Istant Book - Vasco Modenapark 2017

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Perchè ascoltare (ancora) Vasco? Me lo sono chiesto… Ho 40 anni, sono nato nel 1977 esattamente due mesi dopo l’uscita del primo singolo di Vasco (Jenny/Silvia l’11 maggio del 1977). Lui ne aveva 25 di anni; io vedevo la luce. La mia vita, dunque, va di pari passo con la sua carriera di rocker (vedremo di affrontare anche la questione di questa definizione). Tuttavia, non è questo il motivo per cui ha senso ancora oggi ascoltare Vasco. Sarebbe banale - forse troppo - sostenere una tesi sulla semplice coincidenza di date anche perché compiere 40 anni di vita non è un’impresa, ma farne 40 di carriera restando sempre ai vertici, riempiendo stadi, muovendo fiumi di gente come nel caso dell’evento Modenapark (l’oggetto di questo Istant Book che, in origine, uscì in tiratura limitata per la casa editrice castiglionese presentARTsì), questo si che è un evento e un’impresa. Portare 220 mila persone paganti in un parco, dopo 40 anni di carriera, non solo è un record mondiale che ha dell’incredibile (sia chiaro, si parla di record di paganti, perché, ad esempio, i mega-show degli Stones a Rio e a Cuba erano gratuiti) ma lo è ancora di più per il fatto che accade in Italia, di certo non la patria del rock. Inoltre, succede per merito di un artista che ha saputo, come tutti i grandi, dividere, far discutere e smuovere polemiche. Insomma, Modenapark è un evento nell’evento. Si tratta cioè di un evento stratificato che ha molte letture e che va affrontato in modo complesso e non ridotto a un semplice concerto di un cantante che piace a un certo numero di persone. Al parco Enzo Ferrari c’erano 220 mila persone paganti, a cui si aggiungono 5.000 persone circa fra forze dell’ordine, personale per i soccorsi, steward e volontari vari; oltre ai tecnici e a chi gestiva stand di varia natura. Ma non è finita qua perché tutta l’Italia si è attrezzata per Modenapark: Rai Uno ha realizzato una diretta; 197 cinema hanno trasmesso l’evento in diretta; alcuni palazzetti hanno organizzato la serata per la diretta come è accaduto in bar, piazze, spiagge. Modenapark è stato, insomma, un vero evento collettivo attorno a un uomo, Vasco Rossi, che da sempre ha saputo farsi amare (tanto) e odiare


(tanto) da tutti. Chi lo ama, lo ama e i motivi sono vari; chi lo odia, o non lo stima, comunque sa benissimo di chi si tratta e sa perfettamente perché non lo ama: cattivo maestro, sbandato, tossico, non sa parlare, un vecchio, buffone, incapace, brutta copia del vero rock, bolso e cotto, non ha mai saputo fare del rock ecc… La lista è lunga, come d’altronde quella dei motivi per cui lo si ama. Tutto questo, dunque, formisce l’idea dell’evento complesso e stratificato di cui stiamo parlando. Modenapark non è un semplice concerto e neppure un rito collettivo ma entrambe le cose e, allo stesso tempo, molto di più. Non è solo “un rock n’roll show”, come canta lo stesso Vasco in un pezzo del 2004 (album “Buoni o Cattivi”). No. Si tratta d’altro e credo che lo stesso Vasco lo abbia percepito e vissuto così perché la concentrazione che ha messo nelle prove di giovedì 29 giugno (alle quali ho partecipato) era davvero tanta e degna di un professionista che ha ben chiaro cosa sta vivendo. Allo stesso tempo la città di Modena e i suoi abitanti (al netto del solito 10% di criticoni che, in epoca contemporanea, coincidono con i leoni da tastiera) hanno capito che quello che stava accadendo era sì un’opportunità (economica e di visibilità) ma era anche un qualcosa di diverso, di unico e irripetibile, un evento insomma. “Ecco un evento” scrive il filosofo Slavoj Zizek, “nella sua forma minima e più pura: qualcosa di scioccante, fuori posto, che compare all’improvviso e interrompe il flusso consueto delle cose”. Partiamo da qui, per capire Modenapark, per capire come mai oggi, dopo 40 anni, abbia ancora senso ascoltare Vasco Rossi. Il dopo… Per capire il prima serve partire dal dopo. Il giorno dopo. Per chi ama la musica dal vivo il giorno dopo il rito è sempre lo stesso… Ci si sveglia, si cazzeggia un pò, si aprono i ricordi contenuti nella scatola magica del cellulare, si guardano foto e video e si condivide sui social (perché si vuole e si posta, alla faccia di Fedez e J-Ax). Il risveglio invece, questa volta, è stato diverso. La sensazione era strana e c’è voluto un pò, quesi


un’intera giornata, per capire di cosa si trattava. La sensazione era di gioia, ma una gioia legata non tanto alla musica e alle canzoni. La gioia del giorno dopo era quella di chi aveva partecipato a un evento speciale, un rito collettivo. La parola chiave è questa: “rito collettivo”. La stessa emozione che ho provato, nel lontano 2006, quando passai la notte per le vie dei comuni a festeggiare la Coppa del Mondo vinta dall’Italia di Marcello Lippi. Ecco, era quella emozione lì, quella cioè di aver vissuto, insieme a tante altre persone, non tanto l’emozione di una canzone, di un concerto, di un amore per un artista. No. Non era quella l’emozione. Era ben altro… Ho letto molti commenti. “L’Italia che ascolta Vasco deve estinguersi”, “Musicaccia”, “Pessimo artista…” e via di seguito. Se si aggiunge poi il caos fatto dalla Rai, la frittata è completa. Il ritardo video ha creato l’effetto playback e così le critiche sono fiorite… Chi legge e ha letto, o interpretato Madenapark in questo modo ha sbagliato tutto. Certo, questo accade a chi è rimasto a casa, o nei cinema, o ha solo letto via Facebook, o visto via social, cosa accadeva a Modena. Forse è giusto così. L’evento, per definizione, o lo si vive o si prova a raccontarlo, ma ogni racconto tradisce l’evento perché manca l’unicità della cosa. Per sua definizione, senza scomodare Derrida, lo scritto differisce sempre l’orale e ne manca, nel senso che non può dirla, una parte. Limitare quello che è stato Modenapark a un solo concerto di musica rock è riduttivo. Modenapark è stato un evento collettivo che è andato ben oltre la musica di quell’uomo e di quell’artista - senza dubbio invecchiato rispetto agli anni ’80 e ’90 - che si muoveva sul palco. Da cosa lo si intuiva? Da molte fatti… L’organizzazione, imponente e gigantesca, e che ha funzionato in modo quasi perfetto (per essere in Italia e con 220 mila persone che, di certo, non erano a Modena per vedere un’opera lirica). Il clima di festa che si respirava nelle strade, Ogni angolo era pieno di gente, ogni rotonda, ogni pianta, ogni muretto. Le persone erano ovunque. E da questo ovunque cantavano


Vasco, intonavano le sue canzoni, gridavano il suo nome nel classico coro ben noto a noi fans “ole ole ole Vasco Vasco … ole ole ole ole Vasco Vasco…”. Tutti si muovevano in modo ordinato in direzione del parco, senza correre, senza ansia e senza paura (Vasco lo dirà dal palco, “questo è un concerto contro la paura”… e così è stato). Le persone erano consapevoli di essere massa, anche se non ne avevano coscienza (ce ne siamo accorti il giorno dopo, con le famose foto dall’alto, fatte dallo stesso Vasco dal suo elicottero). In questa massa si muovevano gruppi di amici, di fans, ma anche coppie, famiglie con figli al seguito, e coetanei di Vasco (dai 60 ai 70 anni dunque). Un unico fiume, colorato, con maglie, sciarpe, tatuaggi, slogan, cimeli vari (dalle maglie degli anni ’80 al cappellino d’ordinanza “imposto” dal taglio dei capelli di Vasco…). Tutti insieme, fra birre, canne, bottiglie di lambrusco, sigarette, panini di plastica o con improponibili salamelle. Tutto questo era l’evento. Tutta questa umanità che si muoveva insieme per ritrovarsi in un parco ad ascoltare canzoni. Ogni gruppo, inteso come generazione, aveva le sue canzoni. C’è chi le ama tutte, chi ama solo gli anni ’80, chi i ’90, chi conosce solo le ultime, chi ama le prime e non le ultime, chi si riconosce nei testi delle prime o nelle musiche delle ultime, e così via. Ognuno ha le sue canzoni, e la cosa che stupisce non è che ogni generazione abbia le sue canzoni di riferimento (questo è ovvio per un artista che ha 40 anni alle spalle di carriera). Lo stupore nasce, invece, nel momento in cui ogni generazione non contraddice l’altra e neppure rivendica un imprimatur di “aver visto il vero Vasco”. Ogni generazioni e ha il suo vero Vasco ma quando si è insieme, lì attorno al palco, fa gruppo e ci si ritrova, come nella stalla di Olmi attorno al fuoco, la sera dopo il lavoro. A Attorno alle proprie canzoni si fa tribù e qui tutti hanno la voglia di essere villaggio, di essere cioè insieme e celebrare canzoni ed emozioni che arrivano da un unico personaggio che è lo stesso per tutti e allo stesso tempo è anche il Vasco di ogni generazione.


Tutto questo è possibile perché Vasco è e resta credibile, sempre. Le sue canzoni possono piacere o non piacere, ma quello che resta è la credibilità di chi le canta e le scrive. Questo aspetto non è mai venuto meno. I genitori che hanno oggi fra i 40 e i 50 anni sono quelli che, da bambini, si sentivano dire “diventerai un poco di buono se ascolti quel Vasco…”.. e invece… Vasco cattivo maestro… … e invece l’Italia, come fa intuire anche il libro di Enrico Brizzi (La vita quotidiana a Bologna ai tempi di Vasco, Laterza) è diventata ben peggiore di quanto ci si aspettasse e lo è diventata ben oltre quelle che sono le responsabilità di Vasco Rossi. Alessandro Alfieri nel 2011 scrive un saggio dal titolo “Vasco, il male. Il trionfo della logica dell’identico” (Mimesis), un libro che afferma: “Consegnandosi alla logica dell'identità perpetuata, ed avendo esaurito il valore artistico di una ponderata corrispondenza tra icona visiva e composizione musicale, Vasco si fa espressione del Male contemporaneo reiterando a prescindere da tutto il suo indiscutibile successo”. Non solo il libro sbaglia obiettivo, ma non lo coglie neppure per sostenere una tesi al quanto bislacca. L’Italia non è diventata il Paese menefreghista, poco attento, egoista, incapace di indignarsi e povero di valori e di esempi perché ha fatto sua la “vita spericolata”. Quella era solo una canzonetta, e per di più di san Remo. L’Italia è diventata ben peggiore di quello che era negli anni ’80 per i processi non celebrati, per la mafia che imperversa, per la corruzione, per lo scarso senso civico che aleggia, per lo scarso senso di democrazia che vive, per l’astensionismo alle urne, per la morte di Pasolini, Falcone, Borsellini, Piazza Loggia e la Stazione di Bologna, per l’infinita diatriba sul 25 Aprile e su Salò, per le molotov contro gli alberghi che devono ospitare i migranti, per l’incapacità di gestire i migranti, per l’assenza di leggi civili, per la discriminazione di gay e lesbo, per l’incapacità di aiutare i disabili, per la sanità e pezzi, per la


scuola pubblica livellata e parificata a quella privata, per il Job Act e l’elenco sarebbe lungo. Tuttavia, tutto questo non è certo colpa di Vasco Rossi e della sua “vita spericolata”. Le persone lo sanno, e lo sanno bene. Per questo a Modenapark, per festeggiare i suoi 40 anni, ma anche i nostri (di fans) 40 anni di vita passati con le sue canzoni, che sono e restano canzoni (belle o brutte che siano), ci siamo voluti essere tutti. E tutti insieme. Generazioni varie, tutte insieme. Nessuno si è preoccupato della scaletta, di cosa avrebbe fatto. Nessuno è uscito da Modenapark affermando “però quella canzone non l’ha fatta”. Non si era li per ascoltare la canzone preferita, e tanto meno per aspettarsi quel brano o quell’altro. Si era lì per cantare insieme alcune canzoni, quelle che avrebbe fatto. Questo senso che, al distratto osservatore, poteva sembrare un’arrendevolezza dovuta alla maestosità dell’evento, in realtà è la testimonianza che a Modenapark si è andati e si è arrivati con la consapevolezza che si partecipava a una festa che andava ben oltre la musica e le canzoni. Questo stare insieme ha travalicato la paura, la voglia di fare confusione e le persone si sono attenute, in modo incredibile (se si pensa che è il pubblico, immenso, di Vasco… il Male, il cattivo Maestro, quello del “Fatti i cazzi tuoi”, del “Siamo solo noi”…), alle regole: avevano gli zaini consigliati, sono arrivate con i bus e i treni, hanno cercato di aggregarsi in macchine collettive; hanno parcheggiato all’esterno della città e sono arrivate a piedi in centro, senza navette e senza lamentarsi. Questo clima di serenità accade solo quando si sa di partecipare a una festa e di farlo in casa di una persona con altri invitati che non si conoscono, ma consapevoli che la festa ci sarà e ci sarà da divertirsi. Lo show L’attesa è finita ed è durata fin troppo. Si cominciò a parlare di Vascomodenapark esattamente nell’estate del 2016, al termine cioè della quattro giorni romana sold out all’Olimpico. In realtà, però, si è cominciato a concepire questo evento l’11


maggio del 1977 quando a 25 anni Vasco Rossi (classe 1952), allora sconosciuto ai più come cantautore, ma già noto dj e voce rock dell’Emilia e, soprattutto, dell’area modenese, uscì sul mercato con il primo 45 giri che conteneva Jenny e Silvia, le due prime donne di Vasco (ne canterà altre nella sua carriera e ne farà cantare altrettante, dalla Mannoia a Noemi, dalla Pausini a Patty Pravo). Da allora la parabola di Vasco è la storia del rock in Italia se con questa dicitura intendiamo quella “vita spericolata” che lui ha incarnato, e che in generale il rock incarna e impone, e che Vasco ha saputo sintetizzare nel brano manifesto Vita Spericolata che portò a San Remo nel 1983. Quella non fu però la sua prima apparizione al Festival, ma è senza dubbio la più famosa, quella cioè che fa nascere il “fenomeno” Vasco (senza più bisogno di aggiungere Rossi) e che apre la strada alla vetta della sua parabola artistica. In realtà nel 1982 era salito sul palco dell’Ariston con Vado al Massimo, brano che contiene il famoso attacco a “quel tale, che scrive sul giornale”, e cioè il critico Nantas Salvalaggio (scomparso nel 2009) che aveva stroncato il rocker etichettandolo come uno sbandato capace solo di dare cattivo esempio. Chissà cosa avrebbe detto oggi quel severo critico e scrittore vedendo cosa è accaduto a Modena, al parco Enzo Ferrari, e cioè al Modenapark (anche in questo caso si tratta di un verso, famosissimo, di Colpa d’Alfredo, brano del 1980 e canzone con la quale Vasco ha aperto lo show di sabato 1 luglio, dove si urla Abito fuori Modena, Modenapark…): 220 mila spettatori paganti (record assoluto e mondiale), oltre 1.000 autobus in arrivo da tutta Italia, 197 cinema collegati, palazzetti e spiagge che hanno proiettato l’evento in streaming. Si aggiunga poi la “diretta” tanto discussa dell’ammiraglia Rai Uno, evento che ha fatto più danni che altro, in primis perché non ha mandato in onda tutto il concerto (e questo è un limite della comunicazione che non ha saputo render chiaro questo concetto) e poi perché, causa un ritardo d’immagine, ha pure creato l’effetto playback. Il dibattito è esploso subito e i detrattori sono andati a nozze, mentre i veri fans hanno iniziato


una difesa gratuita che, alla luce di quanto detto sin qui, neppure serve. Insomma, era meglio una bella diretta su Sky, in chiaro, e morta li. La Rai, invece, vuole puntare i riflettore sul “cattivo esempio” per eccellenza, il leader cioè della Combriccola del Blasco (terza canzone in scaletta), brano del 1987 in cui lo stesso Vasco, giocando con l’ironia (suo personale marchio di fabbrica), afferma di se “Si diceva che quel Blasco, fosse stato prima un rospo, tramutato non so come e anche male, in uno strano animale!”. Anche la Rail dunque, sembra sposare la mia tesi e cioè che l’Italia e i giovani italiani che hanno ascoltato Vasco in questi quattro decenni non sono diventati il peggio che si potesse immaginare e, dunque, l’Italia era pronta per mandare ancora una volta Vasco in prima serata (dopo il san Remo del 1983 e quello degli anni 2000 quando aprì cantando Un senso dal palco dell’Ariston). Anzi. Quell’Italia e quei giovani che si sono ammassanti a Modena (in campeggi improvvisati o attrezzati) avevano solo voglia di celebrare non un’icona, ma un uomo e un artista che ha saputo essere sempre credibile, onesto, sincero e vero nelle sue canzoni. Tutto il contrario di quel male e di quel cattivo esempio che avrebbe potuto, secondo alcuni critici e detrattori, fare all’Italia e ai suoi giovani il cantante Vasco Rossi con la sua storia, la sua vita spericolata e i suoi eccessi. Allora non resta che vivere la festa seguendo anche lo stesso Vasco che, in quesi giorni, ha saputo divertirsi con i suoi fans. Bastava guardarlo negli occhi per capire la gioia di chi stava attendendo gli amici per far festa e, allo stesso, non riesciva più a trattenere l'entusiasmo. I fans accorrevano, lui provava sul palco. Fra i regali del pre-show ci sono state le prove aperte, un vero e proprio concerto completo (senza la sola Un senso, aggiunta la sera del concerto) dedicato a soli 10 mila fans, quelli del fans club appunto. Vasco resta Vasco insomma, e per lui si è bloccata la maturità e si è spostato l'orario della messa, e si sono ritardati i saldi, così i detrattori del cattivo maestro hanno avuto il loro bel da dire come fece "quel tale, che scriveva sul


giornale", ma nel mentre a Modena arrivava un popolo composto e ordinato (per quanto possibile) che voleva fare festa con le canzoni che hanno accompagnato emozioni e momenti della vita privata e collettiva di ognuno. La festa era pronta ed era di fatto una festa in casa, a Modena, la sua Modena, la Modena di Vasco Rossi dove lui ha deciso di ritrovarsi con i suoi amici, invitati al compleanno artistico e che gli hanno invadendo la casa in almeno 230 mila, quelli cioè di Modenapark. Le prove… Arrivo a Modena con ampio anticipo. Si parla di code kilometriche. Quindi, per evitarle, parto alle 15.30. Casa mia dista poco meno di 90 km (statale + autostrada) da Modena. Ho 5 ore e 30 minuti per farcela. Il vento è forte, c’è bufera. Non posso che ascoltare Colpa d’Alfredo dal live del 1992. Da quell’epoca non l’ha più fatta dal vivo perché troppo politicamente scorretta nell’epoca del politicamente corretto. Tuttavia, il rock è politicamente scorretto, ma Vasco ha anche tante altre canzoni, quindi condivido la necessità di non tirarsi, come si dice dalle mie parti, “il freddo nel letto”. C’è più traffico sulla goitese che sulla Brennero che conduce a Modena. Sarà un abbaglio. Decido di cambiare musica perché Vasco lo ascolto dopo e così mi dedico agli Zeppelin con Physical Graffitti, il doppio album del 1975. Non termina neppure Kashmir che sono già a Campogalliano e, in pochi minuti, in direzione via delle Suore. Non mi fido del nome della via (e farò male) e così mi avventuro vicino alla stazione. Trovo un fans. “Scusa Modenaparkl?” “Sarà una grande festa sabato, oggi ci sono le prove….” “Lo so, ma il parco…” “Enzo Ferrari, bellissimo…” Riproviamo… “Si, ma è vicino?” “Tutto è vicino con Vasco”. Ok, parcheggio in stazione, non mancherà molto. Vado in città a piedi e chiamo una persona al telefono. “Sei in mezzo al mare? senti che vento…” “Qui c’è la bufera…” e un pò di sabbia mi arriva fra i capelli egli occhiali. “Ti chiamo quando entro”.


Il centro città è uno spettacolo. Maglie di Vasco, cessi chimici e vetrine abbondate con le immagini e le frasi di Vasco. L’ottico ha messo alcune frasi attaccate alle vetrine; la Feltrinelli ha fatto una parete fra libri, cd e dvd; alcuni bar espongono vecchie foto con dediche e autografi degli anni ’80 e ’90; negozi di intimo (già consci di quello che accadrà quando sabato partiranno le note di Rewind) hanno foto cartonate di Vasco circondate da mutandine e reggiseno. Tutto molto rock insomma, e in stile con il Vasco anni ’80, il Vasco modenese che tutti, qui, conoscono. Mi trovo con l’amica scrittrice Chaimaa Fatihi, e dialoghiamo di questo evento. “Modena è pronta” mi dice, “spaventata certo, ma si respira un clima di festa, è bellissimo. Ci sarà disagio dicono le persone, ma è anche una grande opportunità. Conosco la Giunta, sta lavorando giorno e notte per evitare i guai. la città può solo guadagnarne”. Mi vengono in mente le parole del mattino. L’organizzazione di Vascomodenapark è imponente e la macchina organizzativa è attiva da mesi. Gli appelli a usare mezzi collettivi (treni, bus e auto in condivisione) è stato amplificato da mesi e i risultati si sono visti la sera dello show. Me lo conferma anche Luca Campanile di Busforfan.com srl, sito che ha gestito, con l’altra piattaforma Parkforfun.com l’arrivo dei bus e delle automobili. “Siamo ben oltre i raduni degli alpini e del Papa” afferma Campanile, “e si sono registrati più di 1.000 autobus. Da Mantova ne sono partiti 10, alcuni dei quali, i nostri in particolare modo, alle 13 dall’outlet, e sarà quello che prenderai tu. Tutti i bus, comunque, si sono registrati e a tutti sono state date le coordinate, le uscite e i parcheggi, sul modello della ZTL di Venezia. Abbiamo creato il ticket on-line così i bus lo scaricano e sanno già a che uscita si devono recare (Campogaliano, Modena Nord solo per chi arriva da Nord, Modena Sud solo per chi arriva da SUD). Oggi inviamo le mail alle singole persone con tutto indicato il percorso per entrare e per uscire al fine di ritrovare il bus, o il parcheggio all’uscita”. Insomma, nelle parole di Chaimaa ritrovo la sicurezza che tutti mi stanno dando: ci sarà il caos, ma noi abbiamo lavorato al


meglio. Io posso dire che non ho fatto coda, sono arrivato in una città che ha 140 mila abitanti e ne ospiterà 220 fra 24 ore e tutto è sereno, si gira in bica, si fa l’aperitivo, si ascolta qua e la Vasco, e il pop da radio pre-aperitivo regna sovrano. Mi dirigo al parco e il primo intoppo è che per la priva generale serve entrare dal fondo. Lunga camminata con scarpe invernali (eh si, sembrava piovesse, dunque mi sono attrezzato) e i piedi sono due ferri-da-stiro bollenti. Pazienza. Per strada Vasco in ogni dove, gente che osserva dalle finestre, kebab trasformati in piadinerie e pizza la taglio che taglia, taglia, taglia della gran pizza. Si arriva all’ingresso e il “patataro” ha finito la birra (nefasto presagio, avrei dovuto capirlo…). Mi becco una piada al crudo (“Fatta in casa la piada giovane…” come non credergli…) e una bottiglia d’acqua. “Come va qui ragazzi?” chiedo felice… “Mo son già stufo oggi e il concerto è sabato…”. L’entrata è gestita all’inglese, ma avviene all’italiana. C’è una coda composta per pochi metri e poi c’è il solito che afferma “ma perché devo stare qui in coda se posso andare avanti? Tanto una volta la voglio v edere se non ci fanno entrare…”. Beata innocente ed egoista anarchia detta da sete di birra e da furberia da italioti, ma tanto fa. Mi adeguo. Bigio la coda, mi butto nel gruppone, cerco la volata, smisto insulti e i “fate la coda stronzi”, e sono dentro. Il palco, immenso, è la in fondo. Di fatto ripercorre - per la seconda volta - il lato lungo di Modenapark per arrivare a quella che sarà la zona pit 1 (dove ho il biglietto il sabato) e che questa sera è riempita dai fans. Faccio finta di non sentire che da quella parte entra solo chi ha il braccialetto. Io non ce l’ho, ma non sento, e così entro insieme ai fans duri e puri del Colpa d’Alfredo, e sono ben felice. Accento meraviglioso, età media quella di Vasco, aneddoti a non finire e niente pogo. Tocco il palco con una mano. Provo a mandare foto a Rachele. I cellulari funzionano. “Ma soccia, sabato sarà una guerra”… affermano altri. L’accordo è che non si deve filmare e neppure fare foto. Lo abbiamo firmato nel contratto/biglietto per entrare qui. Io voglio mandare audio a Rachele, quindi chiedo. “A guarda, io filmo, faccio foto e vado in diretta…”. Ok, buona la


prima. Lo show inizia alle 21, puntuale (sabato ci saranno cinema e tv collegate, non si può sgarrare). Vasco sale sul palco con giubbotto giallo di pelle e pugno alzato e l’immenso palco si accende, dopo l’intro di Richard Strauss, sulle note di Colpa d’Alfredo, la canzone che contiene il riferimento a Modenapark. “Questa è una prova generale” afferma Vasco salutando i fans e gli amici (“vi conosco tutti ormai qui sotto”), “e mescoliamo un po’ le carte altrimenti voi con i vostri telefoni dite agli amici cosa succede qui”. Nonostante questo preambolo lo show conferma le indiscrezioni e da alcune certezze. Vasco è in splendida forma e allo stesso tempo molto concentrato. Studia le mosse, le pause, i discorsi e i saluti, segno che non vuole lasciare nulla al caso per la sua grande festa. “Benvenuti al concerto che non avrà mai fine” afferma dopo le prime tre canzoni, “benvenuti a Modena capitale mondiale del rock”. Gli ospiti confermati, e cioè Gaetano Curreri, Maurizio Solieri e Andrea Braido, ci sono e provano i loro interventi (Braido si conferma un chitarrista con un immenso talento). La scaletta, pur se mescolata, è un omaggio la Vasco anni ’80 e cioè alla nascita del mito e al linguaggio duro, secco, diretto e preso dal parlato che ha caratterizzato la sua musica. Fra i pezzi provati Ogni volta, E il tempo crea eroi, Non mi va, canzoni che da anni mancavano nei live show. Si chiude con Vita Spericolata e Albachiara. Questa la cronaca. nel mezzo le emozioni. Vasco c’è. In forma. Splendida. E’ solo troppo concentrato. Alle prove di Lignano Sabbia d’oro dello scorso anno giocava con noi e scherzava, questa sera no. Guarda, studia, prova. Nulla è lasciato al caso. Un paio di battute su Giovanardi, il politico che ha perso un’altra occasione buona… quella di stare zitto… Gli anni ’80 sono il motivo trainante e sono il filo rosso della serata. Se il concerto sarà così, con questa scaletta, non ci saranno rimpianti, cosa che Vasco temeva come ebbe a dire nel raduno in Puglia. “Non vorrei che fosse ricordato come il concerto dove non si è suonata quella…”. Non c’è pericolo


Vasco, siamo qui già per altro ormai, non per far le pulci alla scaletta. Questo accade nei concerti, non negli eventi. A mezzanotte e 30 tutto si spegne, Albachiara è andata e si riprende per la terza discesa del parco e la quarta risalita per arrivate alla macchina. “Tutto è vicino…” se ti ritrovo ti faccio vedere io cosa vuol dire “vicino” e “lontano”. In giro per Modena solo fans di Vasco. Una città tutta per noi. Che bello che sarebbe, una città del rock e per il rock. Una città dove fare festival e concerti, affittare appartamenti per i giorni del concerto, e poi ripartire. Non sarebbe male. “Vuoi un’acqua giovane? Solo 2 euro!” mi dice una signore, gentile, seduto davanti a casa con un frigo pieno di ghiaccio e alcune bottiglie di acqua. “Scusa,1 euro l’acqua, 2 la birra. Mi sbaglio per fare marketing”. La prendo, per forza. Una lattina di Moretti mi accompagna alla macchina che è vicina alla stazione, ma lontana da Modenapark. In 50 minuti sono a casa, non faccio in tempo neppure a terminare New York di Lou Reed che mi accompagna nel ritorno. Felice? ovvio… ma questa cosa sarà ben altro… Non sarà un solo e semplice concerto. No. Modenapark sarà altro. Me ne sono reso conto giovedì notte.

Saranno 39 con due interludi, uno dei quali con due chitarre storiche come Maurizio Solieri e Andrea Braido (ma sugli schermi non mancherà Massimo Riva). Nel mezzo Anima Fragile, canzone scritta per la morte del padre, che verrà cantata con Gaetano Curreri, in tanti scommettono su E il tempo crea eroi (canzone vecchissima), ma i classici ci saranno perché questa è una festa in casa, a Modena, la sua Modena, con i suoi amici invitati che gli stanno invadendo la casa, e cioè i 220 mila di Modenapark.


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