Corte di Giustizia Europea: Uno Stato Ue può escludere i cittadini da alcune prestazioni sociali

Page 1

Corte di Giustizia Europea: Uno Stato Ue può escludere i cittadini da alcune prestazioni sociali SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione) 25 febbraio 2016 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Libera circolazione delle persone – Cittadinanza dell’Unione – Parità di trattamento – Direttiva 2004/38/CE – Articolo 24, paragrafo 2 – Prestazioni di assistenza sociale – Regolamento (CE) n. 883/2004 – Articoli 4 e 70 – Prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo – Esclusione dei cittadini di uno Stato membro durante i primi tre mesi di soggiorno nello Stato membro ospitante» Nella causa C-299/14, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Landessozialgericht Nordrhein-Westfalen (tribunale per il contenzioso in materia sociale del Land Renania settentrionale-Vestfalia, Germania), con decisione del 22 maggio 2014, pervenuta in cancelleria il 17 giugno 2014, nel procedimento Vestische Arbeit Jobcenter Kreis Recklinghausen contro Jovanna García-Nieto, Joel Peña Cuevas, Jovanlis Peña García, Joel Luis Peña Cruz, LA CORTE (Prima Sezione), composta da A. Tizzano, vicepresidente della Corte, facente funzione di presidente della Prima Sezione, F. Biltgen, E. Levits, M. Berger (relatore)


e S. Rodin, giudici, avvocato generale: M. Wathelet cancelliere: M. Aleksejev, amministratore vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 22 aprile 2015, considerate le osservazioni presentate: –

per J. García-Nieto, J. Peña Cuevas, J. Peña García e J.L. Peña Cruz, da M. Schmitz, Rechtsanwalt;

per il governo tedesco, da T. Henze e J. Möller, in qualità di agenti;

per il governo francese, da R. Coesme, in qualità di agente;

per il governo polacco, da B. Majczyna, in qualità di agente;

per il governo del Regno Unito, da M. Holt, in qualità di agente, assistito da B. Kennelly, barrister;

per la Commissione europea, da D. Martin, Kellerbauer e C. Tufvesson, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 4 giugno 2015, ha pronunciato la seguente

Sentenza 1

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli articoli 18 TFUE e 45, paragrafo 2, TFUE, degli articoli 4 e 70 del regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (GU L 166, pag. 1 e rettifica in GU 2004, L 200, pag. 1), come modificato dal regolamento (UE) n. 1244/2010 della Commissione, del 9 dicembre 2010 (GU L 338, pag. 35; in prosieguo: il «regolamento n. 883/2004»), nonché dell’articolo 24 della direttiva 2004/38/CE del


Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU L 158, pag. 77, nonché rettifiche in GU 2004, L 229, pag. 35, e GU 2005, L 197, pag. 34). 2

Tale domanda è stata presentata nel contesto di una controversia tra il Vestische Arbeit Jobcenter Kreis Recklinghausen (centro per l’impiego del distretto di Recklinghausen; in prosieguo: il «centro per l’impiego»), da una parte, e il sig. Peña Cuevas e la sig.ra García-Nieto nonché loro figlia, Jovanlis Peña García, e il figlio del sig. Peña Cuevas, Joel Luis Peña Cruz (in prosieguo, congiuntamente, la «famiglia Peña-García») in ordine al rifiuto, da parte del centro suddetto, di concedere prestazioni dell’assicurazione di base («Grundsicherung») prevista dalla normativa tedesca.

Contesto normativo Diritto internazionale 3

L’articolo 1 della convenzione europea di assistenza sociale e medica, firmata a Parigi l’11 dicembre 1953 dai membri del Consiglio d’Europa e in vigore dal 1956 in Germania (in prosieguo: la «convenzione di assistenza»), enuncia un principio di non discriminazione nei termini seguenti: «Ciascuna delle Parti Contraenti si impegna a far beneficiare i cittadini delle altre Parti Contraenti in regolare soggiorno in qualsiasi parte del suo territorio al quale si applica la presente convenzione e che sono privi di risorse sufficienti, al pari dei propri cittadini e alle medesime condizioni, dell’assistenza sociale e medica (…) prevista dalla legislazione in vigore nella parte del territorio considerato».

4

Ai sensi dell’articolo 16, punto b), della convenzione di assistenza, «ogni Parte Contraente comunica al Segretario Generale del Consiglio d’Europa qualsiasi nuova legge o regolamento non ancora inclusi


nell’allegato I. In tale sede, la Parte Contraente può formulare riserve in merito all’applicazione della sua nuova legislazione o normativa ai cittadini delle altre Parti Contraenti». La riserva presentata dal governo tedesco, il 19 dicembre 2011, ai sensi di tale disposizione è così formulata: «Il Governo della Repubblica federale di Germania non s’impegna a far sì che i cittadini delle altre Parti contraenti beneficino, al pari dei propri cittadini e alle stesse condizioni, delle prestazioni previste nel libro II del codice tedesco della previdenza sociale – Tutela sociale di base per le persone in cerca di occupazione [(Sozialgesetzbuch Zweites Buch – Grundsicherung für Arbeitsuchende)], nella versione vigente al momento della domanda [(in prosieguo: il “libro II del codice della previdenza sociale”)]». 5

Conformemente all’articolo 16, punto c), della convenzione di assistenza, tale riserva è stata notificata alle altre parti di tale convenzione. Diritto dell’Unione Regolamento n. 883/2004

6

L’articolo 4 del regolamento n. 883/2004, rubricato «Parità di trattamento», così dispone: «Salvo quanto diversamente previsto dal presente regolamento, le persone alle quali si applica il presente regolamento godono delle stesse prestazioni e sono soggette agli stessi obblighi di cui alla legislazione di ciascuno Stato membro, alle stesse condizioni dei cittadini di tale Stato».

7

L’articolo 70 di tale regolamento, rubricato «Disposizione generale», contenuto nel titolo III, capitolo 9, relativo alle «[p]restazioni speciali in denaro di carattere non contributivo», così prevede: «1. Il presente articolo si applica alle prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo previste dalla legislazione la quale, a causa del suo ambito di applicazione ratione personae, dei suoi obiettivi e/o delle condizioni di ammissibilità, ha caratteristiche tanto della legislazione in materia di sicurezza sociale di cui all’articolo 3, paragrafo


1, quanto di quella relativa all’assistenza sociale. 2. Ai fini del presente capitolo, le “prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo” sono quelle: a)

intese a fornire: i)

copertura in via complementare, suppletiva o accessoria dei rischi corrispondenti ai settori di sicurezza sociale di cui all’articolo 3, paragrafo 1, e a garantire, alle persone interessate, un reddito minimo di sussistenza in relazione al contesto economico e sociale dello Stato membro interessato;

oppure ii)

unicamente la protezione specifica dei portatori di handicap, strettamente collegate al contesto sociale del predetto soggetto nello Stato membro interessato;

e b)

relativamente alle quali il finanziamento deriva esclusivamente dalla tassazione obbligatoria intesa a coprire la spesa pubblica generale e le condizioni per la concessione e per il calcolo della prestazione, non dipendono da alcun contributo da parte del beneficiario. Tuttavia, le prestazioni concesse ad integrazione della prestazione contributiva non sono da considerare prestazioni contributive per questo solo motivo; e

c)

sono elencate nell’allegato X.

3. L’articolo 7 e gli altri capitoli del presente titolo non si applicano alle prestazioni di cui al paragrafo 2 del presente articolo. 4. Le prestazioni di cui al paragrafo 2 sono erogate esclusivamente nello Stato membro in cui gli interessati risiedono e ai sensi della sua legislazione. Tali prestazioni sono erogate dall’istituzione del luogo di residenza e sono a suo carico». 8

L’allegato X del regolamento n. 883/2004, rubricato «Prestazioni


speciali in denaro di carattere non contributivo», prevede, riguardo alla Repubblica federale di Germania, le seguenti prestazioni: «(...) b)

prestazioni assicurative di base per persone in cerca di lavoro, destinate a garantire il loro sostentamento, a meno che, in riferimento a tali prestazioni, non siano soddisfatte le condizioni di ammissibilità ad un supplemento temporaneo susseguente alla ricezione delle prestazioni di disoccupazione (articolo 24, paragrafo 1, del libro II del codice sociale)».

Direttiva 2004/38 9

Ai sensi dei considerando 10, 16 e 21 della direttiva 2004/38: «(10) Occorre tuttavia evitare che coloro che esercitano il loro diritto di soggiorno diventino un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il periodo iniziale di soggiorno. (...) (...) (16)

I beneficiari del diritto di soggiorno non dovrebbero essere allontanati finché non diventino un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante. Pertanto una misura di allontanamento non dovrebbe essere la conseguenza automatica del ricorso al sistema di assistenza sociale. Lo Stato membro ospitante dovrebbe esaminare se si tratta di difficoltà temporanee e tener conto della durata del soggiorno, della situazione personale e dell’ammontare dell’aiuto concesso prima di considerare il beneficiario un onere eccessivo per il proprio sistema di assistenza sociale e procedere all’allontanamento. In nessun caso una misura di allontanamento dovrebbe essere presa nei confronti di lavoratori subordinati, lavoratori autonomi o richiedenti lavoro, quali definiti dalla Corte di giustizia, eccetto che per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.

(...) (21)

Dovrebbe spettare tuttavia allo Stato membro ospitante decidere


se intende concedere a persone che non siano lavoratori subordinati o autonomi, che non mantengano tale status o loro familiari prestazioni di assistenza sociale durante i primi tre mesi di soggiorno o per un periodo più lungo in caso di richiedenti lavoro, o sussidi per il mantenimento agli studi, inclusa la formazione professionale, prima dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente». 10

11

L’articolo 6 di detta direttiva, rubricato «Diritto di soggiorno sino a tre mesi», così recita: 1.

I cittadini dell’Unione hanno il diritto di soggiornare nel territorio di un altro Stato membro per un periodo non superiore a tre mesi senza alcuna condizione o formalità, salvo il possesso di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità.

2.

Le disposizioni del paragrafo 1 si applicano anche ai familiari in possesso di un passaporto in corso di validità non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che accompagnino o raggiungano il cittadino dell’Unione».

L’articolo 7, paragrafo 1, di detta direttiva, rubricato «Diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi», così recita: «Ciascun cittadino dell’Unione ha il diritto di soggiornare per un periodo superiore a tre mesi nel territorio di un altro Stato membro, a condizione: a)

di essere lavoratore subordinato o autonomo nello Stato membro ospitante; o

b)

di disporre, per se stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti, affinché non divenga un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il periodo di soggiorno, e di un’assicurazione malattia che copra tutti i rischi nello Stato membro ospitante; (…)

(...)». 12

Ai sensi dell’articolo 14 della stessa direttiva, rubricato «Mantenimento del diritto di soggiorno»:


«1. I cittadini dell’Unione e i loro familiari beneficiano del diritto di soggiorno di cui all’articolo 6 finché non diventano un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante. 2. I cittadini dell’Unione e i loro familiari beneficiano del diritto di soggiorno di cui agli articoli 7, 12 e 13 finché soddisfano le condizioni fissate negli stessi. In casi specifici, qualora vi sia un dubbio ragionevole che il cittadino dell’Unione o i suoi familiari non soddisfano le condizioni stabilite negli articoli 7, 12 e 13, gli Stati membri possono effettuare una verifica in tal senso. Tale verifica non è effettuata sistematicamente. 3. Il ricorso da parte di un cittadino dell’Unione o dei suoi familiari al sistema di assistenza sociale non dà luogo automaticamente ad un provvedimento di allontanamento. 4. In deroga ai paragrafi 1 e 2 e senza pregiudizio delle disposizioni del capitolo VI, un provvedimento di allontanamento non può essere adottato nei confronti di cittadini dell’Unione o dei loro familiari qualora:

13

a)

i cittadini dell’Unione siano lavoratori subordinati o autonomi; oppure

b)

i cittadini dell’Unione siano entrati nel territorio dello Stato membro ospitante per cercare un posto di lavoro. In tal caso i cittadini dell’Unione e i membri della loro famiglia non possono essere allontanati fino a quando i cittadini dell’Unione possono dimostrare di essere alla ricerca di un posto di lavoro e di avere buone possibilità di trovarlo».

L’articolo 24 della direttiva 2004/38, rubricato «Parità di trattamento», prevede quanto segue: «1. Fatte salve le disposizioni specifiche espressamente previste dal trattato e dal diritto derivato, ogni cittadino dell’Unione che risiede, in base alla presente direttiva, nel territorio dello Stato membro ospitante gode di pari trattamento rispetto ai cittadini di tale Stato nel campo di applicazione del trattato. Il beneficio di tale diritto si estende ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del


diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente. 2. In deroga al paragrafo 1, lo Stato membro ospitante non è tenuto ad attribuire il diritto a prestazioni d’assistenza sociale durante i primi tre mesi di soggiorno o, se del caso, durante il periodo più lungo previsto all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), né è tenuto a concedere prima dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente aiuti di mantenimento agli studi, compresa la formazione professionale, consistenti in borse di studio o prestiti per studenti, a persone che non siano lavoratori subordinati o autonomi, che non mantengano tale status o loro familiari». Diritto tedesco Codice della previdenza sociale 14

L’articolo 19 bis, paragrafo 1, contenuto nel libro I del codice della previdenza sociale (Sozialgesetzbuch Erstes Buch), prevede nei termini seguenti i due principali tipi di prestazioni assicurative di base di cui possono godere i richiedenti lavoro: «Possono essere richieste a titolo di diritto all’assicurazione di base per i richiedenti lavoro:

15

1.

prestazioni intese all’inserimento nel mercato del lavoro,

2.

prestazioni volte a garantire la sussistenza».

L’articolo 1 del libro II del codice della previdenza sociale, rubricato «Funzione e obiettivo dell’assicurazione di base per i richiedenti lavoro», ai suoi paragrafi 1 e 3 così dispone: «(1) L’assicurazione di base per i richiedenti lavoro mira a consentire ai suoi beneficiari di condurre una vita conforme alla dignità umana. (...) (3) L’assicurazione di base per i richiedenti lavoro comprende prestazioni 1. intese a porre fine o a ridurre lo stato d’indigenza, in particolare tramite l’inserimento nel mercato del lavoro, e


2. 16

volte a garantire la sussistenza».

L’articolo 7 del libro II del codice della previdenza sociale, rubricato «Beneficiari», al suo paragrafo 1 così recita: «Le prestazioni ai sensi del presente libro sono destinate alle persone che: 1.

abbiano raggiunto l’età di 15 anni e non abbiano ancora raggiunto il limite di età di cui all’articolo 7 bis,

2.

sono idonee a lavorare,

3.

sono indigenti e

4.

dimorino abitualmente nella Repubblica federale di Germania (beneficiari abili al lavoro).

Sono esclusi: 1.

le straniere e gli stranieri che non sono lavoratori subordinati o autonomi nella Repubblica federale di Germania e che non godono del diritto alla libera circolazione in forza dell’articolo 2, paragrafo 3, della legge sulla libera circolazione dei cittadini dell’Unione [(Freizügigkeitsgesetz/EU; in prosieguo: la “legge sulla libera circolazione”)], e i loro familiari, durante i primi tre mesi del loro soggiorno,

2.

le straniere e gli stranieri il cui diritto di soggiorno sia giustificato unicamente dalla ricerca di un lavoro e i loro familiari,

(...) La seconda frase, punto 1, non si applica alle straniere e agli stranieri che soggiornano nella Repubblica federale di Germania conformemente a un titolo di soggiorno rilasciato a norma del capitolo 2, sezione 5, della legge sul diritto di soggiorno [(Aufenthaltgesetz)]. Le disposizioni in materia di diritto di soggiorno restano invariate». 17

Risulta dai paragrafi 2 e 3 di detto articolo 7 che minori inabili al lavoro, che vivono con beneficiari abili al lavoro e costituiscono in tal modo con questi ultimi una «comunità di necessità», godono del diritto derivato alle


prestazioni previste dal libro II del codice della previdenza sociale. 18

L’articolo 8, paragrafo 1, del libro II del codice della previdenza sociale, rubricato «Abilità al lavoro», è così formulato: «È abile al lavoro chiunque non sia incapace in un futuro prevedibile, in ragione di una malattia o di un handicap, di esercitare un’attività lavorativa per almeno tre ore al giorno nelle condizioni abituali del mercato del lavoro».

19

L’articolo 9, paragrafo 1, del codice della previdenza sociale così dispone: «È indigente chiunque non possa garantire la propria sussistenza, o non possa garantirla in maniera sufficiente, sulla base del reddito o del patrimonio da prendere in considerazione, e non riceva l’assistenza necessaria da parte di altre persone, in particolare da parte dei suoi familiari o di altri organismi previdenziali».

20

L’articolo 20 del libro II del codice della previdenza sociale contiene disposizioni complementari sui bisogni di sussistenza di base. L’articolo 21 del libro II del codice della previdenza sociale contiene disposizioni sui bisogni supplementari e l’articolo 22 di detto codice riguarda i bisogni relativi all’alloggio e al riscaldamento. Infine, gli articoli da 28 a 30 del libro II sono dedicati alle prestazioni di formazione e di partecipazione.

21

L’articolo 1 del libro XII del codice della previdenza sociale, relativo all’aiuto sociale, è così redatto: «L’obiettivo dell’aiuto sociale è di consentire ai beneficiari di condurre un’esistenza conforme alla dignità umana. (...)».

22

L’articolo 21 del libro XII del codice della previdenza sociale prevede quanto segue: «Non vengono erogate prestazioni di sussistenza alle persone a cui sono destinate le prestazioni in forza del libro II del codice della previdenza sociale nella misura in cui esse sono abili al lavoro oppure in ragione del loro legame familiare (...)». Legge sulla libera circolazione


23

L’ambito di applicazione della legge sulla libera circolazione, nella sua versione applicabile ai fatti di causa, è precisato al suo articolo 1: «La presente legge regola l’ingresso e il soggiorno dei cittadini degli altri Stati membri dell’Unione europea (cittadini dell’Unione) e dei loro familiari».

24

L’articolo 2 di detta legge dispone quanto segue con rifermento al diritto di ingresso e di soggiorno: «(1) I cittadini dell’Unione che beneficiano della libera circolazione nonché i loro familiari hanno il diritto di entrare e di soggiornare nel territorio federale conformemente alle disposizioni della presente legge. (2)

Fruiscono della libera circolazione in forza del diritto dell’Unione:

1. i cittadini dell’Unione che desiderano soggiornare in qualità di lavoratori, per cercare un impiego o per seguire una formazione professionale; (...) 5. i cittadini dell’Unione non occupati, al ricorrere dei presupposti di cui all’articolo 4; 6.

i familiari, in conformità dei presupposti di cui agli articoli 3 e 4;

(...) (3) Per i lavoratori dipendenti o autonomi il diritto previsto dal paragrafo 1 resta impregiudicato: 1. per una temporanea inabilità al lavoro a seguito di una malattia o di un infortunio; 2. per la disoccupazione involontaria confermata dal centro per l’impiego competente o per la cessazione di un’attività autonoma a seguito di circostanze indipendenti dalla volontà del lavoratore, dopo più di un anno di attività; 3. per la formazione professionale ove sussista un collegamento tra la formazione e la precedente attività professionale; il collegamento non è


richiesto se il cittadino dell’Unione ha perso involontariamente il suo impiego. Il diritto sancito dal paragrafo 1 è mantenuto per un periodo di sei mesi in caso di disoccupazione involontaria confermata dal centro per l’impiego competente dopo un periodo di impiego inferiore a un anno. (...)». 25

L’articolo 3 della legge sulla libera circolazione, relativo ai familiari, così dispone: «(1) I familiari dei cittadini dell’Unione di cui all’articolo 2, paragrafo 2, punti da 1 a 5, godono del diritto ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, quando accompagnano detto cittadino dell’Unione o si ricongiungono allo stesso. Per i familiari dei cittadini dell’Unione di cui all’articolo 2, paragrafo 2, punto 5, tale principio si applica conformemente ai requisiti di cui all’articolo 4. (2)

Sono familiari:

1. Il coniuge e i discendenti delle persone di cui all’articolo 2, paragrafo 2, punti da 1 a 5 e 7, o dei loro coniugi, che non abbiano ancora raggiunto il ventunesimo anno di età; 2. gli ascendenti o i discendenti delle persone di cui all’articolo 2, paragrafo 2, punti da 1 a 5 e 7, o dei loro coniugi, alla sussistenza dei quali provvedono tali persone o i loro coniugi. (...)». 26

L’articolo 5 della legge sulla libera circolazione, rubricato «Carte di soggiorno e attestazione relativa al diritto di soggiorno permanente», prevede quanto segue: «(1) Ai cittadini dell’Unione e ai loro familiari che possiedono la cittadinanza di uno Stato membro dell’Unione europea e che sono autorizzati a circolare liberamente nel suo territorio è immediatamente rilasciata d’ufficio un’attestazione del loro diritto di soggiorno. (...)


(3) L’ufficio per gli stranieri competente può richiedere che i requisiti del diritto previsti dall’articolo 2, paragrafo 1, siano dimostrati in modo credibile entro i tre mesi successivi all’ingresso nel territorio federale. Le indicazioni e le prove necessarie ai fini della giustificazione possono essere ricevute, all’atto della registrazione amministrativa, dall’autorità competente per la registrazione, che trasmette le indicazioni e le prove all’ufficio per gli stranieri competente (...) (...)».

Procedimento principale e questioni pregiudiziali 27

I membri della famiglia Peña-García sono tutti cittadini spagnoli. La sig.ra García-Nieto e il sig. Peña Cuevas vivevano da vari anni in coppia in Spagna e costituivano un’unità economica, senza essere sposati e senza aver contratto un’unione registrata, insieme a Jovanlis Peña Garcìa, la figlia, e al figlio ancora minorenne del sig. Peña Cuevas, Joel Luis Peña Cruz.

28

Nel mese di aprile del 2012, la sig.ra García-Nieto faceva ingresso in Germania con sua figlia Jovanlis e, il 1° giugno 2012, dichiarava di essere in cerca di occupazione. A decorrere dal 12 giugno 2012, cominciava a svolgere l’attività di aiuto cuoca, per la quale era iscritta a titolo obbligatorio, a far data dal 1º luglio 2012, alla previdenza sociale tedesca e percepiva una retribuzione mensile netta di EUR 600.

29

Il 23 giugno 2012, il sig. Peña Cuevas e suo figlio raggiungevano la sig.ra García-Nieto e Jovanlis. Fino al 1° novembre 2012 la famiglia Peña-García abitava presso la madre della sig.ra García-Nieto e traeva i propri mezzi di sussistenza dal reddito della sig.ra García-Nieto. Inoltre, dal mese di luglio del 2012 il sig. Peña Cuevas e la sig.ra García-Nieto hanno percepito assegni familiari per i loro figli Jovanlis e Joel Luis, che frequentano la scuola dal 22 agosto 2012.

30

Il 30 luglio 2012, la famiglia Peña-García presentava una domanda di prestazioni di sussistenza ai sensi del libro II del codice della previdenza sociale presso il centro per l’impiego (in prosieguo: le «prestazioni in parola»). Quest’ultimo rifiutava tuttavia di concedere tali prestazioni nella


parte in cui esse riguardano il sig. Peña Cuevas e suo figlio per i mesi di agosto e settembre del 2012, ove le medesime prestazioni erano state invece concesse a far data dal mese di ottobre 2012. 31

La decisione di diniego della concessione del centro per l’impiego si basava sull’articolo 7, paragrafo 1, seconda frase, punto 1, del libro II del codice della previdenza sociale, atteso che, al momento della domanda, il sig. Peña Cuevas e suo figlio soggiornavano in Germania da meno di tre mesi e il sig. Peña Cuevas, peraltro, non era un lavoratore subordinato o autonomo. Secondo il centro per l’impiego, l’esclusione del beneficio di dette prestazioni valeva anche per il figlio del sig. Peña Cuevas. A seguito della riserva formulata il 19 dicembre 2011 dal governo tedesco quanto alla convenzione di assistenza, infatti, quest’ultima non poteva più far sorgere diritti.

32

Il ricorso proposto dalla famiglia Peña-García avverso tale decisione del centro per l’impiego veniva accolto dal Sozialgericht Gelsenkirchen (tribunale per il contenzioso in materia sociale di Gelsenkirchen), il quale respingeva i motivi di esclusione di cui all’articolo 7, paragrafo 1, seconda frase, punto 1, del libro II del codice della previdenza sociale per ragioni connesse al sistema della normativa nazionale. Il centro per l’impiego impugnava tale decisione dinanzi al giudice del rinvio, il Landessozialgericht Nordrhein-Westfalen (tribunale per il contenzioso in materia sociale del Land Renania settentrionale-Vestfalia).

33

Il giudice del rinvio esprime dubbi riguardo alla compatibilità con il diritto dell’Unione della completa esclusione dal beneficio delle prestazioni in parola nelle ipotesi previste dall’articolo 7, paragrafo 1, seconda frase, punto 1, del libro II del codice della previdenza sociale.

34

In tale contesto, il Landessozialgericht Nordrhein-Westfalen (tribunale per il contenzioso in materia sociale del Land Renania settentrionaleVestfalia) decideva di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: «1)

Se il principio della parità di trattamento di cui all’articolo 4 del regolamento n. 883/2004 valga – con l’eccezione della non esportabilità delle prestazioni di cui all’articolo 70, paragrafo 4, di detto regolamento – anche per le prestazioni speciali in denaro di


carattere non contributivo ai sensi dell’articolo 70, paragrafi 1 e 2, del regolamento medesimo.

35

2)

In caso di risposta affermativa alla prima questione, se – ed eventualmente in che misura – sia possibile prevedere restrizioni al principio della parità di trattamento di cui all’articolo 4 del regolamento n. 883/2004 mediante disposizioni delle legislazioni nazionali di attuazione dell’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, in base alle quali l’accesso alle prestazioni in parola non è garantito senza eccezioni per i primi tre mesi di soggiorno, quando i cittadini dell’Unione non svolgono nella Repubblica federale di Germania un’attività di lavoro subordinato o di lavoro autonomo né godono del diritto alla libera circolazione ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 3, della legge sulla libera circolazione.

3)

In caso di risposta negativa alla prima questione, se altri principi inerenti alla parità di trattamento sanciti dal diritto primario, in particolare dall’articolo 45, paragrafo 2, TFUE in combinato disposto con l’articolo 18 TFUE, ostino a una disposizione di diritto nazionale che nega senza eccezioni a cittadini dell’Unione, per i primi tre mesi di soggiorno, una prestazione sociale finalizzata a garantire la sussistenza e, nel contempo, ad agevolare l’accesso al mercato del lavoro, quando nella Repubblica federale di Germania tali cittadini dell’Unione non sono lavoratori subordinati o autonomi né possono avvalersi del diritto alla libera circolazione ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 3, della legge sulla libera circolazione, ma possono dimostrare un legame reale con lo Stato ospitante e, in particolare, con il mercato del lavoro di tale Stato».

Con decisione del 19 marzo 2015, il giudice del rinvio ha tuttavia dichiarato che non occorreva rispondere alla prima questione poiché una questione di analogo contenuto era stata sollevata nell’ambito della causa che ha dato luogo alla sentenza Dano (C-333/13, EU:C:2014:2358) e la Corte vi aveva risposto in senso affermativo dichiarando che «il regolamento n. 883/2004 dev’essere interpretato nel senso che le “prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo” ai sensi degli articoli 3, paragrafo 3, e 70 di detto regolamento ricadono nella sfera di applicazione dell’articolo 4 del regolamento stesso».


Sulle questioni pregiudiziali Sulla seconda questione 36

Con la sua seconda questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 24 della direttiva 2004/38 e l’articolo 4 del regolamento n. 883/2004 vadano interpretati nel senso che ostano a una normativa di uno Stato membro che esclude dal beneficio di talune «prestazioni speciali in denaro a carattere non contributivo» ai sensi dell’articolo 70, paragrafo 2, del regolamento n. 883/2004, e che sono parimenti costitutive di una «prestazione d’assistenza sociale», ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, i cittadini di altri Stati membri che si trovano in una situazione come quella prevista dall’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva medesima.

37

In limine, occorre ricordare che, nella sentenza Alimanovic (C-67/14, EU:C:2015:597, punti da 44 a 46), la Corte ha già avuto occasione di affermare che prestazioni come quelle in parola non possono essere qualificate quali prestazioni di natura finanziaria destinate a facilitare l’accesso all’impiego nel mercato del lavoro di uno Stato membro, ma devono essere considerate alla stregua di «prestazioni d’assistenza sociale» ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38.

38

Per quanto riguarda l’accesso a prestazioni di tal sorta, un cittadino dell’Unione può richiedere la parità di trattamento rispetto ai cittadini dello Stato membro ospitante in forza dell’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 solo se il suo soggiorno sul territorio dello Stato membro ospitante rispetta i requisiti di cui alla direttiva 2004/38 (sentenze Dano, C-333/13, EU:C:2014:2358, punto 69, e Alimanovic, C-67/14, EU:C:2015:597, punto 49).

39

Riconoscere, infatti, che persone che non beneficiano di un diritto di soggiorno in forza della direttiva 2004/38 possano rivendicare il diritto a prestazioni sociali alle stesse condizioni applicabili ai cittadini nazionali si porrebbe in contrasto con un obiettivo di tale direttiva, enunciato al suo considerando 10, che è quello di evitare che i cittadini di altri Stati membri dell’Unione diventino un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante (sentenze Dano, C-333/13, EU:C:2014:2358, punto 74, e Alimanovic, C-67/14,


EU:C:2015:597, punto 50). 40

Conseguentemente, al fine di determinare se prestazioni di assistenza sociale, quali le prestazioni oggetto di causa, possano essere negate sulla base della deroga dell’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, occorre verificare previamente l’applicabilità del principio di parità di trattamento richiamato all’articolo 24, paragrafo 1, di detta direttiva e, pertanto, la legittimità del soggiorno nel territorio dello Stato membro ospitante del cittadino dell’Unione interessato (sentenza Alimanovic, C-67/14, EU:C:2015:597, punto 51).

41

Occorre rilevare, al riguardo, che, come risulta dal fascicolo sottoposto alla Corte, il sig. Peña Cuevas può fondare un diritto di soggiorno sull’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2004/38.

42

Tale disposizione, infatti, prevede che i cittadini dell’Unione hanno il diritto di soggiornare sul territorio di un altro Stato membro per un periodo fino a tre mesi, senza condizioni o formalità oltre al requisito del possesso di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità, e l’articolo 14, paragrafo 1, di detta direttiva conserva tale diritto finché il cittadino dell’Unione e i suoi familiari non divengano un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante (sentenze Ziolkowski e Szeja, C-424/10 e C-425/10, EU:C:2011:866, punto 39, e Dano, C-333/13, EU:C:2014:2358, punto 70).

43

Così stando le cose, occorre tuttavia rilevare che, in tal caso, lo Stato membro ospitante può avvalersi della deroga di cui all’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 per negare a tale cittadino la concessione della prestazione d’assistenza sociale richiesta (sentenza Dano, C-333/13, EU:C:2014:2358, punto 70).

44

Infatti, emerge espressamente dal tenore letterale di tale disposizione che lo Stato membro ospitante può negare a persone che non siano lavoratori subordinati o autonomi o che mantengano tale status la concessione di qualsivoglia prestazione d’assistenza sociale durante i primi tre mesi di soggiorno.

45

Orbene, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 70 delle conclusioni, detta disposizione è conforme all’obiettivo di preservare l’equilibrio finanziario del sistema di previdenza sociale degli Stati


membri, perseguito dalla direttiva 2004/38, come risulta, segnatamente, dal suo considerando 10. Atteso che gli Stati membri non possono esigere che i cittadini dell’Unione possiedano mezzi di sussistenza sufficienti e un’assicurazione malattia personale per un soggiorno della durata massima di tre mesi sui loro rispettivi territori, è legittimo non imporre a detti Stati membri la presa in carico di tali cittadini durante detto periodo. 46

In tale contesto, occorre parimenti precisare che, sebbene la direttiva 2004/38 richieda che lo Stato membro ospitante prenda in conto la situazione individuale della persona interessata al momento dell’adozione di una misura di allontanamento o prima di stabilire che tale persona costituisce un onere eccessivo per il sistema nazionale di assistenza sociale nell’ambito del suo soggiorno (sentenza Brey, C-140/12, EU:C:2013:565, punti 64, 69 e 78), tuttavia tale esame individuale non è necessario in una fattispecie quale quella di cui al procedimento principale.

47

Nella sentenza Alimanovic (C-67/14, EU:C:2015:597, punto 60), infatti, la Corte ha già avuto modo di statuire che la direttiva 2004/38, istituendo un sistema graduale di mantenimento dello status di lavoratore, che mira a tutelare il diritto di soggiorno e l’accesso alle prestazioni sociali, prende essa stessa in considerazione diversi fattori che caratterizzano la situazione individuale di ogni richiedente una prestazione sociale e, in particolare, la durata dell’esercizio di un’attività economica.

48

Pertanto, se un siffatto esame non è necessario nel caso di un cittadino alla ricerca di un impiego che non abbia più lo status di lavoratore, lo stesso vale, a fortiori, anche per quanto riguarda le persone che si trovano in una situazione come quella del sig. Peña Cuevas nel procedimento principale.

49

Infatti, consentendo agli interessati di conoscere senza ambiguità i loro diritti e doveri, l’eccezione prevista dall’articolo 7, paragrafo 1, seconda frase, punto 1, del libro II del codice della previdenza sociale, in combinato disposto con l’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, secondo la quale la Repubblica federale di Germania non è tenuta a concedere il diritto all’assistenza sociale nel corso dei primi tre mesi di soggiorno di un cittadino dell’Unione sul suo territorio, è idonea a


garantire un livello elevato di certezza del diritto e di trasparenza nell’ambito della concessione di prestazioni di assistenza sociale dell’assicurazione di base, restando al contempo conforme al principio di proporzionalità (v., per analogia, sentenza Alimanovic, C-67/14, EU:C:2015:597, punto 61). 50

Inoltre, per quanto riguarda l’esame individuale inteso alla valutazione globale dell’onere che la concessione di una prestazione configurerebbe in concreto per l’insieme del sistema nazionale di assistenza sociale di cui al procedimento principale, occorre rilevare che l’assistenza accordata a un solo richiedente difficilmente può essere qualificata come «onere eccessivo» per uno Stato membro, ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, ove tale onere potrebbe essere gravoso per lo Stato membro interessato non dopo che quest’ultimo abbia ricevuto una domanda individuale, ma necessariamente a fronte della somma di tutte le domande individuali che gli vengano sottoposte (v. sentenza Alimanovic, C-67/14, EU:C:2015:597, punto 62).

51

In tale contesto, l’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 non osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, ove essa esclude dal beneficio di talune «prestazioni speciali in denaro a carattere non contributivo» ai sensi dell’articolo 70, paragrafo 2, del regolamento n. 883/2004, i cittadini di altri Stati membri che si trovano in una situazione come quella prevista dall’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva medesima.

52

La medesima conclusione s’impone quanto all’interpretazione dell’articolo 4 del regolamento n. 883/2004. Infatti, le prestazioni in parola, che costituiscono «prestazioni speciali in denaro a carattere non contributivo» ai sensi dell’articolo 70, paragrafo 2, di detto regolamento sono concesse, ai sensi del paragrafo 4 di questo stesso articolo, esclusivamente nello Stato membro di residenza dell’interessato e conformemente alla normativa dello stesso. Ne consegue che nulla osta a che tali prestazioni siano negate a cittadini di altri Stati membri che non abbiano lo status di lavoratore subordinato o autonomo o a persone che mantengano tale status durante i primi tre mesi del loro soggiorno nello Stato ospitante (v., in tal senso, sentenze Brey, C-140/12, EU:C:2013:965, punto 44, e Dano, C-333/13, EU:C:2014:2358, punto 83).


53

Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, occorre rispondere alla seconda questione affermando che l’articolo 24 della direttiva 2004/38 e l’articolo 4 del regolamento n. 883/2004 vanno interpretati nel senso che non ostano a una normativa di uno Stato membro che esclude dal beneficio di talune «prestazioni speciali in denaro a carattere non contributivo» ai sensi dell’articolo 70, paragrafo 2, del regolamento n. 883/2004, che sono parimenti costitutive di una «prestazione d’assistenza sociale», ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, i cittadini di altri Stati membri che si trovano in una situazione come quella prevista dall’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva medesima. Sulla terza questione

54

Dato che la terza questione è stata posta nell’ipotesi in cui fosse stata data una risposta negativa alla prima e che la Corte ha apportato una risposta positiva a una questione di contenuto analogo sollevata nelle cause sfociate nelle sentenze Dano (C-333/13, EU:C:2014:2358) e Alimanovic (C-67/14, EU:C:2015:597), non occorre rispondere alla terza questione pregiudiziale.

Sulle spese 55

Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara: L’articolo 24 della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, e l’articolo 4 del regolamento


(CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, come modificato dal regolamento (UE) n. 1244/2010 della Commissione, del 9 dicembre 2010, vanno interpretati nel senso che non ostano a una normativa di uno Stato membro che esclude dal beneficio di talune «prestazioni speciali in denaro a carattere non contributivo», ai sensi dell’articolo 70, paragrafo 2, del regolamento n. 883/2004, che sono parimenti costitutive di una «prestazione d’assistenza sociale», ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, i cittadini di altri Stati membri che si trovano in una situazione come quella prevista dall’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva medesima. Firme

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE MELCHIOR WATHELET presentate il 4 giugno 2015 (1)

Causa C-299/14

Vestische Arbeit Jobcenter Kreis Recklinghausen contro Jovanna García-Nieto, Joel Peña Cuevas, Jovanlis Peña García, Joel Luis Peña Cruz [domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Landessozialgericht Nordrhein-Westfalen (Germania)] «Regolamento (CE) n. 883/2004 – Direttiva 2004/38/CE – Cittadinanza


dell’Unione – Parità di trattamento – Cittadini dell’Unione in cerca di occupazione che soggiornano nel territorio di un altro Stato membro – Normativa di uno Stato membro che preveda l’esclusione di tali persone dalle prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo – Esistenza di un legame reale tra detto cittadino e il mercato del lavoro dello Stato membro di soggiorno»

I–

Introduzione

1. La presente domanda di pronuncia pregiudiziale pone, in sostanza, la questione se uno Stato membro possa escludere dal beneficio di prestazioni non contributive volte a garantire la sussistenza, ai sensi del regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (2), come modificato dal regolamento (UE) n. 1244/2010 della Commissione, del 9 dicembre 2010 (3) (in prosieguo: il «regolamento n. 883/2004»), cittadini di altri Stati membri durante i primi tre mesi del loro soggiorno mentre non sono ancora economicamente attivi e versano in una condizione di indigenza. 2. La presente causa si inserisce in una serie di procedimenti promossi da autorità giurisdizionali tedesche in cui i giudici del rinvio si interrogano sulla compatibilità con il diritto dell’Unione, più specificamente con il principio della parità di trattamento sancito da varie disposizioni di diritto primario e di diritto derivato, dell’esclusione di taluni cittadini dell’Unione europea dal beneficio di prestazioni sociali previste dalla normativa nazionale. 3. La prima di tali cause, che ha dato luogo alla sentenza Dano (C-333/13, EU:C:2014:2358), riguardava l’ipotesi di un cittadino dell’Unione che giunga nel territorio di uno Stato membro senza avere intenzione di trovarvi un lavoro e senza essere in grado di provvedere alla propria sussistenza con mezzi personali. La seconda causa, nell’ambito della quale ho presentato le mie conclusioni in data 26 marzo 2015 (causa Alimanovic, C-67/14, EU:C:2015:210), pendente dinanzi


alla Corte, riguarda un cittadino dell’Unione che, dopo aver lavorato per meno di un anno nel territorio di uno Stato membro di cui non aveva la cittadinanza, chiedeva di poter beneficiare delle prestazioni volte a garantire la sussistenza fornite dallo Stato membro ospitante. 4. La presente causa consente di prendere in considerazione una terza situazione: quella del cittadino dell’Unione che, durante i primi tre mesi di soggiorno nel territorio dello Stato ospitante, non sia un lavoratore subordinato o autonomo e non possa neppure essere considerato come un soggetto che ha conservato tale qualità ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (4). II – Contesto normativo A–

Il diritto dell’Unione

1.

Il Trattato FUE

5. Ai sensi dell’articolo 18, primo comma, TFUE, «[n]el campo di applicazione dei trattati, e senza pregiudizio delle disposizioni particolari dagli stessi previste, è vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità». 6. L’articolo 45 TFUE garantisce più specificamente la libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione. Secondo il paragrafo 2 di tale articolo, detta libertà di circolazione «implica l’abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro». 2.

Il regolamento n. 883/2004

7. L’ambito di applicazione ratione materiae del regolamento n. 883/2004 è descritto all’articolo 3 dello stesso regolamento nel modo


seguente: «1. Il presente regolamento si applica a tutte le legislazioni relative ai settori di sicurezza sociale riguardanti: (...) h)

le prestazioni di disoccupazione;

(...) 2. Fatte salve le disposizioni dell’allegato XI, il presente regolamento si applica ai regimi di sicurezza sociale generali e speciali, contributivi o non contributivi, nonché ai regimi relativi agli obblighi del datore di lavoro o dell’armatore. 3. Il presente regolamento si applica anche alle prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo di cui all’articolo 70. (...) 5.

Il presente regolamento non si applica:

a)

all’assistenza sociale e medica;

(...)». 8. L’articolo 4 del regolamento in parola, rubricato «Parità di trattamento», così recita: «Salvo quanto diversamente previsto dal presente regolamento, le persone alle quali si applica il presente regolamento godono delle stesse prestazioni e sono soggette agli stessi obblighi di cui alla legislazione di ciascuno Stato membro, alle stesse condizioni dei cittadini di tale Stato». 9. Il capitolo 9 del titolo III del regolamento n. 883/2004 è dedicato alle «[p]restazioni speciali in denaro di carattere non contributivo». Esso è costituito unicamente dall’articolo 70, il quale è rubricato «Disposizione generale» e prevede quanto segue: «1. Il presente articolo si applica alle prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo previste dalla legislazione la quale, a causa del suo ambito di applicazione ratione personae, dei suoi obiettivi e/o


delle condizioni di ammissibilità, ha caratteristiche tanto della legislazione in materia di sicurezza sociale di cui all’articolo 3, paragrafo 1, quanto di quella relativa all’assistenza sociale. 2. Ai fini del presente capitolo, le “prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo” sono quelle: a)

intese a fornire: i)

copertura in via complementare, suppletiva o accessoria dei rischi corrispondenti ai settori di sicurezza sociale di cui all’articolo 3, paragrafo 1, e a garantire, alle persone interessate, un reddito minimo di sussistenza in relazione al contesto economico e sociale dello Stato membro interessato; oppure

ii)

unicamente la protezione specifica dei portatori di handicap, strettamente collegate al contesto sociale del predetto soggetto nello Stato membro interessato;

e b)

relativamente alle quali il finanziamento deriva esclusivamente dalla tassazione obbligatoria intesa a coprire la spesa pubblica generale e le condizioni per la concessione e per il calcolo della prestazione, non dipendono da alcun contributo da parte del beneficiario. Tuttavia, le prestazioni concesse ad integrazione della prestazione contributiva non sono da considerare prestazioni contributive per questo solo motivo;

e c)

sono elencate nell’allegato X.

3. L’articolo 7 e gli altri capitoli del presente titolo non si applicano alle prestazioni di cui al paragrafo 2 del presente articolo. 4. Le prestazioni di cui al paragrafo 2 sono erogate esclusivamente nello Stato membro in cui gli interessati risiedono e ai sensi della sua legislazione. Tali prestazioni sono erogate dall’istituzione del luogo di residenza e sono a suo carico».


10. L’allegato X del regolamento n. 883/2004, che disciplina le «[p]restazioni speciali in denaro di carattere non contributivo», alla rubrica «Germania» contiene la seguente precisazione: «(...) b)

prestazioni assicurative di base per persone in cerca di lavoro, destinate a garantire il loro sostentamento, a meno che, in riferimento a tali prestazioni, non siano soddisfatte le condizioni di ammissibilità ad un supplemento temporaneo susseguente alla ricezione delle prestazioni di disoccupazione (articolo 24, paragrafo 1 del libro II del codice sociale)».

3.

La direttiva 2004/38

11. I considerando 10, 16 e 21 della direttiva 2004/38 sono così formulati: «(10) Occorre tuttavia evitare che coloro che esercitano il loro diritto di soggiorno diventino un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il periodo iniziale di soggiorno. Pertanto il diritto di soggiorno dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari per un periodo superiore a tre mesi dovrebbe essere subordinato a condizioni. (...) (16)

I beneficiari del diritto di soggiorno non dovrebbero essere allontanati finché non diventino un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante. Pertanto una misura di allontanamento non dovrebbe essere la conseguenza automatica del ricorso al sistema di assistenza sociale. Lo Stato membro ospitante dovrebbe esaminare se si tratta di difficoltà temporanee e tener conto della durata del soggiorno, della situazione personale e dell’ammontare dell’aiuto concesso prima di considerare il beneficiario un onere eccessivo per il proprio sistema di assistenza sociale e procedere all’allontanamento. In nessun caso una misura di allontanamento dovrebbe essere presa nei confronti di lavoratori subordinati, lavoratori autonomi o richiedenti lavoro, quali definiti dalla Corte di giustizia, eccetto che per motivi di


ordine pubblico o di pubblica sicurezza. (...) (21)

Dovrebbe spettare tuttavia allo Stato membro ospitante decidere se intende concedere a persone che non siano lavoratori subordinati o autonomi, che non mantengano tale status o loro familiari prestazioni di assistenza sociale durante i primi tre mesi di soggiorno o per un periodo più lungo in caso di richiedenti lavoro, o sussidi per il mantenimento agli studi, inclusa la formazione professionale, prima dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente».

12. L’articolo 6 della direttiva 2004/38, rubricato «Diritto di soggiorno sino a tre mesi», al paragrafo 1 prevede quanto segue: «I cittadini dell’Unione hanno il diritto di soggiornare nel territorio di un altro Stato membro per un periodo non superiore a tre mesi senza alcuna condizione o formalità, salvo il possesso di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità». 13. L’articolo 7 della direttiva 2004/38, rubricato «Diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi», così recita: «1. Ciascun cittadino dell’Unione ha il diritto di soggiornare per un periodo superiore a tre mesi nel territorio di un altro Stato membro, a condizione: a)

di essere lavoratore subordinato o autonomo nello Stato membro ospitante; o

b)

di disporre, per se stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti, affinché non divenga un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il periodo di soggiorno, e di un’assicurazione malattia che copra tutti i rischi nello Stato membro ospitante; (...)

(...) 3. Ai sensi del paragrafo 1, lettera a), il cittadino dell’Unione che abbia cessato di essere un lavoratore subordinato o autonomo conserva la


qualità di lavoratore subordinato o autonomo nei seguenti casi: (...) b)

l’interessato, trovandosi in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata dopo aver esercitato un’attività per oltre un anno, si è registrato presso l’ufficio di collocamento competente al fine di trovare un lavoro;

c)

l’interessato, trovandosi in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata al termine di un contratto di lavoro di durata determinata inferiore ad un anno o venutosi a trovare in tale stato durante i primi dodici mesi, si è registrato presso l’ufficio di collocamento competente al fine di trovare un lavoro. In tal caso, l’interessato conserva la qualità di lavoratore subordinato per un periodo che non può essere inferiore a sei mesi;

(...)». 14. L’articolo 14 della direttiva 2004/38 è dedicato al «[m]antenimento del diritto di soggiorno». Tale disposizione stabilisce quanto segue: «1. I cittadini dell’Unione e i loro familiari beneficiano del diritto di soggiorno di cui all’articolo 6 finché non diventano un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante. (...) 3. Il ricorso da parte di un cittadino dell’Unione o dei suoi familiari al sistema di assistenza sociale non dà luogo automaticamente ad un provvedimento di allontanamento. 4. In deroga ai paragrafi 1 e 2 e senza pregiudizio delle disposizioni del capitolo VI, un provvedimento di allontanamento non può essere adottato nei confronti di cittadini dell’Unione o dei loro familiari qualora: a)

i cittadini dell’Unione siano lavoratori subordinati o autonomi; oppure

b)

i cittadini dell’Unione siano entrati nel territorio dello Stato membro ospitante per cercare un posto di lavoro. In tal caso i cittadini dell’Unione e i membri della loro famiglia non possono essere


allontanati fino a quando i cittadini dell’Unione possono dimostrare di essere alla ricerca di un posto di lavoro e di avere buone possibilità di trovarlo». 15. Infine, l’articolo 24 della direttiva in parola, rubricato «Parità di trattamento», così dispone: «1. Fatte salve le disposizioni specifiche espressamente previste dal trattato e dal diritto derivato, ogni cittadino dell’Unione che risiede, in base alla presente direttiva, nel territorio dello Stato membro ospitante gode di pari trattamento rispetto ai cittadini di tale Stato nel campo di applicazione del trattato. Il beneficio di tale diritto si estende ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente. 2. In deroga al paragrafo 1, lo Stato membro ospitante non è tenuto ad attribuire il diritto a prestazioni d’assistenza sociale durante i primi tre mesi di soggiorno o, se del caso, durante il periodo più lungo previsto all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), né è tenuto a concedere prima dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente aiuti di mantenimento agli studi, compresa la formazione professionale, consistenti in borse di studio o prestiti per studenti, a persone che non siano lavoratori subordinati o autonomi, che non mantengano tale status o loro familiari». B–

Il diritto tedesco

1.

Il codice della previdenza sociale

16. L’articolo 19a, paragrafo 1, del libro I del codice della previdenza sociale (Sozialgesetzbuch Erstes Buch; in prosieguo: il «SGB I») descrive i due tipi di prestazioni assicurative di base per i richiedenti lavoro nel modo seguente: «(1) Possono essere rivendicate a titolo di diritto all’assicurazione di base per i richiedenti lavoro: 1.

prestazioni volte all’inserimento nel mercato del lavoro,

2.

prestazioni volte a garantire la sussistenza.


(...)». 17. L’articolo 1, paragrafi 1 e 3, del libro II del codice della previdenza sociale (Sozialgesetzbuch Zweites Buch; in prosieguo: il «SGB II»), rubricato «Funzione e obiettivo dell’assicurazione di base per i richiedenti lavoro», dispone quanto segue: «(1) L’assicurazione di base [(«Grundsicherung»)] per i richiedenti lavoro mira a consentire ai suoi beneficiari di condurre una vita conforme alla dignità umana. (...) (3) L’assicurazione di base per i richiedenti lavoro comprende prestazioni 1. volte a porre fine o a ridurre lo stato di bisogno, in particolare tramite l’inserimento nel mercato del lavoro, e 2. 18.

volte a garantire la sussistenza». L’articolo 7 del SGB II, rubricato «Beneficiari», così recita:

«(1) Le prestazioni previste dal presente libro vengono erogate a coloro che: 1. siano di età superiore ai 15 anni, ma non abbiano ancora raggiunto il limite di età previsto dall’articolo 7a, 2.

siano abili al lavoro,

3.

siano indigenti e

4. abbiano la propria residenza abituale in Germania (beneficiari abili al lavoro). Sono esclusi: 1. le straniere e gli stranieri che non sono lavoratori subordinati o autonomi in Germania e che non godono del diritto alla libera circolazione in forza dell’articolo 2, paragrafo 3, della legge sulla libera circolazione dei cittadini dell’Unione [Freizügigkeitsgesetz/EU; in prosieguo: il “FreizügG/EU”], e i loro familiari, durante i primi tre mesi del loro soggiorno,


2. le straniere e gli stranieri il cui diritto di soggiorno sia giustificato unicamente dalla ricerca di un lavoro e i loro familiari, (...) La seconda frase, punto 1, non si applica alle straniere e agli stranieri che soggiornano nella Repubblica federale di Germania conformemente a un titolo di soggiorno rilasciato in virtù del capo 2, sezione 5, della legge sul diritto di soggiorno. Le disposizioni in materia di diritto di soggiorno restano invariate. (...)». 19. L’articolo 8 del SGB II, dedicato alla nozione di «abilità al lavoro», prevede quanto segue: «(1) È abile al lavoro chiunque non sia incapace in un futuro prevedibile, in ragione di una malattia o di un handicap, di esercitare un’attività lavorativa per almeno tre ore al giorno nelle condizioni abituali del mercato del lavoro. (...)». 20.

L’articolo 9 del SGB II così recita:

«(1) È indigente chiunque non possa garantire la propria sussistenza o non possa garantirla in maniera sufficiente, sulla base del reddito o del patrimonio da prendere in considerazione e non riceva l’assistenza necessaria da parte di altre persone, in particolare da parte dei suoi familiari o di altri enti di prestazioni sociali. (...) (...)». 21. Gli articoli da 14 a 18e del SGB II, che costituiscono la prima sezione del capo III, disciplinano le prestazioni relative all’inserimento nel mercato del lavoro. 22. L’articolo 20 del SGB II contiene disposizioni complementari sui bisogni di sussistenza di base; l’articolo 21 del SGB II contiene disposizioni sui bisogni supplementari e l’articolo 22 del SGB II disposizioni sui bisogni relativi all’alloggio e al riscaldamento. Infine, gli articoli da 28 a 30 del SGB II sono dedicati alle prestazioni di formazione


e di partecipazione. 23. Nel libro XII del codice della previdenza sociale (Sozialgesetzbuch Zwölftes Buch; in prosieguo: il «SGB XII»), l’articolo 1, relativo all’aiuto sociale, così recita: «La funzione dell’aiuto sociale è di consentire ai suoi beneficiari di condurre una vita conforme alla dignità umana. (...)». 24.

L’articolo 21 del SGB XII prevede quanto segue:

«Non vengono versate prestazioni di sussistenza alle persone che sono beneficiarie delle prestazioni in forza del libro II nella misura in cui esse sono abili al lavoro oppure in ragione del loro legame familiare. (...)». 2.

Il FreizügG/EU

25. L’ambito di applicazione del FreizügG/EU è disciplinato all’articolo 1 di tale legge: «La presente legge disciplina l’ingresso e il soggiorno dei cittadini degli altri Stati membri dell’Unione europea (cittadini dell’Unione) e dei loro familiari». 26. L’articolo 2 del FreizügG/EU, riguardo al diritto di ingresso e di soggiorno, prevede quanto segue: «(1) I cittadini dell’Unione che beneficiano della libertà di circolazione nonché i loro familiari hanno il diritto di entrare e di soggiornare nel territorio federale conformemente alle disposizioni della presente legge. (2) Fruiscono della libertà di circolazione in forza del diritto comunitario: 1. i cittadini dell’Unione che desiderano soggiornare in qualità di lavoratori, per cercare un impiego o per seguire una formazione professionale. (...) 5. i cittadini dell’Unione non occupati, al ricorrere dei presupposti di cui all’articolo 4,


6.

i familiari, in conformità ai presupposti di cui agli articoli 3 e 4,

(...) (3) Per i lavoratori subordinati o autonomi il diritto di cui al paragrafo 1 resta salvo in caso di: (...) 2. disoccupazione involontaria confermata dalla competente agenzia o di cessazione di un’attività di lavoro autonomo a seguito di circostanze indipendenti dalla volontà del lavoratore autonomo, dopo oltre un anno di attività, (...) Il diritto di cui al paragrafo 1 continua a sussistere per un periodo di sei mesi in caso di disoccupazione involontaria confermata dalla competente agenzia per il lavoro dopo un periodo di attività lavorativa inferiore ad un anno. (...)». 27. L’articolo 4 del FreizügG/EU, riguardo alle persone che beneficiano della libertà di circolazione e che non esercitano un’attività lavorativa, dispone quanto segue: «I cittadini dell’Unione senza un’attività lavorativa e i loro familiari che li accompagnano o si ricongiungono con essi beneficiano del diritto previsto all’articolo 2, paragrafo 1, qualora dispongano di un’adeguata assicurazione malattia e di mezzi di sussistenza sufficienti. Se un cittadino dell’Unione soggiorna nel territorio federale con lo status di studente, beneficiano di tale diritto unicamente il suo coniuge o partner e i suoi figli, dei quali è garantita la sussistenza». 3.

La Convenzione europea di assistenza sociale e medica

28. L’articolo 1 della Convenzione europea di assistenza sociale e medica (in prosieguo: la «Convenzione di assistenza») prevede il principio di non discriminazione. 29.

Tuttavia,

conformemente

all’articolo

16,

lettera

b),

della


Convenzione di assistenza, in data 19 dicembre 2011 il governo tedesco ha formulato una riserva (in prosieguo: la «riserva»), secondo cui «[i]l Governo della Repubblica federale di Germania non s’impegna a far sì che i cittadini delle altre Parti contraenti beneficino, al pari dei propri cittadini e alle stesse condizioni, delle prestazioni previste nel libro II del codice tedesco della previdenza sociale – Tutela sociale di base per le persone in cerca di occupazione nella rispettiva versione vigente». III – Fatti all’origine della controversia 30. I ricorrenti nel procedimento principale sono cittadini spagnoli. La sig.ra García-Nieto e il sig. Peña Cuevas vivevano da vari anni in coppia in Spagna, senza essere sposati e senza aver contratto un’unione registrata, insieme a Jovanlis Peña García, la figlia, e al figlio ancora minorenne del sig. Peña Cuevas, Joel Luis Peña Cruz. 31. Nel mese di aprile del 2012 la sig.ra García-Nieto faceva ingresso nel territorio della Repubblica federale di Germania con la loro figlia, Jovanlis Peña García. Il 1° giugno 2012 ella dichiarava di essere in cerca di occupazione. Una decina di giorni dopo cominciava a svolgere l’attività di aiuto cuoca. A decorrere dal 1° luglio 2012 la sig.ra García-Nieto percepiva a tale titolo una retribuzione mensile netta di EUR 600 (soggetta al pagamento di contributi previdenziali). 32. Poco dopo, il 23 giugno 2012, le raggiungevano il sig. Peña Cuevas e suo figlio, Joel Luis Peña Cruz. Fino al 1° novembre 2012 i quattro abitavano presso la madre della sig.ra García-Nieto e traevano i propri mezzi di sussistenza dal reddito di quest’ultima. 33. Per un breve periodo, dal 2 al 30 novembre 2012, il sig. Peña Cuevas era professionalmente occupato. Successivamente, dal 1° dicembre 2012 al 1° gennaio 2013 percepiva un’indennità di disoccupazione a norma del Libro III del codice tedesco della previdenza sociale, sulla base dei periodi assicurativi maturati in Spagna. Nel mese di gennaio del 2013 egli svolgeva l’attività di addetto alle pulizie. Successivamente alla cessazione di tale attività, il sig. Peña Cuevas percepiva nuovamente un’indennità di disoccupazione. A decorrere dal mese di ottobre del 2013 egli occupava un nuovo impiego che, secondo la domanda di pronuncia pregiudiziale, avrebbe dovuto giungere a


scadenza il 30 settembre 2014. 34. Dal mese di luglio del 2012 la sig.ra García-Nieto e il sig. Peña Cuevas percepiscono assegni familiari per i loro due figli. Questi ultimi, peraltro, frequentano la scuola dal 22 agosto 2012. 35. Il 30 luglio 2012 i ricorrenti nel procedimento principale presentavano altresì una domanda al Vestiche Arbeit Jobcenter Kreis Recklinghausen (in prosieguo: il «Jobcenter»), allo scopo di beneficiare delle prestazioni di sussistenza previste dal SGB II. 36. Il Jobcenter, tuttavia, negava la concessione di dette prestazioni al sig. Peña Cuevas e a suo figlio, Joel Luis Peña Cruz, per i mesi di agosto e settembre del 2012. La decisione del Jobcenter si basava sull’articolo 7, paragrafo 1, seconda frase, punto 1, del SGB II, atteso che il sig. Peña Cuevas e suo figlio soggiornavano in Germania da meno di tre mesi e il sig. Peña Cuevas, peraltro, non era un lavoratore subordinato o autonomo. Secondo il Jobcenter, l’esclusione del beneficio di dette prestazioni valeva anche per il figlio del sig. Peña Cuevas. A seguito della riserva formulata dal governo tedesco, la Convenzione di assistenza non poteva più far sorgere diritti. 37. Successivamente a tale diniego, i ricorrenti nel procedimento principale proponevano un ricorso avverso detta decisione dinanzi al Sozialgericht Gelsenkirchen (Tribunale del contenzioso sociale di Gelsenkirchen, Germania) e ottenevano una pronuncia a loro favorevole. Il Jobcenter, tuttavia, impugnava tale sentenza dinanzi al Landessozialgericht Nordrhein-Westfalen (Tribunale per il contenzioso in materia sociale del Land Renania settentrionale-Vestfalia). 38. Ciò premesso, detta autorità giurisdizionale esprimeva dubbi riguardo all’ammissibilità, alla luce del diritto dell’Unione, della completa esclusione dei ricorrenti nel procedimento principale dal beneficio delle prestazioni di sussistenza. IV – La domanda di pronuncia pregiudiziale e il procedimento dinanzi alla Corte 39. Con decisione del 22 maggio 2014, pervenuta in cancelleria il 17 giugno 2014, il Landessozialgericht Nordrhein-Westfalen, pertanto, ha


deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, le seguenti questioni pregiudiziali: «1)

Se il principio della parità di trattamento di cui all’articolo 4 del regolamento [n. 883/2004] valga – con l’eccezione della non esportabilità delle prestazioni di cui all’articolo 70, paragrafo 4, di detto regolamento – anche per le prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo ai sensi dell’articolo 70, paragrafi 1 e 2, del regolamento n. 883/2004.

2)

In caso di risposta affermativa alla prima questione: se – ed eventualmente in che misura – sia possibile prevedere restrizioni al principio della parità di trattamento di cui all’articolo 4 del regolamento n. 883/2004 mediante disposizioni delle legislazioni nazionali di attuazione dell’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, in base alle quali l’accesso alle prestazioni in parola non sia garantito senza eccezioni per i primi tre mesi di soggiorno, quando i cittadini dell’Unione non svolgono in Germania un’attività di lavoro subordinato o di lavoro autonomo né godono del diritto alla libera circolazione ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 3, del [FreizügG/EU].

3)

In caso di risposta negativa alla prima questione: se altri principi inerenti alla parità di trattamento sanciti dal diritto primario, in particolare dall’articolo 45, paragrafo 2, TFUE in combinato disposto con l’articolo 18 TFUE, ostino a una disposizione di diritto nazionale che nega senza eccezioni a cittadini dell’Unione, per i primi tre mesi di soggiorno, una prestazione sociale finalizzata a garantire la sussistenza e, nel contempo, ad agevolare l’accesso al mercato del lavoro, quando in Germania tali cittadini non sono lavoratori subordinati o autonomi né possono avvalersi del diritto alla libera circolazione ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 3, del FreizügG/EU, ma possono dimostrare un legame reale con lo Stato membro ospitante e in particolare con il mercato del lavoro di tale Stato membro».

40. Con decisione del 19 marzo 2015, essa ha tuttavia dichiarato che non occorreva rispondere alla prima questione pregiudiziale poiché era stata sollevata negli stessi termini nell’ambito della causa che ha dato


luogo alla sentenza Dano (C-333/13, EU:C:2014:2358) e la Corte vi aveva risposto in senso affermativo dichiarando che «il regolamento n. 883/2004 dev’essere interpretato nel senso che le “prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo” ai sensi degli articoli 3, paragrafo 3, e 70 di detto regolamento ricadono nella sfera di applicazione dell’articolo 4 del regolamento stesso» (5). 41. Osservazioni scritte sono state depositate dai ricorrenti nel procedimento principale, dai governi tedesco, polacco e del Regno Unito nonché dalla Commissione europea. 42. Fatta eccezione per il governo polacco, inoltre, tutte le parti si sono espresse all’udienza tenutasi il 22 aprile 2015. Il governo francese, che non aveva depositato osservazioni scritte, ha parimenti potuto esporre i propri argomenti durante tale udienza. V–

Analisi

A – Osservazioni preliminari relative alla qualifica delle prestazioni di sussistenza previste dalla legislazione nazionale 43. Con la seconda questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede se restrizioni al principio della parità di trattamento di cui all’articolo 4 del regolamento n. 883/2004, previste dalla legislazione nazionale che traspone l’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, siano compatibili con il diritto dell’Unione e, eventualmente, in che misura. 44. Con detta questione, il giudice del rinvio pone a confronto l’articolo 7, paragrafo 1, seconda frase, punto 1, del SGB II con l’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, il quale prevede una deroga al principio della parità di trattamento tra i cittadini dello Stato membro ospitante e i cittadini dell’Unione per quanto concerne la concessione di «prestazioni d’assistenza sociale». 45. L’esame relativo alla conformità della norma nazionale rispetto all’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, dunque, è pertinente solo a condizione che le prestazioni di cui trattasi possano essere qualificate come «prestazioni d’assistenza sociale» ai sensi della direttiva in parola.


46. La Corte ha già avuto occasione di precisare che una prestazione speciale in denaro di carattere non contributivo ai sensi del regolamento n. 883/2004 può rientrare altresì nella nozione di «sistema di assistenza sociale», che compare all’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2004/38 (6). Tuttavia, se tali prestazioni di natura finanziaria sono destinate a facilitare l’accesso al mercato del lavoro, esse non possono quindi essere considerate «prestazioni d’assistenza sociale», ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 (7). In tal caso, ricadono nell’ambito di applicazione dell’articolo 45 TFUE, il quale costituisce il nucleo della terza questione pregiudiziale. 47. Di conseguenza, in base alla natura delle prestazioni di cui trattasi nel procedimento principale, soltanto la seconda o la terza questione sottoposta dal giudice del rinvio dovrà ricevere una risposta. 48. Mi sono già soffermato a lungo su tale questione nelle mie conclusioni nell’ambito delle cause Dano (8) e Alimanovic (9) e sono giunto alla conclusione che le prestazioni di sussistenza previste dal SGB II corrispondono alla definizione delle prestazioni d’assistenza sociale ai sensi della direttiva 2004/38 (10). 49. Parrebbe che la stessa Corte abbia considerato le prestazioni di sussistenza di cui al SGB II come prestazioni d’assistenza sociale ai sensi della direttiva 2004/38. Infatti, al punto 69 della sentenza Dano (C-333/13, EU:C:2014:2358), la Corte ha dichiarato «che un cittadino dell’Unione, per quanto riguarda l’accesso a prestazioni sociali come quelle oggetto del procedimento principale, può richiedere la parità di trattamento rispetto ai cittadini dello Stato membro ospitante solo se il suo soggiorno sul territorio dello Stato membro ospitante rispetta i requisiti di cui alla direttiva 2004/38» (11). Orbene, le prestazioni oggetto di tale procedimento erano identiche a quelle che sono state negate ai ricorrenti nel procedimento principale dal Jobcenter. 50. Di conseguenza, a meno di non voler tornare sul principio posto dalla sentenza Vatsouras e Koupatantze (12), secondo cui prestazioni finanziarie destinate a facilitare l’accesso al mercato del lavoro non possono essere considerate prestazioni d’assistenza sociale ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 (13), concentrerò la mia analisi su quest’ultima disposizione e non sull’articolo 45, paragrafo


2, TFUE. 51. A fini di completezza, procederò nondimeno all’analisi di tale disposizione e prenderò in considerazione la risposta da fornire alla terza questione pregiudiziale qualora la Corte lasciasse al giudice nazionale il compito di qualificare le prestazioni di cui trattasi come prestazioni di assistenza sociale o come prestazioni destinate a facilitare l’accesso al mercato del lavoro o, ancora, come prestazioni che perseguono entrambi gli obiettivi. 52. Ciò premesso, se il giudice nazionale dovesse rilevare che le prestazioni rivendicate perseguono un duplice obiettivo, vale a dire, da un lato, garantire il soddisfacimento di bisogni elementari e, dall’altro, facilitare l’accesso al mercato del lavoro, ritengo che occorrerebbe basarsi sulla funzione prevalente delle prestazioni, che, nel caso di specie, è innegabilmente quella di garantire i mezzi di sussistenza necessari per condurre una vita conforme alla dignità umana. B–

Sulla seconda questione pregiudiziale

53. Ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, uno «Stato membro ospitante non è tenuto ad attribuire il diritto a prestazioni d’assistenza sociale durante i primi tre mesi di soggiorno o, se del caso, durante il periodo più lungo previsto all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b)», ossia durante il periodo di ricerca di un’occupazione per i cittadini dell’Unione che sono entrati nel territorio dello Stato membro ospitante a tal fine e che «non possono [quindi] essere allontanati fino a quando (...) possono dimostrare di essere alla ricerca di un posto di lavoro e di avere buone possibilità di trovarlo». 54. Di conseguenza, se è vero che «l’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 e l’articolo 4 del regolamento n. 883/2004 richiamano il divieto di discriminazione fondata sulla nazionalità, l’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva stessa comporta una deroga al principio di non discriminazione» (14). 55. Per quanto concerne i primi tre mesi presi in considerazione da tale disposizione, nella sentenza Dano (C-333/13, EU:C:2014:2358) la Corte ha confermato una giurisprudenza anteriore secondo cui, «[a]i sensi dell’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, lo Stato


membro ospitante non [era] (...) tenuto ad attribuire il diritto a prestazioni d’assistenza sociale a un cittadino di un altro Stato membro o ai suoi familiari durante questo periodo» (15). Tale giurisprudenza può essere considerata costante (16). 56. Inoltre, con riguardo al diritto dei cittadini degli Stati membri che cercano un’occupazione in un altro Stato membro, ossia in riferimento al secondo periodo di tempo preso in considerazione all’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, la Corte ha già dichiarato che dal suo esame alla luce del principio della parità di trattamento non era «emerso alcun elemento tale da compromettere la validità [di detta norma]» (17). 57. In realtà, l’esistenza di una disparità di trattamento, quanto alla concessione di prestazioni sociali, fra i cittadini dell’Unione che si sono avvalsi della loro libertà di circolazione e di soggiorno e i cittadini dello Stato membro ospitante è «una conseguenza inevitabile della direttiva 2004/38 [in ragione del] rapporto instaurato dal legislatore dell’Unione all’articolo 7 della summenzionata direttiva fra la necessità di disporre di risorse economiche sufficienti quale condizione di soggiorno, da un lato, e l’esigenza di non creare un onere per il sistema di assistenza sociale degli Stati membri, dall’altro» (18). 58. Ciò premesso, il principio alla base di una normativa di uno Stato membro come quella di cui al procedimento principale, la quale esclude dal beneficio di una prestazione speciale in denaro di carattere non contributivo, ai sensi del regolamento n. 883/2004 (costitutiva peraltro di una prestazione di assistenza sociale ai sensi della direttiva 2004/38), le persone che fanno il loro ingresso nel territorio di detto Stato membro allo scopo di cercare un impiego, non mi sembra contrario né all’articolo 4 del regolamento n. 883/2004 né al sistema predisposto dalla direttiva 2004/38. 59. Il complessivo contesto normativo in cui si inserisce la direttiva 2004/38 non rimette in discussione tale conclusione. 60. Nella sentenza Dano (C-333/13, EU:C:2014:2358), la Corte ha ricordato «che l’articolo 20, paragrafo 1, TFUE conferisce a chiunque possegga la cittadinanza di uno Stato membro lo status di cittadino


dell’Unione (sentenza N., C-46/12, EU:C:2013:9725, punto 25)» (19). 61. Essa ha proseguito la propria giurisprudenza costante secondo cui «lo status di cittadino dell’Unione è destinato ad essere lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri che consente a chi tra di essi si trovi nella medesima situazione di ottenere, nell’ambito di applicazione ratione materiae del Trattato FUE, indipendentemente dalla cittadinanza e fatte salve le eccezioni a tal riguardo espressamente previste, il medesimo trattamento giuridico (sentenze Grzelczyk, C-184/99, EU:C:2001:458, punto 31; D’Hoop, C-224/98, EU:C:2002:432, punto 28, nonché N., C-46/12, EU:C:2013:9725, punto 27)» (20). 62. Da tale giurisprudenza risulta che «[o]gni cittadino dell’Unione può quindi far valere il divieto di discriminazione in base alla nazionalità, sancito dall’articolo 18 TFUE, in tutte le situazioni che rientrano nella sfera di applicazione ratione materiae del diritto dell’Unione. Tali situazioni comprendono quelle che rientrano nell’esercizio della libertà di circolare e di soggiornare sul territorio degli Stati membri conferita dagli articoli 20, paragrafo 2, primo comma, lettera a), TFUE e 21 TFUE (v. sentenza N., C-46/12, EU:C:2013:97, punto 28, e giurisprudenza ivi richiamata)» (21). 63. La Corte ha inoltre aggiunto che, «[a]l riguardo, occorre rilevare che l’articolo 18, paragrafo 1, TFUE vieta ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità “[n]el campo di applicazione dei trattati, e senza pregiudizio delle disposizioni particolari dagli stessi previste”. L’articolo 20, paragrafo 2, secondo comma, TFUE precisa espressamente che i diritti che tale articolo conferisce ai cittadini dell’Unione si esercitano “secondo le condizioni e i limiti definiti dai trattati e dalle misure adottate in applicazione degli stessi”. Inoltre, l’articolo 21, paragrafo 1, TFUE subordina, a sua volta, il diritto dei cittadini dell’Unione di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri al rispetto delle “limitazioni e (...) condizioni previste dai trattati e dalle disposizioni adottate in applicazione degli stessi” (v. sentenza Brey, C-140/12, EU:C:2013:565, punto 46 e giurisprudenza ivi richiamata)» (22). 64. Infine, la Corte ne ha tratto la conclusione che «il principio di non discriminazione, sancito in termini generali dall’articolo 18 TFUE, è precisato dall’articolo 24 della direttiva 2004/38 con riguardo ai cittadini


dell’Unione che (...) esercitano la loro libertà di circolare e di soggiornare nel territorio degli Stati membri. Tale principio è precisato, inoltre, dall’articolo 4 del regolamento n. 883/2004 con riguardo ai cittadini dell’Unione (...) che intendono avvalersi, nello Stato membro ospitante, delle prestazioni previste all’articolo 70, paragrafo 2, del regolamento medesimo» (23). 65. In altri termini, l’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, il quale autorizza un trattamento differenziato tra i cittadini dell’Unione e i cittadini dello Stato membro ospitante, costituisce una «deroga al principio della parità di trattamento, sancito dall’articolo 18 TFUE e di cui l’articolo 24, paragrafo 1, della [stessa] direttiva (...) costituisce soltanto un’espressione specifica» (24). Di conseguenza, esso dev’essere interpretato in senso restrittivo e in conformità con le disposizioni del Trattato, comprese quelle relative alla cittadinanza dell’Unione e alla libera circolazione dei lavoratori. 66. Inoltre, le restrizioni alla concessione di prestazioni sociali ai cittadini dell’Unione che non hanno o non hanno più la qualifica di lavoratore, stabilite in base all’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, devono essere legittime (25). 67. Tale visione prospettica e dette norme, le quali impongono, per un verso, che l’eccezione sia interpretata restrittivamente e, per altro verso, che le limitazioni che ne derivano siano legittime, nella causa Alimanovic (C-67/14, EU:C:2015:210), pendente dinanzi alla Corte, mi hanno condotto a proporre una distinzione fra tre ipotesi: –

quella del cittadino di uno Stato membro che si rechi sul territorio di un altro Stato membro e che vi soggiorni da meno di tre mesi ovvero da più di tre mesi ma senza perseguire l’obiettivo di ricercarvi un lavoro (prima ipotesi);

quella del cittadino di uno Stato membro che si rechi sul territorio di un altro Stato membro per ricercarvi un lavoro (seconda ipotesi), e

quella del cittadino di uno Stato membro che soggiorni da più di tre mesi sul territorio di un altro Stato membro e che ivi abbia svolto un’attività lavorativa (terza ipotesi).


68. I ricorrenti nel procedimento principale possono riconoscersi nella situazione individuata dalla prima parte della prima ipotesi (ossia quella di un cittadino di uno Stato membro che si rechi sul territorio di un altro Stato membro e che vi soggiorni da meno di tre mesi) e in quella descritta nella seconda ipotesi (quella del cittadino di uno Stato membro che si rechi sul territorio di un altro Stato membro per ricercarvi un lavoro). 69. Come ho già rilevato supra, nella sentenza Dano (C-333/13, EU:C:2014:2358) la Corte ha confermato che, «[a]i sensi dell’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, lo Stato membro ospitante non [era] (...) tenuto ad attribuire il diritto a prestazioni d’assistenza sociale a un cittadino di un altro Stato membro o ai suoi familiari [per i soggiorni che si protraggono fino a tre mesi]» (26). 70. Tale interpretazione è conforme all’obiettivo di preservare l’equilibrio finanziario del sistema di previdenza sociale degli Stati membri perseguito dalla direttiva 2004/38 (27). Atteso che gli Stati membri non possono esigere che i cittadini dell’Unione possiedano mezzi di sussistenza sufficienti e un’assicurazione malattia personale per un soggiorno della durata di tre mesi, è legittimo non imporre agli Stati membri la loro presa in carico. 71. Infatti, nell’ipotesi contraria, l’attribuzione del diritto a prestazioni d’assistenza sociale ai cittadini dell’Unione che non siano tenuti a disporre di sufficienti mezzi di sussistenza rischierebbe di comportare uno spostamento di massa atto a produrre un irragionevole onere a carico dei sistemi nazionali di sicurezza sociale. 72. Inoltre, sebbene le persone che giungono nel territorio dello Stato membro ospitante possano avere legami personali con altri cittadini dell’Unione che già risiedono in detto Stato membro, il legame con quest’ultimo, con ogni verosimiglianza, è nondimeno limitato durante tale primo periodo. 73. Peraltro, nell’ambito dell’esame della seconda ipotesi contemplata nelle conclusioni presentate nella causa Alimanovic (C-67/14, EU:C:2015:210), pendente dinanzi alla Corte, ho altresì rilevato che dalla giurisprudenza della Corte risulta che «i cittadini degli Stati membri che


si spostano per cercare un impiego beneficiano del principio della parità di trattamento solo per l’accesso al lavoro, [mentre] quelli che hanno già avuto accesso al mercato del lavoro possono pretendere, in base all’art. 7, n. 2, del regolamento [(CEE) n. 1612/68 del Consiglio, del 15 ottobre 1968, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità (28), sostituito dall’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento (UE) n. 492/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2011, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione (29)], gli stessi vantaggi sociali e fiscali dei lavoratori nazionali» (30). 74. Alla luce della motivazione della sentenza Dano (C-333/13, EU:C:2014:2358) relativa all’equilibrio di cui alla direttiva 2004/38 (31) e alla luce della distinzione operata dal diritto dell’Unione e dalla giurisprudenza della Corte tra il lavoratore che arrivi sul territorio di uno Stato membro e quello che abbia già avuto accesso a tale mercato del lavoro, la normativa di uno Stato membro, quale quella di cui trattasi nel procedimento principale, che escluda dal beneficio di una prestazione speciale in denaro di carattere non contributivo, ai sensi del regolamento n. 883/2004 (costitutiva, peraltro, di una prestazione d’assistenza sociale ai sensi della direttiva 2004/38), durante i primi tre mesi del loro soggiorno o per un periodo più lungo, le persone che si recano sul territorio di detto Stato membro qualora perseguano lo scopo di cercare un impiego non mi sembra in contrasto con l’articolo 4 del regolamento in parola né con il sistema predisposto dalla direttiva de qua. 75. Tale esclusione risulta non solo conforme al tenore letterale dell’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, nella parte in cui esso autorizza gli Stati membri a negare il beneficio di prestazioni d’assistenza sociale ai cittadini degli altri Stati membri durante i primi tre mesi e oltre qualora abbiano fatto ingresso sul territorio dello Stato membro ospitante al fine di cercare un impiego, ma altresì all’obiettiva differenza di situazione – sancita dalla giurisprudenza della Corte nonché, segnatamente, dall’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011 – tra i cittadini alla ricerca di un primo impiego sul territorio dello Stato membro ospitante e quelli che hanno già avuto accesso a tale mercato (32). 76.

Ritengo che tale conclusione non sia posta in discussione


neppure dalla lettura della dottrina dedicata all’interpretazione della direttiva 2004/38 e del regolamento n. 883/2004, sebbene essa si collochi nel contesto più globale della cittadinanza dell’Unione, come sancita agli articoli 18 TFUE, 20 TFUE e 21 TFUE (33). 77. Ritengo che neppure l’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), il quale sancisce il diritto al rispetto della vita privata e della vita familiare, del domicilio e delle comunicazioni, possa modificare l’analisi e la conclusione a cui sono giunto. 78. Infatti, oltre al carattere generale dell’articolo 7, possono essere apportate limitazioni ai diritti da esso tutelati a condizione che sia rispettato, in particolare, il principio di proporzionalità, conformemente all’articolo 52, paragrafo 1, della Carta. Orbene, così come il principio della parità di trattamento non è pregiudicato nella sua essenza dalla deroga prevista all’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, lo stesso può dirsi per il diritto al rispetto della vita familiare sancito dall’articolo 7 della Carta. C–

Sulla terza questione pregiudiziale

79. Con la terza questione, il giudice del rinvio chiede, in caso di risposta negativa alla prima questione, se gli articoli 45, paragrafo 2, TFUE, e 18 TFUE, in particolare, ostino a una normativa nazionale che escluda senza eccezioni i cittadini dell’Unione il cui diritto di soggiorno è giustificato soltanto dalla ricerca di un’occupazione dalla concessione di prestazioni sociali volte, da un lato, a fornire mezzi di sussistenza e, dall’altro, ad agevolare l’accesso al mercato del lavoro. 80. Benché la prima questione abbia avuto una risposta affermativa, la terza questione rimane rilevante nell’ipotesi in cui la Corte lasci al giudice del rinvio il compito di qualificare le prestazioni assicurative di base alla luce del diritto dell’Unione e quest’ultimo ritenga che dette prestazioni tendano essenzialmente ad agevolare l’accesso al mercato del lavoro. 81. Infatti, la Corte dichiara costantemente che «non si può più escludere dall’ambito di applicazione dell’articolo [45, paragrafo 2, TFUE], il quale è un enunciato del principio fondamentale della parità di


trattamento garantito dall’articolo [18 TFUE], una prestazione di natura finanziaria destinata a facilitare l’accesso all’occupazione sul mercato del lavoro di uno Stato membro» (34). 82. Tuttavia, nella sentenza Vatsouras e Koupatantze (C-22/08 e C-23/08, EU:C:2009:344), la Corte ha altresì dichiarato che è «legittimo che uno Stato membro attribuisca una siffatta prestazione soltanto previo accertamento dell’esistenza di un legame reale tra chi è alla ricerca di un lavoro ed il mercato del lavoro del medesimo Stato» (35). 83. Secondo costante giurisprudenza, l’esistenza di un nesso del genere può essere verificata, in particolare, accertando che la persona di cui trattasi ha realmente cercato un’occupazione nello Stato membro in questione per un periodo di una durata ragionevole (36). 84. Ciò premesso, «i cittadini degli Stati membri alla ricerca di un lavoro in un altro Stato membro, i quali abbiano stabilito legami reali con il mercato del lavoro di quest’ultimo, possono avvalersi dell’[articolo 45, paragrafo 2, TFUE] al fine di beneficiare di una prestazione di natura finanziaria destinata a facilitare l’accesso al mercato del lavoro» (37). 85. Tuttavia, non è possibile ignorare che la Corte ha già dichiarato che un unico requisito che presenti un carattere troppo generale ed esclusivo, in quanto privilegia indebitamente un elemento che non è necessariamente rappresentativo del grado reale ed effettivo di collegamento tra chi richiede l’indennità di disoccupazione ed il mercato geografico di cui trattasi, escludendo qualsiasi altro elemento rappresentativo, eccede quanto necessario per conseguire l’obiettivo perseguito (38). 86. Dai due suddetti approcci deduco che, al fine di valutare l’esistenza del legame reale con il mercato geografico di cui trattasi, possono essere presi in considerazione anche elementi differenti dalla mera ricerca di un’occupazione. 87. Secondo la Corte, taluni elementi risultanti dal contesto familiare, come l’esistenza di stretti legami di natura personale, sono anch’essi di natura tale da concorrere alla costituzione di un nesso stabile tra l’interessato e il suo nuovo Stato membro ospitante (39). Ciò premesso, «eccede quanto necessario per conseguire l’obiettivo che persegue»


una normativa nazionale che stabilisca una condizione che «osta alla presa in considerazione di altri elementi potenzialmente rappresentativi del reale grado di collegamento del richiedente le indennità di disoccupazione giovanile con il mercato geografico del lavoro considerato» (40). 88. Dalle suesposte considerazioni si evince che il diritto dell’Unione – e più specificamente il principio della parità di trattamento, come sancito dall’articolo 45, paragrafo 2, TFUE, osta alla normativa di uno Stato membro, quale quella di cui è causa nel procedimento principale, che escluda automaticamente un cittadino dell’Unione dal beneficio di una prestazione speciale in denaro di carattere non contributivo ai sensi dell’articolo 70, paragrafo 2, del regolamento n. 883/2004 e che agevoli l’accesso al mercato del lavoro durante il periodo dei primi tre mesi del suo soggiorno, senza consentire a tale cittadino di dimostrare l’esistenza di un legame reale con lo Stato membro ospitante. 89. In proposito, gli elementi risultanti dal contesto familiare (quali la scolarizzazione dei figli o stretti legami, in particolare di natura personale, instaurati dal richiedente con lo Stato membro ospitante) (41) o, ancora, l’effettiva ricerca di un’occupazione per un periodo di una durata ragionevole sono elementi atti a dimostrare l’esistenza di detto legame con lo Stato membro ospitante (42). Il passato esercizio di un’attività lavorativa o anche il fatto di aver trovato un nuovo lavoro successivamente alla presentazione della domanda di concessione di prestazioni sociali dovrebbero essere parimenti presi in considerazione a tal fine (43). 90. Non spetta, tuttavia, alla Corte rilevare l’esistenza di un simile legame nel contesto di una domanda di pronuncia pregiudiziale, bensì alle competenti autorità nazionali, di cui i giudici nazionali fanno parte. VI – Conclusione 91. Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali sottoposte dal Landessozialgericht Nordrhein-Westfalen nei termini seguenti: «1)

L’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38/CE del


Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, dev’essere interpretato nel senso che esso non osta alla normativa di uno Stato membro che escluda dal beneficio di talune «prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo» ai sensi dell’articolo 70, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, come modificato dal regolamento (UE) n. 1244/2010 della Commissione, del 9 dicembre 2010, altresì costitutive di una «prestazione d’assistenza sociale» ai sensi della direttiva 2004/38, i cittadini di altri Stati membri durante i primi tre mesi del loro soggiorno nel territorio dello Stato membro ospitante. 2)

L’articolo 45, paragrafo 2, TFUE, osta alla normativa di uno Stato membro che escluda dal beneficio di talune «prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo» ai sensi dell’articolo 70, paragrafo 2, del regolamento n. 883/2004, come modificato dal regolamento n. 1244/2010, che agevolano l’accesso al mercato del lavoro, i cittadini di altri Stati membri durante i primi tre mesi del loro soggiorno nel territorio dello Stato membro ospitante senza dar loro la possibilità di dimostrare l’esistenza di un legame reale con il mercato del lavoro dello Stato membro ospitante.

1–

Lingua originale: il francese.

2–

GU L 166, pag. 1, e, per rettifica, GU 2004, L 200, pag. 1.

3–

GU L 338, pag. 35.


4–

GU L 158, pag. 77, e, per rettifica, GU 2004, L 229, pag. 35.

5–

Punto 55 nonché punto 1 del dispositivo.

6–

Sentenza Brey (C-140/12, EU:C:2013:565, punto 58).

7– Sentenza Vatsouras e Koupatantze (C-22/08 e C-23/08, EU:C:2009:344, punto 45).

8 – C-333/13, EU:C:2014:341.

9–

C-67/14, EU:C:2015:210, pendente dinanzi alla Corte.

10 – V. paragrafi da 65 a 72 delle mie conclusioni nella causa Dano (C-333/13, EU:C:2014:341) e paragrafi da 54 a 58 delle mie conclusioni nella causa Alimanovic (C-67/14, EU:C:2015:210), pendente dinanzi alla Corte.

11 –

Il corsivo è mio.

12 –

C-22/08 e C-23/08, EU:C:2009:344.

13 –

Ibidem (punto 45).

14 – mio.

Sentenza Dano (C-333/13, EU:C:2014:2358, punto 64). Il corsivo è

15 –

Punto 70.


16 – V. sentenze Vatsouras e Koupatantze (C-22/08 e C-23/08, EU:C:2009:344, punti 34 e 35), nonché Brey (C-140/12, EU:C:2013:565, punto 56).

17 – Sentenza Vatsouras e Koupatantze (C-22/08 e C-23/08, EU:C:2009:344, punto 46). È vero che tale constatazione di validità è stata effettuata rispetto agli articoli 12 e 39, paragrafo 2, CE (attuali articoli 18 e 45, paragrafo 2, TFUE). Tuttavia, atteso che «[o]gni cittadino dell’Unione può (...) far valere il divieto di discriminazione in base alla nazionalità, sancito dall’articolo 18 TFUE, in tutte le situazioni che rientrano nella sfera di applicazione ratione materiae del diritto dell’Unione» [v. sentenza Dano, C-333/13, EU:C:2014:2358, punto 59; il corsivo è mio], ritengo che la constatazione della validità dell’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 effettuata dalla Corte non possa essere limitata soltanto alla situazione del «lavoratore», ai sensi dell’articolo 45 TFUE.

18 –

Sentenza Dano (C-333/13, EU:C:2014:2358, punto 77).

19 –

Punto 57.

20 –

Sentenza Dano (C-333/13, EU:C:2014:2358, punto 58).

21 –

Ibidem (punto 59).

22 –

Sentenza Dano (C-333/13, EU:C:2014:2358, punto 60).

23 –

Ibidem (punto 61). Il corsivo è mio.


24 –

Sentenza N. (C-46/12, EU:C:2013:97, punto 33).

25 –

V., in tal senso, sentenza Brey (C-140/12, EU:C:2013:565, punto 57).

26 –

Punto 70.

27 –

V. considerando 10 di tale direttiva.

28 – GU L 257, pag. 2.

29 – GU L 141, pag. 1.

30 – Sentenza Collins (C-138/02, EU:C:2004:172, punti 31 e 58 nonché giurisprudenza ivi citata).

31 –

Punti da 67 a 79.

32 –

Sentenza Collins (C-138/02, EU:C:2004:172, punti 30 e 31).

33 – Secondo Herwig Verschueren, «[t]ale approccio equilibrato sembra altresì rispecchiato dalla normativa dell’[Unione europea] nella direttiva 2004/38. Detta direttiva, infatti, all’articolo 24, [paragrafo] 2, prevede una deroga al principio della parità di trattamento in materia di assistenza sociale durante i primi tre mesi di soggiorno (...)» (Verschueren, H., «La libre circulation des personnes à l’intérieur de l’UE et les allocations sociales minimales des États membres: en quête d’équilibre», Revue belge de sécurité sociale, 1° trimestre 2013, pagg. da 127 a 133, in particolare pag. 127, v. altresì pag. 117). Anche Marc Morsa conferma che, «[s]ebbene il diritto di soggiorno sia riconosciuto per un periodo massimo di tre mesi a tutti


i cittadini dell’Unione senza alcuna condizione o requisito salvo il possesso di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità (articolo 6, primo comma [della direttiva 2004/38]), l’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 consente nondimeno allo Stato membro ospitante di non attribuire il diritto a prestazioni d’assistenza sociale durante i primi tre mesi di soggiorno alle persone economicamente inattive, affinché non diventino un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale di tale Stato membro» (Morsa, M., «Les migrations internes à l’Union européenne sont-elles motivées par un accès à des prestations sociales? Citoyenneté européenne, liberté de circulation et de séjour des inactifs et droits sociaux, la relation entre la coordination européenne et la directive 2004/38», Journal des tribunaux du travail, 2014, pagg. da 245 a 253, in particolare pag. 251). Elaine Fahey insiste sulla scelta delle parole dell’articolo 24, precisando che «[i]t will be recalled that Art. 24 of the Directive [2004/38], whilst providing for equal treatment of Union citizens to social assistance, expressly states that Member States do not have to extend the value of equal treatment to social assistance for work-seekers. This important derogation is contained in Art. 24(2) (...). The language used in the derogation consists of mandatory legislative language: “shall”, as opposed to discretionary terminology such as “may”, underscoring the fact that states are not under an obligation to provide assistance» (Fahey, E., «Interpretive legitimacy and distinction between “social assistance” and “work seekers allowance”: Comment on Cases C-22/08 and C-23/08 Vatsouras and Koupatantze», E.L. Rev., 2009, 34(6), pagg. da 933 a 949, in particolare pagg. 939 e 940, v. altresì pag. 946). Anche Kay Hailbronner conferma tale lettura, priva di ambiguità, dell’articolo 24 della direttiva 2004/38 allorché scrive che «the article 24 unequivocally excludes job-seekers from social assistance for the first three months of residence or where appropriate for a longer period of job-seeking. No exception is made for a genuine link to the employment market» (il corsivo è mio, Hailbronner, K., «Union citizenship and access to social benefits», CML Rev., 2005(42), pagg. da 1245 a 1267, in particolare pag. 1263, v. altresì gli sviluppi alle pagg. 1259 e 1260).

34 – Sentenza Prete (C-367/11, EU:C:2012:668, punto 25). V. altresì, in tal senso, punto 49 della stessa sentenza; sentenze Collins (C-138/02, EU:C:2004:172, punto 63); Ioannidis (C-258/04, EU:C:2005:559, punto 22),


nonché Vatsouras e Koupatantze (C-22/08 e C-23/08, EU:C:2009:344, punto 37).

35 –

Punto 38.

36 – V., in tal senso, sentenze Collins (C-138/02, EU:C:2004:172, punto 70); Vatsouras e Koupatantze (C-22/08 e C-23/08, EU:C:2009:344, punto 39), nonché Prete (C-367/11, EU:C:2012:668, punto 46).

37 – Sentenza Vatsouras e Koupatantze (C-22/08 e C-23/08, EU:C:2009:344, punto 40).

38 – V., in tal senso, sentenza Prete (C-367/11, EU:C:2012:668, punto 34 e giurisprudenza ivi citata).

39 – Ibidem (punto 50).

40 – Ibidem (punto 51).

41 – V., in tal senso, sentenze Prete (C-367/11, EU:C:2012:668, punto 50), e Stewart (C-503/09, EU:C:2011:500, punto 100).

42 – Perlomeno con il suo mercato del lavoro. V., in tal senso, sentenze Collins (C-138/02, EU:C:2004:172, punto 70); Vatsouras e Koupatantze (C-22/08 e C-23/08, EU:C:2009:344, punto 39), nonché Prete (C-367/11, EU:C:2012:668, punto 46).

43 – V., a tal proposito, conclusioni dell’avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer nelle cause Vatsouras e Koupatantze (C-22/08 e C-23/08,


EU:C:2009:150), il quale evidenziava che i ricorrenti nel procedimento principale avevano svolto un’attività economica nel corso dei primi mesi successivi al loro ingresso nel territorio dello Stato membro ospitante. In forza di tale particolare circostanza, l’avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer ritiene che i ricorrenti «difficilmente poss[ano] essere considerati come “persone in cerca di lavoro” ordinarie se sono successivamente rimasti disoccupati» (paragrafo 63).

Un'importante sentenza del Consiglio di Stato ha confermato l’orientamento del Tar del Lazio e ha reso giustizia alle persone con disabilità e alle loro famiglie stabilendo che l’indennità di accompagnamento non debba essere valutata come reddito”. l’inclusione dell’indennità di accompagnamento, delle prestazioni economiche assistenziali e delle prestazioni risarcitorie, nel computo del reddito rilevante ai fini dell’Isee. i trattamenti assistenziali non sono una remunerazione dello stato di invalidità, come un qualsiasi lavoro, ma semplicemente un sostegno alla persona con disabilità”.

N. 00842/2016REG.PROV.COLL. N. 06471/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente


SENTENZA

sul ricorso n. 6471/2015 RG, proposto dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dal Ministero dell'economia e delle finanze, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12,

contro i sigg. …..., intimati ed appellanti incidentali, tutti rappresentati e difesi dall'avv. Federico Sorrentino, con domicilio eletto in Roma, lungotevere delle Navi n. 30,

per la riforma della sentenza del TAR Lazio – Roma, sez. I, n. 2459/2015, resa tra le parti e concernente il regolamento sulla revisione delle modalità di determinazione e sui campi di applicazione dell'ISEE (indicatore della situazione economica equivalente); Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del sig. Loffredo e consorti; Visti gli atti tutti della causa; Relatore all'udienza pubblica del 3 dicembre 2015 il Cons. Silvestro Maria Russo e uditi altresì, per le parti, l’avv. Sorrentino e l'Avvocato dello Stato Grasso; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue: FATTO e DIRITTO 1. – Il sig. Corrado Loffredo e consorti assumono d’esser tutti disabili o congiunti di disabili medi, gravi o non autosufficienti, che in varia guisa percepiscono trattamenti assistenziali o sociosanitari. Il sig. Loffredo e consorti rendono nota altresì l’emanazione del DPCM 5 dicembre 2013 n. 159 (in G.U. n. 19 del 24 gennaio 2014), atto regolamentare emanato in base all’art. 5, c. 1 del DL 6 dicembre 2011 n. 201 (conv. modif. dalla l.


22 dicembre 2011 n. 214) e concernente la revisione delle modalità per la determinazione ed i campi d’applicazione dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE). Quest’ultimo era stato introdotto dal Dlg 31 marzo 1998 n. l09 al fine di fissare criteri uniformi per la valutazione della situazione economica di coloro che richiedono prestazioni o servizi sociali o assistenziali non destinati alla generalità dei soggetti o, ad ogni modo, collegati nella misura o nel costo a determinate situazioni economiche. L'ISEE (art. 2 del DPCM) è quindi l’ordinario metodo «… di valutazione, attraverso criteri unificati, della situazione economica di coloro che richiedono prestazioni economiche agevolate…». Esso è costituito da una componente reddituale (indicatore della situazione reddituale – ISR) e da una componente patrimoniale (indicatore della situazione patrimoniale – ISP) ed è utilizzabile per confrontare famiglie, con composizione e caratteristiche differenti, grazie ad una scala di equivalenza (SE). La precedente normativa, emanata in base al citato Dlg 109/1998, s’è però rilevata per vari aspetti alquanto inefficace ad assicurare un sufficiente grado di equità nell’individuazione dei beneficiari. Infatti, non avendo ben considerato tutte le diverse fonti di reddito disponibile e di ricchezza patrimoniale delle famiglie, essa è stata sostituita dall'art. 5 del DL 201/2011. In particolare, questo ha stabilito che, «… con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare… entro il 31 maggio 2012, sono rivisti le modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'… (ISEE) al fine di: adottare una definizione di reddito disponibile che includa la percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale, e che tenga conto delle quote di patrimonio e di reddito dei diversi componenti della famiglia nonché dei pesi dei carichi familiari, in particolare dei figli successivi al secondo e di persone disabili a carico; migliorare la capacità selettiva dell'indicatore, valorizzando in misura maggiore la componente


patrimoniale sita sia in Italia sia all'estero…; permettere una differenziazione dell'indicatore per le diverse tipologie di prestazioni…». Dal che emanazione del predetto DPCM, con i cui sono fissati i requisiti d’accesso alle prestazioni sociali e il livello di partecipazione al loro costo da parte degli utenti, sì da definire in tal maniera il livello essenziale delle prestazioni, ai sensi dell’art. 117, II c., lett. m), Cost. Tra le predette prestazioni economiche agevolate, cui l’ISEE si riferisce, l’art. 1, lett. f) del DPCM indica pure le «…prestazioni agevolate di natura sociosanitaria… (rivolte) … a persone con disabilità e limitazioni dell’autonomia…», quali appunto sono il sig. Loffredo e consorti. 2. – Questi ultimi, ritenendo che talune disposizioni di tal DPCM fossero in sé illegittime ed assai limitative del loro accesso alla prestazioni de quibus, sono insorti innanzi al TAR Lazio col ricorso n. 3683/2014 RG. Al riguardo, essi hanno colà dedotto: I) – l'illegittimità costituzionale dell'art. 5, c. 1 del DL 201/2011 con riguardo agli artt. 87 e 95 Cost., laddove ha indebitamente previsto, per la propria attuazione, un regolamento da adottare con decreto del Presidente del Consiglio, anziché col necessario DPR, previa deliberazione del Consiglio dei ministri e sentito il parere del Consiglio di Stato; II) – l’illegittima ed irrazionale dttuazione del criterio direttivo ex art. 5, c. 1 che, nel disporre l’adozione di «…una definizione di reddito disponibile che includa la percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale…», si sarebbe dovuto interpretare nel senso dell’eliminazione delle lacune della precedente regolamentazione (facendo, cioè, emergere cespiti anche cospicui ma esenti da tributo o diversamente tassati), non certo nel senso d’includere nella definizione di reddito disponibile pure i trattamenti indennitari o risarcitori percepiti dai disabili a causa della loro accertata invalidità e volti ad attenuare tal oggettiva situazione di svantaggio; III) – l’irrazionalità e l’erroneità, nonché il difetto di seria istruttoria in ordine alla fissazione, da parte dell'art. 4, commi 3, lett. c) e 4, lettere b), c) e d) del DPCM, di talune detrazioni e franchigie in misura


insufficiente ed irrealistica rispetto alle reali spese di cura ed assistenza gravanti sui disabili e sulle loro famiglie; IV) – l’irrazionalità della previsione dell'art. 6, c. 3 del DPCM, laddove stabilisce, per le prestazioni agevolate di natura socio-sanitaria rivolte a maggiorenni ed erogate in ambiente residenziale a ciclo continuativo, che «… in caso di presenza di figli del beneficiario non inclusi nel nucleo familiare ai sensi del comma 2, l'ISEE è integrato di una componente aggiuntiva per ciascun figlio, calcolata sulla base della situazione economica dei figli medesimi…», tranne che il figlio o un componente del suo nucleo sia disabile, oppure se sia «… accertata in sede giurisdizionale o dalla pubblica autorità competente in materia di servizi sociali la estraneità del figlio in termini di rapporti affettivi ed economici… ». L’adito TAR, con sentenza n. 2459 dell’11 febbraio 2015, ha: 1) – accolto il secondo motivo, per l’effetto annullando l'art. 4, c. 2, lett. f) del DPCM 159/2013, nella parte in cui ha incluso, tra i dati da considerare ai fini ISEE per la situazione reddituale i trattamenti assistenziali, previdenziali ed indennitari percepiti dai soggetti portatori di disabilità; 2) – accolto pure il terzo motivo, annullando così l'art. 4, c. 4, lett. d) del DPCM, soltanto nella parte in cui, nel fissare le franchigie da detrarre dai redditi, aveva introdotto «… un'indistinta differenziazione tra disabili maggiorenni e minorenni, consentendo un incremento di franchigia solo per quest'ultimi, senza considerare l'effettiva situazione familiare del disabile maggiorenne…»; 3) – ritenuto non fondate tutti gli altri motivi. Appellano quindi la Presidenza del Consiglio dei ministri ed i Ministeri del lavoro e dell’economia e finanze, con il ricorso in epigrafe, deducendo l’erroneità della sentenza per: A) – non aver statuito l’inammissibilità del ricorso di prime cure, a causa sia della natura di atto generale riconoscibile nel DPCM 159/2013, sia dell’assenza d’una sua autonoma lesività; B) – non aver considerato in ogni caso la non attualità della lesione, la quale discende non dal DPCM in sé, ma dagli atti degli enti erogatori che fisseranno, di volta in volta e per ciascun tipo di


prestazione socioassistenziale, le soglieISEE; C) – non aver tenuto conto né del metodo concertativo e dell’ampio apporto di pareri tecnici e di questo Consiglio di Stato nella predisposizione del DPCM, né della fondamentale regola posta dal relativo art. 4, c. 2, lett. f), centrale nel sistema della riforma dell’ISEE alla luce dei vari numerosi ed autorevoli studi in materiale e della sua coerenza con i valori costituzionali implicati nella scelta dell’art. 5 del DL 201/2011, quando ha basato la revisione dell’ISEE su una nozione innovativa di reddito, diverso a quello ai fini IRPEF ed incentrato anche sulle somme esenti da imposizione tributaria; D) – non aver considerato che comunque il DPCM reca agevolazioni e varie franchigie di maggior favore per i soggetti più deboli (disabili e minori), invece minimizzate dallo stesso TAR; E) – non aver colto gli effetti nocivi del dispositivo con cui quest’ultimo ha annullato l’art. 4, commi 3 e 4 e l’art. 9, c. 3 del DPCM 159/2013, che refluiscono negativamente sul sistema di detrazioni e franchigie colà stabilite; F) – non aver colto nemmeno il favor minoris sotteso al diverso trattamento rispetto ai disabili maggiorenni, i quali fanno sempre nucleo familiare a sé (pur quando permangano in quello dei genitori), mentre ciò non accade per i minorenni. Resistono in giudizio il sig. Loffredo e consorti, i quali propongono pure un gravame incidentale al fine di riproporre i motivi disattesi o assorbiti dal TAR. Alla pubblica udienza del 3 dicembre 2015, su conforme richiesta delle parti, il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio. 3. – Sebbene i due appelli si rivolgano contro parti differenti del DPCM in questione, comunque il Collegio reputa opportuno esaminare in via prioritaria l’appello incidentale del sig. Loffredo e consorti. L’eventuale accoglimento di anche uno dei suoi motivi, che comporti l’annullamento del decreto stesso o di altre sue parti, renderebbe improcedibile l’appello principale o implicherebbe altri annullamenti parziali e, dunque, la revisione di tal DPCM.


Sennonché il gravame incidentale non può esser condiviso e sul punto la sentenza va confermata, in quanto è immune dalle critiche che il sig. Loffredo e consorti le oppongono. Ciò potrebbe pure esimere il Collegio dalla disamina delle preliminari eccezioni d’inammissibilità, proposte contro il ricorso di primo grado e qui ribadite dalle Amministrazioni appellanti principali. A ben vedere, però e per completezza espositiva, il Collegio le reputa del tutto prive di pregio e non dura fatica a rigettarle. Invero, a fronte della norma primaria, il DPCM è sì un regolamento, ma non è munito, in tutti i suoi aspetti, dalle caratteristiche della generalità e dell’astrattezza, non certo sulle definizioni di «reddito disponibile», «valorizzazione delle componenti patrimoniali», «nucleo familiare» ed obblighi connessi. Sicché esso è già in sé lesivo, al di là dell’innovazione rispetto al previgente regime, non solo perché conforma l’apporto degli enti erogatori limitandolo ai soli criteri ancor più discretivi dell’accesso alle prestazioni (ossia, le soglie), ma soprattutto già di per sé solo amplia la platea dei contribuenti, la loro base imponibile e gli obblighi di solidarietà. Errano dunque le Amministrazioni ad insistere nel sostenere l'inammissibilità del ricorso in quanto il DPCM sarebbe «… ascrivibile al novero dei regolamenti c.d. di volizione preliminare… inidoneo a realizzare un'immediata incisione della sfera giuridica dei destinatari…». L’immediatezza della lesione verso gli odierni appellanti incidentali è evidente, poiché il DPCM reca disposizioni, non meramente programmatiche, bensì puntuali e direttamente applicabili. Basti al riguardo pensare, al di là di ciò che potranno essere gli atti applicativi dell’ISEE da parte degli enti erogatori, alla combinazione dei nuovi redditi rilevanti ai fini ISEE, sì da determinare comunque un maggior sforzo contributivo in capo ai richiedenti le prestazioni ed ai loro familiari. Da ciò discende la piena sussistenza dell’interesse a ricorrere, a favore dei sigg.


Loffredo e consorti e non solo perché essi appartengono alle varie categorie di richiedenti le prestazioni sociosanitarie ed assistenziali. Si presti attenzione alla questione, favorevolmente risolta dal TAR verso gli odierni appellanti incidentali, per cui essi fanno constare come tal maggior (ed oggettivo) aggravio contributivo non sia, almeno secondo la loro prospettazione e nella sostanza, basato su un’effettiva e realmente mutata (rispetto al regime ex Dlg 109/1998) attitudine a tal contribuzione. Infatti, le Amministrazioni appellanti principali affermano che il DPCM ha l’effetto diretto ed immediato di modificare, attraverso un ricalcolo dei loro redditi, le caratteristiche dei beneficiari delle prestazioni erogate in base all'ISEE. Oggetto del contendere, nella specie e tra l’altro, non già la ridefinizione del reddito disponibile in sé, ma la non neutralità, anzi l’effetto immediatamente distorsivo (qual che sarà poi l’atteggiamento degli enti erogatori) dell’inclusione di tutti i trattamenti indennitari tra i redditi rilevanti ai fini ISEE. Tal ridefinizione non è più rimessa alle scelte “a valle” del DPCM, ma discende direttamente da quest’ultimo, che è dunque in sé immediatamente lesivo, ad onta della sua definizione di fonte secondaria. 4. – Rettamente il TAR ha respinto il primo motivo del ricorso di primo grado, che gli appellanti incidentali qui ripropongono, ossia l’illegittimità del DPCM derivata dall’illegittimità costituzionale dell’art. 5, c. 1 del DL 201/2011, laddove ha

attribuito

al

Presidente

del

Consiglio

dei

ministri

una

potestà

regolamentare extra ordinem rispetto all’art. 95 Cost. ed in violazione del precedente art. 87. Infatti, afferma il TAR che «… d.P C.M e d.m. costituiscono fonti di rango pariordinato e il primo si distingue inoltre per le maggior garanzie date dall'intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri oltre ai Ministri proponenti e/o concertanti, nel caso di specie coincidenti, evitando anche vuoti normativi connessi all'effetto abrogativo di precedente disciplina anche di rango primario …».


Ebbene, gli appellanti devono ammettere ciò che in modo preciso indica il TAR: la legge è la fonte della competenza per l’esercizio delle funzioni amministrative, onde può derogare non soltanto alla procedura ex art. 17 della l. 23 agosto 1988 n. 400, ma pure alle attribuzioni dei singoli Ministri, se queste non sono garantite da riserve assolute di legge o da fonti rinforzate. Infatti, è vero che i regolamenti da sottoporre all’emanazione del Capo dello Stato spettano all’organo Consiglio dei ministri in base all’art. 2, c. 3, lett. c) della l. 400/1988. Ma dice il successivo c. 4 che tal previsione, come tutte le altre contenute nel medesimo c. 3, è tassativa, onde tutto ciò che non vi pertiene resta nella disponibilità del legislatore ordinario che può prevedere, senza per ciò solo incappare in una censura d’irragionevolezza o di violazione dell’art. 95 Cost., percorsi differenziali o specifici. Ed è appunto questo il caso, in cui l’argomento regolato dal DPCM riguarda settori sensibili che non sono esclusivamente ascrivibili alla competenza d’un singolo Dicastero, com’è appunto il caso in esame, ove l’oggetto della norma primaria e della sua attuazione riguarda i livelli essenziali delle prestazioni sociali e d’assistenza ai sensi dell’art. 117, II c., lett. m) e dell’art. 120, II c., Cost. Si tratta d’un argomento che, com’è noto e quando tocca le prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, non costituisce una materia in senso stretto, ma configura una competenza del legislatore idonea a investire tutte le materie, rispetto alle quali egli deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull'intero territorio della Repubblica, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale dei diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle. Non sfugge certo al Collegio che, nella prassi, lo spazio normativo riconosciuto ai regolamenti di attuazione in alcuni casi è tale che la disposizione legislativa abilitante si limita al conferimento sic et simpliciter della potestà normativa secondaria, secondo uno schema che, prima dell'entrata in vigore della l. 400/1988, sembrava appartenere ai regolamenti indipendenti.


Ma, nella specie, tal conferimento d’un percorso attuativo ad hoc muove proprio dalla trasversalità dei LIVEAS e si invera nella previsione del ripetuto art. 5, c. 1, poiché se ne deve realizzare uno actu la complessità tecnica, determinando a livello nazionale criteri d’accesso uniformi a servizi da garantire a cittadini in situazioni sensibili in modo uniforme nell’intero territorio della Repubblica. Non è un caso che l’art. 5, c. 1 si riferisca anche alla dimensione economica e finanziaria, giacché la ridefinizione dell’ISEE è misura anche dello sforzo della finanza pubblica nel dare prestazioni non solo uniformi, ma pure eque. Sicché è coerente con l’art. 95, I c., Cost. il modello delineato dall’art. 5, c. 1 quando, per un verso, demanda la propria attuazione al DPCM, perché, appunto a cagione della complessità e della multidisciplinarietà degli argomenti colà dedotti, più che di «attuazione» o di «esecuzione» , il DPCM è un esempio di «legislazione integrata», ossia di complementarità tra i due atti-fonte, al di là del loro rapporto gerarchico. Per altro verso, tal devoluzione è affidata non in modo solitario al Presidente del Consiglio dei ministri, ma ad un potere condiviso tra questi e la proposta ed il concerto dei Ministri generalmente competenti ratione materiae (o, meglio, ognuno per certi aspetti o segmenti dei LIVEAS), i quali, nel codecidere, v’è un coordinamento di volontà e di assunzione di un’unica responsabilità. Inoltre, se il DPCM è la fonte attuativa specifica dell’art. 5 del DL 201/2011, per scelta della legge diviene un atto equiordinato al DM, per cui non vengono in evidenza i poteri del Capo dello Stato ex art. 87, IV c., Cost. Sembra ormai consolidata l’interpretazione di tale norma, per cui essa si riferisce ai soli regolamenti statali subordinati alla legge ordinaria e, in particolare, a quelli che la fonte primaria realmente attribuisce al potere del Presidente della Repubblica. Nonostante l’art. 87, IV c. parli tout court dei regolamenti emanati dal Capo dello Stato, non si può affermare né che gli spetti la competenza esclusiva circa l’emanazione d’un qualunque atto esecutivo di fonti primarie, né che queste


ultime, ove conferiscano una potestà regolamentare ad altri organi siano per ciò solo costituzionalmente illegittime. Alla stessa conclusione deve il Collegio di pervenire, con riguardo a quella parte, respinta, del terzo mezzo del ricorso al TAR, laddove concerne le franchigie ex art. 4, c. 4 del DPCM, contestate perché: son state emanate in difetto di un'istruttoria che rilevasse gli effettivi costi della disabilità; prevedono una detraibilità solo delle spese mediche indicate in dichiarazione dei redditi; dette spese sono detraibili solo fino a € 5.000 l’anno; le spese per l'assistenza personale son detraibili fino all'ammontare dei sussidi erogati dalla P.A. nell'anno solare precedente (così discriminando i disabili a seconda non delle loro disponibilità economiche, ma del fatto se risiedono in luoghi ove vi sono bassi investimenti a sostegno della disabilità; è immotivata l’omessa indicizzazione dei tetti per la detrazione delle spese di cura ed assistenza e delle franchigie. Il TAR giustamente ha rigettato tali doglianze perché «… l'affermazione per cui le detrazioni e le franchigie previste dalla norma in rubrica non sarebbero comunque sufficienti a garantire uno standard di vita accettabile appare generica e indimostrata per ciascuno dei ricorrenti…». Ad onta di ciò che dicono essi, non il DPCM, che fissa nelle sue norme taluni principi e punti d’equilibrio tra compartecipazione alla spese ad accesso alle prestazioni, ma gli appellanti incidentali erano onerati ad offrire un serio principio di prova circa l’effetto lesivo personale di regole ictu oculi neutre, tant’è che il ricorso in epigrafe riporta alcuni esempi certo problematici, ma generici tanto quanto le regole generali contestate. È appena da soggiungere che la regola dell’indicazione in DSU delle spese mediche esposte nella dichiarazione dei redditi, in base ad un’interpretazione di buona fede e ragionevolezza, vale solo per chi è obbligato a presentare la dichiarazione stessa e certo non esclude gli altri disabili che non devono produrla. Ed è da osservare altresì, come il TAR ha già fatto, nulla vieta al richiedente la prestazione assistenziale, anche se esonerato


dall'obbligo di detta dichiarazione, può comunque presentarla, indipendentemente da vantaggio tributario, foss’anche ai soli fini di far constare la propria situazione per il calcolo dell’ISEE. Infine, redditi, patrimoni e franchigie son stati fissati dal DPCM allo stato e variano con riguardo alle situazioni di ciascun richiedente rispetto a ciascun anno precedente alla presentazione della DSU. Sicché, a parte che ogni loro aggiornamento non è previsto, ma neppure vietato dall’art. 5 del DL 201/2011, non v’è allo stato un meccanismo normativo generale, stabilito in diritto positivo, che imponga l’adeguamento automatico di emolumenti ed indennità al costo della vita. Ebbene, come non v’è bisogno di adeguamenti fissi ed automatici da parte della P.A. fintanto che non si verifichi la necessità di modificare, per un mutato assetto della economia nazionale, le componenti reddituali rilevanti ai fini dell’ISEE, così è già il divenire dei redditi e dei patrimoni dei richiedenti e dei loro nuclei familiari a determinarenaturaliter quelle variazioni adeguatrici che, con le rispettive DSU, si possono far constare di anno in anno. 5. – Il Collegio passa ora ad esaminare il gravame principale, che però non può esser condiviso, per le ragioni qui di seguito indicate. 6. – Le Amministrazioni appellanti si dolgono dell’impugnata sentenza laddove ha accolto il secondo motivo di primo grado, rivolto contro l’art. 4, c. 1, lett. f) del DPCM, poiché questo contempla nell’ISEE, tra i trattamenti fiscalmente esenti, quelli aventi natura indennitaria o compensativa. In sostanza, il TAR stigmatizza come l’art. 4, c. 1, lett. f) individui, tra il reddito disponibile, siffatti proventi «… che l’ordinamento pone a compensazione della oggettiva situazione di svantaggio, anche economico, che ricade sui disabili e sulle loro famiglie…», peraltro senza darne adeguata e seria contezza, poiché non si tratta né di reddito, né tampoco di reddito disponibile ai sensi dell’art. 5, c. 1 del DL 201/2011.


Replicano le appellanti che il DPCM adotta una definizione ampia di reddito, riconducendo ad esso, ai fini del calcolo dell’ISEE, sia il reddito complessivo IRPEF, sia i redditi tassati con regimi sostitutivi o a titolo di imposta (es. contribuenti minimi, cedolare secca sugli affitti, premi di produttività, ecc.), sia i redditi esenti, nonché tutti i trasferimenti monetari ottenuti dall’Autorità pubblica (assegni al nucleo familiare, pensioni d’invalidità, assegno sociale, indennità d’accompagnamento, ecc.). Sono inclusi altresì i redditi figurativi degli immobili non locati e delle attività mobiliari, mentre ne sono esclusi gli assegni corrisposti al coniuge in seguito a separazione o divorzio per il mantenimento di questi e/o dei figli. Sicché, a loro dire, detta assimilazione sarebbe necessitata per esigenze di equità perequativa e contributiva, come evincesi sia dai contributi di autorevole dottrina (per cui, se l’ISEE serve a definire accesso ed importo delle misure di contrasto alla povertà, non considerare i redditi esenti finirebbe per beneficiare ancor di più chi goda già di indennità esenti da IRPEF), sia dall’uso d’un concetto atecnico di reddito (diverso, cioè, da quello indicato dal DPR 917/1986 per l’IRPEF). Inoltre, a detta delle appellanti stesse, il TAR avrebbe minimizzato l’apporto di franchigie, detrazioni e deduzioni, che invece riducono l’ISEE ed offrono un effetto netto vantaggioso per i disabili e, anzi, darebbe una lettura erronea del ripetuto art. 5, nella misura in cui aggancia la nuova definizione di reddito disponibile alla maggior valorizzazione delle componenti patrimoniali site in Italia o all’estero. L’impressione, che si ricava ictu oculi dalla serena lettura dell’articolato secondo mezzo d’appello principale è che le Amministrazioni non riescono a fornire anche in questa sede la ragione per cui le indennità siano non solo o non tanto reddito esente, quanto reddito rilevante ai fini ISEE, che è poi il punto centrale della statuizione del TAR sull’argomento. Ora, non dura fatica il Collegio a dar atto sia che il citato art. 5, c. 1 imponga una


definizione di reddito disponibile inclusiva della percezione di proventi ancorché esenti dall’imposizione fiscale, sia della circostanza che, talune volte, il legislatore adoperi il vocabolo «indennità» per descrivere emolumenti incrementativi del reddito o del patrimonio del beneficiario. Nondimeno, non par certo illogica, anzi è opportuna una seria disamina di ciascun emolumento che s’intenda sussumere nel calcolo dell’ISEE, al di là quindi del nomen juris assegnatogli. Occorre partire, pero, da talune ed ineludibili considerazione generali che, sullo specifico punto reputato incongruo dal Giudice di prime cure, evidentemente sfuggono alle appellanti, al di là d’ogni altra vicenda che ha preceduto l’emanazione del DPCM. Si tratta in sostanza della questione per cui, se tali somme sono erogate al fine di attenuare una situazione di svantaggio, tendono a dar effettività al principio di uguaglianza, di talché è palese la loro non equiparabilità ai redditi già di per sé, ossia indipendentemente dalla loro inserzione nel calcolo dell'ISEE. Si proceda per ordine. Non v’è dubbio che l’ISEE possa, anzi debba, ai fini di un’equa e seria ripartizione dei carichi per i diversi tipi di prestazioni erogabili per il cui accesso tal indicatore è necessario, tener conto di tutti i redditi che sono esenti ai fini IRPEF, purché redditi. Ed è conscio il Collegio che, ai fini dell’ISEE, prevalgano considerazioni di natura assicurativa ex art. 38, commi II e IV, Cost., che integrano il diritto alla salute di cui al precedente art. 32, I c. Ciò si nota soprattutto quando, come s’è visto, le prestazioni assistenziali siano strettamente intrecciate a quelle sociosanitarie e, dunque, serva un indicatore più complesso del solo reddito personale imponibile, per meglio giungere ad equità, ossia ad una più realistica definizione di capacità contributiva. Tuttavia, nulla quaestio fintanto che si resta nel perimetro concettuale del reddito, che le appellanti affermano d’aver usato in modo atecnico, ma che il Collegio definirebbe meglio «reddito non collegato o rideterminato rispetto allo stretto regime


impositivo IRPEF (o, più brevemente, reddito – entrata) ». L’obbligo di contribuzione assicurativa non tributaria può assumere anche valori e basi imponibili più adatte allo scopo redistributivo e di benessere (se, come nella specie, è coinvolta per età e/o patologia una platea contributiva settoriale) e senza per forza soggiacere allo stretto principio di progressività, che comunque in vario modo il DPCM assicura. Ma quando si vuol sussumere alla nozione di reddito unquid di economicamente diverso ed irriducibile, non può il legislatore, né tampoco le appellanti principali, dimenticare che ogni forma impositiva va comunque ricondotta al principio ex art. 53 Cost. e che le esenzioni e le esclusioni non sono eccezioni alla disciplina del predetto obbligo e/o del presupposto imponibile. Esse sono piuttosto vicende presidiate da valori costituzionali aventi pari dignità dell’obbligo contributivo, l’effettiva realizzazione dei quali rende taluni cespiti inadatti alla contribuzione fiscale. Ebbene, se di indennità o di risarcimento veri e propri si tratta (com’è, p. es., l’indennità di accompagnamento o misure risarcitorie per inabilità che prescindono dal reddito), né l’una, né l’altro rientrano in una qualunque definizione di reddito assunto dal diritto positivo, né come reddito – entrata, né come reddito – prodotto (essenzialmente l’IRPEF). In entrambi i casi, per vero, difetta un valore aggiunto, ossia la remunerazione d’uno o più fattori produttivi (lavoro, terra, capitale, ecc.) in un dato periodo di tempo, con le correzioni che la legge tributaria se del caso apporta per evitare forme elusive o erosive delle varie basi imponibili. E ciò, peraltro, non volendo considerare pure la citazione non pertinente d’una dottrina che a suo tempo evidenziò talune criticità di un ISEE che non contemplasse le indennità, ma riferite ai casi di prestazioni per il contrasto alla povertà. Sicché pure tal osservazione dovrebbe far concludere che, anche a seguire il ragionamento delle appellanti, non ogni indennità è assimilabile ad un reddito quando si tratti di altro tipo di soggetti e di prestazioni.


Non è allora chi non veda che l’indennità di accompagnamento e tutte le forme risarcitorie servono non a remunerare alcunché, né certo all’accumulo del patrimonio personale, bensì a compensare un’oggettiva ed ontologica (cioè indipendente da ogni eventuale o ulteriore prestazione assistenziale attiva) situazione d’inabilità che provoca in sé e per sé disagi e diminuzione di capacità reddituale. Tali indennità o il risarcimento sono accordati a chi si trova già così com’è in uno svantaggio, al fine di pervenire in una posizione uguale rispetto a chi non soffre di quest’ultimo ed a ristabilire una parità morale e competitiva. Essi non determinano infatti una "migliore" situazione economica del disabile rispetto al non disabile, al più mirando a colmare tal situazione di svantaggio subita da chi richiede la prestazione assistenziale, prima o anche in assenza di essa. Pertanto, la «capacità selettiva» dell’ISEE, se deve scriminare correttamente le posizioni diverse e trattare egualmente quelle uguali, allora non può compiere l’artificio di definire reddito un’indennità o un risarcimento, ma deve considerali per ciò che essi sono, perché posti a fronte di una condizione di disabilità grave e in sé non altrimenti rimediabile. È appena da osservare che il sistema delle franchigie, a differenza di ciò che affermano le appellanti principali, non può compensare in modo soddisfacente l’inclusione nell’ISEE di siffatte indennità compensative, per l’evidente ragione che tal sistema s’articola sì in un articolato insieme di benefici ma con detrazioni a favore di beneficiari e di categorie di spese i più svariati, onde in pratica i beneficiari ed i presupposti delle franchigie stesse sono diversi dai destinatari e dai presupposti delle indennità. Non convince infine il temuto vuoto normativo conseguente all’ annullamento in parte qua di detto DPCM, in quanto, in disparte il regime transitorio cui il nuovo ISEE è sottoposto, a ben vedere non occorre certo una novella all’art. 5 del DL 201/2011 per tornare ad una definizione più realistica ed al contempo più


precisa di «reddito disponibile». All’uopo basta correggere l’art. 4 del DPCM e fare opera di coordinamento testuale, giacché non il predetto art. 5, c. 1 del DL 201/2011 (dunque, sotto tal profilo immune da ogni dubbio di costituzionalità), ma solo quest’ultimo ha scelto di trattare le citate indennità come redditi. Per tirare le somme, deve il Collegio condividere l’affermazione degli appellanti incidentali quando dicono che «…ricomprendere tra i redditi i trattamenti… indennitari percepiti dai disabili significa allora considerare la disabilità alla stregua di una fonte di reddito -come se fosse un lavoro o un patrimonio- ed i trattamenti erogati dalle pubbliche amministrazioni, non un sostegno al disabile, ma una "remunerazione" del suo stato di invalidità… (dato) … oltremodo irragionevole … (oltre che) … in contrasto con l'art. 3 Cost. …». Del tutto infondata è infine la deduzione delle appellanti principali, laddove contestano la sentenza che stigmatizza l’irrazionalità e l’illogicità del trattamento differenziato tra disabili minorenni (che hanno titolo all’incremento delle detrazioni ex art. 4, lett. d, nn. 1/3 del DPCM) e maggiorenni (che di tal incremento non debbono godere). Rettamente il TAR precisa che, quantunque il maggiorenne disabile possa far nucleo a sé stante, non solo la maggior età in sé non abbatte i costi della disabilità, ma non v’è un’evidenza statistica significativa sull’incidenza dei disabili facenti nucleo a sé rispetto alla popolazione dei disabili ed al gruppo di chi non costituisce tal nucleo. Ebbene, quanto al primo aspetto, ilfavor minoris di cui all’art. 7 della Convenzione ONU di New York sui diritti dei disabili (ratificata dalla l. 3 marzo 2009 n. 18) non può determinare, a parità di doveri di assistenza ex art. 38 Cost., un trattamento deteriore verso soggetti parimenti disabili per il sol fatto dell’età, ché, anzi, la disabilità tende a crescere man mano che il soggetto avanza nell’età. Sicché, venendo al secondo e correlato aspetto, il “far nucleo a sé” non compensa la decurtazione delle detrazioni, a cagione di tal aumentare dei disagi della disabilità connessi ad un’età più anziana. Si può forse


discettare se la richiesta del TAR di almeno uno studio statistico possa costituire un onere probatorio gravoso per le appellanti principali, ma esse non s’avvedono che, in tal modo, confessano di aver statuito siffatto trattamento differenziato senza una fondata ragione, dedotta anche in modo empirico dalle vicende delle varie categorie di disabili. 6. – Gli appelli vanno così respinti. La complessità della questione, la reciproca soccombenza e giusti motivi suggeriscono l’integrale compensazione, tra le parti, delle spese del presente giudizio P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. IV), definitivamente pronunciando sull'appello (ricorso n. 6471/2015 RG in epigrafe), lo respinge in una con i motivi assorbiti in primo grado e qui riproposti dagli appellati. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 3 dicembre 2015, con l'intervento dei sigg. Magistrati: Giorgio Giaccardi, Presidente Sandro Aureli, Consigliere Silvestro Maria Russo, Consigliere, Estensore Alessandro Maggio, Consigliere Francesco Mele, Consigliere L'ESTENSOREIL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 29/02/2016 IL SEGRETARIO (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.