Raccolta di atti parlamentari: 16 marzo 2016

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Raccolta di atti parlamentari http://www.laboratoriopoliziademocratica.it/index.php? option=com_content&view=category&id=27&Itemid=138


Petizione Firma e fai firmare

Revoca della licenza ai tassisti che ingannavano colleghi e passeggeri a Fiumicino https://www.change.org/p/comuni-di-roma-e-fiumicino-revoca-della-licenza-ai-tassisti-cheingannavano-colleghi-e-passeggeri-a-fiumicino

Atto Camera Interrogazione a risposta in commissione 5-07934 presentato da BUSINAROLO Francesca testo di Venerdì 26 febbraio 2016, seduta n. 578   BUSINAROLO, AGOSTINELLI, BONAFEDE, COLLETTI, FERRARESI e SARTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:    secondo alcuni dati riportati dal Sappe, dal 1o gennaio al 30 giugno 2015 nelle 198 carceri italiane si sono registrati 19 suicidi di detenuti, 2 di poliziotti penitenziari, 34 decessi per cause naturali, 465 tentati suicidi sventati in tempo dagli agenti penitenziari e 3.163 atti di autolesionismo posti in essere da detenuti. Moltissimi poi sono stati i casi di episodi di violenza (2.095 colluttazioni e 449 ferimenti) contro gli agenti;    tale situazione, estremamente drammatica, evidenzia le difficoltà quotidiane in cui si trovano ad operare il personale delle


strutture penitenziarie e gli agenti di polizia, che svolgono con zelo ed impegno il proprio lavoro, anche mettendo a rischio la propria incolumità;    nei giorni scorsi, la notizia di un nuovo caso di suicidio in carcere di un detenuto, registrato a Verona, che rappresenta il quinto dall'inizio dell'anno, riporta all'attenzione dell'opinione pubblica la drammaticità in cui versano gli istituti penitenziari nel nostro Paese, le cui cause sono legate principalmente alla scarsità delle risorse economico-finanziarie, dalla carenza di organico, da condizioni igienico-sanitarie precarie dovute a strutture spesso fatiscenti e sovraffollate;    rispetto allo scorso anno la popolazione detenuta in Italia è calata di poche migliaia di unità: ovvero si è passati a 52.475 detenuti rispetto ai 53.889 dell'anno precedente;    anche le linee guida sulla cosiddetta «vigilanza dinamica», in conformità alle direttive della Corte di giustizia di Strasburgo, che consente al detenuto di trascorrere almeno otto ore fuori dalla propria cella, tra aria (almeno 4 ore al giorno) e salette ricreative, risultano essere applicate soltanto presso alcune carceri italiane e, in diversi casi, si sono verificati episodi di violenza proprio in occasione dei periodi previsti dalla «vigilanza dinamica» –:    se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa, quali iniziative intenda intraprendere per garantire adeguati livelli di sicurezza per gli agenti di polizia penitenziaria nell'ambito delle strutture detentive, riconsiderando altresì le modalità di vigilanza dinamica e delle celle aperte, e se intenda assumere iniziative dirette a ridurre il sovraffollamento nelle carceri, anche al fine di garantire condizioni di vita più dignitose ai detenuti. (5-07934)


Atto Camera Interrogazione a risposta in commissione 5-07938 presentato da SARTI Giulia testo di Venerdì 26 febbraio 2016, seduta n. 578   SARTI, LOMBARDI, FERRARESI, NESCI e SPADONI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:    tra il 1994 e il 1995 è stato approvato il nuovo piano regolatore del comune di Rimini e, a dicembre del 1995, l'amministrazione comunale pubblicava un bando per le proposte sui «Programmi integrati di Intervento ex articolo 16 della legge n.  179 del 1992 ed ex articolo 20 e 21 legge regionale n. 6 del 1995» (pianificazione territoriale e modifiche e integrazioni alla legislazione urbanistica ed edilizia). La società Da.Ma. di Gian Franco Damerini proponeva un programma integrato in cui era prevista la realizzazione della nuova sede della questura e della polizia stradale. Con delibera del 5 agosto 1998 veniva approvato l'atto di impegno per la stipula di una convenzione che regolasse tali lavori da parte della Da.Ma. e, l'11 marzo 1999, la relativa variante urbanistica necessaria a far partire quanto previsto nel piano integrato. I lavori sono iniziati nel 1999 e, a metà del 2000, si cominciava a vedere la nuova questura: una struttura enorme, con anche un poligono sotterraneo. I lavori sono terminati nel 2005 e tra il proprietario dei terreni Gianfranco Damerini, titolare della società Da.Ma., e il comune di Rimini, è cominciata una causa legale che ha impedito alle forze di polizia di poter entrare nella nuova sede nonostante fosse ormai pronta. A causa del contenzioso ancora oggi inconcluso, dal 2005 immobile in via Ugo Bassi è rimaste, abbandonato e attualmente versa in un grave stato di degrado e deterioramento. Ciò che più preoccupa dunque è che, in questi ultimi undici anni, non si è arrivati a nessuna soluzione anzi, l'immobile di


via Ugo Bassi è una vera e propria «cattedrale nel deserto», oramai diventata un rudere; contemporaneamente, la città di Rimini continua a non avere una questura e i poliziotti sono costretti ad operare in cinque sedi diverse;    proprio per tali ragioni, il comune di Rimini, come riportato da notizie del quotidiano locale LaVoce, in data 22 ottobre 2015, ha erogato una somma pari a 15.920 euro per ottemperare ad obblighi di risanamento che il proprietario Gianfranco Damerini non ha mai adempiuto. Nello specifico, 8.220 euro sono stati versati per il prosciugamento dei ristagni di acqua e la bonifica – interna e 7.700 per lo sfalcio dell'erba. Tali dati sono stati resi noti dall'assessore alla sicurezza Jamil Sadegholvaad, in risposta ad un'interrogazione del consigliere comunale del Movimento Cinque Stelle, Marco Fonti. L'assessore, oltre a ricordare le cifre degli interventi di cui il comune si è fatto carico la scorsa estate, ha dichiarato di non aver ricevuto nessuna comunicazione sulla disponibilità della proprietà a riattivare le pompe in seguito alla rinnovazione del contratto con l'Enel da parte dell'amministrazione comunale;    ad oggi la situazione non è migliorata, lo testimonia un articolo del quotidiano online « Rimini 2.0» che in data 20 febbraio 2016 dichiara: «Uno stagno che rappresenta l'habitat ideale per alcune coppie di germani reali, un campo di guerriglia urbano dove si esercitano i "Guerrieri per gioco", associazione dedita al soft air. Ecco a cosa è ridotta oggi la "nuova questura" di Rimini, una struttura di oltre 23.000 metri quadri, costata oltre 30 milioni di euro e che ne vale circa 50 con il terreno. Una struttura in abbandono e disfacimento, alle mercé dei vandali»;    alla luce di tale situazione, le forze di polizia non hanno mancato di dialogare con le istituzioni, infatti ci sono stati numerosi incontri con il vice capo della polizia, prefetto Matteo Piantedosi e la direzione centrale dei servizi tecnico logistici e della gestione patrimoniale, prefetto Renato Franceschelli, unitamente agli interventi dei questori e prefetti di Rimini che si sono succeduti in questi anni. Si era garantito che, entro la fine del 2015, sarebbe


stato acquisito e adattato alle esigenze della polizia di Rimini lo stabile ex Inpdap che si trova nei pressi del tribunale, con la conseguente dismissione dell'attuale plesso denominato «Caserma Mosca» ed anche il complesso di via Bonsi (sede degli uffici amministrativi e immigrazione). Veniva aggiunto che nel frattempo sarebbero state esplorate altre opzioni possibili per fare in modo, quanto prima, di poter unificare in un unico stabile anche la sede di Corso D'Augusto;    al momento, l'ipotesi prospettata è quella relativa all'immobile sito in Piazzale Bornaccini che, unitamente allo stabile ex Inpdap, sarebbe in grado di ospitare tutti gli Uffici della Questura;    il prefetto Franceschelli ha comunque tenuto a precisare che, qualora in futuro dovesse pervenire al Ministero un'offerta concreta e percorribile per poter dislocare tutta la polizia di Rimini nello stabile di via Ugo Bassi sarà comunque presa in considerazione anche quella soluzione essendo stato quello stabile costruito con le caratteristiche per ospitare uffici di polizia. Ha rilevato però, che questa possibilità non inficerà comunque l'azione di ricerca di soluzioni alternative e concretamente percorribili;    l'immobile sito in piazzale Bornaccini ospita attualmente alcuni uffici della provincia che il sindaco a breve dovrebbe provvedere a spostare;    la mensa e alcuni alloggi della polizia, sono ubicati presso la «Caserma Mosca», sita in via Toscanelli 98/100 a Rivabella, frazione di Rimini. L'immobile risulterebbe essere di proprietà della società Hotel Vasco s.r.l., composta dai membri della famiglia Paesani: Luciano Paesani è proprietario al 37,41 per cento, la moglie Laura Raboni al 32,59 per cento, i figli Fabio Paesani, Claudio Paesani e Lucio Paesani detengono ciascuno il 10 per cento. La società Hotel Vasco s.r.l. è altresì proprietaria del noto locale notturno riminese Coconuts, oltre ad altre società incorporate quali «Immobiliare del Colle s.n.c.» e «Adriapalace s.r.l.»; Laura Raboni risulta inoltre essere amministratore unico della società TintoriCinque s.r.l.;    il Coconuts è una storica discoteca romagnola che, a giugno


2015, è stata chiusa in seguito ad un blitz antidroga nell'ambito della cosiddetta «Operazione Titano» della questura di Rimini, nella quale sono stati sequestrati un chilo di cocaina e ventitremila euro di banconote false, ventinove le misure cautelari emesse e quaranta gli indagati. Nell'indagine è coinvolto il Coconuts, poiché considerato luogo privilegiato per attività di spaccio. Fra gli indagati figurano i gestori Lucio Paesani e il fratello Fabio, che è già agli arresti domiciliari per agevolazione dell'uso di sostanze stupefacenti (Claudio, fratello maggiore di Lucio e Fabio, invece, è titolare del ristorante «Chi Burdlaz», indagato anche lui nel 2011 per aver favorito lo spaccio di droga nel suo ristorante. Nel 2014 è stato prosciolto);    il locale Coconuts, dunque, a giugno 2015 era stato posto sotto sequestro con provvedimento emesso dal questore di Rimini Maurizio Improta per la durata di 1 mese e consequenzialmente era stata emessa ordinanza di chiusura. Le motivazioni dell'ordinanza del questore descrivevano il Coconuts, come risultava dalle informative della polizia di Stato, il luogo di ritrovo abituale di pregiudicati e persone dedite a traffici illeciti legati allo spaccio di sostanze stupefacenti. Il tutto, come rilevato dal Gip, con la connivenza dei titolari, i quali tolleravano e favorivano la presenza di tali persone consapevoli che il locale veniva usato come un luogo sicuro per le transazioni e l'assunzione di stupefacenti. Il tribunale amministrativo regionale di Bologna, poi, ha accolto il ricorso presentato dagli avvocati del Coconuts Paolo Righi e Franco Fiorenza, dichiarando illegittimo il decreto per la parte in cui diffidava la proprietà all'utilizzo del marchio Coconuts per altri eventi al di fuori del locale. Tale provvedimento ha suscitato diverso scalpore, poiché riformulava anche la durata della chiusura del locale in giorni quindici;    tra i gestori del Coconuts e il sindaco di Rimini Andrea Gnassi, c’è un rapporto amicale tale per cui fu Gnassi a scrivere la prefazione del libro pubblicato in occasione del quindicesimo compleanno della discoteca. Nonostante gli evidenti e continuativi


problemi legati allo spaccio di sostanze stupefacenti, è proprio il sindaco a promuovere ogni anno iniziative che coinvolgono direttamente i gestori del locale, come la Notte rosa e la Molo Street Parade –:    se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra esposti con riferimento alla sede della questura e se possa indicare un termine certo entro cui si procederà all'adozione di una delle soluzioni prospettate;    se si ritenga opportuno che alloggi e mense della polizia siano situate in un immobile, la caserma Mosca, di proprietà di Lucio Paesani, indagato e Fabio Paesani, attualmente agli arresti domiciliari, per i motivi sopra esposti;    se intenda fornire informazioni riguardo al fatto che le forze di polizia di Rimini per l'utilizzo della caserma Mosca, corrispondano ai proprietari, due dei quali indagati per i gravi reati sopra esposti, un canone di locazione mensile. (5-07938) Atto Camera Interrogazione a risposta scritta 4-12263 presentato da PRODANI Aris testo di Giovedì 25 febbraio 2016, seduta n. 577   PRODANI, RIZZETTO e MUCCI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:    il 20 febbraio 2016, alla presenza del capo della polizia e del direttore centrale delle specialità, è stato ufficialmente inaugurato a Trieste il nuovo «Centro Polifunzionale» della Polizia di Stato di San Sabba, intitolato all'Ispettore capo, medaglia d'oro al valore, Luigi Vitulli.    il complesso, che ospita la nuova sede del compartimento della polizia stradale FVG, della sezione polizia Stradale di Trieste, del


Commissariato di Polizia stradale polo San Sabba, dell'Ufficio sanitario provinciale, e di uffici della polizia di frontiera marittima dell'ufficio prevenzione generale della questura, è stata oggetto di due interrogazioni, senza risposta, dello scrivente – la n. 4-07672 del 26 gennaio 2015 e la n. 4-10561 del 30 settembre 2015 – nonché di alcune denunce della segreteria del SILP CGIL Trieste, che ha presentato un esposto alla procura della Repubblica, alla Corte dei Conti e all'Autorità Nazionale Anticorruzione, ancora senza esito, oltre ad alcuni interventi della segreteria della Federazione Uil Polizia.    le criticità, ripetutamente segnalate, della nuova struttura riguardano principalmente l'assenza degli accessi dedicati ai disabili previsti per legge ed i problemi legati alla vigilanza dello stabile stesso e dell'intero comprensorio in cui è inserito.    Il Criba (Centro regionale di informazione sulle barriere architettoniche) del Friuli Venezia Giulia, che opera nel contesto della consulta regionale delle associazioni dei disabili – secondo una «lettera aperta»; rivolta al prefetto Pansa e pubblicata il 20 febbraio 2016 dal Silp Cgil – ha documentato «le difficoltà di accesso all'immobile per i dipendenti e gli utenti disabili: l'unica entrata prevista alla nuova struttura dalla strada pubblica è costituita da una scalinata, mentre la via alternativa per accedere alla caserma, oltre ad essere carente di indicazioni, sembra un percorso ad ostacoli che conduce poi all'ingresso carraio dei mezzi di servizio e dove la strada raggiunge una pendenza insostenibile e un marciapiede non a norma per una persona con disabilità motoria. Inoltre è completamente assente la segnaletica tattilo-plantare per le persone con disabilità visiva. Oltre alla difficoltà di accesso, lo stesso ingresso alternativo è sostanzialmente raggiungibile solo da un disabile che possieda la macchina, risultando quindi assolutamente discriminatorio « ed impraticabile nelle giornate di vento»;    sempre secondo la lettera aperta del Silp Cgil, «l'immobile, che è stato costruito dal Comune di Trieste con la supervisione del


Provveditorato alle Opere Pubbliche, come tutti gli uffici dipendenti dalla Questura, non è ancora provvisto del Documento di Valutazione dei Rischi; con un Corpo di Guardia sistemato inutilmente all'incontrario – e sovradimensionato – con i controsoffitti che nei giorni di vento, se non si fa attenzione, volano via; ascensori che si bloccano, ecc. L'intera struttura che lo circonda è fatiscente e inquinata (da amianto e da idrocarburi), oltre che essere confortevole rifugio di colonie di topi (che si servivano anche in mensa»;    per quanto concerne l'accesso veicolare pedonale al complesso, è affidato ad un solo operatore per turno in servizio al commissariato-polo di San Sabba, che presta servizio all'interno di un container privo di qualsiasi misura di protezione e chiaramente inadatto allo scopo.    come riferisce la segreteria provinciale del Silp Cgil in un comunicato stampa, «dopo la consegna di un documento congiunto, in cui si segnalavano le disfunzioni delle opere realizzate e le priorità di intervento, ad iniziare dalla prestazione di un corpo di guardia dignitoso e funzionale e dall'approntamento delle misure a favore del pubblico disabile», e di un sopralluogo, a margine della cerimonia, il capo della Polizia ed il direttore, centrale delle specialità avrebbero manifestato il proprio personale impegno per dei provvedimenti risolutivi rispetto alle critiche situazioni presentate e personalmente rilevate –:    se il Ministro interrogato intenda verificare la presenza del documento di valutazione dei rischi per tutte le strutture dipendenti dalla Questura di Trieste e fornire, in caso di assenza dello stesso le dovute motivazioni;    se intenda comunicare i motivi per i quali, nonostante le numerose segnalazioni, non abbia dato corso ai dovuti interventi sia in relazione alla sicurezza, che all'accessibilità della struttura e del comprensorio di San Sabba.    se intenda fornire le tempistiche degli interventi di cui il capo della polizia ed il direttore centrale si sono fatti carico in prima


persona. (4-12263)

Atto Senato Interrogazione a risposta orale 3-02620 presentata da BRUNO MARTON giovedì 25 febbraio 2016, seduta n.582 MARTON, SANTANGELO, CAPPELLETTI, SERRA, BUCCARELLA, DONNO, MORONESE, TAVERNA, CATALFO, BULGARELLI - Ai Ministri dell'interno, dell'economia e delle finanze e della giustizia Premesso che: il decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, recante "Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53", all'articolo 39 (Riposi giornalieri della madre) ha disposto: "Il datore di lavoro deve consentire alle lavoratrici madri, durante il primo anno di vita del bambino, due periodi di riposo, anche cumulabili durante la giornata. Il riposo è uno solo quando l'orario giornaliero di lavoro è inferiore a sei ore. I periodi di riposo di cui al comma 1 hanno la durata di un'ora ciascuno e sono considerati ore lavorative agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro. Essi comportano il diritto della donna ad uscire dall'azienda. I periodi di riposo sono di mezz'ora ciascuno quando la lavoratrice fruisca dell'asilo nido o di altra struttura idonea, istituiti dal datore di lavoro nell'unità produttiva o nelle immediate vicinanze di essa", mentre all'articolo 40 (Riposi giornalieri del padre) ha disposto: "I periodi di riposo di cui all'articolo 39 sono riconosciuti al padre lavoratore: a) nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre; b) in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga; c) nel caso in cui la


madre non sia lavoratrice dipendente; d) in caso di morte o di grave infermità della madre"; in data 16 settembre 2015, il Sottosegretario di Stato per la difesa Alfano rispondeva in 4a Commissione permanente (Difesa) del Senato ad un'interrogazione presentata il 3 giugno 2015 (3-01954), relativamente ad una circolare ministeriale che appariva in contrasto con il dettato normativo del decreto legislativo n. 151, in particolare dell'articolo 40. La circolare, emanata dalla Direzione generale per il personale militare (prot. n. M_D GMIL 0080676 del 12 febbraio 2015), sembrava non riconoscere al padre i diritti sanciti dall'art. 40 nel caso in cui la madre fosse lavoratrice autonoma; nella risposta il sottosegretario Alfano rassicurava circa l'attuazione per il personale militare di ogni parte della disposizione dell'articolo, riconoscendone la legittimità con il richiamo a 2 decisioni del Consiglio di Stato (n. 4293 del 6 giugno 2008 e n. 4618 del 19 giugno 2014), che non lasciano dubbi circa l'estensione del beneficio del riposo al padre, nel caso in cui la madre sia lavoratrice autonoma; a seguito della risposta è stata emanata una nuova circolare ministeriale che riconosce in maniera chiara, puntuale e manifesta il beneficio al padre militare dei riposi orari giornalieri in conformità a quanto stabilito dall'art. 40 della legge. Inoltre, la circolare, recependo l'ultimo orientamento giurisprudenziale, ribadisce che "il diritto ai riposi giornalieri compete al militare padre anche in tutte le ipotesi di inesistenza di un rapporto di lavoro dipendente in capo alla madre: pertanto, non solo nel caso della madre che svolge attività lavorativa autonoma, ma anche in quello della madre che non svolge alcuna attività lavorativa o che, comunque, svolge un'attività non retribuita da terzi";


considerato inoltre che, a parere degli interroganti: l'ultima circolare emanata pone un punto fermo sul riconoscimento, anche in ambito militare, dei diritti genitoriali, in particolare della figura paterna che gode degli stessi benefici di quella materna rispetto alla cura dei propri figli; sarebbe opportuno che la medesima chiarezza nell'interpretazione delle norme in materia di tutela e sostegno della maternitĂ e della paternitĂ sia estesa anche al comparto sicurezza, ovvero a tutte le forze dell'ordine, compresa la Polizia di Stato, la Guardia di finanza e la Polizia penitenziaria, si chiede di sapere: qual sia lo stato di attuazione della normativa in materia di tutela e sostegno della maternitĂ e della paternitĂ per il personale delle forze dell'ordine; se i Ministri in indirizzo non ritengano opportuno promuovere con urgenza all'interno dei propri dicasteri l'emanazione di circolari analoghe a quella diramata dal Ministero della difesa al fine di chiarire in modo inequivocabile l'interpretazione della normativa, in particolare le disposizioni dell'art. 40 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151. (3-02620) Atto Senato Mozione 1-00526 presentata da NUNZIA CATALFO


martedì 1 marzo 2016, seduta n.583 CATALFO, AIROLA, BERTOROTTA, BLUNDO, BOTTICI, BUCCARELLA, CAPPELLETTI, CASTALDI, CIAMPOLILLO, CIOFFI, COTTI, CRIMI, DONNO, ENDRIZZI, FATTORI, GAETTI, GIARRUSSO, GIROTTO, LEZZI, LUCIDI, MANGILI, MARTELLI, MARTON, MONTEVECCHI, MORONESE, MORRA, NUGNES, PAGLINI, PETROCELLI, PUGLIA, SANTANGELO, SCIBONA, SERRA, TAVERNA - Il Senato, premesso che: in data 26 febbraio 2016 si è appreso che il Ministro dell'interno, Angelino Alfano, è indagato per abuso d'ufficio dalla procura di Roma, unitamente al viceministro Filippo Bubbico e ad altre 3 persone, tra le quali figurerebbe il presidente dell'università "Kore" di Enna. Il reato sarebbe stato commesso il 23 dicembre 2015, giorno in cui il Consiglio dei ministri approvò il trasferimento ad altra sede dell'allora prefetto di Enna, Fernando Guida; stando alle notizie di stampa, nell'avviso notificato agli indagati, che vale come informazione di garanzia, si comunica che il Ministro e gli altri indagati risultano sottoposti ad indagini per il reato di cui all'articolo 323 del codice penale, commesso a Roma nella data riportata; il reato di abuso di ufficio, di cui all'art. 323 del codice penale, si configura allorché "il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé


o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni"; la procura della Repubblica di Roma ha trasmesso il procedimento in questione al competente Collegio per i reati ministeriali, al quale gli indagati possono presentare memorie o chiedere di essere ascoltati. Il provvedimento risulterebbe firmato dal sostituto procuratore Felici e dal procuratore aggiunto Caporale; l'inchiesta, secondo quanto si apprende, riguarda il trasferimento da Enna del prefetto Guida, il quale, in data 28 ottobre 2015, aveva avviato le procedure e gli accertamenti che si sono conclusi, dopo il suo trasferimento, con il commissariamento dell'università Kore. Il 1° febbraio 2016 la prefettura di Enna, con un decreto, ha infatti sciolto gli organi amministrativi dell'ateneo ed ha nominato 3 commissari, per un periodo di 6 mesi, prorogabili. La procedura era stata avviata dopo la proposta, avanzata dalla Fondazione per la libera università della Sicilia centrale Kore, di modificare il proprio statuto; nell'ambito dell'indagin,e emergerebbe, altresì, un'intercettazione telefonica in cui l'ex senatore Crisafulli, fortemente preoccupato per la sorte dell'ateneo, sembrerebbe far presente al capo della segreteria del viceministro Bubbico: «Angelino sta dormendo, questa cosa [il trasferimento del Prefetto] bisogna farla prima che vada in vacanza»; considerato che: la gravità dell'atto di trasferimento del prefetto Guida è già stata denunciata dal MoVimento 5 Stelle mediante un'interrogazione parlamentare presentata il 21 gennaio 2016 a prima firma Nunzia


Catalfo (4-05122) nella quale si chiedeva di sapere se proprio il ministro Alfano fosse a conoscenza dei fatti posti alla base della rimozione del prefetto, di conoscere quali fossero state le ragioni ed i motivi di tale immediato allontanamento di un figura così autorevole e che sino ad allora aveva assunto un ruolo fondamentale nel processo di legalità nel territorio; nell'atto di sindacato ispettivo, si ricostruiva dettagliatamente la vicenda, a partire dalla sottoscrizione, da parte dell'azienda sanitaria provinciale (ASP) di Enna, di un accordo con la fondazione "Proserpina" per fornire il supporto logistico alle attività accademiche connesse alla futura attivazione di corsi di laurea in medicina e in professioni sanitarie promossi dall'università della Romania "Dunarea de Jos di Galati" e la successiva sottoscrizione, da parte della Regione Siciliana di un protocollo d'intesa con la fondazione Proserpina, l'università Kore e la suddetta università rumena per sostenere l'iniziativa accademica. Nell'interrogazione, che qui si richiama solo per sommi capi, si rilevava come la Prefettura di Enna avesse poi accertato che la fondazione proserpina non esiste e che nel registro prefettizio non risultavano registrate fondazioni diverse dalla Kore. La procura della Repubblica ha quindi sequestrato i locali dell'azienda sanitaria utilizzati dagli organizzatori delle attività accademiche romene per invasione di patrimonio pubblico e per falso in atto pubblico. La procura ha successivamente sequestrato i locali utilizzati dal fondo Proserpina presso l'ospedale di Enna in data 11 novembre 2015 ed un mese dopo ha disposto il sequestro del conto corrente della fondazione Kore per uso inappropriato di un contributo economico, ipotizzando il reato di malversazione. Venivano pertanto indagati


tutti i componenti della fondazione Kore. Il 18 dicembre 2015, il prefetto di Enna ha comunicato ai componenti della fondazione l'avvio del procedimento amministrativo finalizzato al commissariamento della fondazione per gravi irregolarità riscontrate nell'esercizio della funzione di controllo e vigilanza. Il 22 dicembre, è stato notificato al prefetto di Enna dottor Guida il suo trasferimento presso la sede di Isernia. Riportando notizie di stampa, si chiedeva conto di possibili tentativi, ipotizzati anche da autorevoli esponenti togati, di bloccare un'indagine della magistratura e di delegittimare, con una denunzia per fatti inesistenti, chi stava conducendo quelle indagini nel pieno rispetto delle regole e senza alcun clamore mediatico; considerato, altresì che: il prefetto, organo con competenza generale e funzioni di rappresentanza governativa a livello territoriale, ricopre una funzione chiave nell'organizzazione periferica dell'amministrazione statale e svolge i propri compiti in ambiti molto vari e complessi: l'ambito socio-economico, quello dell'ordine e sicurezza pubblica, la protezione civile, le emergenze ambientali, oltre all'ambito puramente istituzionale, quale riferimento in periferia per gli altri uffici statali periferici, per le autonomie locali ed in generale per tutte le istituzioni pubbliche e private. Il prefetto è altresì investito di funzioni che, ancorché non codificate, risultano strettamente connesse alla sua posizione funzionale, oltre a funzioni amministrative che spaziano dall'attività paragiurisdizionale ad attività specifiche in materia di cittadinanza, espropriazioni e polizia amministrativa, solo per citarne alcune. Ne deriva, logicamente, la necessità di un'attenta e scrupolosa osservanza, da


parte del vertice politico dell'amministrazione dell'interno, dei doverosi principi di rispetto della legalità e della legittimità degli atti nei rapporti con gli organi periferici dello Stato e con gli uffici territoriali del Governo. Peraltro, a seguito del trasferimento, la città di Enna è rimasta priva del prefetto per quasi 60 giorni, poiché il 10 febbraio 2016 il Consiglio dei ministri ha indicato la persona destinata a svolgere le funzioni prefettizie, che si è poi effettivamente insediata soltanto il 22 febbraio; è particolarmente grave ed inusitato (risultano infatti pochissimi precedenti) il fatto che un Ministro dell'interno si trovi nella condizione di persona indagata, tanto più in caso, come quello di Enna, nel quale l'attività di indagine appare fondata su atti, documenti, testimonianze ed intercettazioni. È stata già rilevata, nell'opinione pubblica, l'anomalia rilevante di un Ministro dell'interno, responsabile della sicurezza pubblica, indagato da quelle stesse forze dell'ordine che, di fatto, da lui dipendono. Ma, a prescindere dalla rilevanza penale dei fatti, che sarà valutata dagli organi competenti, il trasferimento di un prefetto, nelle circostanze esposte e asseritamente su richiesta di un esponente politico locale, configura di per sé un grave abuso di potere ed un pessimo esempio, sia per la fiducia dei cittadini nella legge che per i pubblici dipendenti chiamati ad applicare, imparzialmente, quella stessa legge. Se non si vuole accrescere il vulnus già recato alla credibilità delle istituzioni, l'unica via risulta quella delle dimissioni ovvero della revoca del mandato ministeriale; valutato, inoltre, che: il Gruppo parlamentare "Movimento 5 Stelle" ha già presentato in Senato altre mozioni di sfiducia individuale nei confronti del


Ministro dell'interno. L'ulteriore vicenda che lo vede indagato dimostra, inequivocabilmente, la totale inadeguatezza del Ministro nel ricoprire un così delicato incarico istituzionale; i numerosi fatti ed atti di cui si è reso protagonista, tra i quali gli eventi di Enna sono solo gli ultimi in ordine temporale, non consentono la sua ulteriore permanenza in una carica di così grave responsabilità ed impegno, incidente sulla tutela di diritti costituzionalmente garantiti che sembrano in antitesi con i comportamenti, anche istituzionali, del Ministro in carica; considerato, inoltre, che: l'art. 54, secondo comma, della Costituzione recita solennemente che «I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge». I comportamenti attribuiti al Ministro in più occasioni non assicurano infatti (tanto più in una fase nella quale la garanzia del corretto andamento della pubblica amministrazione e del rapporto tra istituzioni deve rappresentare un elemento imprescindibile della legittimità delle azioni pubbliche di fronte ai cittadini) che le importanti funzioni di vertice politico dell'amministrazione dell'interno, da cui dipendono la Polizia di Stato, il Corpo nazionale dei vigili del fuoco ed i prefetti, possano essere efficacemente svolte dall'attuale Ministro, la cui condotta denota la totale inadeguatezza a ricoprire un incarico istituzionale di così particolare delicatezza; a prescindere, inoltre, dall'effettiva responsabilità penale dell'on. Alfano, che rimane costituzionalmente non colpevole sino a condanna definitiva, appare tuttavia necessario che il nostro Paese e le sue


istituzioni siano salvaguardate nel loro prestigio e nella loro dignità, anche attraverso il doveroso principio di «onorabilità» per coloro a cui sono affidate funzioni pubbliche; il Ministero dell'interno è, come sopra evidenziato, l'organo di attuazione della politica interna dello Stato e le sue principali funzioni riguardano la tutela dei diritti civili, dell'ordine e della sicurezza pubblica, tramite il coordinamento delle forze di polizia, la garanzia della regolare costituzione degli organi elettivi e degli enti locali e l'amministrazione e la rappresentanza del Governo entro lo stesso territorio. Pertanto, ragioni di opportunità e di precauzione dovrebbero indurre ad evitare che un soggetto sottoposto ad indagini penali possa continuare ad esercitare le proprie funzioni di governo, tanto più se i fatti in questione sono connessi alla funzione svolta; la totale inidoneità oggettiva e soggettiva del Ministro dell'interno risulta, dunque, del tutto incompatibile con la delicatezza dell'incarico a lui affidato, ed il compimento di un abuso di potere, inteso come atto illegittimo ed esorbitante rispetto alla responsabilità politica ed amministrativa del suo dicastero, impongono al Parlamento repubblicano di esprimere la definitiva revoca dal suo incarico, ricoperto peraltro con grave incompetenza, imperizia ed inabilità. Il sereno e corretto esercizio delle delicatissime funzioni ministeriali è del tutto inconciliabile con la contemporanea veste di soggetto coinvolto in un procedimento penale, oltre tutto nell'ambito di delitti contro la pubblica amministrazione; visto l'articolo 94 della Costituzione e visto l'articolo 161 del Regolamento del Senato della Repubblica, esprime la propria


sfiducia al Ministro dell'interno, Angelino Alfano, e lo impegna a rassegnare le proprie dimissioni. (1-00526)

Atto Senato Interrogazione a risposta orale 3-02629 presentata da ALDO DI BIAGIO martedì 1 marzo 2016, seduta n.583 DI BIAGIO, TOMASELLI, VALDINOSI, Luigi MARINO, FABBRI, ASTORRE - Ai Ministri dello sviluppo economico, del lavoro e delle

politiche sociali e delle infrastrutture e dei trasporti - Premesso che, a quanto risulta agli interroganti: venerdì 19 febbraio 2016, nell'ambito delle operazioni di recupero di un cadavere nelle acque del Brenta, un sommozzatore-ispettore della Polizia di Stato, Rosario Sanarico, è deceduto a seguito di un incidente di cui non sembrano ancora essere note le dinamiche ufficiali; stando a quanto riportato dai media e, in particolare, stando a quanto emerge da un video pubblicato sul sito on line de "Il Gazzettino", che riprende le concitate fasi che precedono il recupero del corpo dell'operatore subacqueo, emergono alcuni dettagli di natura tecnico-operativa, che sollevano alcuni dubbi circa la carenza di garanzie di sicurezza operativa, entro cui si sono svolte le attività degli operatori;


infatti, stando a quanto risulta, sembra che il sommozzatore fosse collegato alla superficie da una semplice braga, mentre sarebbe risultata assente la braga telefonica in grado di assicurare una comunicazione a voce con il supporto di superficie; il sommozzatore stand-by, che dovrebbe svolgere attività di monitoraggio delle condizioni di sicurezza, pur restando in superficie, non sarebbe apparso pronto, in termini di equipaggiamento ed attrezzatura, al fine di un'immediata immersione di soccorso al compagno in immersione; vale la pena, inoltre, segnalare che la prassi, le consuetudini e le procedure di sicurezza richiedono che il sommozzatore stand-by sia vestito ed attrezzato per immergersi immediatamente in caso di problemi relativi al recupero o riemersione in superficie del sommozzatore e che venga previsto l'utilizzo di un sistema di respirazione alimentato dalla superficie (ombelicale) e casco o maschera integrale per il sommozzatore in immersione; la morte del sommozzatore, stando alle notizie di stampa, risulta essere avvenuta per asfissia, per mancanza di gas di respirazione; pertanto, qualora fosse stato nelle sue disponibilità un sistema di respirazione, alimentato dalla superficie, tramite un ombelicale, è verosimile che l'evento avverso non si sarebbe verificato; l'evento descritto sottolinea ancora una volta, e con maggiore forza, l'esigenza di procedere in tempi celeri ad una razionalizzazione dell'intera materia, afferente alla sicurezza, nell'ambito delle attività subacquee ed iperbariche, in riferimento alle quali è stato depositato un disegno di legge (AS 320), recante "Disciplina delle attività subacquee e iperbariche" e attualmente in 10a Commissione


permanente (Industria, commercio, turismo) del Senato, in attesa di un parere del Governo, si chiede di sapere: quali iniziative si intendano avviare al fine di colmare la palese e pericolosa lacuna normativa ed organizzativa, attualmente sussistente sul versante delle tutele della sicurezza nell'ambito delle attività subacquee ed iperbariche; se si intenda considerare occasione valida di intervento di rettifica ed approfondimento il provvedimento già oggetto di confronto e analisi presso le competenti Commissioni in Senato. (3-02629)

Atto Camera Interrogazione a risposta in commissione 5-08016 presentato da CHIMIENTI Silvia testo di Venerdì 4 marzo 2016, seduta n. 583   CHIMIENTI, D'UVA, BRESCIA, LUIGI GALLO, MARZANA, VACCA, SIMONE VALENTE e DI BENEDETTO. — Al Ministro

dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:    il giorno 3 febbraio 2016 il dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione del Ministero del istruzione, dell'università e della ricerca ha emanato la circolare n. 674, diretta a tutti gli uffici scolastici regionali, ai dirigenti degli ambiti


regionali e a ogni dirigente scolastico;    la circolare, con in allegato il vademecum elaborato con la polizia stradale nell'ambito delle iniziative previste dal protocollo d'intesa siglato il 5 gennaio 2015 con il Ministero dell'interno, dispone che: «Nel corso del viaggio gli accompagnatori dovranno prestare attenzione al fatto che il conducente di un autobus non può assumere sostanze stupefacenti, psicotrope (psicofarmaci) né bevande alcoliche, neppure in modica quantità. Durante la guida egli non può far uso di apparecchi radiotelefonici o usare cuffie sonore, salvo apparecchi a viva voce o dotati di auricolare»;    anche per quanto riguarda l'idoneità del veicolo la suddetta circolare statuisce che: «si dovrà prestare attenzione alle caratteristiche costruttive, funzionali e ad alcuni importanti dispositivi di equipaggiamento: l'usura dei pneumatici, l'efficienza dei dispositivi visivi, di illuminazione, dei retrovisori»;    secondo quanto riportato sul fattoquotidiano.it in data 1o marzo 2016, il direttore generale dell'ufficio secondo del Ministero del istruzione, dell'università e della ricerca, Giovanni Boda, avrebbe scritto ai dirigenti scolastici le seguenti parole: «Si invita a porre particolare attenzione, da parte dei dirigenti scolastici e degli organizzatori, sia nella fase di organizzazione delle visite d'istruzione che durante il viaggio, su taluni aspetti relativi alle scelte delle aziende cui affidare il servizio di trasporto, verificando quindi l'idoneità e condotta del conducente, l'idoneità del veicolo e le altre misure di sicurezza»;    richiedendo ai docenti che prima di partire per una visita guidata o un viaggio di istruzione essi controllino le condizioni personali dei conducenti dei pullman durante tutto il viaggio e


l'idoneità dei veicoli prima della partenza, si attribuiscono loro delle responsabilità che vanno ben oltre la loro sfera di competenza, come sottolineato sul fattoquotidiano.it in data 1o marzo 2016 dal presidente dell'Associazione nazionale presidi Giorgio Rembado: «Non si può seguire una logica amministrativa in un'iniziativa come i viaggi d'istruzione. Si può chiedere alle scuole di organizzare al meglio le uscite ma una verifica così minuziosa dei doveri e degli obblighi delle agenzie o delle società che gestiscono i bus è inverosimile»;    ogni docente, quotidianamente e nello svolgimento della sua professione, si basa sulla buona fede e sull'ordinaria diligenza del buon padre di famiglia, di cui all'articolo 1176 del codice civile, e in particolare l'incarico di docente accompagnatore comporta l'obbligo di un'attenta ed assidua vigilanza sugli alunni, con l'assunzione delle responsabilità di cui all'articolo 2047 del codice civile integrato dalla norma di cui all'articolo 61 della legge 11 luglio 1980, n.  312  –:    se il Ministro interrogato non intenda chiarire il contenuto della circolare di cui in premessa e se non ritenga che essa attribuisca al singolo docente un carico eccessivo di responsabilità che non gli competono, dal momento che sullo stesso docente sorge già l'obbligo di vigilare sulla sicurezza e l'incolumità dell'allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni. (5-08016)

Atto Camera Interrogazione a risposta in commissione 5-08002


presentato da LABRIOLA Vincenza testo di Giovedì 3 marzo 2016, seduta n. 582   LABRIOLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:    secondo quanto riportato da un articolo del 22 febbraio 2016 pubblicato dal quotidiano online www.ilgiornale.it il 28 febbraio, si sarebbe dovuto aprire in Puglia a Taranto i quarto hotspot (struttura allestita per identificare in modo rapido, registrare, fotosegnalare e raccogliere le impronte digitali degli immigrati). La struttura, ancora in allestimento, sorgerà presso il porto della città;    si apprende che le rappresentanze sindacali della polizia abbiano dichiarato: «Nella zona scarico merci del porto sarà recintata un'area molto grande per accogliere i profughi che non dovranno sostare per più di 72 ore. La tendopoli allestita accoglierà non più di trecento-quattrocento migranti per volta. Ma non basta. Ad esclusione dei gommoni, ci sono imbarcazioni molto grandi che trasportano migranti ed arrivano ad accoglierne fino a millecento.»;    inoltre, in una nota stampa di Autonomi di polizia e della Confederazione sindacale autonoma di polizia, si legge: «c’è una visione strategica della problematica limitata, poiché i fenomeni relativi all'immigrazione e alla sicurezza interna sono legati tra di loro. In diverse occasioni siamo già intervenuti ed abbiamo affermato che il risultato dei tagli lineari alle Forze dell'Ordine sarebbe stato sicuramente quello di avere un paese in cui la sicurezza dei cittadini non poteva essere garantita, considerato il trattamento che il Governo riserva ai tutori della legge e


dell'ordinamento pubblico»;    l'articolo riporta anche una dichiarazione, abbastanza preoccupante, di Enzo Pilò dell'associazione onlus Babele che assiste i profughi secondo cui: «Se dovessero chiudere le frontiere dalla Turchia, dovremo aspettarci un'ondata massiccia di immigrati in Italia. Il problema ci sarà se la questura non dovesse rispettare la legge applicando “respingimenti differiti” per chi non ottiene il diritto di richiesta di asilo (...) la legge prevede che ogni persona abbia diritto (soggettivo) a fare domanda di asilo, invece qualcuno pensa che sia la nazionalità un fattore discriminante per chiedere asilo; in questo modo, persone che arrivano dal Maghreb o dall'Africa Sub-sahariana vengono respinte con un foglio di via e immesse sul territorio senza documenti. Questo ovviamente crea una situazione tale per cui i migranti non avrebbero mai un contratto di lavoro regolare o un regolare contratto di casa e comunque in grave violazione della legge perché essendo un diritto soggettivo, le condizioni devono essere realizzate singolarmente. Le richieste dovrebbero essere valutate caso per caso proprio perché si tratta di un diritto soggettivo. O lasciati liberi sul nostro territorio con un foglio di via che si chiama respingimento differito. L’hotspot potrebbe essere a Taranto un pericolo perché noi avremo il territorio invaso da persone che non hanno la possibilità di regolarizzarsi e vivere in una condizione di riconoscimento del loro

status (...)»;    sempre Pilò avrebbe affermato: «con il respingimento differito si ha l'obbligo di allontanarsi dal territorio italiano entro una settimana dalla frontiera di Fiumicino e non è chiaro come un immigrato che scappa dalla fame e dalla guerra possa arrivare a Fiumicino e poter acquistare un biglietto aereo in poco tempo per


tornare nel proprio Paese. Questa pratica messa in atto dalle questure negli ultimi mesi è una follia.»;    per evitare l'applicazione dei «respingimenti differiti» il capo dipartimento delle libertà civili e dell'immigrazione del Ministero dell'interno, Mario Morcone, avrebbe, secondo quanto riportato dall'articolo, diramato una circolare con cui si avvisano le questure di essere soggette a denunce per tali respingimenti;    un articolo pubblicato il 29 febbraio 2016 dal quotidiano online

www.ilfattoquotidiano.it riporta che tra il 1o gennaio ed il 15 febbraio del 2015 in Italia siano avvenuti 7.800 sbarchi ovvero lo stesso numero registrato nello stesso periodo del 2016 con la differenza che per il 2015 le persone espulse e registrate come clandestine fossero 3.666 mentre nel 2016 risultino essere 5.254;    è parere dell'interrogante che il sistema di accoglienza e identificazione degli hotspot debba essere organizzato seguendo delle strategie che permettano da un lato l'accoglienza ed identificazione degli immigrati e, dall'altra, realizzando sistemi di sorveglianza, il controllo e la sicurezza dei cittadini evitando che i clandestini vadano ad alimentare le file della delinquenza e dei fenomeni di sfruttamento della manodopera, quali il caporalato in agricoltura e nell'edilizia –:    se esistano dei piani di intervento mirati concordati preventivamente con la questura di Taranto in vista dell'apertura dell’hotspot e quale sia la tempistica;    quali strategie intenda adottare per un monitoraggio maggiore e più capillare degli immigrati che non abbiano i requisiti per la richiesta di asilo, a garanzia della sicurezza per cittadini residenti nelle zone interessate;


come intenda attivarsi, presso le sedi europee, per coordinare eventuali azioni comuni in vista dell'aumento degli sbarchi e quali esse siano. (5-08002)

Atto Camera Interrogazione a risposta in commissione 5-07777 presentato da RUBINATO Simonetta testo di Venerdì 12 febbraio 2016, seduta n. 568   RUBINATO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:     in data 6 febbraio 2016, verso le ore 8 del mattino, nel comune di Marcon (Venezia), un uomo di nazionalità nigeriana ha proditoriamente aggredito un'agente donna di polizia locale in servizio di pattugliamento appiedato, dapprima colpendola con un pugno sulla schiena e poi, dopo averla inseguita, sbattendole la testa contro la porta di un bar; fortunatamente l'agente è riuscita ad entrare nel locale dove era presente un giovane uomo che è coraggiosamente intervenuto, riuscendo a bloccare l'aggressore, in attesa dell'arrivo dei carabinieri;     data la violenza dell'aggressione, per l'agente si è reso necessario il ricovero al pronto soccorso di Mestre, dove è stata medicata e dimessa con una decina di giorni di prognosi;     a seguito dell'intervento delle forze dell'ordine l'uomo è stato arrestato dalla stessa polizia locale e identificato in James Osaro, di 37 anni, cittadino nigeriano con precedenti penali per spaccio di droga e violenza contro persone;     come dichiarato al giudice, nel processo per direttissima tenutosi nel pomeriggio del medesimo giorno, il suddetto Osaro aveva


aggredito l'agente per vendicarsi del fatto che una decina di giorni prima la predetta era riuscita a notificargli il provvedimento di rifiuto della domanda di protezione internazionale, emesso dalla Commissione territoriale di Verona il 24 marzo 2015, data di notifica dalla quale decorre il termine di 30 giorni per l'obbligo di lasciare il territorio italiano;     il giudice ha condannato l'uomo alla pena di un anno, nove mesi e dieci giorni di reclusione (atteso lo sconto di un terzo della pena previsto dal rito) rimettendolo tuttavia in libertà, non essendo possibile l'emissione di una misura cautelare;     all'indomani del processo, il nigeriano è così potuto tranquillamente tornare sul luogo del reato, dapprima al bar e quindi a esercitare l'accattonaggio davanti ad un supermercato nei pressi, come fa da un anno a questa parte, fatto che sta destando rabbia, sconcerto ed indignazione tra i cittadini e le stesse autorità locali, con notevole risalto sui media locali e anche sui social network  –:     il Governo sia a conoscenza dell'episodio riportato in premessa e quali iniziative urgenti intenda assumere, anche al fine di apportare modifiche correttive della legislazione in vigore, per assicurare, in questo e altri casi, l'effettività della pena e l'adozione di misure immediatamente efficaci, anche di natura cautelare, da parte dell'autorità giudiziaria, in modo da evitare così che si diffonda un senso di pericolosa impotenza tra i cittadini e le autorità locali e un clima di insicurezza tra gli operatori chiamati a far rispettare la legge. (5-07777)

Atto Camera Interrogazione a risposta scritta 4-12111 presentato da PARENTELA Paolo testo di Martedì 16 febbraio 2016, seduta n. 570   PARENTELA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere –


premesso che:     nel carcere di Rossano (Cosenza) sorge quella che tutti chiamano la «Guantanamo italiana». Qui sono rinchiusi 21 detenuti accusati di terrorismo internazionale, quasi tutti integralisti islamici affiliati ad Al Qaeda, ma c’è anche qualcuno accusato di essere affiliato all'Isis. Dopo aver saputo degli attentati del 13 novembre 2015 a Parigi, gli agenti della polizia penitenziaria hanno sentito quattro di loro esultare e al grido «Viva la Francia libera»;     la struttura, costruita nel 2000, ad oggi, ospita 231 detenuti (a fronte di una capienza di 215) e in passato è finita al centro delle denunce dei reclusi per le condizioni delle celle, le presunte torture e di maltrattamenti;     dal 2009 il dipartimento per l'amministrazione penitenziaria di Roma ha cominciato a concentrare a Rossano i terroristi impegnati nella guerra santa islamica arrestati su tutto il territorio nazionale. Fra loro c’è anche l'ex imam di Zingoia (Bergamo), il pakistano Hafiz Muhammad Zulkifal, arrestato il 24 aprile 2015 con l'accusa di essere il capo spirituale di una presunta cellula di Al Qaeda, con base operativa in Sardegna. Secondo le indagini della direzione distrettuale antimafia di Cagliari, Zulkifal sarebbe anche coinvolto negli attentati di Stoccolma del 2010. Ed era lui il destinatario di una telefonata in cui si parlava della necessità di «pensare al loro Papa». Da qui è passato anche Khalil Jarraya, il 46enne tunisino detto «il colonnello», ex combattente nelle milizie bosniache, ora espulso dopo la condanna per associazione terroristica internazionale. E anche un altro tunisino, Dridi Sabri, condannato per terrorismo internazionale e favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, ora anche lui espulso;     dopo i fatti di Parigi, il carcere ha innalzato i livelli di sicurezza, soprattutto sui visitatori, attivando un pattugliamento armato 24 ore su 24, ma secondo Donato Capece, segretario del sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe), in visita nella sezione speciale del carcere calabrese, «il livello di sicurezza è pari a zero». L'istituto, dice Capece, «è carente e inadeguato. Dunque noi o siamo eroi o siamo ingenui. Il personale che ci lavora è specializzato, ma carente. Ogni giorno in quella sezione speciale dovrebbero esserci quattro agenti di polizia penitenziaria, ma


purtroppo ne abbiamo solo uno e i turni sono estenuanti». «Non capisco», ha aggiunto Capece, «perché i terroristi islamici debbano essere ristretti nel carcere di Rossano, vicino al centro abitato e non in posti isolati»;     i detenuti che all'ingresso nelle carceri italiane si professano musulmani sono oltre 5.700. E negli ultimi dieci anni, in base ai dati del Dap; su 202 istituti censiti, i 52 hanno riservato uno spazio adibito a moschea per la preghiera di gruppo. In nove istituti, invece, è permesso l'ingresso di un imam accreditato dal Ministero dell'interno. Da tempo i sindacati di polizia penitenziaria denunciano la scarsa attenzione al proselitismo delle organizzazioni terroristiche negli istituti di pena. La lingua araba, che i detenuti spesso usano per parlare tra loro, di certo non aiuta e gli agenti chiedono una formazione mirata;     il procuratore della Repubblica di Reggio Calabria ha affermato: «Al momento non emergono collegamenti tra ’ndrangheta e terroristi, ma ritengo che questo sia un campo investigativo da approfondire perché il terrorismo internazionale troverebbe nella ’ndrangheta un alleato particolarmente utile, sia per le coperture dal punto di vista territoriale sia per il tornaconto che la stessa ’ndrangheta potrebbe avere per le forniture di droga e armi»  –:     se non ritenga opportuno che i 21 detenuti accusati di terrorismo internazionale vengano trasferiti dal carcere di Rossano Calabro ad altri istituti penitenziari;     se non intenda assumere iniziative volte a dotare l'istituto penitenziario di Rossano di almeno altri 3 agenti di polizia che conoscano la lingua araba così da innalzare il livello di sicurezza e, al contempo, contrastare l'opera di proselitismo delle organizzazioni criminali all'interno degli istituti di pena. (4-12111)

Atto Camera Interrogazione a risposta scritta 4-12139 presentato da GALATI Giuseppe


testo di Mercoledì 17 febbraio 2016, seduta n. 571   GALATI, PARISI e ABRIGNANI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:     è del dicembre 2015, la tragica notizia del decesso, all'età di 43 anni ed a seguito di grave patologia tumorale, del primo maresciallo incursore dell'Aeronautica militare, Gianluca Danise, veterano di numerose missioni all'estero, tra le quali Kosovo, Albania, Eritrea, Afghanistan, Iraq e Gibuti. Secondo quanto riportato dalla stampa, a seguito dell'attentato di Nassiriya del 12 novembre 2003 e con l'intento di restituire i resti alle famiglie, il giovane militare Gianluca Danise, si impegnò direttamente e senza indugio, nel tragico compito della ricomposizione dei resti dei corpi dilaniati dei colleghi, che perirono in quel tragico attacco;     secondo l'osservatorio permanente e centro studi per il personale delle forze armate, forze di polizia e società civile (denominato brevemente «Osservatorio Militare»), Gianluca Danise sarebbe la 321a vittima dell'esposizione ad uranio impoverito. Il 4 gennaio 2016, si registra un nuovo decesso per cause analoghe. La 322a vittima, tra militari, per malattie da uranio impoverito, è un quarantunenne di Salerno, rientrato 4 anni fa da una missione militare all'estero;     nel maggio del 2015, la corte d'appello di Roma ha decretato la «inequivocabile certezza» del nesso causale tra esposizione ad uranio impoverito e insorgenza di malattie tumorali, riconoscendo il diritto al risarcimento del danno in favore dei familiari di un militare deceduto per cancro, in seguito al servizio ricoperto nella missione internazionale in Kosovo tra il 2002 ed il 2003;     ad oggi, secondo quanto riportato dalla stampa, sarebbero 30 le sentenze a carico del Ministero della difesa, di cui la maggior parte definitive, che danno ragione ai militari ammalatisi o a familiari di militari deceduti;     i profili di responsabilità accertati sarebbero connessi, secondo quanto emerge dalle indagini e dalle inchieste giudiziarie, oltre che dalla documentazione raccolta anche nell'ambito delle inchieste


parlamentari, alla mancata adozione, da parte degli organi dell'amministrazione militare e della difesa, delle necessarie misure precauzionali che avrebbero dovuto far seguito alla emanazione di una informativa, divulgata nel 1999 dall'US Army, rivolta ai vertici militari di tutti i Paesi presenti in missioni nella ex Jugoslavia, recante informazioni chiare e dettagliate sulla pericolosità delle cosiddetto «neoparticelle» di uranio impoverito, con illustrazione delle modalità di prevenzione dei rischi per i militari coinvolti in operazioni su territori soggetti a bombardamento da armi di uranio impoverito;     provvedimenti mai adottati dall'amministrazione militare italiana; una circostanza che determinò l'esposizione dei connazionali militari impegnati all'estero agli effetti deleterei derivanti dalla contaminazione da questo pericoloso materiale, altamente dannoso per la salute in specie se inalato, ingerito o posto a contatto di ferite;     nel caso specifico di Gianluca Danise, secondo quanto riportato dai giornali, la situazione della famiglia risulta ancora più aggravata per la sopravvenienza di una serie di ritardi ed imprecisioni nel calcolo nell'assegno pensionistico da parte dell'Inps. Una situazione ingiusta e assolutamente non conforme a quello spirito democratico della Repubblica, al quale dovrebbe informarsi l'ordinamento delle Forze armate, secondo l'articolo 52 della Costituzione e che, al contempo, impone l'assunzione di specifiche responsabilità in capo alla pubblica amministrazione e delle istituzioni dello Stato per la tutela dei diritti primari dei cittadini ed in particolar modo, per quei cittadini che hanno concorso e contribuito personalmente all'espletamento delle missioni militari italiane all'estero, pagandone il prezzo con la loro vita;     l'interrogante evidenza la necessità di avviare una riflessione effettiva, concreta e coerente, sull'opportunità, al fine di favorire la ricomposizione di una frattura tra cittadini e istituzioni statali che rischia di divenire insanabile, di istituzionalizzare i procedimenti risarcitori in favore dei militari italiani (e delle loro famiglie), vittime di malattie connesse all'esposizione ad uranio impoverito durante le missioni militari all'estero, di introdurre forme e procedimenti legali per il risarcimento in sede amministrativa degli stessi attraverso


adeguate forme di indennizzo, spostando dunque il momento del risarcimento, dalla sede giudiziaria (spesso tortuosa e non sempre praticabile dai familiari delle vittime) a quelle extragiudiziaria e a quelle amministrativa;     un provvedimento di questo tipo, anche attraverso l'istituzione di una apposita commissione ministeriale per la valutazione dei singoli casi e per l'accertamento dei presupposti che darebbero diritto all'indennizzo, a parere dell'interrogante, consentirebbe, in primo luogo, di impedire un ulteriore deterioramento delle condizioni personali e materiali delle persone e delle famiglie coinvolte in queste tragiche e drammatiche vicende, e in secondo luogo, di eliminare una contrapposizione drastica ed insensata, nelle sedi giudiziali, tra cittadini ed istituzioni democratiche dello Stato  –:     se il Ministro del lavoro e delle politiche sociali ritenga, conformemente ai propri poteri di verifica e controllo, di poter assumere iniziative volte a promuovere la giusta determinazione della misura della prestazione previdenziale di reversibilità dovuta alla famiglia del primo maresciallo incursore dell'Aeronautica militare, Gianluca Danise, da poco deceduto per effetto di patologia legata all'esposizione ad uranio impoverito;     se ed in quali termini, il Ministro della difesa ritenga di poter adottare iniziative idonee ad assicurare il riconoscimento di indennizzi in favore dei militari italiani, vittime di patologie connesse all'esposizione ad uranio impoverito in zone di guerra. (4-12139) Atto Senato Interrogazione a risposta orale 3-02581 presentata da VINCENZO SANTANGELO martedì 16 febbraio 2016, seduta n.578 SANTANGELO, MANGILI, CRIMI, BERTOROTTA, PUGLIA, PAGLINI, MARTON, DONNO - Al Ministro dell'interno - Premesso che:


in data 10 febbraio 2016, molti utenti che transitavano sul tratto autostradale A29 Palermo-Mazara, in prossimità di Campobello di Mazara, hanno segnalato l'utilizzo non corretto degli autovelox da parte della Polizia stradale durante le ore notturne; in particolare, la pattuglia si trovava all'interno di un'area di sosta denominata "Fontanelle", con la vettura non segnalata dai lampeggianti accesi e con gli stessi agenti non ben visibili, come sancito dal decreto ministeriale 15 agosto 2007 e dalla circolare 3 agosto 2007 n. 766108 del Ministero dell'interno, in violazione a quanto disposto dal codice della strada, di cui al decreto legislativo n. 285 del 1992; inoltre, il tratto autostradale dove si trovava in servizio la pattuglia è posto su una curva che rendeva impossibile la visibilità necessaria per l'utilizzo della strumentazione atta alla rilevazione della velocità , secondo quanto previsto dall'art. 142 del codice della strada; la Cassazione, Seconda sezione penale, con la sentenza n. 22158 del 23 maggio 2013, ha previsto che può essere perseguito per il reato di truffa chi posiziona l'autovelox in modo tale da essere occultato agli ignari automobilisti. Inoltre, ha ritenuto legittimo il sequestro della strumentazione, nonostante la "regolarità " della stessa; considerato che: l'autovelox deve essere utilizzato sempre a scopo preventivo, come sancito da diverse sentenze, e mai come strumento coercitivo, in quanto l'utilizzo dello stesso in modo differente non è corretto, nÊ da un punto di vista legale nÊ morale, oltre a rappresentare una potenziale causa di incidenti stradali in quanto, se non ben segnalati o occultati, potrebbero indurre gli automobilisti a frenare di colpo (anche se non viaggiano oltre il limite), causando situazioni pericolose, soprattutto con traffico intenso; nello stesso tratto autostradale, a quanto risulta agli interroganti, le pattuglie continuano ad operare da mesi senza adottare i dovuti accorgimenti richiesti dalla normativa;


il giudice di pace di Gallarate, con sentenza n. 101/2014, ha annullato una multa per eccesso di velocitĂ stante, nel caso di specie, la pattuglia non ben visibile dall'automobilista in sosta con i lampeggianti spenti, che avrebbero potuto rendere possibile l'avvistamento; anche la Corte di cassazione ha espresso la sua posizione in materia con l'ordinanza n. 5997 del 14 marzo 2014, rilevando la mancata legittimitĂ delle multe elevate con l'autovelox, qualora la sua presenza non sia adeguatamente segnalata in anticipo e in loco da cartelli stradali o dispositivi luminosi; considerato inoltre che la preventiva segnalazione dei sistemi elettronici costituisce un obbligo di legge specifico per gli organi di polizia stradale, anche a tutela della sicurezza degli utenti della strada. In particolare le postazioni di controllo sulla rete stradale per il rilevamento della velocitĂ devono essere preventivamente segnalate e ben visibili, ricorrendo all'impiego di cartelli o di dispositivi di segnalazione luminosi conformi al regolamento di esecuzione del codice della strada: i segnali stradali e i dispositivi di segnalazione luminosi devono essere installati con adeguato anticipo rispetto al luogo dove viene effettuato il rilevamento della velocitĂ , in modo da garantirne il tempestivo avvistamento in relazione alla velocitĂ locale predominante, si chiede di sapere: se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza dei fatti esposti e se ne condivida l'assoluta rilevanza e gravitĂ ; se intenda adoperarsi, affinchĂŠ vengano poste in essere tutte le azioni utili, nel rispetto della legge e a tutela degli automobilisti vessati da infrazioni rilevate ingiustamente con l'errato utilizzo degli autovelox da parte della Polizia stradale. (3-02581)


Atto Senato Interrogazione a risposta orale 3-02629 presentata da ALDO DI BIAGIO martedì 1 marzo 2016, seduta n.583 DI BIAGIO, TOMASELLI, VALDINOSI, Luigi MARINO, FABBRI, ASTORRE - Ai Ministri dello sviluppo economico, del lavoro e delle politiche sociali e delle infrastrutture e dei trasporti - Premesso che, a quanto risulta agli interroganti: venerdì 19 febbraio 2016, nell'ambito delle operazioni di recupero di un cadavere nelle acque del Brenta, un sommozzatore-ispettore della Polizia di Stato, Rosario Sanarico, è deceduto a seguito di un incidente di cui non sembrano ancora essere note le dinamiche ufficiali; stando a quanto riportato dai media e, in particolare, stando a quanto emerge da un video pubblicato sul sito on line de "Il Gazzettino", che riprende le concitate fasi che precedono il recupero del corpo dell'operatore subacqueo, emergono alcuni dettagli di natura tecnico-operativa, che sollevano alcuni dubbi circa la carenza di garanzie di sicurezza operativa, entro cui si sono svolte le attività degli operatori; infatti, stando a quanto risulta, sembra che il sommozzatore fosse collegato alla superficie da una semplice braga, mentre sarebbe risultata assente la braga telefonica in grado di assicurare una comunicazione a voce con il supporto di superficie; il sommozzatore stand-by, che dovrebbe svolgere attività di monitoraggio delle condizioni di sicurezza, pur restando in superficie, non sarebbe apparso pronto, in termini di equipaggiamento ed attrezzatura, al fine di un'immediata immersione di soccorso al compagno in immersione;


vale la pena, inoltre, segnalare che la prassi, le consuetudini e le procedure di sicurezza richiedono che il sommozzatore stand-by sia vestito ed attrezzato per immergersi immediatamente in caso di problemi relativi al recupero o riemersione in superficie del sommozzatore e che venga previsto l'utilizzo di un sistema di respirazione alimentato dalla superficie (ombelicale) e casco o maschera integrale per il sommozzatore in immersione; la morte del sommozzatore, stando alle notizie di stampa, risulta essere avvenuta per asfissia, per mancanza di gas di respirazione; pertanto, qualora fosse stato nelle sue disponibilità un sistema di respirazione, alimentato dalla superficie, tramite un ombelicale, è verosimile che l'evento avverso non si sarebbe verificato; l'evento descritto sottolinea ancora una volta, e con maggiore forza, l'esigenza di procedere in tempi celeri ad una razionalizzazione dell'intera materia, afferente alla sicurezza, nell'ambito delle attività subacquee ed iperbariche, in riferimento alle quali è stato depositato un disegno di legge (AS 320), recante "Disciplina delle attività subacquee e iperbariche" e attualmente in 10a Commissione permanente (Industria, commercio, turismo) del Senato, in attesa di un parere del Governo, si chiede di sapere: quali iniziative si intendano avviare al fine di colmare la palese e pericolosa lacuna normativa ed organizzativa, attualmente sussistente sul versante delle tutele della sicurezza nell'ambito delle attività subacquee ed iperbariche; se si intenda considerare occasione valida di intervento di rettifica ed approfondimento il provvedimento già oggetto di confronto e analisi presso le competenti Commissioni in Senato. (3-02629)


Atto Camera Interpellanza 2-01300 presentato da VITO Elio testo di Giovedì 3 marzo 2016, seduta n. 582   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:     nell'anno 1990, con l'emanazione della legge 15 dicembre 1990 n.  395, il corpo di polizia penitenziaria, in seguito alla smilitarizzazione assume la nuova attuale denominazione;     nel corpo di polizia penitenziaria confluiscono gli appartenenti e le dotazioni dell'ex corpo degli agenti di custodia comprese le exvigilatrici penitenziarie;     i compiti istituzionali sono descritti nell'articolo 5 della legge 15 dicembre 1990, n.  395, che stabilisce che il corpo di polizia penitenziaria, sia amministrato dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia;     il corpo di polizia penitenziaria svolge compiti di polizia giudiziaria, pubblica sicurezza, gestione delle persone sottoposte a provvedimenti di restrizione o limitazione della libertà personale. Espleta inoltre, attività di polizia stradale ai sensi dell'articolo 12 del codice della strada, partecipa al mantenimento dell'ordine pubblico, svolge attività di polizia giudiziaria e pubblica sicurezza anche al di fuori dell'ambiente penitenziario, al pari delle altre forze di polizia, svolge attività di tutela e scorta di personalità istituzionali (Ministro della giustizia, Sottosegretari di Stato e magistrati) del Ministero della giustizia. Di recente, in quanto forza di polizia a competenza generale, la polizia penitenziaria è entrata a far parte anche della D.I.A. (Direzione Investigativa Antimafia) e dell'Interpol;     in, tale quadro attuale di polizia nazionale, la polizia penitenziaria è stata oggetto di progetti di modifica, ai, fini della sua crescita, in sede di «Stati generali dell'esecuzione penale»,


istituiti con decreto ministeriale 8 maggio 2015 (integrato dal decreto ministeriale 9 giugno 2015) e, in particolare, attraverso, il Tavolo 15. Dalla lettura di tale progetto, pubblicato sul sito ufficiale del Ministero della giustizia con relativi allegati ed integrazioni, si apprende che si tratta di un progetto che pone definitivamente fine al corpo di polizia penitenziaria quale forza di polizia nazionale che ai sensi dell'articolo 55 del codice di procedura penale, dell'articolo 16, comma 2 della legge 121 del 1981 e dell'articolo 19 della legge 183 del 2010 riveste le medesime funzioni di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza delle altre forze di polizia nazionali;     il progetto 2 del tavolo 15 degli Stati generali prevede infatti la soppressione del corpo di polizia penitenziaria e la sua confluenza nel «Corpo di Giustizia dello Stato», unitamente alle altre variegate figure professionali del D.A.P. (educatori ed assistenti sociali). In tal modo viene soppresso un corpo di polizia dello Stato e nasce un calderone onnicomprensivo;     dalla bozza collegata ai lavori del Tavolo 15 si evince la perdita delle funzioni generali di polizia giudiziaria: «L'alta specializzazione e la finalizzazione alle funzioni di giustizia... comporterà, correlativamente una incompatibilità con funzioni ed iniziative di polizia giudiziaria (comportando, tra l'altro, l'immediato scioglie lento del nucleo investigativo centrale e l'uscita della polizia penitenziaria dalla D.I.A.) un divieto assoluto di rapporti non autorizzati con i servizi di sicurezza (ergo l'impossibilità a concorrere all'attività di sicurezza delle altre forze di polizia, a differenza di queste ultime che invece potranno concorrere nell'espletamento delle funzioni del «Corpo di Giustizia»). Residueranno esclusivamente le funzioni di polizia giudiziaria per reati connessi allo svolgimento della funzione, attribuite dal codice di procedura penale e dalle leggi speciali (il che significa l'equiparazione delle funzioni di P.G. della polizia penitenziaria a quelle dell'attuale polizia locale, limitata nell'ambito penitenziario e durante il servizio»;     oltre all'ovvio pregiudizio per lo Stato, che in tal modo si priverebbe di 39.000 unità (donne e uomini) di  polizia penitenziaria, che attualmente, in quanto ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria) garantiscono, a costo zero la sicurezza generale dello Stato anche al di fuori dell'orario di servizio, si ledono i diritti del personale che


d'imperio perderebbe lo status acquisito tramite pubblico concorso;     peraltro il fatto di istituire un unico corpo, in cui far confluire quali ruoli tecnici, le altre figure non di polizia del D.A.P. (assistenti sociali ed educatori), comporterebbe ulteriori anacronistici costi per l'erario dello Stato, rivelandosi come una riforma non solo infondata in diritto ma anche inefficace ed anti economica, in violazione dell'articolo 97 della Costituzione;     pertanto, posta l'opportunità di ampliamento delle funzioni di polizia extra-murarie della polizia penitenziaria nell'ottica di restituire al legittimo detentore della materia della esecuzione penale, non soltanto la totalità delle funzioni collegate all'esecuzione penale stessa, ma anche quelle di sicurezza collegate al Ministero della giustizia (tra queste la vigilanza dei palazzi di giustizia, le scorte a tutti i magistrati ed a tutti i collaboratori di giustizia  –:     si chiede se e quali iniziative il Governo intenda adottare per evitare il pregiudizio per la sicurezza del Paese e per 39.000 donne e uomini del corpo di polizia penitenziaria, posto che l'attuazione del disegno sul «Corpo di Giustizia» comporterà, a giudizio dell'interpellante, fondato ed inevitabile pregiudizio tanto all'uno, quanto agli altri, per le cessate funzioni generali di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza; in tal caso, con quali modalità verrà consentito il transito del personale richiedente di polizia penitenziaria in altre forze di polizia, analogamente a quanto avvenuto in occasione dello scioglimento degli ufficiali del disciolto Corpo degli agenti custodia nel 1990, e, da ultimo, con il Corpo forestale dello Stato, i cui appartenenti hanno ottenuto ex lege, il diritto di transitare in altra forza di polizia nonostante la permanenza delle stesse funzioni. (2-01300) «Vito». Atto Camera Interrogazione a risposta in commissione 5-08048 presentato da PILI Mauro testo di Martedì 8 marzo 2016, seduta n. 585


PILI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:     nella notte del 29 febbraio 2016, quando l'allarme rapina alla Monchi Pol di Sassari è arrivato al 113, l'evento criminoso, come riportano verbali, era ancora in corso ed era in atto una sparatoria tra guardie giurate e malviventi;     la nota girata in questura dal 118, nonostante si fosse a conoscenza che i malviventi fossero dotati di armamento pesante, trovava la totale adesione del personale presente in quell'istante;     i poliziotti in servizio in quel momento si mobilitavano precipitandosi sul luogo dei fatti seppur, passati all'armeria del corpo di guardia, si sarebbero resi conto che non vi erano armi lunghe disponibili e non c'era disponibile nemmeno un giubbotto antiproiettile;     era inoltre assente qualsiasi supporto illuminotecnico (torce elettriche);     una volta arrivati sul posto, gli agenti intervenuti, che non sapevano ancora se all'interno dell'edificio fossero presenti i rapinatori, hanno fatto irruzione al buio, facendosi luce con i propri cellulari;     dai bossoli rinvenuti sul posto e da altro armamento trovato all'interno di un'autovettura in uso ai rapinatori, gli stessi erano in possesso di armi automatiche di grosso calibro, ovvero una dotazione militare a fronte di armi limitate nel numero e datate;     i pochi agenti che avevano il «privilegio» di un'arma lunga erano dotati di PM.12, una mitraglietta Beretta calibro 9 del 1978, (pubblico dettaglio dell'arma con l'anno di produzione) un'arma vecchia di 38 anni per fronteggiare un commando militare datato di ogni genere di armamento;     risulterebbero tutti scaduti anche i giubbotti antiproiettile;     se l'assalto fosse stato di terroristi, se in ballo ci fosse stato un obiettivo sensibile nel cuore della città, il tracollo della sicurezza sarebbe stato di una gravità ancora più inaudita;     le principale dotazioni delle forze dell'ordine in Sardegna risultano del tutto inadeguate e con la garanzia scaduta da tempo;     ad un qualsiasi artigiano che riceve la visita dei controlli per la sicurezza sul lavoro gli vengono elevati verbali su verbali, sino a farlo fallire per un giorno di ritardo nell'adeguamento alla normativa


vigente di un estintore;     lo Stato, invece, che lascia di fatto migliaia di agenti ad operare senza garantirgli strumenti di sicurezza minimi e a norma a giudizio dell'interrogante non interviene e con ciò diventa corresponsabile;     sembrerebbe che nessun soggetto di controllo verifichi le dotazioni di sicurezza del personale delle forze dell'ordine;     tutto questo emerge da un documento interno, con una denuncia puntuale e circostanziata, trasmesso al questore di Sassari, da un'organizzazione sindacale;     si registra secondo l'interrogante un clima da «non bisogna disturbare il manovratore di Roma»;     denunciare questi fatti è un dovere morale e civile;     questa volta non ci sono state vittime ma la rapina poteva finire in un vero e proprio drammatico bagno di sangue;     occorre sollevare il velo su chi vuole coprire questa situazione gravissima e intollerabile, a tutela degli agenti e degli operatori tutti delle forze dell'ordine e dei cittadini  –:     se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti richiamati in premessa;     se sia a conoscenza dell'assenza di armi adeguate a disposizione degli agenti di polizia per fronteggiare situazioni analoghe;     se sia a conoscenza del fatto che l'equipaggiamento delle forze di polizia risulterebbe inadeguato o con garanzia scaduta;     se non ritenga di dover assumere iniziative per garantire la presenza di uomini e mezzi che a giudizio dell'interrogante risultano palesemente insufficienti a garantire la sicurezza necessaria;     se non ritenga di dover valutare con la necessaria urgenza i fatti legati alla rapina al caveau della Mondial Pol di Sassari per comprendere tutte le falle del sistema di protezione e d'intervento;     se non ritenga di dover rafforzare con somma urgenza i presidi territoriali sardi e la stessa rete di intelligence, considerato che la ruspa con la quale è stato aperto il varco nello stabile rapinato di cui in premesse sarebbe stata rubata dall'altra parte della Sardegna e avrebbe attraversato l'intera isola per giungere a Sassari. (5-08048)


Atto Camera Interrogazione a risposta in commissione 5-08088 presentato da PILI Mauro testo di Giovedì 10 marzo 2016, seduta n. 587   PILI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:     la legittima difesa costituisce un atto estremo di un cittadino lasciato solo;     la prevenzione della delinquenza e la tutela dei cittadini rappresentano un elemento imprescindibile di qualsiasi società civile e in questo lo Stato deve svolgere un ruolo decisivo e fondamentale;     i sindacati di polizia in Sardegna hanno denunciato anche nei giorni scorsi una gravissima situazione legata a carenze d'organico e mezzi in tutta l'isola;     l'epilogo gravissimo di questo allarme sicurezza in Sardegna si è registrato nella notte del 29 febbraio 2016 con una rapina alla Mondial Pol di Sassari messa a segno da un commando militare composto da una ventina di malviventi dotati di armi pesanti;     l'allarme è arrivato al 113 quando l'evento criminoso era ancora in corso ed era in atto una sparatoria tra guardie giurate e malviventi;     la nota girata in questura dal 118, nonostante si fosse a conoscenza che i malviventi fossero dotati di armamento pesante, trovava la totale adesione del personale presente in quell'istante;     i poliziotti in servizio in quel momento si mobilitavano precipitandosi sul luogo dei fatti seppur, passati all'armeria del corpo di guardia, si rendevano conto che non vi erano armi lunghe disponibili e non c'era disponibile nemmeno un giubbotto antiproiettile;     sarebbe stato assente qualsiasi supporto illuminotecnico (torce elettriche);     una volta arrivati sul posto gli agenti intervenuti, che non sapevano ancora se all'interno dell'edificio fossero presenti i


rapinatori, avrebbero fatto irruzione al buio, facendosi luce con i propri cellulari;     dai bossoli rinvenuti sul posto e da altro armamento trovato all'interno di un'autovettura in uso ai rapinatori, gli stessi erano in possesso di armi automatiche di grosso calibro ovvero una dotazione militare a fronte di armi limitate nel numero e datate;     i pochi agenti che avevano il «privilegio» di un'arma lunga erano dotati di PM.12, una mitraglietta Beretta calibro 9 del 1978, un'arma vecchia di 38 anni per fronteggiare un commando militare dotato di ogni genere di armamento;     sarebbero risultati tutti scaduti anche i giubbotti antiproiettile;     se l'assalto fosse stato di terroristi, se in ballo ci fosse stato un obiettivo sensibile nel cuore della città, il tracollo della sicurezza pubblica e individuale sarebbe stato di una gravità ancora più inaudita;     le principali dotazioni delle forze dell'ordine in Sardegna risultano del tutto inadeguate e con la garanzia scaduta da tempo;     ad un qualsiasi artigiano che riceve la visita dei controlli per la sicurezza sul lavoro vengono elevati verbali su verbali, sino a farlo fallire per un giorno di ritardo nell'adeguamento di un estintore;     lo Stato, invece, che lascia migliaia di agenti ad operare senza garantire agli stessi strumenti di sicurezza minimi e a norma, non interviene e con ciò diventa corresponsabile di questi misfatti;     nessun soggetto verifica le dotazioni di sicurezza del personale delle forze dell'ordine;     tutto questo emerge da un documento interno, con una denuncia puntuale e circostanziata, trasmesso al questore di Sassari, da un'organizzazione sindacale;     questa volta non ci sono state vittime, ma la rapina poteva finire in un vero e proprio drammatico bagno di sangue;     occorre sollevare il velo pietoso di chi vuole coprire questa situazione gravissima e intollerabile, a tutela degli agenti e degli operatori tutti delle forze dell'ordine e dei cittadini;     tra Sassari e Olbia all'appello manca il 30-35 per cento degli agenti previsti in organico;     un dato di gran lunga superiore alla media nazionale del 13,2


per cento;     gli agenti nel nord Sardegna sono 432, ma dovrebbero essere almeno il 30 per cento in più;     ad Olbia – riporta il quotidiano la Nuova Sardegna – dove è stata scoperta la cellula di Al Qaeda non è stato aggiunto un solo agente in più;     la provincia di Sassari è la quinta provincia d'Italia per estensione, con oltre 90 capimafia dislocati nel carcere di Bancali, ma si registra un'assenza di uomini e mezzi tra le più alte d'Italia;     a Sassari il pronto intervento è garantito da una sola macchina e un organico che in 10 anni è stato quasi dimezzato;     il commissariato di Olbia ha 68 agenti, ma dovrebbero essere almeno 90;     ad Alghero sono 41 e ne mancano all'appello 19;     sono sotto organico anche Ozieri, Tempio e Porto Cervo;     vi sono pochi agenti anche nel Nuorese, che in una recente classifica è stata eletta prima provincia d'Italia per omicidi;     la questura del capoluogo barbaricino dispone di 255 agenti a fronte dei 346 previsti in organico;     sono tutti sotto organico anche i commissariati;     a Gavoi, Lanusei, Macomer, Orgosolo, Ottana e Tortolì mancano tra gli 8 e i 9 agenti;     è gravissima anche la situazione nella questura di Cagliari dove mancano 200 agenti;     a Oristano si dispone di 150 uomini contro i 210 previsti;     la polizia postale, nonostante il recente aumento dei reati informatici, dispone solo di 27 agenti  –:     se non ritenga indispensabile adeguare e garantire la presenza di uomini e mezzi delle forze dell'ordine che risultano palesemente insufficienti a garantire la sicurezza dei cittadini e delle comunità locali;     se non ritenga di dover intervenire, per quanto di competenza, con la necessaria urgenza per fare chiarezza sui fatti legati alla rapina al caveau della Mondial Pol di Sassari per comprendere tutte le falle del sistema di protezione e d'intervento e le carenze dell'intero sistema;     se non intenda rafforzare, con somma urgenza, i presidi


territoriali sardi e la stessa rete di intelligence considerato che la ruspa con la quale è stato aperto il varco nello stabile rapinato è stata rubata dall'altra parte della Sardegna e ha attraversato l'intera isola per giungere a Sassari;     se non ritenga di dover considerare come priorità organizzativa il fattore insulare, considerato che tale limite rende impossibile il supporto operativo di altre unità da altre regioni, e di adeguare le risorse e i mezzi, da quelli aerei abilitati al volo notturno ai reparti speciali dislocati nell'isola. (5-08088) Atto Camera Interrogazione a risposta scritta 4-12414 presentato da MELILLA Gianni testo di Mercoledì 9 marzo 2016, seduta n. 586   MELILLA. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:     dal 1984, anno nel quale è stato siglato il nuovo Concordato tra Stato e Chiesa, manca una revisione dell'intesa sullo status dei cappellani militari;     da trent'anni si va avanti per inerzia, nella passata legislatura i deputati radicali avevano proposto di far passare la spesa per i cappellani militari dal bilancio della Difesa a quello della Chiesa; la proposta era semplice: «Al personale del servizio assistenza spirituale non compete il trattamento economico a carico dello Stato, ovvero del Ministero della difesa»; l'eliminazione del trattamento economico a carico dello Stato per il personale religioso operante nell'ambito delle Forze armate e delle Forze di polizia a ordinariato militare avrebbe prodotto, secondo una stima del 2014, un risparmio di 6,3 milioni di euro l'anno;     il coordinamento con l'Ordinariato militare e il trattamento economico e previdenziale del personale del servizio di assistenza spirituale è assicurato dalla diocesi dell'ambito territoriale del comando militare, in quanto la materia trattata è oggetto di intesa


tra lo Stato italiano e la Conferenza episcopale italiana;     finalmente sembra giunto il tempo di modificare la vecchia intesa sui cappellani militari (figlia dei Patti Lateranensi del 1929); nel 2014 è stato raggiunto un accordo tra il Ministro della difesa e il nuovo ordinario militare, l'arcivescovo monsignor Santo Marcianò, nel quale è stato accettato il principio che i cappellani militari rinuncino ai gradi; inquadrati nelle Forze armate ci sono infatti 173 tra generali, colonnelli, e capitani con la tonaca, ovviamente senza armi, il loro compito, garantito dal Concordato, è fornire «assistenza spirituale» ai militari;     ma questo non vuole dire che non rappresentino un costo per le casse dello Stato, la stima è di una ventina di milioni di euro all'anno;     il cardinale Angelo Bagnasco, per dire, vescovo di Genova e presidente della Conferenza episcopale italiana, essendo stato ordinario militare dal 2003 al 2006, ovvero comandante dei cappellani, fu automaticamente nominato generale di Corpo d'armata (oggi tenente generale), con uno stipendio conseguente al grado ed è andato in pensione con il trattamento commisurato; il cardinale ha dichiarato che non trattiene un euro per sé da quella pensione e di devolvere tutto in beneficenza;     è una legge a regolare la struttura dell'ordinariato militare, che è allo stesso tempo una diocesi della Chiesa e un ufficio dello Stato: il comandante, l'ordinario, assume il grado militare di tenente generale, è assistito da un vicario, che ha il grado di maggiore generale, e da due ispettori, con funzioni di vigilanza, i quali ottengono il grado di brigadiere generale; nei reparti ci sono i primi cappellani capi con il grado di maggiore, i cappellani capi con il grado di capitano e i cappellani addetti con il grado di tenente, ovviamente gli stipendi e poi le pensioni vanno di pari passo con gli avanzamenti;     nel 2013, ad esempio, al Ministero della difesa la cura spirituale dei militari impegnati in missione è costata quasi 17 milioni di euro; questa cifra comprende gli stipendi, le pensioni e il mantenimento degli uffici; solo questi pesano 2 milioni di euro l'anno;     i cappellani in attività sono 134 e i loro stipendi, equiparati a quelli dei generali, ammontano a 6 milioni e 300 mila euro; per quanto riguarda le spese pensionistiche, non essendo chiaro


l'ammontare complessivo delle erogazioni, è possibile unicamente fare una stima approssimativa; in ogni caso l'importo annuo lordo del trattamento pensionistico ordinario dei cappellani dovrebbe ammontare a circa 43 mila euro lordi; considerando che i cappellani che sono andati in pensione negli ultimi 20 anni sono 156, l'importo complessivo è di 6 milioni e 700 mila euro;     c’è di più, i cappellani ricevono stipendi dallo Stato, ma possono maturare la pensione in anticipo rispetto agli altri lavoratori dipendenti e rispetto al militare pari grado e non mancano nemmeno casi di «baby-pensionati»; il prelato, che porta a casa la stessa busta paga di un generale di brigata in congedo, ha diritto a una pensione fino a 4 mila euro al mese; questo nonostante abbia prestato servizio per soli 3 anni, compiuti i 63 anni, età per la quale un generale di brigata è collocato in congedo e ha maturato il vitalizio;     sostenere, a giudizio dell'interrogante, contrariamente alla legge e al diritto, che la disciplina del trattamento economico dei cappellani militari sia tra le questioni tutelate dal Concordato, e quindi indirettamente regolate da norme di rango costituzionale, dimostrerebbe una scarsa conoscenza della materia; infatti, se la Difesa rinunciasse a pagare i ricchi stipendi dei cappellani non inciderebbe in alcun modo sul Concordato perché non modificherebbe alcuna «intesa», che di fatto è inesistente. La riformulazione dell'articolo 17 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n.  66 (servizio di assistenza spirituale) ha confermato che «l'intesa» a cui fanno riferimento le diverse istituzioni semplicemente non esiste  –:     a che punto siano gli accordi avviati tra il Ministero della difesa e l'Ordinariato militare, tenuto conto che già nel 2014 il responsabile dell'Ordinariato militare aveva dichiarato che i cappellani potrebbero anche rinunciare ai gradi, purché sia garantita l'essenza della loro missione pastorale, che è quella di assistere «spiritualmente» gli uomini e le donne che servono lo Stato in armi. (4-12414) Atto Camera


Interrogazione a risposta scritta 4-12451 presentato da ARLOTTI Tiziano testo di Giovedì 10 marzo 2016, seduta n. 587   ARLOTTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:     come più volte rappresentato dall'interrogante in diverse interrogazioni parlamentari e missive, il territorio riminese ha peculiari necessità di ordine pubblico, legate al massiccio numero delle presenze turistiche: le presenze registrate dalla provincia di Rimini nelle sole strutture ricettive (2.200 strutture alberghiere, di cui 1.200 nel solo capoluogo, più 420 strutture extralberghiere) ammontano infatti ad oltre 16.000.000 di presenze annue, con una media mensile di circa 1.300.000 persone, con picchi nei mesi di luglio e agosto sino a 4.500.000/4.700.000 unità;     le presenze solo a Rimini sono di circa il 45 per cento di quelle registrate nell'intera regione Emilia-Romagna, mentre gli arrivi di turisti superano i 3 milioni e trecentomila;     il divario tra il dato numerico della popolazione residente e di quello delle presenze di turisti non sussiste solo durante il periodo estivo, ma anche durante il periodo compreso tra settembre e maggio, a causa del processo di destagionalizzazione dell'offerta turistica riminese, unitamente in ragione della presenza di importanti opere, strutture e manifestazioni (fiera di Rimini, il palacongressi di Rimini, i centri congressi di Riccione, Bellaria e Cattolica, Notte Rosa, MotoGP); il solo calendario 2016 delle manifestazioni fieristiche prevede lo svolgimento di 35 eventi internazionali o nazionali, di cui alcuni di rilevanza mondiale, con la registrazione fino a 150.000 presenze per evento; tali massicce presenze si riverberano evidentemente sulla delittuosità: i dati del Ministero dell'interno sui reati denunciati, riportati dall'annuale rapporto pubblicato dal Sole24Ore (edizione del 7 dicembre 2015), posizionano la provincia di Rimini al secondo posto nella classifica nazionale dei reati denunciati, dopo Milano, con 7.945 reati ogni 100 mila abitanti, in leggero calo rispetto all'anno precedente;     il totale complessivo di reati denunciati a Rimini è di 26.631 e


la provincia risulta in particolare prima per i furti (5.648 su 100 mila abitanti) e per borseggi (1.006);     sullo stesso Sole24Ore si riconosce come Rimini, pur non essendo una grande provincia, «è penalizzata dal fatto di avere una popolazione di appena 335 mila persone che i flussi turistici portano però alle dimensioni di una grande città con le relative conseguenze sul piano del rischio criminalità»;     come confermato anche nel rapporto del presidente della corte d'appello di Bologna, la provincia di Rimini occupa la terza posizione – in Emilia Romagna – per numero di procedimenti penali aperti e la prima posizione per il rischio di infiltrazione di associazioni criminali di stampo mafioso come peraltro confermato nella relazione della Direzione investigativa antimafia presentata nel febbraio 2016;     in relazione a tali fattori di rischio la provincia di Rimini è stata inserita nel progetto «mappatura criminalità organizzata» che consente il censimento delle organizzazioni criminali e dei soggetti ad esse collegati;     la situazione attuale degli organici delle forze di polizia non considera tali peculiarità che caratterizzano la provincia di Rimini e la determinazione della pianta organica – avvenuta nella provincia di Rimini, all'atto dell'istituzione dell'ente con decreto ministeriale del 1996 – è tuttora commisurata al mero dato demografico della popolazione residente e non può ritenersi più congrua e adeguata rispetto alle esigenze operative connesse alle particolarità del territorio;     le istituzioni locali hanno più volte manifestato l'esigenza di avere sul territorio una presenza strutturale di forze dell'ordine adeguata alle peculiarità turistiche e alle reali necessità di prevenzione e contrasto della criminalità piccola e organizzata, dell'abusivismo commerciale, della prostituzione;     la pianta organica della questura di Rimini, risulta infatti al momento priva di 7 appartenenti al ruolo degli assistenti ed agenti anche rispetto all'attuale organico previsto, in ogni caso ritenuto non adeguato al territorio;     attualmente, in organico, non è presente nessun dipendente con qualifica di agente per la mancata assegnazione di personale di nuova nomina, mentre la quasi totalità di personale di tale ruolo riveste la


qualifica di assistenti capo con un'età media di circa 48 anni e con oltre i 20 anni di servizio;     la carenza di personale del ruolo degli assistenti ed agenti crea non poche difficoltà nell'assicurare quotidianamente i numerosi servizi che per tipologia e competenza rientrano nei compiti tipici di quel ruolo (servizi di vigilanza-questura-prefettura-caserma di polizia-Sala C.o.t.-Controllo del territorio e centralino telefonico), anche in considerazione della particolare dislocazione dei vari uffici della questura di Rimini ubicati ancora in diversi stabili, in attesa di una nuova sede;     a ragione di quanto sopra descritto, la questura di Rimini necessita a parere dell'interrogante di almeno ulteriori 3 funzionari del ruolo commissari e di 25 dipendenti da trarre dal ruolo agenti e assistenti; dotazioni organiche permanenti che consentirebbero di potenziare i turni delle volanti, gli uffici della divisione polizia amministrativa sociale e dell'immigrazione, della squadra mobile e della Digos;     ogni anno vengono inoltre definiti gli organici dei rinforzi estivi che vengono inviati sul territorio riminese, con conseguenti oneri aggiuntivi per l'amministrazione: nel 2014 sono state aggregate 60 unità in più (300 contro le 240 del 2013) che hanno di fatto iniziato l'attività dal 6 luglio per terminare all'inizio di settembre; nell'estate 2015 è stato garantito l'invio di altrettante unità fra polizia di Stato, carabinieri, Guardia di finanza e militari dell'operazione «Strade sicure», consentendo importanti azioni di contrasto all'abusivismo commerciale e all'illegalità, anche in collaborazione con i corpi di polizia municipale;     in vista dell'inizio della prossima stagione estiva risulta indispensabile rendere strutturale l'istituzione dei posti estivi di polizia di Riccione e Bellaria-Igea Marina, dal 15 giugno al 15 settembre, con l'invio di adeguato personale al fine intensificare i necessari servizi di prevenzione e controllo del territorio, nonché gli altri servizi istituzionali  –:     se il Ministro interrogato non ritenga necessario rivedere – anche nel contesto dell'attuale riorganizzazione dei presidi sul territorio – gli attuali criteri di determinazione delle dotazioni organiche permanenti della questura di Rimini, rendendoli strutturali


e più rispondenti alle effettive esigenze del territorio riminese, e riclassificando la questura stessa nella categoria superiore a quella in cui risulta inquadrata attualmente;     se intenda valutare, in sede di determinazione dei contingenti da inviare nell'area in questione, per il periodo estivo, le peculiarità della provincia di Rimini, e pertanto di anticiparne l'invio almeno da metà del mese di giugno e stabilirne la presenza fino al 15 settembre 2016. (4-12451) Atto Senato Interrogazione a risposta orale 3-02658 presentata da GIOVANNI ENDRIZZI martedì 8 marzo 2016, seduta n.587 ENDRIZZI, CRIMI, MORRA - Al Presidente del Consiglio dei ministri - Premesso che: in data 16 febbraio 2016 il Sottosegretario di Stato per la difesa, Domenico Rossi, ha risposto all'atto di sindacato ispettivo 3-02349 relativo all'attività di addestramento di milizie nel Corno d'Africa ad opera di militari italiani affermando che non verrebbe svolta, da parte di militari italiani, alcuna attività addestrativa nello Yemen e che non si hanno elementi relativamente all'episodio, citato nell'interrogazione, riguardante l'addestramento di combattenti da parte dell'Italia poi passati tra le fila dell'Isis; desta sorpresa, a parere degli interroganti, il fatto che, a fronte di quanto dichiarato dal rappresentante del Governo, non vi sia stata alcuna smentita o iniziativa da parte del Governo stesso a seguito di quanto riportato dalla trasmissione televisiva "Report" andata in onda in data 15 novembre 2015 (e comunque sin dalla messa in onda dell'anteprima), i cui contenuti rimangono consultabili in rete. Si tratta, peraltro, di dati decisamente preoccupanti, che arrivano a configurare perfino casi di corruzione legati al traffico di


armamenti; la risposta fornita dal Governo a giudizio degli interroganti non consente, peraltro, di inquadrare il fenomeno in un contesto più ampio, ricollegando quanto accaduto, ad esempio, anche agli episodi verificatisi nel teatro siriano e riportati da fonti di stampa, con particolare riferimento a "Blitz quotidiano" del 4 febbraio 2016, dove si riassume un articolo pubblicato su "Libero" lo stesso giorno, in cui Franco Bechis scrive relativamente all'addestramento di miliziani siriani in 2 campi (uno al confine con la Giordania e l'altro al confine con la Turchia) in cui «Agenti segreti italiani hanno infatti dall'inizio del 2013 fornito informazioni militari, addestrato alla guerriglia e istruito sulle informazioni di intelligence in quel momento a disposizione decine di miliziani quasi tutti nativi siriani, e alcuni iracheni», e prosegue dicendo che «l'operazione è finita malissimo: praticamente tutti gli addestrati sono divenuti combattenti dell'Isis nei mesi successivi o sono stati arruolati da organizzazioni terroristiche locali»; rivela inoltre che fra gli 86 dirigenti, capi reparto e responsabili di zona dell'AISE (Agenzia informazioni e sicurezza esterna) rimossi e spostati ad altro incarico nel «maxi-ribaltone firmato dal direttore (...), Alberto Manenti», ci sarebbe anche il responsabile della citata fallimentare operazione di intelligence, si chiede di sapere: se il Governo abbia inteso o intenda smentire pubblicamente e/o adottare le opportune iniziative a seguito di quanto riportato dalla trasmissione televisiva; se corrispondano al vero gli ulteriori fatti riportati da "Libero"; quali siano gli elementi di valutazione che portano alla determinazione della scelta di realizzare programmi di addestramento a favore di forze militari o di polizia nell'ambito di Paesi terzi, con particolare riferimento a quelli in contesti geopolitici caratterizzati da forte


instabilitĂ ; se le attivitĂ di addestramento di combattenti si siano svolte a seguito di accordi multilaterali o sotto l'egida di organizzazioni internazionali o se, al contrario, si siano svolte sulla base di accordi bilaterali tra l'Italia e i suddetti Paesi. (3-02658)

Proposta di legge: TONINELLI ed altri: "Modifiche alla legge 25 maggio 1970, n. 352, in materia di svolgimento contemporaneo di referendum promossi ai sensi degli articoli 75 e 138 della Costituzione" (3574) http://issuu.com/laboratoriopoliziademocratica/docs/17 pdl0039340

Proposta di legge: LIBRANDI: "Misure per il distacco del personale delle Forze di polizia presso gli uffici giudiziari e gli uffici amministrativi del Corpo di appartenenza" (3288) http://issuu.com/laboratoriopoliziademocratica/docs/1_ 9dd7f7dc1653b0


Proposta di legge: GREGORIO FONTANA ed altri: "Modifiche all'articolo 11 del decreto-legge 21 marzo 1978, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 maggio 1978, n. 191, concernenti la durata del fermo per l'accertamento dell'identitĂ personale da parte degli organi di pubblica sicurezza" (3443) http://issuu.com/laboratoriopoliziademocratica/docs/34 43

GRECO: "Delega al Governo per l'equiparazione tra i corpi di polizia locale e le Forze di polizia dello Stato e per il loro inquadramento nel comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico" (3396) 27 novembre 2015 - Assegnato in sede Referente alla Commissione I Affari Costituzionali http://issuu.com/laboratoriopoliziademocratica/docs/33 96


Atto Camera

Interrogazione a risposta in commissione 5-08115 presentato da CAROCCI Mara testo di Martedì 15 marzo 2016, seduta n. 590

CAROCCI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:     in data 3 febbraio 2016 è stata inviata alle scuole la nota del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca prot. n.  674 e tutta la documentazione allegata riguardante i viaggi di istruzione e le visite guidate;     in tal senso, se da una parte appare positivo, nell'ambito delle iniziative dirette ad accrescere i livelli di sicurezza stradale, il coinvolgimento del personale della polizia stradale nell'organizzazione delle visite di istruzione, al fine di rendere più sicuro il trasporto scolastico in occasione della partecipazione degli studenti ai viaggi di istruzione, dall'altra appare eccessiva l'assegnazione dei compiti di controllo e sicurezza assegnati agli insegnanti;     infatti, essi sono chiamati a controlli sullo stato di usura dei pneumatici, dell'efficienza dei dispositivi visivi e di illuminazione, della presenza dell'estintore e dei dischi con l'indicazione delle velocità massime poste sul retro del mezzo;     sono anche chiamati a valutare l'idoneità del conducente, i documenti di viaggio e la sua condotta durante il tragitto;


sembra evidente che la circolare imponga ai docenti accompagnatori eccessive verifiche sui mezzi noleggiati e sul conducente;     prima dell'invio di questa circolare, il dirigente scolastico già doveva recepire tutta la documentazione sulla regolarità delle imprese di trasporto attraverso la stipula del contratto con l'azienda di trasporto;     in tal senso, erano stati chiaramente predisposti strumenti al fine di rendere sicuro il trasporto scolastico in occasione dei viaggi di istruzione;     dunque, pur comprendendo l'allarme suscitato dai gravi fatti accaduti nel passato sembra esorbitante rispetto ai compiti propri l'assegnazione ai docenti di controlli così specifici che li chiamano ad un'eccessiva responsabilità;     inoltre, come segnalato dalla Confindustria Liguria, tale circolare non solo trascura i ripetuti controlli a cui i mezzi delle aziende sono sottoposti nel corso dell'anno, ma che determina anche forti contraccolpi economici sul settore;     infatti, a poco più di un mese dall'entrata in vigore, la circolare ha già avuto i suoi effetti negativi: sono già molte le prenotazioni per le gite scolastiche a essere state disdette;     in tal senso, questa norma potrebbe davvero mettere a rischio posti di lavoro e danneggiare le piccole imprese di noleggio e di trasporto producendo effetti negativi sull'indotto recettivo;     nella sola Liguria si contano circa 200 microimprese di noleggio e trasporto passeggeri: 120 in provincia di Genova, 25 a Imperia, 23 alla Spezia e 31 nel savonese;     tale scelta potrebbe così vanificare quei pochi elementi positivi


contenuti nella stessa circolare: l'importanza delle garanzie di sicurezza e di responsabilità nella scelta dell'impresa da parte della scuola, un aiuto contro abusivismo e concorrenza sleale  –:     se non si ritenga opportuno chiarire meglio le responsabilità dei docenti;     se abbia valutato gli effetti negativi che tale circolare potrebbe avere sull'indotto ricettivo. (5-08115)

Atto Senato

Interrogazione a risposta scritta 4-05460 presentata da DONATELLA ALBANO martedì 15 marzo 2016, seduta n.592

ALBANO, Stefano ESPOSITO, DIRINDIN, PUPPATO, D'ADDA - Al Ministro dell'interno - Premesso che le funzioni specialistiche della Polizia postale rappresentano un unicum irrinunciabile tra le diverse forze di polizia esistenti, specialmente se si osserva l'incremento del ricorso alla comunicazione informatica da parte della criminalità, sia nazionale che internazionale, con particolare riferimento a quella di stampo terroristico;

considerato che:

la legge delega n. 124 del 2015, in tema di riorganizzazione delle


amministrazioni pubbliche, prescrive di evitare duplicazioni nelle funzioni e nei compiti tra le diverse forze di polizia;

le caratteristiche della Polizia postale e delle comunicazioni, come detto, rappresentano un unicum rispetto agli altri Corpi;

il piano di riordino delle forze di polizia non è ancora stato definito e presentato alle Camere, essendo al momento apparse solo alcune notizie di stampa, ed alcuni comunicati sul sito del Governo, in materia di assorbimento del Corpo forestale nell'Arma dei Carabinieri;

il decreto-legge n. 7 del 2015, recante misure urgenti per il contrasto del terrorismo, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 43 del 2015, prevede un utilizzo intensivo e di primo piano della Polizia postale;

rilevato che:

da circa 3 anni si assiste ad una riorganizzazione che di fatto svuota alcuni uffici territoriali tramite l'agevolazione di domande di trasferimento del personale in uscita, senza disporre il conseguente ingresso in sostituzione da parte di altre sedi o di nuovo personale, compromettendo nei fatti la funzionalitĂ degli uffici periferici, con conseguente mancato rispetto dell'aliquota di normale reintegro del personale in quiescenza;


non è avvenuta l'assegnazione alle sezioni della Polizia postale del personale che ha superato il concorso da vice sovrintendente, trasferito d'ufficio nelle Questure dove è impiegato in ordinari compiti istituzionali non investigativi, come servizi di volante, vigilanza o altra natura di carattere generico;

Poste italiane SpA ha rinnovato la convenzione con il Dipartimento della pubblica sicurezza, e ne supporta pertanto i costi delle strutture, mezzi e materiali; costi pertanto non a carico del Ministero,

si chiede di sapere:

quando verrĂ presentato ufficialmente il piano di riorganizzazione della Polizia postale;

se il Ministro in indirizzo non ritenga opportuno procedere ad un potenziamento di questo Corpo, le cui funzioni e competenze risultano indispensabili nell'efficace contrasto del crimine, in particolar modo per quello di stampo internazionale e terroristico;

se non ritenga necessario, al fine di mantenere la piena operativitĂ del corpo, mantenere le sedi territoriali, al fine di svolgere al meglio un monitoraggio efficace.

(4-05460)


Atto Camera

Interrogazione a risposta scritta 4-12516 presentato da D'INCÀ Federico testo di Martedì 15 marzo 2016, seduta n. 590

D'INCÀ e BRUGNEROTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:     l'intera organizzazione delle forze dell'ordine italiane è divisa in 5 corpi di polizia (che diventeranno quattro nel 2017), ciascuno con le proprie competenze e dipendente da un diverso Ministero, con un totale di 310 mila dipendenti tra poliziotti ordinari e penitenziari, carabinieri, finanzieri e forestali e dal costo complessivo di circa 20 miliardi di euro l'anno per le casse dello Stato;     la Polizia di Stato fa riferimento al dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno. Rappresenta l'autorità nazionale di sicurezza e vigila quindi sul mantenimento dell'ordine pubblico, che si articola in varie mansioni, dalla prevenzione dei crimini al pattugliamento delle strade. L'organico complessivo supera le 100 mila unità: 930 dirigenti, 1.980 commissari, 1.300 vice-commissari e questori, 23.600 ispettori, 20.000 sovrintendenti e 59.600 agenti, più gli addetti tecnici e scientifici (si veda al proposito un articolo de La Stampa del 05 settembre 2014);     in ballo c’è la pubblica sicurezza, in un momento in cui


l'emergenza migranti mette a dura prova le forze dell'ordine, sia per la gestione dei flussi che per garantire la sicurezza, per non parlare dell'allerta terrorismo. In un momento di crisi economica ed occupazionale stanno inoltre aumentando anche i fenomeni di microcriminalità, come furti in abitazioni e truffe, le cui vittime spesso sono anziane;     negli ultimi anni il Governo ha progressivamente ridotto le risorse per la polizia di stato, che ora si trova in una carenza cronica di uomini e mezzi adeguati; in alcuni casi) mancano persino le risorse per mettere benzina alle auto e per sostituire le uniformi usurate;     la situazione per le forze dell'ordine ormai è critica, ma a nulla sono servite le proteste ed i comunicati stampa dei sindacati di polizia, puntualmente ignorati dal Governo. Ultimamente, gli stessi agenti hanno messo in atto anche forme di protesta più eclatanti, per far emergere il problema all'opinione pubblica, rischiando sospensioni e addirittura indagini: un poliziotto che ha denunciato i tagli alla pubblica sicurezza è stato sospeso e lasciato con metà stipendio. L'ispettore Gianni Tonelli dopo 43 giorni di sciopero della fame davanti a Montecitorio, per denunciare la situazione in cui sono costrette a lavorare le forze dell'ordine, è indagato dalla Procura di Roma per «concorso in interruzione di pubblico servizio e abbandono del posto di servizio» nonché per la pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose atte a turbare l'ordine pubblico, in qualità di concorrente morale, promotore e organizzatore;     dopo il malore del segretario generale Tonelli, anche il sindacato provinciale Sap di Belluno ha deciso di partecipare allo sciopero della fame davanti a Montecitorio, per proseguire la sua azione e portare all'attenzione anche i problemi di Belluno,


puntualmente ignorati nonostante le denunce: giubbotti antiproiettile in uso ma scaduti (datati 2005, hanno protezione balistica per dieci anni); le fodere contenitrici che hanno validità 24 mesi, mai cambiate; manca la dotazione individuale di caschi, obsoleti e indossati ogni volta da colleghi diversi e quindi senza il rispetto delle minime condizioni igienico sanitarie; le divise sono insufficienti e talune inadatte a contesti operativi; il personale è sottodimensionato e con una età media intorno ai 50 anni;     la segreteria Sap di Belluno denuncia che, nonostante le esigenze di contrasto alla microcriminalità e alla malavita presenti nel bellunese, non «si riesce a organizzare più di una volante per turno e il Dipartimento continua a non inviare nuovi uomini». Mancano inoltre i fondi per quasi tutto: le lezioni di aggiornamento professionale non sono all'altezza, le munizioni per le esercitazioni in poligono sono difettose e pericolose, le pulizie delle strutture sono pressoché inesistenti;     rispetto all'organico previsto dal decreto ministeriale, la situazione nel bellunese al 31 dicembre 2015 è la seguente, come risulta da un comunicato del segretario provinciale del sindacato di polizia del Siulp;     la questura, con sede in Belluno che espleta le funzioni di autorità provinciale di polizia di Stato (ordine e sicurezza pubblica, soccorso pubblico, polizia giudiziaria, polizia amministrativa e sociale – curando le pratiche relative a passaporti, licenze di P.S., gestione immigrati ecc., Polizia Scientifica, ecc.) risulta sottodimensionata di 27 unità;     il commissariato di polizia di Stato di Cortina d'Ampezzo (che dipende dalla questura) che assolve funzioni di autorità locale di polizia di Stato per la conca ampezzana, risulta sottodimensionata di


7 unità;     la sezione polizia stradale di Belluno che assolve funzioni specialistiche per la sicurezza del sistema viario per l'intera provincia curando la gestione dei sinistri stradali, e coordina i distaccamenti che hanno prevalenti competenze sulle giurisdizioni loro assegnate, ha un organico complessivo di 25 unità; i distaccamenti della polizia stradale di Feltre e della Valle di Cadore sono sottodimensionati di 9 unità ciascuno (organico previsto di 25 unità per distaccamento);     la situazione più esposta è quella della questura dove, anche a causa di aggregazioni verso altre sedi, per gli impegni estemporanei ma anche prolungati quali i servizi di sicurezza e soccorso nei comprensori sciistici che impegnano 4-5 dipendenti per circa 5 mesi all'anno, piuttosto che i servizi di scorta e tutela personalità ecc., si fatica a garantire il servizio di copertura sulle 24 ore delle volanti; difficile è la condizione in cui versa l'ufficio immigrazione, difficoltà si registrano nella trattazione delle pratiche di polizia giudiziaria, amministrativa e altro;     il commissariato di polizia di Stato di Cortina d'Ampezzo riesce a malapena a garantire 6 ore di volante al giorno;     per la polizia stradale i numeri dimostrano eloquentemente i deficit in termini di vigilanza stradale sul fragile sistema viario provinciale notoriamente interessato da interruzioni, frane, smottamenti, deviazioni di traffico e altro;     ad esasperare ulteriormente il già precario bilancio vi è la prospettiva a breve termine di ulteriori ed imminenti esodi pensionistici che condanneranno definitivamente le strutture ad un inesorabile declino difficilmente recuperabile  –:     come intenda affrontare il problema della pubblica sicurezza sul


territorio italiano, soprattutto in un momento cui le tensioni sociali, dovute alla crisi economica ed occupazionale generale vanno a sommarsi all'emergenza migranti e all'allerta terrorismo;     se intenda assumere iniziative per una ridefinizione della spending review per quanto riguarda gli attuali incerti standard di sicurezza pubblica, che hanno visto una perdita di quasi 6000 operatori negli anni 2012-2016, da sommarsi alla carenza di organico di 15 mila poliziotti, come denunciato dal sindacato Ugl;     quali iniziative intenda assumere e quando, per risolvere la situazione critica di Belluno, recentemente denunciata dai sindacati di polizia Sap e Siulp provinciali. (4-12516)


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