Carte false / Estratto

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revi capitoli dalle tematiche differenti, quasi una sorta di peregrinazione letteraria, passeggiate che esplorano spazi reali e immaginari, riflessioni che scavano su ciò che le parole nascondono offrendo uno sguardo nuovo, insolito e irriverente sulle cose. A piedi o in bicicletta, in America o in Europa, alla ricerca della tomba nascosta di Brodskij nel cimitero di San Michele a Venezia o inseguendo l’inclassificabile ed elusiva saudade lusitana nella caotica Città del Messico: Valeria Luiselli si diverte a condurci nei suoi pensieri che hanno l’andatura di un filosofo e la freschezza di una voce giovane, intelligente e curiosa.

Elisa Tramontin è nata a Belluno ma vive e lavora a Roma. Laureata in Lingue e Letterature Straniere a Bologna, dal 2005 collabora con diverse case editrici e si occupa di traduzione e sottotitolazione di film e documentari. Per laNuovafrontiera ha tradotto Mario Benedetti, Fernando Aramburu, Antonio Dal Masetto, Lucía Puenzo e Sergio Álvarez.

«Scardinando le noiose leggi spazio temporali, Luiselli rende al romanzo la sua ammaliante natura di luogo straordinario. Dove, a discrezione e immaginazione del suo autore, ogni cosa è ancora possibile.» la Repubblica

«Ciò che in realtà succede in questo libro, ciò che lo rende così affascinante, deve essere la combinazione di ingenuità e intelligenza, che emergono, ognuna a suo modo, in una particolare maniera di guardare e scrivere.» Cees Nooteboom

ISBN 978-88-8373-239-3

ISBN 978-88-8373-239-3

9 788883 732393

€ 15,00

www.lanuovafrontiera.it

Luiselli Carte false

B

Valeria Luiselli è nata nel 1983 a Città del Messico ma, per una serie di strane coincidenze, ha la residenza a Venezia e New York. Ha collaborato con giornali e riviste come The New York Times, Letras Libres, Etiqueta Negra e Internazionale. Con laNuovafrontiera ha già pubblicato Volti nella folla, suo romanzo d’esordio, che l’ha consacrata come il talento più promettente della letteratura messicana. Il libro è stato tradotto in inglese, francese, olandese, tedesco.

Valeria Luiselli Carte false

«La bicicletta non è nobile soltanto con il ritmo del corpo: è anche generosa con il pensiero. Se si è inclini alle divagazioni, la compagnia del manubrio è perfetta; quando le idee tendono a scivolare in linea retta, le ruote della bicicletta possono custodirle; se un pensiero affligge il ciclista e ostacola il naturale scorrere del suo ragionamento, basta cercare una discesa bella ripida e lasciare che la gravità e il vento creino la loro alchimia redentrice.»


Della stessa autrice: Volti nella folla


Valeria Luiselli Carte false Traduzione dallo spagnolo (Messico) di Elisa Tramontin


Titolo originale: Papeles falsos Š Valeria Luiselli, 2010 Š La Nuova Frontiera, 2013 Via Pietro Giannone, 10 - 00195 Roma ISBN 978-88-8373-239-3 Progetto grafico di Flavio Dionisi www.lanuovafrontiera.it


indice

I. La stanza e mezza di Iosif Brodskij ................................. 9 II. Macchia d’acqua ............................................................ 21 III. La velocità à velo .......................................................... 35 IV. Due strade e un marciapiede ........................................ 41 V. Cemento ........................................................................... 57 VI. Paradiso in corso ........................................................... 61 VII. Relingos ...................................................................... 73 VIII. Traslochi: ritornare ai libri .......................................... 83 IX. Altre stanze ................................................................... 93 X. Carte false: il malanno della cittadinanza ...................... 103



Per Vitale, Edda, Amada e Cassio Luiselli



I la stanza e mezza di iosif brodskij

Alla fine di un uomo resta soltanto una parte. Un frammento della sua lingua. Una parte dell’orazione. iosif brodskij



iosif brodskij (1940 - 1996)

Cercare una tomba al cimitero è come cercare un volto sconosciuto nella folla. Queste due azioni generano in noi una stessa maniera di guardare e di stare: da una certa distanza, qualsiasi persona potrebbe essere quella che ci sta aspettando; qualsiasi tomba, quella che stiamo cercando. Per trovare l’una o l’altra bisogna muoversi tra uomini e mausolei, aspettare pazientemente che avvenga l’incontro; bisogna avvicinarsi e scrutare ogni lapide o ogni smorfia, che in fondo potrebbero equivalersi, per come interpreto io questi versi di Brodskij: Non amo la gente, i suoi corpi. Non mi va l’apparenza. Un aspetto intrinseco dei loro volti svela il loro essere avvinti alla vita1.

Per trovare la tomba che cerchiamo, l’epigrafe definitiva, è necessario esaminare minuziosamente le venature del marIosif Brodskij, da Natura Morta, trad. di Elena Corsino, Rivista Letteraria n° 79, giugno 2009, Anterem Edizioni.

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mo; per imbattersi nel volto dell’estraneo, vanno paragonate le nostre aspettative del profilo immaginato con la varietà di nasi, barbe e fronti che ci troviamo davanti; bisogna leggere gli sguardi degli sconosciuti come si legge un epitaffio, fino a trovare l’iscrizione esatta, il sì sono io lapidario del morto che ci attende.

lidia tempesta (1889 - 1932)

“Se esiste un aspetto infinito dello spazio” scrive Iosif Brodskij “non è la sua espansione, ma la sua riduzione, ed è solo perché quest’ultima, per quanto risulti strano, è sempre più coerente. È meglio strutturata e ha più nomi: cellula, armadio a muro, tomba.” Il poeta racconta che la media stabilita per i kommunalka, gli appartamenti collettivi nell’ex Unione Sovietica, era di nove metri quadri a persona. Nell’assegnazione dei metri, lui e i suoi genitori erano stati fortunati, potendo abitare a San Pietroburgo in quaranta metri quadri: tredici virgola tre metri a testa, ventisei virgola sei per i suoi genitori, tredici virgola tre per lui: una stanza e mezza per tutti e tre. Iosif Brodskij chiuse la porta della sua casa al numero 24 di Liteinij Prospekt un giorno dell’anno 1972. Non tornò mai più a San Pietroburgo, perché ogni tentativo di andare a trovare i genitori doveva necessariamente passare per le mani di un burocrate che riteneva ingiustificata la visita di quell’ebreo dissidente del Partito Comunista. Non riuscì ad assistere al funerale di sua madre né a quello di suo padre – una visita “senza scopo”, diceva la circolare redatta dal signore allo sportello. I suoi genitori morirono seduti sulla stessa sedia di sempre, davanti all’unico televisore dell’appartamento in cui avevano vissuto insieme. 12

Valeria Luiselli


Dopo quella stanza e mezza Brodskij ha cambiato un’infinità di alloggi, stanze d’albergo, case, celle, divani letto. Ma è senz’altro vero che una persona ha soltanto due residenze permanenti: la casa dell’infanzia e la tomba. Tutti gli altri spazi che abitiamo sono in effetti il proseguimento grigiastro di quella prima dimora, una successione imprecisata di pareti che alla fine si concludono nella cripta o nell’urna – l’espressione più infima delle infinite suddivisioni di uno spazio che possa contenere un corpo umano.

marcellino giancarlo (1900 - 1972)

Non fu facile trovare la tomba di Iosif Brodskij. Diversamente da molti altri cimiteri in Europa, San Michele non è una meta molto frequentata dal turismo necrologico intellettuale e pertanto non esistono né guide né cartine dettagliate e tantomeno una lista con le coordinate dei morti celebri, come quella che c’è all’entrata di cimiteri tipo Montparnasse o Père Lachaise. A San Michele ci si imbatte in altri personaggi famosi – Ezra Pound, Luchino Visconti, Igor’ Stravinskij, Sergej Djaghilev – ma le loro tombe sono indicate da un cartello a malapena visibile, davanti al piccolo settore appartato dove riposano i loro resti. Se non si è al corrente che gli stranieri degni di nota sono separati dai veneziani comuni – come se anche in una necropoli fossero necessari i ghetti artistici – si potrebbero passare anche ore a deambulare tra gli Antonini, i Marcellini e i Franceschi, ignari che lì non si troveranno mai echi dei Canti né riverberi de La sagra della primavera. San Michele è un’isola rettangolare, la dividono da Venezia un braccio di mare e una muraglia. Vista da un aereo, l’isola del cimitero potrebbe sembrare un enorme libro rilegato: Carte false

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uno di quei dizionari robusti, pesanti, dove riposano in eterno le parole: scheletri in decomposizione. Pare una beffa che Iosif Brodskij sia sepolto lì, davanti alla città in cui è sempre stato e ha sempre voluto essere solo di passaggio. Forse il poeta avrebbe preferito una sepoltura lontano da Venezia. In fin dei conti, la città era per lui una sorta di “piano B” o, cercando una metafora più letteraria, un’Itaca la cui forza magnetica consisteva nell’essere sempre distante, nell’essere sempre un luogo effimero, immaginato. A questo si aggiunge il fatto che Brodskij aveva dichiarato in un’intervista di voler essere seppellito nei boschi del Massachusetts, o che piuttosto il suo cadavere facesse ritorno nella natia San Pietroburgo. Ma immagino non abbia senso speculare sui desideri postumi di una persona. Se la volontà e la vita sono impossibili da tenere separate, la morte e il destino lo sono altrettanto. Dopo aver cercato la tomba di Brodskij per diverse ore e non aver trovato neanche quella di Stravinskij, fui sul punto di gettare la spugna. Per raccogliere le forze prima di incamminarmi verso l’uscita del cimitero, mi sedetti all’ombra di un albero e mi fumai una sigaretta. Nel suo saggio “Correndo dietro al proprio cappello” (On running after one’s hat), Chesterton diceva che solo un vero artista, imbattendosi in una mucca durante una passeggiata in campagna, sarebbe in grado di disegnarla; mentre lui, non sapendo ritrarre le zampe posteriori dei quadrupedi, preferiva dipingere l’anima della mucca. Io, che non sono né un’artista né Chesterton, non saprei come fare nessuna delle due cose. Non sono mai stata come quelle persone – per le quali provo una profonda invidia – che riescono a perdersi nella meditabonda contemplazione del volo di un uccello, del laborioso andirivieni delle formiche, della sospensione beatifica di un ragno appeso alle sue stesse viscosità. Sono, sfortunatamen14

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te, troppo impaziente per trovare della poesia nei soavi ritmi della natura. Ma in un cimitero non c’è bisogno di avere una particolare sensibilità nei confronti del regno animale e vegetale: basta rimanere seduti in silenzio per il tempo di una sigaretta per farsi coinvolgere dalla vitalità che fluisce tra le tombe. Sotto i cipressi, come lancette di gigantesche meridiane, il tempo si dilata e scorre. Forse è il silenzio stesso a esaltare il frenetico battito d’ali degli insetti; quella calma, a scombussolare il languido strisciare delle lucertole; quella morte, ad animare le foglie tenere dei pioppi. Dice bene un saggio sconosciuto: “Non c’è niente di più proficuo e più piacevole del lasciarsi distrarre”. Stavo per spegnere la mia sigaretta quando ci fu un’esplosione di assordanti gracchiate. Prima alcune, poi a decine, forse a centinaia, come se la gracchiata, al pari della risata, fosse contagiosa tra gli uccelli. Henri Bergson garantiva che la risata può nascere solo se il suo oggetto è, o assomiglia, a ciò che è propriamente umano; un gatto o un cappello non possono strapparci una risata a meno che non vediamo in essi un’espressione, un modo o un atteggiamento umano. Può darsi. Può essere che, almeno da lontano, quelle gracchiate di uccello fossero come le risate dei vecchi tubercolotici, e che solo per questo sono scoppiata anch’io a ridere in mezzo al silenzio. In ogni caso, se non mi diedi per vinta nella missione di trovare la tomba di Brodskij, fu per il buonumore che mi suscitò all’improvviso quel siparietto di gabbiani rauchi. Se non avessi trovato il poeta, avrei potuto almeno verificare se erano gracchiate o piuttosto vecchi veneziani con un piede nella fossa. Inoltre, perché non correre dietro a una tomba o dietro agli uccelli se Chesterton, così grasso, così dignitoso e così intelligente, poteva correre dietro a un cappello? Carte false

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igor stravinskij (1882 - 1971)

Le tombe degli stranieri celebri del cimitero non soltanto si trovano in un recinto isolato dai veneziani comuni (non sia mai che un gondoliere riposi accanto alla moglie di Stravinskij), ma sono anche divise tra loro. I russi che frequentavano Venezia, da una parte; gli altri, da un’altra. La cosa strana e curiosa è che Iosif Brodskij non riposa con l’intellighenzia moscovita né leningradese, ma in un recinto diverso, accanto al suo grande nemico Ezra Pound. La tomba del russo, diversamente dagli altri, non è indicata da un cartello ufficiale del cimitero all’entrata del recinto, ma un’anima pia ha scritto il suo nome con la scolorina tra il nome del poeta dei Canti e la freccia che indica la direzione di entrambe le tombe: Recinto Evangelico Ezra Pound (Iosif Brodskij) —› Immaginavo di trovare almeno una manciata di groupie ansiose di posare un amuleto o un bacio sulla tomba di Brodskij. Ma forse Brodskij è meno celebre di Julio Cortázar o Jim Morrison, e io semplicemente avevo ancora l’amaro in bocca che mi avevano lasciato tempo addietro i cimiteri francesi. Nel Recinto Evangelico non c’era nessuno. Nessuno tranne un’anziana, carica di ogni genere di buste da supermercato stracolme di cianfrusaglie, in piedi davanti alla tomba di Ezra Pound. Non ci feci molto caso e mi incamminai direttamente verso il russo, come a sottolineare da che parte stavo: tu con Pound, e io con Brodskij.

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Valeria Luiselli


giuseppina gavagnin (1824 - 1911)

Sulla sua tomba, con incise le date 1940-1996 e il suo nome in cirillico, c’erano cioccolatini, penne e fiori. Ma soprattutto cioccolatini. Non c’era, come solitamente si trova su quasi tutte le tombe dei cimiteri italiani, una lapide con il ritratto incrostato del defunto. Avevo sperato sinceramente di vedere l’ultimo volto di Iosif Brodskij. Nel suo libro su Venezia, Fondamenta degli incurabili, Brodskij scrive: “Inanimati per natura, gli specchi delle camere d’albergo sono poi resi ancora più opachi dall’aver visto tanta gente. Quella che ti restituiscono non è la tua identità, ma la tua anonimità2”. In una forma blandamente paradossale, l’anonimato è una caratteristica dell’assenza: è l’assenza delle caratteristiche. Un volto giovane è anonimo: è privo di espressioni e di lineamenti che lo identifichino e lo nominino. A mano a mano che invecchia, assume i tratti che lo distinguono dagli altri. Un viso che raggrinzisce è sempre meno anonimo. Ma un volto, invecchiando e definendosi, si espone sempre di più agli sguardi degli sconosciuti; o, per usare ancora l’immagine di Brodskij, a sempre più specchi di stanze d’albergo in cui sono passati così tanti riflessi che tutti rimandano lo stesso sembiante, sfatto come i suoi letti sfatti. Così, anche un volto perde la definizione acquisita negli anni, come se a forza di essere visto tante volte da occhi altrui, tendesse a ritornare alla sua origine informe. In questo modo, l’eccesso di definizione che con il tempo assume un sembiante, e che culminerebbe forse in un mostruoso eccesso di identità – in una smorfia – si neutralizza con la simultanea perdita di quell’identità. È forse per questo motivo che tutti i neonati e tutti gli anziani si assomigliano tra 2

Iosif Brodskij, Fondamenta degli incurabili, trad. di Gilberto Forti, Adelphi, 1991.

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loro senza assomigliare a nessuno in particolare. Al principio e agli sgoccioli della vita i volti sono anonimi. È logico, quindi, che un morto non abbia più alcun volto. I visi dei morti devono essere, in ogni caso, come quelli che intravide Ezra Pound nel metrò di Parigi: “Petali su un umido, nero ramo”. Sulla lapide di Brodskij non c’era nessun ritratto. Era giusto che non ci fosse quel marchio d’identità definitivo; era più onesto il grigio liscio e opaco della pietra, riflesso dell’anonimato di un hotelmensch per eccellenza, uomo dalle molte stanze d’albergo, molti specchi, molte facce. Meglio fermarsi davanti alla tomba e cercare di ricordare una qualche fotografia di Brodskij seduto su una panchina di Brooklyn, o richiamare alla memoria una registrazione della sua voce, potente e fragile allo stesso tempo, come di chi ha passato molte ore in solitudine e che si è fortificato a forza di dubitare: L’albero. L’ombra. La terra sotto l’albero per le radici. Iniziali incerte di nomi. Argilla. Teoria di pietre. Radici. Il loro intreccio. Masso, il cui peso specifico libera la materia da un dato sistema di vincoli. È immobile. Non lo sposti né lo porti via. L’ombra. L’uomo sta nell’ombra quale pesce nella rete3. Iosif Brodskij, da Natura Morta, trad. di Elena Corsino, Rivista Letteraria n° 79, giugno 2009, Anterem Edizioni.

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luchino visconti (1906 - 1976)

L’esito di un incontro a lungo atteso con uno sconosciuto è solitamente deludente. Stessa cosa con un defunto, solo che in quest’ultimo caso non è necessario dissimulare la nostra delusione: un morto, in questo senso, è sempre più piacevole di un vivo. Se quando gli arriviamo di fronte ci rendiamo conto che in realtà non sappiamo cosa fare, che il divertimento stava nel cercare la sua tomba, non tanto nel trovarla – cosa vuoi che ti dicano le pietre di Venezia se non sei Ruskin? – possiamo girare i tacchi dopo pochi minuti senza che il morto ce lo rinfacci. Con i morti non serve essere ben educati, sebbene la religione abbia tentato di inculcarci l’idea che bisogna sempre comportarsi in modo assurdamente decoroso durante le messe e nei cimiteri. Stare in silenzio, pregare, e camminare piano a testa bassa, le mani giunte all’altezza del ventre, sono abitudini che poco interessano a chi riposa sottoterra. Perciò fu provvidenziale l’anziana rimasta in piedi vicino alla tomba di Pound in meditazione profonda, almeno così mi era sembrato. La donna si accostò all’ombra dell’albero dove ci trovavamo io e Brodskij in un silenzio ormai imbarazzante, e cominciò a grattarsi le gambe come se avesse le pulci o la lebbra. Dopo essersi grattata si avvicinò un altro po’ e si fermò davanti alla sepoltura di Brodskij. In tutta tranquillità, come chi fa le faccende domestiche quotidiane, cominciò a mettersi in tasca i cioccolatini che avevano lasciato al poeta. Finito con quelli prese anche le penne e le matite. Poi, per non fare brutta figura, gli lasciò un fiore che, suppongo, aveva rubato dalla tomba di Pound. Immaginai, dalla familiarità con cui si muoveva tra le due tombe, che era una vecchia amica dei poeti, o forse la proprietaria della pensione in cui Brodskij aveva alloggiato in Carte false

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uno dei suoi viaggi a Venezia. Le chiesi, timida e balbettando4 nel mio italiano fratturato, se aveva conosciuto Iosif Brodskij, e se era venuta a trovarlo. «No, no» mi rispose «sono venuta a trovare mio marito, Antonino. Mi pare che Brodskij fosse un poeta famoso… ma non tanto come il bell’Ezra5.» L’anziana sospirò e si chinò per grattarsi di nuovo le gambe; raccolse le pesanti buste, piene di souvenir necrologici, e uscì dal Recinto Evangelico, come nella poesia di W. H. Auden che Brodskij citava sempre: silently and very fast.

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In italiano nel testo. [N.d.T.] In italiano nel testo. [N.d.T.]

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revi capitoli dalle tematiche differenti, quasi una sorta di peregrinazione letteraria, passeggiate che esplorano spazi reali e immaginari, riflessioni che scavano su ciò che le parole nascondono offrendo uno sguardo nuovo, insolito e irriverente sulle cose. A piedi o in bicicletta, in America o in Europa, alla ricerca della tomba nascosta di Brodskij nel cimitero di San Michele a Venezia o inseguendo l’inclassificabile ed elusiva saudade lusitana nella caotica Città del Messico: Valeria Luiselli si diverte a condurci nei suoi pensieri che hanno l’andatura di un filosofo e la freschezza di una voce giovane, intelligente e curiosa.

Elisa Tramontin è nata a Belluno ma vive e lavora a Roma. Laureata in Lingue e Letterature Straniere a Bologna, dal 2005 collabora con diverse case editrici e si occupa di traduzione e sottotitolazione di film e documentari. Per laNuovafrontiera ha tradotto Mario Benedetti, Fernando Aramburu, Antonio Dal Masetto, Lucía Puenzo e Sergio Álvarez.

«Scardinando le noiose leggi spazio temporali, Luiselli rende al romanzo la sua ammaliante natura di luogo straordinario. Dove, a discrezione e immaginazione del suo autore, ogni cosa è ancora possibile.» la Repubblica

«Ciò che in realtà succede in questo libro, ciò che lo rende così affascinante, deve essere la combinazione di ingenuità e intelligenza, che emergono, ognuna a suo modo, in una particolare maniera di guardare e scrivere.» Cees Nooteboom

ISBN 978-88-8373-239-3

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Valeria Luiselli è nata nel 1983 a Città del Messico ma, per una serie di strane coincidenze, ha la residenza a Venezia e New York. Ha collaborato con giornali e riviste come The New York Times, Letras Libres, Etiqueta Negra e Internazionale. Con laNuovafrontiera ha già pubblicato Volti nella folla, suo romanzo d’esordio, che l’ha consacrata come il talento più promettente della letteratura messicana. Il libro è stato tradotto in inglese, francese, olandese, tedesco.

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«La bicicletta non è nobile soltanto con il ritmo del corpo: è anche generosa con il pensiero. Se si è inclini alle divagazioni, la compagnia del manubrio è perfetta; quando le idee tendono a scivolare in linea retta, le ruote della bicicletta possono custodirle; se un pensiero affligge il ciclista e ostacola il naturale scorrere del suo ragionamento, basta cercare una discesa bella ripida e lasciare che la gravità e il vento creino la loro alchimia redentrice.»


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