Lavoro all’estero obblighi, responsabilità e novità normative

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Previa liberatoria del diretto interessato, riceviamo e pubblichiamo

Lavoro all’estero: obblighi, responsabilità e novità normative; Premessa Per lavoro all’estero intendo sia le attività lavorative delle imprese italiane all’estero, fuori dall’Italia, sia le attività delle imprese straniere in Italia. L’espansione dei mercati e la progressiva internazionalizzazione delle aziende determinano l'esigenza di inviare sempre più spesso lavoratori all’estero e di gestire le tematiche di sicurezza legate alle fattispecie contrattuali più diffuse, che sono: - la trasferta/missione all'estero; - il distacco internazionale; - l'appalto presso committente estero. [La gestione della tutela della salute per i lavoratori all’estero — Assolombarda 2013] 1. Aspetti generali Ai sensi della Convenzione di Roma del 19 giugno 1980 (art. 6) in materia di legge applicabile alle obbligazioni contrattuali «la scelta della legge applicabile ad opera delle parti non vale a privare il lavoratore della protezione assicuratagli dalle ‘norme imperative’ della legge che regolerebbe il contratto, in mancanza di scelta» e parimenti il Regolamento CE n. 593/2008 (art. 8) prevede che «tale scelta non vale a privare il lavoratore della protezione assicuratagli dalle disposizioni alle quali non è permesso derogare convenzionalmente in virtù della legge che, in mancanza di scelta, sarebbe stata applicabile». L'articolo 6 del codice penale poi così dispone: “il reato si considera commesso nel territorio dello Stato, cioè in Italia, quando l'azione o l'omissione che lo costituisce è ivi avvenuta in tutto o in parte, ovvero si è verificato l'evento che è la conseguenza dell'azione o dell'omissione”; prendendo ad esempio i reati con evento infortunistico (lesioni o omicidio con violazione della normativa antinfortunistica, artt. 590 e 589 c.p.), ciò significa che si considera commesso nel territorio dello Stato non soltanto il reato di omicidio colposo o lesioni personali quando il lavoratore si infortuna nello Stato italiano, ma anche, in caso di evento all'estero, il reato che derivi causalmente da una azione o omissione che è avvenuta in tutto o in parte nel territorio dello Stato (si pensi, ad esempio, ad una incompleta valutazione dei rischi o, ancora, ad una omessa formazione, o una carente sorveglianza sanitaria, o l’omessa fornitura di idoneidispositivi di protezione individuale ecc.). In tal senso la giurisprudenza di legittimità laddove, Cass. Pen., 17 Ottobre 2014, n. 43480, evidenzia – in un caso di morte di un lavoratore inviato dal datore di lavoro all’estero – che è “corretta l'affermazione della giurisdizione italiana e l'individuazione del giudice competente per territorio, trattandosi di delitto comune (infortunio sul lavoro) astrattamente ascrivibile a un cittadino italiano, ossia al datore di lavoro, commesso all'estero e come tale punibile, ai sensi dell'art. 9 c.p., comma 2, su istanza della persona offesa, nella specie sussistente essendo stata avanzata querela denuncia dal prossimo congiunto della vittima”. Differenza sostanziale rispetto al reato-delitto avvenuto in Italia è che l’istanza della persona offesa è assolutamente necessaria come condizione di procedibilità anche nel caso di reati che in Italia sarebbero perseguibili d’ufficio. 2. Obbligo generale del datore di lavoro di adottare misure procedure di tutela del lavoratore inviato all’estero La giurisprudenza della Suprema Corte, Cass. pen., sez. IV, 5 Febbraio 2014, n. 2626, sottolinea che “seppure è vero che l'art. 2087 c.c. non introduce una responsabilità oggettiva del datore di lavoro, è


altrettanto vero che, per la sua natura di norma di chiusura del sistema di sicurezza, esso obbliga il datore di lavoro non solo al rispetto delle particolari misure imposte da leggi e regolamenti in materia anti infortunistica, ma anche all'adozione di tutte le altre misure che risultino, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, necessarie a tutelare l'integrità fisica dei lavoratore, salvi i casi di comportamenti o atti abnormi ed imprevedibili del lavoratore medesimo, ma non di colpa di quest'ultimo. In sostanza le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l'insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso, con la conseguenza che il datore di lavoro è sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente (…)”. 3. Verifica della idoneità tecnico-professionale in termini di sicurezza dell’azienda straniera La Suprema Corte (Cass. pen., sez. IV, 27 Agosto 2014, n. 36268) si è soffermata sul caso di un infortunio occorso ad un lavoratore di una ditta straniera (per la precisione, di nazionalità croata) in un cantiere italiano, evidenziando come rispetto alla impresa straniera: “…l'imputato avesse omesso di esaminare la documentazione relativa alla sicurezza del lavoro dell'impresa appaltatrice e non avesse esercitato controlli e verifiche…” in ordine alla capacità tecnico-professionale dell’azienda straniera ad operare “in sicurezza”, come richiesto dalla normativa italiana (articolo 26 e Titolo IV del d.lgs. n. 81/2008). In particolare, secondo la Corte di Cassazione, anche nei riguardi di una impresa non italiana “la posizione di garanzia del datore di lavoro in merito alla scelta dell’impresa appaltatrice trova la sua ragion d'essere nella finalità di evitare che, attraverso la stipula di un contratto di appalto, vengano affidate all'appaltatore lavorazioni o mansioni che il singolo lavoratore non sia in grado di svolgere, con incremento del rischio per la sua sicurezza. (…) Si può, dunque, desumere dalla norma in esame una precisa regola di diligenza e prudenza che il committente dei lavori dati in appalto è tenuto a seguire e, in particolare, l'obbligo di accertarsi che la persona alla quale affida l'incarico sia, non solo munita dei titoli di idoneità prescritti dalla legge, come si evince dal riferimento, comunque non esclusivo, al certificato della Camera di Commercio, ma anche della capacità tecnica e professionale proporzionata al tipo di attività che deve esserle commissionata e alle concrete modalità di espletamento della stessa. In altre parole, tale norma svolge funzione integrativa del precetto penale che sanziona il reato di lesioni colpose ponendo a carico del committente l'obbligo di garantire che anche l'impresa appaltatrice che svolge attività nella sua azienda si attenga a misure di prevenzione della cui inosservanza lo stesso committente sarà chiamato a rispondere”. 4. Il lavoro all’estero dopo il decreto Semplificazioni Il D.Lgs. n.151/15, all’art.18 [che modifica il decreto-legge 31 luglio 1987, n. 317, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 ottobre 1987, n. 398, abrogando l'articolo 1, comma 4, e 2-bis, sostituendo l'articolo 2], ha introdotto nuove disposizioni in materia di lavoro all’estero. Sono abrogate l’autorizzazione per l’assunzione o il trasferimento all’estero di lavoratori italiani e le relative sanzioni. I lavoratori italiani disponibili a svolgere attività all’estero non devono più iscriversi nell’apposita lista di collocamento tenuta dall’ufficio regionale del lavoro che rilasciava il nulla osta all’assunzione (la disposizione della Legge n. 398 del 1987). Ai sensi del D.Lgs. n.151/15, art.18, il contratto di lavoro dei lavoratori italiani da impiegare o trasferire all’estero deve prevedere: - un trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a quello previsto dai Ccnl stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative per la categoria di appartenenza del lavoratore e, distintamente, l’entità delle prestazioni in denaro o in natura connesse con lo svolgimento all’estero del rapporto di lavoro; - la possibilità per i lavoratori di ottenere il trasferimento in Italia della quota di valuta trasferibile


delle retribuzioni corrisposte all’estero, fermo restando il rispetto delle norme valutarie italiane e del Paese d’impiego; - un’assicurazione per ogni viaggio di andata nel luogo di destinazione e di rientro dal luogo stesso, per i casi di morte o di invalidità permanente; - il tipo di sistemazione logistica; - idonee misure in materia di sicurezza. Pertanto, se da un lato l'esercizio delle facoltà datoriali di inviare lavoratori all’estero non è più sottoposto alla preventiva autorizzazione ministeriale, dall'altro sono introdotti particolari oneri per ciò che concerne il contenuto del relativo contratto di lavoro. In questo nuovo contesto normativo, la presenza di tali garanzie verrebbe garantita sul piano contrattuale e non più rimessa per l'accertamento all'organo amministrativo con evidente beneficio a vantaggio degli operatori. Come chiarito con nota n. 20578 del 30 settembre 2015 dalla Direzione Generale per le politiche attive, i servizi per il lavoro e la formazione, del Ministero del Lavoro, la novità si estende alle istanze presentate prima dell'entrata in vigore del Decreto legislativo già in corso di istruttoria. 5. Le responsabilità prevenzionistica della tutela Per quanto riguarda la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori distaccati la materia è regolata dall’art. 3 comma 6 del D. Lgs. 9/4/2008 n. 81, contenente il Testo Unico in materia di salute e di sicurezza sul lavoro, il quale prevede che “nell’ipotesi di distacco del lavoratore di cui all’articolo 30 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, tuttigli obblighi di prevenzione e protezione sono a carico del distaccatario, fatto salvo l’obbligo a carico del distaccante di informare e formare il lavoratore sui rischi tipici generalmente connessi allo svolgimento delle mansioni per le quali egli viene distaccato”. Secondo l’art. 30 di tale decreto legislativo, infatti, si configura un distacco quando “un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa”. Quando “nessun interesse” è ravvisabile per il distaccante, il distacco è del tutto improponibile ed illegittimo. Si è in tale tipo di rapporto di lavoro in presenza sostanzialmente di lavoratori che hanno in pratica due datori di lavoro, uno che li distacca, che deve però avere un suo interesse proprio al distacco in mancanza del quale il distacco è illegittimo, ed uno che li utilizza, il cui interesse è normativamente irrilevante ed ininfluente. Solitamente il distacco è legalmente utilizzabile quasi solo nel caso di aziende collegate societariamente, negli altri casi è assai facile riscontrare una violazione del divieto di interposizione nella cessione di manodopera, appalto illecito di manodopera, eludendo le normative sulla somministrazione di lavoro. Tutto ciò è confermato dalla Suprema Corte: “la costante giurisprudenza di questa Corte richiede, ai fini della legittimità del distacco, che sussista uno specifico interesse del datore di lavoro [che non può essere la mera remunerazione dell’ “affitto” di manodopera n.d.r] che consenta di qualificare il distacco come atto organizzativo dell'impresa che lo dispone, così determinando una mera modifica delle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, in una col carattere essenzialmente temporaneo del distacco (Cass., Sez. L. n. 9694/2009, RV. 608185). La Cassazione Penale, Sez. 4, 16 aprile 2015, n. 15696, ha ribadito gli obblighi connessi alla sicurezza sul luogo di lavoro in caso di distacco. Come riferito l’art. 30 del D.Lgs. 276/03 stabilisce che il distacco si ha quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro


soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa. Affinché il distacco sia lecito è necessario che il datore di lavoro distaccante rimanga direttamente responsabile del trattamento retributivo, contributivo e assicurativo a favore del lavoratore ed eventualmente, ai sensi dell’art. 2049 c.c., anche degli atti illeciti che quest’ultimo possa eventualmente compiere. Il distacco lecito si configura dunque quando l’invio del lavoratore avvenga al fine di fargli svolgere una specifica attività, non potendosi trattare di una generica messa a disposizione di manodopera per lo svolgimento di qualsiasi attività. Per “interesse del datore” è bene poi sottolineare che il Legislatore intende una motivazione di ordine tecnico, organizzativo, produttivo. Non può dunque trattarsi di un distacco per mero scopo lucrativo, in quanto rientrerebbe nell’ambito di un’attività di somministrazione professionale di lavoro riservata per legge a specifiche agenzie e società autorizzate dallo stato con provvedimento ministeriale e che se svolta da soggetti non abilitati è punita con sanzioni amministrative. Inoltre il requisito della temporaneità è da intendersi nel senso che il distacco non può avere il carattere della definitività, e non che debba necessariamente essere breve. In materia di sicurezza sul lavoro si applica l’art. 3 del D.Lgs. 81/08 (Testo unico delle norma di legge in tema di sicurezza e igiene del lavoro), che nel suo sesto comma si occupa di disciplinare la ripartizione degli obblighi prevenzionali, prevedendo che nell’ipotesi di distacco del lavoratore, tutti gli obblighi di prevenzione e protezione sono a carico del distaccatario, fatto salvo l’obbligo a carico del distaccante di informare e formare il lavoratore sui rischi tipici generalmente connessi allo svolgimento delle mansioni per le quali egli viene distaccato. La Cassazione Penale ha respinto il ricorso, confermandone la condanna, di un datore di lavoro per il decesso per infortunio di un proprio dipendente, per avere consentito allo stesso di svolgere la propria attività presso altra ditta ma senza avere proceduto ad una previa, adeguata valutazione dei rischi connessi a tale attività. Quando il Datore di lavoro distaccante, previa verifica e valutazione dei rischi, dovesse riscontrare condizioni di lavoro pericolose ha l’obbligo giuridico di impedire il distacco stesso del proprio lavoratore. La sentenza citata (Cassazione Penale, Sez. 4, 15 aprile 2015, n. 15696) ha in conclusione così deciso: “in caso di distacco di un lavoratore da un'impresa ad un'altra, per effetto della modifica normativa introdotta dall'art. 3, comma sesto, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, sono a carico del distaccatario tutti gli obblighi di prevenzione e protezione, fatta eccezione per l'obbligo di informare e formare il lavoratore sui rischi tipici generalmente connessi allo svolgimento delle mansioni per le quali questo viene distaccato, che restano a carico del datore di lavoro distaccante (v. da ultimo, Sezione IV, 19 aprile 2013, Farinotti ed altro, rv. 256397). Il datore di lavoro, infatti, in termini generali, è corresponsabile qualora l'evento si colleghi casualmente anche alla sua colposa omissione e ciò avviene, ad esempio, quando abbia consentito l'inizio dei lavori in presenza di situazioni di fatto pericolose, come nel caso in esame, in cui non erano presenti nel luogo di lavoro attrezzature idonee per l'esecuzione dei lavori l'omessa adozione delle misure di prevenzione prescritte sia immediatamente percepibile. In tal senso, i giudici di merito hanno evidenziato che l'imputato era venuto meno all'obbligo di valutazione del rischio specifico connesso all' opera di manutenzione ordinaria da eseguirsi presso la ditta R. srl, aggiuntiva rispetto ad altri lavori che erano stati oggetto di uno specifico contratto di appalto ed erano già stati conclusi, consistente nel rabbocco dell'olio di un motoriduttore presso la citata ditta. Il C.G. aveva violato i propri doveri di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori, inviando gli operai presso la R. s.r.l., senza fornire loro dettagliate informazioni sui rischi specifici e senza collaborare nell'attuazione delle misure di prevenzione e protezione del lavoratore dal rischio di incidenti connessi alla esecuzione della nuova e diversa prestazione. Né potrebbe valere nel caso concreto in esame il richiamo, al principio del cd. "affidamento" in tema di


infortuni sul lavoro, in virtù del quale ciascun consociato può confidare che ciascuno si comporti secondo le regole precauzionali normalmente riferibili al modello di agente proprio dell'attività che di volta in volta viene in questione - posto che, come più volte affermato, detto principio non opera allorché il mancato rispetto da parte di terzi delle norme precauzionali di prudenza abbia la sua prima causa nell'inosservanza di tali norme da parte di colui che invoca il suddetto principio, come nel caso in esame. Tale principio non potrebbe, infatti, essere utilmente richiamato dall'imputato ne' con riferimento all'operato dei suoi dipendenti, da lui non istruiti sulle corrette modalità di esecuzione dell'operazione di manutenzione ordinaria, nel corso della quale si è verificato l'incidente, ne' con riferimento alla condotta del coimputato L., legale rappresentante della R. (non ricorrente), attesa proprio la pregressa violazione rimproverata al C.G”.. La formula del distacco non può e non deve essere vista come un sistema per ridurre il grado di tutela nei confronti dei lavoratori, cosi come affermato da alcune sentenze della cassazione (Cass. pen., 17 giugno 2011, n. 34854, in Dir. prat. lav., 2011, 2417) il datore di lavoro rimane comunque responsabile della tutela del personale che opera, seppur all'esterno, per la sua società. Pertanto il datore di lavoro dovrà garantire, nell'ambito della definizione di eventuali limiti da seguirsi, il rispetto di quelli più stringenti disponibili e se questi coincideranno con i valori stabiliti dalle norme italiane, dovrà garantirne la completa aderenza.

Distacco del lavoratore: obbligo di sopralluogo e aspetti critici

6. L’obbligo di sopralluogo in caso di distacco e di adozione delle conseguenti misure di prevenzione Per quanto attiene alla ripartizione degli obblighi prevenzionistici tra datore di lavoro distaccante e datore di lavoro distaccatario, si è affermato che tali obblighi gravano sia sul datore di lavoro che ha disposto il distacco, sia sul beneficiario della prestazione, tenuto a garantire la sicurezza dell'ambiente di lavoro nel cui ambito la stessa viene eseguita (Sez. 4, n. 37079 del 24/06/2008 - dep. 30/09/2008, Ansaloni, Rv. 241021). In tale occasione questa Corte ha ritenuto che ciò derivi dall'appartenenza delle norme antinfortunistiche al diritto pubblico, come tali inderogabili in forza di atti privati. Pertanto, quali che siano i rapporti interni tra datore di lavoro distaccante e beneficiario della prestazione, rimane anche a carico del primo il dovere di rispettare le disposizioni prevenzionali. La sentenza della Cassazione penale n. 31300 del 22 luglio 2013 ha avuto modo di precisare meglio tale distinzione, affermando che il datore di lavoro distaccante ha l'obbligo fondamentale di accertarsi preventivamente che nei luoghi in cui il lavoratore sarà distaccato sussistano le condizioni di sicurezza e, solo dove tale accertamento abbia dato esito positivo, disporre il distacco. Nel caso specifico la Cassazione sottolinea che “premesso che non è oggetto di contestazione la legittimità del distacco del lavoratore infortunato, non vi è dubbio alcuno che al datore di lavoro distaccante non si poteva chiedere di intervenire sul ponteggio e nell'esecuzione dell'opera; ma gli si è ascritto giustamente di aver dato corso al distacco nonostante non fossero esistenti le condizioni di garanzia. La Corte di Appello .. ha però individuato correttamente l'obbligo prevenzionistico incombente sul datore di lavoro distaccante, laddove ha affermato che questi non avrebbe potuto disporre il distacco del lavoratore infortunato. a favore del Datore di lavoro distaccatario (ospitante) senza essersi preventivamente accertato che i ponteggi erano stati modificati ed adeguati alla vigente normativa. Se ne deve dedurre che la traslazione degli obblighi relativi ai luoghi di lavoro, delle attrezzature, delle macchine, degli impianti, delle sostanze utilizzate, ecc. accade effettivamente, trasferendoli in via


esclusiva in capo al datore di lavoro distaccatario, cioè quello presso il quale si svolge la prestazione lavorativa, solo a condizione che il distaccante abbia assolto preventivamente, prima cioè dell'inizio della esecuzione delle prestazioni lavorative, al proprio obbligo di sopralluogo e verifica puntuale e specifica della idoneità dell'ambiente lavorativo ove il lavoratore viene inviato. Solo a tale condizione gli obblighi che residueranno in capo al distaccante saranno quelli diformazione ed informazione generici sui rischi tipici delle mansioni del lavoratore (che già dovrebbero essere stati assolti). Nella fattispecie la Cassazione si è occupata del caso di un lavoratore inviato da un'azienda edile presso un'altra, per operare sopra un ponteggio con tavole non ben ancorate al ponteggio medesimo, che, ribaltandosi, ne avevano provocato la caduta da un'altezza di sei metri ed una conseguente malattia superiore ai sessanta giorni; poiché era emerso nel corso del processo cheil datore di lavoro distaccante si era recato in sopralluogo presso l'azienda distaccataria ed aveva rilevato l'irregolarità del ponteggio ma non aveva sospeso il distacco fino ad avvenuto adeguamento del ponteggio medesimo, egli è stato penalmente condannato, unitamente al datore di lavoro distaccatario. A maggior ragione lo stesso tipo di rischio di responsabilità si ripropone nei così detti distacchi impropri, nei casi cioè di invio dei propri lavoratori presso luoghi di altri per l'esecuzione di lavori da parte dell'impresa inviante (per l'esecuzione di commesse, incarichi, commissioni, opere, ecc.). La Suprema Corte, Cass. pen. 19533 del 18 maggio 2011, si è occupata del caso di un lavoratore inviato presso un'altra azienda per verificare un lavoro da svolgere e redigere il relativo preventivo. Salito sul tetto di una cella frigorifera, pur dotato di scarpe antiscivolo, scivolava e nel cadere a terra si rompeva un calcagno. Il datore di lavoro del lavoratore infortunato è stato condannato, a nulla valendo il suo tentativo di difendersi argomentando che la mancata adozione delle misure di sicurezza da attuare sulla cella non poteva essere a lui imputabile in quanto il fatto era accaduto in luogo di un soggetto terzo, estraneo alla propria possibilità e sfera di influenza e controllo. In un altro caso il presidente di una cooperativa di servizi si difendeva, in ordine all'infortunio accaduto ad un suo dipendente che stava usando un carrello elevatore per eseguire dei lavori presso l'opificio industriale di un'azienda appaltante il servizio di pulizie, osservando ch'egli aveva diligentemente acquisito e controllato il documento di valutazione dei rischi redatto dall'azienda proprietaria dell'opificio, senza che si potesse pretendere che egli dovesse controllare il rispetto della normativa antinfortunistica dell'opificio anche materialmente oltre che documentalmente. La Cassazione penale (n. 35412 del 29.09.2011) ha respinto questa tesi difensiva, affermando che il controllo del committente doveva spingersi invece proprio fin anche al controllo materiale della sicurezza dell'opificio; condannando così sia il Presidente della cooperativa che il datore di lavoro dell'opificio committente. 7. Il caso del cantiere Per comprendere le difficoltà di applicazione pratica di quanto sopra vale un caso tra i più frequenti: lavoratore inviato in distacco presso un cantiere all’estero. Il cantiere è un luogo in cui i rischi sono molteplici, non vi è una struttura permanente e le condizioni di lavoro variano enormemente nel corso della vita dello stesso. Oltre alle particolari condizioni ambientali, giuridiche, socio-cuturali e geopolitiche della località estera. Inoltre, la sua dinamicità, e talvolta brevità, tende spesso a determinare un ridotto interesse da parte del datore di lavoro nello sviluppare strumenti complessi di tutela. Il distaccante, il datore di lavoro, dovrà garantire al lavoratore una formazione ed informazione sui rischi, doveri e diritti cui questo sarà soggetto al momento in cui si troverà ad operare presso la nuova sede di lavoro, in questo caso un cantiere. Il nuovo datore di lavoro (distaccatario) dovrà invece prendersi cura del lavoratore, garantendone la


sua tutela, informazione, formazione e addestramento aggiuntive eventualmente necessarie, legate ai rischi specifici ai quali dovrà far fronte il nuovo venuto, nonché preoccuparsi della sua incolumità partendo dalla consegna dei DPI obbligatori sino alle visite sanitarie legate ai rischi specifici, eventualmente coordinandosi col medico del lavoro del distaccante. L'applicazione pratica di questi principi presenta alcune criticità. Ad esempio la formazione quale obbligo del datore di lavoro distaccante dovrà essere sarà basata sui rischi tipici della mansione assegnata quali caduta dall'alto, inciampo, elettrocuzione etc. Ma quando può definirsi adeguata e sufficiente la formazione erogata, ai sensi dell’art. 37 del D.Lgs. N. 81/2008? Molti dei fattori che influenzano la magnitudo del rischio dipendono dall'ambiente in cui il lavoratore si trova ad operare. Ad esempio il rischio di inciampo in aree pavimentate non è il medesimo in una zona sabbiosa della penisola arabica o peggio ancora ghiacciata della lontana Siberia. Il fattore termico può rendere un'attività poco dispendiosa come la supervisione lavori fisicamente estremamente onerosa se svolta a +50 o -50. Il che poi chiama in causa le condizioni igieniche del luogo di lavoro, la necessità di bere, acqua, e che sia acqua potabile e sicura ecc. Qui abbiamo a che fare con un primo elemento che accresce la complessità dell'attività formativa. Il datore di lavoro distaccante deve conoscere nel dettaglio i rischi delle aree di lavoro, conoscenza che non può non essere un prerequisito anche legale (la Cassazione ha statuito l’obbligo generale e ineludibile del sopralluogo a carico del datore di lavoro distaccante), ma che può essere notevolmente agevolata grazie ad una opportuna comunicazione da parte del datore di lavoro distaccatario [in Italia il c.d. DUVRI]. Sarà pertanto necessario stabilire un contatto diretto tra i datori e i loro specialisti di sicurezza del lavoro al fine di garantire che i lavoratori inviati all'estero siano opportunamente e propriamente informati e formati, nonché vi sia puntuale comunicazione su eventuali modifiche del processo produttivo che possano modificare e/o aumentare e/o variare i rischi presenti nel luogo in cui il lavoratore verrà distaccato. Ma che fare con questa comunicazione? In particolare nei casi in cui, dalla sola lettura della stessa, emerga superficialità e approssimazione, incongruenze ed errori evidenti? Si pone la necessità di un sopralluogo congiunto, eventualmente oneroso e a volte pure problematico, ma ineludibile. Vero è che nell’epoca del digitale sono ipotizzabili anche sopralluoghi a distanza con strumenti adeguati, e questo toglie ogni alibi al riguardo. Ma la complessità del problema non finisce qui. Il lavoratore quando arriva in cantiere dovrà sottostare a regole e seguire procedure che non sempre gli sono state trasmesse prima dell’arrivo, e verrà sottoposto a momenti formativi relativi ai rischi specifici cui è esposto. Tutto questo non è ne semplice ne immediato, ad esempio nel formare un lavoratore sul rischio rumore, come farlo efficacemente se non si conoscono i valori di esposizione che lo riguardano? E l’eventualità non infrequente che gli sia consentito l'uso di attrezzature non a norma presenti nel luogo di lavoro del distaccatario,come può essere trattata? Occorre analizzare il sistema di gestione della sicurezza del datore “ospitante” (distaccatario), considerando che a volte vi sono aziende deficitarie rispetto al livello di sicurezza presente presso il distaccante. Ma tutti i rischi cui un lavoratore è soggetto devono comunque essere adeguatamente valutati, come ad esempio: -microclima; -vibrazioni; -rumore; -esposizione ad agenti chimici, cancerogeni, biologici; -rischi infortunistici; - prassi e comportamenti pericolosi, near miss;


etc. Il datore di lavoro distaccatario, dovrà valutare la possibile presenza di tali rischi nel corso dell'esecuzione del progetto. Poi non solo i risultati della valutazione dovranno essere trasmessi al medico competente che stabilirà sulla loro base, frequenze e contenuti di eventuali sorveglianze sanitarie, ma prima ancora detto medico dovrà essere continuamente coinvolto nella valutazione di tali rischi. La conoscenza del contesto nel quale il datore di lavoro deciderà di inviare i propri lavoratori rappresenta l’elemento chiave per l’attuazione di una corretta tutela della salute e sicurezza del lavoratore. Occorre una procedura che individui i passaggi chiave necessari, a cominciare dalla raccolta ed analisi delle comunicazioni che il datore di lavoro distaccatario invierà al datore di lavoro distaccante e l’individuazione delle modalità di, eventualmente, sopralluogo per acquisire la conoscenza approfondita dell'ambiente in cui si opererà. La regola è che al momento del contratto il cliente trasmette un insieme di informazioni che solitamente dovrebbe essere allineato con le leggi in materia di salute e Sicurezza vigenti nel paese in cui si opera, per poter verificare il livello di sicurezza presente e le differenze rispetto al sistema di gestione della sicurezza del distaccante. Il contratto di lavoro è un rapporto bilaterale, nel quale il lavoratore, a fronte di un compenso, svolge le prestazioni in esso previste per un datore di lavoro. A sua volta il datore di lavoro deve garantire che nel corso dello svolgimento della prestazione lavorativa il lavoratore non subisca danno ovvero, come previsto dall'art. 2087 del codice civile: “l'imprenditore e tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. Dunque un datore di lavoro decide di inviare un lavoratore (col suo consenso) in un cantiere per sviluppare o continuare alcune linee di business aziendale. In tale cantiere però la gestione della sicurezza e le caratteristiche ambientali e delle attrezzature presenti non garantiscono una tutela adeguata. A questo punto il datore di lavoro distaccante avrà due possibilità: 1. Procedere come se nulla fosse inviando comunque il lavoratore nel luogo pericoloso, senza poter invocare l’impossibilità di conoscere i rischi del luogo esterno in quanto non potrà negare di essere nella condizione di poter comunque acquisire conoscenze utili a valutare tali rischi, ad esempio tramite sopralluogo; 2. Tutelare il proprio personale utilizzando come riferimento proprie disposizioni, valutazioni, procedure e istruzioni operative aziendali sostitutive, fornendo dispositivi integrativi, che garantiranno adeguata tutela della sicurezza delle persone inviate nel cantiere estero. Il processo formativo rappresenta uno degli elementi centrali per ottenere una significativa riduzione degli Infortuni: disporre di personale professionalmente competente e capace di lavorare in sicurezza, consapevole ed opportunamente formato è la chiave del successo di un sistema di gestione della sicurezza dei lavoratori. Centrale sarà in tal senso il costante flusso informativo tra datore di lavoro distaccante e distaccatario in modo da far si che nel corso dell'evoluzione del progetto eventuali nuovi rischi vengano nel più breve tempo possibile comunicati in modo da attuare i necessari e opportuni corsi di formazione e addestramento, nonché i necessari momenti informativi con i lavoratori operanti nel cantiere. Apprendere dall'esperienza, e dalla rilevazione, analisi e gestione dei comportamenti pericolosi, prassi pericolose conosciute e tollerate, e near miss permetterà una adeguata gestione in sicurezza dell'attività nonché momenti formativi efficaci e puntuali in quanto rischi non valutati in precedenti commesse diverranno utili per migliorare la sicurezza dei lavori futuri.


Salute e sicurezza del lavoro all'estero: valutazione del rischio

8. La valutazione del rischio del lavoro all’estero Il lavoro all’estero è stato classificato, nell’ambito delle linee guida della Società Italiana di Medicina del Lavoro e Igiene Industriale (SIMLII 2004), come attività atipica che presenta flessibilità di impiego ed è caratterizzata, oltre che dai rischi della mansione, da fattori correlati alle condizioni di soggiorno del paese ospitante. Il riferimento legislativo è il Regolamento Sanitario Internazionale (R.S.I.) entrato in vigore il 15 giugno 2007. Questo è il riferimento legislativo di maggior rilievo per la tutela del lavoratoreviaggiatore, in particolare per le numerose indicazioni sul rischio infettivo. I lavoratori che operano all’estero sono esposti contemporaneamente a diverse tipologie di rischi/pericoli che, molto spesso, non sono correttamente percepiti, né dal lavoratore né dall’Azienda, se non quando si manifestano in tutta la loro drammaticità. Se da un lato è relativamente semplice compiere la valutazione dei rischi determinati dalla tipologia di attività lavorativa svolta, soggetta quasi sempre in ogni paese a regolamentazioni e normative, che però vanno studiate ed approfondite, occorre però anche considerare i rischi e pericoli determinati dalla semplice permanenza del lavoratore nel paese. Il livello di esposizione a molteplici pericoli è dovuto alla concomitanza, in percentuale variabile a seconda del paese dove si opera, dei seguenti macro fattori: cultura della sicurezza sul lavoro, ambientali, culturali, religiosi, logistici, sociopolitici, criminali delinquenziali. Questi i fattori di pericolo e rischio [1]: 1. Fattori Ambientali: comprendono quelli derivanti da malattie endemiche (tipico quelle della malaria e quelle causate dalla flora e fauna locale), dalle condizioni meteo-climatiche (dal colpo di calore nel deserto all’ipotermia in Siberia), dai fenomeni naturali (monsoni, uragani, tempeste tropicali, terremoti, maremoti), dalle condizioni igienico-sanitarie (comprese le località di residenza dei lavoratori), dalle attività produttive svolte sia nelle immediate vicinanze del posto di lavoro che in quello di residenza (come ad esempio raffinerie, centrali nucleari, fabbriche con particolari tipologie di rischio, anche terroristico) ma anche dalla presenza di potenziali “obbiettivi sensibili” di svariata natura, e valenza variabile a seconda delle condizioni socio-politiche locali; 2. Fattori Culturali: il processo di globalizzazione mondiale non ha necessariamente standardizzato le culture in molti dei paesi in cui i lavoratori possono operare, per cui il modo di porsi nei confronti dei locali da parte dei lavoratori può determinare situazioni d’imbarazzo, nel migliore dei casi, che potrebbero sfociare in situazione di tensione, in quanto offensive degli usi ed abitudini degli abitanti locali. Questa può essere la prima frattura in cui altri fattori di rischio possono determinare la nascita e la diffusione di sentimenti ostili tali da indurre azioni dirette di varia natura contro i lavoratori da parte dei locali; 3. Fattori Religiosi: l’estremismo di origine religiosa rappresenta un concreto rischio per tutti i lavoratori occidentali che operano in aree dove questo fenomeno è radicato oppure è in fase d’espansione. In tal caso il pericolo assume specifica rilevanza poiché la percezione cosciente di questa tipologia di rischio non è ancora presente tra i locali né, tantomeno, fra i lavoratori; 4. Fattori Logistici: non è possibile non considerare che gli standard di vita del paese dove sono presenti i lavoratori locali non sono sempre equivalenti ai nostri,perciò occorre valutare ogni singolo aspetto e non bisogna dare niente per scontato. Per chiarire il concetto va valutata molto bene l’esposizione sistematica al fattore di rischio “ infortunio in itinere” dei lavoratori derivante dall’utilizzo di veicoli non in condizioni di completa efficienza meccanica, e di conduttori locali non adeguatamente addestrati, o in condizioni psico-fisiche alterate; 5. Fattori Socio-Politici: l’atteggiamento delle comunità locali per quanto riguarda la percezione dei


lavoratori stranieri può variare enormemente. I lavoratori stranieri possono essere visti come trafugatori delle risorse del paese, oppure come valido aiuto per il miglioramento di vita del paese, e tutto questo in base alla situazione politica del momento, con tutte le possibili sfumature comprese fra queste due antitetiche prospettive. Talvolta il Governo stesso del paese è considerato non rappresentativo delle comunità locali e, quindi, il fatto che autorizzi l’impiego di lavoratori stranieri può giustificare la condotta di azioni dirette anche contro gli stessi lavoratori stranieri, visti come strumento del governo. Qui le ambasciate e consolati locali rivestono una funzione di informazione e supporto insostituibile; 6. Fattori criminalità e delinquenza: la presenza di organizzazioni criminali costituisce una seria minaccia per i lavoratori, sia perché può impattare sullo svolgimento delle attività lavorative sia perché potrebbe indurre un comportamento non conforme alle leggi locali che spesso prevedono l’erogazione di pene molto severe in penitenziari locali. I pericoli derivanti dalla delinquenza “comune” non devono essere sottovalutati, non si tratta solo del rischio di subire un furto, perché a volte il livello di violenza ad essi potenzialmente correlato può trasformare un semplice furto in una rapina con conseguenze estreme quali il rischio per la vita della vittima”. Perciò occorre: 1) acquisire conoscenza dell’area dove si opera prima di siglare contratti all’estero; 2) acquisire conoscenze ed esperienze sulle modalità di svolgimento delle attività lavorative in sicurezza; 3) organizzare la security e la necessaria logistica nel paese; 4) formare e far visitare dal medico competente i lavoratori prima della trasferta all’estero; 5) monitorare & supervisionare continuamente lavoratori in trasferta; 6) sviluppare il Business Continutity Plan, creare il Crisis Management Team per poter gestire eventuali situazioni d’emergenza; 7) sviluppare specifici piani per gestire le prevedibili situazioni di pericolo e prevedere le modalità con cui poter riprendere lo svolgimento delle attività lavorative. Procedendo in questo modo l’azienda può: a) iniziare a percepire concretamente gli specifici e generici fattori di rischio dell’area estera dove operano I propri dipendenti e predisporre all’interno del documento di valutazione del rischiouna parte dedicata al lavoro all’estero, a cura del responsabile del servizio prevenzione e protezione, del responsabile della security e del medico competente; b) introdurre le misure opportune e necessarie per garantire la necessaria security del posto/luogo di lavoro ove opereranno I dipendenti. Non è mai troppo sottolineata l’importanza di una corretta ed efficiente organizzazione di tutte le attività logistiche: in alcuni paesi stranieri basta veramente poco per subire disagi facilmente evitabili con un minimo di programmazione, attenzione e organizzazione; c) formare i lavoratori su tutti i rischi correlati o meno alla mansione, ma potenzialmente presenti, che svolgono o che svolgeranno, cosicché siano pienamente consapevoli della realtà del paese dove saranno in trasferta e di tutto quanto messo in atto dalla loro azienda per la loro salvaguardia e tutela, a cui dovranno rigorosamente attenersi per non esporsi a rischi e pericoli. In questo modo qualunque comportamento dei lavoratori non conforme alle disposizioni aziendali, che potrebbe determinare l’esposizione a rischio e/o pericoli, diventa una responsabilità anche disciplinare degli inadempienti nei confronti dell’azienda. Adottando queste misure l’azienda potrà dimostrare di avere adottato tutte le cautele e precauzioni per evitare, per quanto possibile, l’esposizione ai molteplici fattori di rischio e pericolo dei suoi dipendenti che operano all’estero. Il DLgs 626/94 prima e il D.Lgs 81/08 poi, come modificato dal D.Lgs. 106/09, ha introdotto la valutazione dei rischi negli ambienti di lavoro e dedica il titolo X alla protezione specifica da agenti biologici, prevedendo tra le misure preventive, la messa a disposizione da


parte del datore di lavoro di vaccini se previsti. Lo svolgimento della prestazione lavorativa all’estero, per la sua particolarità, presenta implicazioni medico-sanitarie che possono influire sull’integrità psico-fisica del lavoratore e quindi la sua capacità lavorativa. I rischi di natura sanitaria che possono interessare i lavoratori sono numerosi e di diversi tipologie [2]: - malattie causate da infezioni (epidemie, pandemie, punture d'insetto, contagio tramite rapporto sessuale ecc.); - condizioni climatiche: calore, freddo ed umidità; nello stesso Paese, potrebbero esservi notevoli differenze a seconda dell’area nella quale si andrà a svolgere l’attività lavorativa (ad esempio, aree desertiche rispetto a quelle della foresta pluviale, aree urbane rispetto a quelle rurali ecc.); - urgenza delle lavorazioni; i ritmi di lavoro e l'alterazione dei ritmi di riposo sono elementi frequenti delle missioni all'estero; - aspetti legati all'alimentazione (scarsa igiene nella preparazione e conservazione dei cibi, intolleranze ecc.); - disagio adattativo, legato alla mancanza di comodità, all'isolamento o alla lontananza dalla famiglia, che può sfociare in sindromi ansioso-depressive; - altri fattori che, pur non rappresentando un problema in Italia, sono incompatibili con il nuovo ambiente o possono aggravarsi nei Paesi di destinazione (es. predisposizione del lavoratore a malattie o patologie).

Rolando Dubini, avvocato in Milano

[1] Con riferimento anche all’intervista al Dr. Emiliano Santacroce, pubblicata sul sito www.leggeweb.it [2] fonte Eni [in La gestione della tutela della salute per i lavoratori all’estero — Assolombarda 2013]


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