La matàna de Po

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Fotogrammi/Kurumuny 07



Nikolas Montaldi


In copertina e all’interno foto di proprietà di Nikolas e Gabriella Montaldi. La riproduzione è riservata. Il negativo del film La Matàna de Po è conservato presso la Cineteca di Bologna. Si ringrazia la Casa editrice Bompiani - Giunti Editore S.p.A. per aver dato il permesso a pubblicare l’estratto del libro Autobiografie della Leggera. Si ringrazia Marco Gallo per aver concesso la pubblicazione delle lettere di Mario Gallo. Edizioni Kurumuny Sede legale via Palermo, 13 73021 – Calimera (Le) Sede operativa via S. Pantaleo, 12 73020 – Martignano (Le) Tel. e Fax 0832 801528 www.kurumuny.it • info@kurumuny.it L’editore si professa a disposizione per i testi e le immagini delle quali non è stato possibile rintracciare eventuali aventi diritto. ISBN 9788898773381 © Kurumuny edizioni – 2018


A mia madre, Gabriella Montaldi-Seelhorst



Indice

Introduzione di Nikolas Montaldi

p. 9

La MatĂ na de Po nelle testimonianze

p. 37

Carteggio

p. 77

Danilo giovane di Renato A. Rozzi

p. 173

Immagini. Protagonisti e luoghi della MatĂ na de Po

p. 181

Autobiografie: Orlando P., Descrizione della mia vita; Mentu

p. 197

Bibliografia di Danilo Montaldi

p. 237

Ringraziamenti

p. 239



Introduzione

«Perché nel cinema è in fondo come nello sport, nel jazz (e nella sociologia): uno arriva e porta dentro i problemi, è una questione di fiato e di qualità; le tavole, le regole – per fortuna – non sono ancora definitive». Danilo Montaldi1

Nella primavera del 1959, Danilo Montaldi,2 un giovane sociologo militante, non ancora trentenne, fu contattato da Giuseppe Bartolucci,3 a quel tempo già rinomato critico teatrale e cinematografico del giornale socialista L’Avanti, con l’idea di girare un breve documentario sugli uomini che vivono e lavorano lungo le rive del fiume Po, vicino a Cremona, città di Danilo Montaldi. Montaldi aveva pubblicato nel 1955 la storia di Orlando P.,4 il resoconto di una vita avventurosa e di vagabondaggio di un uomo marginale. In una lettera inedita e non datata da Montaldi al poeta e scrittore Franco Fortini lo descrive in queste parole: «Dire che è un operaio, però, non è esatto. Anche se in verità ha lavorato da operaio tutta la vita. Ma è anche un ladro di polli, ha fatto il facchino, il protettore degli storpi sulle fiere, è stato condannato diverse volte, e in prigione si è accostato ai politici, per finire lui stesso a Ponza per ragioni di politica. Una vita di mise-

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Montaldi, Danilo in “La Matàna de Po”, in Id., Bisogna sognare. Scritti 19521975, Milano (Centro d’Iniziativa Luca Rossi), 1994, p. 340. 2 Montaldi, Danilo (1929-1975). 3 Bartolucci, Giuseppe (1923-1996). 4 In: «Nuovi Argomenti», n. 15-16 luglio-ottobre 1955, e n. 17-18 novembre 1955febbraio 1956, con un’introduzione dettagliata di Danilo Montaldi.

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ria». Si trattava di un’autobiografia, scritta dallo stesso Orlando P.5 in diversi quaderni scolastici, ed era la prima di cinque autobiografie di persone degli strati sociali più bassi (vagabondi, ladri, prostitute) raccolte da Montaldi e pubblicate nel suo libro intitolato Autobiografie della Leggera (Torino, 1961).6 Avrebbe dovuto essere il primo volume di una trilogia, della quale però fu terminata in seguito soltanto la seconda parte, Militanti politici di base, che uscì, sempre dalla casa editrice Einaudi, nel 1971. In questo secondo volume sono raccolte biografie di militanti politici e di uomini che hanno partecipato alla Resistenza contro il fascismo e il nazismo durante la seconda guerra mondiale. Il terzo, sui contadini, non fu mai portato a termine. Il metodo della ‘conricerca’, usato da Montaldi per il suo lavoro attorno a queste storie di vita, intendeva abolire la distanza tra lo studioso e il suo soggetto: da una parte, mettendo l’intervistatore e l’intervistato sullo stesso livello, cioè senza idee preconcette; dall’altra, cercando una lingua comune, lasciando la voce della persona intervistata inalterata, senza modifiche e infine coinvolgendo completamente il soggetto nel lavoro da svolgere, rendendolo così cosciente della propria situazione sociale. Questo metodo, che rappresenta una particolarità italiana di «scrittura dal basso» era stato introdotto soltanto da poco e Montaldi, assieme a Danilo Dolci, era tra i primi ad adoperarlo per i suoi lavori.7

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Parizzi, Orlando (1897-1963). Montaldi, Danilo, Autobiografie della Leggera, Ricerca sociologica sulle classi sociali nella bassa Lombardia, Torino (Einaudi), 1961; seconda edizione tascabile, ne Gli Struzzi 32, 1972; terza edizione con una prefazione di Piergiorgio Bellocchio, Milano (Bompiani), 1998; quarta edizione, Milano (Bompiani), 2012. 7 Nel volume Bisogna Sognare, il metodo della ‘conricerca’ viene definito così: «Tale metodo – basato su di una stretta interazione comunicativa tra l’intervistatore e l’intervistato – era stato introdotto da un gruppo di studiosi americani giunti in Italia nel 1951, sotto la guida di Friedrich Friedmann, il cui lavoro a Matera costituisce uno dei punti di partenza in Italia per le ricerche basate sull’utilizzo di autobiografie. Nell’esperienza di Danilo Montaldi questo metodo assume una nuova valenza: se la soggettività protagonista è la classe, diviene una necessità politica costruire dal basso, 6

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Per realizzare il documentario Bartolucci si prefiggeva di mettere Montaldi in contatto con un gruppo di giovani registi di Roma, i cui membri principali erano Mario Gallo,8 di cui si parlerà di seguito, Lino Del Fra,9 critico cinematografico e regista, e sua moglie, la regista Cecilia Mangini,10 che nella sua lunga carriera ha realizzato una quarantina di film. Tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta questi registi avevano girato diversi documentari importanti sulle trasformazioni che l’Italia stava vivendo in seguito al boom economico, come ad esempio il flusso migratorio dal Sud al Nord (in Fata Morgana di Del Fra, vincitore del Leone d’Oro alla Mostra di Venezia del 1961) e la scomparsa di vecchi costumi e commerci nel Sud rurale. Il volume che qui si presenta non vuole soltanto essere un’introduzione alla pellicola La Matàna de Po, ma far conoscere anche una ricca documentazione di foto e materiale d’archivio, per la maggior parte inedita che riguarda sia il lavoro attorno al film, sia le persone coinvolte. Ciò che lo rende però straordinario è la pubblicazione del carteggio tra i collaboratori più stretti di questo film, cioè Danilo Montaldi e Mario Gallo. Queste lettere non soltanto illuminano il contesto in cui è maturato il progetto e come si è svolta la sua realizzazione, ma raccontano una storia e danno l’idea di un modo di essere, ormai scomparso. Non sempre per i carteggi è necessaria una

nella prassi e nell’analisi sociale, la teoria rivoluzionaria, mediante una ricerca volta a indagare minuziosamente le forme di consapevolezza (...), in cui la compartecipazione scientifico-politica di base è resa possibile dalla presenza teorico-pratica del “gruppo” nelle situazioni di lotta (...). In Montaldi (...) la conricerca non solo dà luogo a un’accurata ricostruzione di autobiografie esemplari, ma diventa uno degli strumenti della prassi rivoluzionaria». In Montaldi, Bisogna sognare, cit., pp. XII-XIII. 8 Gallo, Mario (1923-2006), regista di La farsa di carnevale (1957), Michelino (1957), Matrimonio segreto (1958), Vino e Pepe (1958), Il mago (1959). 9 Del Fra, Lino (1929-1997), regista di La gita (1960), L’inceppata (1960), La passione del grano (1960) e vincitore nel 1977 del Leopardo d’Oro per Antonio Gramsci al Festival di Locarno. 10 Mangini, Cecilia (1927), regista di Ignoti alla città (1958), Firenze di Pratolini (1959), Stendalì (1960), La canta delle marane (1961), Essere donne (1965) e assieme a Del Fra e Lino Micciché del film All’armi siam fascisti (1961-62).

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lettura cronologica; invece questo carteggio tra Montaldi e Gallo la richiede, perché racconta l’evoluzione di un’amicizia. Danilo Montaldi nasce a Cremona nella Bassa della Lombardia nel 1929.11 Suo padre, Nino,12 un anarchico, è impiegato nelle tranvie locali e appassionato di letteratura; sua madre, Clelia Nolli,13 originaria della campagna cremonese, è una donna riflessiva e seria, che tiene insieme casa e famiglia, anche dal punto di vista finanziario. Nel 1941 Nino, tradito da una spia, è arrestato per le sue convinzioni politiche; prima viene mandato al carcere di Brescia e dopo a quello di Cremona. Condannato a due anni di prigione, la pena viene in seguito sospesa e trasformata in “condizionale”. Una volta rilasciato, Nino rimane sotto stretta sorveglianza delle autorità fasciste, che avevano le chiavi di casa della famiglia. I controlli potevano avvenire a tutte le ore del giorno e della notte e poteva succedere per esempio che improvvisamente alle tre del mattino la luce in camera si accendesse per permettere a una guardia fascista di controllare e accertarsi della presenza di Montaldi. Nino perse il suo impiego e fu riassunto soltanto dopo la fine della guerra. Era Clelia Nolli a mantenere la famiglia, lavorando come sarta per un grande negozio locale fino alla morte di Nino Montaldi nel 1962. I genitori di Danilo Montaldi si erano conosciuti grazie alla loro comune passione per la letteratura. Nino aveva visto Clelia seduta su una panchina alla stazione di Cremona intenta a leggere un libro. Aspettava la littorina che doveva portarla a casa in campagna. Meravigliato di vedere una donna così giovane immersa nella lettura di un libro, Nino corse a casa sua, prese il volume Therèse Raquin di Emile Zola e saltò sul treno ormai in movimento per regalare il libro a Clelia con la dedica: «Egli era

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Una cronologia della vita di Danilo Montaldi (di Gabriella Montaldi-Seelhorst) si trova in Montaldi, Bisogna Sognare, cit., pp. VI-XXXI; e ripubblicata in Parolechiave: “Danilo Montaldi”, No. 38, Roma (Carocci Editore), 2007, pp. 155-180. 12 Montaldi, Giovanni (1898-1962). 13 Nolli, Clelia (1905-2002).

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triste ed annoiato della vita, ma i suoi occhi ammiravano un fiore che fece battere il suo cuore, 21.06.1926.» Si sposarono otto mesi dopo. Sebbene Nino e Clelia non avessero potuto finire gli studi (venivano da famiglie povere e proletarie: il padre di Nino era un operaio del gas, quello di Clelia un fabbro di cascina), erano entrambi autodidatti e avidi di letture e di studio. Questo non era insolito tra la classe operaia politicizzata che formava il background di Nino, ma era eccezionale per una giovane donna di campagna come Clelia, che per di più proveniva da un ambiente molto cattolico. Anche Danilo Montaldi fin da giovanissimo fu appassionato di letteratura. Con gran dispiacere dei suoi genitori, che speravano frequentasse l’università dopo la maturità, Montaldi lasciò la scuola in seconda liceo, giudicandola un’istituzione conformista, reazionaria e restrittiva. Divenne autodidatta, non come i suoi genitori a causa delle circostanze sociali, ma per propria scelta. Frequentava quotidianamente la Biblioteca Statale di Cremona ed era un assiduo cliente delle bancarelle, soprattutto di libri di autori stranieri. Le letture di Montaldi nei tardi anni Quaranta comprendevano autori francesi come Charles Baudelaire, André Gide, Louis-Ferdinand Céline, André Malraux, Albert Camus, la filosofia e letteratura tedesca da J.W.Goethe, Friedrich Hölderlin a Ernst Toller, come pure Federico García Lorca, Hermann Melville, Henry James, Edgar Lee-Masters, Sherwood Anderson e Upton Sinclair. Certamente Montaldi trovava in questi scrittori una dimensione sociale che mancava nella cultura italiana dell’immediato dopoguerra e nella vita cremonese in particolare. La sua immersione nella letteratura straniera di questo tipo era anche espressione di rivolta contro lo spirito cultural-politico di quel periodo. Tramite le sue letture, come anche grazie a diversi soggiorni in Francia, riuscì a imparare il francese. A Parigi entrò in stretto contatto con alcuni dei maggiori intellettuali francesi, come Claude Lefort e Edgar Morin, e con il gruppo “Socialisme ou Barbarie”. La sua rete di contatti si estendeva anche in Germania, Belgio e negli Stati Uniti. L’altra grande passione di Montaldi era il cinema, in particolare quello francese antecedente alla seconda guerra mondiale. Sorprende che molti di quei film, che nel loro realismo davano

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un giudizio duro della società contemporanea e una rappresentazione convincente dei caratteri della classe operaia, fossero proiettati nelle sale cinematografiche durante il fascismo, anche prima dello scoppio della guerra. Film critici come La Grande Illusion di Jean Renoir (film dichiarato da Joseph Goebbels «nemico cinematografico numero uno» e proibito in Germania) e il non meno controverso Le Quai des Brumes di Marcel Carné furono presentati alla Mostra del Cinema di Venezia tra il 1937 e il 1939.14 Montaldi diceva di sé: «Io sono stato uno di quegli adolescenti che [...] non perdevano un film francese [...]. Perché non dire che il nostro interesse per quel tipo di film è stato un nostro modo di non essere fascisti?».15 I protagonisti di questi film, molto spesso interpretati da Jean Gabin,16 erano rappresentanti della classe operaia, orgogliosi di esserlo e con il coraggio di sfidare le circostanze sociali nelle quali si trovavano. «La bici dell’operaio Gabin in Le jour se lève; il fraterno colpo di pistola tra i due amanti, illogico come ogni atto d’amore, in L’Hotel du Nord; (...) Gabin, ancora, disertore in Quai des Brumes,17 la risata di J.L. Barrault in Delirio,18 e il volto nudo di Antonin Artaud in Giovanna d’Arco. 19 Questo universo di refrattari generosi oltre il possibile non tagliava a mezzo la concezione fascista della vita?».20

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Durante la VII Mostra del Cinema del 1939, edizione fortemente condizionata dal regime fascista e disertata dagli Stati Uniti d’America, vennero comunque presentati due capolavori del realismo poetico francese: La Bête Humaine di Jean Renoir e Le jour se lève di Marcel Carné. 15 Montaldi in, “La Matàna de Po”, in Id. Bisogna sognare, cit., p. 331. 16 Jean Gabin (1904-1976), attore francese ed eroe di guerra. 17 Carnè, Marcel: Le Jour se lève (1939), L’Hotel du Nord (1938),Quai des Brumes (1938). 18 Allégret, Marc: Orage (1938). 19 Dreyer, Carl Theodor: La Passion de Jeanne d’Arc (1928). 20 Montaldi, in Bisogna sognare, cit. p. 331.

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La Matàna de Po nelle testimonianze

I testi sulla Matàna de Po pubblicati di seguito sono apparsi per la prima volta su Presenza, Milano, a. II, n. 6-7, luglio-dicembre 1959 e ripubblicati poi in Danilo Montaldi, Bisogna sognare, Milano 1994. Le testimonianze di Orlando P. e Mariuccia M. vengono riprodotte con la stessa trascrizione apparsa su Presenza. Il primo testo, scritto da Montaldi, è stato ripubblicato con titolo “La Matàna de Po” in Bisogna sognare con parte del contenuto della prima lettera che apre il carteggio pubblicato nel volume.

La Matàna de Po – Danilo Montaldi La Matàna de Po è un documentario che non ha una vera e propria trama. Si ispira alla biografia di Orlando P., uomo del Po, pubblicata in «Nuovi Argomenti», num. 15-18, della quale segue liberamente il discorso e la narrazione. Il documentario illustra una particolare condizione: quella degli uomini che hanno eletto a propria dimora le sponde del fiume; essi appartengono ad una società solitaria che segue soltanto le leggi fondamentali della terra; dal fiume riescono a trarre tutto quanto serva loro per affrontare le necessità della vita: i legni per le loro baracche costantemente messe in pericolo dalle alluvioni e le mille cose, utili e inutili, portate dalla corrente. Essi sono gli abitatori di una zona franca, rimasti fedeli ad un ideale di città che dovrebbe trovare la propria sede sulle lame di sabbia, sulle brevi isole o sotto le piante. Il loro profondo attaccamento ai luoghi del Po si esprime attraverso la matàna: avere la matàna de Po significa essere presi dalla passione per un ambiente che continua a rimanere situato tra la fantasia e la realtà. Dopo anni trascorsi lontano dal Po, molti ritornano sulle rive, e portano così tra coloro che non se ne sono mai staccati,

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notizie, esperienze, canzoni. Nel documentario vengono illustrati i diversi momenti di questo genere di vita fondato sull’illusione che il fiume possa essere una sorta di Eldorado a portata di mano. Gli uomini del Po cercano di continuo sull’acqua e sulle rive; ma soltanto quando il lavoro umano è organizzato la ricchezza può venir raggiunta.

Danilo Montaldi 1. Il Cinema, quanti volti può avere? Io sono stato uno di quegli adolescenti che, nei primi anni della guerra, non perdevano un film francese, se ne davano in qualche sala della città. Perché non dire che il nostro interesse per quel tipo di film è stato anche un nostro modo di non essere fascisti? La bici dell’operaio Gabin ne Le jour se lève; il fraterno colpo di pistola tra i due amanti, illogico come ogni atto d’amore, ne L’Hôtel du Nord; l’estremo salvataggio operato da Victor Francen nei riguardi della ragazza che vuol sacrificarsi al perverso Jouvet, ne La fin du jour; Gabin, ancora, disertore in Quai des brumes; la risata di J. L. Barrault in Delirio, e il volto nudo di Antonin Artaud in Giovanna d’Arco – questo universo di refrattari generosi oltre il possibile non tagliava a mezzo la concezione fascista della vita? Questi personaggi sono stati i nostri modelli romantici, in un periodo che si voleva classico soltanto perché tirava in piedi falsi colossi romani di gesso e biacca. Contemporaneamente, i personaggi di Frank Capra svolgevano anch’essi la loro funzione: tipi che abbandonano tutto pur di seguire un cavallo da corsa; giornalisti, che sono dei critici nei confronti del costume, sperduti con la scassata vetturetta lungo le strade americane; milionari che danno via la terra ereditata e ci suonano sopra col trombone. Con il Cineclub, si sono visti i russi: il largo sorriso dei contadini davanti alla scematrice; la bandiera rossa dello sciopero, che uomini e donne della folla si passano di mano in mano, sulla testa di tutti; i marinai del 1905. All’epoca del Cineclub, la discussione sul Cinema era, per definizione interminabile. Nel frattempo c’era stata per noi l’espe-

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rienza, attiva sul piano sociale. E il Cinema non lo vedevamo più con gli stessi occhi di prima. Il Cineclub era sorto, nella mia città, nel momento in cui l’adesione dei giovani ai partiti del fronte antifascista andava rifluendo, dopo la constatazione che le organizzazioni politiche non erano affatto ciò che si pretendeva che fossero. E il Cineclub diventava, di conseguenza, il luogo dove la discussione sui problemi generali veniva rilanciata a partire dall’esperienza cinematografica, la quale ne riassumeva tante altre: i film espressionisti introducevano alla conoscenza della Germania pre-nazista, Ejzenštejn al problema del primo Piano Quinquennale, e poi l’America del New Deal, la Francia del Fronte Popolare, e tutte le situazioni poetiche, mistiche, macabre degli isolati del Nord, la fatica degli operai dello Zuiderzee, l’allegria delle comiche. Da allora il cinema è penetrato, fa così parte della vita che nel nostro modo di sentire, di vedere, di descrivere, facciamo spesso allusione ad una immagine restata nella memoria, alla sequenza di un film, ad un atteggiamento d’attore come usiamo delle citazioni da un libro, del richiamo al particolare di un quadro, di un’espressione del linguaggio politico; e non ce ne accorgiamo più. Spesse volte nella semplificazione che dobbiamo utilizzare per parlare tra noi, e con la gente, è ad un film che ricorriamo per farci capire subito, perché se uno non conosce una situazione (storica, economica), o un libro, o un Paese, ha comunque visto certamente quel film che in un modo o nell’altro vi si riferisce, e la semplificazione è soltanto apparente, perché quel film, anche se brutto, già riassume, sintetizza e contiene gli elementi che il discorso può di nuovo liberare. Nella vita quotidiana, il cinema diventa così un filone inesauribile di comunicazione. Io mi sentivo quindi dalla parte della massa; tra i due termini in uso che compongono il concetto di «cultura di massa», io ero rimasto dalla parte dei consumatori. Ma Beppe Bartolucci è un tipo che gli vengono delle idee. Conoscendo bene Mario Gallo per aver messo con lui un piede nella possibilità cinematografica proprio in quegli anni durante i quali io esaurivo il mio tempo nell’aula del Cineclub, e cono-

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scendo gli interessi di Mario per i contadini del Sud, per le feste di paese, la sua passione calabrese per chi lavora la terra, Beppe si è detto: io combino Gallo e Montaldi, il quale ultimo, si sa, dove passa lascia nordiche orme contadine, e vediamo cosa succede. Arrivano una sera insieme a casa mia, a Cremona, che nemmeno li aspettavo: e tanto meglio. Ed è da lì, che è cominciato il dramma. In un quarto d’ora circa di spettacolo si trattava di farci stare tutto ciò che è contadino nella Bassa Padana. Nella prima conversazione a tre c’è stato un lodevole sforzo di trovare, almeno, un linguaggio comune: Beppe faceva la sua calata dalla letteratura per adottare il linguaggio del cinema, io facevo la mia dalla sociologia, ai medesimi fini; Mario probabilmente ci giudicava male, degli approssimativi, senza nessuna padronanza dei termini. Ma ad ognuno la sua di criticare il modo di vedere degli altri: venne anche la mia volta, quando Mario pretendeva – col suo rimpianto dei tentativi di occupazione delle terre nel Sud, e quindi conservando nella memoria la grande massa meridionale – che in un campo ci potessero stare 200 lavoratori per la falciatura, e gli spiegavo che da noi l’agricoltura è intensiva, e se metti 200 contadini in un campo è come se tutto un paese vivesse su quello che dà un campo solo. Più la questione si complicava, e andava assumendo le dimensioni che ha, meno Beppe si ritrovava entusiasta della sua prima idea, fiutava taciturno le grandi arie della campagna cremonese, ma non vedeva come potessero essere ridotte in un documentario. Decidemmo di andare sui luoghi, il giorno dopo. E Beppe venne con le scarpe da montagna.1 Ci siamo affidati ad Orlando,

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Ce ne ricorderemo di quelle scarpe un mattino in cui, lavorando al documentario, e ormai sulla buona strada, eravamo andati con la barca su un’isola in mezzo al Po tutti noi (Mario, Pippo, Giosuè, Orlando, Gino, io) a costruire una baracca. In mezzo all’acqua, siamo rimasti sei ore sotto il sole, senza bere perché nessuno aveva pensato di portarne, come in un deserto con la sabbia che scottava, un’atmosfera da casalinghe Isole del Diavolo. Gino, mentre nessuno lo

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Carteggio1

1959

I DANILO MONTALDI A GIUSEPPE BARTOLUCCI Cremona, marzo 1959 Caro Bartolucci, ho gettato giù in fretta queste poche note che possono servire come indicazioni, per limitare il quadro nel quale va situato il documentario. Spero di vedervi presto, sui luoghi stessi, attorno ai quali si possono fare molte cose. Se non mi fai sapere niente prima, siamo d’accordo per martedì. Arrivederci, tuo Danilo

Una impostazione Si tratta di evitare, anche sul piano del documentario, quella particolare forma di “populismo” (nel quale si riflette un atteggiamento borghese anche se estremizzato), che ha influito per tutto un periodo del dopoguerra italiano sui metodi di interpretazione della situazione agricola in Italia. Questo atteggiamento di

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Le lettere qui pubblicate, fanno parte del Fondo “Danilo Montaldi” conservato a Cremona presso l’Archivio di Stato. La corrispondenza è disposta in ordine cronologico e organizzata per anno: Le lettere del 1959 provengono dalla busta n. 4, quelle del 1960 dalla busta n. 5, e quelle del 1965 dalle buste n. 8 e 9.

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derivazione letteraria come propensione alla sociologia si è soprattutto esercitato nei confronti della realtà del Sud, favorendo una base a tutto un filone culturale, che procede da Levi a Scotellaro a Dolci. Ne è nata una nuova mitologia del contadino, considerato innanzitutto nella situazione “magica” del rapporto con la natura, una nuova idealizzazione del “buon selvaggio”, che costituisce una forma di falsa coscienza, definitiva statica e conservatrice. Ribaltandosi al Nord, questa interpretazione della “tragedia agraria” ha spesso unificato al di sotto del suo livello reale il mondo agrario contemporaneo, le sue interne contraddizioni, i suoi sviluppi divergenti. Come prima approssimazione culturale, nell’assenza di studi recenti di carattere sociologico sulla questione contadina del Nord, c’è l’opera di Pavese che rimane vicina alla situazione, in termini assai realistici. Ci interessa la tipologia dei soggetti: il vagabondo delle campagna, il piccolo proprietario come momento di conservazione di una mitologia agricola, la dissoluzione della grande famiglia agraria, l’artigianato politicizzato, l’emigrante che ritorna al paese, il “bastardo” sono tutti elementi presenti nella società rurale del Nord. Ma nella Bassa Padana (tra Cremona e Mantova) la società agraria è diversamente stratificata in quanto alla base esiste un proletariato composto da una maggioranza di braccianti e di salariati fissi (anziché contadini) che sono autentici operai della terra, i quali prestano la loro forza lavoro nelle grandi aziende.

Caratteri dell’ambiente Oltre sessant’anni di lotte politiche e sindacali portano in primo piano le esigenze delle categorie bracciantili, le quali sono da considerare come categorie altamente produttive, nonostante la situazione arretrata nella quale vivono. Nonostante essi siano una categoria “moderna” il loro modo di essere sociale rimane vincolato a certe tradizioni dell’ambiente che andrebbero illustrate. L’isolamento delle cascine influisce e determina questo ripiegamento psicologico rilevabile nelle campagne industrializzate del Nord.

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XI MONTALDI A GALLO Cremona, 27 maggio 1959 Carissimo, ho ricevuto la tua lettera del 25, di cui ti ringrazio. Con la tua ne ho ricevuto una dal Beppe, il quale mi dice che, considerate le spese impreviste che ha dovuto sostenere può darmi 10.000 lire ma me le taglia dalle 30 che devo ancora prendere (se il documentario prende il premio prenderò altri soldi). Le condizioni non sono molto favorevoli, sappiamo che il Beppe ha sostenuto delle spese, ma per venire a Roma devo spendere 3.600 d’andata e altrettanto per il ritorno. Con 3.000 lire ci posso stare una giornata. Comunque, guarda, vengo senz’altro; ne ho viste di peggiori. Parto domenica sera da Cremona e arrivo a Roma al mattino, con lo stesso treno che avete preso voi. Oppure se c’è qualche imprevisto, arrivo martedì mattina. Ti telefono subito, e poi ci vediamo. Trovami una locanda dove non possa spendere molto, ma evitami le eventuali cimici dell’Urbe. Vado a Milano venerdì e vedo Beppe, con lui discuteremo di tutta la cosa, intanto gli ho mandato il commento. L’ho scritto, ne sono abbastanza soddisfatto, mi sembra che ci sia tutto. È scritto in modo che le diverse parti possano venire smontate e montate in modo diverso con alcune essenziali cuciture. Lo porto quando vengo. Mon vieux, la cosa della fanciulla qui volge al dramma. Come sai, eravamo d’accordo che sarebbe venuta da me lunedì o al massimo martedì. Vedendo che nessuno arriva (l’ultima volta era stato dalla soglia del bunker) telefono al mio amico e gli dico: C’è da fare un’altra corvée. Laggiù? – mi risponde – volentieri! E cominciamo a pedalare. Intanto il Po è cresciuto di nuovo e troviamo le strade allagate, quindi abbiamo paura che laggiù non ci sia nessuno. Lungo la strada spiego al mio amico la questione e che la ragazza preferisce che in questo periodo io non mi faccia vedere, quindi lui dovrebbe parlarle o darle un biglietto (che scrivo al buio). Io aspetto sulla spalla di un ponte, sono le nove e mezzo. Il mio amico non aveva mai visto la ragazza. Ma è uno anche lui che sa

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cosa deve fare senza tante parole ed è sempre, anche lui senza illusioni. Nota che ci eravamo fermati un momento a pisciare e intanto erano passate due moto di gente diretta laggiù. Il mio amico parte, e gli dico: Quando arrivi sanno già che io sono qui. Aspetto e fumo al buio. Intanto dal baracchino viene la musica di quei dischi che conosciamo. Io, piano piano, vado fin verso la baracca, e vedo che ci sono i lampioncini tutti illuminati, e che continuano a suonare dischi. Mi dico: fanno festa. E aspetto; torno indietro, accendo un’altra sigaretta, vado ancora verso il baracchino. Ogni tanto, diciamo ogni mezz’ora o anche più, passava qualche moto o qualche macchina che veniva dai luoghi. Verso le undici, mentre mi dirigo verso la baracca incontro il mio compagno che torna indietro. Dunque era successo questo. Com’è entrato, il Baffo, è andato dalla ragazza, le ha parlato in un orecchio guardando verso il mio socio. C’erano nel baracchino dei tipi che giocavano a carte, dei loschi, e altri che mangiavano. I dischi suonavano e la ragazza ballava. Alla prima occasione è andata verso mon compain e gli ha detto: Lei è venuto con Danilo. Sembrava imbarazzatissima. – Dov’è Danilo? – chiedeva. Lui ha avuto il tempo di dirle che l’aspettavo sul ponte, subito, o l’indomani mattina, che è oggi, a casa mia. Lei ha avuto il tempo di rispondere che non era possibile, subito né al mattino dopo (che ormai è passato), che il Baffo si è subito avvicinato. Prima di allontanarsi dal mio amico ha mormorato qualcosa che il mio amico non ha capito. Ha tentato di avvicinarsi a mon camerade più di una volta, ma subito correva lì il Baffo con sua moglie. Insomma, era controllata ad ogni passo. Non solo. Anche il mio amico lo era. Non poteva muoversi che trovava davanti a sé la faccia scura di qualcuno. Non esagerava, era così. C’erano quattro o cinque tipi che si erano disposti in modo da tenerlo sott’occhio. Insomma non è riuscito a consegnarle nemmeno il biglietto. Si è messo a leggere il giornale, e poi è venuto via. Dopo che mi ha raccontato la faccenda, gli chiedo la sua interpretazione. Lui dice che è possibile tutto: la ragazza era combattuta tra l’andare dal mio amico e il non andarci, d’altra parte sembrava si divertisse quando ballava, quindi delle due cose, una: o ha già messo le cose a proprio vantaggio, o sono andate a suo totale

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XXI MONTALDI A DEL FRA 27 giugno 1959 Caro Lino, ti ringrazio prima di tutto per l’invito che mi rivolgi. Ma non posso venire perché in questi giorni sto cercando una stanza a Milano dove dovrò portare a termine un’inchiesta sugli immigrati (Milano Corea); è un lavoro che non posso rinviare nemmeno di un giorno perché ci sono delle scadenze precise, ho già fissato una serie di appuntamenti, ecc. Mi spiace moltissimo anche perché m’impedisce di conoscere luoghi e situazioni che conosco solo attraverso i libri. E avrei lavorato volentieri con voi. Per quest’anno non avrò più tempo di dedicarmi al cinema; terminata questa inchiesta ho altri impegni dello stesso tipo, Mario conosce la mia situazione e pensavo te ne avesse parlato. Mi sono informato per “Redenzione”, non c’è né a Cremona né a Milano, mi hanno detto che si può trovare negli archivi dell’ENIC che l’aveva prodotto a suo tempo. D’altra parte spero e vi auguro che possiate fare a meno di me per questa volta, esageri se dici che la mia presenza sarebbe indispensabile. Affettuosi saluti e auguri a Cecilia e a te, Danilo Lettera XXI, [ds., 1 c.]

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XLI MONTALDI A BARTOLUCCI Cremona, 16 maggio 1960 Caro Beppe, ti scrivo dopo molto tempo perché mi ero ripromesso varie volte di venire a trovarti o di telefonarti, ma in questo periodo vengo a Milano così raramente e così di corsa che non mi è mai possibile fare tutto quanto vorrei fare. Dunque, il documentario qui è stato visto quella mattina e assai favorevolmente commentato; insomma, è piaciuto molto a tutti, non solo ai protagonisti. Orlando è venuto vestito della festa, e il Gino lo stesso, accompagnato dalla moglie. Gli unici che non hanno potuto venire sono il Mentu e la Mariuccia. Lui perché quel mattino aveva troppo da fare, lei perché non era a casa e non abbiamo potuto avvertirla. Se è possibile, vorrei tenere qui la copia ancora un po’ appunto per vedere se c’è la possibilità di proiettarla ancora per farla vedere anche al Mento e alla Mariuccia. A me il documentario è piaciuto, anche se non è tutto quello che volevamo dire, anche se c’è qualche difetto. Piuttosto, quand’è che si potranno avere quei soldi del premio? L’avevo chiesto a Mario prima che partisse ma non ho mai ricevuto risposta. Non dicevano in primavera? È passato tanto tempo e ancora non se ne parla? Io mi trovo in un periodo un po’ duro e quei soldi mi tornerebbero utili. Puoi farmi sapere qualcosa? Che fai? Sono venuto a quella serata (disastrosa) alla Casa della Cultura dedicata al Politecnico; mi hanno detto che c’eri, ti ho cercato ma non ti ho trovato. Scrivimi, che per un po’ a Milano non vengo. Affettuosamente, tuo Danilo Lettera XLI, [ds., 1 c.]

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XLII MONTALDI A GALLO Cremona, 24 luglio 1960 Carissimo Mario, ti ringrazio dell’invio del compenso per la Matàna. Non ricevendo tue notizie ti avevo già dato per disperso e inghiottito magari dagli iceberg dei Mari del Nord e ora ti presenti con le valigie fatte per raggiungere Fidel Castro. Mi chiedi che cosa sto facendo e se continuo a lavorare per “La gente di città”. In questo momento mi trovo a letto per un dente noioso e malcagato. In senso più generale non mi va né bene né male, continuo a scrivere, a tradurre, a maledire, a progettare di realizzare assieme a te e alla banda il cortometraggio sui contadini padani. Importante: stammi bene a sentire: l’Ente fiera di Cremona organizza un concorso di documentari sul Po. Per ragioni di campanilismo sarebbe bene che Matàna la presentassi io perché conosco qualcuno della giuria, perché è stato fatto a Cremona e probabilmente sarà il solo, ecc. Bisogna compilare la scheda d’adesione per la quale si deve rispondere a voci che non conosco: Cadenza (cioè il N° dei fotogrammi al secondo) e durata. Ti prego di indicarmi queste due cifre. C’è anche un’altra cosa: quando abbiano proiettato la Matàna abbiamo dovuto farlo alla chetichella perché la copia che ci hai mandato era sprovvista di quella specie di patente di circolazione nella quale si dice che il documentario è stato visto dalla censura, fa parte dei premiati della Presidenza del Consiglio, ecc. Questo pezzo di carta è assolutamente necessario. Ancora non è stato discusso niente sui premi di questa rassegna, ma io sono in contatto con chi conosce. Se preferite presentarlo tu o il Beppe, io sono ugualmente d’accordo. Dici che tornerai in settembre e che allora faremo “Il tempo del contadino”, ma penso in settembre mi prenderò le vacanze e sarò a Parigi. Scrivimi subito ti raccomando. Saluti affettuosi, tuo Danilo Saluti a Maria, al bambino e a tutti gli amici. Lettera XLII, [ds., 1 c.]

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Danilo giovane di Renato A. Rozzi1

Vi parlerò di lui in un’età rivelativa, quella fase centrale dell’esser giovani – all’incirca dai 15 ai 20-22 anni – che per noi è caduta nel periodo che va dal ’44 ai primi anni Cinquanta, facendo coincidere l’affrancarsi dalle ultime dipendenze adolescenziali con il riscatto collettivo da una lunga oppressione. Questo periodo d’inconsuete, avvincenti conferme tra ciò che di liberatorio accadeva sia dentro di noi che nella realtà storica ci ha portato presto ad un’età e ad una società diverse: il passaggio alla delusione maturativa degli anni ’50 non è stato facile. Quel che si avvertiva d’identificativo in quello spilungone sedicenne era un “andare verso”, come un’insorgenza naturale, qualcosa che ora, adulti, possiamo chiamare il tendere incessante di tutta la sua esistenza ad una liberazione. Era questo il dovere comune che Danilo indicava a chi sentiva vicino. Questa mia percezione è sorretta da qualche prova nella realtà? Per lui i giorni che hanno preceduto e racchiuso il 25 aprile ’45 (dei quali non era affatto un rievocatore sentimentale) sono stati la partecipazione ad un momento di capovolgimento del mondo, l’esperienza di un pur momentaneo passaggio di potere, il cui significato credo sia sempre rimasto per lui un riferimento di fondo: gli ultimi sono diventati i primi...? È stato l’altissimo vissuto collettivo del diventare liberi, lo sbottare di una comunanza popolare, prepoli-

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Renato Rozzi, psicologo e scrittore, amico di Danilo Montaldi. Viene qui riproposto il testo pubblicato nel volume, Danilo Montaldi 1929-1975. Azione politica e ricerca sociale, a cura di Gianfranco Fiameni, Annali della Biblioteca Statale e Libreria civica di Cremona, Vol. LVI, Cremona, 2004.

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tica se si vuole, ma così trascinante che in linguaggio psichico la chiamerei fusionale. Nei cortili e nelle strade dei rioni bassi – era questa la parte che Danilo sentiva come il profondo collettivo – c’è stato un lampo unificatore, un momento d’onnipotenza esultante in cui sembrava perfino scomparso il nemico, l’ombra persecutrice. Comprendendola a distanza di tempo, la scossa che ribalta un potere oppressivo fa emergere quanto sia penoso nell’intimo di chi è davvero ribelle, lo “stare sotto”, e non soltanto sotto il fascismo, ma sotto quella figura mitica del potere che diventa destino, qualcosa di ben più trascendente del padrone. Essendo un “mai sottoposto”, D. questa grande occasione liberatoria l’ha convissuta da ragazzo, nell’età della possibilità, e ciò che si è impresso nel suo esser giovane è stato reso sempre presente ai giovani. Ha scritto proprio di quei giorni: «È vero che la mia vita cominciava allora, cominciavo ad orientarmi». Vediamo in quale ambiente. Nel ’44, quindicenne, è nel Fronte della Gioventù comunista, all’inizio del ’46 segue il padre nell’uscita dal Partito comunista. È tra quelli che, dopo la Liberazione, si aspettano di dover combattere ancora. Comincia già a conoscere i suoi adulti di riferimento, alcuni dei quali sono dei “rifiutanti” (mentre lui s’avvia ad esserlo), ed appariranno nei suoi scritti. Anche attraverso il padre, che aveva già usato le armi nel ’22, gli è naturale cogliere il sottosuolo proletario d’irriducibile opposizione alla prepotenza oltraggiosa di un fascismo come quello farinacciano, che ha avuto un occhio particolarmente spietato sulla vita comunitaria in cui D. è cresciuto (tanto che la Resistenza armata ha fatto fatica ad esprimersi nella piana cremonese senza ripari). La cultura borghese cittadina era per lo più banalmente tradizionale e presupponente. Con un altro rifiuto significativo, nel ’46 D. lascia anche la scuola, la prima liceo classico. Il locale PCI stalinista, da subito poco liberatorio, si poneva come un “o con me o contro di me”, ed era organizzativamente repressivo e culturalmente povero. Nella comunità cremonese la contraddizione fondamentale erano da sempre e di nuovo i “paisàan”, una pressante collettività attorno alla città. Fin dall’inizio del secolo questo conflitto, che il PCI riprende in mano dal ’46 al ’49, ha rappre-

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Immagini Protagonisti e luoghi della MatĂ na de Po

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Danilo Montaldi, con il padre Nino Montaldi e la madre Clelia Nolli, 1933.


Danilo con l’amico Sergio Grossi, 1946.

Danilo con Orlando P. davanti alla sua baracca, 1945.


Bibliografia di Danilo Montaldi

Opere F. ALASIA, D. MONTALDI, Milano, Corea. Inchiesta sugli immigrati, Prefazione di Danilo Dolci, Milano (Feltrinelli), 1960, pp. 331. – Nuova edizione accresciuta, settembre 1975, pp. 372 (con lo scritto “Dopo la Corea”, pp. 33-47). – Nuova edizione in occasione del cinquantennale con una introduzione di Guido Crainz e una postfazione di Jeff Quiligotti, Roma (Donzelli), 2010, p. 335. D. MONTALDI, Autobiografie della Leggera, Torino (Einaudi), 1961, pp. 451. – Edizione tascabile, collana Gli Struzzi 32, 1972, pp. 447. – Edizione tascabile, prefazione di Piergiorgio Bellocchio, Milano (Bompiani), 1998, pp. 447. – Edizione tascabile, Milano (Bompiani), 2012, pp. 520. – Edizione tascabile, Milano (Bompiani), 2018. Militanti politici di base, Torino (Einaudi), 1971, pp. 393. Korsch e i communisti italiani. Contro un facile spirito di assimilazione, Saggistica 71, Roma (Samonà e Savelli), 1975, pp. 77. “Introduzione” in: Renzo Botti Manoscritto, a cura di Danilo Montaldi, Cremona (Edizioni Galleria “Renzo Botti”), 1975, pp. 352. Saggio sulla politica comunista in Italia (1919-1970), Piacenza (Edizioni Quaderni Piacentini), 1976, pp. 352. – Nuova edizione, a cura del Centro d’Iniziativa Luca Rossi, Milano (Cooperativa Colibri società), 2016, pp. 477. “Scritti di Danilo Montaldi”, pp. 16-54, in: M. Balestreri, G. Fiameni (a cura di), Renzo Botti. I disegni della raccolta Montaldi, Annali della Biblioteca Statale e Libreria Civica di Cremona 1988, maggio 1989, pp. XVI-170. Bisogna Sognare. Scritti 1952-1975, a cura di Cesare Bermani, Gabriella Montaldi-Seelhorst e i membri del Centro d’Iniziativa Luca Rossi, Milano (Cooperativa Colibri società), 1994, pp. 628.

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Opere Critiche Danilo Montaldi e la cultura di sinistra del secondo dopoguerra, a cura di Luigi Parente, Atti del convegno dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici svoltosi a Napoli il 16 dicembre 1996, Napoli (Edizioni La città del sole), 1998, pp. 148. Danilo Montaldi (1929-1975): azione politica e ricerca sociale, a cura di Gianfranco Fiameni, Annali della Biblioteca Statale e Libreria Civica di Cremona, Volume LVI, Atti del Seminario di studi svoltosi a Cremona il 9 maggio 2003, Cremona, 2006, pp. 209. Danilo Montaldi, Parolechiave 38, nuova serie di Problemi del socialismo, Roma, Carocci 2007, pp. 263. Infiniti piani. Danilo Montaldi, il Realismo esistenziale e gli artisti della “Botti”, catalogo a cura di Valter Rosa, Casalmaggiore (Biblioteca A.E. Mortara), 2012, pp. 45. L’altra storia: Bosio, Montaldi e le origini della nuova sinistra, Milano (Feltrinelli), 1997.

Lettere C. BERMANI, “Danilo Montaldi e Gianni Bosio”, in: AA.VV, Bosio oggi: rilettura di una esperienza, a cura di C. Bermani, Provincia di Mantova – Biblioteca Archivio – Casa Mantegna – Istituto Ernesto de Martino, Mantova, 1986, pp. 153-61. D. MONTALDI, G. GUERRESCHI, Lettere 1963-1975, a cura di Gianfranco Fiameni, Annali della Biblioteca Statale e Libreria Civica di Cremona, Volume L, Edizioni Linograf, ottobre 2000, pp. 588. D. MONTALDI, “Un io numeroso. Tre Lettere”, Premessa di Goffredo Fofi, in «Lo Straniero», anno X, numero 78/79, dicembre 2007, pp. 33-39. – Lettere di Danilo Montaldi ad artisti italiani; Lettere di Danilo Montaldi a Giuseppe Guerreschi, a cura di Mariuccia Salvati, in: Danilo Montaldi, Parolechiave No. 38, Roma (Carocci editore), 2007, pp. 183-198. R. PANZIERI: La Crisi del movimento operaio. Scritti, interventi, lettere 1956-1960, a cura di D. Lanzardo e G. Pirelli, Milano (Lampugnani Nigri), 1973. – L’inchiesta sulla nuova classe operaia. Lettere di Danilo Montaldi, in: Quaderni Piacentini, XVIII, ottobre 1979, 72-73, pp. 93-103 R. PANZIERI: Lettere 1940-1964, a cura di S. Merli e L. Dotti, Venezia (Marsilio), 1987, pp. 432. 238


Ringraziamenti

Questo libro nasce da uno spunto di Mirko Grasso e di Mariuccia Salvati che ringrazio vivamente anche per il loro costante sostegno nel progetto. Molto preziosi sono stati per me le testimonianze, i ricordi personali, i consigli e suggerimenti, ma soprattutto l’amicizia di Gianfranco Fiameni, Anna Cesari, Ughetta Usberti, Pinuccia Ferrari Dossena, Stefana e Enrica Mariotti, Fabrizio Merisi, Sergio Grossi e Licinio Bodini. Sono riconoscente alla direttrice dell’Archivio di Stato di Cremona, la Dott. ssa Angela Bellardi, come a Renato Rozzi per aver permesso la pubblicazione del suo saggio. Sono grato a Giovanni Chiriatti della casa editrice Kurumuny per il suo aiuto e la sua disponibilità . Per la revisione e la correzione di tutti i testi del volume sono debitore ad Annachiara Paglia, Giovanna Dossena, Mirko Grasso e Gabriella Montaldi-Seelhorst. In particolare ringrazio il Prof. Piero Brunello per la sua amicizia. Grazie al mio compagno Marco Biasini per la sua pazienza con me nella lunga preparazione di questo libro. Infine sono molto riconoscente a Bettina e Herwig Friedl, Dieter Hoffmeister, Anna Cesari e Mariuccia Salvati per il loro grande sostegno finanziario, senza il quale la pubblicazione di questo libro non sarebbe stata possibile.

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