Sarei un ottimo dio (se avessi

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Se avessi un pianeta a disposizione sarei un ottimo dio Citazione che gli amici attribuiscono a Pier. Chi è Pier? ‘Un ragazzo che si sta impegnando assieme a tanti altri ad aiutarsi e ad aiutare’, vuole essere definito per i lettori del Blog a 2 piazze. Trapiantato in Trentino da molti anni, Pier è una voce degli utenti del Centro di Igiene Mentale di Trento (http://www.apss.tn.it/Public/ddw.aspx?n=27622 ). Chi lo conosce parla di Pier come un musicista di grandissime abilità e sensibilità. E lui ci racconta “Ho frequentato la Facoltà di musicologia dell’Università di Trento, dopo aver fatto studi magistrali e classici, ma la morte del mio allievo di basso mi ha sconvolto. Da allora, si è spenta in me la voglia di suonare. Solo più tardi ho capito che c’è sempre una speranza; ora voglio una vita ‘normale’. È una lotta contro se stessi”. DC: Sì… ma che significa ‘vita normale’ e perché dici ‘contro se stessi’? Pier: mah, quando il mio ‘narcisismo’ prevaleva su me stesso ero convinto di essere un grande musicista e un grande giornalista. Per un periodo mi sono convinto che ero Saturnino’. Hm? – chiedo stranita - Come hai fatto a identificarti con Saturnino? E, soprattutto, a rendertene conto e venirne fuori?? - ma lui mi risponde tranquillo “Sono misteri della mente. Forse perché era la musica dei miei 20 anni. Poi, anche con l’aiuto della psicanalisi, ho capito che sono Pier. Come diceva Thomas Mann, ‘ognuno di noi è come una parte della luna’.” Più che varcare la soglia della sua storia, mi faccio trasportare dalle sue parole voli emozionali e letterari, che veleggiano su Pastorius e Gesù Cristo planando su Socrate e Thomas Mann. Starei ore ad ascoltare Pier. Parole che vanno alla radice delle domande universali dell’uomo… Per un banale calcolo delle probabilità credo che le signore ‘normali’ al tavolo accanto non stiano discutendo di filosofia. Brandelli della loro conversazione sulle borse di Prada mi confermano nella convinzione che non cambierei tavolino “Ora vivo in comunità, per una situazione esistenziale che non riuscivo a reggere. – continua Pier - E lavoro in una comunità di persone che stanno cercando la loro strada. Sono grato al Trentino perché ho sempre trovato lavoro. Che ti posso raccontare? Ho inventato l’esafono’ – dimmi qualcosa in più, chè io di musica non ci capisco molto, lo incalzo - ‘è un basso con le ottave del violoncello, del violino, del contrabbasso e della chitarra”. Ci sono anche domande delicate. E domande che non ho il coraggio di fare. Come quando Pier mi dice che suona con bassi ortopedici perché la sua mano è rimasta lesionata dagli elettrochoc. Sussulto. Non riesco a immaginarlo su un lettino di ospedale psichiatrico con gli elettrodi in testa. Ma so che lo ha vissuto. Ignoro come faccia a star qui a parlare con me tranquillamente, che oceani emozionali e psichici abbia valicato. Allora viro, e mi faccio raccontare degli oceani di acqua salata. Pier, infatti, è uno degli utenti del Centro di Igiene Mentale di Trento che nel novembre 2006 ha preso parte a ‘La Barca dei folli’ http://www.oceanodentro.it/ - In barca a vela attraverso l'Atlantico dieci uomini e donne


inseguono un sogno: dimostrare che anche un equipaggio del Servizio di salute mentale di Trento può arrivare fino alla fine del mondo. Un viaggio da matti nell'oceano che è davanti a tutti noi, ma anche dentro ciascuno di noi.

Pier mi dice che “questo viaggio è stato organizzato per dimostrare che persone con problemi mentali o una sensibilità più marcata possono fare delle ‘piccole’ imprese, che per noi sono grandissime. Abbiamo visitato piccoli paesi in Spagna, partendo da Cadice siamo arrivati in Martinica. Eravamo 4 pazienti, 2 genitori, 3 skipper e un dottore. Ci sono stati anche litigi, sulla nave Margaux. Vai a vedere il sito, lì trovi anche le foto. Siamo andati anche in televisione, da Magalli, a presentare il viaggio. Lì ho suonato l’esafono con la loro orchestra”. Pier ha anche curato le musiche di ‘Oceano dentro’, il film della traversata della Barca dei folli che uscirà a breve (e a cui ha collaborato anche Sergio Damiani, giornalista de L’Adige (http://www.ladige.it/news/a_portale_lay_home_01.php?id_cat=4) . “Ho iniziato a studiare jazz e l’accordatura aperta fin da piccolo. – prosegue Pier - Ci sono voluti 15 anni. Di fantasia, follia e ricerca. Che mi hanno portato anche a creare l’esafono. Ora ho uno strumento fatto con un’ex scarpiera, due coni che fungono da amplificatori, una testata di serie limitata e un vecchio amplificatore con coni da chitarra. Adesso faccio tecnica, non penso più che la mia vita sarà quella del musicista”. Ho rivisto il mare e mi sono sentito piccolo Quando chiedo a Pier cosa gli ha lasciato il viaggio dei folli in Martinica l’apparente semplicità della risposta è poetica “Ho rivisto il mare e mi sono sentito piccolo. È stato bellissimo. Certo, ci sono stati anche momenti di ansia, di tristezza, ma soprattutto una grande voglia di cambiare la mia vita. Abbiamo anche sbattuto contro una balena, imbarcato acqua e ci siamo ritrovati ognuno con cose che ancora devono essere chiarite. Una gran voglia di trovare un equilibrio e la domanda ‘ce la farò?’. DC: E il viaggio successivo, quello fatto in treno, 200 persone, fino in Cina, passando per Mosca, con la Transiberiana (http://it.wikipedia.org/wiki/Ferrovia_Transiberiana, http://www.transiberiana.com/), com’è andato? Pier: Nel viaggio del 2007 in Cina eravamo 200 - un gruppo di utenti di centri di igiene mentale da tutta Italia; abbiamo viaggiato un mese. Ho suonato all’ambasciata italiana di Mosca e di Pechino, musica italiana della tradizione popolare. DC: Eri emozionato? Pier: Più che altro, dopo tanti anni le dita si muovono in maniera meccanica, più della musica, ricordo che per un giorno, vedendo tanta gente ballare, mi sono sentito parte della società. Sono emozioni….” DC: Quindi di solito non ti senti parte della società? Pier: Mi ci sentirò quando avrò il lavoro adatto a me. Nella mia vita sono


stato dalla parte dei perdenti. La gente che vince senza impegno mi dà fastidio. Le mie note me le sono sudate. Si prendono colpi mica da ridere, ma è anche vero che ci sono persone, come i dottori e gli assistenti sociali, che vivono continuamente dalla nostra parte della barricata. Gente che opera e si impegna in silenzio. Che combatte contro lo stigmatismo. DC: Chi sono gli utenti di un centro di igiene mentale? Pier: Sono persone che hanno perso il treno però hanno ritrovato una possibilità di ricostruirsi una vita e piano piano ce la possono fare. Senza fretta”. Cerco di capire come si sentono – stigmatizzati? Come sono visti dai ‘normali’? Ma la mia domanda inciampa sulle parole di Pier “quando vai in blocco capisci che ci sono cose più importanti dei soldi, (anche se servono, certo). Non guardo mai la televisione: il Grande Fratello è lo specchio dell’eliminazione: nelle sfere alte diventi qualcuno, nelle sfere basse diventi un barbone”. Più tardi, commentando queste parole con Poldino, ipotizziamo come sarebbe lo scambio di vite – diciamo di un Lapo Elkann, (il pazzo del quartiere) e di Pier a casa Agnelli: avrebbe potuto diventare un famoso musicista….. Con apparente semplicità Pier squarcia le tele dell’ipocrisia e guarda negli occhi la tragicità umana. Eppure mi sembra sereno, (forse un po’ preso dall’etica calvinista del Nord-est, con la sua insistenza sul lavoro). “Fin da piccolo avevo domande più grandi di me. - mi racconta - Ho iniziato a leggere Socrate e Platone a 12 anni. Forse ero un po’ ‘anticonformista’, ma alcuni insegnanti mi volevano bene…” e poi mi dice che si è cresimato “anche perché forse è il pensiero più semplice del mondo, quello di Gesù Cristo. In tutte le sue forme. È la speranza che il bene esiste. Che i momenti negativi si possono superare”. Manco un’anticlericale come me trova da ribattere a questa affermazione. Il filo rosso della morte fa capolino, a tratti. La morte di Gesù, dell’allievo di Pier che si è portato via la sua voglia di suonare. La morte dello zio da cui Pier, bambino, ha ricevuto la prima chitarra. La morte di Pastorius a 37 anni… Ma la nostra conversazione non ha nulla di pietistico. Al contrario, a un certo punto Pier mi dice “sono molto innamorato. Non so di cosa, né di chi. Forse della vita. Molte volte mi è andata male, ma non me ne faccio un cruccio, so che ci sono problemi più gravi”. Gli ho sorriso, dicendogli che è uno stato di grazia; che non è necessario sapere di chi o di cosa. Poi controlliamo i miei appunti; Pier deve scappare, andare a far la spesa. La conversazione prende una piega prosaica... Fuori dal bar mi chiede se mi piacciono i suoi capelli. Gli rispondo che non mi piacciono gli uomini con i capelli lunghi, ma gli danno l’aria da musicista.


Alcuni link ad articoli sulla pazzia e sugli elettrochoc: • http://www.repubblica.it/online/cultura_scienze/elettrochoc/elettrochoc/ elettrochoc.html) • http://it.wikipedia.org/wiki/Terapia_elettroconvulsivante • http://www.nopazzia.it/elettrochoc_2008.html • http://no-guide.info/_Elettroshock/Articoli%20su%20il%20Manifesto.php • http://www.repubblica.it/online/cultura_scienze/elettrochoc/elettrochoc/ elettrochoc.html • http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/200804articoli/3 1805girata.asp • http://notizie.alice.it/cronaca/taser.html

La terapia elettroconvulsivante (TEC), comunemente nota come elettroshock, è una tecnica terapeutica, basata sull'induzione di convulsioni nel paziente successivamente al passaggio di una corrente elettrica attraverso il cervello. La terapia fu sviluppata e introdotta negli anni '30 dai neurologi italiani Ugo Cerletti e Lucio Bini. L'effettiva utilità ed opportunità di questa tecnica è tutt'oggi molto dibattuta. Alcune tipologie di pazienti presentano oggettivi miglioramenti in seguito al trattamento. La terapia ha comunemente una fama negativa presso parte dell'opinione pubblica, a causa sia dell'abuso e della pratica aggressiva che se ne è fatta in taluni casi, sia della presentazione che ne è stata a volte data in letteratura e cinematografia. Per indurre le convulsioni viene fatta passare una corrente elettrica costante (tipicamente 0,9 Ampere) attraverso il cervello per mezzo di due elettrodi applicati in specifici punti della testa, previa apposizione di un gel, una pasta o una soluzione salina per evitare bruciature della pelle. Un tempo gli elettrodi erano collocati sulle tempie, oggi si preferisce l'applicazione all'emisfero cerebrale non dominante, di solito a destra (TEC monolaterale). In questo modo si evita il passaggio della corrente direttamente attraverso le aree della memoria e dell'apprendimento. Poiché nelle moderne apparecchiature viene somministrata una corrente costante, la tensione varia fino a un massimo che tipicamente è di 450 volt, ma solitamente si colloca a valori pari a circa la metà. Spesso le macchine sono programmabili in joule, in modo che il terapista possa somministrare la minima energia possibile, riducendo la durata dello shock. Il manifestarsi delle convulsioni viene constatato con un monitoraggio elettroencefalografico. Le convulsioni indotte, se non modificate, sono più intense di quelle prodotte durante una crisi epilettica. L'induzione di adeguate convulsioni generalizzate è necessaria per produrre l'effetto terapeutico (Sackheim et al., 1993).


Terminate le convulsioni si ha un periodo di tempo durante il quale l'attività corticale è sospesa e il tracciato elettroencefalografico è piatto. Alcuni psichiatri oppositori della TEC affermano che questa fase equivalga alla morte cerebrale e sia causa di danno cellulare, tuttavia non esistono prove certe al riguardo. Al risveglio i pazienti non hanno alcun ricordo delle convulsioni e dei momenti precedenti la sessione. Alcuni medici hanno paragonato la TEC e il meccanismo terapeutico che offre al reset dei computer (lo psichiatra Franco Basaglia affermò che curare una persona con l'elettroshock era come "prendere a pugni un televisore per aggiustarne la frequenza"). Il ciclo terapeutico comprende da sei a dodici trattamenti somministrati al ritmo di tre volte a settimana. Secondo studi le sedute devono essere separate da almeno un giorno. Il meccanismo di azione della TEC non è conosciuto, ma diversi studi hanno dimostrato che la ripetuta applicazione del trattamento influisce su diversi neurotrasmettitori nel sistema nervoso centrale. La TEC sembra sensibilizzare due sottotipi di recettori per la serotonina (5-HT), aumentando la trasmissione del segnale. Inoltre la TEC riduce l'efficacia della norepinefrina e della dopamina inibendo gli auto-recettori rispettivamente nel locus coeruleus e nella substantia nigra, causando il rilassamento di molti pazienti (Ishihara K, Sasa M., 1999).


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