna, li Caprazi che dividono la Polonia dall’Ungaria; li monti di Armenia, del Caucaso, e del Tauro, li Rifei della Sarmazia, e della Sciria; li monti della Siberia, li Tibetani, i gran monti, gli Atlanti d’Africa; il Tenerifa, e il grande ammasso, e la gran tirata degli altissimi monti dell’una, e dell’altra parte di America; E tutti gli enunciati monti abbenchè esplosi, ed elevati nella rimotissima antichità per 26 La Rassegna d’Ischia n. 4/2013

effetto di violentissimo fuoco sotterraneo, rimasero però tutti raffreddati, e più non s’intesero. Ma però sempre all’infuori de’ vulcani vivi delle due Sicilie, dell’Islanda, e molti esistenti nell’America, e specialmente nell’ultima punta meridionale detta la terra di fuoco. Strabone con altri scrittori accenna, che il monte Epomeo una volta, ed un tempo; ed altri monti dell’isola d’Ischia eruttarono, e cacciarono fuori vulcanici fuochi. Essendosi osservate le tre punte, e cime acuminate del monte tricuspide epomeo, e tutti li corrispondenti laterali, non si è trovato verun segno di bocca, di conca, e di fumarola, onde si avesse, e si potesse arguire, e rilevare che il divisato Epomeo avesse eruttato, e tramandato fuori del fuoco, e della materia vulcanica: Soltanto da sopra il comune di Forio, ci è un luogo chiamato la Falanga, la quale esiste nella scesa, e verso la scesa dell’Epomeo, che porta alla base, e guarda il nordvest; ed essa all’intutto pare di essere stata una lunga e profonda voragine, mentre ne di lei laterali si veggono, ed osservano fumarole: Segni che divisano, e mostrano di essersi tramandato, ed eruttato dal mentovato luogo della Falanga un tempo del fuoco vulcanico, e della vampa. Al laterale, ed al di sopra della villa de bagni, che fa confine a Casamicciola ad un lato, ed al Cretaio al di sopra ci è un monte denominato il Montagnone, il quale su la di lui cima tiene uno sfondato, che dinota di essere stato una voragine, ed una bocca per dove un tempo si ebbe a cacciare, e tramandare fuoco: la di lui base, e verso il mare è tutta pietra vulcanica, abbensì nella parte estrema, modificata, e per effetto d’industria, e fatica in gran parte aumentata, e coltivata: Tale bocca, e sfondo è vero, che in una notabile quantità è stato empito di terra, di acqua, e delle stesse pietre cadute dall’intorno, e della stessa parte vicina della bocca della voragine, e bocca per ove si cacciò, si eruttò, e si tramandò fuoco, e materia ignea vulcanica, somministrata dalle accenzioni delle interne viscere di quel suolo. Non lungi dall’accennato Montagnone, e verso la parte di dentro si osserva un altro lungo, e largo sfondato, il quale divisa di essere stato un’antica formidabile voragine tramandante fuoco vulcanico, chiamato volgarmente fondo ferrato: il detto fondo è circondato dal rialto vulcanizato del Cretaio, e dal rialto vulcanizato del bosco de Conti, come dalla parte verso il sud dagli alti monti delle selve del Cretaio, e verso il nordest dalli monti vulcanizati del bagno, e dal descritto Montagnone: Quantunque per li continui scoli d’acqua terrosi cotale fondo essendosi empito di terra, ed aumentato di piante di mela, pure sempre dimostra, e fa conoscere di essere spaventevolissima a cacciare fuori formidabili vomiti ignei vulcanici, e via più dagli evidenti segni del suo intorno tutto vulcanizato, come al di sopra, e ne laterali di viva pietra vulcanica, abbensì al presente in grandissima parte il tutto, e quasi il tutto con industria, e somma fatica aumentato, e piantato. Quel luogo, che più di ogni altro divisava di essere stato un tempo un vampante, ed un vulcano tramandante perenne fuoco, e materia vulcanica, è quello che si chiama attualmente il salito di Campagnano. Questi comparisce un gran colle, elevato, ed aumentato


dalle sue istesse materie vulcaniche ignee eruttate, e vomitate; Nel mezzo di esso sin’a sessant’anni a dietro si osservava una ben grossa bocca guarnita di colore cinnabro, e sulfureo, la quale tramandava ed esalava continuo fumo, e vapore. Il padrone stimò farla divenire stufa per mezzo di tubi, e condotti in essa situati, e non essendo riuscita, la covrì scioccamente con suolo battuto. Quanto ci era all’intorno del detto gran colle e nella vicina base tutto era pietra vulcanica, e tutta nera, ed alcuna rossacea, generalmente pomicea, e rara, ed altra dura, e densa; siccome sul piano, e poco distante dalla bocca una parte della pietra è totalmente rossa, e su la superficie quasi saponacea. Dove poi portava il corso del torrente della materia vulcanica, si è osservato, che le striscie, e le creste, di una sopra l’altra, erano e di lapilli, e di pomici, e di sabbia, e di materia terrosa modificata. Tutto dimostrante di essere stato nell’antichità l’enunciato colle un vulcano eruttante fuoco, e materia vulcanica. Il medesimo al disopra, all’intorno, ed in tutta la base è aumentato ad uve, a fichi, a frutti, ed a boschi; ma non ostanti l’innumerabile pietra vulcanica levata e di fresco, e nel tempo da molto passato, pure o quando si fanno delle fossate, o si sdradica il selvatico, e si aumenta, si trova sempre della pietra vulcanica, e del monte di pietra. Sicchè non ci è verun dubio, che il divisato colle un tempo sia stato, e per lunga durata, un perfetto, e vivo vulcano vomitando, eruttando, e cacciando fuoco, e materia ignea. Oltre gli additati luoghi, ed all’infuori di quelli, che attualmente cacciano perenni fumi, vapori, e gurgiti di acque bollenti, non se ne osservano altri, che come vulcani vivi, e con bocche, e con voragini avessero eruttato, ed esalato fuoco. Il secondo vulcano il quale entra, e si asconde tra le tenebre della rimot’antichità, e che il Timeo, e Strabone accennano di essere stato sì orribile, spaventevole, e terribile in riguardo all’inesplicabile rumore, strepito, e moto, ed in rapporto all’eccessiva vampa, fiamma, e fuoco vivo, attivo, ed ardente, il quale s’intromise tanto in dentro al mare, che gli abitanti del continente rimpetto in tal modo furono sorpresi dal timore, e sbalorditi dall’orrore, abbandonando il littorale, e le vicinanze del mare, si ritirarono nell’interno, e ne luoghi superiori della Campagna, (Il Timeo rilevò la notizia da Siracusani, i quali l’acquistarono da Cumani, e da Pitecusani), è appunto la comparente esistenza della catena de’ monti della villa di Campagnano di pietra dura, compatta, e quasi selicia, e la tirata di carta romana sin’al luogo dov’è l’attuale abitazione, la di cui viva, e forte pietra se n’è caduta, ed è piombata nel mare, mentre la parte interiore si rese tutta modificata. La gran rupe e l’alto scoglio del Castello di eguale pietra, elevatosi per effetto di vulcanica esplosione nel fondo del mare, diunita alla lunga, e larga catena di scogli sistente sotto al mare verso l’est, il nordest, e il nord; ed alli scogli inalzati da sopra al mare: Come l’attuale esistenza del promontorio di San Pietro, e gran monti di Vico del Lacco; e tutte l’anzidette vulcaniche rupi, e scogli elevatisi da dentro, e dal fondo del mare sono di una medesima pietra quasi silicea, addensata, e pesante,

dinotanti di essere stati tutti prodotti vulcanici, esplosi nel medesimo tempo; Del pari e della stessa eguale pietra, e nello stesso tempo ancora, che la comparenza presente, ed esistente delli vulcani, alture, e monti del fondo di Bosso, della Cava delle Nocelle, della Testa, de Conti, del Cretaio, della Sparaina, e di certi luoghi di Barano, e di Monopane; ed essi ultimi nominati vulcani nella parte interna dell’isola; E tutti sì littorali, che interni successi, avvenuti, ed esplosi in un tempo ignoto, ed in quel tempo rimoto, che apportarono alterazione, orrore, e spavento al continente rimpetto. Un terzo e terribilissimo vulcano e di fuoco, e di materia ignea, e di acque bollenti, e di elevazione di mare, si fece sentire, e fece esperimentarsi, all’orchè domiciliavano, e negoziavano nell’isola gli Eritriesi, o siano Cumani, li quali non ostanti in aperta guerra ne avevano scacciati li Calcidesi, per godersi soli li prodotti feraci, e fruttiferi dell’isola, pure poco dopo furono anch’essi contro voglia costretti abbandonare l’isola per gli enunciati motivi de vivi fuochi, e tremuoti, e si ritirarono nel continente rimpetto, in dove si erano li Calcidesi annidati, e ricoverati. Questo terzo vulcanico accidente dovè accadere, come accadde, prima della presa, e della distruzione di Troia, mentre gli Eritriesi, Cumei, e Calcidesi molto prima della sudetta avevano fatta la di loro spedizione, e si erano da Eubea partiti, e di già nell’isola erano arrivati, e sbarcati, ed in essa erano dimorati. Il Canonio Petaviano porta registrata la presa di Troia nell’anno del periodo Giuliano 3505, del mondo 2695, ed innanzi all’era cristiana, 1209. Però dalli marmi di Arondel si rileva, che l’anzidetta presa avvenne prima dell’accennata era, vale mille, e trecento prima della stessa. Sicchè il divisato terzo terribilissimo vulcano, o sia il prodotto di tanti monti esplosisi dalle sotterranee mosse ignee, successe circa dodici secoli in tredeci prima della ridetta era. Cotali monti eruttatisi, prodottisi, ed esplosisi dalla incalcolabile forza de’ sotterranei fuochi sono appunto quelli, che principiano dalla vicinanza dell’abitato di Casamicciola, e per la via interna, e per sotto al cretaio tirano, e si vanno ad unire colli monti, i quali sovrastano alla villa de bagni, e ne ingombrano l’intiero limite. Luoghi dove abitare dovevano li divisati coloni a riguardo della qualità del terreno, della creta, e dell’argilla, stante essi come Greci erano benintesi per il lavoro delle stesse, e per impiegarlo nel servizio umano. Li medesimi monti si osservano tutti di una istessa natura di pietra, modificata per la lunghezza del tempo, mutata di colore, carozzata, e quasi resa atta potersi coltivare colla fatica, colla industria, e colla spesa; onde quasi tutti, ed in gran parte si sono ridotti a vigne, ed a coltivi boscosi. Quelli monti conservano ancora li stessi antichi nomi, e voci, quali sono, Negroponte, o sia Eubea, Eritressi, o siano Eritresi; e Cumani; cioè luoghi, che un tempo furono abitati dagli oriundi dell’isola di Eubea, e Negroponte, dagli Eritriesi, e dalli Cumani, e che doverono abbandonare per li tremuoti, per li gran fuochi, e vulcani, e per li bollori delle acque, e per l’elevazione del mare. La Rassegna d’Ischia n. 4/2013

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Quelli monti benvero vennero nel medesimo tempo formati da vulcani, i quali esplosero, ed esalarono, corrono sotto le denominazioni di Pietra marina, dello Schiappone, e di Chiummano volgarmente, e corrottamente, cioè cumano, li quali se in gran parte osservano modificati, e ridotti a cultura, ed a boschi, pur tutta volta si osservano su d’essi, sotto d’essi, e ne’ di loro laterali estesi delle pietre vulcaniche, pomicee, e bruciate, e vulcanizzate da sotterranei fuochi, eruttatisi, ed esplosi. Gli anzidetti luoghi ne’ trasandati tempi si denominavano Chiummani, ed al presente in parte così si chiamano ancora; gli stessi, che venivano divisati colla nomenclatura di Cumani dinotanti quelli luoghi, che un tempo, e prima di ammontarsi furono abitati da quelli Coloni Cumani, o siano Cumei, li quali vennero da Cuma di Eubea sotto il governo, e sotto la condotta d’Ippocle Cumeo. Il quarto vulcanico avvenimento accadde nel tempo di Ierone Rè di Siracusa, all’orchè quasi tutta la colonia siculosiracusana fu costretta abbandonare l’isola, ed i suoi lavori, e tornarsene in Sicilia; attesi li formidabili, e gran fuochi sotterranei eruttarono, ed esplosero fuori, l’eccessivo bollimento delle acque, e li terribili tremuoti. Cotale igneo successo, come si è fatta parola, avvenne in circa a cinque secoli prima dell’era cristiana. Ierone di già regnava in Siracusa nella Olimpiade del 78, la quale corrisponde all’anno 478 prima di essa Era. Li luoghi che poterono bruciare, e bruciarono, ed esplosero, furono l’orride Cremate, che dal confine del Lacco portano al di dentro del territorio di Forio, le quali si denominano Cornacchia, Caruso, Caccavelle, e Zara. Li monti bruciati, ed elevatisi ne confini della Città, che s’immettono nel territorio di Barano, e vengono additati co’ nomi di Spalatriello, di Tripeto, di Fiaiano, e delle sue lunghe e larghe adiacenze. All’ora pure vampò, e gettò vivo sotterraneo fuoco con corse, e con torrenti il vulcano del salito della villa di Campagnano, ed avvennero le spaventevoli eruzioni, ed esplosioni sotterranee, che portano dal mentovato vulcano a sin dentro al mare, e per lo spazio di più di mille passi verso la Città. Onde essendosi fossato, e scavato tanto dentro al mare, quanto dentro al territorio per la pubblica via, si sono di sotto trovati, ed osservati, come si trovano sempre monti di una pietra bruciata, e pumicea, ma densa, compatta, e forte. Essendosi fatta osservazione su la natura, e qualità della pietra di tutti gli additati vulcani, ed eruzioni, si è osservata essere di uno stesso modo, e per lo più in certi luoghi di pietra pomice, murara, e porosa; in altri densa, e dura; E per lo più tutti quasi corazzati; siccome della medesima qualità e la di loro sciolta polvere, renosa, e sabbiosa. A forza d’industria, di fatica, e di gran spesa, grandissima porzione di tutti gli enunciati vulcani si vede ridotta a coltivo, e ad aumento di ogni frutto, come l’altro resto si può ridurre. Appunto li predetti vulcani, e l’accese eruzioni sono quelle, che Strabone accenna essere avvenute poco prima di Timeo; il quale come naturale di Taormina ebbe opportunità di trattare in Siracusa, e raccogliere da quelli archivi, e da 28 La Rassegna d’Ischia n. 4/2013

quei cittadini le notizie istoriche de’ fatti, dell’esplosioni, delle sotterranee accensioni, e de fenomeni d’Ischia avvenuti in tempo di Ierone Rè di Siracusa, i quali erano freschi a tempo del Tiranno Agatocle, che viveva forsi più di 300 anni prima dell’enunciata era, e quando viveva Timeo. Nell’intelligenza, che li Siracusani doverono notare, come notarono li terribili vulcanici avvenimenti accaduti durante la di loro dimora in Ischia; siccome dovevano sapere, e notarono le perniciose novità vulcaniche, le quali successero in tempo, che gli Eritriesi, e li Calcidesi domiciliavano in essa Isola; e con quali doverono tenere del continuo commercio per la vicinanza di Cuma: Siccome doverono sapere gli stessi, e notare quelle altre vulcaniche eruzioni, ed esplosioni antichissime, onde il fuoco entrò degli stadii nel mare, ed indi il mare covrì l’intiera isola, e l’estinse, le quali novità e notizie essi stessi Eritriesi, e Calcidesi poterono tirare o dagli antichi Pitecusani, li quali prima di essi abitavano l’isola; o da discendenti di quelli abitatori del territorio occupato poi da sudetti Euboici, li quali furono tanto atterriti, e spaventati, che abbandonarono li luoghi littorali, e vicini al mare, e si rifugiarono nell’interno della Campagna, siccome riferì il Timeo nella di lui istoria, e dappoi accennò Strabone. Del pari, che potevano ricevere, e tenere da Cumei, da Cimmerii, dalli Dicearchi, e dal residuo degli Istrii, e de luoghi vesuviani. Dal tempo del governo di Gerone, in cui avvennero li formidabilissimi tremuoti, e l’espressate vulcaniche ignee eruzioni, ed esplosioni, si va a rilevare, e ad arguire, che sin dall’anno 1301 dell’Era cristiana non accaddero consimili, ed uguali ignee mosse, e scosse nell’Isola, mentre dopo la partenza de’ Siculi Siracusani avendo li Napolitani occupata l’isola, se la goderono con somma pace, e sommo profitto: Causa per cui li romani invidiando la di loro sorte, e la bellezza di essa, e suoi seni, gliela tolsero colla forza maggiore, e con aperta guerra: Anzi Augusto Imperatore avendo restituita a Napolitani la prefata isola per la permuta di Capri, li romani la tennero in tale maniera a desio, e ad occhio, che nelle occasioni, e nelle incidenze delle varie barbare incursioni, e specialmente in quella de Longobardi avendola di nuovo occupata, ci doverono avvenire degli replicati ordini imperiali, degli impegni autorevoli di San Gregorio Magno, e degli efficaci mezzi dell’Avvocato Romano, acciò fusse eseguita, come in fatti seguì, la restituzione dell’Isola d’Ischia a beneficio de Cittadini, e seniori napolitani. Riflettendosi, che se mai sotto il dominio de romani, ed al dominio de’ napolitani fussero successe nell’isola ignee catastrofi, ed eruzioni, e sovversioni vulcaniche, al certo che si sarebbero accennate, e riferite dalli scrittori latini, greci, e napolitani, che da Livio, da Strabone, da Plinio, e da altri. Se gli antichi scrittori hanno fatta alcuna quasi dettagliata menzione dell’inesplicabili accezsioni, ed esplosioni avvenute nell’isola d’Ischia, pochissima ne hanno fatto dell’isola di Procida; e nulla affatto delle isole di Ventotene, di Ponza, di Iannone, e di Palmarola; ma come che consimili avvenimenti successi in esse possono tenere ed analogia, e corrispondenza a quelli accaduti in Ischia ed al di loro


tempo, non è contro regola a darne talun ragguaglio; maggiormente, che gli avvenimenti delle stesse poterono succedere circa il tempo, che successero quelli delli Cimei, degli Astroni, e delli Vesuvi accennati dallo scrittore Beroso Caldeo Sacerdote del Tempio di Delo in Babilonia. Procida è lo stesso che profusa, avulsa, staccata, e tira la sua etimologia dal greco Απο το προκυμαι e dalla radice, προχεω che corrisponde ad essi termini. Essa quantunque tutta modificata, ed accedente al terroso, ed al tufaceo, pur tutta volta la coverta di quel laterale riguardo l’ovest è di pietra vulcanica; e non ostanti di esserne caduta nel fondo del mare gran quantità, ed in gran quantità, siccome si rileva dalli scogli si veggono discosti, ancora in detto laterale della detta pietra assai ce n’esiste: pietra vulcanica totalmente uguale alla pietra dello scoglio del Castello d’Ischia, ed a quella pietra, che un tempo covriva, ed in parte ancora covre quel laterale, che dall’abitato della città d’Ischia conduce a tutta la tirata di sopra alla spiaggia romana, attaccata al confine del primo monte di Campagnano. Sicché Prochita -tae, e Prochita -tes, oggi Procida, siccome Strabone nel libro 5 riferisce di essere stata spiccata, avulsa, e staccata dall’isola d’Ischia, il di cui testo di sopra fu trascritto; così Plinio nel l.2 c.88, e nel l.3 c. 6 con maggior enfasi contesta lo stesso: In eadem et oppidum haustum profundo; alioque motu terrae stagnum emersisse; et alio provolutis montibus insulam extitisse Prochitam... Quia ab Aenaria profusa erat, Prochita fuit dicta. Dunque Procida per effetto di vulcanica esplosione, e di uno eccessivo tremuoto rotolati i monti ne venne l’esistenza, e la sua formazione. Strabone, e Plinio meritano tutta la fede, e la credenza, ma come che di tale esplosione, tremuoto, e di tal’esistenza non disegnano data di tempo, nè tampoco verun’antico scrittore, o documento, par che diano luogo a doversi, e potersi mettere al chiaro tale verità. All’orché si tratti a venirsi a cognizione, ed a scienza di successo, e fatto di un’apertura di terra, e di entrata di acqua, per cui o un lago, o una baia, o un mare mediterraneo si è formato; o pure di venirsi a cognizione, e scienza per se mai una isola in mezzo al mare si fusse staccata, e separata o dal continente, o da altra isola per effetto di uno straordinario moto, e fenomeno della natura, la notizia tendente alla verità del nuovo avvenimento deve tirarsi o da scrittore contemporaneo, o quasi: o da sincero, e fedele documento, o pure da fedele tradizione; e quando mancano tali pruove, è regola di doversi ricorrere, e di ricorrersi alli laterali in prospettiva. Così per lo più in tali avvenimenti suole accadere, e di doversi far capitale de laterali, stante la rimotissima, ed oscurissima antichità, in cui essi successero, e che non ci erano idonei soggetti, e scrittori per tramandarsene a futuri le notizie. E’ vero che per il distacco, e per l’avulsione di Procida ci sono li sudivisati gravi scrittori Strabone, e Plinio, che attestano di essere accaduta da Ischia, ma per riguardo alla rimot’antichità del successo, sembra, che siano scrittori di fresco: onde per curiosità almeno si ricorra a laterali, per

vedersi se mai le diligenze, e l’osservazioni siano per arrecare appagamento. Esplorati, ed analizzati li due laterali di Procida, e d’Ischia in incontro, e a prospetto, ed appunto il laterale del Castello, e dell’abitato d’Ischia, si trovano, e si osservano essi all’intutto dissimili, ed ineguali, ed in tutte le di loro parti, siccome ineguali, e dissimili nel materiale, essendo l’accennato laterale di Guevara, e del Capo di Procida di pietra tufacea, accedente al tufo; e il laterale d’Ischia un tempo nella parte esterna tutto di pietra vulcanica forte, e dura, ed al color del piombo, al presente tutta terrosa, e pozzolanica; ed al di sotto, e nella base ancora di detta pietra dura. Solo si deve dire, e si osserva, che il freto si contiene tra li predetti due laterali, è intieramente nel fondo pieno di scogli, e di pietra vulcanica, e per effetto di grandissime, e formidabilissime eruzioni, ed esplosioni ignee vulcaniche un tempo in esso avvenute. All’opposto esploratisi, ed analizzatisi con esatezza li due laterali, cioè quello di Procida riguardo il nordest, e quello del continente rimira il sud, si rileva chiaramente l’eguaglianza, l’approssimazione, e la elevazione de’ due divisati laterali, e sì in ordine alla lunghezza, ed all’altezza, e sì in ordine alla qualità, ed alla coerenza della terra, e della materia terrosa, verso le parti rimpetto all’est e nordest, ed alla qualità e coerenza della pietra tufacea, e quasi tufacea verso le parti del nord, e nordvest; e verso quella linea, che tira verso lo scoglio di San Martino. Ma via più si osserva, e si rileva la rettitudine di tale giudizio dalla esplorazione delle due punte verso l’est; e propriamente quella di Procida riguarda il nordest, e sta in linea del real palazzo, e quella del continente rimira il sud attaccata al luogo chiamato Miliscola; in dove esistono, e si veggono a corrispondenza, ed a linea due tirate, e strisce, entranti nel mare, di una pietra bruciata, e vulcanica; la quale è di una istessa natura, forma, e qualità, accedendo all’intutto al pomiceo, ed al colore nero. Esse due tirate di pietre vulcaniche bruciate, abbenchè facili a spezzarsi, ed a sciogliersi, pur tutta volta non ostanti l’elasso rimotissimo, ed immemorabile dell’avvenimento, e non ostanti l’antichissima, e violentissima battitura continua delle onde, e delle maree, ancora se ne veggono, e se ne osservano in parte: In ogni modo però la maggiore, e la più tirata delle stesse è stata distrutta, sciolta, e profondata nella sabbia; Anzi gli stessi vecchi assicuravano che tanto nel tempo loro, quanto nel tempo de di loro maggiori per la forza, e per la violenza dell’onda, e della marea le due mentovate tirate di pietre assai, e notabilmente si erano consumate, sciolte, e distrutte. L’enunciate osservazioni, e riflessioni fanno conoscere, che in un tempo più che discosto, e rimoto, ed ignoto alli medesimi di sopra divisati scrittori, dové accadere, come accadde nel suddetto continente una sotterranea sì formidabile ignea accensione, ed eruzione, come una terribile, e violentissima mossa, e scossa di terra, le quali doverono sbalzare, e gettare, dal descritto sito del continente, e verso Ischia l’isola di Procida, ed in dove acquistò la sua stabilità, e fermezza. E tale avvenimento potè, ed ebbe a succedere nell’epoca, in cui accaddero gli orribili sotterranei fuoLa Rassegna d’Ischia n. 4/2013

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chi, e vampamenti nei luoghi, e tenimenti de Cimei, e degli Istrii menzionati da Beroso, all’orchè l’orribilissima novità arrivò, e giunse fin’a Babilonia, ed in quelli fasti notata, d’onde Beroso la rilevò; Ed in quella medesima epoca, che doverono accadere gli straordinari, e spaventevoli sotterranei fuochi, ed esplosioni, onde sortirono, e s’inalzarono li monti di Campagnano, dell’attuale Castello, di San Pietro, e di Vico; la di cui vulcanica pietra si è osservata di una istessa natura, di uno stesso composto di materia vulcanica, e di una medesima qualità, ed all’orchè successero quelle terribili esplosioni vulcaniche per effetto di eccessivi sotteranei fuochi, le quali si osservano, e si veggono sotto l’acque de rispettivi mari d’Ischia. Ma affinchè l’enunciate riflessioni non siano prive di ulteriori appoggi, si replica con maggior distinzione, che la materia vulcanica di Procida nel tutto, e nella maggior parte sebbene sia divenuta modificata, ed acquistata altra natura, abbia, pure il laterale riguarda il vest dimostra ancora la qualità, e la natura, e la costituzione, non ostanti la gran quantità cadutasene, e profondata nel mare, di quella pietra vulcanica del Leucogeo vicino, ed accostato al lido del mare; delle montagne di Campagnano, del Castello, e dell’antico laterale d’Ischia, del vulcano di San Pietro, e della terribile esplosione del monte di Vico. In questo divisato, e descritto tempo poterono, e doverono succedere l’esplosioni, e l’eruzioni vulcaniche delle isole di Ventotene, di Ponza, di Iannone, e di Palmarola, le quali abbenchè modificate, e divenute terrose, e pozzolaniche, ancora contengono ne laterali, e al di sotto della pietra, e de monti di pietra in tutto, e per tutto eguale, e consimile alla natura, ed alla qualità della descritta pietra del Leucogeo, di Procida, e d’Ischia. Il grande, ed alto scoglio denominato Santo Stefano divisa di essere stato un formidabilissimo vulcano prodottosi da una straordinaria accensione ignea sotterranea in mezzo al largo, e lungo pelago di Ventotene, ed in quel gran fondo di mare elevatosi a molta altezza. Cotale scoglio è assai più largo, ed assai più alto dello scoglio del Castello d’Ischia, ma la natura, e la qualità della sua pietra vulcanica è la medesima, e senza verun divario, che la pietra vulcanica dello scoglio dell’anzidetto Castello, e degli altri vulcani come sopra. Il medesimo dovè essere orribilissimo, e terribilissimo; mentre all’intorno di esso in gran lunghezza, larghezza, ed estensione, di sotto a quel fondo di mare, tutto è scoglio vulcanico, produzione di fuoco sotterraneo, e violentissima eruzione ignea: cotale scoglio, o sia tirata longhissima di scogli sotto l’acqua di quel pelago, si estende sin all’isola di Ventotene, in dove li pescatori non possono tirare le reti per pigliare il pesce, ma solo possono stendere le reti per pigliare il pesce, che s’infilza. Tale scoglio è sito all’est di Ventotene, e dalla stessa è distante circa un miglio; E come si è accennato, il masso della pietra vulcanica è durissimo, e denso, e forte, eguale alla pietra vulcanica di quelli stessi luoghi d’Ischia, di Procida, e del Leucogeo: Tutta la faccia esterna di tale scoglio si è mantenuta nello stesso stato di pietra vulcanica, come esplose, senonchè in alcune parti rosa dalle onde, e dal sale 30 La Rassegna d’Ischia n. 4/2013

marino. La superficie poi di sopra in parte acuminata, ed in parte piana, e scoscesa è intieramente tufacea, ed in modo porosa, che piovendo, diventa tale tufo facile a rompersi; e riscaldandolo il sole, diventa duro; se non che cede, e non resiste al ferro. In parte il tufo si osserva di pochi piedi di profondità, in altra di molti, e molti piedi. Questo scoglio fà conoscere con chiarezza, come la pietra vulcanica, condensata, silicea, e forte possa col tempo modificarsi, ed acquistare natura di nuova, ed altra sostanza, e materia. Infatti, oltre la divisata superficie tufacea, essendo occorso di farsi taluno scavo nel mezzo, e nell’ammasso del suddetto scoglio, ad oggetto di costruirsi delle cisterne, e piscine per conservare l’acqua delle piove, si dovè prima rompere per più piedi in fondo il tufo, indi si trovò del grosso lapillo più piccolo, e minuto; onde incavatosi, e fossatosi maggiormente il fondo, si trovò la materia terrosa, e pozzolanica, idonea per nutrire, ed alimentare le piante, e per impastarsi colla calce; e cotale terrea miniera portò sin’a venti piedi in giù, in dove s’incontrò la pietra, la quale era così forte, marmorea, e ferrea, che appena a forza di martello, e di scalpello se ne poteva rompere de pezzetti, che era di gran peso. Il governo romano si serviva del predetto scoglio in mezzo al mare isolato per rilegazione, e per esilio di coloro, i quali all’intutto si volevano levare, e separare dalla comunicazione, e commercio umano. A qual’effetto nello stesso si sono osservati ruderi di fabriche, e di piccole stanze a guisa di carceri: Ancora tumoli, ma di rozzo marmo; Benvero piscine da acqua; e sotterrato dalla terra si scovrì un tempiuccio, il quale fu incavato, e costruito nella viva pietra, però intonacata, e con altare. L’ignoranza lo fece subito seppellire, e covrire con terra, e piantarci di sopra, senza essere bene osservato, e diligenziato. Verso la fine del secolo 18 cotale scoglio con numerosa spesa nella parte più sicura, e più opportuna fu ridotto ad ergastolo atto a ricevere al di sopra di 400 condannati, siccome al presente, ripristinato, di già contiene più centinaia di rei. Ventotene, che è l’isola Pandataria degli antichi, quantunque modificata, e ridotta a materia terrosa, pura dà evidenti segni di essere stata un tempo vulcanizzata, e molta pietra, specialmente l’è d’attorno, si conosce senza verun dubio vulcanica. Essa da tempo immemorabile è stata sempre desolata, ed abbandonata, e senz’alcun abitante. Appena taluni pescatori dell’isola d’Ischia in certi mesi dell’anno, e particolarmente nell’inverno ci solevano dimorare per la pesca dei pesci, ma sempre erti, e guardingui. Il suo territorio conteneva, e produceva solo alcune piccole piante boscose per uso di foco; Anzi gli stessi pescatori disprezzavano tanto il suolo, e quella pianta, che la facevano conoscere incapace di coltivo. Il Re Ferdinando dopo la mettà del detto secolo 18 diede l’opportune providenze per farla da famiglie bracciali abitare, e coltivare; Infatti le famiglie si sono moltiplicate, e si sono ridotte sotto il governo, e sotto la disciplina. Le accennate famiglie hanno dimostrato di essere applicatissime alla fatica, al lavoro, ed alla coltura, avendo esse au-


mentato per intiero tutto il territorio dell’isola a vigne, ed a produzione di biade, e di legumi; e si è conosciuto il terreno essere fertilissimo, quando è da volta in volta inaffiato della piova; e li legumi al di sopra di ogni altro genere sono saporosi, e facilissimi a cuocersi. L’isola di Ventotene nel tempo del governo romano stava destinata per luogo di rilegazione, e di esilio; ed in dove per lungo tempo, e con tutta giustizia stiede rilegata Giulia figlia dell’ Imperatore Augusto, e moglie di Tiberio, d’onde passò in Reggii, e dove disperatamente morì. In essa fu a torto dall’empio Nerone rilegata la buona Ottavia figlia dell’imperatore Claudio, e dove l’ottima Principessa fu fatta trucidare dall’empio marito Nerone per rendersi sodisfatta, e contenta l’indegna Poppea. Era la principessa di anni venti quando morì. A miglia 18 distanti da Ventotene verso il vest, ed a miglia 12 distanti da Ponza verso l’est nel mezzo di quel pelago s’incontra uno scoglio vulcanico di altezza a più di passi 15, ed all’intorno dello stesso, e per lunga tirata di sotto al mare si osservano scogli; e gli stessi non sono altro, che una terribile accensione ignea sotterranea esalatasi, ed esplosasi in mezzo a quel mare in un tempo assai rimoto. A miglia due distanti dalla medesima isola verso l’est si osservano a livello dell’acqua del mare, e da fuori ancora scogli di pietra vulcanica bruciata, li quali non ostanti l’immemorabile antichissima, e violentissima battitura della marea, pure si mantengono, e non sono distrutti, e consumati; essi sono una manifesta apparenza di una spaventevole eruzione di fuoco sotterraneo esplosasi, ed esalatasi in mezzo, e nel forte di quel mare. L’isola di Ponza quantunque modificata, e quasi tutta coverta di terra si osserva in tutte le sue parti di essere stata un tempo rimoto intieramente vulcanizzata, e soggetta, alle sotterranee ignee eruzioni. Essendosi osservati certi monti coverti dalla terra, e dalla polvere cenericia, al di sotto di otto in dieci piedi non si è altro trovato, che pietra vulcanizzata, dura, silicia, e forte, siccome all’intorno si è osservata, e si osserva consimile pietra, e del pari, che nell’interno dell’isola, la quale pietra non è arrivata ad essere dalla terra, e dalla cenere coverta; E la pietra de’ monti è simile, ed uguale alla pietra de monti d’Ischia, siccome l’altra all’intorno di essa eguale a quella dell’intorno d’Ischia. Due isolette, o siano due monti elevati acuminati, una alcuni passi distante da Ponza, l’altra distante verso il vest circa dieci miglia, chiamata Palmaria da Latini, indi Palmaruola, sono due vulcani prodottisi in mezzo al mare. Un’altra isola distante otto miglia verso il nord, non tanto elevata, ed have del piano, dimostra di essere stata vulcanizzata, e di essere stata soggetta a grande ignea sotterranea eruzione. Si chiama Sanone: Sinonia. In distanza a 50 miglia da Ponza verso il libeccio un certo equipaggio viaggiatore sinceramente riferì, che essendo con bastimento passato per sopra a quell’altura di mare con calma, quiete, e senza ondeggiare osservò di sotto lunghe, e larghe tirate di estesi scogli; onde si rilevò, che la tanta, e sì grande quantità di ligoste (Licuste, lacuste marine, volgarmente dette Ragoste) si soleva pescare, e tirare nelle

acque di Ponza nella primavera, e nell’està di ogni anno, sortivano dalli mentovati estesi scogli. Intanto le anzidette isole essendo state sotto il dominio de’ romani, pure non ci è scrittore, che faccia menzione delle vulcaniche di loro eruzioni, ed esplosioni: onde le stesse furono così rimotissime, ed antichissime, che furono ignorate agli stessi scrittori, ed istorici greci, siciliani, e latini; e doverono formarsi e succedere all’ora quando vamparono, e bruciarono li suoli, e li luoghi de’ Cimei, de’ Vesuvj, e degli Istrii con tutta la regione abbruciata, e col Leucogeo, coll’Ermeo, e con Nisita, e suoi scogli, che con Ischia, con Procida, e Santo Stefano, e con tutto il mare ad essa regione adiacente, in dove avvennero ed in un tempo rimotissimo alterazioni ignee, sotterranee eruzioni, ed esplosioni tanto straordinarie, e formidabilissime, che in parte si poterono notare tra li fatti, e memorie babilonesi, delle quali Beroso fece menzione. La ridetta isola di Ponza è di circuito di circa miglia 12, tutta montuosa, e senza verun piano, inalzandosi dal livello del mare a tal’elevazione, che appena in due luoghi si può approdare, e pigliare territorio, ad oggetto di potersi immettere in essa: Uno viene denominato Le Forna, in cui si può pervenire con bastimenti piccoli; e l’altro è il porto, il quale è un cratere, ed una conca quasi rotonda, e naturale, capace di ricevere grosse Fragate, e bastimenti di alto bordo, e mantenerli con sicurezza. Sta nel mezzo di tanti colli, e basse rupi, all’infuori della bocca di entrata rimpetto il nordest. Al suo bello, e vago suo sito naturale, e sicuro ci si accoppiò la dispendiosa maestria, e scienza del Genio sotto il dettame dell’erudito Ingegnere D. Antonio Vispeaer; onde divenne tale porto uno delle belle, e sicure opere marittime. La medesima isola venne destinata dal governo romano per luogo di rilegazione, e di esilio. Molte antiche fabriche fanno divisare di essere stati in essa soggetti insigni, e rispettabili, e fabriche così antiche, le quali si trovano sotto la terra sepolte; e specialmente quella, che volgarmente, e scioccamente si chiama la grotta di Pilato: la stessa è sita sopra un’ameno viale del porto, che per via di fabriche, e di gran pilastri, ed archi s’immetteva sotto terra, ed andava a spuntare ad un grande ammasso di pietra vulcanica attaccata al mare, in quale pietra furono incavate, e costruite comode, e grandi vasche, per uso di bagni di acqua del mare. Fabrica dell’età media non si osserva, e forsi in tempo delle scorrerie de barbari, e Saraceni fu abbandonata all’intutto, per cui l’attuali famiglie non arrivano all’antichità di cento anni, siccome non arriva il coltivo, ed aumento di qualche pezzo di territorio, mentre tutto era incolto, e prima di cent’anni intieramente tutto il territorio dell’isola era boscoso, e di piante selvatiche: Attualmente tale isola ha mutata faccia, in ordine agli totali aumenti di vigne, di frutti, e di uso per semina, siccome ha mutato aspetto in ordine alle fabriche ed alli lavori per abitazioni, essendosi fatto tutto per uso della umanità. Nel tempo della media età, e sin agli ultimi tempi si osservavano in Ponza solamente opere di grotte incavate nella pietra vulcanica a fine di abitarsi da gente bracciale, e da travaglio, ed all’infuori di qualche casella che taluno si La Rassegna d’Ischia n. 4/2013

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aveva costruito. Il Duca di Parma, e Piacenza, che ne acquistò il dominio ci fece ergere, e costruire una ben spaziosa torre su d’un’altura, che dominava l’entrata del porto. In una spiaggia renosa dentro al porto, la quale sta verso il vest esisteva una porzione di chiesa, che la tradizione faceva chiamare Santa Maria: Essa invero sembrava di essere antica, ma di semplice calce, e pietra costruita; correva voce di tradizione, che San Silverio vi celebrava le sacre funzioni: Quella parte verso l’altare faceva rilevare, di essere stata cappella forsi da mille e più anni edificata. La storia ecclesiastica ci somministra alcun lume relativo all’esilio di persone insigni in tale isola. Flavia Domitilla di famiglia consolare nel primo tempo dell’era cristiana, e sotto il governo di San Clemente Pontefice fu da Terracina esiliata in Ponza per causa della fede cristiana, in dove di unita a due vergini del suo seguito, e compagnia Eufrosina, e Teodora, e tra gli altri ad Achilleo, e Nereo Eunuchi di suo servizio, soffrì l’ingenti travagli, e vessazioni: d’onde asportata di nuovo in Terracina fu per la fede martirizzata, ed in unione delle divisate due vergini, mentre Nereo, ed Achilleo per la stessa causa della fede furono altrove martirizzati in esso luogo. Silverio Papa figlio del Pontefice Orsmida fu eletto Pontefice nell’anno 537 per morte di Agapeto Papa. L’Imperatrice Teodora non potendo ottenere di restituirsi nella sede di Costantinopoli Antimo Capo degli Eutichiani, per mezzo del Generale Belisario sul falso pretesto di tenere intelligenza con li Goti lo fece esiliare a Pataro nella Licia, nell’anno 538, e fece eleggere in di lui luogo Virgilio. Giustiniano Imperatore informato dell’ingiusta pena di Silverio, ordinò, che fusse rimesso nel pontificato, e liberato dall’esilio; ma Bellisario lo rilegò nell’isola Palmaria; in dove morì nell’anno 540 consumato dalle calamità, e dalla fame. Gli scrittori, è vero, che riferiscono di essere stato in Palmaria esiliato Silverio, ma osservatosi di essere tale luogo un monte esploso in mezzo al mare, e di non esistere in esso il menomo rudere o di fabrica, o di abitazione, ancorchè incavato nel monte, fà rilevare di non essere stato nello stesso esiliato, e di avere per due anni ivi dimorato. Più tosto si osservò alcun pezzo di rozza fabrica nell’accennata Ianone, dove si opinò d’avere potuto dimorare nell’età media taluna unione o di monaci, o di romiti, ed a ragione, perché la storia fa sapere di avere e monaci, e romiti abitati nelle isole del mediterraneo, e via più dell’Italia, le quali erano all’intutto deserte, e derelitte, e prive di qualsiasi abitante, e maggiormente, che l’additato pezzo di fabrica faceva conoscere di essere stata fabrica da monastero, e da luogo di aver potuto contenere più soggetti uniti, e raccolti. Però di qualunque forza, e di qualsiasi appoggio fusse per essere la tradizione di avere dimorato Silverio in Ponza, e non altrove, e ben vero taluno straordinario lume su l’assunto, si fà noto, che siano sotto la lettura due lettere di Silverio scritte, e dirette da Ponza, e con data di Ponza, le quali fanno chiaramente rilevare di essere stato esiliato in Ponza, ed in Ponza aver dimorato. 32 La Rassegna d’Ischia n. 4/2013

In fatti doveva egli dimorare in quel luogo, dove ci era il governo, ed ove ci erano quelli soggetti incaricati da Teodora, da Bellissario e da Virgilio, affine d’invigilare su Silverio, e di esercitarlo tra le crudeltà, tra gli atti inumani, e tra le tormentose vessazioni: Onde se fusse stato lontano da Ponza, ben ci era chi ben poteva aiutarlo, soccorrerlo, e condurlo in parte esente dalli tiranni, e da carnefici. Se certi eruditi opinano di essere le sù accennate lettere di Silverio suppositizie; abbenchè si voglia assentire a tali eruditi, pur tutta volta sempre esse fanno conoscere la dimora, e il soggiorno in Ponza: Perchè Isidoro Mercatore volendosi il fattore delle stesse, e di altre, non solo per vastità di mente, ma per dottrina, e per istoria, che per essere stato vicino al tempo di Silverio poteva ben sapere, e poteva ben dare la certa notizia del luogo speciale dell’esilio, e del dominio di Silverio, quale fu l’isola di Ponza. La leggenda della Chiesa lo venera, e descrive come Santo, e martire, e martire morto a Ponza. Dopo aver data un’idea generale, ed un saggio riguardo all’isola d’Ischia, e tanto in rapporto alla sua esistenza, ed alli suoi antichi abitatori, quanto rispetto alli rovesci, all’eruzioni, ed alle accenszioni vulcaniche sofferte, siccome in ordine alli suoi prodotti frittiferi copiosi, ed alle sue diverse miniere, si stima passare a darsi un ragguaglio distinto e particolare di quelli comuni, e casali, e di quelli luoghi topografici, che sono nell’isola, e la compongono. Si fece menzione, che tutti gli abitanti anticamente facevano domicilio nel Castello d’Ischia, e tutti gli rispettivi governi, ad oggetto maggiormente di sfuggirsi, e di evitarsi le barbare incursioni, ed invasioni, che gli effetti perniciosi delle vulcaniche accenzioni, e de’ tremuoti. All’orchè poi principiarono a passare tali timori, gli accennati abitanti pian piano, e gli uni dopo gli altri abbandonando quella bella, graziosa, allegra, e salubre dimora del Castello, si dispersero per tutta l’isola, e formarono delle contrade, delli vichi, delli casali, e dette terre, come si determinarono per li rispettivi governi economici, e per le publiche amministrazioni. Li primi che uscirono, destinarono per loro dimora quel luogo rimpetto al medesimo Castello, ed attaccato al di lui istmo, che si denomina Gelso, come attualmente si nomina, a causa che in tale sito ci era stata una grande piantaggione di alberi di Gelsi: Sito, che guarda la spiaggia e li colli dell’antica Cuma, e l’isola di Procida al nord, ed al nordest. Tali abitanti qui passati si moltiplicarono in tale numero, che formarono una Città; ed in essa vennero trasferitti tutti li privilegi, le prerogative, ed i governi dell’antichissima città, stava sopra il Castello, e le altri doti, ed onori, che il titolo di fedelissima, conceduto dalli regnanti con diplomi per essere sempre stata fedele, ed agli stessi attaccata. Essa sta posta al lido del mare, e per una delle punte sta unito con quel lungo molo, o sia istmo, che si giugne colla prima entrata del Castello, e contiene, propri abitanti al numero di 2758. Tiene alle sue spalle riguardanti il sud una dilatata villa, che si stende per quelli monti di Campagnano, e per quelli luoghi chiamati Sant’Antuono, ed il Corvone, popolata di


abitanti al numero di 1185. Tiene un’altra villa chiamata de’ bagni, che le stava verso il vest, popolata di abitanti al numero di 808. Gli uomini della campagna attendono al lavoro, al coltivo, all’aumento, ed al leggiadro mantenimento de territori: Quelli vicini al littorale attendono al negozio, ed al commercio colla Sardegna, in dove co’ di loro bergantini, ed altri bastimenti portano delle sete tessute, e delle lane lavorate, siccome delle tele di lino, e di canape; e caricandosi di formaggi bianchi, li vendono nella Capitale del regno di Napoli; e per lo più questo commercio, e negoziato suole essere di gran profitto, e di ricchezza per il proprio paese; Ed altri abitanti poi stanno addetti alla pesca de pesci o ne’ mari della stessa isola, o dell’isole di Ponza, e Ventotene; e tutto il pesce si manda nella cennata Capitale. Le donne non sono oziose, e sono applicate a filare il lino, ed il canape, ed a tessere delle diverse tele fine, belle, e di durata; e pare che quelle delle campagne siano molto industriose. Li territori producono uve di varie sorti, e tutte saporose; e da esse si ricavano vini spiritosi, e vigorosi, e moscati delicati, e graziosi: Producono frutti, e fichi saporosi, che biade, granoni, e legumi. La piazza è sempre provvista de’ primi generi di commestibili, e di famoso pane: siccome sta sempre provvista di ogni genere di vestire, e comparire sì per il tempo estivo, e sì per l’inverno. Le sue vie, che conducono nelle ville di Campagnano, e del bagno sono carrozzabili, amene, e vistose, come talune strade in mezzo della città sono anche carrozzabili, e larghe, e portano nel lungo, e largo molo, o sia ponte; o sia istmo, che unisce la città al Castello, ed è un passaggio allegro, delizioso, e vistoso, in mezzo a due mari. Verso il sud mira le dilettevoli campagne, e gli intersparsi casini, e verso il nord mira Procida, la spiaggia di Cuma, e tutta la tirata di Gaeta, e di lei monti, siccome verso il vest la propia città colla spiaggia del luogo detto Sant’Antonio, tutta piana di belli vistosi casini a forma di palazzetti; come verso l’est si mira il Castello, e l’isola di Capri. Passeggio, che dopo tramontato il sole ristora, e rinfresca per li zefiretti, e per le aure che si respirano, e soffiano. In mezzo alla publica, e principale strada esiste una vaga fontana, che tramanda perennemente acqua limpida, e saporosa, la quale per mezzo di tubi, d’archi, e di magnifici ponti, scorre, e deriva dal monte Abuceto, quasi falda del monte epomeo, e viene dalla distanza di quasi quattro miglia; ed è una felicità di godersi un’acqua gustosa, e dolce senza ricevere una menoma alterazione minerale, nonostanti un sì lungo passaggio. In tempo del vicerè il Cardinale Granvela l’acqua fu portata dal detto monte Abuceto nella città, il quale concedè per un certo tempo a beneficio della città il dritto che si pagava su la tratta del vino, affine di potersi pagare la gran spesa per l’occorrente necessaria costruzione; ed il vescovo d’all’ora somministrò dell’aiuto e del soccorso. D. Orazio Tuttavilla Governatore dell’isola fu incaricato per l’esatta esecuzione e vigilanza. Egli doveva essere cittadino della sudetta città d’Ischia, mentre era padrone di una gran torre,

ancora nella stessa esistente. Quel dotto, savio, e santo vescovo fu Monsignor Vescovo Girolamo Rocca, l’onore, ed il decoro della Chiesa d’Ischia, di cui si parlerà all’orchè si tesserà il catalogo de vescovi; quando l’acqua per li condotti sotterranei si conduceva alla divisata fontana, stava su le case laterali al Cisternone per vedere il desiderato passaggio, fece apponere sulla detta fontana li seguenti versi, che si sono ricercati in libri estranei. Has sudavit aquas cereris patientia Curtae Edocuitque famem ferre magistra sitis Quando poi di nuovo si fece, e si costruì la medesima, il Barone Antonini scrittore dell’istoria della Lucania compose la seguente iscrizione: D. O. M. Aquam ex fonte Buceti Ad IV M. Q. publico Aere derivatam Labroque ex Tiburtino lapide ornatam Et turri, in qua concilia fiunt, adpositam Addito Horario Decuriones Pithecusani Utendam, fruendamque Civibus dederunt A. MDCCLVIII Prima di riceversi da cittadini il grato soccorso dell’acqua di Abuceto, verso l’est a mano dritta, ed in mezzo a certi scogli sotto il territorio di Sorenzano venne formata una vasca, la quale in parte ancora esiste; ed in essa li cittadini andavano a raccogliere, ed ad attingere l’acqua, la quale non era ingrata. Appunto vicino alla stessa dopo il mezzogiorno la nobile donzella Restituta Bolgaro, figlia del Castellano Bolgaro, (il quale per causa di salute abitava nel sobborgo all’ora del Castello, e dell’antica Città) mentre si spassava, dopo il mezzogiorno, pigliando frutti, e granchi di mare, fu veduta dall’equipaggio di un bergantino calabrese, che stava ancorato dietro certi scogli in vicinanza, fu dal medesimo rapita, ed indi condotta in Palermo, e fu regalata al Re Federico. Giovanni di Procida, nipote di quel celebre Giovanni di Procida autore del vespro siciliano, si portò in Palermo ad oggetto d’avere in potere l’anzidetta Restituta, a lui promessa in sposa, e fuggirsela; lì riuscì a sottrarla, ma all’atto si tentava la fuga, furono tutti due sorpresi, e furono condannati dal Rè Federico ad essere bruciati vivi, dopo esposti ignudi alla berlina. Ruggiero di Loira grande Ammiraglio di quei tempi mosso dalla curiosità si condusse a vedere quella rappresentanza, e conobbe Giovanni, che da figliolo più volte l’aveva tenuto in mezzo alle di lui cosce in compagnia del zio, che benvero entrò nella cognizione di Restituta figlia di Marino di lui amico; Per lo che diede ordine a non eseguirsi la giustizia, ed intanto presentatosi al Rè Ferdinando, li diede distinta relazione, che Giovanni era nipote di quel Giovanni di Procida, per il quale stava godendo il regno; e RestiLa Rassegna d’Ischia n. 4/2013

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tuta era la figlia di quel Marino Bolgaro, che manteneva sotto il suo real dominio il Castello, e l’isola d’Ischia: A tale discorso subito il Rè diede le providenze per la di loro libertà; onde poi carichi di regali si partirono da Palermo, ed arrivarono in Procida, di cui era Giovanni padrone. In un manoscritto, che più non esiste, si leggeva, che Giovanni, all’ora quando con barchetta da Procida si conduceva in Ischia per parlare con la di lui diletta, osservando alle volte di essere arrivato ad ora, che la gente stava ancora in commercio, si soleva nascondere in un bosco d’agnocasto, vicino al lido, il quale occupava un’intiera spiaggia sabbiosa, attaccata quasi all’abitato: Parte di tale bosco sin agli ultimi tempi esisteva nella suddetta spiaggia. Pochi passi appresso la mentovata vasca sita tra scogli viene il bello, ed ameno Podere de’ Signori Duchi di Bovino, che si denominava il Ninfario: Consiste in una spaziosa torre costruita, ed eretta su di un rialto rimpetto all’est, ed al Castello: Al di sotto ci è il mare, ed un vaghissimo giardino costruito dentro al mare in due lati con mura forti, e con banchine, mentre altri due lati sono naturali dalla parte di terra; ed è pieno di aranci, di frutti, di fichi, e d’uve, in dove ci erano de’ vistosi belli vederi costruiti: lo stesso veniva al di fuori, come viene, guardato, e guarnito da molti graziosi scogli vulcanici, che servono ad impedire li violenti urti della marea del levante, e dello scirocco; e su di alcuni di essi scogli ci era la caccia de’ cunigli, dove si andava per mezzo di un moletto; e al disotto di uno di tali scogli stava incavato a forza di martello, e di scalpello un ben posto bagno. Alla destra, a linea del Nord, poi di essa torre seguiva una tirata di vigne, ed una via formata sul mare conducente ad una Cappella gentilizia, e ad un giardino di aranci; Indi l’attaccava un’ameno bosco sostenuto da fabriche, che serviva per la caccia de’ volatili, de’ lepri, e de’ cunigli; Appresso li veniva una deliziosa selva castagnile; e dappoi proseguiva uno spazioso territorio vignato, che verso il sud circondava la torre, e si estendeva sin’al giardino sul mare, ed alli belli vederi. Ed intanto tutto l’intiero descritto territorio stava da parte in parte guarnito di alte annose querci. La predetta torre dalla parte di dentro oltre tanti comodi era dotata di particolari stucchi a foggia di quei degli antichi romani, e di particolari pitture per la grada, e per le stanze. Le stanze sì per il lungo passare degli anni, e sì per l’incuria degli inquilini, e coloni si sono rese prive di quelle belle pitture, per essersi prima annegrite dal fumo, e poi biancheggiate. Solo in una stanza una soffitta si è mantenuta intatta, in cui è rimasta una pittura, forsi della scuola del Zingaro, consistente in un bel gruppo di sirene e di sfinci, ed in dove sta una ben fatta pianta dell’accennato podere, degli adorni, e de mentovati belli vederi, ed ove sta anco la pianta del Castello, onde si rileva la bellezza, e la vaghezza del medesimo, e la sorprendente costruzione degli palazzi antichi, e delle antiche case, che nell’istesso esistevano, e colla comparsa di una grande bandiera, che, maestosamente dimostra, batteva l’aria, ed era sita sul di lei maschio. Dalla parte del sud si mirano li monti della villa di Cam34 La Rassegna d’Ischia n. 4/2013

pagnano, chiamati la torre, e il piano di Liguori; tutti aumentati di vigne, di fichi, e di frutti con alcuni boschetti, e selve; e tali luoghi intersparsi di case, le quali fanno una comparenza vistosa; e li medesimi così aumentati, in particolare dalla parte di dietro, e verso l’est producono vini squisiti, e poderosi, e frutti saporosi. Verso la parte della nominata torre, e dell’adiacente territorio di San Pancrazio si fa un vino moscato preziosissimo, e delicatissimo, e via più quando non si fà con tanta mischia di uve bianche non moscate, e colle regole dell’arte; e non cede alli primi moscati del mondo. Al vest della città s’incontra una via carrozzabile, e da passeggio, che tende verso il littorale, dove si osservano tanti belli, e vistosi casini, ed al primo aspetto s’incontra il casino, che da circa quattro secoli fu abitato dal dotto, e raro uomo Gioviano Pontano, delizia, e quiete del suo animo, ove veniva a componere le grandi, ed erudite sue opere, e libri, ed a prendere ristoro. Attaccato dal detto casino ci era un grato, ed ameno territorio pieno di viali, di alberetti, e di acrumi, e ci era costruito un cenacolo, ove si teneva conversazione, ed academia, che nelle placide serate serviva per le cene. Tale casino, e podere costantemente ha seguitato a distinguersi, e chiamarsi col nome di Pontano. L’enunciato casino circa 260 anni a dietro si trova essere di dominio della Signora Da. Costanza Caracciolo moglie di D. Alfonso D’Avalos, o figlio, o nipote di quel D. Alfonso, che fu Generale in capite in tutte l’armi imperiali sistenti in Italia; la di cui consorte D. Maria d’Aragona dopo la di lui morte venne a dimorare, e soggiornare nel Castello d’Ischia. Il mentovato casino, territorio, e riviera littorale sono confinanti, ed attacati all’arso, o sia cremata. Tale arso è l’ultima eruzione vulcanica, ed ignea sovversione sotterranea avvenuta, e successa nell’isola. L’istorico Villani rapporta di essere avvenuta nell’anno 1300: Forsi allora si fecero sentire li tremuoti, e le scosse. Il Colennuccio l’ammette nell’anno 1302, ed assicura, che il fuoco bruciò per due mesi. Nel regio Archivio di Napoli si legge di essere successa l’eruzione vulcanica negli anni 1301, e nel 1302, e nel 1303. Se mai si fa menzione del terribile fenomeno negli anni 1302, e 1303, potè essere, che il fuoco sotterraneo in alcun locale particolare dell’arso proseguì a farsi sentire in tali anni. Sicchè la spaventevole eruzione perniciosa vulcanica si fissa, come fu, circa il mese di aprile dell’anno 1301, o settimana prima, o dopo; All’orchè il fuoco eruttato dalle viscere della terra bruciò per due mesi continui, e bruciò per un miglio di larghezza, e per tre miglia di lunghezza, mentre la pietra, che si accosta verso Fiaiano è della stessa natura, e qualità, che quella dell’arso. Fu il fuoco, e l’eruzione sì terribile, che per il gettito della terra, della pietra, e della materia vulcanica li luoghi, e li territori d’intorno furono seppelliti; e la gente d’Ischia, e dell’isola ne fu tanto spaventata, che fuggì in Baia, Pozzuoli, in Napoli, nella Costa, ed in Capri.


La gente dispersa per l’isola, siccome particolarmente quella di Casamicciola implorava in tutte l’ora il divino aiuto, e questa col Clero processionalmente si conduceva nel tempiuccio di Santa Restituta, affine d’intercedere per il di lei mezzo le grazie divine, e tale processione col Clero, e cogli abitanti di Casamicciola si è proseguita a fare costantemente, e si va nel detto tempiuccio sistente nel Lacco nel giorno secondo di Pasqua di resurrezione. Quella parte bruciata era una pianura, ed una estensione di territorio la più bella, la più deliziosa, la più fertile, e la più fruttifera di tutta l’isola. In essa esisteva una villa, e ci erano de casini, e de’ giardini li più piacevoli, e li più grati si potevano dare, appartenenti a quelli gran Signori, e nobili, e cittadini, li quali domiciliavano nel Castello, ed ove andavano a spasso, ed a villeggiare. Ci morì della gente, e degli animali, e tutto il bello, il vago, e quanto si produceva fu ingoiato, e bruciato dalla sovversione, e dal fuoco. Il Vescovo con tale incendio perdé delle possessioni e delle rendite; a quale oggetto Carlo II d’Angiò, Re di Napoli li assegnò annui ducati trenta, che si sono dalla regia Camera sempre pagati (2). Della pietra vulcanica dell’arso, o sia cremata una parte è durissima, bronzina, e piena di alume, chiamata Zimbro, e serve per le fondamenta delle fabriche. Altra parte è meno dura, e batte al nero, atta a lavorarsi, e serve per fabrica delle mura. La terza parte è pumicea, ma porosa, che batte al nero rosso, e serve per le volte, e per le lamie. Nel descritto arso si suole trovare ancora della pietra molto atta per il lavoro fino, siccome nell’isola; ed io ho veduta qualche tabacchiera, la quale oltre la bellezza, ed il colore, tiene una trasparenza meravigliosa; e delle medesime ne formano benvero de’ musei. Fu fatto da un pio spirito il seguente sonetto, che si chiamava d. Francesco Migliaccio. Questa cui vedi o pellegrin che passi Desolata campagna, e adusta arena è questa ch’hai sott’occhi ingrata scena d’arsicce rupi, e d’abbronsiti massi. Questi sciolti macigni, e negri sassi, e questo suol, che non produce avena Fu del nostro epomeo già piaggia amena, or teatro d’orror, non più di spassi. Vomito fu d’una romita balza Quel torrente di fuoco, onde s’ardio D’Ischia il più vago, ecco colà s’inalza, Se pur non fu dello sdegnato Dio Fuoco divorator, ch’ognor incalza 2) Periodo cancellato – a margine la seguente postilla: Tale periodo non si deve cancellare, ma trascriversi come si trova, ma soggiungendosi, che tale perdita fece piegare il Re Carlo ad assegnare alla chiesa, e per essa al vescovo ciò che si li doveva per la bagliva, siccome in altro luogo verrà enunciato con chiarezza.

Chiunque l’ira sua pone in oblio. Taluni con Giov. Franc. Lombardo asseriscono di non nascere erbe, nè di vedersi verde nell’arso: si osserva tutto il contrario; in esso si raccolgono in quantità erbe grate, ed odorifere, dell’origano, dell’issopo, del cametrio, e degli altri amaricanti utilissimi per lo stomaco, e pel digerire. L’Arso ne’ tempi antichi era un bosco, e quantunque verso li luoghi laterali delle vie veniva tagliato, pure nel mezzo ci stava circa ottant’anni a dietro un crescimonio boscoso da fuoco, che taluni cacciatori o nel tempo del calore del sole, o di acqua si andavano in esso a riposare, e ricoverare. Molti, che tengono territori congrui all’arso, avendosi guardate le parti attaccate, e confinanti, si sono in esse formati alberi, e querci da lavoro di grossi bastimenti, ed in quantità. Altri da poco tempo in quà in varie parti dell’arso ci hanno fatto degli aumenti, e de’ coltivi, e ci si sono prodotte vigne, alberi di fichi, e di frutti, e reso il terreno anco a dare degli ortaggi da mangiare; Siccome porzione si è aumentata a bosco. Le legna, e li boschi, e le frasche per uso del fuoco sono mancate nell’arso, perché la povera gente ingorda, e sciocca arrivò ad estirparne tutte le radici; Nè ci fu governo, nè gente addetta all’amministrazione, ed all’economia che avesse tenuto occhio o a far bandire l’arso, o pure a non far togliere le radici; mentre l’arso non solo avrebbe prodotto a beneficio della città un notabile vantaggio, ma del profitto alla popolazione ed alli poveri. Appresso il divisato arso verso il vest si trova la villa de’ bagni, li di cui abitanti sono dediti alla fatica, e sono industriosi, del pari, che sono le donne: In essa ci sono delle bellissime vigne, degli orti, e delle buone tenute di acrumi. Vi sta un lago mentovato da Plinio, ove si pescano varie sorti di pesci, che entrano dal mare, siccome si tirano quantità abbondanti di cocciuole marine. Nel 14, e 15 secolo era, ed esisteva, il numero degli augelli in esso, che nel tempo della caccia s’arrivavano ad uccidere, sin’a 1500 folliche, e mallardi; e la caccia era riservata per il Rè. Negli tempi antichissimi il medesimo fu effetto di un gran tremuoto, ed eruzione. Ci è un nobile regio casino, da servire per il Sovrano quando si vuole condurre in Ischia. Su di un colle vulcanico laterale allo stesso lago ne tempi antichi ci esisteva un monastero di Basiliani, del quale oggi appena si osserva alcun rudero. Su il fine di tal colle a forma di punta di promontorio ci sta una tonnaia assicurata, e pescatrice, che suole pigliare tanti tonni, ed altri pesci, che un tempo arrivò ad affittarsi a beneficiio della città, e casali sin’ad annui ducati cinquemila. Nel mezzo della città, ed abitazione esiste una Cattedrale con 16 fra dignità, e canonici, con otto eddomadari, e con taluni sacerdoti, e chierici. In essa si ammira un bel quadro di San Giuseppe fatto con tutte le regole della pittura da un celebre pittore Spigna della comune del Lacco; e nella sacrestia si osserva un’antica pittura, e bella assai in tavola, che esprime un vivo combattimento di un Cavaliere con spada su di un coraggioso, La Rassegna d’Ischia n. 4/2013

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e spiritoso cavallo con un mostro da dragone, per chi di già stava esposta, e destinata una donzella; Intanto al forte, ed invitto Cavaliere venne fatto di ammazzare il dragone, e così venne liberata la donzella, e forsi quel paese, che soffriva tale peso. Ci esiste la Chiesa dello Spirito Santo di dritto di marinari, e dagli stessi governata, che servita da un clero. Nella stessa ci è una buona, e bella pittura del celebre De Mattei, esprimente la Madonna delle Grazie coll’anime del purgatorio; ed un quadro del mentovato Spigna dinotante l’apparizione dello Spirito Santo agli Apostoli. Siccome ci è un quadro, in dove tra gli Apostoli spiccano, e risaltano due celebri teste; una del Salvatore, l’altra di San Pietro: la pittura è del 17 secolo. Attaccata alla detta chiesa ci è una congregazione, in dove li fratelli ascritti si radunano nel giorno di domenica. Su la villa di Campagnano ci è una buona chiesa dedicata all’Annunziata. Molto al di sotto di tale villa ci è la chiesa detta di San Domenico, perchè governata da Domenicani, ed è molto antica, e fatta alla gotica: In essa ci erano de tumoli, e delle iscrizioni, ma al presente nulla si trova. Ciò che ho potuto raccogliere, si trova trascritto nel ragguaglio della chiesa d’Ischia. A vista della Città su di un rialto dell’arso ci è la chiesa di Sant’Antonio governata dalle monache gentildonne, che un tempo esistevano sul Castello. Il titolo è della Madonna delle Grazie. Nella villa de’ bagni ci è una bella chiesa per uso di quelli abitanti sotto il titolo di Santa Maria delle Grazie; e volgarmente la chiesa del purgatorio. Dove sta la presente cattedrale esisteva un’antica chiesa, che divenuta diruta, e cadente si dovè formare la nuova chiesa: La stessa era governata dalli dimessi monaci Agostiniani, che stavano in Ischia prima di mettersi a regola l’ordine degli Agostiniani, ed erano di quelli dispersi per l’occidente; i quali ebbero dagli antichi Signori Coscia il sito, siccome più appresso riceverono la torre, che al presente è campanile. Nella vecchia, e nella nuova chiesa niuna pietra, e niuna iscrizione ci era: solo nell’angolo della stessa rimpetto la fontana, dalla parte di fuori ci è una pietra rozza, che divisa lo stemma delli Coscia colle barre. Dove sta costruita la chiesa dello Spirito Santo esisteva un’antica Cappella d’essi Signori Coscia sotto il titolo di Santa Sofia, che fu profanata da più di tre secoli: Né della stessa ci è stata tramandata veruna notizia dinotante alcuna cosa particolare.Fu il titolo con alcun rudere, e colla dote traslato in una cappella dell’antica Cattedrale, ma la dote a peso di certe famiglie non fu corrisposta. Attaccato alla cennata torre divenuta campanile essendosi fatto uno scavamento, ed al lido del mare, si è trovato una fabrica con magazini, ne quali ancora esistevano le porte con catenacci, che dimostravano di uscirsi al livello del lido, e del mare; Dappoi tale fabrica fu seppellita dalla sabbia, e dalle pietre sin'al lastraco: Onde si conosce nel littorale d’Ischia il mare quanto si è elevato, e quanto è 36 La Rassegna d’Ischia n. 4/2013

entrato. La popolazione d’Ischia, e delle sue ville veniva governata da due eletti, che in ogni anno venivano dal parlamento designati. Essi avevano la facoltà di nominare in ogni anno un sindaco, che doveva governare, ed amministrare la terra di Forio, ed un altro sindaco, che entrava nel governo, e nell’amministrazione de’ Casali di Casamicciola, del Lacco, di Fontana, e Serrara, di Barano, e di Testaccio, e tale dritto di nomina derivava dall’antico governo economico, ed amministrativo, che stava nel Castello, e che si estendeva per tutta l’isola. Dopo l’anno 1806 avvenne una mutazione nel governo economico, ed amministrativo, e nel politico. Si stabilì, che ogni comune come sopra divisato fusse nell’economia, e nella grassa governato da un sindaco, e da due Eletti da eleggersi, e designarsi dal Decurionato succeduto al parlamento; e la di loro procedura, e la reddizione delli conti erano, come sono soggetti al sottintendente residente in Pozzuoli, ed all’Intendente di Napoli. Parimenti di un solo governatore, e giudice se ne formarono, e stabilirono due giudici, che dell’Isola si formarono due Circondari, uno d’Ischia con Barano, Testaccio, Fontana, e Serrara: l’altro di Forio col Lacco, e Casamicciola. Prima del 1806 il Governo amministrativo col rendimento de’ conti stava soggetto ad un Sopraintendente Capo Rota del Sacro Regio Consiglio. Dal littorale del monte di Campagnano tirandosi per spiaggia romana, per il ninfario, per la costa, sin al Castello, dal Castello per il lido della Città, della spiaggia di Sant’Antonio, per il littorale delle cremate, della spiaggia della villa de’ bagni, del colle di San Pietro, e dell’altro colle rimpetto, ove sta sito il Real Casino che del littorale di S. Alessandro, onde viene l’acqua minerale di Fornello, e di Fontana, ci erano tante acque minerali, e sorgive, le quali si sono tutte perdute, attesoche il mare essendo entrato di molto in dentro, l’have tutte occupate, ed assorbite; in maniera che nuotandosi circa quattro passi dentro il mare, si osservano le acque calde, e le sorgive calorose. Nel divisato territorio del Pontano poco discosto dall’arso ci è un largo pezzo, nel di cui fondo scaturisce un’acqua minerale limpida, ed atta a beversi, ed have la virtù di far cacciare li calcoli, e di sminuzzare la pietra, che di sanare il dolore de reni. Strabone in generale fa menzione di tali attività, ed effetti profigui ne’ minerali dell’isola. Nella riva del divisato lago, e nel laterale verso il sud, che è una falda di certi colli, e monti, ci sono delle molti visibili sorgive di acque minerali, ma in particolare ci sono le perenni, ed abbondanti acque, che formano de’ bagni. II - Continua


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Tibet ... ...

Andare sul tetto del mondo è un’esperienza unica e indimenticabile Testo e foto di

Carmine Negro «Il 22enne Tsering Tashi, conosciuto anche come Tsebe, si è dato fuoco nella città di Achok, nella prefettura di Kanlho (Gannan per i cinesi), nella provincia cinese del Gansu, alle 13 circa del 12 gennaio 2013 e lì e morto poco dopo a causa delle ferite riportate. Dandosi fuoco, il giovane ha urlato slogan per la liberazione del Tibet e in favore del ritorno del Dalai Lama». Leggo su un vecchio foglio di giornale l’annuncio della morte di Tsebe e mi ritornano alla mente le immagini e le emozioni di un viaggio che mi hanno segnato e che ho rimosso, come tanti occidentali che ascoltano le ultime che provengono da questa parte del mondo e aspettano che le notizie si sbiadiscano come i fogli dei giornali che le riportano. Eppure andare sul tetto del mondo è un’esperienza unica e indimenticabile. L’aria rarefatta e frizzante, i versanti delle montagne punteggiati e animati dai tanti Yak al pascolo, le cime delle montagne più alte del mondo, i laghi, incastonati tra le montagne di un intenso cobalto, le acque dei grandi fiumi sacri che iniziano la loro corsa verso le grandi pianure smarriscono i sensi, colorano il viaggio di atmosfere magiche e misteriose. L’incontro con una terra che concentra tanti primati diventa una esperienza, piena di attrazione, fascino e ricca di avvenimenti e, proprio per questo, difficile da tradurre in parole. Si ha la sensazione di non riuscire a descrivere l’evento-viaggio senza sminuirlo, di non riuscire a con-

dividere una esperienza che coinvolge sentimenti, impressioni e stati d’animo senza trasformare la natura stessa del viaggio che da collettivo diventa intimo e personale. Girando l’altopiano in lungo e in largo si può osservare certo l’aspetto “turistico”, presente nelle principali città ma soprattutto si può scrutare quello meno conosciuto, ma ugualmente interessante dei piccoli villaggi: vere e proprie realtà fuori dal mondo. Se è vero che si resta incantati dai paesaggi, impressionanti e mozzafiato, si è soprattutto attratti e conquistati dagli usi e dai costumi della vita quotidiana, dai monasteri e dalla loro arte che dicono di un popolo mite, che utilizza il corpo come strumento privilegiato di relazione e un sorriso discreto, cordiale e contagioso

per raccontare una cultura millenaria profondamente legata al buddismo che è più una filosofia di vita che una religione. I tibetani hanno la leggendaria caratteristica di saper sopravvivere a temperature molto fredde e notevoli altitudini, come quelle presenti negli altopiani del Tibet. Alcuni scienziati hanno affermato di aver isolato il gene responsabile di questo speciale adattamento; un gene che migliora la saturazione dell’ossigeno nell’emoglobina e responsabile di un’altra peculiarità: la crescita dei bambini tibetani, molto più rapida di quella dei bambini di altre etnie asiatiche. Il Tibet Paleolithic Project sta studiando la colonizzazione degli altopiani del Tibet risalente all’età della pietra, nella speranza di poter trovare e isolare La Rassegna d’Ischia n. 4/2013

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definitivamente le cause della straordinaria adattabilità del popolo tibetano ad ambienti così estremi. Il rapporto intenso e viscerale dei tibetani con la loro terra cementato da una religiosità, fatta di spiriti e demoni, testimoni del forte legame con la natura che li circonda, che preesiste al buddhismo e che il buddismo ha saputo ereditare nei suoi insegnamenti e conservare

nei suoi templi, rappresenta l’identità non negoziabile di questo popolo, una ricchezza che appartiene all’umanità. Un’agenzia del 21 luglio 2013 riporta che Kunchok Sonam, monaco tibetano di 18 anni, è morto dopo essersi dato fuoco per protestare contro l’oppressione di Pechino, fuori da un monastero nella prefettura cinese di Aba, nella provincia di Sichuan. Una

volta esanime, altri monaci avrebbero impedito alla polizia di impadronirsi del cadavere e di portarlo via. Dal febbraio del 2009 sono stati 120 i monaci che hanno manifestato in questo modo rabbia contro la repressione che il regime comunista esercita in Tibet. Una notizia che deve invitare a riflettere le autorità di Pechino, la comunità internazionale, ciascuno di noi.

.. Un'esperienza che coinvolge sentimenti, impressioni, stati d'animo in un viaggio che da collettivo diventa intimo e personale.. “Sono le 17,00 e giovani monaci nelle loro vesti rosse riempiono il cortile dei dibattiti del collegio Sera. Alcuni sono seduti, altri partecipano in piedi con il corpo e rumorosi battimani alle discussioni sulle teorie apprese negli studi”. Nei pressi di Lhasa, capitale del Tibet, si trova il complesso monastico di Sera fondato nel 1419. All’epoca della sua massima espansione Sera ospitava cinque collegi per l’insegnamento. Divenne ben presto una delle istituzioni più importanti del buddhismo tibetano, un centro rinomato per l’approfondimento della conoscenza della dottrina di Buddha attraverso lo studio dei sutra, dei tantra e delle pratiche rituali, dell’arte e della letteratura sacra. Nel 1959, anno dell’invasione cinese del Tibet i collegi erano ridotti a tre: Sera Me, dedicato ai precetti fondamentali del buddhismo, Sera Je, preposto all’istruzione dei monaci provenienti dal remoto Tibet centrale e Sera Ngagpa adibito agli studi tantrici. I monaci, un tempo numerosissimi (circa 5000), ora sono stati ridotti a poche centinaia. Sera non subì gravi danni nel decennio della Rivoluzione Culturale, anche se parecchi collegi minori andarono distrutti e i lavori di restauro dei restanti edifici non sono ancora stati terminati. Nel cortile dei dibattiti tra le 15.00 e le 17.00 i monaci si riuniscono a discutere. Non è difficile arrivarci, basta farsi guidare dai suoni dei battimani, che sottolineano i momenti essenziali delle discussioni. È un vero spettacolo assistere a queste discussioni dove gli allievi giovani e i meno giovani si confrontano scandendo le parole con fragorosi battimani che 38 La Rassegna d’Ischia n. 4/2013

animano il confronto sotto l’occhio attento e vigile dei docenti seduti a cerchio in un angolo. Nel 1969 Sera Me venne rifondato nel sud dell’India. Attualmente è uno dei centri più attivi per lo studio e la formazione del buddhismo tibetano. Lo spettacolo proposto dai monaci del monastero di Sera Me è molto ricco e comprende una serie di danze che celebrano in special modo gli animali sacri del buddismo tibetano: il leone delle nevi, lo yak e il cervo, nonché la storia e le leggende di quella cultura. I dieci monaci di Sera Me sono diretti dal Lama Kyabje Gosok Rinpoce, una delle personalità più importanti della tradizione monastica detta “Gelugpa”. “Pervaso dall’odore intenso del

burro di yak e animato dal mormorio sommesso dei pellegrini che recitano i mantra il Jokhang, fatto costruire dal re Songtsen per custodire le statue di Buddha della

sposa nepalese e della sposa cinese, è l’edificio più sacro e venerato del Tibet”. Situato nel cuore della città vecchia di Lhasa il Barkhor è un quadrilatero di strade che circondano il Jokhang l’edificio sacro più venerato del Tibet. Tradizionali case in stile tibetano e diversi piccoli templi fiancheggiano la strada ricca di negozi e bancarelle dove è possibile acquistare oggetti di devozione come ruote e bandiere di preghiera, statue buddhiste, dipinti, ciotole, campane, incenso ma anche prodotti tipici come coltelli, pelletteria, abbigliamento, tappeti e borse. Tanti pellegrini provenienti da terre lontane del Tibet girano in senso orario intorno alla strada, alcuni intonano canti altri si prostrano alla fine del loro viaggio al sacro tempio di Jokhang. Alcuni nomadi si avvicinano alle bancarelle per toccare e valutare un pugnale tempestato di pietre preziose e grossi anelli di


osso di yak mentre alcune donne ornate con cinture d’argento sono attratte da orecchini, collane, fili turchesi e coralli intrecciati. Più avanti anziane signore fanno girare instancabilmente la “ruota della preghiera” mentre monaci sorridenti seduti a gambe incrociate sulle pietre del selciato recitano mantra davanti alla loro ciotola delle elemosine. La ricchezza delle merci, la miriade di colori, la moltitudine di etnie danno l’illusione di trovarsi nell’antico Tibet; tre posti di blocco di soldati cinesi, lungo il percorso, con mitra, elmetti ed estintori deterrente per sedare eventuali proteste di fuoco, riportano velocemente nella realtà. Il Tempio Jokhang, il primo e più sacro tempio buddhista in Tibet, presenta differenti caratteristiche architettoniche: indiane, cinesi e nepalesi. Per tutto l’anno moltissimi buddhisti tibetani vengono in pellegrinaggio da tutto il Tibet e altre province come Qinghai, Gansu e Mongolia Interna, solo per visitare questo tempio. Il grande Re Tibetano del Regno di Tubo, Songtsen Gampo (617-650 d.C.), sposò la Principessa nepalese Tritsun e la Principessa cinese Wencheng, ognuna delle quali portò in Tibet una statua di Sakyamuni. A quel tempo c’erano pochi edifici e la maggior parte delle persone vivevano in tende. Per adorare e conservare queste preziosissime statue, e diffondere il buddismo in una zona inospitale, la principessa Wencheng suggerì di costruire due templi; la sua scelta ricadde sul lago Wothang, che dovette essere prosciugato e interrato. Secondo la leggenda una enorme diavolessa era distesa in posizione supina lungo tutto l’altipiano e fu proprio la principessa Wencheng ad intuire la presenza, in quel luogo, di questa creatura malefica. Secondo calcoli basati sulla geomanzia cinese, il cuore della diavolessa giaceva sotto le acque del lago, mentre il busto e gli arti erano molto lontani, nelle zone esterne dell’altopiano. Come in tutti i miti questa figura si presta ad una interpretazione in chiave simbolica: rappresenterebbe la natura inospitale del Tibet ma anche l’ostilità del clero bön alla diffusione della nuova religione. La religione bön era una fede popolare sciamanica incentrata su figure di spiriti e demoni. Per poter radicare il buddhi-

smo nel paese era necessario immobilizzare la diavolessa. Per neutralizzarla si decise di svuotare il lago di tutta l’acqua che conteneva (la linfa vitale della diavolessa) costruire nel centro del lago prosciugato un tempio buddista: sorse così il Jokhang. Trafiggere il cuore di una creatura malvagia, di tali dimensioni, non bastava il passo successivo fu quello di erigere una serie di templi minori, disposti in tre cerchi concentrici, per immobilizzare le estremità della diavolessa. Bianche capre furono impiegate per portare sabbia e terra nel lago in modo da riempirlo. Per commemorare l’enorme lavoro svolto da queste capre, il Tempio Jokhang venne inizialmente chiamato Rasa, che in tibetano significa “capre che portano la terra”. Ancora oggi in una delle sale si trova la statua di una capra, ricoperta d’oro e venerata come una divinità. Si dice ci siano solo tre statue di Sakyamuni a grandezza naturale in tutto il mondo che vennero modellate sul reale aspetto di Sakyamuni all’età di otto, venti e venticinque anni, tutte conservate in India originariamente. La statua di Sakyamuni a otto anni che la principessa Tritsun portò a Lhasa fu danneggiata, ed ora non è più integra. Quella di Sakyamuni venticinquenne fu persa. Quella che lo ritrae a vent’anni è la più preziosa e raffinata delle tre. La principessa Wencheng ci mise tre anni a portare la statua da Chang’an a Lhasa. Il valore spirituale e culturale della statua è incalcolabile. I buddhisti tibetani fanno moltissima strada per venire ad adorarla, non tanto perché è una reliquia culturale ma perché sono convinti che

la statua rappresenti le esatte sembianze di Sakyamuni di 2500 anni fa ed è un’opportunità unica quella di osservare il viso della divinità. Lhasa è una città sacra in parte anche per questa statua. Il tempio Jokhang non è subordinato ad alcuna setta buddhista, ed è da sempre il luogo dove si sono tenute le maggiori cerimonie buddhiste in Tibet. Le Cerimonie d’Iniziazione del Dalai Lama si tenevano in questo tempio e come ogni anno è qui che si tiene il Festival della Grande Preghiera. Nel secondo cortile una dozzina di monaci sono intenti nelle loro funzioni religiose; colpiscono dolcezza e originalità della preghiera. Alcuni gesti, come gettare all’aria grani d’orzo per tenere lontani gli spiriti del male risentono dell’antica tradizione religiosa bön.

Fuori il monastero di Jokhang è avvolto dai fumi d’incenso. Un recinto racchiude la stele-trattato sino-tibetano dell’822 sul rispetto dei confini. La base presenta molte scalfitture. Ai tempi del vaiolo, come rimedio, veniva graffiata e ingerita. Fuori dell’entrata al Jokhang, l’ingresso appare avvolto da fiumi d’incenso che provengono da due panciuti incensieri (sangkang in lingua tibetana). In questo luogo i tibetani si raccolgono per le preghiere, prostrandosi ripetutamente, prima di entrare. Il rito comprende orazioni in piedi, orazioni con le mani davanti al viso e poi inginocchiati in una posizione scorrevole prima di assumere una posiLa Rassegna d’Ischia n. 4/2013

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zione completamente bocconi. Le continue prostrazioni: stendersi carponi sul selciato, rialzarsi per poi ridistendervisi nell’atto della preghiera, di pellegrini, donne, anziani e bambini hanno, nei secoli, completamente lucidato le grosse pietre del selciato. Dietro gli incensieri, guardando la piazza, vi sono due recinti. Il primo custodisce una stele su cui sono incise le clausole del trattato sinotibetano dell’822: l’iscrizione, ironia della storia, sancisce l’impegno reciproco delle due nazioni vicine a rispettare i confini convenuti. Il secondo ospita il ceppo di un antico salice chiamato “capelli del Jowo” che la tradizione vuole sia stato piantato dalla principessa Wencheng, moglie cinese del re Songtsen Gampo oltre ad una stele che ricorda le vittime del vaiolo del 1793. L’ampia piazza che per la sua posizione centrale è divenuto il fulcro delle manifestazioni di proteste politiche e in diverse occasioni, teatro di scontri cruenti tra cinesi e tibetani è sorvegliata in più punti da molti soldati. Sono muniti oltre che di elmetti, bastoni ed armi soprattutto da tanti estintori. Mentre stiamo seduti su un muretto sulla via Yuthok Lam, situata di fronte alla piazza, un gruppo di

soldati, in fila, ci passa davanti per dare il cambio ai propri compagni; tutti sono muniti di un estintore. Dall’altra parte un bambino gioca con il suo papà con la macchinina elettrica che attraversa la strada in lungo e in largo. Dalla parte

opposta un gruppo di pellegrini fa girare imperterrito la ruota della preghiera e recita in modo corale e determinato Om Mani Padme Hum. Carmine Negro

Ischia Ponte - Galleria Ielasi Dal 3 al 31 agosto 2013 mostra di pittura moderna Saranno esposte opere di:

Enrico Baj - Leonardo Cremonini - Wilfred Lam - Arnaldo Pomodoro

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Colligite fragmenta, ne pereant

Fonti archivistiche per la storia dell’isola d’Ischia A cura di Agostino Di Lustro

I luoghi sacri de "Li Bagni" di Ischia

Il nostro giro di presentazione dei luoghi di culto esistenti sulla nostra Isola nei secoli XVI e XVII, con particolare riferimento alla Platea del vescovo Innico d’Avalos1, da questo numero si interesserà del territorio orientale dell’Isola, e più propriamente di quello dell’attuale comune di Ischia. Per meglio procedere nella nostra indagine, dividiamo il territorio in quattro zone: Il Bagno o I Bagni o ancora Villa dei Bagni, come veniva chiamata la zona dell’odierna Ischia Porto; Campagnano, la zona collinare di Sud–Est; il Borgo di Celsa, con le sue immediate adiacenze; la città vera e propria, cioè il Castello. Il toponimo Il Bagno – Li Bagni – Villa dei Bagni indica la zona dell’attuale comune di Ischia, dal confine con il territorio dell’università di Casamicciola fino al limitare della zona interessata dalla colata dell’Arso dell’ultima eruzione del 1300-1303. Questo toponimo si giustifica con la presenza nella zona di varie sorgenti termali, alcune già famose nei secoli del medioevo come quella chiamata de Lacu. I bagni di Fornello e Fontana, famosa già nel sec. XIII come ci attesta il manoscritto n. 1502 della Biblioteca Angelica di Roma2 di un «Iohannes medicus Gregorii medici filius», il quale voleva «salvare dall’oblio le esperienze dei medici antichi»3. 1) Si tratta sempre della prima relazione ad limina di questo vescovo, prima in assoluto per la chiesa di Ischia, presentata nel 1598. Il documento, che si trova nell’Archivio della Congregazione del Concilio ( C.C.P.) relazioni dei vescovi di Ischia, è pubblicato da P. Lopez, Ischia e Pozzuoli due diocesi nell’età della controriforma, Napoli Adriano Gallina Editore 1991, pp. 209-223. 2) Il codice ricorda cinque bagni dell’isola d’Ischia: «Balneum de Vico, Balneum de Lacu, Balneum quod dicitur Castrum, Balneum de Cithara, Balneum Subcellarium». Il testo si trova in: P. Giacosa, Magistri Salernitani nondum editi. Catalogo ragionato della Esposizione di Storia della medicina aperta in Torino nel 1898, Torino 1901, pp. 334-343. 3) P. Buchner, Giulio Iasolino, Milano, Rizzoli Editore 1958 p. 85. Sul medico Giovanni, figlio del medico Gregorio, non abbiamo alcuna notizia. Il Buchner aggiunge a tal proposito «Non sappiamo né dimostrare né escludere che questo medico Giovanni sia da identificare con Giovanni da Casamicciola, medico personale di Carlo I d’Angiò, professore primario della Università di Napoli, Conte Palatino e Consigliere. Non esistono pubblicazioni sue e la sua dottrina e terapia si rispecchia soltanto nelle opere del suo famoso allievo Arnaldo da Villanova» (Ibidem, p. 86). Nei Registri

Il toponimo compare per la prima volta - mea scientia – nel 1455 in una bolla di Callisto III con la quale il papa dispone che il Capitolo della cattedrale e il clero della chiesa di Ischia possano concedere in enfiteusi a un certo tempo alcuni beni senza richiedere ulteriori autorizzazioni alla Santa Sede. Tra questi beni ce n’è uno ubicato ai Bagni come consta da una pergamena originale «che si conservava nell’archivio del Capitolo da me veduta il 15 agosto 1741»4. Non abbiamo notizie sul popolamento della zona nel periodo più antico perché la popolazione si incrementò particolarmente a partire dal secolo XVIII. È certo però che sulla collina di S. Alessandro, che costituisce il braccio occidentale dell’antico lago, già nel secolo XIII, si sviluppa un piccolo agglomerato di case del quale esistono ancora notevoli testimonianze, sebbene negli ultimi decenni siano state gravemente alterate se non in parte distrutte. Tra l’altro da una facciata sono scomparse due piccole colonne di marmo bianco del periodo durazzesco, che si trovavano sulla chiave di volta della porta di un ambiente seminterrato. In quello che resta dell’antico agglomerato si possono ancora ammirare degli ambienti coperti da una possente volta a botte. Questo piccolo villaggio costituisce una della poche testimonianze architettoniche medioevali presenti sull’Isola e giunte fino a noi insieme con quanto ancora riusciamo a vedere tra i ruderi della cattedrale del castello e la crociera centrale della volta della chiesa del Soccorso a Forio. Il centro del piccolo villaggio è costituito dalla cappella di S. Alessandro con la sua tipica struttura a volta a botte e la facciata a capanna di pretto impianto medioevale. Nelle mura della chiesetta e delle costruzioni che la circondano spesso si scorgono frammenti di ceramica. La «più vicina al periodo altomedioevale è quella di tipo magrebino con girali sul bordo dei piatti, datata tra il XII e inizi XIII secolo»5. La modesta cappella si appoggia ad un cospicuo agglomerato di case ed è costruita con grandi frammenti d’un pavimento in coccio pesto. Il portone principale di Angioini sono numerosi i documenti che si riferiscono a lui fino al 1282, probabile anno della sua morte. 4) Cfr. Platea delli territori de’ Signori Polverino… conservata nella Biblioteca Antoniana d’Ischia (B.A.I). 5) P. Monti, Ischia altomedioevale, Cercola Officine Grafiche della Grafitalia 1991, p. 263; Ischia Archeologia e storia, Napoli Linotipografia Fratelli Porzio 1980, pp. 440-41.

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questo complesso durrazzesco, oggi nascosto in un misero cortiletto, non trova paragone sull’Isola»6. La cappella già esisteva nel 1326, come ci attesta la nota della «Platea Buonocore»: «Il monte di S. Alessandro è così denominato da una cappelletta sotto l’invocazione del detto Santo che ivi si ritrova e presentemente è beneficio de jure patronatus de’ Signori de Manso, ma vanta la sua fondazione ancor prima dell’anno 1326 come da una pergamena che si conserva nell’Archivio del Capitolo d’Ischia appare e nella stessa sono nominati i cappellani di S. Alessandro sopra il lago di Ischia»7. Nell’Archivio Storico Diocesano di Ischia è conservata la copia di un «titulus»8 pontificio che qui si trascrive per la prima volta:

Archivio Storico Diocesano di Ischia Fondo: Chiese del Comune di Ischia Bonifacius Episcopus Servus Servorum Dei dilecto filio Nicolao de Manzo Canonico Isclano salutem et Apostolicam Benedictionem Sincera devotionis affectus quem ad Nos et Romanam geris Ecclesiam promeretur ac votis tuis illis pressertim que ecclesiarum utilitatem et divini cultus augumentum concernunt faurabiliter annuamus. Exhibita siquidem nobis nuper pro parte tua petitio continebat quod ecclesia sine cura Sancti Alexandri Isclani irreparabilem minatur ruinam adeo quod nisi de dirituatur et de novo reficiatur non est ad illam tutus accessus et pro huiusmodi dirutione et reedificatione dicte ecclesie…….expense necessarie persistunt tuque cupiens terrena in celestia et transitoria eterna felici commercio commutare ecclesiam predictam diruere, et tuis propriis sumptibus et expensis eam de novo decenter reedificare seu dirni et redifi facere proponis. Quare pro parte tua nobis fuit humiliter supplicatum ut tibi dirnendi et edificandi ecclesiam predictam licenzia concedere ac hjure patronatus et presentandi rectorem ad ipsam ecclesiam quoties eam vacare contigerit tibi ac heredibus tuis preservare in perpetuum reservare in perpetuum nos igitur pium propositum plurimum in Domino commendantes huiusmodi supplicationibus inclinati tibi diruendi et decenter reedificandi, seu dirui et reedificare faciendi, ut prefertur licentiam elargimur iure Patronatus hiusmodi ad presentandi rectorem ad eandem ecclesiam postquam per te reedificare fuerit ut prefertur quoties eam vacare contigerit tibi et heredibus huiusmodi in perpetuum reservatus nulli ergo omnino hominum liceat hanc papinam nostre concessionis infrangere vel ei causa temerario 6) P. Buchner, Il protomedico Francesco Buonocore ( 1689-1768) e il suo casino sopra l’odierno porto d’Ischia, In: Ricerche contributi e memorie, atti del Centro di Studi su l’Isola d’Ischia I, atti relativi al periodo 1944-1970 a cura del l’Ente Valorizzazione Isola d’Ischia, Napoli 1971, p. 133. 7) B.A.I. :Platea Buonocore cit. p. 1. 8) Cfr. A. Di Lustro, Gli archivi dell’isola d’Ischia, in Ricerche contributi e memorie vol. II, Napoli 1984, p. 121.

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contraire si quis autem hoc attempare presumpserit incasurum Datum Rome apud Sanctum Petrum XII Kalendas iunii pontificatus nostri anno sexto. Questo documento presenta in modo parziale la data cronologica, dal momento che indica solo l’anno sesto di pontificato di un papa Bonifacio. Questi non può non essere che papa Bonifacio IX, cioè Pietro Tomacelli, nato a Napoli da una famiglia aristocratica intorno al 1350, creato cardinale diacono di S. Giorgio nel 1381 da papa Urbano VI, anch’egli napoletano, e poi nel 1385 cardinale presbitero di S. Anastasia. Eletto al sommo pontificato il 2 novembre 1389, morì il 1° ottobre 14049, per cui il documento, datato 21 maggio (duodecimo Kalendas junii) anno sesto del suo pontificato, corrisponde al 1395. Se accettiamo la notizia della Platea Buonocore che pone le origini della cappella di S. Alessandro anteriormente al 1326, come abbiamo già detto10, dobbiamo rettificare l’affermazione del Monti che, invece, la vuole edificata proprio nell’anno 132611. La struttura odierna della chiesetta risale certamente alla fine del secolo XIV, come ci indica sia la caratteristica facciata a capanna che la profonda volta a botte della navata. Essa non è servita per le celebrazioni liturgiche di un vasto pubblico, che non c’era nella zona, ma solo la famiglia che ne era patrona e qualche altra famiglia contadina che viveva ai margini del piccolo villaggio medioevale. Tuttavia è stata sempre efficiente tanto che il vescovo d’Avalos può scrivere di essa nella sua «Platea» del 1598: «Ancor fuori della città vi è la cappella di Santo Alexandro, è jus patronato di casa di Manso, si possede per il sopradetto (D. Col’Antonio Garrica)»12. Meraviglia il fatto che la chiesa, di patronato della famiglia di Manso, risulti affidata ad un prete esponente di altra famiglia. Certamente ciò non è dovuto alla mancanza di un ecclesiastico nella famiglia di Manso perché lo stesso vescovo ne cita qualcuno come possessore di altri benefici come Giovan Tommaso di Manso che risulta essere titolare della cappella di S. Leonardo nella grotta di accesso alla città di patronato della famiglia del vescovo Pastineo. Il Nicola Antonio Garrica di S. Alessandro risulta ancora essere canonico della cattedrale. Gli «Atti beneficiali…» non presentano particolari notizie su questa cappella dal momento che ricordano solo una relazione non datata sui redditi della cappella e gli atti 9) J.N.D. Kelly, Vite dei Papi, Casale Monferrato Piemme 1989, pp. 388-39; C. Rendina, I Papi, Roma, Newton Compton Editori, ed. 2005, pp. 550-554. 10) Platea Buonocore, cit. f. 1 r. 11) P. Monti, op. cit . pp. 440-41. 12) P. Lopez, op. cit. p. 217. 13) «Notamento degli atti beneficiali della città e diocesi d’Ischia» in A.D.I. f. 32: «Ischia = Relatio reddituum semplicis beneficij S. Alexandri in pertinentijs suburgij Celse in loco dicto li bagni, de jure patronatus de familia de Manso folia scripta n.8; Ischia 1754= Acta Institutionis semplicis Beneficij sub titulo S. Alexandri in loco dicto li bagni, de jure patronatus familie de Manso, favore clerici D. Pascalis de Manso per dimissionem clerici D. Cajetani de Manso folia scripta n. 26».


per l’assegnazione del beneficio al chierico Gaetano di Manso13. L’Onorato, parlando della famiglia di Manso, ricorda «Carlo de Manso di antica, e cospicua famiglia derivante da Benevento, visse nel secolo 17, e morì nel dì 16 di agosto 1703. Egli colle sue poetiche composizioni, cioè colli sonetti, e colle canzoni si rese degno del nome di Petrarca. Ancora fece delle composizioni poetiche in lingua calabrese, e siciliana; ed io ne’ zibaldoni ci lessi delle molto belle, ed erudite composizioni. Gli eredi niun conto facendone, non hanno curato tanto le carte degne di memoria di quest’onorato cittadino, quanto altre carte, della casa, e famiglia, le quali molto influivano per li lumi di molti secoli scorsi in rapporto alla Città d’Ischia, e di lei rami; E’ certo che tal valentuomo stava benvero inteso della filosofia»14. Uomo «onorato, dottore e poeta - aggiunge l’Onorato - mentre era secretario dell’Università d’Ischia, giunto all’ultimo periodo della morte avvenuta nel dì 16 de agosto dell’anno 1703 solennemente, legalmente diede, e consegnò in un carrettino riposte all’eletto Sig. Marco Basso ventiquattro reali diplomi, tra quali esisteva un antichissimo diploma scritto a lettere d’oro in lingua arabica. Ma questi, ed altri diplomi, e tante onorate carte, che libri di parlamenti, ed antiche scritture più non esistono, e non si trovano, né taluno di quelli superbi, e presunti cittadini pensò mai trascriverne alcun contenuto, o senno, o notizia per li posteri. Essendo avvenuto, che il governo, e l’amministrazione da essi nomati cittadini passò al popolo15, per un dispetto avanzandosi la grassa ignoranza, furono lacerate, ed impiegate per uso del focolare, della pippa, e d’altro. Solo nei quinterni della Camera della Sommaria, ed in quelli processi si trovano certi lumi, e certe grazie trascritte»16. Le chiese oggi esistenti nella zona del Porto d’Ischia sono state fondate nei secoli successivi al vescovo d’Avalos per cui non sono citate nella sua Platea. Infatti la chiesa del Purgatorio, oggi detta di S. Pietro, è stata inaugurata nel 1781 e costruita negli anni precedenti17; 14) V. Onorato, Ragguaglio istorico-topografico dell’isola d’Ischia, Napoli, Biblioteca Nazionale (B.N.N. ) manoscritto 439 del fondo S. Martino, f. 70 v. 15) Per qualche notizia su questo aspetto, cfr. A. Di Lustro, I Marinai di Celsa e la loro chiesa dello Spirito santo ad Ischia, Forio, Tip. Puntostampa 2003, pp. 82-88. Purtroppo episodi analoghi si sono verificati anche in tempi molto vicini a noi negli archivi particolarmente dei nostri comuni i cui amministratori, certamente, sono da considerarsi… benemeriti della cultura per il modo come hanno da sempre custodito i documenti dei vari comuni, compresa l’anagrafe. Per questi loro……acquisiti meriti – mea quidem sententia! – andrebbero arrestati e condannati a carcere severissimo per gravissimi delitti da loro perpetrati contro la nostra storia. 16) V. Onorato, op. cit. f. 66 r. 17) Sulla chiesa di S. Pietro d’Ischia, cfr. F. P. Salvati, Architettura dell’Isola d’Ischia, Napoli Casa Editrice Raffaele Pironti e figli 1947; A. Venditti, Note sull’ architettura ischitana, La chiesa di S. Pietro a Porto d’Ischia, in Napoli Nobilissima vol. III fascicoli III-IV; A Di Lustro, La confraternita di Visitapoveri a Forio, S. Giovanni in Persiceto Li Causi Editori, 1983; I. Delizia, Ischia, l’identità negata, Napoli Esi 1988, pp. 29-31.

quella di Portosalvo, voluta da Francesco II di Borbone e inaugurata nel 185618, mentre quella di S. Ciro a Via delle Terme fu fondata nel 192619. Della chiesa di S. Pietro a Pantaniello, che si trovava sulla collina omonima, parleremo diffusamente quando giungeremo sul castello, per presentare una visione completa della vicenda del monumento. Sebbene posteriori all’episcopato di Innico d’Avalos e non incluse nella sua Platea, penso sia utile ricordare almeno alcune cappelle, molto piccole, costruite da alcune famiglie nei propri possedimenti nella zona di Villa dei Bagni, ricordate anche dall’Onorato nella sua opera. Questi infatti afferma: «Nella medesima Villa vi è ancora un’antica cappella sotto il titolo della Madonna delle Grazie, ove in ogni festa si celebra la messa; spettante alli de Angelis»20. Le pochissime fonti documentarie su questa cappella divergono tra loro nell’indicazione del titolo. Infatti nel «Notamento degli atti beneficiali...», leggiamo: «Ischia 1691= Fundatio, et dotatio capelle ruralis sub titulo Sancte Marie Gratiarum erecte a Stephano de Angelis in loco ubi dicitur li bagni, ac nominatio pro capellano ad nutum favore D. Nicolai Granato folia scripta n. 8»21. La «Platea Buonocore», invece, riporta un’altra notizia più precisa della precedente: «Nell’anno 1691 circa fu da Stefano de Angelis fondata la cappella di S. Maria della Pietà fabricata nelli territori al detto Stefano, e suoi antecessori concessi dai Signori Polverino. Nel detto anno 1691 mediante istromento del primo giugno per il notar Giuseppe Filisdeo22 il detto Stefano dichiara publica la via per la quale si va alla detta cappella, come dall’istromento riferito alla pagina 21 e nello stesso giorno anno mese e per lo stesso notaro il nominato Stefano de Angelis assegna per dote della detta cappella e per essa al cappellano eligendo da noi eredi annui ducati tredici»23. La relazione ad limina del vescovo Nicola Antonio Schiaffinati del 1739, che pure cita diverse cappelle e benefici, non ne ricorda alcuna per la zona dei Bagni, ma ci fornisce un’altra notizia importante: «Ad predictum Parochum (di S. Vito di Celsa con sede nella chiesa dello Spirito Santo) pertinet sacramen18) Su questa chiesa cfr. G. d’Ascia, Storia dell’isola d’Ischia, Napoli presso G. Argenio 1867, pp.449-450; O. Buonocore, Festosa consacrazione del monumentale tempio di Portosalvo nella Villa dei Bagni, Napoli 1959; I. Delizia, op. cit. pp. 233-34; N. d’Arbitrio - L. Ziviello, I Borboni a Ischia, Edisa Napoli 2000; La cronaca della benedizione della chiesa del cancelliere vescovile Antonio Sassone, si può leggere in : Liber ordinatorum ab anno 1847 ad annum 1874. Si trova nell’A.D.I. 19) Cfr. in A.D.I. la cartella sulla parrocchia. 20) V. Onorato, op. cit. f. 163 r. 21) A.D.I., Notamento cit. f. 31 v. 22) Del notaio Giuseppe Filisdeo non esiste più la scheda degli atti da lui rogati. L’atto più antico di cui ho trovato notizia risale al 22 settembre 1662 (A.S.N. fondo: Corporazioni Religiose Soppresse – C.R.S. – fascio 878, f. 89), mentre il più recente è quello qui indicato. 23) B.A.I, Platea Buonocore, cit. f. 103.

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ta administrare quibusdam Parochianis numero 260, qui incolunt locum vulgo dictum li Bagni asperamque viam a suburbio dissitum, ac penitus separatum, in quo nulla adest ecclesia preter duas angustias in loco campetri sitas capellas de jure patronatus laicorum»24. Quella del successore Felice Amato del 12 aprile 1747 afferma tra l’altro: «Sunt quoque in dicto suburbio quatuor capelle pro comoditate habitantium in dispersis locis: alia sub invocazione sancti Alexandri, in qua est erectum simplex Beneficium sub dicto titulo de jure patronatus familie de Angelis…»25. Gli atti della visita pastorale del pro vicario capitolare Bartolomeo Mennella del 1802, oltre a parlare della chiesa del Purgatorio, cioè di quella oggi chiamata Chiesa di S. Pietro, che era succursale della parrocchia di S. Vito di Celsa, per la zona dei Bagni ci presenta due cappelle che egli visitò l’8 aprile 1802. Della prima dice: «…visitavit capellam ruralem sub titulo Sancti Stephani jure Patronatus de familia de Angelis… .dicta capella sita est in Villa Balneorum huius civitatis… eademque supradicta die Visitavit capellam ruralem sub titulo Sancti Michaelis Arcangeli, jure Patronatus de familia di Meglio»26. La visita pastorale successiva effettuata nel 1820 dal vescovo Giuseppe d’Amante, invece, dice che il vescovo il 25 aprile 1820 visitò «Ecclesias rurales dictae Villae Balneorum Civitatis Ischiae…cappellam sub titulo sancti Michaelis Arcangeli de jure patronatus Domini Sylvestri de Meglio et….capellam sub titulo Sanctae Mariae Gratiarum de jure patronatus familiae de Angelis»; e visita anche la cappella di S. Alessandro27. Negli atti della seconda visita pastorale del vescovo d’Amante del 1825-26 troviamo citate ancora la cappella di S. Alessandro e le altre due nel modo seguente: «Idem Illustrissimus, ac Reverendissimus Dominus Episcopus associatus a suis convisitatoribus processit ad visitandas reliquas cappellas rurales ejusdem Villae Balneorum, et primo: visitavit cappellam sub titulo Sancti Michaelis Archangeli de jure patronatus Domini Sylvestri de Meglio…visitavit capellam sub titulo Sanctae Mariae Gratiarum de jure patronatus D. Stephani de Angelis…»28. Da questi documenti deduciamo che la cappella di S. Stefano dei de Angelis, di cui parla la visita pastorale di Bartolomeo Mennella del 1802, è la stessa di S. Maria delle Grazie dei de Angelis, e che il cambiamento del titolo sia dovuto a un errore del compilatore degli atti della visita, che ha scambiato il nome del patrono della cappella con quello santo titolare. La cappella di S. Michele, invece, era ubicata nella odierna Via Morgioni, poco

prima, del parcheggio. Oggi è trasformata in abitazione privata, molto piccola per la verità, ma la struttura esterna rivela ancora la sua destinazione originaria. La troviamo citata nella «Nota di tutti i luoghi pii.. 1777» nella quale leggiamo: «La cappella rurale di S. Michele di patronato laicale della famiglia di Meglio, sita nella medesima Villa de’ Bagni, e l’attuale cappellano si è D. Vincenzo di Meglio compadrone»29. Verrà visitata ancora dal vescovo Felice Romano nel 1856 che si limiterà a dire: «visitavit capellam sub titulo S. Michaelis Arcangeli de jure patronatus quondam Silvestri de Meglio»30. L’ultimo ricordo di questa cappella lo riscontriamo negli atti della visita pastorale di Francesco di Nicola del 1873 dove leggiamo che il vescovo la visitò, insieme con i suoi convisitatori, il 28 novembre 1873 e «capellam ingressus cum omnia ibi in mediocri statu invenisset nullum edidit decretum»31. Non viene citata negli atti della visita successiva del 1885 di Gennaro Portanova32. Della cappella dei de Angelis non vi è più traccia negli atti delle visite pastorali a partire da quella del 1855 del vescovo Felice Romano. Mi sembra utile riportare qui un passo di O. Buonocore che riguarda un aspetto particolare di questa cappella che non bisogna dimenticare: in questa cappella ha tante volte pregato la regina Cristina di Savoia, oggi beata: «l’anno 1740, il Protomedico ( Francesco Buonocore ) aveva già incorporato la chiesina nel territorio suo. L’Antico oratorio è tanto caro alla popolazione della contrada sia per la struttura secentesca, sia perché là si recava a pregare la venerabile Cristina di Savoia, prima consorte di Ferdinando II, durante la stagione estiva. Il tempietto è chiuso al culto: il numero degli ospiti sempre in aumento ha richiesto la costruzione di una più larga accoglienza. Si fa voto di non lasciare giungere alla decrepitezza il tempietto dove pregò la Venerabile Regina Maria Cristina. Un distinto generale, il quale annualmente, si conduce alle terme isclane ( dell’Istituto Termo-balneare “ Francesco Buonocore “ di Porto d’Ischia ) al primo giungere si dà pensiero di rendersi conto dello stato di conservazione del piccolo gioiello secentesco»33. Anche se avulsa dal contesto cronologico che cerchiamo di trattare, credo sia utile sottolineare che la «Nota dei luoghi pii….1777» citata, colloca nella zona di Villa dei Bagni un’altra cappella della quale non ho trovato altri riscontri documentari. Infatti vi leggiamo: «La cappella di S. Giacomo di patronato della famiglia de Angelis il cui cappellano è il Reverendo Sebastiano de Angelis, la

24) Cfr. relazioni ad limina dei vescovi d’Ischia in Archivio S. Congregazione del Concilio ( A.C.C.) sotto il nome del vescovo e l’anno. 25) Cfr la citata relazione ad limina. 26) A.D.I., fondo S. Visite, Atti della Visita di Bartolomeo Mennella del 1802, f. 5 v. 27) A.D.I., Atti della visita pastorale di G. d’Amante del 1820 f. 10 v. 28) Ibidem, atti della seconda visita del 1825-26 f 7 v.

29) A.D.I., Nota di tutti i luoghi pii laicali misti ed ecclesiastici…..1777, f. 14. 30) Ibidem, Atti della visita pastorale di Felice Romano del 1855, f. 15 v. 31)Ibidem, Atti della visita pastorale di Francesco di Nicola del 1873, f. 72 v. 32) Anche questi atti sono conservati nell’A.D.I., Fondo S. Visite. 33) O. Buonocore, Medaglioni Isclani, Rispoli Editore in Napoli,1959, p. 41. 34) Cfr. in A.D.I. : Nota……..1777, ff. nn.

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quale cappella sta sita nella Villa de’ Bagni»34. Abbiamo notizie di una cappella di S. Giacomo, ma ubicata non nella zona dell’attuale Porto d’Ischia, bensì poco fuori il borgo di Celsa. A me sembra indicativo il fatto che è detta di patronato della famiglia de Angelis. Questo cognome nel Notamento ….. lo riscontriamo solo in riferimento alla cappella della Madonna delle Grazie per cui sospettiamo che la Nota…. del 1777 possa aver fatto un errore e che quindi si tratti della cappella dei de Angelis che già conosciamo. Ci avviciniamo sempre di più al borgo di Celsa e siamo arrivati alla parte centrale della colata lavica prodotta dall’eruzione di Fiaiano tra il 1300 e il 130335. Superata la chiesa del Purgatorio o di S. Maria delle Grazie, oggi detta di S. Pietro, che esula dalla nostra trattazione (e che vogliamo trattare in altra sede ), ci imbattiamo nella chiesetta di S. Girolamo, oggi dedicata alla Madonna della Pace, sede del convento delle Suore Figlie della Chiesa. Il vescovo d’Avalos nella sua Platea non ne fa cenno, ma all’epoca la chiesetta già esisteva da lunghissimo tempo, anche se non possiamo determinare l’anno di fondazione Di certo è uno dei pochissimi luoghi sacri segnalati dalla carta di Mario Cartaro allegata alla prima edizione dell’opera di Giulio Iasolino che, come sappiamo, fu pubblicata nel 1587. Nel Notamento non vi è alcuna traccia di questa cappella, mentre l’Onorato la cita appena, affermando solo che al suo tempo si trova «senza cappellano»36. Le notizie che possediamo su questa cappella ci vengono dai documenti del convento agostiniano di Santa Maria della Scala di Celsa. Infatti nella Platea corrente conservata nell’Archivio Diocesano d’Ischia leggiamo: «1543 adi 7 marzo l’Università della città d’Ischia fa donazione irrevocabiliter inter vivos al Padre Maestro Fra Paolo, e per esso al Venerabile Convento di Santa Maria della Scala d’Ischia dell’Ordine Eremitano di Santo Agostino della cappella di S. Girolamo con tomola quattro di territorio, sita dove si dice l’Arso, giusta la pubblica strada, come questo, ed altro descritto sta nell’istromento rogato per il notaro Giovan Francesco Casdia d’Ischia li 7 marzo 1543 copia del quale sta in nostro Archivio, e si legge nel nostro libro D di cautele folio 301 a tergo, e nella Platea fol. 796 quibus = 1543 adi 24 marzo il Vescovo d’Ischia Agostino Pastineo confirma la donazione fatta dall’Università della città d’Ischia al Venerabile Convento di S. Maria della Scala dell’Isola d’Ischia della cappella di S. Girolamo, come dalla fede ne fa il notar Bartolomeo Al35) Sull’eruzione di Fiaiano cfr. Cronicon Cavense, in Monumenta germaiae Historica, scriptores III, Hannoverae 1839, p. 196; F. Iovene, Una fase esplosiva durante l’ultima eruzione dell’Epomeo (1300-1303) in Ricerche contributi e memorie cit. I, pp. 95-103; G. Buchner, Eruzioni vulcaniche e fenomeni vulcano-tettonici di età preistorica e storica nell’isola d’Ischia, in Tremblements de terre, éruption vulcaniques et vie des hommes dans la Campanie antique, Publications du Centre J. Bérard, Naples 1980; N. d’Ambra, Eruzioni e terremoti nell’isola d’Ischia dalle origini ad oggi, Napoli 1981. 36) V. Onorato, op. cit. f. 163 r.

bano d’Ischia li 24 marzo 1543 quale in carta bergamena sta in nostro Archivio, e per estensim si legge nel libro D di cautele fol. 301 a tergo, Platea fol. 796 quibus»37. Da questo momento su questa cappella si ha un lungo silenzio nella documentazione fino alla prima visita pastorale del vescovo Giuseppe d’Amante del 1820 che, tra l’altro, si limita a scrivere: «Visitavit tandem cappellam in Eremo sub titulo Sancti Hyeronimi, et laudavit»38. Negli atti della visita successiva del 1825-26 leggiamo: «Visitavit denique cappellam, et Eremum sub titulo Sancti Hyeronimi. Et omnia laudavit; Attamen mandavit Eremitae Fra Hjeronimo Scotto, ut omnium sacrorum utensilium, ac oblationum, et votorum fidelium conficiat Inventarium, quod hisce actis Sanctae Visitationis adnotari debeat»39. La visita del vescovo Romano del 1855 aggiunge solo che si trova «in medio Cremati»40. Altre notizie di rilievo non si riscontrano fino a quando l’antico eremo agostiniano non entra nella sfera d’azione della Figlie della Chiesa, congregazione religiosa nella cui fondazione svolse un ruolo fondamentale anche Mons. Ciro Scotti, fratello dell’arcivescovo di Rossano Giovanni, per alcuni anni vicario generale del vescovo Ernesto de Laurentiis (1928-1956). Questi stipulò con la superiora generale e fondatrice Suor Maria Olga Oliva del Corpo Mistico una convenzione con la quale viene stabilito che l’appartamento costruito ex novo a spese della Congregazione sopra lo stabile della chiesa della Madonna della Pace-S. Girolamo sia riconosciuto proprietà della Congregazione come compenso dei lavori fatti nella chiesa, pavimento ed altare con la rinuncia però da parte delle Suore al diritto di donazione, vendita o affittanza ad altri. Nel caso in cui la Congregazione delle Figlie della Chiesa venisse nella determinazione di chiudere il convento, avrebbe dovuto cedere l’appartamento all’Ordinario della diocesi d’Ischia senza alcun compenso e con il solo diritto di prelevare le suppellettili delle suore41. Da alcuni inventari della fine del secolo XIX, sappiamo che, oltre il quadro della Madonna della Pace, che viene detta delle Grazie di proporzioni piuttosto modeste e ancora oggi esistente in fondo all’abside, nella chiesa vi erano un altro quadro di S. Francesco e le statue della Risurrezione di Gesù, S. Girolamo, l’Immacolata e S. Giuseppe42. Ancora oggi le suore Figlie della Chiesa abitano il convento dedicandosi all’adorazione eucaristica prolungata ogni giorno e a varie forme di apostolato. Agostino Di Lustro 37) A.D.I. Platea Corrente (P.C ) f. 53. 38) A.D.I. Atti della visita pastorale del vescovo Giuseppe d’Amante del 1820 f. 10 v. 39) Ibidem, atti della visita pastorale del 1825-26 f. 7 v. 40) Ibidem, atti della visita pastorale di Felice Romano del 1855 f. 16. 41) A.D.I. Fondo rettorie di Ischia, Cartella S. Girolamo. 42) Ibidem, due inventari: uno non datato della fine del sec. XIX e un altro del 1° settembre 1892.

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Amarcord degli anni '50 e '60

... Quando andare al cinema la domenica non era soltanto un momento di evasione e di divertimento, ma anche una occasione di socializzazione... di Giuseppe Silvestri

L’articolo pubblicato sul La Rassegna d’Ischia nell’ottobre 2012, che fa riferimento all’impianto di una targa nel Comune di Lacco Ameno in memoria dell’attore Eduardo Ciannelli, costituì l’occasione per ripercorrere la storia del cinema, soprattutto nei comuni di Lacco e Casamicciola. Il primo cinematografo a Casamicciola sorse negli anni 1920, ad opera di Francesco Sirabella, in un grande fabbricato di fronte alla spiaggia di Suor Angela, prima adibito al commercio del vino. La struttura si può dire che sia rimasta intatta nella sua forma rettangolare, nella sua notevole altezza e copertura a volta. È naturalmente cambiata l’attività che vi si svolge. Sulle pareti laterali furono realizzati addirittura dei piccoli palchi per le persone importanti; in fondo il palco e lo schermo per le proiezioni. Si esibivano anche compagnie teatrali provenienti da Napoli. L’iniziativa ebbe successo e molte persone di Casamicciola ed anche di Lacco presero a frequentare gli spettacoli. Nel 1928 il sig. Nicola De Luise costruì l’Eldorado, una struttura a mare, su palafitte a levante della banchina di Casamicciola di fronte alla piazza Marina. Essa comprendeva oltre al bar ed alle cabine anche due grandi sale: una per il ballo e l’altra per il cinema ed il teatro. Anche qui si proiettavano ancora film muti con l’intervento del pianista che suonava accompagnando lo svolgimento dello spettacolo in sintonia con le scene che potevano essere tristi, allegre, veloci, lente. C’era un pianoforte tedesco: “Eufonos”. I pianisti che si alternavano furono Francesco Mazzella e Giuseppe Monti (Peppino il sergente). 46 La Rassegna d’Ischia n. 4/2013

Pagina da L'Isola d'Ischia - Nuova guida compilata da Wladimiro Frenkel, seconda edizione.

In quel periodo ci fu anche un altro locale presso Piazza Marina che fu adibito a cinema e realizzato da Vincenzo Sirabella con il nome di “Cinema Tripoli” e funzionava anche d’inverno. Poi il “Cinema Italia”, costruito da Giuseppe Fraticelli, una struttura moderna e funzionale, divenne dagli anni quaranta e per oltre un trentennio una’autentica istituzione, soprattutto per le popolazioni di Lacco e Casamicciola. Andare al cinema a Casamicciola, ogni domenica, era nei programmi e desideri di centinaia di lacchesi. E durante la settimana, mentre si era intenti a intrecciare cestini o borse di paglia, si parlava spesso del film già visto con riferimenti a quello della domenica successiva di cui si conosceva il tito-

lo, gli attori e l’argomento per averne visto la locandina affissa alla porta del barbiere Filippo. E si lavorava anche per mettere insieme i soldi per il biglietto. La domenica di primo pomeriggio sulla Litoranea Lacco - Casamicciola era una sorta di processione: gruppi di ragazzi, famiglie intere, fidanzati: tutti al Cinema Italia, e capitava che durante il percorso si intrecciavano amicizie ed amori parlando del film, degli attori e spesso di Eduardo Cannelli, l’attore lacchese che lavorava in America e a Cinecittà e ci si sentiva orgogliosi di questo concittadino. Alle 15.00 già un folto gruppo di persone era in attesa davanti alle transenne che separavano l’atrio dal marciapiede. Poi la corsa alla biglietteria per avere più possibilità di scegliere il posto. In platea il prezzo era inferiore rispetto al piano superiore. In mezzora le sale si riempivano ed alle 15.30 iniziava il primo spettacolo; se ne succedevano quattro dello stesso film fino alla mezzanotte. All’uscita si faceva il percorso inverso sulla litoranea per Lacco, parlando del film e tessendo gli opportuni commenti. Nelle calde serate primaverili ed estive luccicavano sul mare in lontananza decine di lampare e sotto costa le centilee illuminavano i fondali. D’inverno invece, spesso per la pioggia o per il vento di tramontana, era particolarmente sofferto il ritorno a casa. Fermarsi al “Calise” per il biscotto o per una pasta era un desiderio che si poteva realizzare tanto raramente per molti. Soltanto qualche famiglia facoltosa prendeva la carrozza per il ritorno.

Casamicciola - Facciata anteriore, in gran parte eguale, dell'ex Cinema Italia


In Ischia nelle sue Cartoline 1900 - 1950 di Leopoldo Reverberi Riva, Valentino Editore 2006.

In Vecchia Ischia 1898-1958 di Nunzio Albanelli, Imagaenaria Edizioni Ischia, 2006

Ebbene, il “Cinema Italia” di Casamicciola penso che si possa considerare come un punto di riferimento per comprendere quanto il cinema abbia contribuito all’evoluzione culturale della società, in particolare nei piccoli paesi e nelle isole, dove le occasioni culturali erano molto limitate, come anche le scuole, e dove l’economia si basava soprattutto sull’agricoltura e sulla pesca, come nel caso dell’isola d’Ischia. Andare a cinema la domenica non era soltanto un momento di evasione e di divertimento, ma anche l’occasione per conoscere altre persone, per trovare la fidanzata, per poter avvicinare la ragazza che da tempo si seguiva con lo sguardo. E bisognava vestirsi bene, ed ecco il vestito della domenica che spesso era il vestito della vita o quasi, con camicia e cravatta; ed anche le ragazze e le donne si adoperavano per seguire la moda. Ma al di là di questo il cinema diede contenuti culturali che tanti non avrebbero mai potuto acquisire. Già il cinema muto con i suoi film storici, religiosi, mitologici, di costume… con Charly Chaplin poi con Stanly and Ollio, ormai nel sonoro e poi nel secondo dopoguerra con i film del neorealismo come Sciuscià, Roma città aperta, Ladri di bicicletta, Campane a martello, girato ad Ischia, svelarono a tanti una realtà che era ignorata; ed alla storia avvicinarono i film in costume degli anni cinquanta: Quo vadis, I Dieci Comandamenti, Ben Hur…; i film di Tarzan ci fecero scoprire l’Africa, come i tanti film sui pellerossi ci avvicinarono alla realtà del continente americano. Un periodo che così viene descritto anche da Giovanni

Castagna1: «Quasi tutti si ingolfavano nel Cinema Italia e vi trascorrevano la serata, a pianterreno o al primo piano a seconda dei gusti e del portafoglio. Chi saprà mai dire l’influenza del Cinema Italia su tutta una generazione di lacchesi? Ore ed ore a stordirci con le avventure “western”, con i film di guerra ove un solo “marine” faceva prigioniero tutto un reggimento di giapponesi. Commedie musicali hollywoodiane, tutta la serie dei “Tarzan”, poi quella dei “Maciste” e quella dei polpettoni biblici. Il più grande successo di quegli anni fu “Giovanna d’Arco” ed anche i preti invogliarono i fedeli ad assistere alla proiezione. Per fortunata c’era Totò, il quale, ammiccando, ci faceva capire ch’erano tutte “quisquilie” e con occhi maliziosi carichi di sottintesi ci insegnava che “la serva serve”». Con l’avvento di Rizzoli che realizzò a Lacco Ameno il grande complesso turistico alberghiero e termale, negli anni cinquanta del 1900 sorse anche il Cinema Teatro “Reginella”, un locale d’élite per i clienti degli alberghi; vi si proiettavano soprattutto i films della Cineriz: spesso si ripeteva “Vacanze a Ischia” con Vittorio De Sica, Peppino De Filippo, Antonio Cifariello etc; nel 1957 l’attore e regista Charles Chaplin vi presentò la prima del suo film: Un re a New York; vi si poté vedere anche in anteprima La Dolce Vita di Federico Fellini. Nello stesso periodo sorsero a Casamicciola, a Lacco (l’Isola Verde di Giuseppe Murabito che organizzava anche spettacoli con cantanti e ballerine) e a Forio i cinema all’aperto che ovviamente erano in attività d’estate. A Ischia negli anni cinquanta c’erano due sale cinematografiche, una a Ischia Ponte, di fronte alla chiesa dello Spirito Santo, e l’altra al Corso Vittoria Colonna, che poi ristrutturato diventerà il Cinema Lucia. A Forio c’era il cinema detto “Pella-Pella” ed a Panza il cinema Del Deo. Anche Barano aveva il suo cinema. Questi locali a partire dalla fine del secolo scorso hanno subito le conseguenze della crisi del cinema ed anche dei mutamenti culturali e dei costumi di cui furono protagonisti i giovani e non solo. La preferenza delle discoteche alle sale cinematografiche, la possibilità di scegliersi i film a proprio piacimento tramite cassette o dvd, senza dimenticare il ruolo della televisione, determinarono la crisi di un fenomeno che aveva caratterizzato oltre un cinquantennio. E così molte sale cinematografiche sono state trasformate per ospitare attività commerciali. Lo stesso fenomeno si è verificato nelle città. Rimangono oggi attive due belle sale cinematografiche che rispondono bene alle esigenze della popolazione ischitana e sono l'Excelsior a Ischia Porto ed il Cinema delle Vittorie a Forio. Giuseppe Silvestri 1 G. Castagna, Ischia isola di contadini, pescatori, artigiani, in “Lacco Ameno e l’isola d’Ischia, gli anni ’50 e ’60 – Angelo Rizzoli e lo sviluppo turistico”, La Rassegna d’Ischia, Edizione 2010.

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Ex libris

Portolano del mare Mediterraneo, del Mar Nero e del Mare di Azof compilato da Luigi Lamberti professore di Nautica dedicato alla Marina Italiana, vol. I, Livorno 1848.

Il golfo di Napoli, aperto a Lib. è vastissimo e profondissimo. L’isola d’Ischia che si lascia a sinistra e quella di Capri che è lasciata a destra, formano la sua apertura. Queste due isole elevatissime, si rilevano M. e S. e sono lontane una dall’altra da 15 miglia. Le coste di T. e di O. del golfo prendono, dopo queste isole, una direzione vicina a G. e il fondo del golfo è una terra bassa al mare che riunisce queste due coste, seguendo una direzione M. e S., sopra una lunghezza di 13 miglia. In modo che questo golfo è quasi un quadrato, il cui lato che manca fa l’entrata e può essere rappresentato dalla linea che unirebbe Ischia e Capri. La città di Napoli e il suo porto sono nell’angolo di T. di questo quadrato, dritto a T. a 16 miglia dall’isola di Capri. La grande entrata fra Ischia e Capri è quella che devono prendere i vascelli e le squadre, ma ve ne sono altre delle quali parleremo, fra queste isole stesse ed i capi del continente. La profondità è considerabile nel mezzo del golfo e non si può ancorare che ai contorni della costa. L’ancoraggio ordinario è a O. S. del fanale ad una distanza ragionevole, in 10, 15 e 20 passa d’acqua. A 1 miglio da terra vi sono già 30 a 35 passa e il fondo va sempre aumentando; si sta intieramente allo scoperto dei venti di Lib. sulla rada, ma la tenuta vi è buona. Così quando si viene da M. dopo avere riconosciuto l’isola d’Ischia si lascerà questa a sinistra, radendola da vicino quanto si vorrà, e si farà rotta a G. Lev. scanzando le punte fino a che siasi a O. S. del fanale Allora si ancorerà da 20 a 10 passa d’acqua, secondo la distanza alla quale uno vorrà tenersi dalla città. Se si viene da S. si raderà l’isola di Capri, che si lascerà a destra e si farà rotta a T. verso la città. Si può, senza pericolo, passare fra Capri e il capo Campanel che termina di faccia a quest’isola la costa O. del golfo, radendo l’isola un poco più del capo. Entriamo ora nei dettagli sul golfo di Napoli e sulle isole che l’avvicinano. L’isola d’Ischia, che forma la punta P. dell’entrata del golfo di Napoli, è grande, elevata, scoscesa dalla parte di Lib. con una collina a pane di zucchero nel suo mezzo. Una città chiamata Lelago è vicino alla sua punta M. Si può ancorare un poco a Lev. di questa città, in 6 a 10 passa d’acqua, al coperto da O. Lib. a S., ma bisogna prendere attenzione a molti scogli pochissimo elevati al di sopra dell’acqua che sono seminati su questa costa. La città d’Ischia, con un gran castello sopra uno scoglio, è alla costa Lev. dell’isola. Un ponte di pietra che ha 200 48 La Rassegna d’Ischia n. 4/2013

tese di lunghezza, riunisce il castello alla città, e si ancora da una parte e dall’altra del ponte in 3 a 4 passa, fondo di melma, scanzando le punte del castello e quelle dell’isola che sono circondate di scogli sott’acqua. Le altre punte dell’isola hanno ancora alcuni scogli ma si allontanano poco al largo. A Ischia avvi un fanale in costruzione, a fuoco fisso, sulla punta Caruso, promontorio M., dell’isola, in 40°45’ di latitudine T. e 11°31’ Lev. Sarà inalzato a 60 metri e visibile a 26 miglia. A G. Lev. a circa 1300 tese dal castello d’Ischia è l’isoletta di Procida, di media altezza, inegualissima, coperta di palazzi e di belle case con una città forte sulla sua punta scoscesa di Lev. Vi sono inoltre molti villaggi su quest’isola popolatissima. Quasi di faccia al castello d’Ischia e accanto all’isola di Procida è un isolotto elevatissimo con una torre di guardia; si chiama S. Paolo. Il passaggio fra Ischia e Procida è formato dal castello d’Ischia, che si lascia a P. e l’isola di S. Paolo che si lascia a Lev., vi si trovano 12, 15 e 20 braccia d’acqua. Ma bisogna radere il castello d’Ischia o l’isola di S. Paolo a motivo di un banco di scogli sott’acqua che è presso a poco nel mezzo del passaggio. Resta a G. T. a 1000 tese dal castello d’Ischia e a P. 1/4 M. a 600 tese dall’isola di S. Paolo. Il passo fra questo banco e il castello d’Ischia è preferibile a quello fra il banco e l’isola di San Paolo. Per evitare questo banco venendo da Lev. si governerà sul castello d’Ischia che si raderà a discrezione. Continuando la rotta a M. fino a che si scuopra, sulla destra, la torre della Mesa, scoperta dalla punta M. di Procida (questa punta si chiama capo Bayli); oppure quando si scoprirà sulla sinistra il villaggio di Lelago scoperto dalla punta di S. Pietro d’Ischia, la quale è a 1100 tese a M. ¼ T. dal castello di quest’isola, si avrà montato il banco. Le stesse osservazioni possono servire ai bastimenti che vengono da M. e da T. Avranno l’attenzione di attaccare per tempo l’isola d’Ischia per prolungarne la costa a una distanza ragionevole. La parte M. di Procida ha delle punte circondate di scogli. Tutta la parte di S. è sanissima. Si può ancorare a piccola distanza a T. dalla città di Procida, al coperto di Lib. O. e S., a P. di una punta di scogli che si prolunga a Lev. della città. Vi si è da 6 a 4 passa d’acqua, fondo d’erba. A G., a 1700 tese dalla città di Procida, è il capo della Mesa, che appartiene al continente ed è realmente l’estremità P. della costa T. del golfo di Napoli. È sormontato da una torre dello stesso nome. Al capo Miseno avvi fanale lenticolare in costruzione e a ecclissi i di cui lampi succedono di 30” in 30”. Sulla torre di questo capo in 40° 46’ latitudine T. e longitudine 11° 45’ Lev. La sua elevazione sarà 60 metri, visibili da 25 miglia. Il capo Mesa è una punta elevata e tagliata a picco a Lev. della quale è il capo o monte Miseno terminato da due punte, guarnite ciascuna di una torre. Questo monte è spianato nella sua sommità.


A P. del capo Mesa è un’altra punta di scoglio con una torre quadrata, chiamata torre di Voto, e fra queste due a piccola distanza da terra, si trova l’isola di S. Martino, elevata, tagliata a picco da tutte le parti e spianata nella sua sommità. A 2 miglia a T. dalla torre di Voto è una punta di scoglio, chiamata Cuma. Fra questi due vi è un poco d’incavo circondato d’una piaggia nella quale si può ancorare al coperto da O. S. a G. T. passando da Lev., per il fondo che si desidera, sabbia fina e melma. Non bisogna troppo avvicinarsi alla piaggia ove si trovano dei bassi fondi. Quest’ancoraggio d’occasione è al difuori e accanto a Napoli. Può essere utilissimo quando con dei venti di Lev. non si può raggiungere questo golfo. È d’un riconoscimento facile, perché la torre di Voto è sopra una penisola di scoglio, ove si vede una grande grotta in mezzo e molte piccole da una parte e dall’altra. Una punta di questa penisola è scavata a giorno e forma una grande volta. A Procida avvi un fanale a fuoco fisso, sulla punta Chiupetto, in 40° 46’ di latitudine T., e 11° 40’ di longitudine Lev. La sua elevazione è di 39 metri, visibile da 10 miglia. Il passaggio ordinario per i bastimenti medii e anche per i vascelli, quando si viene con vento in poppa è fra l’isola di Procida che si lascia a P. e il capo Mesa che si lascia dalla parte di Lev. Basta di non troppo avvicinarsi alle punte da una parte e dall’altra. A mezzo canale vi sono da 7 a 8 passa d’acqua al più stretto del passaggio. I vascelli devono tenersi a mezzo canale, perché avvicinandosi dalle due parti il fondo diminuisce e non è più che di 3 a 4 passa. Sarà sempre molto più prudente di uscire dal golfo o di entrarvi con i grandi bastimenti dall’apertura immensa d’Ischia a Capri. Fra il capo Mesa e il monte Miseno la costa fa un poco d’incavo, davanti al quale si può ancorare da 4 a 6 passa bene al coperto di T. Bisogna diffidarsi delle punte. Il monte Miseno forma il limite verso P. d’un golfo profondo, il cui limite verso Lev. è l’isola di Nizita, piccola, elevata, tagliata a picco da tutte le parti e spianata nella sua sommità, sulla quale è una torre di guardia. Questo golfo, che si chiama golfo di Baja, ha circa 4 miglia d’apertura sopra 5 d’incavo verso T. Alla sua entrata alla costa di P. e al rovescio del monte Miseno, è una calanca incavatissima a M,. ma stretta e ripiena di scogli e di piloni, si chiama Mala Morte. A 3 miglia verso T. dal monte Miseno è il castello di Baja, considerabilissimo e posto sopra una eminenza. Di faccia, dall’altra parte della baja, è la città di Pozzuolo sulla riva del mare. Ai piedi del castello di Baja è un grosso scoglio con una forte batteria che forma l’ingresso di sinistra del porto di Baja, di cui una grossa punta ad un piccolo miglio verso T. forma l’ingresso di destra. Questa punta si chiama punta dei Bagni. È questa circondata di scogli fuori dell’acqua e sotto l’acqua, che si avanzano molto, gli uni verso lo scoglio della batteria, gli altri a G. 1/4 Lev. della punta dei bagni. A Baja avvi un fanale a fuoco fisso, ai piedi del forte presso il mare in 40° 48’ latitudine T. e 11° 44’ longitudine Lev. La sua elevazione è di 10 metri e si vede da 6 miglia. Questi ultimi terminano verso T. il golfo di Baja, perché

dopo questi fino al fondo di questo golfo, non si trovano che dei banchi. Il porto di Baja è dunque fra il castello e la punta dei Bagni. Il suo fondo è un terreno basso con una punta sporgente in mezzo, avanti alla quale è un isolotto con una batteria. Quest’isolotto è circondato di scogli che fanno una catena fino al difuori della punta dei Bagni, in modo che i battelli soli possono giungere, con della pratica, fino al fondo. Si ancora all’ingresso da 5 a 10 passa d’acqua a T. del castello, a piccola distanza da terra. Il vento di S., sebbene, venendo dal golfo di Napoli, vi cagiona del mare. Vi si sta molto bene coi venti di M. , P. e Lib. A 2 miglia e mezzo, a G. Lev. dal castello di Baja è il porto di Pozzuolo. Partono dalla città che è alla riva del mare 14 pilastri, che nella loro direzione da Lev. verso P. occupano uno spazio di 180 tese. Formano il principio di un ponte che doveva stabilire una comunicazione fra Pozzuolo e Baja. Il porto di Pozzuolo è a T. di questi pilastri. Nell’allineamento T. e O. del più al largo si trovano 6 a 8 passa d’acqua. Il fondo diminuisce in pendio leggiero verso la città ed è per tutto di arena e di erba. Si può radere l’ultimo pilastro da molto vicino e le barche possono passare fra gli ultimi pilastri, ove si trovano 3 e 4 passa d’acqua. Il mare da O. a S. vi produce della risacca. Al di sopra della città di Pozzuolo è una montagna acuta, chiamata la Solfatara, n’esce un fumo spesso. Si trae molto solfo da questo vulcano. L’isola di Nizita è verso S. a 3 miglia dalla città di Pozzuolo, ed a un buon miglio a Lev. di quest’isola, si trova la punta dell’Algalona, alta e scoscesa. Fra queste due sopra un’isola di media altezza è lo stabilimento del Lazzeretto. Abbreviazioni – La lettera T indica la Tramontana, G. il Greco, Lev. il Levante, S. lo Sirocco, O. l’Ostro, Lib. Il Libeccio, P. il Ponente, M. il Maestro.

Il Progresso delle scienze, delle lettere e delle arti, opera periodica, vol. XIII anno V, Napoli 1836

… Prosiegue l’autore a dire come gli Osci o Opici vennero in queste regioni e presero il nome di Cimmerii, da’ quali poi fu edificata Cuma, la più antica tra le città del Cratere. Fa parola dell’indole de’ Cumani, delle miniere di oro che ivi erano, non che delle grotte da esso loro cavate e che si vuole giungessero dal lago di Averno sino a Napoli, ed inchina a credere che come le isole d’Ischia e di Procida vennero abitate da’ Cimmerii, così dovette esser pure di Capri dove non eran le molestie de’ vulcani. Dappoi narra la venuta de’ Fenici nel Cratere, i quali si noverarono tra primi aborigini, e fa vedere come questo nome non sia proprio di un particolar popolo, ma significhi gente lontana. Si giova dell’autorità di Omero per mostrare che i Fenici anche prima della guerra di Troja dovevano fare i loro commerci in queste regioni, e che da costoro vennero qui molte arti introdotte e furono i costumi ingentiliti, e riferisce diverse denominazioni antiche di La Rassegna d’Ischia n. 4/2013

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molti luoghi di origine siriaca o fenicia. Per questo crede pure che risola di Capri sia stata occupata da’ Fenici, i quali la trovarono con solo pochi selvaggi e quasi del tatto deserta. E siccome quivi avean fatto dimora le Sirene, intorno ad esse riporta le varie sentenze de’ dotti; ed egli anzi che crederle meretrici, si accorda con quei che pensano sieno state o degli scogli perforati che mandavano pel battervi delle onde un certo suono, o uccelli a’ nostri dì sconosciuti; ma queste congetture non ci pare che sieno abbastanza giustificate, e quanto per la loro novità si richiedeva. Lasciando de’ Fenici comincia a favellare de’ Greci, i quali vuole (in opposto di Tucidide che afferma non essere mai usciti avanti la guerra di Troja) che fossero venuti nella Japigia prima di questo tempo, e che sebbene allora nessuna terra possedessero nel Cratere, pure avessero tenuto commerci co’ Cimmerii, e segnatamente dopo la venuta de’ Fenicii. Verso la fondazione di Roma gli Etrusci discendenti da’ Tirreni abitarono i luoghi a noi vicini, ed è opinione di alcuni scrittori che Falero o Partenone, Ercolano, Pompei, Stabia e Sorrento fossero città o castella etrusche; e siccome gli Etrusci furono i popoli più colti avanti la fondazione di Roma, vuole l’autore giovarsene per mostrar noi di più antica civiltà de’ Romani signori del mondo. Pon fine al secondo libro con credere che verso il tempo della fondazione di Roma l’isola d’Ischia, pe’ vulcani che furono i primi a sorgere in questi luoghi, fosse affatto deserta, ed egualmente Procida, non trovandosi memorie in contrario. Ma non avvisa così di Capri, abitata già da’ Fenicii, e che per la feracità della terra e la bontà del cielo e la sicurezza da’ vulcani pensa sia stata sempre abitata, e ne’ tempi de’ quali discorriamo facilmente conosciuta dagli stessi Greci che venivano a mercatantare coi ricini Cimmerii. Dopo questo tempo la storia del nostro Cratere e delle isole diviene più sicura, e non cade luogo a dubitare che fossero sì 1’uno che le altre a quei dì abitati da’ Cumani, divenuti assai civili ed industriosi per l’esempio degli Etrusci e de’ Fenicii. Non è possibile fermare con certezza il tempo nel quale i Greci vennero nel Cratere. Secondo Strabone la più antica colonia fu quella venuta dall’Eubea, e segnatamente da Calcide, che fondò Coma; ma 1’autore porta avviso in contrario, e s’ingegna con lungo ragionamento di dimostrare che sia avvenuto verso il principio del quarto secolo, e però ripete con maggior certezza quel che ha detto sopra, cioè che Cuma città tanto antica dovette sorgere per opera de’ Cimmerii popoli indigeni e non de’ Greci, ma che dopo la costoro venuta ebbe lustro e nominanza, e però fu in processo di tempo tenuta città greca. Oltre a Cuma ci ebbe molte altre città degne di memoria nel Cratere, e l’autore ricorda Baja, Dicearchia poi detta Puteoli tanto famosa pel commercio, Partenone o Palepoli poi Napoli, Ercolano, Pompei, Stabia e Sorrento. I Teleboi antichi abitatori di Tafo, una delle Echina50 La Rassegna d’Ischia n. 4/2013

di oggi dette Curzolari, isole all’imboccatura del golfo di Lepanto, sono reputati i primi tra’ Greci che venissero a stanziare in Capri, e si tien parola di Telone primo re di questa colonia. Virgilio tra gli altri parla de’ Teleboi e di Telone come se fossero stati in Capri a’ tempi della distruzione di Troja; ma è da credere che il poeta, volendo mostrare l’Italia come regione già molto aranti nella civiltà e forte a quei giorni, non abbia avuto ritegno, parlando del governo di Telone, d’incorrere in un anacronismo. Questi Greci come i loro concittadini viver dovevano di pirateria, e pare si fosse dell’isola di Capri fatto un piccolo regno, e che Ebalo succedesse a Telone, secondo l’autorità del poeta mantovano, e che poi venisse in soggezione de’ Greci napolitani. Ai tempi della caduta della repubblica romana Capri durava sotto la potestà di Palepoli; e sebbene per la sua piccolezza non fosse tenuta in conto dagli storici, pure deve tenersi soggiorno di uomini di molto puliti costumi. E ne fa fede l’Efebeo, luogo dove si riducevano i dotti per disputare ed ammaestrare la gioventù nella storia, nelle leggi ed in altre discipline, ed il Circo per ogni maniera di giuochi, ed il poeta Bleso di cui fanno menzione Ateneo, Stefano ed altri, tutte cose anteriori all’Impero. Nelle guerre de’Sanniti contro i Campani che erano collegati con Rona, i Napolitani, istigati da’ primi vi ebbero parte e dovettero cedere alla forza prepotente de’ nemici. Fermata la pace, Capri seguitava a tener con Napoli, ed Ischia co’ Romani. Gli abitatori del suolo cumano seguirono la stessa sorte, e vivevano in grandissima amicizia ed erano in continui commerci co’ Romani; ma nulladimeno serbarono per lungo tempo le loro proprie leggi ed i loro costumi presso che nella loro interezza. Ma come suole avvenire nelle leghe tra forti e deboli, a mano a mano i Romani da amici divennero signori, e portarono in queste regioni le usanze loro e la lingua. Nel quarto libro siamo già al principio dell’Impero. Augusto, come riferisce Svetonio, verso gli ultimi tempi della sua vita divenuto malsano ed infermiccio, cominciò a frequentare i luoghi marittimi e le isole della Campania, ed invaghitosi di Capri la volle in cambio dell’isola d’Ischia che cedette ai Napoletani. Stando quivi questo imperatore dovettero farsi la villa di Giove e la villa Giulia, credute generalmente opere di quel tempo, oltre ad altre che poi si stimarono tutte del tempo di Tiberio. Lo stesso Svetonio parla ancora dell’ultima dimora fattavi da Augusto, e de diletti che si prendeva, e de’ costumi che vi regnavano. Tiberio che avea col suo antecessore soggiornato in Capri, allettato dall’amenità del luogo, dagli ozii e dal clima, volle farvi lunga dimora; e parendogli modesti gli edifizii fattivi innalzare da Augusto, volle profondervi i suoi tesori, per guisa che in appresso Capri fu addimandata Isola di Tiberio.


Forio – Nella villa La Colombaia

Mostra collettiva di artisti ischitani

Nella villa “La Colombaia di Luchino Visconti” si è tenuta negli scorsi mesi di maggio e giugno, a cura della Fondazione omonima, una mostra collettiva di autori ischitani, con tema la figura del regista che ha riscosso un caloroso successo. Nella sala, che un tempo era adibita a stanza da pranzo di Visconti, ora spazio ideale per mostre, le pareti offrono il rapporto esistente tra le suggestioni che il grande regista ha creato con la sua opera e la percezione di chi dedica all’arte pittorica la sua vita su questa isola. Le occasioni sono per gli artisti, il più delle volte, momenti fecondi quando rivivono e ricreano colla propria sensibilità lo spirito complesso di un autore, riuscendo a darne uno sguardo originale. Mariolino Capuano, Marco Cecchi, Pina Conte, Manuel Di Chiara, Giovanni De Angelis, Michele Di Massa, Anna Maria Di Meglio, Raffaele Iacono, Antonio Macrì, Francesco Miranda, Felice Meo, Paolo May, Nunzia Zambardi, i protagonisti della mostra. La volontà della Fondazione di tenere viva, anche sull’isola, la presenza di un grande del Novecento va al di là della pur necessaria e dignitosa conservazione della casa che fu di Visconti, questo nonostante le innumerevoli difficoltà proprie di un bene pubblico, in un contesto nazionale di scarso investimento nella cultura. La storia di Ischia registra anche questo: negli anni ’50 e ’60 il territorio isolano fu amato e frequentato da scrittori, musicisti, poeti di fama internazionale,

che trovavano nella bellezza dei luoghi e nella semplicità degli abitanti motivo di attrazione e di spunti creativi; ora tale eredità ideale non sarà perduta se il ricordo ne è tenuto vivo. I “classici” sono tali se continuano a trasmetterci il loro patrimonio di verità e di bellezza perché sia spunto per ulteriori conquiste, se questo non avviene gli uomini vivono in una palude stagnante, dove smuovendo l’acqua in superficie niente di nuovo creano. Coinvolgere gli artisti rimane l’azione meritoria, spiriti liberi potranno creare nuova linfa, aiutarci a guardare l’invisibile, il non espresso, di cui abbiamo disperatamente bisogno quando tutto

sembra portarci solo nel regno dell’utile. La mostra dedicata a Visconti ha registrato un buon numero di visitatori, frequentatori occasionali dell’isola, e questo conforta nella linea di una sempre maggiore valorizzazione di una struttura dal fascino culturale notevole, di cui Ischia deve essere solo orgogliosa e diffonderne instancabilmente la conoscenza. A motivo di una precedente programmazione, solo dopo qualche settimana La Colombaia ha ospitato, in un altro ambiente, una mostra diversa, i cui protagonisti sono stati questa volta i giovani aspiranti grafici dell’I.P.S “Telese” e il tema: la villa e Visconti. I lavori molto pregevoli hanno messo in luce tanti talenti che, con tecniche appartenenti alla tecnologia del nostro presente, hanno interpretato questa realtà, prima poco conosciuta. Una sorpresa felice e beneaugurante in linea con l’auspicio che proprio la nuova generazione possa contribuire a tenere vivo l’interesse per quella cultura che appartiene a tutti noi. Per questo evento si era previsto un premio, dato in exaequo a due giovani, Tom Fiorentino e Dayana Chiocca, al primo per una grafica chiara e comunicativa, alla seconda per l’idea elaborata con gusto estetico. La storia di Ischia continua, in questo senso, coi migliori auspici.

Lina D’Onofrio

Festival Visconti 2013

“Un viaggio con Luchino tra cinema, letteratura e musica” Da mercoledì 24 luglio a giovedì 1 agosto 2013, alla villa La Colombaia di Forio, si è svolto il Festival Visconti 2013 con una serie di manifestazioni e proiezioni, incontri culturali e musica. Mercoledì 24 - Duetti d’amore: Patrizia Orciani Soprano, Eufemia Tufano Mezzosoprano, Roberto Iuliano Tenore Carlo Barricelli Tenore, Dragan Babic Pianoforte. Giovedì 25 - Proiezione del film Senso Venerdì 26 - Proiezione del film Gruppo di famiglia in un interno Sabato 27 - Visconti scrittore: “Frammenti inediti” - Veronica Zucchi, Attrice - Prof. ssa Sonia Gentili - Università la Sapienza Roma - Prof. Giorgio Patrizi - Università del Molise Domenica 28 – Harmonie de soir - Eufemia

Tufano Mezzosoprano, Sergio La Stella, Pianoforte - Maria Grazia Schiavo, Soprano Lunedì 29 - “Gattopardo Segreto” collage testi testimonianze, dialoghi e interventi critici - Luca Archibugi, scrittore e regista Rai - Prof. Rino Caputo, Università Tor Vergata - Dr. Franco Cordelli, Corriere della sera Giorgio Patrizi. Martedì 30 – Proiezione del film Il Gattopardo Mercoledì 31 - Visconti: autoritratti perduti e ritrovati - Studi di Luca Archibugi, interpretazioni di Veronica Zucchi - Prof. Siriana Sgavicchia, Università per stranieri Perugia - Sonia Gentili Giovedì 1 - In carrozza per l’Europa - Giulia Lucrezia, Brinckmeie Violino - Renata Benvegnù Pianoforte.

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I vincitori dell’Ischia Film Festival 2013

Premiati ‘L’alfabeto del fiume’, ‘Margerita’ e ‘La guerra dei vulcani’. Ad Abbas Kiarostami il Premio Castello Aragonese per la regia. A Jean Sorel premio alla carriera Il primo premio della sezione documentari è andato a ‘La guerra dei vulcani’ di F. Patierno che a cavallo tra il cinema del reale e il melò porta avanti la narrazione in modo originale, prendendosi il lusso di dirigere, attraverso il montaggio, due dive come Anna Magnani e Ingrid Bergman. La Storia incontra la Settima Arte in un film unico nel suo genere. Un lavoro di grande impatto dunque, che ha conquistato la Giuria, composta da Vittorio Giacci, Giuliana Muscio, Chiara Martegiani, Antonio Capellupo. Il premio per il Miglior Cortometraggio è andato invece a ‘Margerita’ di Alessandro Grande, una fiaba moderna che prende vita in una Roma multietnica, mettendo l’uno di fronte all’altro un giovane ladruncolo rom e una violinista italiana. Grande dimostra che il contatto fra due culture, apparentemente molto distanti tra loro, può avvenire attraverso le note di uno Stradivari e la comunicazione universale della musica. Nella sezione Location Negata ha trionfato invece ‘L’alfabeto del fiume’ di Giuseppe Carrieri, film ambientato sulle rive del Gange, location di morte e di fame, in cui un professore illuminato prova a donare un futuro alle nuove generazioni attraverso la cultura. Un documentario importante, che sa trovare il giusto equilibrio tra realtà e poesia. Abbas Kiarostami, uno tra i registi più apprezzati a livello internazionale, amato da Godard e Scorsese, si è aggiudicato il Premio Castello Aragonese come miglior regista, per ‘Qualcuno da amare’. Il Premio Aenaria per la migliore 52 La Rassegna d’Ischia n. 4/2013

scenografia è stato invece assegnato a Rossella Guarna per ‘11 settembre 1638’ di Renzo Martinelli, che narra dell’assedio tenuto a Vienna da parte di trecentomila guerrieri dell’Impero ottomano. Il premio Epomeo per la miglior fotografia è andato ad Arnaldo Catinari per ‘Viaggio sola’ di Maria Sole Tognazzi, storia di Irene, una quarantenne single che viaggia per il mondo valutando gli standard degli alberghi di lusso. Nell’ambito del Festival è avvenuta inoltre, la consegna del premio Italian Film Commission al film ‘L’intervallo’ di Leonardo Di Costanzo. «Siamo particolarmente orgogliosi di premiare Leonardo per quest’opera prima che è stata tanto apprezzata da pubblico e critica ma siamo altrettanto felici di riaverlo qui ad Ischia», ha dichiarato il direttore del festival Michelangelo Messina. Nelle edizioni precedenti gli artisti di origini ischitane premiati dal festival sono stati l’attore Eduardo Ciannelli, l’attore e produttore Renato Romano, e l’attrice Lucianna De Falco.

Il Foreign Award in collaborazione con APE (Associazione Produttori Esecutivi) è stato assegnaro al produttore Donald Rosenfeld per ‘Effie’, scritto da Emma Thompson. Menzioni speciali per la sezione location negata a: ‘Dell’arte della guerra’ di Luca Bellino e Silvia Nuzzi, a ‘Anija – La nave’ di Roland Sejko, per la sezione documentari a “Lovebirds-rebel lovers in India’ di Giampaolo Bigoli. Premio alla Carriera a Jean Sorel per le sue magistrali interpretazioni nei film di maestri del cinema francese, internazionale, ma soprattutto italiano. E per aver contribuito a raccontare la storia e il costume del nostro paese, affidandosi con generosità alle visioni di Visconti, Risi, Lizzani, Bolognini e Loy. L’undicesima edizione dell’Ischia Film Festival ha visto la partecipazione di grossi personaggi della cinematografia italiana come Massimo Ghini, Renzo Martinelli, Enrico Lo Verso, Francesco Patierno. *


Pagine d’autore

Cavascura Ezio Bacino in Italia oro e cenere Vallecchi Editore, Firenze 1953

A S. Angelo appare di Ischia il volto «duro» che è «molle» e soffuso di un’atmosfera climatica sull’altro versante dell’isola che scorre tra Ponte di faccia al Castello e Forio spalancata al mare aperto. Da questo lato Ischia scivola dolcemente in verdissime balze di vigne e di pinete giù dall’onnipresente vetta dell’Epomeo, che sovrasta l’isola e ne ingombra l’orizzonte con la sua alta piramide; la colata vulcanica dell’Arso spiccia dal cono del vulcano che ha figura e grandiosa serenità di un Olimpo, per discendere al mare tra Ponte e Porto con un nero fiume di lava e di lapilli folto di pini e di gialle ginestre. Da questo lato Ischia è dunque accogliente e portuosa, ricca di grazie pittoresche anche un po’ facili, nutrita di servizi pubblici, di terme, di bagni; fronteggiando da breve distanza le rive di Procida, del Monte omonimo e di Capo Miseno - così che tutto spalancato e imminente è il paesaggio dei Campi Flegrei e di Pozzuoli e di Baia - si può qui credersi su di un litorale di terra ferma, in riva ad un vasto canale, fervido di traffici, di navi, di vele, e di richiami di sirene. Poi dietro il Castello, che s’erge quasi a segnare un confine misterioso in direzione di Punta S. Pancrazio, e al di là di Forio, tutto cambia. Il paesaggio e l’anima di Ischia si fanno duri, isolani, quasi inaccessibili. Il senso autentico dell’Isola e di quella solitudine e precarietà che esso comporta al cospetto di un mare aperto, dominante senza confini, lo si conquista di qui, dove il colore e la natura delle coste muta radicalmente, il verde intenso e folto delle pinete e dei vigneti cedendo al giallo arso e al biancore spettrale delle rocce e delle scogliere a picco sul mare, alla grandiosa desolatezza delle spiagge distese ai piedi di dirupi e di anfiteatri di tufo, cosparsi di un’arida vegetazione di canne, di agavi e di fichidindia. Ardue scale tagliate nella roccia, sentieri angusti e precipiti lastricati di piastre di lava aggrediscono le pareti impennate dove s’aprono oscure occhiaie di grotte e di misteriosi spechi e le case son rade tra le macchie pallide ed i cespugli aggrovigliati e serpentini delle grasse vegetazioni mediterranee. Paiono due mondi incomunicanti, quello delle cittadine asfaltate e largamente motorizzate dall’aspetto continentale già così campano e tanto napolitano e quello di S. Angelo, lo sperduto riarso borgo peschereccio che con le sue case calcinate poste l’una sull’altra alla ventura come dadi di un gioco precario prean53 La Rassegna d’Ischia n. 4/2013

nunzia un’atmosfera d’Africa, il clima assorto, intenso e violento delle isole del Sud. Un breve candido istmo di sabbia, che il mare nella stagione inclemente spesso ricopre o sovrasta, lo collega al monte. Questo litorale - sul quale il villaggio di S. Angelo con le sue case calcinate e tutte scheletro sta come uno sdrucito relitto di veliero di fronte ad un mare senza terre all’orizzonte - è un mondo sperduto e senza tempo. Da un lato la costa prosegue per insenature deserte dalle pareti di tufo alte a picco sull’acqua fonda. Ma sono inusitate rocce in forma di pilastri immani, di monoliti giganteschi, di trabeazioni di una qualche edificazione egizia o babilonica, così come appaiono tagliate con nitidi spigoli a gradoni e ad anfiteatro; una specie di Valle del Re, una Luxor colma di obelischi, di stele, di colonne e di timpani templari invasi dalle acque. Dall’altro lato ha inizio la gigantesca e selvaggia pista di sabbia dei Maronti; quasi il preludio di un deserto, nel quale le affioranti effusioni di un tumulto sotterraneo, fumarole, soffioni e sorgenti d’acque radioattive denunziano una vitalità incontinente di vulcano non sedato. Ad ogni passo ti accorgi che la sabbia ti arde sotto i piedi, che la roccia soffia fumi e vapori misteriosi, che il mare presso la riva sabbiosa ferve di bolle d’aria affioranti e brucia. I reumatici e gli artitrici vengono da tempo immemorabile a cercare tra queste sabbie e questi fanghi bollenti la salute miracolosa ; le donne la grazia della fecondità. Si coglie nell’aria opalina una vibrazione esilarante, quasi allarmante che viene attribuita alla radioattività e si traduce in ansia di vita, in amoroso abbandono. L’ora era ormai meridiana quando da S. Angelo discesi e mi incamminai a piedi nudi lungo la spiaggia, verso Testaccio e Barano, alte sulla balconata del monte, là dove le sabbie dei Maronti si estenuano ineffabilmente nella costa che nuovamente si aderge alta e rocciosa. Laggiù all’orizzonte le rupi di Punta S. Pancrazio si impennavano in cupole gugliate e in neri pinnacoli floreali di pagode indonesiane; una fata morgana, un miraggio di fragili architetture buddiste in porcellana. Procedendo faticosamente lungo il sentiero di rena battuta, che i passi dei viandanti hanno tracciato serpeggiante, apparivano di tempo in tempo figure umane, isolate o a gruppi, distese immote sotto cumuli di sabbia rovente. Solo le teste emergevano con gli occhi volti al cielo come da sarcofaghi arcaici. Altri corpi si aggiravano fantomaticamente paludati di bianchi lenzuoli; spettri sbalzati in una luce viva di mito. Altri venivano ricoperti di sabbie balsamiche da parenti ed amici; altri ancora seppelliti a breve distanza l’uno dell’altro, scambiavano rade e lente parole con la faccia di terracotta rivolta alla luce che si faceva vieppiù languida e trasparente di rosa, mentre il mare con il lieve ansito di spume rodeva la sabbia ai piedi La Rassegna d’Ischia n. 4/2013

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dei tumuli di quel vivo sepolcreto di dannati. Sotto la spalliera di roccia friabile, che accompagna chiomata di stocchi di agavi e di tormentati viluppi di fichidindia la spiaggia, la terra vaporava e fumava; preannunciava le acque bollenti di Cavascura. Proseguii tra spiaggia e mare, fino a che a mezzo quasi dei Maronti un’alta, angusta e profonda fenditura mi apparve che spaccava la balconata di roccia fronteggiante l’orizzonte e serpeggiando s’apriva a forza il varco verso il cuore del monte. Ne discendeva un rivolo, un torrentello di acque grigie e tepide che incidevano nella sabbia il loro letto, fluendo al mare. Quella fenditura saettante, quasi tracciata dalla folgore, era la soglia di Cavascura. All’ingresso una grotta profonda e fresca e una rudimentale tettoia di stuoie con rozzi tavoli e sgabelli funge da taverna per i viandanti diretti alle acque miracolose che scendono dal cuore segreto della montagna. Vi si beve vino rosso spillato dalle vigne di Barano prima di iniziare l’esplorazione delle sorgenti che sono in alto all’origine di questo serpeggiante vallone, quasi un letto di torrente montano incassato tra alte rive e volubili tornanti di roccia grigia e friabile. Quando si è dentro ci si sente al fondo di un canyon; svettano alti nel cielo pinnacoli di roccia, cesellati dalla perenne erosione, mentre l’acqua tra i piedi continua a fluire discendendo il misterioso canalone verso la spiaggia. Di tanto in tanto, in cima a scale e terrazze scavate nei fianchi del canalone, appariva qualche rozza taverna, un improvvisato pergolato di stuoie, sorte presso grotte naturali o spechi di antichi bagni e cave di pietra; ne uscivano voci isolate di misteriosi abitatori che risuonavano nella solitaria gola come echi armoniosi di un mondo ultraterreno. L’impressione di aggirarsi in una sorta di mitico Averno, o piuttosto attorno alle spire di un girone infernale, nasceva dal dantesco paesaggio che ad ogni svolta offriva la vista di nuovi e più bizzarri pinnacoli di roccia calcarea, una fungaia di stalattiti erose dall’acque che come le canne di un organo frangiano le pareti impennate della gola. Infine un vocio più fitto ed un crosciare di acque annunzia al di là dell’ultima svolta la prossima fine del canalone che si è fatto sempre più angusto e profondo, mentre la luce si attenua e penetra con fatica dall’alto. Dietro bianchi lenzuoli appesi si aprono le cavità delle celle antichissime, scavate nella viva pietra in foggia di camere e di loculi sepolcrali; entro ciascuna di queste che assomigliano alle etrusche tombe a camera di Tarquinia, una vasca rettangolare è scavata nel pavimento di sasso con un origliere anch’esso di pietra consunta ; primordiali canali scoperti corrono lungo le soglie delle celle, gli uni recando alle vasche il flusso delle acque radioattive che spicciano bollenti dal tufo, gli altri scaricando l’acqua già usata. Due grandi cisterne raccolgono l’una l’acqua bollen54 La Rassegna d’Ischia n. 4/2013

te, l’altra quella che le donne di Cavascura tengono a raffreddare per graduarne il calore. È questo forse il più antico stabilimento termale del mondo. Nulla è mutato da allora, da quando se ne avvalsero romani e Borboni. I gesti delle bagnine hanno un che di antico e di rituale, quando con i grandi secchi a mano empiono le vasche e ne stemperano il calore, o stendono i grandi lenzuoli che fungono da tendaggi alle celle. Ma quando la stagione inoltra incontro all’inverno le donne di Cavascura tolgono tende, asciugamani e secchi e discendono con le loro poche robe verso la spiaggia dei Maronti; risalgono ai paesi alti sul monte. Cavascura rimane allora deserta con i suoi canali e le sue antiche celle spalancate sul silenzio inviolato della gola montana; ogni viandante che risalga il tortuoso e selvaggio vallone può bagnarvisi ed abbeverarsi al suo tepore salmastro. Tutto è vago e incerto attorno a queste acque, a questo luogo remoto in un limbo magico spirante un’aura taumaturgica; la scienza medica e quella chimica si sono arrestate alle soglie della gola ed anche più lungi dei Maronti perché non fosse violato forse questo clima di stregoneria e di leggenda che affascina uomini alla ricerca della vigoria giovanile e donne ansiose di fecondità. Il cielo era alto nell’ora che volgeva al crepuscolo, alto e dolcemente spettrale sulla selva di guglie affilate coronate dai petali di strane rose gotiche sopra le canne appena stormenti; sopra le agavi stupefatte e le braccia demoniache dei fichidindia in tormento. Si libravano con lente ruote i corvi sul girone infernale di Cavascura come attorno all’orifizio di una grotta oracolare, dove si traessero auspici dagli orecchi di Dioniso degli spechi e delle vasche, tra i fumi delle acque in bollore. Le vasche popolate di corpi ignudi parevano letti e triclinii sormontati da statue vive e sorridenti; e le vigorose ed onuste sacerdotesse di quel rito propiziatorio continuavano a versare torrenti d’acque radioattive, mentre i grandi lenzuoli pendevano dinanzi alle celle come bianchi sudarii. *


Rassegna libri

Nathaniel Hawthorne Wakefield e altri racconti

Gérard De Nerval Sylvie

Alexander Kuprin Il capitano Rybnikov

Ion Luca Caragiale Cănută lo strambo

Karel Capek Racconti tormentosi

Rabindranath Tagore La luce

Luigi Ziviello Il protomedio Francesco Buonocore

Giovanni Angelo Conte Calzini di polvere

Caterina Impagliazzo Alterego


La pergamena contenente le isole di Ischia, Procida e S. Stefano. Notare la lacerazione in basso a destra.

Parte centrale della pergamena che contiene l'isola d'Ischia e Procida. All'interno pagine 5-15


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