LA TERRA BUONA

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LA TERRA BUONA: un film che non si può perdere. Per la capacità di indagare il rapporto uomo società e natura e le implicazioni conseguenti sulla salute come anche sulla cattiveria di chi si ostina a ignorare. Ho ricevuto un altro dono. Un amico mi ha invitato ad andare al cinema... ed ho scoperto La Terra Buona. Emanuele Caruso, regista e produttore di questa lungimirante e toccante produzione filmica (che nel 2044 ci aveva già donato il film girato a la Morra in langa "E fu sera e fu mattina") , ha la capacità di unire tra di loro tre storie, realmente accadute ma nella realtà non incrociatesi tra di loro, per raccontare non solo una montagna, la Val Grande e la Val Maira piemontesi ,davvero magistralmente utilizzate come sfondo e scenario del film. Al centro non sono nemmeno le già narrate storie sul rapporto conflittuale tra società della pianura e montagna, e tra i loro diversi modelli di sviluppo, come è stato ad esempio descritto nel film Il " Vento fa il suo giro" di Giorgio Diritti No, il tema del film (guarda il sito web e la pagina facebook) è un altro: l'uomo, allontanandosi nella società attuale dagli equilibri naturali, dai tempi lenti, dal rapporto profondo e sano con l'altro, ha creato un profondo scollamento nella propria coscienza tra le sue origini e la sua natura, con la conseguenza di produrre tanti effetti, tra i quali, il diffonderasi del "male oscuro", il cancro, come una delle più profonde conseguenze. Si, si tratta del cancro, che qui viene raccontato come punta di un iceberg che prende origine per lo più da traumi, da situazioni mai risolte e tenute a covare nel proprio subconscio, spesso perché presi a fare altro. Ma cosa è questo altro. Presi ovvero a coltivare le due qualità che Aristotele (nella sua Ethica, Nicomachea - I, 8) descriveva già (I beni dell'Anima,i Beni del Corpo, e i Beni Esterni) e che Arthur Schopenhauer ha ripreso e reintrepretato nel suo bellissimo saggio "Aforismi per una vita saggia" ( Ciò che uno è, ciò che uno ha e ciò che uno rappresenta) tralasciando la prima, quello che uno è. Sono quindi quelle che identificano la persona per quello che una ha e per quello si che rappresenta, e che la società contemporanea ha eletto a fondamentali del quotidiano, mentre ogni nostro sforzo dovrebbe essere spesi nel coltivate e conosce la prima qualità : di ciò di cui si è . Lungo i 110 minuti sono magistralmente descritti tutti i mali del nostro vivere a partire, certo, dall'allontanamento dalla vita a contatto con la natura, ma ancora di più, interpreti favolosi, incarnano ruoli come la protervia e saccenza del potere (i Carabinieri) non


disgiunte da una certa violenza quando minacciano di distruggere la ricca biblioteca che il Padre Benedettino Sergio ha realizzato (davvero e non per finta essendo oggi ancora presente) se non rivelerà il nome di un medico esperto di medicina alternativa datosi alla macchia. Anche l'accompagnatore della ragazza, che cerca nell'eremo tra i monti una soluzione alla propria malattia terminale, è la figura della diffidenza e della materialità, e quindi della incapacità di ascolto, che il vivere contemporaneo e l'approccio meccanico alla vita hanno reso così diffuso. E che dire dei tre figuri che vivono nel paesino al confine con la civiltà, al quale l'eremo è collegato da 4 ore di cammino a dorso di mulo, che solo per aver letto qualche giornale scandalistico che dipinge con tinte di mistero quel luogo dove si ricercano nuove cure, un giorno decidono di raggiungere le baite in alto per scatenare la loro bolsa ignoranza uccidendo l'innocente quadrupede. Davvero ci sono tutti. Come ha detto bene lo stesso regista in sala, questo film vi porta a "fermarvi", non a seguire una storia ritmata ai tempi del vivere di oggi, scanditi dall'ordine di grandezza del secondo, tuttalpiù del minuto. Qui vale un tempo indefinito, legato alla percezione del singolo ed allo scorrere dei giorni nelle stagioni. Anche una scelta della regia e della fotografia, con quei super primi piani che come un microscopio sembrano indagare dalle superfici delle rocce al volto di una persona, sono stimoli che invitano a guardare da vicino, molto da vicino se non proprio all'interno di noi per cercare di scoprire ciò che siamo. Ma non manca anche il segnale della speranza, in un racconto che tocca dei punti di intimità e lettura introspettiva incredibili, senza essere di quel peso al quale i film di Bergman ci avevano abituati. Non manca infatti lo spirito e la leggerezza nei dialoghi tra i protagonisti, tanto da far addirittura ridere, e non di rado, la platea strapiena. La speranza è un Ape, si, quel mezzo a tre ruote che nelle Alpi fa parte dell'armamentario classico del contadino, che magistralmente riattrezzato da un infermiere in un veivolo rudimentale ma efficace - che pare insieme psicologo, uomo semplice e ingegnere permetterà a lui ed al medico inseguito di raggiungere un luogo altro, la Svizzera, dove in libertà poter proseguire le proprie ricerche, lontani dalle unghie dell'affare classico della medicina tradizionale dell'Italia arretrata e, per di più, repressiva e a tratti violenta. Un film intorno all'uomo olistico, all'uomo anti-macchina, ed a quella visione che era la più accreditata molti secoli fa, prima che Vesalio nel '500 aprisse l'epoca dell'anatomia, che avrebbe potuto diventare una alleata dei sistemi di cura e che invece se ne pè distaccata per divenire la cosidetta medicina classica. Con la cura tradizionale, divenuta oggi la convenzionale, l'approccio meccanico ha portato con se la cultura della tecnica e della produzione, concetti del capitalismo e che furono le sue basi per farlo diventare la cultura imperante dal '600 in la. È così la medicina si trasformò ed oggi è ancora anche e sopratutto un gigantesco affare economico, anzi, finanziario. Anche il messaggio che sta nel titolo, come nel sacchettino pieno di terra di quel monte che Padre Sergio consegna a tutti nel salutarli, è denso e ricco: la nostra vita dipende dalle energie che il sole disperde sul suolo della Terra e da questa pellicola da cui si originano le basi della vita come le catene alimentari che sostengono il ciclo del pianeta nella sua parte vivente. Occorre quindi rispettare la Terra, portandola al collo come un gioiello, un monile.


Un film che consiglio anche perché - non si sa per quale strana geometria energetica, - al termine della sua visione e profondamente toccato per il senso che tutta questa storia ha per me oggi come persona toccata dal cancro, appena ho potuto stringere la mano al regista presente in sala ho avvertito in lui quella semplicità ma anche determinazione che vive nei giovani produttori di cultura di oggi, negli intellettuali del 2020. Ecco perché colgo l'invito suo e di altri a promuoverne la visione ed a collaborare perché film come questi riempiano le sale e i botteghini. Ma anche per rilanciare un altro appello, che lo stesso regista ha fatto: quello di salvare la biblioteca che ancora oggi sopravvive dal vero in Val Maira nella frazione di Marmora, e che nel prossimo mese di maggio rischia di essere smantellata e distrutta per i soliti stupidi e ignoranti cavilli della cosiddetta "legge". Ogni info al link seguente (apri) per il film sarà ancora in programmazione a Torino al Reposi sino al 21 marzo. Grazie Emanuele. Ippolito Ostellino


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