Corte di giustizia europea spazio di libertà, sicurezza e giustizia controlli alle frontiere

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PRESA DI POSIZIONE DELL’AVVOCATO GENERALE ELEANOR SHARPSTON presentata il 26 gennaio 2016 (1) Causa C-601/15 PPU J. N. [domanda di pronuncia pregiudiziale presentata dal Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi)] «Procedimento pregiudiziale d’urgenza – Cittadino di paesi terzi che ha presentato una domanda d’asilo, posto in stato di trattenimento per ragioni di protezione della sicurezza nazionale o dell’ordine pubblico, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, lettera e), della direttiva 2013/33/UE – Cittadino che ha diritto di restare nello Stato membro durante l’esame della sua domanda d’asilo, in virtù dell’articolo 9 della direttiva 2013/32/UE – Assenza di procedura di allontanamento in corso – Validità dell’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, lettera e), della direttiva 2013/33/UE, alla luce dell’articolo 6 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea»

1. La direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (in prosieguo: la «direttiva sull’accoglienza») (2), contiene un elenco dei motivi per i quali uno Stato membro può disporre il trattenimento di una persona che richiede la protezione internazionale. Tra tali motivi rientra quello di cui all’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, lettera e), della «direttiva sull’accoglienza», che riguarda i «motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico» (in prosieguo: la «disposizione controversa»). Con la sua domanda di pronuncia pregiudiziale, il Raad van State (Consiglio di Stato) chiede alla Corte di pronunciarsi sulla conformità di tale disposizione al diritto alla libertà e alla sicurezza, sancito dall’articolo 6 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»). La presente questione è stata sottoposta alla Corte nell’ambito di una controversia vertente su una decisione del 14 settembre 2014, che disponeva il trattenimento nei Paesi Bassi di un richiedente asilo condannato diverse volte in sede penale, principalmente per furto, e contro il quale era stato emesso un ordine di allontanamento corredato di un divieto d’ingresso prima della presentazione della sua ultima domanda d’asilo. Contesto normativo Il diritto internazionale Convenzione di Ginevra


2. Ai sensi dell’articolo 31, paragrafo 1, della convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 ed entrata in vigore il 22 aprile 1954 (3), così come completata dal protocollo relativo allo status dei rifugiati, adottato a New York il 31 gennaio 1967, anch’esso entrato in vigore il 4 ottobre 1967 (in prosieguo: la «convenzione di Ginevra»), gli Stati contraenti non applicheranno sanzioni penali per ingresso o soggiorno irregolare a quei rifugiati che, provenienti direttamente dal territorio in cui la loro vita o la loro libertà era minacciata nel senso previsto dall’articolo 1 di detta convenzione, entrano o si trovano sul loro territorio senza autorizzazione, purché si presentino senza indugio alle autorità ed espongano ragioni ritenute valide per il loro ingresso o il loro soggiorno irregolare. 3. Secondo l’articolo 32, paragrafo 1, della convenzione di Ginevra, gli Stati contraenti possono espellere un rifugiato che risiede regolarmente sul loro territorio soltanto per motivi di sicurezza nazionale o d’ordine pubblico. La CEDU 4. Al titolo «Diritto alla libertà e alla sicurezza», l’articolo 5 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»), dispone quanto segue: «1. Ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza. Nessuno può essere privato della libertà, se non nei casi seguenti e nei modi previsti dalla legge: a)

se è detenuto regolarmente in seguito a condanna da parte di un tribunale competente;

b) se si trova in regolare stato di arresto o di detenzione per violazione di un provvedimento emesso, conformemente alla legge, da un tribunale o allo scopo di garantire l’esecuzione di un obbligo prescritto dalla legge; c) se è stato arrestato o detenuto per essere tradotto dinanzi all’autorità giudiziaria competente, quando vi sono motivi plausibili di sospettare che egli abbia commesso un reato o vi sono motivi fondati di ritenere che sia necessario impedirgli di commettere un reato o di darsi alla fuga dopo averlo commesso; d) se si tratta della detenzione regolare di un minore, decisa allo scopo di sorvegliare la sua educazione oppure della sua detenzione regolare al fine di tradurlo dinanzi all’autorità competente; e) se si tratta della detenzione regolare di una persona suscettibile di propagare una malattia contagiosa, di un alienato, di un alcolizzato, di un tossicomane o di un vagabondo; f) se si tratta dell’arresto o della detenzione regolari di una persona per impedirle di entrare illegalmente nel territorio, oppure di una persona contro la quale è in corso un procedimento d’espulsione o d’estradizione. 2. Ogni persona arrestata deve essere informata, al più presto e in una lingua a lei comprensibile, dei motivi dell’arresto e di ogni accusa formulata a suo carico. 3. Ogni persona arrestata o detenuta, conformemente alle condizioni previste dal paragrafo 1 c del presente articolo, deve essere tradotta al più presto dinanzi ad un giudice o ad un altro magistrato autorizzato dalla legge ad esercitare funzioni giudiziarie e ha diritto di essere giudicata entro un termine ragionevole o di essere messa in libertà durante la procedura. (…)


4. Ogni persona privata della libertà mediante arresto o detenzione ha il diritto di presentare un ricorso ad un tribunale, affinché decida entro breve termine sulla legittimità della sua detenzione e ne ordini la scarcerazione se la detenzione è illegittima. 5. Ogni persona vittima di arresto o di detenzione in violazione di una delle disposizioni del presente articolo ha diritto ad una riparazione». 5. Al titolo «Deroga in caso di stato di urgenza», l’articolo 15, paragrafo 1, della CEDU, dispone che «[i]n caso di guerra o in caso di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione ogni Alta Parte contraente può adottare delle misure in deroga agli obblighi previsti dalla Convenzione, nella stretta misura in cui la situazione lo richieda e a condizione che tali misure non siano in conflitto con gli altri obblighi derivanti dal diritto internazionale». Il diritto alla libertà e alla sicurezza rientra tra quelli a cui gli Stati contraenti possono derogare nelle predette circostanze (4). Il diritto dell’Unione TUE e TFUE 6. L’articolo 4, paragrafo 2, TUE, dispone, inter alia, che l’Unione europea «[r]ispetta le funzioni essenziali dello Stato, in particolare le funzioni (…) di mantenimento dell’ordine pubblico e di tutela della sicurezza nazionale», e che quest’ultima «resta di esclusiva competenza di ciascuno Stato membro». 7. I diritti, le libertà e i principi della Carta sono interpretati, secondo l’articolo 6, paragrafo 1, terzo comma, TUE, in conformità alle disposizioni generali del titolo VII della Carta che disciplinano la sua interpretazione e applicazione e tenendo in debito conto le spiegazioni a cui si fa riferimento nella Carta, che indicano le fonti di tali disposizioni. 8. Ai sensi dell’articolo 72 TFUE, la politica dell’Unione condotta in virtù del titolo V della terza parte di tale trattato, dedicato allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, non osta all’esercizio delle responsabilità incombenti agli Stati membri per il mantenimento dell’ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna. Ai sensi dell’articolo 78, paragrafo 1, TFUE, contenuto nel predetto titolo, l’Unione sviluppa una politica comune in materia di asilo, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea, volta a offrire uno status appropriato a qualsiasi cittadino di un paese terzo che necessita di protezione internazionale e a garantire il rispetto del principio di non respingimento. Tale articolo prosegue disponendo che detta politica deve essere conforme, in particolare, alla convenzione di Ginevra. La Carta 9.

A norma dell’articolo 6 della Carta, ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza.

10. L’articolo 51, paragrafo 1, della Carta stabilisce, inter alia, che le disposizioni di quest’ultima si applicano alle istituzioni, organi e organismi dell’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà, come pure agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione. 11. Intitolato «Portata e interpretazione dei diritti e dei principi», l’articolo 52 della Carta, il quale figura al titolo VII della stessa, intitolato «Disposizioni generali che disciplinano l’interpretazione e l’applicazione della Carta», così dispone: «1.

Eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta


devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui. (...) 3. Laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla [CEDU], il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione. La presente disposizione non preclude che il diritto dell’Unione conceda una protezione più estesa. (...) 7. I giudici dell’Unione e degli Stati membri tengono nel debito conto le spiegazioni elaborate al fine di fornire orientamenti per l’interpretazione della presente Carta». La «direttiva sull’accoglienza» 12. Il preambolo della «direttiva sull’accoglienza» espone segnatamente che una politica comune nel settore dell’asilo, che preveda un sistema europeo comune di asilo, costituisce un elemento fondamentale dell’obiettivo dell’Unione relativo alla progressiva realizzazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia aperto a quanti, spinti dalle circostanze, cercano legittimamente protezione nell’Unione (5). Sempre secondo il preambolo, il trattenimento dei richiedenti protezione internazionale dovrebbe essere regolato in conformità al principio fondamentale per cui nessuno può essere trattenuto per il solo fatto di chiedere siffatta protezione, in particolare in conformità agli obblighi giuridici internazionali degli Stati membri, e all’articolo 31 della convenzione di Ginevra (6). I richiedenti possono pertanto essere trattenuti soltanto nelle circostanze eccezionali definite molto chiaramente nella «direttiva sull’accoglienza» e in base ai principi di necessità e proporzionalità per quanto riguarda sia le modalità che le finalità di tale trattenimento (7). Il trattenimento, inoltre, non dovrebbe superare il tempo ragionevolmente necessario per completare le procedure pertinenti (8). Ai sensi del considerando 17 della predetta direttiva, «[i] motivi di trattenimento stabiliti nella presente direttiva lasciano impregiudicati altri motivi di trattenimento, compresi quelli che rientrano nell’ambito dei procedimenti penali, applicabili conformemente alla legislazione nazionale, non correlati alla domanda di protezione internazionale presentata dal cittadino di un paese terzo o dall’apolide». Infine, il preambolo della «direttiva sull’accoglienza» afferma che essa rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti segnatamente dalla Carta e che essa intende assicurare il pieno rispetto della dignità umana nonché promuovere, in particolare, l’applicazione dell’articolo 6 della Carta (9). 13.

Secondo l’articolo 2 della «direttiva sull’accoglienza», si intende per:

«(…) a) “domanda di protezione internazionale”: la domanda di protezione internazionale quale definita all’articolo 2, lettera h), della [“direttiva qualifiche” (10)]; b) “richiedente”: il cittadino di un paese terzo o apolide che abbia presentato una domanda di protezione internazionale sulla quale non è stata ancora adottata una decisione definitiva; (…)


h)

“trattenimento”: il confinamento del richiedente, da parte di uno Stato membro, in un luogo

determinato, che lo priva della libertà di circolazione [(11)]; (…)». 14. L’articolo 8 della «direttiva sull’accoglienza», intitolato «Trattenimento», dispone quanto segue: «1. Gli Stati membri non trattengono una persona per il solo fatto di essere un richiedente ai sensi della [“direttiva procedure” (12)]. 2. Ove necessario e sulla base di una valutazione caso per caso, gli Stati membri possono trattenere il richiedente, salvo se non siano applicabili efficacemente misure alternative meno coercitive. 3.

Un richiedente può essere trattenuto soltanto:

a)

per determinarne o verificarne l’identità o la cittadinanza;

b) per determinare gli elementi su cui si basa la domanda di protezione internazionale che non potrebbero ottenersi senza il trattenimento, in particolare se sussiste il rischio di fuga del richiedente; c) per decidere, nel contesto di un procedimento, sul diritto del richiedente di entrare nel territorio; d) quando la persona è trattenuta nell’ambito di una procedura di rimpatrio ai sensi della [“direttiva sul rimpatrio” (13)], al fine di preparare il rimpatrio e/o effettuare l’allontanamento e lo Stato membro interessato può comprovare, in base a criteri obiettivi, tra cui il fatto che la persona in questione abbia già avuto l’opportunità di accedere alla procedura di asilo, che vi sono fondati motivi per ritenere che la persona abbia manifestato la volontà di presentare la domanda di protezione internazionale al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione della decisione di rimpatrio; e)

quando lo impongono motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico;

f)

conformemente all’articolo 28 del [“regolamento Dublino III” (14)].

I motivi di trattenimento sono specificati nel diritto nazionale. 4. Gli Stati membri provvedono affinché il diritto nazionale contempli le disposizioni alternative al trattenimento, come l’obbligo di presentarsi periodicamente alle autorità, la costituzione di una garanzia finanziaria o l’obbligo di dimorare in un luogo assegnato». 15. L’articolo 9 della «direttiva sull’accoglienza», intitolato «Garanzie per i richiedenti trattenuti», così dispone in particolare: «1. Un richiedente è trattenuto solo per un periodo il più breve possibile ed è mantenuto in stato di trattenimento soltanto fintantoché sussistono i motivi di cui all’articolo 8, paragrafo 3. Gli adempimenti amministrativi inerenti ai motivi di trattenimento di cui all’articolo 8, paragrafo 3, sono espletati con la debita diligenza. I ritardi nelle procedure amministrative non imputabili al richiedente non giustificano un prolungamento del trattenimento.


2. Il trattenimento dei richiedenti è disposto per iscritto dall’autorità giurisdizionale o amministrativa. Il provvedimento di trattenimento precisa le motivazioni di fatto e di diritto sulle quasi si basa. 3. Se il trattenimento è disposto dall’autorità amministrativa, gli Stati membri assicurano una rapida verifica in sede giudiziaria, d’ufficio e/o su domanda del richiedente, della legittimità del trattenimento. Se effettuata d’ufficio, tale verifica è disposta il più rapidamente possibile a partire dall’inizio del trattenimento stesso. Se effettuata su domanda del richiedente, è disposta il più rapidamente possibile dopo l’avvio del relativo procedimento. (…) Se in seguito a una verifica in sede giudiziaria il trattenimento è ritenuto illegittimo, il richiedente interessato è rilasciato immediatamente. 4. I richiedenti trattenuti sono informati immediatamente per iscritto, in una lingua che essi comprendono o che ragionevolmente si suppone a loro comprensibile, delle ragioni del trattenimento e delle procedure previste dal diritto nazionale per contestare il provvedimento di trattenimento, nonché della possibilità di accesso gratuito all’assistenza e/o alla rappresentanza legali. 5. Il provvedimento di trattenimento è riesaminato da un’autorità giurisdizionale a intervalli ragionevoli, d’ufficio e/o su richiesta del richiedente in questione, in particolare nel caso di periodi di trattenimento prolungati, qualora si verifichino circostanze o emergano nuove informazioni che possano mettere in discussione la legittimità del trattenimento. (…)». La «direttiva procedure» 16. Ai sensi del suo articolo 1, obiettivo della «direttiva procedure» è stabilire procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca della protezione internazionale a norma della «direttiva qualifiche». 17. L’articolo 2, lettera q), della «direttiva procedure», definisce in sostanza la «domanda reiterata» un’ulteriore domanda di protezione internazionale presentata dopo che è stata adottata una decisione definitiva su una domanda precedente. 18. L’articolo 9, paragrafo 1, della predetta direttiva, dispone che i richiedenti sono autorizzati a rimanere nello Stato membro, ai fini esclusivi della procedura, fintantoché l’autorità accertante non abbia preso una decisione secondo le procedure di primo grado, e che tale diritto non dà diritto a un titolo di soggiorno. Ai sensi del paragrafo 2 di detto articolo, gli Stati membri possono derogare a tale disposizione solo se, inter alia, l’interessato presenta una domanda reiterata ai sensi dell’articolo 41 della direttiva in questione. 19. L’articolo 26 prevede, in sostanza, che gli Stati membri non possono trattenere una persona per il solo fatto che si tratta di un richiedente, che i motivi e le condizioni del trattenimento e le garanzie per i richiedenti trattenuti devono essere conformi alla «direttiva sull’accoglienza», e che un trattenimento deve essere accompagnato dalla possibilità di un rapido controllo giurisdizionale a norma di quest’ultima direttiva. 20.

Secondo l’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della «direttiva procedure», gli Stati membri


possono giudicare una domanda di protezione internazionale inammissibile soltanto se la domanda in questione è una domanda reiterata, qualora non siano emersi o non siano stati presentati dal richiedente elementi o risultanze nuovi ai fini dell’esame volto ad accertare se al richiedente possa essere attribuita la qualifica di beneficiario di protezione internazionale ai sensi della «direttiva qualifiche». 21. L’articolo 40, paragrafo 2, di tale direttiva dispone che, per decidere dell’ammissibilità di una domanda di protezione internazionale ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), una domanda di protezione internazionale reiterata è anzitutto sottoposta a esame preliminare per accertare se siano emersi o siano stati addotti dal richiedente elementi o risultanze nuovi rilevanti per l’esame dell’eventuale qualifica di beneficiario di protezione internazionale a norma della «direttiva qualifiche». L’articolo 40, paragrafo 3, dispone, in sostanza, che la domanda è sottoposta a ulteriore esame se dall’esame preliminare emergono elementi o risultanze nuovi che aumentano in modo significativo la probabilità che essa sia accolta. Se invece così non avviene, la domanda, ai sensi del paragrafo 5 del predetto articolo, è considerata inammissibile ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva in questione. 22. L’articolo 41, paragrafo 1, della «direttiva procedure», prevede che gli Stati membri possono ammettere una deroga al diritto di rimanere nel territorio qualora una persona abbia presentato una prima domanda reiterata, che non è ulteriormente esaminata ai sensi dell’articolo 40, paragrafo 5, al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione di una decisione che ne comporterebbe l’imminente allontanamento dallo Stato membro in questione, o manifesti la volontà di presentare un’altra domanda reiterata nello stesso Stato membro a seguito di una decisione definitiva che considera inammissibile una prima domanda reiterata ai sensi dell’articolo 40, paragrafo 5, o dopo una decisione definitiva che respinge tale domanda in quanto infondata. Una deroga siffatta è tuttavia possibile solo se è rispettato il principio di non «refoulement». La «direttiva sul rimpatrio» 23. Ai sensi del suo articolo 2, paragrafo 1, la «direttiva sul rimpatrio» si applica ai cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro è irregolare. 24.

L’articolo 3 della suindicata direttiva contiene, inter alia, le seguenti definizioni:

«(…) 2) “soggiorno irregolare”: la presenza nel territorio di uno Stato membro di un cittadino di un paese terzo che non soddisfi o non soddisfi più le condizioni d’ingresso di cui all’articolo 5 del codice frontiere Schengen o altre condizioni d’ingresso, di soggiorno o di residenza in tale Stato membro; (…) 4) “decisione di rimpatrio”: decisione o atto amministrativo o giudiziario che attesti o dichiari l’irregolarità del soggiorno di un cittadino di paesi terzi e imponga o attesti l’obbligo di rimpatrio; 5) “allontanamento”: l’esecuzione dell’obbligo di rimpatrio, vale a dire il trasporto fisico fuori dallo Stato membro; (…)».


25. L’articolo 7, paragrafo 4, dispone che gli Stati membri possono astenersi dal concedere un periodo per la partenza volontaria o concederne uno inferiore a sette giorni nell’ambito di una decisione di rimpatrio, segnatamente, se l’interessato costituisce un pericolo per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale. 26. In base all’articolo 8, paragrafo 1, gli Stati membri adottano tutte le misure necessarie per eseguire la decisione di rimpatrio qualora non sia stato concesso un periodo per la partenza volontaria o per mancato adempimento dell’obbligo di rimpatrio entro il periodo concesso per la partenza volontaria. 27. Ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 1, le decisioni di rimpatrio sono corredate di un divieto d’ingresso qualora non sia stato concesso un periodo per la partenza volontaria oppure qualora non sia stato ottemperato all’obbligo di rimpatrio. In altri casi un divieto d’ingresso può, ma non deve necessariamente essere disposto. L’articolo 11, paragrafo 2, prevede che la durata del divieto d’ingresso sia determinata tenendo debitamente conto di tutte le circostanze pertinenti di ciascun caso e che non possa in via di principio superare i cinque anni, salvo che il cittadino di un paese terzo destinatario di tale divieto costituisca una grave minaccia per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale. In quest’ultimo caso, il divieto d’ingresso può estendersi a dieci anni. Ai sensi del paragrafo 5, le predette regole non pregiudicano il diritto alla protezione internazionale. 28.

L’articolo 15, paragrafo 1, della «direttiva sul rimpatrio», dispone quanto segue:

«Salvo se nel caso concreto possono essere efficacemente applicate altre misure sufficienti ma meno coercitive, gli Stati membri possono trattenere il cittadino di un paese terzo sottoposto a procedure di rimpatrio soltanto per preparare il rimpatrio e/o effettuare l’allontanamento, in particolare quando: a)

sussiste un rischio di fuga o

b) il cittadino del paese terzo evita od ostacola la preparazione del rimpatrio o dell’allontanamento. Il trattenimento ha durata quanto più breve possibile ed è mantenuto solo per il tempo necessario all’espletamento diligente delle modalità di rimpatrio». Il diritto olandese La legge del 2000 sugli stranieri 29.

La legge del 2000 sugli stranieri (Vreemdelingenwet 2000) così dispone, agli articoli 8 e 59b:

«Articolo 8: Lo straniero si trova in situazione di soggiorno regolare nei Paesi Bassi solo: (…) f) in attesa della decisione su una domanda di rilascio [di un permesso di soggiorno temporaneo per asilo], mentre, conformemente alle disposizioni della presente legge o adottate in forza della stessa oppure in base a una decisione giurisdizionale, l’accompagnamento alla frontiera dello straniero deve essere sospeso sino alla decisione su detta domanda.


(…) Articolo 59b: 1. Lo straniero che si trovi in situazione di soggiorno regolare ai sensi dell’articolo 8, lettera f) (…), nei limiti in cui ciò riguardi [una domanda di rilascio di un permesso di soggiorno temporaneo per asilo], può essere posto in stato di trattenimento dal Ministro se: (…) (b) il trattenimento è necessario al fine di raccogliere dati necessari per la valutazione di una domanda di permesso di soggiorno temporaneo per asilo di cui all’articolo 28, in particolare se sussiste il rischio che lo straniero si renda irreperibile; (…) d) lo straniero costituisce un pericolo per la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico, ai sensi de[lla disposizione controversa]. (…)». Il decreto del 2000 sugli stranieri 30. L’articolo 3.1 del decreto del 2000 sugli stranieri (Vreemdelingenbesluit 2000) dispone segnatamente che la presentazione di una domanda d’asilo ha la conseguenza, in linea di principio, che non si può procedere all’espulsione, salvo il caso in cui, in particolare, lo straniero abbia presentato un’ulteriore domanda dopo che un’ulteriore domanda in precedenza presentata è stata definitivamente dichiarata inammissibile o è stata definitivamente respinta in quanto manifestamente infondata e non sono emersi elementi o risultanze nuovi che possono essere rilevanti per la valutazione della domanda. Procedimento principale e questione pregiudiziale 31. Il sig. N., ricorrente nel procedimento principale, è un cittadino tunisino, entrato nei Paesi Bassi il 23 settembre 1995, ove ha presentato una prima domanda d’asilo, respinta il 18 gennaio 1996. Il ricorso del sig. N. avverso la menzionata decisione è stato respinto il 5 giugno 1997. 32. Il 24 dicembre 2012 il sig. N. ha ritirato un’ulteriore domanda d’asilo che aveva presentato il 19 dicembre dello stesso anno. 33. L’8 luglio 2013 il sig. N. ha presentato una nuova domanda d’asilo. Con decisione dell’8 gennaio 2014 (in prosieguo: la «decisione di rimpatrio») lo staatssecretaris van Veiligheid en Justitie (Segretario di Stato alla Sicurezza e alla Giustizia; in prosieguo: il «segretario di Stato») ha respinto la predetta domanda e ha ingiunto al sig. N. di lasciare immediatamente il territorio dell’Unione europea. La decisione di rimpatrio era corredata di un divieto d’ingresso sul medesimo territorio per un periodo di dieci anni. Il ricorso del sig. N. avverso la menzionata decisione è stato respinto dal rechtbank Den Haag (tribunale dell’Aia), sede di Amsterdam (Paesi Bassi), con sentenza del 4 aprile 2014. Tale sentenza è passata in giudicato. 34. Tra il 25 novembre 1999 e il 17 giugno 2015, peraltro, il sig. N. ha commesso 36 reati, la maggior parte dei quali furti. Per tali fatti, è stato condannato 21 volte in sede penale e le pene inflitte variano da sanzioni pecuniarie a tre mesi di detenzione.


35. Il 27 febbraio 2015 il sig. N., mentre scontava una pena detentiva («strafrechtelijke detentie»), ha presentato la sua ultima domanda d’asilo (in prosieguo: l’«ultima domanda d’asilo»). Il giudice del rinvio osserva che, ai sensi della sua giurisprudenza, la decisione di rimpatrio è di conseguenza divenuta invalida de iure alla predetta data. Se la domanda d’asilo venisse respinta, spetterebbe al segretario di Stato, eventualmente, adottare una nuova decisione di rimpatrio. 36. In risposta ad un quesito scritto posto dalla Corte, il governo dei Paesi Bassi ha affermato, il 29 maggio 2015, che il Servizio per l’immigrazione e la naturalizzazione (Immigratie- en Naturalisatiedienst) del Ministero della Sicurezza e della Giustizia (Ministerie van Veiligheid en Justitie) aveva comunicato al sig. N. che intendeva respingere la sua ultima domanda d’asilo. L’autorità competente non si è tuttavia ancora pronunciata sulla domanda in questione. 37. Il 1° luglio 2015 il sig. N. è stato condannato ad una pena detentiva di tre mesi per furto e inosservanza di un divieto d’ingresso sul territorio dell’Unione (15). Mentre scontava tale pena, il segretario di Stato ha deciso, il 23 luglio 2015, di sottoporlo ad un esame medico, dal quale è risultato che il richiedente non era in grado di essere sentito riguardo alla sua ultima domanda d’asilo. 38. Il 14 settembre 2015, al termine di detta pena detentiva, il segretario di Stato ha ordinato che il sig. N. venisse posto in stato di trattenimento amministrativo degli stranieri («vreemdelingenbewaring») (16). Pur indicando che, dalla presentazione della sua ultima domanda d’asilo, il sig. N. si trovava in situazione di soggiorno regolare nei Paesi Bassi ai sensi dell’articolo 8, lettera f), della legge del 2000 sugli stranieri, il segretario di Stato ha ritenuto che quest’ultimo dovesse essere posto in stato di trattenimento poiché era «sospettato di un reato o era stato condannato per un reato» e costituiva così un pericolo per l’ordine pubblico, ai sensi dell’articolo 59b, paragrafo 1, lettera d), della legge del 2000 sugli stranieri (17). La decisione controversa menziona inoltre i numerosi precedenti penali del sig. N., il fatto che egli non dispone di mezzi di mezzi di sussistenza né di domicilio o residenza fissa, nonché il fatto che egli afferma di non voler lasciare i Paesi Bassi malgrado la decisione di rimpatrio di cui è destinatario (18). La decisione controversa dispone altresì il suo inserimento nell’unità di cure speciali del centro di trattenimento designato, in considerazione del suo stato di salute (19). 39. Il rechtbank Den Haag (tribunale dell’Aia), con sentenza del 28 settembre 2015, ha respinto il ricorso presentato dal sig. N. avverso la decisione controversa e volto, inoltre, ad ottenere il risarcimento dei danni. 40. Nel ricorso contro la menzionata sentenza proposto dinanzi al giudice del rinvio, il sig. N. sostiene, in particolare, che la misura di trattenimento di cui è oggetto è contraria all’articolo 5, paragrafo 1, lettera f), della CEDU, poiché tale disposizione consente la privazione della libertà solo a fini di espulsione. Detta disposizione non può giustificare una misura di trattenimento concernente un cittadino di un paese terzo che risiede regolarmente nei Paesi Bassi. 41. In tale contesto, il Raad van State (Consiglio di Stato) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: «Se l’articolo 8, paragrafo 3, [primo comma,] lettera e), della [“direttiva sull’accoglienza”] sia valido alla luce dell’articolo 6 della [Carta]:


a) nella situazione in cui un cittadino di un paese terzo è stato posto in stato di trattenimento, in forza della [disposizione controversa] e ha il diritto, in forza dell’articolo 9 della [“direttiva procedure”], di rimanere in uno Stato membro fintantoché non sia stata presa una decisione in primo grado sulla sua domanda d’asilo, e 2) alla luce delle spiegazioni relative alla [Carta dei diritti fondamentali (20)] secondo le quali le limitazioni che possono legittimamente essere apportate ai diritti conferiti dall’articolo 6 della Carta non possono non possono andare oltre i limiti consentiti dalla CEDU nel testo dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera f), della citata convenzione, e dell’interpretazione data dalla Corte europea dei diritti dell’uomo a quest’ultima disposizione, segnatamente nella sua sentenza del 22 settembre 2015, Nabil e a., c. Ungheria, [n. 62116/12] (…) secondo la quale il trattenimento di un richiedente asilo viola la succitata disposizione della CEDU se tale trattenimento non è stato imposto a fini di allontanamento». Sulla procedura d’urgenza 42. Con lettera del 17 novembre 2015, depositata nella cancelleria della Corte lo stesso giorno, il giudice del rinvio ha chiesto che il rinvio pregiudiziale fosse sottoposto al procedimento d’urgenza previsto agli articoli 23 bis dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea (in prosieguo: lo «statuto della Corte») e 107 del regolamento di procedura della Corte. Il giudice del rinvio affermava in tale lettera che a quel tempo il sig. N. era privato della libertà, precisando, tuttavia, come lo stesso non si trovasse più, dal 23 ottobre 2015, in stato di trattenimento amministrativo degli stranieri, bensì in detenzione penale (21). Il giudice del rinvio ha nondimeno fatto presente che, al termine della predetta pena (ossia il 1° dicembre 2015), il sig. N. sarebbe stato con ogni probabilità, in conformità alla prassi del segretario di Stato, nuovamente posto in stato di trattenimento. 43. Il 24 novembre 2015 la Corte ha deciso di accogliere la richiesta del giudice del rinvio con cui lo stesso chiedeva di sottoporre il rinvio pregiudiziale alla procedura d’urgenza e ha ritenuto che la portata della questione sollevata meritasse l’attenzione della Grande Sezione. Inoltre, la Corte ha considerato che era auspicabile non limitare la fase scritta del procedimento (come disposto dall’articolo 109 del regolamento di procedura) alle sole parti in grado di esprimersi nella lingua processuale (nella specie, le parti del procedimento principale, il Regno dei Paesi Bassi, il Parlamento europeo, il Consiglio dell’Unione europea e la Commissione europea). In applicazione dell’articolo 24 dello statuto della Corte, essa ha pertanto invitato le parti e altri interessati di cui all’articolo 23 dello statuto della Corte a prendere posizione per iscritto su una serie di questioni. 44. Il 1° dicembre 2015 il giudice del rinvio ha inviato una lettera alla Corte con la quale la informava che il segretario di Stato aveva adottato, in tale stessa data, una nuova decisione di trattenimento amministrativo degli stranieri concernente il sig. N. Ne consegue che il trattenimento è ora fondato sull’articolo 59b, paragrafo 1, lettere b) e d), della legge del 2000 sugli stranieri. Pertanto, detta nuova decisione non si basa più soltanto sul rischio che il sig. N. rappresenta per la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico [lettera d)], ma anche, in sostanza, sul fatto che il richiedente in questione, in considerazione del rischio di fuga, debba essere posto in stato di trattenimento amministrativo affinché possano essere ottenuti i dati indispensabili per valutare la sua ultima domanda d’asilo [lettera b)]. Tale nuova decisione non è però in discussione nel procedimento principale.


45. Osservazioni scritte sono state presentate dal sig. N., dal governo dei Paesi Bassi, dal Parlamento, dal Consiglio e dalla Commissione, mentre i governi belga, ceco, italiano, cipriota e polacco hanno risposto per iscritto ai quesiti posti dalla Corte (22). Il sig. N., i governi dei Paesi Bassi, belga e greco, nonché il Parlamento, il Consiglio e la Commissione hanno partecipato all’udienza tenutasi il 22 gennaio 2016. Osservazioni sulle modalità procedurali del rinvio pregiudiziale 46. Seguendo gli orientamenti procedurali descritti al paragrafo 43 supra, la Corte ha indubbiamente contribuito a un’istruzione più approfondita della presente causa rispetto a quanto avrebbe consentito un procedimento pregiudiziale d’urgenza classico. Mi permetto nondimeno di formulare le seguenti osservazioni. 47. L’articolo 267, ultimo comma, TFUE dispone che, «[q]uando una questione [pregiudiziale] è sollevata in un giudizio pendente davanti a un organo giurisdizionale nazionale e riguardante una persona in stato di detenzione, la Corte statuisce il più rapidamente possibile». Tale norma ha senso soltanto laddove la risposta alla questione pregiudiziale deferita alla Corte abbia rilevanza per, e incida su, la detenzione della persona interessata. Se così non fosse, avrebbe scarsa importanza che la Corte trattasse la causa più o meno rapidamente. 48. Anche qualora detta condizione sia soddisfatta, ritengo tuttavia non vi siano elementi per concludere che la Corte sia tenuta a procedere più velocemente rispetto a quanto consentito dalla natura, dalla sensibilità o dalla complessità delle questioni sollevate. Tale ipotesi ricorre, segnatamente, quando la Corte considera che l’istruzione della causa impone che tutti gli interessati di cui all’articolo 23 dello statuto della Corte abbiano la possibilità di prendere posizione per iscritto. La Corte, difatti, non dispone di un unico strumento procedurale per trattare i rinvii pregiudiziali urgenti, bensì di due, dove il secondo è il procedimento pregiudiziale accelerato previsto dall’articolo 105 del regolamento di procedura (23). Orbene, una delle principali differenze di quest’ultimo procedimento rispetto a quello pregiudiziale d’urgenza consiste precisamente nel fatto che la partecipazione alla sua fase scritta è aperta a tutti i predetti interessati. Il procedimento pregiudiziale accelerato può senza dubbio essere svolto a un ritmo che tenga in debito conto la regola contenuta all’articolo 267, ultimo comma, TFUE e, pertanto, rivelarsi appropriato per trattare un rinvio pregiudiziale come quello in esame. Analisi 49. Il mio ragionamento segue lo schema di analisi seguente. Dopo qualche osservazione preliminare e precisazione sulle norme di riferimento dell’esame di validità che la Corte è chiamata a compiere nella specie, collocherò la disposizione controversa nel contesto dei lavori preparatori della «direttiva sull’accoglienza». Presenterò a seguire due osservazioni generali sull’articolo 8, paragrafo 3, della «direttiva sull’accoglienza», prima di dedicarmi in modo più approfondito all’interpretazione della disposizione controversa propriamente detta. Su tali basi, esaminerò infine se dalla presente procedura sia emerso un qualsivoglia elemento tale da mettere in discussione la validità della disposizione controversa. Osservazioni preliminari 50.

Lo stato di soggiorno del sig. N. nei Paesi Bassi è risultato essere irregolare, ai sensi della


«direttiva sul rimpatrio», a decorrere dalla data in cui la sentenza del rechtbank Den Haag (tribunale dell’Aia) del 4 aprile 2014, di conferma della decisione di rimpatrio, è divenuta definitiva. 51. Il sig. N. ha tuttavia presentato la sua ultima domanda d’asilo il 27 febbraio 2015. In un caso siffatto, l’articolo 9, paragrafo 1, della «direttiva procedure», prevede in linea di principio – analogamente alla «precedente direttiva procedure» (24) – che il richiedente ha il diritto di rimanere nello Stato membro d’accoglienza fintantoché l’autorità responsabile per la pronuncia in primo grado sulla domanda di protezione internazionale non abbia preso una decisione secondo le procedure di primo grado di cui al capo III della medesima direttiva (25). L’articolo 9, paragrafo 2, della «direttiva procedure», consente di derogare alla regola contenuta al paragrafo 1 del predetto articolo solo in presenza di condizioni rigorose, ossia, segnatamente, laddove si tratti di una «domanda reiterata» ai sensi dell’articolo 41 di detta direttiva (26). 52. Come fatto presente, è pacifico che nel caso di specie non sia stata ancora presa una decisione sull’ultima domanda d’asilo. Inoltre, sebbene il sig. N. abbia presentato diverse domande di protezione internazionale nei Paesi Bassi in passato e nessuna di queste sia stata accolta, non risulta da nessuno degli elementi comunicati alla Corte che il segretario di Stato abbia deciso di vietargli di restare in tale Stato membro durante l’esame della sua ultima domanda d’asilo (27). Tanto nelle sue osservazioni scritte quanto all’udienza, il governo dei Paesi Bassi ha in effetti affermato che una decisione siffatta non era stata ancora adottata. Di conseguenza, come evidenziato a giusto titolo dal giudice del rinvio e dal sig. N., quest’ultimo si trova attualmente in stato di soggiorno regolare nei Paesi Bassi, ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, della «direttiva procedure». Egli non rientra più, pertanto, nell’ambito di applicazione della «direttiva sul rimpatrio», ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, di quest’ultima, ma è di nuovo un «richiedente», ai sensi dell’articolo 2, lettera b), della «direttiva sull’accoglienza». 53. Inoltre, la decisione controversa si basa esclusivamente sull’articolo 59b, paragrafo 1, lettera d), della legge del 2000 sugli stranieri, che ha trasposto nel diritto olandese la disposizione controversa. Diversamente dalla nuova decisione di trattenimento adottata il 1° dicembre 2015, la decisione controversa non si basa affatto sulla disposizione di diritto olandese che ha trasposto l’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, lettera b), della «direttiva sull’accoglienza». La Corte è stata nel frattempo investita di un’altra domanda di pronuncia pregiudiziale, presentata dal Rechtbank Den Haag (tribunale dell’Aia), sede di Haarlem (Paesi Bassi), vertente sulla validità delle lettere a) e b) dell’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, della «direttiva sull’accoglienza», che l’articolo 59b, paragrafo 1, lettere a) e b), della legge del 2000 sugli stranieri, traspone nel diritto olandese (causa C-18/16, K., pendente dinanzi alla Corte). Detta questione di validità non è tuttavia sollevata nella presente causa e non sarà pertanto trattata nella presente presa di posizione. 54. È peraltro pacifico, da un lato, che una situazione come quella di cui al procedimento principale rientri nell’attuazione, da parte di uno Stato membro, della «direttiva sull’accoglienza» e ricada pertanto, in virtù dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta, nel campo d’applicazione di quest’ultima, segnatamente il suo articolo 6, e, dall’altro, che il sig. N. rientri, in quanto richiedente protezione internazionale, nel campo d’applicazione di questa stessa direttiva. Non è contestato, inoltre, il fatto che una misura di privazione della libertà come quella oggetto del procedimento principale, sebbene sotto forma di trattenimento amministrativo (28), consista in un «confinamento del richiedente, da parte di uno Stato membro, in un luogo determinato, che lo priva della libertà di


circolazione», ai sensi dell’articolo 2, lettera h), della «direttiva sull’accoglienza». Tale misura costituisce senza dubbio un’ingerenza nel diritto del sig. N. alla libertà e alla sicurezza, sancito dall’articolo 6 della Carta. Sulle norme di riferimento per l’esame di validità della disposizione controversa 55. Il giudice del rinvio si domanda, in sostanza, se la disposizione controversa sia conforme all’articolo 6 della Carta, letto alla luce dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera f), della CEDU. 56. Tale giudice solleva anzitutto la questione della mutua correlazione fra la protezione del diritto alla libertà e alla sicurezza, sancito dall’articolo 6 della Carta, e quella derivante dall’articolo 5 della CEDU, considerato che le due disposizioni non sono formulate in modo identico. 57. L’articolo 6 della Carta si limita a proteggere, in termini generali, il diritto di ogni persona alla libertà e alla sicurezza. L’articolo 52, paragrafo 1, della Carta, riconosce, in proposito, che possano essere apportate limitazioni all’esercizio del predetto diritto, purché tali limitazioni siano previste dalla legge, rispettino il contenuto essenziale di detti diritti e libertà e, nel rispetto del principio di proporzionalità, siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui (29). 58. Ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 7, della Carta, si deve tuttavia tenere anche conto delle spiegazioni relative a quest’ultima. Dette spiegazioni indicano che i diritti di cui all’articolo 6 «corrispondono a quelli garantiti dall’articolo 5 della CEDU, del quale, ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 3 della Carta, hanno pari significato e portata». In tal modo, secondo le stesse spiegazioni, «le limitazioni che possono legittimamente essere apportate non possono andare oltre i limiti consentiti dall’articolo 5 della CEDU», che riproducono le menzionate spiegazioni (30). Ne consegue che l’esame di validità che la Corte è chiamata a compiere nel caso di specie deve svolgersi con riferimento all’articolo 6 della Carta, interpretato alla luce dell’articolo 5 della CEDU. 59. Inoltre, la preoccupazione principale del giudice del rinvio riguarda la questione se la disposizione controversa possa rientrare in una delle eccezioni ammissibili al diritto alla libertà e alla sicurezza garantito dall’articolo 6 della Carta, ossia quella di cui alla lettera f) dell’articolo 5, paragrafo 1, della CEDU. L’esame di validità della disposizione controversa non può essere nondimeno circoscritto all’articolo 6 della Carta, interpretato alla luce della sola lettera f) in questione. 60. Da un lato, infatti, l’articolo 5, paragrafo 1, della CEDU contiene altre eccezioni al diritto alla libertà e alla sicurezza, rispetto alle quali occorre valutare se possano essere idonee a giustificare lo stato di trattenimento in virtù della disposizione controversa (31). D’altro lato, la questione pregiudiziale di cui è investita la Corte nella specie verte, in modo più generale, sulla conformità della disposizione controversa all’articolo 6 della Carta. Per poter rispondere in modo completo a tale questione e ai fini della certezza del diritto, ritengo necessario occuparmi delle altre garanzie offerte da queste ultime disposizioni e accertare se la disposizione controversa, inserita nel contesto delle disposizioni della «direttiva sull’accoglienza» dedicate al trattenimento, possa o meno essere attuata in modo da essere pienamente conforme alle medesime (32). 61. Del resto, rilevo sin da questa fase della mia analisi che la lettera f) dell’articolo 5, paragrafo 1, della CEDU, non è rilevante nell’ambito del procedimento principale.


62. Al riguardo, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo cui si riferisce il giudice del rinvio, vale a dire le sentenze R.U. c. Grecia, Ahmade c. Grecia e Nabil e a. c. Ungheria, riguardava situazioni in cui i richiedenti asilo ritenevano di essere stati privati arbitrariamente della loro libertà mentre erano destinatari di un ordine di espulsione. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto, in tali sentenze, che l’esame per accertare eventuali violazioni dell’articolo 5, paragrafo 1, della CEDU, dovesse essere svolto alla luce della sola lettera f) di tale disposizione (33). In particolare, essa ha affermato che detta disposizione richiede soltanto che sia in corso un procedimento d’espulsione e che pertanto quest’ultima non offre la stessa protezione dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera c), poiché il trattenimento può essere giustificato su siffatta base senza che esso sia necessario, ad esempio, per impedire che una persona commetta un reato o fugga (34). Nondimeno, solo lo svolgimento di un procedimento di espulsione o di estradizione giustifica una custodia ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera f), della CEDU, e, se il procedimento non è condotto con la necessaria diligenza, la custodia cessa di essere giustificata (35). 63. Per contro, nel procedimento principale, dalla decisione di rinvio risulta non solo che il sig. N. si trovava, dal 27 febbraio 2015, in stato di soggiorno regolare nei Paesi Bassi, ma anche che la presentazione della sua ultima domanda d’asilo in quella data ha invalidato la decisione di rimpatrio (36). In tali circostanze, il trattenimento in questione non poteva trovare fondamento nell’obiettivo di impedirgli di entrare illegalmente nel territorio olandese [prima ipotesi di cui all’articolo 5, paragrafo 1, lettera f), della CEDU]. Alla luce della suindicata giurisprudenza, il trattenimento non poteva neppure essere giustificato dal secondo motivo di cui all’articolo 5, paragrafo 1, lettera f), della CEDU. Dal momento che la decisione di rimpatrio risultava invalida, il trattenimento non rientrava in una procedura di espulsione o di estradizione in corso. 64. Infine, diverse parti e interessati che hanno presentato osservazioni si sono espressi, in risposta ad un quesito posto loro dalla Corte, sulla rilevanza eventuale dell’articolo 15 della CEDU (disposizione che non ha un equivalente nella Carta) per rispondere alla questione di validità posta nel caso in esame. 65. Al riguardo, è pur vero che le spiegazioni relative alla Carta precisano che quest’ultima «lascia impregiudicata la possibilità degli Stati membri di ricorrere all’articolo 15 della CEDU, che permette di derogare ai diritti sanciti dalla convenzione in caso di guerra o in caso di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione, quando agiscono nell’ambito della difesa in caso di guerra o nell’ambito del mantenimento dell’ordine pubblico, conformemente alle responsabilità loro riconosciute all’articolo 4, paragrafo 1 del [TUE] e agli articoli 72 e 347 del [TFUE]» (37). 66. Tuttavia, come sostengono il Consiglio e la Commissione, nessun elemento del fascicolo consente di presumere che il Regno dei Paesi Bassi avrebbe invocato tale clausola o un eventuale «stato d’urgenza» nel procedimento principale, allo scopo di derogare ai diritti fondamentali e di giustificare il trattenimento controverso. Dalle osservazioni presentate dal governo dei Paesi Bassi sembra piuttosto che quest’ultimo ritenga, in sostanza, che la decisione controversa sia conforme, in particolare, all’articolo 6 della Carta, letto alla luce dell’articolo 5 della CEDU. Inoltre, l’articolo 15 della CEDU non è tale da mettere in discussione la protezione offerta, in linea generale, dall’articolo 5 della CEDU e non ha pertanto alcuna incidenza sulla questione se la disposizione controversa sia conforme o meno all’articolo 6 della Carta.


Origine della disposizione controversa 67. La «precedente direttiva sull’accoglienza» non prevedeva disposizioni specifiche sul trattenimento. La «precedente direttiva procedure» si limitava a prevedere, al suo articolo 18, da un lato, che gli Stati membri non potevano trattenere in arresto una persona per il solo motivo che si trattava di un richiedente asilo e, dall’altro, che, qualora un richiedente asilo fosse trattenuto in arresto, gli Stati membri dovevano provvedere affinché fosse possibile un rapido sindacato giurisdizionale (38). Come osservato dalla Corte nella sentenza Arslan (39), nessuna delle predette direttive «[procedeva] ad un’armonizzazione dei motivi in base ai quali p[oteva] essere disposto il trattenimento di un richiedente asilo», fermo restando che «la proposta di un elenco che fissasse tassativamente tali motivi [era] stata abbandonata nel corso dei negoziati che [avevano] preceduto l’adozione della [“precedente direttiva procedure”] e [che] solo nell’ambito della rifusione della [“precedente direttiva sull’accoglienza”] [era] stato ipotizzato di creare un elenco del genere a livello europeo» (40). La Corte ne ha dedotto che spettava agli Stati membri stabilire, nel pieno rispetto dei loro obblighi derivanti tanto dal diritto internazionale quanto dal diritto dell’Unione, i motivi per le quali poteva essere disposto o mantenuto il trattenimento di un richiedente asilo (41). 68. L’elenco contenuto all’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, della «direttiva sull’accoglienza», costituisce in tal senso una novità. Nella sua proposta di direttiva la Commissione osservava che l’inserimento di un dispositivo specifico dedicato al trattenimento dei richiedenti protezione internazionale appariva giustificato non solo alla luce non solo dell’ampio ricorso a tale tipo di misura da parte degli Stati membri, ma anche dell’evoluzione della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (42). 69. La proposta prevedeva già il caso di un trattenimento necessario per proteggere la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico. Essa si riferiva, a tal riguardo, alla raccomandazione del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa sulle misure di detenzione dei richiedenti asilo, il cui punto 3 indica, inter alia, che se «[l]’obiettivo della detenzione non è sanzionare i richiedenti asilo», una siffatta misura può risultare necessaria «laddove lo richiede la protezione della sicurezza nazionale e dell’ordine pubblico» (43). Come si evince dal suo preambolo, anche la raccomandazione del Comitato dei ministri si ispirava, su questo punto, alla conclusione n. 44 (XXXVII) 1986 del Comitato esecutivo del Programma dell’Alto Commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (ACNUR), del 13 ottobre 1986, relativa alla detenzione dei rifugiati e dei richiedenti asilo (44). 70. Il Parlamento, nella sua risoluzione legislativa del 7 maggio 2009, non ha suggerito nessuna modifica sostanziale a quello che sarebbe poi diventato l’articolo 8 della «direttiva sull’accoglienza» (45). Per contro, nella sua proposta modificata presentata il 1° giugno 2011, la Commissione suggeriva, «in linea con le discussioni svoltesi in sede di Consiglio», di precisare all’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, che l’elenco dei motivi di trattenimento contenuto in tale disposizione lasciava impregiudicato il trattenimento ai fini di un procedimento penale (46). Benché tale proposta di redazione non sia stata accolta (47), il principio che ne discende si ritrova, in sostanza, al considerando 17 della «direttiva sull’accoglienza», laddove quest’ultimo riguarda però, in modo più generale, qualsiasi motivo di trattenimento applicabile conformemente alla legislazione nazionale, non correlati ad una domanda di protezione internazionale, e non soltanto i motivi di privazione della libertà che rientrano nel diritto penale. Commenti generali sull’articolo 8, paragrafo 3, della «direttiva sull’accoglienza»


71. L’articolo 8, paragrafo 3, della «direttiva sull’accoglienza», richiede anzitutto due precisazioni. Il trattenimento di un «richiedente» 72. In primo luogo, si evince dal periodo introduttivo dell’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, della «direttiva sull’accoglienza» che i motivi elencati in tale disposizione possono costituire soltanto il fondamento di una misura di trattenimento disposta nei confronti di un richiedente, ai sensi dell’articolo 2, lettera b), della direttiva in questione. Orbene, dalla definizione contenuta in quest’ultima disposizione discende che una persona perde tale qualità quando è stata adottata una decisione definitiva sulla sua domanda di protezione internazionale. Di conseguenza, una misura di trattenimento disposta nei confronti di una persona non può più fondarsi sulla disposizione controversa a decorrere dal momento in cui l’autorità nazionale competente ha adottato una decisione definitiva sulla sua domanda di protezione internazionale, sia essa di rigetto o di accoglimento di quest’ultima (48). 73. Tale constatazione non significa tuttavia che uno Stato membro sia impotente di fronte alla minaccia rappresentata per la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico da uno straniero la cui richiesta di protezione internazionale è stata definitivamente rifiutata e che è destinatario di una decisione di rimpatrio. Uno Stato membro può infatti, alle condizioni previste all’articolo 15 della «direttiva sul rimpatrio», non soltanto porre, ma anche mantenere uno straniero in stato di trattenimento in una situazione siffatta, al fine di preparare il suo rimpatrio e/o effettuarne l’allontanamento. Nulla esclude che il trattenimento possa essere giustificato dalla necessità di proteggere la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico. L’articolo 15, paragrafo 1, della «direttiva sul rimpatrio», menziona infatti il rischio di fuga o la situazione in cui il cittadino interessato evita od ostacola la preparazione del rimpatrio o della procedura di allontanamento solo come esempi dei motivi di trattenimento in un contesto di tal genere (49). Il carattere autonomo di ciascuno dei motivi di trattenimento elencati all’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, della «direttiva sull’accoglienza» 74. In secondo luogo, all’udienza è stata sollevata la questione se la disposizione controversa potesse essere interpretata come una disposizione autonoma. Tale questione, che riguarda anzitutto la mutua correlazione del motivo di trattenimento previsto nella disposizione controversa con gli altri motivi elencati all’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, della «direttiva sull’accoglienza», può essere estesa a ciascuno degli altri motivi. La risposta, a mio avviso, deve essere affermativa. 75. L’elenco dei motivi di trattenimento contenuto all’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, della «direttiva sull’accoglienza», è sicuramente esaustivo e, trattandosi di un’eccezione al principio sancito al paragrafo 1 dello stesso articolo, deve essere inteso in maniera restrittiva (50). Ciò non può tuttavia condurre a interpretare uno qualsiasi dei predetti motivi in modo da privarlo di qualsiasi valore aggiunto rispetto a un altro. Orbene, è quanto avverrebbe, ad esempio, se la disposizione controversa potesse essere utilizzata soltanto in combinato disposto con un altro motivo di trattenimento di cui all’articolo 8, paragrafo 3, primo comma. La formulazione letterale stessa della disposizione controversa conferma che quest’ultima non coincide affatto con gli altri motivi di trattenimento elencati in detto articolo. 76.

Per quanto riguarda specificamente la disposizione controversa, l’autonomia di quest’ultima


ha anche un altro significato. Da un lato, la circostanza che una persona che chiede protezione internazionale fosse oggetto di una procedura di rimpatrio prima della presentazione di tale domanda e che la predetta procedura sia stata semplicemente sospesa durante l’esame della domanda non è, di per sé, in grado di giustificare un trattenimento in virtù della disposizione controversa. Dall’altro, l’esecuzione di detta disposizione non presuppone necessariamente che la persona trattenuta fosse già oggetto di una procedura di rimpatrio, ai sensi della «direttiva sul rimpatrio». Ritornerò su ciascuno di questi aspetti in prosieguo (51). Interpretazione della disposizione controversa 77. Passo ora al fulcro dell’interpretazione della disposizione controversa: cosa significhi «quando lo impongono motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico». Osservazioni preliminari 78. La «direttiva sull’accoglienza» non definisce l’espressione «[protezione della] sicurezza nazionale o [dell’]ordine pubblico». Orbene, secondo giurisprudenza costante, la determinazione del significato e della portata dei termini per i quali il diritto dell’Unione non fornisce alcuna definizione va operata conformemente al loro senso abituale nel linguaggio corrente, tenendo conto al contempo del contesto in cui essi sono utilizzati e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essi fanno parte. Qualora tali termini ricorrano nell’ambito di una disposizione che costituisce una deroga ad un principio, essi devono essere letti in modo che tale disposizione possa essere interpretata restrittivamente (52). 79. Disponendo che gli Stati membri non possono trattenere una persona per il solo fatto che si tratta di un richiedente ai sensi della «direttiva procedure», l’articolo 8, paragrafo 1, della «direttiva sull’accoglienza» mira a garantire il rispetto del diritto fondamentale dei cittadini di paesi terzi interessati alla libertà e alla sicurezza. Come emerge dal considerando 15 della «direttiva sull’accoglienza», gli Stati membri sono autorizzati a trattenere un richiedente soltanto in circostanze eccezionali e in via derogatoria, nel rispetto dei principi di necessità e di proporzionalità per quanto riguarda sia le modalità che le finalità di tale trattenimento (53). 80. In siffatto contesto, è pur vero che dagli articoli 4, paragrafo 2, TUE, e 72 TFUE risulta che gli Stati membri restano liberi di determinare le esigenze di ordine pubblico e quelle legate alla loro sicurezza nazionale, conformemente alle loro esigenze nazionali che possono variare da uno Stato membro all’altro e da un’epoca all’altra (54). 81. Tuttavia, come risulta dalla descrizione che ne ho fatto supra (55), la disposizione controversa appare come la giustificazione di una deroga possibile, per gli Stati membri, a un obbligo concepito allo scopo di garantire il rispetto dei diritti fondamentali dei richiedenti protezione internazionale quando sono accolti nell’Unione. I requisiti attinenti alla protezione della sicurezza nazionale e all’ordine pubblico devono pertanto essere intesi in senso restrittivo e la loro portata non può essere determinata unilateralmente da ciascuno Stato membro al di fuori del controllo da parte delle istituzioni dell’Unione, segnatamente la Corte di giustizia (56). 82. Siffatti ultimi requisiti risultano ancora più importanti se si considera che la disposizione controversa si distingue dagli altri motivi previsti all’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, della «direttiva sull’accoglienza» per la generalità dei termini utilizzati. Tale disposizione non può in


nessun caso essere interpretata in senso tanto lato da rischiare, in pratica, di privare di ogni effetto utile l’inquadramento rigoroso previsto dalla «direttiva sull’accoglienza» per trattenere un richiedente asilo. 83. Infine, secondo un principio ermeneutico generale, un atto dell’Unione dev’essere interpretato, nei limiti del possibile, in modo da non rimettere in discussione la sua validità e in conformità con il diritto primario nel suo complesso e, in particolare, con le disposizioni della Carta (57). Gli Stati membri sono infatti tenuti non solo a interpretare il loro diritto nazionale che rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione in modo conforme a quest’ultimo, ma anche a provvedere a non fondarsi su un’interpretazione di un testo di diritto derivato che entri in conflitto con i diritti fondamentali tutelati dall’ordinamento giuridico dell’Unione o con gli altri principi generali del diritto dell’Unione (58). 84. Nella specie, tale principio significa che gli Stati membri, allorché scelgono di prevedere che un richiedente protezione internazionale possa essere trattenuto quando lo impongono motivi di protezione della sicurezza nazionale o dell’ordine pubblico, conformemente alla disposizione controversa, sono tenuti a far sì che un siffatto trattenimento sia pienamente conforme al diritto alla libertà e alla sicurezza garantito dall’articolo 6 della Carta. Indipendenza rispetto ad altri motivi di privazione della libertà applicabili in virtù del diritto nazionale 85. Peraltro, come sostengono giustamente il governo italiano e la Commissione, risulta chiaramente dal considerando 17 della «direttiva sull’accoglienza», che può contribuire a chiarire la portata di tale direttiva (59), che il motivo di trattenimento di cui alla disposizione controversa, al pari degli altri motivi elencati all’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, della «direttiva sull’accoglienza», non coincide con i casi di detenzione previsti dal diritto nazionale (segnatamente penale), i quali si applicano a qualsiasi persona, indipendentemente da una domanda di protezione internazionale. 86. Il suindicato considerando 17 conferma difatti che la «direttiva sull’accoglienza» lascia impregiudicata la facoltà degli Stati membri di privare un richiedente protezione internazionale della sua libertà per gli stessi motivi e alle stesse condizioni di qualsiasi altra persona che ricada nella sfera della loro autorità, segnatamente i loro cittadini e i cittadini di paesi terzi che risiedono legalmente sul loro territorio. Ne consegue, ad esempio, che la disposizione controversa non incide sulla possibilità di applicare a un richiedente protezione internazionale – alle stesse condizioni di ogni altra persona – le disposizioni del diritto nazionale che consentono di arrestare e trattenere in via amministrativa e per un breve periodo una persona che partecipi ad una manifestazione, se lo richiedono il mantenimento o il ripristino dell’ordine pubblico o della sicurezza pubblica. Parimenti, la «direttiva sull’accoglienza» non armonizza in alcun modo le legislazioni degli Stati membri che prevedono che una persona, sia essa o meno un richiedente protezione internazionale, possa essere punita con la reclusione qualora commetta un reato (ad esempio omicidio o violenza sessuale). 87. Ciò posto, una delle funzioni del diritto penale consiste appunto nel proteggere la società dalle minacce all’ordine pubblico, o alla sicurezza nazionale stessa. Pertanto, la precisazione esposta nei precedenti paragrafi non esclude che talune circostanze possano nel contempo rientrare nel diritto penale nazionale ed essere tali da giustificare una misura di trattenimento in virtù della disposizione


controversa. Difatti, come esempio evidente, atti preparatori a un attentato terroristico possono tanto costituire gli elementi materiali di un reato (a cui consegue, eventualmente, una pena detentiva), quanto fondare la necessità di un trattenimento preventivo in virtù della disposizione controversa (60). Come suggerito in sostanza dalla Commissione, tale disposizione consente ad uno Stato membro, in siffatte circostanze, di conferire all’autorità responsabile della domanda d’asilo il potere di prevenire una minaccia grave alla sicurezza nazionale o all’ordine pubblico ordinando essa stessa il trattenimento del richiedente (61). In tal caso, tuttavia, l’articolo 9, paragrafo 3, primo comma, della «direttiva sull’accoglienza», impone allo Stato membro interessato di predisporre una rapida verifica giudiziaria della legittimità della misura di trattenimento, d’ufficio e/o su domanda dell’interessato, nonché il rilascio immediato del richiedente se il trattenimento è ritenuto illegittimo (62). Delucidazione dei concetti di «sicurezza nazionale» e di «ordine pubblico» 88. Con riguardo al significato propriamente detto dei concetti di «sicurezza nazionale» e di «ordine pubblico», la Corte, nella sua sentenza T. (63), ha già avuto occasione di interpretare le predette nozioni, contenute all’articolo 24, paragrafo 1, della «precedente direttiva qualifiche» (64), per analogia con quelle di «sicurezza pubblica» e di «ordine pubblico» utilizzate agli articoli 27 e 28 della direttiva 2004/38/CE (65). Sebbene gli Stati membri restino liberi di determinare le regole di ordine pubblico e di pubblica sicurezza, come ho ricordato supra, la Corte ha nondimeno ritenuto che la portata della protezione che una comunità intende accordare ai suoi interessi fondamentali non può variare a seconda dello status giuridico della persona che lede tali interessi (66). 89. La Corte ha così ritenuto che la nozione di «pubblica sicurezza» comprende tanto la sicurezza interna di uno Stato membro quanto la sua sicurezza esterna e che, pertanto, il pregiudizio al funzionamento delle istituzioni e dei relativi servizi pubblici essenziali nonché la sopravvivenza della popolazione, come il rischio di perturbazioni gravi dei rapporti internazionali o della coesistenza pacifica dei popoli, o ancora il pregiudizio agli interessi militari, possono ledere la pubblica sicurezza (67). 90. Per quanto concerne la nozione di «ordine pubblico», la Corte l’ha interpretata, in diversi contesti, nel senso che presuppone, in ogni caso, oltre alla perturbazione dell’ordine sociale insita in qualsiasi infrazione della legge, l’esistenza di una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di un interesse fondamentale della società (68). Ne deriva che, nell’ambito di una valutazione della nozione di cui trattasi, è rilevante qualsiasi elemento di fatto o di diritto relativo alla situazione del cittadino interessato di un paese terzo che possa chiarire se il comportamento personale del medesimo costituisca siffatta minaccia (69). 91. Le predette precisazioni, a mio parere, possono essere pienamente applicabili per interpretare i concetti di «sicurezza nazionale» e di «ordine pubblico» nella disposizione controversa. 92. Rilevo inoltre che il considerando 37 della «direttiva qualifiche», con la quale la disposizione controversa deve essere interpretata in modo coerente, illustra in cosa possa consistere una minaccia grave per la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico. Secondo tale considerando «[n]ella nozione di sicurezza nazionale e di ordine pubblico rientrano (…) i casi in cui un cittadino di un paese terzo faccia parte di un’organizzazione che sostiene il terrorismo internazionale o sostenga una siffatta organizzazione» (70). Una siffatta appartenenza, se debitamente accertata, potrebbe essere


sufficiente a stabilire la necessità di una misura di trattenimento in virtù della disposizione controversa. Una funzione esclusivamente preventiva 93. Consentendo di adottare misure per evitare minacce alla sicurezza nazionale o all’ordine pubblico, la disposizione controversa svolge una funzione esclusivamente preventiva. 94. Tale carattere preventivo va di pari passo con il requisito, derivante dall’articolo 8, paragrafo 2, della «direttiva sull’accoglienza», secondo il quale può essere deciso il trattenimento in virtù della disposizione controversa solo sulla base di una «valutazione caso per caso». Il predetto requisito impone di valutare l’eventuale sussistenza di elementi di fatto o di diritto relativi alla situazione del richiedente idonei a chiarire se il comportamento personale del medesimo giustifichi un suo trattenimento, a causa della minaccia reale, attuale e sufficientemente grave che rappresenta per la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico. È irrilevante, in proposito, che la disposizione controversa non contenga l’espresso riferimento al «pericolo» che il richiedente costituisce per l’ordine pubblico o la sicurezza nazionale, a differenza ad esempio dell’articolo 7, paragrafo 4, della «direttiva sul rimpatrio». 95. Il requisito richiamato al precedente paragrafo comporta che uno Stato membro non può basarsi su una prassi generale o su una qualsiasi presunzione al fine di verificare l’esistenza di una minaccia per la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico ai sensi della disposizione controversa, senza tenere debitamente conto del comportamento personale del cittadino e del pericolo che tale comportamento rappresenta al riguardo (71). 96. Per tale ragione, non condivido la posizione della Commissione secondo la quale la disposizione controversa consentirebbe ad uno Stato membro di trattenere dei richiedenti asilo se questi facessero parte di un afflusso massiccio e improvviso di migranti tale da mettere in pericolo l’ordine interno dello Stato in questione e la sua capacità di far fronte a un siffatto afflusso. Occorre peraltro osservare, su questo punto, che, in virtù del suo articolo 3, paragrafo 3, la «direttiva sull’accoglienza» non trova applicazione laddove si applichi la direttiva 2001/55/CE del Consiglio, del 20 luglio 2001, sulle norme minime per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e sulla promozione dell’equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono gli sfollati e subiscono le conseguenze dell’accoglienza degli stessi (72). 97. Parimenti, il fatto che un richiedente sia sospettato di aver commesso un fatto punibile come delitto nel diritto nazionale o abbia già subito una condanna penale per un fatto del genere non può considerato a sé stante - giustificarne il trattenimento sulla base del rilievo che lo impone la protezione della sicurezza nazionale o dell’ordine pubblico (73). Il carattere preventivo di un trattenimento in virtù della disposizione controversa esclude infatti che quest’ultima possa avere come obiettivo, di per sé, di sanzionare un comportamento passato del richiedente. Rilevo peraltro che una conclusione diversa sarebbe problematica sul piano del principio del ne bis in idem, giacché renderebbe possibile una situazione in cui una persona, dopo essere stata condannata per uno o più reati e dopo aver scontato le relative pene, sia «sanzionata» nuovamente per i medesimi fatti con un trattenimento a titolo della disposizione controversa. 98. È altresì opportuno precisare a tal riguardo che, nella sua sentenza El Dridi (74), la Corte ha dichiarato che la «direttiva sul rimpatrio», segnatamente i suoi articoli 15 e 16, osta ad una


normativa di uno Stato membro che preveda l’irrogazione della pena della reclusione al cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare per la sola ragione che questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio di tale Stato, permane in detto territorio senza giustificato motivo. Una tale pena, infatti, rischierebbe di compromettere la realizzazione dell’obiettivo perseguito dalla direttiva in questione, ossia l’instaurazione di una politica efficace di allontanamento e di rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare (75). Di conseguenza, contrariamente a quanto suggerito dal governo dei Paesi Bassi, la circostanza che un cittadino di un paese terzo sia stato, in passato, condannato a una tale pena non può in nessun caso contribuire a stabilire che il cittadino in questione, successivamente alla presentazione di una domanda di protezione internazionale, costituisce una minaccia attuale per la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico tale da giustificare un suo trattenimento in virtù della disposizione controversa. 99. Per contro, come affermato in sostanza dal governo belga, la constatazione di una minaccia per la sicurezza nazionale o per l’ordine pubblico non presuppone necessariamente che l’autorità nazionale competente sospetti che il richiedente abbia commesso un fatto punibile come delitto o, a maggior ragione, che essa sia in grado di dimostrare che ciò sia avvenuto o addirittura che il richiedente sia già stato condannato per tale motivo. Non si può infatti escludere, analizzando il complesso delle circostanze rilevanti, che un richiedente possa costituire una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave per la sicurezza nazionale o per l’ordine pubblico in presenza di indizi seri che consentano di sospettare che stia per commettere un atto di tal genere. Autonomia della disposizione controversa rispetto a una procedura di rimpatrio 100. La circostanza che un richiedente sia stato destinatario di una decisione di rimpatrio, prima della presentazione della sua domanda d’asilo, o persino che sia stato condannato per essersi sottratto a tale decisione, è, di per sé, estranea alla constatazione secondo la quale il richiedente in questione costituisce una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave per la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico nello Stato membro interessato (76). Lo stesso può dirsi nel caso in cui una decisione di rimpatrio di tal genere risulti dal rigetto di una precedente domanda d’asilo (77). Contrariamente a quanto affermato dal Consiglio, è di per sé irrilevante, a tal riguardo, che un richiedente presenti un’ «altra domanda reiterata» di protezione internazionale nello stesso Stato membro dopo che è stata adottata una decisione definitiva che ha dichiarato irricevibile una prima domanda reiterata, di cui all’articolo 41, paragrafo 1, lettera b), della «direttiva procedure», e che consente ad uno Stato membro di derogare al diritto del richiedente in questione di permanere sul territorio. 101. Quest’ultima precisazione mi offre l’occasione di affrontare la questione della relazione tra la disposizione controversa e il motivo di trattenimento di cui all’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, lettera d), della «direttiva sull’accoglienza». Quest’ultimo motivo riguarda la situazione di un richiedente protezione internazionale posto in stato di trattenimento nell’ambito di una procedura di rimpatrio sulla base della «direttiva sul rimpatrio», al fine di preparare il rimpatrio e/o di effettuare l’allontanamento (78). 102. Nella sentenza Arslan (79), la Corte ha avuto l’occasione di precisare che la «direttiva sul rimpatrio» non è applicabile al cittadino di un paese terzo che ha presentato una domanda d’asilo, e ciò durante il periodo che intercorre tra la presentazione di tale domanda e l’adozione della decisione dell’autorità di primo grado che si pronuncia su tale domanda o, eventualmente, fino


all’esito del ricorso che sia stato proposto avverso tale decisione. Di conseguenza, durante il suindicato periodo, il trattenimento di un richiedente asilo ai fini dell’allontanamento non può fondarsi sull’articolo 15 della «direttiva sul rimpatrio», anche se, prima della presentazione della sua domanda, il richiedente sia stato posto in stato di trattenimento sulla base del predetto articolo con la motivazione che il suo comportamento faceva temere che si sarebbe dato alla fuga vanificando il suo allontanamento (80). 103. La Corte ha tuttavia dichiarato, prima ancora dell’entrata in vigore della «direttiva sull’accoglienza», che la finalità della «direttiva sul rimpatrio» di garantire l’efficace rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare risulterebbe compromessa se fosse possibile per un richiedente trattenuto ai sensi dell’articolo 15 della predetta direttiva ottenere automaticamente di essere rimesso in libertà per il solo fatto di aver presentato una domanda d’asilo (81). La Corte sottolineava infatti che lo svolgimento del procedimento d’esame di una tale domanda non voleva dire affatto che fosse posto definitivamente termine al procedimento di rimpatrio, potendo quest’ultimo proseguire laddove la domanda d’asilo venisse respinta (82). Pertanto, né la «precedente direttiva sull’accoglienza» né la «precedente direttiva procedure» ostavano a che il cittadino di un paese terzo, che avesse presentato una domanda di protezione internazionale dopo ne fosse stato disposto il trattenimento ai sensi dell’articolo 15 della «direttiva sul rimpatrio», continuasse ad essere trattenuto in base ad una norma del diritto nazionale qualora apparisse, in esito ad una valutazione individuale di tutte le circostanze pertinenti, che tale domanda era stata presentata al solo scopo di ritardare o compromettere l’esecuzione della decisione di rimpatrio e che era oggettivamente necessario mantenere il provvedimento di trattenimento al fine di evitare che l’interessato si sottraesse definitivamente al proprio rimpatrio (83). 104. Ora, l’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, lettera d), della «direttiva sull’accoglienza», è volto appunto ad inquadrare le misure di trattenimento che gli Stati membri possono disporre in una situazione di tale tipo. Il trattenimento sulla base della predetta disposizione è possibile solo se, da un lato, il richiedente, al momento in cui presenta la domanda di protezione internazionale, è trattenuto nell’ambito di un procedimento di rimpatrio in applicazione della «direttiva sul rimpatrio», al fine di preparare il rimpatrio e/o effettuare l’allontanamento, e dall’altro, lo Stato membro interessato può dimostrare, in base a criteri obiettivi, che vi sono fondati motivi per ritenere che la persona abbia presentato la domanda in questione al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione della decisione di rimpatrio di cui è stata oggetto. L’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, lettera d), della «direttiva sull’accoglienza», quindi, chiaramente non riguarda il caso in cui l’interessato, al momento della presentazione della domanda d’asilo, o non è privato della libertà o ne è privato al di fuori di un procedimento di rimpatrio in virtù della «direttiva sul rimpatrio». 105. All’udienza è stato suggerito, in sostanza, che la disposizione controversa potrebbe essere interpretata nel senso che consente di trattenere un cittadino di un paese terzo che è stato destinatario di una decisione di rimpatrio, ma fino a quel momento in libertà, successivamente alla presentazione da parte di quest’ultimo di una domanda di protezione internazionale, per il motivo che la domanda in questione è stata presentata al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione della decisione di rimpatrio. A mio avviso, una siffatta interpretazione non può essere accolta. Infatti, essa non solo priverebbe di effetto la prima condizione prevista all’articolo 8, paragrafo 3,


primo comma, lettera d), della «direttiva sull’accoglienza», richiamata al paragrafo precedente, ma sarebbe altresì incompatibile con lo stesso principio enunciato all’articolo 8, paragrafo 1, di tale direttiva, giacché in un caso del genere il trattenimento trarrebbe origine dalla presentazione della domanda di protezione internazionale. Per estensione, detta interpretazione sarebbe problematica alla luce dell’articolo 31 della convenzione di Ginevra, a cui il citato articolo 8, paragrafo 1, intende, inter alia, dare attuazione. Come ho evidenziato, l’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, lettera d), della «direttiva sull’accoglienza» consente soltanto, a certe condizioni, di prolungare una misura di trattenimento già presa nei confronti di un cittadino di un paese terzo al fine di preparare il suo rimpatrio e/o effettuare il suo allontanamento nell’ambito di un procedimento di rimpatrio. 106. Ciò considerato, la sola circostanza che un richiedente asilo, prima della presentazione della sua domanda di protezione internazionale, sia stato destinatario di una decisione di rimpatrio divenuta definitiva, eventualmente corredata di un divieto d’ingresso, non osta a che egli sia trattenuto per la prima volta sulla base della disposizione controversa, purché lo Stato membro interessato accerti che il richiedente in questione rappresenta una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave per la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico (84). 107. La Commissione ha peraltro affermato all’udienza, in sostanza, che la disposizione controversa potrebbe avere lo scopo di consentire il trattenimento di un richiedente protezione internazionale allorché si sia derogato al suo diritto di restare sul territorio dello Stato membro interessato, ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 2, della «direttiva procedure», letto in combinato disposto con l’articolo 41 della stessa direttiva. La disposizione controversa consentirebbe in un caso siffatto di trattenere il richiedente, addirittura prima che sia presa una decisione sulla sua domanda di protezione internazionale, quando le domande del richiedente siano già state respinte diverse volte e sussista il rischio che quest’ultimo si sottragga all’ordine di lasciare il territorio emanato nei suoi confronti. 108. Tale argomento non mi appare convincente. Nella situazione appena descritta, infatti, il richiedente si trova, per ipotesi, in situazione di soggiorno «irregolare» nel territorio dello Stato membro interessato, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, della «direttiva sul rimpatrio». Ne discende che si applicano le disposizioni di quest’ultima direttiva. Orbene, un eventuale trattenimento a scopo di allontanamento è perfettamente possibile, in virtù dell’articolo 15 della stessa, al fine di preparare il rimpatrio e/o di effettuare l’allontanamento. Non sussiste pertanto alcun «vuoto giuridico» che la disposizione controversa deve colmare in una siffatta situazione. 109. Infine, contrariamente a quanto sostenuto all’udienza tanto dal sig. N. quanto dal governo dei Paesi Bassi e dal Parlamento, non vedo nessuna ragione per limitare l’applicazione della disposizione controversa ai soli casi in cui il richiedente interessato sia stato destinatario di una decisione di rimpatrio prima della presentazione della sua domanda. Un’interpretazione siffatta non trova alcun elemento di sostegno nella formulazione letterale della disposizione controversa o, più in generale, della «direttiva sull’accoglienza». Essa sarebbe inoltre tale da compromettere seriamente l’effetto utile di detta disposizione, dato che la capacità di uno Stato membro di prevenire, sulla base di quest’ultima, un pregiudizio grave per la sua sicurezza nazionale o il suo ordine pubblico dipenderebbe anzitutto dalla previa adozione di una decisione di rimpatrio. Orbene, la minaccia che lo Stato membro potrebbe dover affrontare potrebbe anche rivelarsi durante l’esame di una domanda d’asilo, (molto) prima che sia stata presa una decisione di rimpatrio (85). Rilevanza di un divieto d’ingresso


110. Passerò ora ad esaminare l’eventuale rilevanza della circostanza che una decisione di rimpatrio precedente sia stata corredata di un divieto d’ingresso, ai sensi dell’articolo 11 della «direttiva sul rimpatrio». 111. Ritengo che una tale circostanza non possa in nessun caso essere determinante. È pur vero che il paragrafo 2 della predetta disposizione prevede che un divieto d’ingresso può essere disposto per una durata che supera i cinque anni se il cittadino di un paese terzo interessato dalla misura in questione è considerato costituire una grave minaccia per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale. Un divieto d’ingresso motivato da considerazioni siffatte è pertanto, come osservato dai governi belga, ellenico e italiano nonché dal Consiglio, idoneo a fornire un indizio nel senso che un richiedente asilo rappresenti una tale minaccia. 112. Tuttavia, secondo l’articolo 11, paragrafo 5, della «direttiva sul rimpatrio», un divieto d’ingresso non pregiudica il diritto alla protezione internazionale di cui può beneficiare l’interessato nel diritto dell’Unione, purché quest’ultimo presenti una domanda per ottenere una siffatta protezione. Per estensione, un divieto di tal genere non pregiudica neppure le garanzie conferite dalla «direttiva sull’accoglienza», ivi compresa la protezione contro un trattenimento che non sia giustificato rispetto ad uno dei motivi di cui all’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, della stessa. Pertanto, il solo fatto che un richiedente sia stato destinatario, in passato, di un divieto d’ingresso in uno Stato membro, per motivi di protezione della sicurezza nazionale o dell’ordine pubblico, non esenta l’autorità nazionale competente, al momento in cui considera un eventuale trattenimento in virtù della disposizione controversa, dall’esaminare se la misura in questione appaia giustificata rispetto al pericolo attuale che rappresenta il richiedente per la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico (86). Una misura eccezionale 113. In ogni caso, la «direttiva sull’accoglienza» tiene conto del fatto che un trattenimento è una misura particolarmente drastica adottata nei confronti di un richiedente protezione internazionale, che può essere adottata soltanto in presenza di circostanze eccezionali (87). Difatti, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 2, della predetta direttiva, uno Stato membro è autorizzato a trattenere un richiedente asilo quando lo impongano motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico soltanto, da un lato, «[o]ve necessario», e, dall’altro, «se non siano applicabili efficacemente misure alternative meno coercitive». Un siffatto trattenimento è pertanto soggetto a un rigoroso requisito di proporzionalità. La circostanza che la disposizione controversa costituisca una misura di extrema ratio è confermato anche dall’articolo 8, paragrafo 4, della «direttiva sull’accoglienza», che individua alternative al trattenimento, come, segnatamente, l’obbligo di presentarsi periodicamente alle autorità o ancora l’obbligo di dimorare in un luogo assegnato (senza dunque essere trattenuto). Siffatte alternative non sarebbero tuttavia idonee, ad esempio, a prevenire la minaccia grave per la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico rappresentata da un individuo che, considerato un complesso di indizi concordanti, stia per commettere un attentato terroristico. Osservazioni finali 114. Rilevo inoltre che l’interpretazione della disposizione controversa che ho esposto nei paragrafi che precedono non impedisce ad uno Stato membro di prevedere, basandosi su un altro motivo di trattenimento di cui all’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, della «direttiva sull’accoglienza», che


un richiedente protezione internazionale possa essere trattenuto qualora sussista il rischio di fuga del medesimo. L’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, lettera b), dispone infatti che, in un caso del genere, è possibile ordinare il trattenimento nei limiti in cui è necessario affinché l’autorità nazionale competente possa determinare gli elementi su cui si basa la domanda di protezione internazionale (88). Considerata singolarmente, l’esistenza di un siffatto rischio non può fungere da base alla conclusione che un richiedente protezione internazionale rappresenta una minaccia per la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico, ai sensi della disposizione controversa. 115. Tale interpretazione lascia del pari impregiudicata la facoltà degli Stati membri di trattenere un richiedente asilo per verificarne l’identità o la cittadinanza o ancora per decidere sul suo diritto di entrare nel territorio dello Stato membro in questione, a condizione che non siano applicabili efficacemente misure alternative meno coercitive nei confronti del richiedente. Le lettere a) e c) dell’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, della «direttiva sull’accoglienza», prevedono in effetti espressamente che il trattenimento si possa fondare su tali motivi, purché siano rispettate tutte le garanzie in materia di trattenimento previste da detta direttiva (89). Validità della disposizione controversa 116. Affinché sia conforme all’articolo 6 della Carta, una misura di trattenimento in virtù della disposizione controversa deve essere prevista dalla legge, rispettare il contenuto essenziale del diritto alla libertà e alla sicurezza e, nel rispetto del principio di proporzionalità, risultare necessaria e rispondere effettivamente a obiettivi di interesse generale riconosciuti dall’Unione o all’esigenza di protezione dei diritti e delle libertà altrui. Come ho indicato al paragrafo 60 della presente presa di posizione, ciò presuppone di verificare se una misura di trattenimento siffatta, da un lato, rientri in una delle eccezioni previste all’articolo 5, paragrafo 1, della CEDU, e, dall’altro, rispetti tutte le altre garanzie enunciate ai paragrafi da 2 a 5 di detto articolo. Approfondirò in prosieguo più nel dettaglio i suindicati requisiti. Le osservazioni seguenti non si propongono di presentare il complesso della giurisprudenza rilevante della Corte europea dei diritti dell’uomo con riguardo alle ingerenze con il diritto alla libertà e alla sicurezza sancito dall’articolo 5 della CEDU e, per estensione, dall’articolo 6 della Carta. Esse sono limitate a quanto risulta necessario per rispondere alla questione di validità sottoposta alla Corte. Se la disposizione controversa sia tale da rientrare in una delle eccezioni ammesse al diritto alla libertà e alla sicurezza. 117. Da costante giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, pienamente rilevante riguardo all’interpretazione dell’articolo 6 della Carta, risulta che le lettere da a) a f) dell’articolo 5, paragrafo 1, della CEDU, contengono un elenco esaustivo dei motivi che autorizzano il trattenimento, che pertanto non è regolare se non rientra in uno dei predetti motivi (90). Detti motivi, rappresentando eccezioni al diritto alla libertà e alla sicurezza (91), devono essere interpretati restrittivamente. 118. Osservo da subito che, in considerazione della natura esclusivamente preventiva del motivo di trattenimento di cui alla disposizione controversa, che ho posto in evidenza supra (92), una misura di trattenimento ordinata in virtù della stessa non può in nessun caso costituire un’eccezione al diritto alla libertà e alla sicurezza prevista all’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), della CEDU. L’eccezione in oggetto riguarda infatti la condanna pronunciata da un tribunale ad una pena


privativa della libertà ed è pertanto estranea a misure preventive (93). 119. Il trattenimento di un richiedente asilo in virtù della disposizione controversa, nei limiti della portata della disposizione medesima che ho indicato supra, può tuttavia rientrare in diverse altre eccezione previste all’articolo 5 della CEDU. 120. La prima è quella prevista all’articolo 5, paragrafo 1, lettera c), della CEDU, che riguarda in sostanza la detenzione preventiva (94). La Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato, in proposito, che il motivo di trattenimento relativo alla necessità d’impedire che una persona commetta un reato non si presta ad una politica di prevenzione generale rivolta contro una persona o una categoria di persone che risultano pericolose a causa della loro propensione continua alla delinquenza. Tale motivo si limita a concedere agli Stati contraenti lo strumento per impedire un reato concreto e determinato (95). Esso consente soltanto una detenzione disposta nell’ambito di un procedimento penale (96). Ciò si evince dal testo della norma, che deve essere letta in combinato disposto con, da un lato, la lettera a) dello stesso paragrafo dell’articolo 5, e, dall’altro, il paragrafo 3 del medesimo articolo, con cui forma un tutt’uno e che precisa segnatamente che una siffatta eccezione al diritto alla libertà e alla sicurezza presuppone che la persona interessata debba essere tradotta al più presto dinanzi ad un giudice o ad un altro magistrato autorizzato dalla legge ad esercitare funzioni giudiziarie e ha diritto di essere giudicata entro un termine ragionevole o di essere messa in libertà durante la procedura (97). Tale tipo di procedura può avere ad oggetto, laddove una persona sia privata della libertà per impedirle di commettere un reato, l’imposizione di una sanzione penale alla persona in questione per gli atti preparatori del reato stesso (98). Il requisito di un procedimento penale non significa tuttavia che l’arresto e la detenzione non possano essere disposti da un’autorità amministrativa (come nell’esempio riportato supra al paragrafo 87), giacché la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato che l’articolo 5, paragrafo 3, della CEDU, intende precisamente garantire un controllo giudiziario rapido ed automatico di una misura privativa della libertà ordinata dalla polizia o dall’amministrazione in virtù del paragrafo 1, lettera c), di detto articolo (99). 121. Peraltro, l’autonomia della disposizione controversa rispetto a un procedimento di rimpatrio, da me evidenziata supra ai paragrafi da 100 a 109, non esclude ovviamente che un trattenimento disposto a tale titolo rientri nell’ambito di un procedimento di rimpatrio quando il richiedente interessato sia stato destinatario di una decisione di rimpatrio prima della presentazione della sua domanda di protezione internazionale. Una misura di trattenimento di tale tipo potrebbe, in questo caso, essere giustificata ai sensi della seconda eccezione di cui all’articolo 5, paragrafo 1, lettera f), della CEDU. 122. Come ho fatto presente (100), si evince infatti dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che quest’ultima disposizione richiede soltanto che un procedimento di espulsione sia in corso. Essa non offre la stessa protezione dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera c), della CEDU, e non presuppone pertanto, segnatamente, il passaggio immediato dinanzi a un giudice, imposto dall’articolo 5, paragrafo 3, per i casi di privazione della libertà fondati sul menzionato articolo 5, paragrafo 1, lettera c). Orbene, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato, nella sentenza Nabil e a. c. Ungheria, che la circostanza che una persona oggetto di un ordine di espulsione abbia presentato una domanda d’asilo non implica, di per sé, necessariamente che il trattenimento della persona in questione non miri più alla sua espulsione, giacché un eventuale rigetto della predetta


domanda potrebbe rendere possibile l’esecuzione dell’ordine di espulsione (101). Esiste un’analogia su questo piano con la tesi contenuta al punto 60 della sentenza Arslan (102). 123. Nondimeno, solo lo svolgimento di un procedimento di espulsione o di estradizione giustifica una privazione della libertà a tale titolo, e ciò purché il predetto procedimento sia condotto con la necessaria diligenza (103). La seconda eccezione prevista all’articolo 5, paragrafo 1, lettera f), della CEDU, può pertanto giustificare una privazione della libertà di un richiedente asilo soltanto a condizione che, segnatamente, la presentazione da parte del medesimo di una domanda di protezione internazionale non abbia avuto l’effetto di far scomparire dall’ordinamento giuridico l’ordine di espulsione emesso nei suoi confronti (104). Inoltre, una misura di privazione della libertà può essere giustificata sulla base dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera f), solo se sia eseguita in buona fede, se sia strettamente legata al motivo di trattenimento invocato dal governo interessato, se il luogo e le condizioni di detenzione siano adeguati e, infine, se la durata della misura in questione non ecceda il termine ragionevolmente necessario per conseguire l’obiettivo perseguito (105). Nel diritto dell’Unione, né la «direttiva sull’accoglienza» né la «direttiva procedure» e la «direttiva sul rimpatrio» ostano al rispetto dei predetti requisiti. 124. Non escludo, nemmeno che un trattenimento in virtù della disposizione controversa possa eventualmente, come sostenuto dal governo belga, dal Consiglio e dalla Commissione, rientrare nella seconda eccezione prevista all’articolo 5, paragrafo 1, lettera b), della CEDU, che consente che una persona sia privata della libertà per garantire l’esecuzione di un obbligo prescritto dalla legge. Nella sentenza Ostendorf c. Germania, citata supra, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha riconosciuto che un trattenimento poteva essere fondato su tale disposizione allo scopo di prevenire la commissione di un reato, consistente in una turbativa dell’ordine pubblico per aver preso parte ad una rissa tra tifosi facinorosi, senza che il trattenimento in oggetto abbia la finalità di deferire la persona interessata davanti all’autorità giudiziaria competente e che il trattenimento in questione rientri dunque nell’articolo 5, paragrafo 1, lettera c), della CEDU (106). E, comunque, occorre nondimeno, inter alia, che la legge consenta un siffatto trattenimento allo scopo di obbligare l’interessato a ottemperare ad un obbligo specifico e concreto gravante sul medesimo, e che non ha rispettato fino a quel momento (107). Per quanto riguarda la detenzione volta a prevenire la commissione di un reato, ciò presuppone in particolare che sia stato possibile individuare con sufficiente precisione il luogo e il momento della commissione imminente del reato in questione, nonché le vittime potenziali del medesimo (108). 125. Il Consiglio e la Commissione affermano altresì che non si può escludere che una misura di trattenimento in virtù della disposizione controversa rientri nell’eccezione prevista all’articolo 5, paragrafo 1, lettera e), della CEDU, che dispone segnatamente la possibilità di detenere un alcolista, un tossicomane o un vagabondo (109). A tal riguardo, è pur vero che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato che ciò si verificava, inter alia, poiché, dovendosi considerare dette persone pericolose per la sicurezza pubblica, le medesime potevano essere private della libertà su tale base (110). Ricordo tuttavia la portata restrittiva della disposizione controversa che ho precisato supra ai paragrafi da 77 a 115, la cui esecuzione presuppone segnatamente che sussistano elementi di fatto o di diritto relativi alla situazione del richiedente idonei a indicare che il comportamento personale di quest’ultimo giustifichi il suo trattenimento, a causa della minaccia reale, attuale e sufficientemente grave che il medesimo rappresenta per la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico.


In tale contesto, avanzo forti riserve sulla possibilità che una misura di trattenimento ordinata sulla base della disposizione controversa possa essere giustificata sul fondamento della predetta eccezione. Rispetto delle altre garanzie in materia di ingerenze nel diritto alla libertà e alla sicurezza 126. L’articolo 6 della Carta, letto alla luce dell’articolo 5 della CEDU, contiene diverse garanzie supplementari, sia di tipo sostanziale che di tipo procedurale (111). 127. In primo luogo, qualsiasi ingerenza con il diritto alla libertà e alla sicurezza deve essere regolare. Secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, tale requisito significa anzitutto che la detenzione deve rispettare le norme sia di merito che di procedura previste dalla normativa nazionale (112). Esso è confermato all’articolo 52, paragrafo 1, della Carta, secondo il quale eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla Carta devono essere previste dalla legge. In un caso di trattenimento come quello di cui al procedimento principale, il predetto requisito concerne il rispetto di tutte le disposizioni rilevanti della «direttiva sull’accoglienza» e del diritto nazionale applicabile. 128. L’articolo 5, paragrafo 1, della CEDU, richiede inoltre che qualsiasi detenzione sia conforme all’obiettivo di proteggere l’individuo dall’arbitrio, giacché una privazione della libertà regolare secondo il diritto nazionale può comunque essere arbitraria e pertanto contraria alla CEDU (113). La predetta condizione implica, inter alia, che l’esecuzione della misura di privazione della libertà debba essere esente da qualsivoglia elemento di malafede o di frode da parte delle autorità, che sia in linea con le finalità delle restrizioni autorizzate dal comma rilevante dell’articolo 5, paragrafo 1, della CEDU, che sussista un legame tra il motivo invocato a giustificazione della detenzione autorizzata e il luogo nonché il regime di detenzione, e che vi sia un nesso di proporzionalità tra il motivo di detenzione invocato e la detenzione stessa (114). La detenzione è una misura talmente grave da essere giustificata solo come ultima ratio, laddove altre misure, meno severe, siano state prese in considerazione e ritenute insufficienti per salvaguardare l’interesse personale o pubblico che richiede la detenzione (115). 129. Garanzie contro il trattenimento arbitrario sono ben presenti nella «direttiva sull’accoglienza» (116). Il trattenimento in virtù dell’articolo 8 di tale direttiva è infatti, lo ricordo, una misura di extrema ratio, che può essere disposta soltanto caso per caso e salvo che «non siano applicabili efficacemente misure alternative meno coercitive» (117). Sebbene un siffatto trattenimento sia possibile in linea di principio, esso può essere ordinato solo «per un periodo il più breve possibile e (…) fintantoché sussistono i motivi di cui all’articolo 8, paragrafo 3» (118). Tali regole rimandano al principio di proporzionalità che condiziona ogni limitazione nell’esercizio dei diritti e delle libertà garantiti dalla Carta (119). 130. In secondo luogo, l’esecuzione della disposizione controversa presuppone che sia rispettato il principio di certezza del diritto. È dunque essenziale che le condizioni della detenzione siano chiaramente definite e che la stessa legge sia prevedibile nella sua applicazione, in modo da soddisfare il criterio di legalità, che esige che le leggi siano sufficientemente precise da consentire al cittadino – facendosi assistere, se necessario, da consulenti esperti – di prevedere, ad un livello ragionevole nelle circostanze del caso, le conseguenze da trarre da un determinato atto (120). 131. Per quanto riguarda una misura di trattenimento ordinata in virtù della disposizione


controversa, bisogna in effetti riconoscere che quest’ultima è formulata in termini particolarmente generali. L’esame del rispetto del requisito di certezza del diritto comporta nondimeno di tenere conto non solo della disposizione in questione, ma anche del diritto nazionale che la attua e, eventualmente, delle altre norme di diritto nazionale rilevanti. Pertanto, come sostenuto in sostanza dal governo italiano e dal Parlamento, spetta allo Stato membro che intende prevedere che una misura di trattenimento possa essere ordinata in virtù della disposizione controversa definire in modo sufficientemente preciso i casi in cui la stessa può essere applicata. 132. In terzo luogo, ogni persona arrestata deve essere informata, in una lingua a lei comprensibile, dei motivi di fatto e di diritto della sua detenzione (121). Una tale motivazione è necessaria sia per consentire all’interessato che è privato della libertà di difendere i propri diritti nelle migliori condizioni possibili e di decidere, con piena cognizione di causa, se sia utile adire il giudice competente, sia per consentire pienamente a quest’ultimo di esercitare il controllo della legittimità della decisione di cui trattasi (122). 133. Tale requisito di motivazione trova conferma nell’articolo 9, paragrafi 2 e 4, della «direttiva sull’accoglienza», laddove il paragrafo 2 verte sulla motivazione della decisione stessa che ordina il trattenimento mentre il paragrafo 4 verte sulle informazioni che devono essere comunicate a un richiedente immediatamente dopo il suo trattenimento. Nel caso di una misura di trattenimento fondata sulla disposizione controversa, la motivazione in parola include obbligatoriamente un’esposizione chiara e precisa delle ragioni che inducono l’autorità nazionale competente a ritenere che il richiedente rappresenti una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave per la sicurezza nazionale o per l’ordine pubblico dello Stato membro interessato. In considerazione della norma contenuta all’articolo 8, paragrafo 2, della «direttiva sull’accoglienza», l’autorità di cui sopra è altresì tenuta a spiegare in modo sufficientemente circostanziato ciò che la porta a ritenere che nessuna misura meno coercitiva potrebbe essere efficacemente applicata allo scopo di proteggere la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico (123). 134. In quarto luogo, un’ingerenza nel diritto alla libertà e alla sicurezza è subordinata al rispetto di garanzie procedurali. Difatti, relativamente a una privazione della libertà che rientra nell’eccezione di cui all’articolo 5, paragrafo 1, lettera c), della CEDU, ho già fatto presente che la stessa presuppone che la persona interessata (il richiedente protezione internazionale nel caso in cui la privazione sia attuata in virtù della disposizione controversa) sia tradotta al più presto dinanzi ad un giudice o ad un altro magistrato autorizzato dalla legge ad esercitare funzioni giudiziarie e ha diritto di essere giudicata entro un termine ragionevole o di essere messa in libertà durante la procedura (124). Orbene, come ho già osservato, l’articolo 9, paragrafo 3, della «direttiva sull’accoglienza», prevede specificamente non soltanto una verifica giurisdizionale d’ufficio (ossia indipendente da qualsiasi ricorso del richiedente) della legittimità del trattenimento ordinato da un’autorità amministrativa, effettuata il più rapidamente possibile dopo l’inizio del trattenimento, ma anche il rilascio immediato del richiedente interessato qualora tale trattenimento sia ritenuto illegittimo. 135. Più in generale, ogni persona privata della libertà mediante arresto o detenzione ha il diritto di presentare un ricorso ad un tribunale, affinché decida entro breve termine sulla legittimità della sua detenzione e ne ordini la scarcerazione se la detenzione sia illegittima (125). L’articolo 5, paragrafo 4, della CEDU, e, per estensione, l’articolo 6 della Carta impongono un controllo abbastanza ampio


da estendersi a ciascuna delle condizioni indispensabili per la regolarità della detenzione di un individuo rispetto all’articolo 5, paragrafo 1, della CEDU (126). Ancora una volta, la «direttiva sull’accoglienza» non crea nessun ostacolo al rispetto del predetto requisito da parte degli Stati membri, quando attuano la disposizione controversa. Al contrario, le norme contenute all’articolo 9, paragrafi 3 e 5, della suindicata direttiva, mirano a garantire il rispetto di quest’ultima in caso di trattenimento di un richiedente asilo, sul fondamento dell’articolo 8 della direttiva in esame (127). 136. Infine, in quinto luogo, l’articolo 5, paragrafo 5, della CEDU, prevede che ogni persona vittima di arresto o detenzione in violazione di una delle disposizioni contenute nei primi quattro paragrafi di tale articolo abbia diritto ad una riparazione. Alla luce delle spiegazioni relative all’articolo 6 della Carta, lo stesso vale necessariamente per quest’ultima disposizione. La «direttiva sull’accoglienza» non contiene disposizioni che ingiungono specificamente agli Stati membri di prevedere un siffatto diritto a riparazione. Occorre nondimeno tenere conto della specificità normativa di un tale atto dell’Unione, che, così come risulta dall’articolo 288, terzo comma, TFUE, da una parte, vincola gli Stati membri per quanto riguarda il risultato da raggiungere ma, dall’altra, lascia alle autorità nazionali la competenza quanto alla forma e ai mezzi per raggiungerlo. Orbene, conformemente al suo considerando 35, la «direttiva sull’accoglienza» intende promuovere, segnatamente, l’applicazione dell’articolo 6 della Carta. Si deve pertanto concludere, in siffatte circostanze, che la menzionata direttiva lascia il margine necessario agli Stati membri per conformarsi al requisito che ho richiamato supra. 137. Concludendo, sebbene, in effetti, la disposizione controversa autorizzi un’ingerenza nel diritto alla libertà e alla sicurezza garantito dall’articolo 6 della Carta, tale limitazione, purché la disposizione in questione sia interpretata nel modo che ho esposto nella presente presa di posizione, è non soltanto prevista dalla legge, ma anche rispettosa del contenuto essenziale del predetto diritto e appare necessaria per consentire agli Stati membri, conformemente ai principi espressi all’articolo 4, paragrafo 2, TUE, nonché all’articolo 72 TFUE, di combattere efficacemente contro le minacce alla loro sicurezza nazionale o al loro ordine pubblico. L’esame della questione di validità sottoposta alla Corte nella specie non ha dunque rivelato alcun elemento tale da mettere in discussione la validità della disposizione controversa. 138. Mi preme tuttavia porre in evidenza che tale conclusione, che è frutto di un esame obiettivo della conformità della disposizione controversa all’articolo 6 della Carta, lascia impregiudicato l’esito riservato al ricorso proposto dal sig. N. dinanzi al giudice del rinvio. Spetta infatti soltanto al giudice del rinvio, nei limiti della questione al medesimo sottoposta, pronunciarsi sulla conformità della misura di trattenimento in discussione nel procedimento principale all’articolo 6 della Carta, letto in combinato disposto con l’articolo 5 della CEDU. Conclusione 139. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di dichiarare che: – L’esame della questione sottoposta alla Corte di giustizia dell’Unione europea dal Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi) non ha rivelato alcun elemento tale da mettere in discussione la validità dell’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, lettera e), della direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale.


– Tale conclusione è nondimeno formulata con una duplice riserva. Da un lato, detta disposizione deve essere interpretata nel senso che può trovare applicazione solo in casi in cui vi siano elementi di fatto o di diritto relativi alla situazione di un richiedente protezione internazionale tali da rivelare che il comportamento personale del medesimo giustifica il suo trattenimento, a causa della minaccia reale, attuale e sufficientemente grave che egli costituisce per la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico dello Stato membro interessato. Dall’altro, la sua esecuzione deve rispettare, in ogni caso concreto, il diritto alla libertà e alla sicurezza garantito dall’articolo 6 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, letto in combinato disposto con l’articolo 5 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950. – Spetta al giudice del rinvio, nei limiti del ricorso presentato dinanzi al medesimo e tenendo conto del complesso degli elementi di fatto e di diritto rilevanti, accertare se la misura di trattenimento in discussione nel procedimento principale potesse rientrare nel motivo di trattenimento di cui all’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, lettera e), della direttiva 2013/33 così interpretato.

1 – Lingua originale: il francese.

2– GU L 180, pag. 96. La «direttiva sull’accoglienza» ha abrogato e sostituito, con effetto al 21 luglio 2015, la direttiva 2003/9/CE del Consiglio, del 27 gennaio 2003, recante norme minime per l’accoglimento dei richiedenti asilo negli Stati membri (GU L 31, pag. 18; in prosieguo: la «precedente direttiva sull’accoglienza»). Ai sensi degli articoli 1, 2, e 4 bis, paragrafo 1, del protocollo n. 21, allegato al TUE e al TFUE, sulla posizione del Regno Unito e dell’Irlanda rispetto allo spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia, questi due Stati membri non sono vincolati dalla «direttiva sull’accoglienza». Lo stesso vale per la Danimarca, in virtù del protocollo n. 22 sulla posizione della Danimarca.

3–

Raccolta dei trattati delle Nazioni unite, vol. 189, pag. 150, n. 2545 (1954).

4– Gli Stati contraenti non possono invece derogare, neppure in presenza di analoghe circostanze, ad altri diritti garantiti dalla CEDU, come il diritto a non essere sottoposto a tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti, previsto dall’articolo 3 della CEDU.

5–

Considerando 2.

6–

Considerando 15.

7–

Considerando 15.


8–

Considerando 16.

9–

Considerando 35.

10– Direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU L 337, pag. 9). La «direttiva qualifiche» ha sostituito, con effetto al 21 dicembre 2013, la direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta (GU L 304, pag. 12; in prosieguo: la «precedente direttiva qualifiche»). Ai sensi dell’articolo 2, lettera h), della «direttiva qualifiche», si intende per «domanda di protezione internazionale» una «richiesta di protezione rivolta a uno Stato membro da un cittadino di un paese terzo o da un apolide di cui si può ritenere che intende ottenere lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria, e che non sollecita esplicitamente un diverso tipo di protezione non contemplato nell’abito di applicazione della presente direttiva e che possa essere richiesto con domanda separata».

11– L’articolo 10, paragrafo 1, della «direttiva sull’accoglienza», precisa che «[i]l trattenimento dei richiedenti ha luogo, di regola, in appositi centri di trattenimento» e che «[l]o Stato membro che non possa ospitare il richiedente in un apposito centro di trattenimento e sia obbligato a sistemarlo in un istituto penitenziario, provvede affinché il richiedente trattenuto sia tenuto separato dai detenuti ordinari».

12– Direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU L 180, pag. 60). La «direttiva procedure» ha abrogato e sostituito, con effetto al 21 luglio 2015, la direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1° dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (GU L 326, pag. 13; in prosieguo: la «precedente direttiva procedure»).

13– Direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (GU L 348, pag. 98).

14– Regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per


l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide. (GU L 180, pag. 31). Il regolamento «Dublino III» ha abrogato e sostituito il regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio, del 18 febbraio 2003, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo (GU L 50, pag. 1), detto «regolamento Dublino II».

15– Quest’ultimo motivo di condanna può sorprendere se si considera che il sig. N. è rimasto nel territorio olandese durante il predetto periodo. Non è tuttavia necessario approfondire ulteriormente tale punto nel presente procedimento.

16–

In prosieguo mi riferirò al provvedimento in parola come la «decisione controversa».

17– Nella domanda di pronuncia pregiudiziale si dà atto di un’argomentazione del sig. N. in cui viene suggerito che la decisione controversa aveva lo scopo di tenerlo a disposizione dell’autorità competente a decidere della sua ultima domanda d’asilo. Tuttavia, da nessun elemento del fascicolo appare che la decisione controversa fosse fondata su un siffatto motivo, ciò che i Paesi Bassi hanno confermato all’udienza. È solo adottando una nuova decisione di trattenimento, il 1° dicembre 2015, ossia dopo il rinvio pregiudiziale deciso dal Raad van State (Consiglio di Stato), che il segretario di Stato si è fondato anche sul predetto motivo. V. punto 44 della presente presa di posizione

18– Con riguardo agli effetti, in materia di soggiorno, della presentazione da parte del sig. N. della sua ultima domanda d’asilo, v. paragrafi 35 e da 50 a 52 della presente presa di posizione.

19– È tuttavia pacifico che il trattenimento controverso non trovi neppure origine nei problemi di salute mentale di cui il sig. N. sembra essere affetto. In prosieguo, pertanto, non ritornerò su questo aspetto.

20–

GU 2007, C 303, pag. 17.

21– Il governo dei Paesi Bassi ha affermato, nelle sue osservazioni scritte (presentate successivamente), che tale detenzione era conseguenza di una pena inflitta al sig. N. per reati precedenti.

22– Il governo tedesco ha comunicato la propria intenzione di non rispondere per iscritto a tali quesiti con una lettera depositata presso la cancelleria della Corte il 21 dicembre 2015.


23– L’omissione della fase scritta del procedimento pregiudiziale d’urgenza in casi di estrema urgenza, prevista all’articolo 111 del regolamento di procedura, potrebbe essere considerata come un terzo strumento.

24–

Articolo 7, paragrafo 1, della « precedente direttiva procedure».

25–

V. anche il considerando 9 della «direttiva sul rimpatrio».

26– Gli articoli 9, paragrafo 2, e 41, della «direttiva procedure», sono volti proprio a consentire agli Stati membri di fare in modo che la presentazione di nuove domande che si potrebbero qualificare come «abusive» non impedisca l’esecuzione efficace delle procedure di rimpatrio.

27– Si ricorda che l’articolo 3.1 del decreto del 2000 sugli stranieri prevede eccezioni al diritto di un richiedente di rimanere nel territorio dei Paesi Bassi durante l’esame della sua domanda di protezione internazionale.

28– La versione inglese della «direttiva sull’accoglienza» utilizza il termine «detention». La distinzione tra «detenzione» e «trattenimento» mi sembra priva di rilevanza per l’esame di una questione di validità come quella sollevata nella specie, in quanto la protezione offerta dall’articolo 6 della Carta, letto alla luce dell’articolo 5 della CEDU, si applica a qualsiasi forma di privazione della libertà che rientri nel suo campo d’applicazione.

29–

Sentenza Lanigan (C-237/15 PPU, EU:C:2015:474, punto 55 e giurisprudenza ivi citata).

30–

V. anche articolo 53 della Carta.

31– Esaminerò tale questione ai paragrafi da 117 a 125 della presente presa di posizione, dopo avere interpretato la disposizione controversa.

32–

V. infra, paragrafi da 126 a 136.

33– V. Corte EDU, R.U. c. Grecia, n. 2237/08, § 84, 7 giugno 2011; Ahmade c. Grecia, n. 50520/09, § 117, 25 settembre 2012., e Nabil e a. c. Ungheria, cit., § 18.

34– V., in particolare, Corte EDU, Čonka c. Belgio, n. 51564/99, § 38 e giurisprudenza ivi citata, CEDU 2002-I, e Nabil e a. c. Ungheria, cit., § 28.


35– V. sentenza Lanigan (C-237/15 PPU, EU:C:2015:474, punto 57 e giurisprudenza ivi citata). V. anche Corte EDU, Chahal c. Regno Unito, 15 novembre 1996, § 122, Raccolta delle sentenze e delle decisioni 1996-V; A. e a. c. Regno Unito [GC], n. 3455/05, § 164, CEDU 2009; Mikolenko c. Estonia, n. 10664/05, § 63, 8 ottobre 2009; Raza c. Bulgaria, n. 31465/08, § 72, 11 febbraio 2010, e Nabil e a. c. Ungheria, cit., § 29. I predetti requisiti trovano espressione in particolare all’articolo 15, paragrafi 1, secondo comma, 4 e 5, della «direttiva sul rimpatrio».

36– Si noti, in proposito, che l’articolo 9, paragrafo 1, della «direttiva procedure», pur prevedendo che i richiedenti sono autorizzati a rimanere nello Stato membro fintantoché sia stata presa una decisione sulla domanda, precisa che tale diritto non dà diritto a un titolo di soggiorno. Ne consegue che uno Stato membro non è tenuto, per conformarsi alla menzionata disposizione, a prevedere che la presentazione di una domanda di protezione internazionale paralizzi una precedente decisione di rimpatrio, ma può anche prevedere che un siffatto evento sospenda semplicemente l’esecuzione di detta decisione (v. anche sentenza Arslan, C-534/11, EU:C:2013:343, punto 60). Il Raad van State (Consiglio di Stato) indica tuttavia chiaramente nella decisione di rimpatrio che, secondo la propria giurisprudenza, una precedente decisione di rimpatrio è resa invalida nei Paesi Bassi quando lo straniero che ne è destinatario presenta una domanda di protezione internazionale.

37– Spiegazione relativa all’articolo 52 («Portata e interpretazione dei diritti e dei principi»), quinto comma.

38–

V., ora, articolo 26 della «direttiva procedure».

39–

C-534/11, EU:C:2013:343, punto 55.

40– A livello del diritto dell’Unione, solo la «direttiva sul rimpatrio» prevedeva, nei casi elencati all’articolo 15 della menzionata direttiva e alle condizioni rigorose stabilite da tale disposizione, la possibilità di trattenere un cittadino di un paese terzo oggetto di una procedura di rimpatrio.

41–

Sentenza Arslan (C-534/11, EU:C:2013:343, punto 56).

42– Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme minime per l’accoglimento dei richiedenti asilo negli Stati membri, COM(2008) 815 definitiva, pag. 6.

43– Raccomandazione REC(2003)5 del Comitato dei ministri agli Stati membri sulle misure di detenzione dei richiedenti asilo, adottata il 16 aprile 2003 nel corso della 837ª riunione dei delegati


dei ministri (in prosieguo: la «raccomandazione del Comitato dei ministri»). Un riferimento di tal genere compariva anche nella motivazione del Consiglio in prima lettura in vista dell’adozione della direttiva del Parlamento e del Consiglio recante norme per l’accoglienza delle persone richiedenti protezione internazionale, doc. Cons. 14654/2/12, 6 giugno 2013, pag. 6.

44– Conclusione disponibile all’indirizzo: www.refworld.org/docid/3ae68c4634.html. Al punto b) di tale conclusione, il Comitato esecutivo indicava che «in caso di necessità, è possibile ricorrere alla detenzione ma solo per motivi previsti dalla legge per procedere a verifiche sull’identità, determinare gli elementi costitutivi della domanda per ottenere lo status di rifugiato o domanda di asilo, trattare i casi in cui rifugiati o richiedenti asilo hanno distrutto i loro documenti di viaggio e/o identità o si sono serviti di documenti falsi per indurre in errore le autorità dello Stato membro in cui intendono chiedere asilo, o salvaguardare la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico» (il corsivo è mio).

45–

GU 2010 C 212E, pag. 348.

46– V. spiegazione dettagliata della proposta modificata che accompagna il documento proposta modificata di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti asilo, COM(2011) 320 definitiva, pag. 3.

47– V. proposta modificata di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme per l’accoglienza dei richiedenti asilo – accordo politico, doc. Cons. 14112/1/12, 27 settembre 2012.

48– L’ambito d’applicazione personale della «direttiva sull’accoglienza» corrisponde, a tale riguardo, a quello della raccomandazione del Comitato dei ministri, la quale, ai sensi del suo punto 2, «non riguarda le misure di detenzione (…) dei richiedenti respinti detenuti in attesa della loro partenza dal paese di accoglienza».

49– Giova osservare, a tale riguardo, che nella sua sentenza Chahal c. Regno Unito, cit., la Corte europea dei diritti dell’uomo ha ammesso, in sostanza, che considerazioni relative alla minaccia che rappresenta un individuo per la sicurezza nazionale possano essere tali da indicare che una decisione che ordina il mantenimento in stato di trattenimento nell’ambito di una procedura di espulsione non ha carattere arbitrario qualora sia stato possibile eseguire un controllo della minaccia in questione al termine di una procedura davanti a un’autorità dello Stato interessato (Corte EDU, Chahal c. Regno Unito, cit., § 122). Ciò non ha tuttavia impedito alla Corte di concludere che sussisteva una violazione dell’articolo 5, paragrafo 4, della CEDU in tale causa, in quanto il richiedente non aveva avuto accesso a un «ricorso dinanzi ad un organo giurisdizionale» per opporsi al suo trattenimento (§ 132). A seguito di ciò, il Regno Unito ha creato la «Special Immigration Appeals Commission» e il sistema degli «special advocates» per rimediare alle carenze constatate


dalla Corte di Strasburgo.

50–

V. infra, paragrafo 80.

51–

V. infra, paragrafi da 100 a 109.

52–

V., ad esempio, sentenza Zh. e O. (C-554/13, EU:C:2015:377, punto 42).

53– Si tratta in effetti, come ha osservato correttamente il Parlamento, di una possibilità («un richiedente può…») e non di un obbligo per gli Stati membri, giacché questi ultimi sono tenuti a specificare nel loro diritto nazionale i motivi in base ai quali può essere ordinato un trattenimento (articolo 8, paragrafo 3, secondo comma, della «direttiva sull’accoglienza»).

54– V., per analogia, sentenza Zh. e O. (C-554/13, EU:C:2015:377, punto 48 e giurisprudenza ivi citata).

55–

V. supra, paragrafo 79.

56– V., per analogia, sentenza Zh. e O. (C-554/13, EU:C:2015:377, punto 48 e giurisprudenza ivi citata). V., inoltre, le mie conclusioni nella sentenza Zh. e O. (C-554/13, EU:C:2015:94, paragrafi 46 e 47).

57– V., in particolare, sentenza Réexamen Commission/Strack (C-579/12 RX-II, EU:C:2013:570, punto 40 e giurisprudenza ivi citata). V., inoltre, sentenze Commissione/Consiglio (218/82, EU:C:1983:369, punto 15), e Ordre des barreaux francophones et germanophone e a. (C-305/05, EU:C:2007:383, punto 28 e giurisprudenza ivi citata).

58– V., in particolare, sentenze Ordre des barreaux francophones et germanophone e a. (C-305/05, EU:C:2007:383, punto 28 e giurisprudenza ivi citata); M. (C-277/11, EU:C:2012:744, punto 93 e giurisprudenza ivi citata), e O e a. (C-356/11 e C-357/11, EU:C:2012:776, punto 78 e giurisprudenza ivi citata).

59– V., per analogia, sentenza Wallentin-Hermann (C-549/07, EU:C:2008:771, punto 17 e giurisprudenza ivi citata).

60–

V. anche infra, paragrafo 92. Ritornerò sul carattere preventivo della disposizione


controversa ai paragrafi da 93 a 99 infra.

61– L’articolo 9, paragrafo 2, della «direttiva sull’accoglienza», riconosce espressamente la possibilità che il trattenimento sia ordinato da un’autorità amministrativa. V., al riguardo, la fine del paragrafo 120 infra e la giurisprudenza ivi citata.

62– Il rispetto di tali requisiti si rivela essenziale, eventualmente, per garantire la conformità del trattenimento in questione al diritto di cui gode ogni persona detenuta preventivamente di essere tradotta al più presto dinanzi ad un giudice e di essere giudicata entro un termine ragionevole, garantito dall’articolo 5, paragrafo 3, della CEDU. V. infra, paragrafi 120 e 134.

63–

C-373/13, EU:C:2015:413.

64– Tale disposizione prevede che gli Stati membri rilasciano ai beneficiari dello status di rifugiato, il più presto possibile dopo aver riconosciuto loro lo status, un permesso di soggiorno valido per un periodo di almeno tre anni e rinnovabile, purché non vi ostino imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico. La stessa si ritrova, in termini quasi identici, all’articolo 24, paragrafo 1, della «direttiva qualifiche».

65– Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU L 158, pag. 77).

66–

Sentenza T. (C-373/13, EU:C:2015:413, punto 77 e giurisprudenza ivi citata).

67–

Sentenza T. (C-373/13, EU:C:2015:413, punto 78 e giurisprudenza ivi citata).

68– V., in particolare, sentenza T. (C-373/13, EU:C:2015:413, punto 79 e giurisprudenza ivi citata).

69–

Sentenza Zh. e O. (C-554/13, EU:C:2015:377, punto 61).

70– V., con riguardo ai concetti di sicurezza nazionale e di ordine pubblico nella «precedente direttiva qualifiche», sentenza T. (C-373/13, EU:C:2015:413, punto 80).


71–

V., per analogia, sentenza Zh. e O. (C-554/13, EU:C:2015:377, punto 50).

72–

GU L 212, pag. 12.

73–

V., per analogia, sentenza Zh. e O. (C-554/13, EU:C:2015:377, punto 50).

74–

C-61/11 PPU, EU:C:2011:268.

75–

Sentenza El Dridi (C-61/11 PPU, EU:C:2011:268, punto 59).

76– V., anche, paragrafo 98 supra (quest’ultimo riguarda tuttavia specificamente le pene detentive).

77– Ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, lettera d), della «direttiva sull’accoglienza», l’accesso a una procedura di asilo precedente può tuttavia, secondo le circostanze, costituire un indizio idoneo a dimostrare che vi sono fondati motivi per ritenere che il richiedente abbia presentato la domanda di protezione internazionale al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione della decisione di rimpatrio.

78–

Articolo 15 della «direttiva sul rimpatrio».

79–

C-534/11, EU:C:2013:343, punto 49.

80– Come ha osservato la Corte, citando la sentenza Kadzoev (C-357/09 PPU, EU:C:2009:741, punto 45), il trattenimento ai fini dell’allontanamento disciplinato dalla «direttiva sul rimpatrio» ed il trattenimento disposto nei confronti di un richiedente asilo rientrano in distinti regimi giuridici [sentenza Arslan (C-534/11, EU:C:2013:343, punto 52)].

81–

Sentenza Arslan (C-534/11, EU:C:2013:343, punto 60).

82–

Sentenza Arslan (C-534/11, EU:C:2013:343, punto 60).

83–

Sentenza Arslan (C-534/11, EU:C:2013:343, punto 63).

84–

Tale osservazione vale ovviamente soltanto in quanto l’autorità nazionale competente non si


sia ancora pronunciata definitivamente sulla domanda di protezione internazionale e che la persona interessata sia pertanto sempre un «richiedente» ai sensi della «direttiva sull’accoglienza». V. supra, paragrafi 72 e 73.

85– Detta interpretazione è, in tal senso, coerente con i principi risultanti dall’articolo 4, paragrafo 2, TUE e dall’articolo 72 TFUE, che ho richiamato supra nella mia descrizione del contesto normativo.

86– Aggiungo che un divieto d’ingresso riveste un carattere generale preventivo («non vogliamo che questo straniero entri di nuovo sul nostro territorio»), mentre la disposizione controversa intende prevenire una minaccia più specifica alla sicurezza nazionale o all’ordine pubblico da parte di una persona che si trova già sul territorio dello Stato membro interessato.

87–

V. il considerando 15 di detta direttiva.

88– La Corte, del resto, ha già avuto occasione di precisare, nell’ambito di un’interpretazione della «direttiva sul rimpatrio», che la nozione di «rischio di fuga» era distinta da quella di «pericolo per l’ordine pubblico». V. sentenza Zh. e O. (C-554/13, EU:C:2015:377, punto 56 e giurisprudenza ivi citata). Ciò vale anche, a fortiori, per la nozione di «sicurezza nazionale».

89– Come ho esposto al paragrafo 53 supra, mi asterrò dall’esaminare qui la questione della validità delle lettere a) e b) alla luce dell’articolo 6 della Carta, sollevata nella causa C-18/16, K.

90– V., in particolare, Corte EDU, Saadi c. Regno Unito [GC], n. 13229/03, § 43, CEDU 2008, e Stanev c. Bulgaria [GC], n. 36760/06, § 144, CEDH 2012.

91– V., in particolare, Corte EDU, Velinov c. l’ex Repubblica iugoslava di Macedonia, n. 16880/08, § 49, 19 settembre 2013.

92–

V. supra, paragrafi da 93 a 99.

93–

V., in particolare, Corte EDU, Guzzardi c. Italia, 6 novembre 1980, § 100, serie A n. 39.

94–

Ne ho fornito una spiegazione al paragrafo 87 della presente presa di posizione.

95–

V., in particolare, Corte EDU, Eriksen c. Norvegia, 27 maggio 1997, § 86, Raccolta delle


sentenze e delle decisioni 1997-III, e M. c. Germania, n. 19359/04, § 89, CEDU 2009.

96– V., in particolare, Corte EDU, Ciulla c. Italia, 22 febbraio 1989, § 38, serie A n. 148, e Ostendorf c. Germania, n. 15598/08, § 68 e 85, 7 marzo 2013.

97–

V., in particolare, Corte EDU, Epple c. Germania, n. 77909/01, § 35, 24 marzo 2005.

98–

Corte EDU, Ostendorf c. Germania, cit., § 86.

99– V., in particolare, Corte EDU, De Jong, Baljet e Van den Brink c. Paesi Bassi, 24 maggio 1984, § 51, serie A n. 77.

100–

V. supra, paragrafo 62.

101–

Corte EDU, Nabil e a. c. Ungheria, cit., § 38.

102–

C-534/11, EU:C:2013:343, punto 60.

103–

V. la giurisprudenza citata supra al paragrafo 62.

104– Difatti, una decisione di rimpatrio non deve essere dichiarata invalida, come sembra essere avvenuto nel procedimento principale (v. paragrafo 35 supra).

105–

V., in particolare, A. e a. c. Regno Unito [GC], cit., § 164.

106–

Corte EDU, Ostendorf c. Germania, cit., §§ da 90 a 103.

107– Corte EDU, Ostendorf c. Germania, cit., § 90. V. anche Corte EDU, Epple c. Germania, cit., § 37.

108–

Corte EDU, Ostendorf c. Germania, cit., § 90.

109– È così che, ispirandosi al diritto belga, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato che potevano rientrare nella categoria «vagabondi» le persone che non hanno un domicilio certo, né


mezzi di sussistenza, e che non esercitano abitualmente un mestiere o una professione (Corte EDU, De Wilde, Ooms e Versyp c. Belgio, 18 giugno 1971, § 68, serie A n. 12). Tale giurisprudenza è tuttavia piuttosto datata e ostenterei cautela nell’affermare che possa essere ancora valida ai giorni nostri.

110– V. in particolare, in tal senso, Corte EDU, Enhorn c. Svezia, n° 56529/00, § 43 e giurisprudenza ivi citata, CEDU 2005-I.

111– Per avere un’idea generale della protezione offerta in virtù dell’articolo 5 della CEDU, v. Guide sur l’article 5 – Droit à la liberté et à la sûreté, Pubblicazioni del Consiglio d’Europa/Corte europea dei diritti dell’uomo, 2014, disponibile all’indirizzo: www.echr.coe.int (Giurisprudenza – Analisi giurisprudenziale – Guide sulla giurisprudenza).

112– V., in particolare, Corte EDU, Saadi c. Regno Unito [GC], cit., § 67, e Suso Musa c. Malta, n. 42337/12, § 92, 23 luglio 2013.

113– V., in particolare, Corte EDU, Saadi c. Regno Unito, cit., § 67 e giurisprudenza ivi citata, e Suso Musa c. Malta, cit., § 92 e giurisprudenza ivi citata.

114– V., in particolare, Corte EDU, Saadi c. Regno Unito, cit., §§ da 68 a 74, e James, Wells e Lee c. Regno Unito, n. 25119/09, 57715/09 e 57877/09, §§ da 191 a 195, 18 settembre 2012.

115–

V. in particolare, Corte EDU, Saadi c. Regno Unito, cit., § 70 e giurisprudenza ivi citata.

116– Rinvio qui anche a quanto ho illustrato relativamente alla portata della disposizione controversa, segnatamente ai paragrafi da 88 a 113 della presente presa di posizione.

117–

Articolo 8, paragrafo 2 in fine, della «direttiva sull’accoglienza».

118–

Articolo 9, paragrafo 1, della «direttiva sull’accoglienza».

119–

Articolo 52, paragrafo 1, della Carta.

120– V., in particolare, Corte EDU, Rahimi c. Grecia, n. 8687/08, § 105 e giurisprudenza ivi citata, 5 aprile 2011, e R.U. c. Grecia, cit., § 91 e giurisprudenza ivi citata.


121– Articolo 5, paragrafo 2, della CEDU, e Corte EDU, Abdolkhani e Karimnia c. Turchia, n. 30471/08, § 136, 22 settembre 2009.

122– V., per analogia, sentenza Mahdi (C-146/14 PPU, EU:C:2014:1320, punto 45 e giurisprudenza ivi citata).

123– Ciò posto, non escludo a priori che la portata della motivazione richiesta possa, nell’ambito di un trattenimento ordinato in virtù della disposizione controversa, essere limitata appunto in considerazione dell’obiettivo di proteggere la sicurezza nazionale. In casi eccezionali, è difatti possibile che l’autorità competente non desideri comunicare al richiedente taluni elementi che costituiscono il fondamento di una decisione che ne ordina il trattenimento, invocando ragioni che rientrano nella sicurezza dello Stato. Tale questione oltrepassa tuttavia i limiti del presente procedimento e mi asterrò dall’approfondirla ulteriormente in questa sede.

124–

V. supra, paragrafo 120.

125–

Articolo 5, paragrafo 4, della CEDU.

126–

Corte EDU, Rahimi c. Grecia, cit., § 113 e giurisprudenza ivi citata.

127– Il paragrafo 6 di tale articolo contribuisce all’effettività del controllo giurisdizionale di un trattenimento ordinato dalle autorità amministrative, previsto dal paragrafo 3 di detto articolo, imponendo agli Stati membri di fornire in tal caso ai richiedenti protezione internazionale interessati l’assistenza giuridica e la rappresentanza gratuite. Fonte: Curia


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