Documento xxi sec

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Memoria contributo sull’Agenda per i Parchi del XXI Secolo, promossa dal Parco del Ticino Lombardo

Un modello a ombrello per il territorio. Ritorno al Futuro: dalle Aree protette all’approccio sistemico del programma degli anni ’70 “Man and Biosphere” di UNESCO. Dr. Ippolito Ostellino, Naturalista – Esperto in politiche ambientali e del territorio. Direttore Aree protette del Po e collina torinese e Riserva della Biosfera CollinaPo (programma MaB di UNESCO)

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Aderendo alla significativa proposta del Parco del Ticino di contribuire a redigere una Agenda dei Parchi per il XXI secolo, qui di seguito sono indicate le principali problematiche gestionali che in qualità di Direttore di aree protette nella Regione Piemonte(oggi dell’Ente Parchi del Po e collina torinese dal 1999 e dal 1988 al 1995 del Parco del Marguareis) ho ravvisato nell’operatività e che intendono costituire un contributo sulla scorta dei 28 anni di attività in questo settore ed ai 36 anni in campo naturalistico e territoriale. Una prima riflessione è però di carattere generale sul ruolo e la funzione delle Aree protette, che se per anni non erano da riprendere ad ogni apertura di dibattito sul tema, e che oggi comporta invece ritengo un obbligatorio passaggio. Se da un lato, infatti, le problematiche connesse alla tutela degli habitat e delle specie si fanno sempre più critiche e complesse, risulta è altrettanto vero che il tema della conservazione non può ormai più essere disgiunto dalla questione delle politiche ambientali di contesto, all’applicazione concreta e fattiva dei piani che intersecano la gestione delle acque dell’uso del suolo, dell’aria, dello sviluppo urbanistico, delle politiche agricole, pastorali e forestali, e alle questioni della gestione del patrimonio così come è stata intesa nella Carta di Roma, dove i due pilastri del Capitale Naturale e di quello Culturale sono stati ricondotti ad una sintesi. E’ questa la falsa riga di ragionamento, che anche la prospettiva dell’Agenda lombarda propone, che oggi appare sempre più concreta e verificata quotidianamente: senza un raccordo con le politiche ambientali che governano i processi di contesto dei territori delle aree protette e degli spazi che le circondano le azioni di queste risultano vane e, se raggiungono risultati, questi con fatica si possono consolidare con continuità nel tempo. I Parchi, per di più, nel mondo contemporaneo si trovano di fronte a profondi mutamenti di contesto mondiale: 1. da un lato il grande tema della continua crescita dei sistemi urbani che negli ultimi anni hanno segnato il superamento della soglia della metà della popolazione abitante in tali realtà; 2. dall’altro la crisi finanziaria che colpisce a catena il sistema economico interessando capillarmente e diffusamente il sistema sociale e gestionale a scala locale e globale;

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3. l’affacciarci dei primi concreti casi del tema del limite nell’uso delle risorse del pianeta pronosticati dagli anni ‘80 dal Club di Roma ed oggi realtà con i cambiamenti climatici nel loro insieme riassunti nell’emergere evidente della definizione dell’era dell’Antropocene. Di fronte ad un quadro mutato di tale natura la responsabilità gestionale della cultura delle aree protette deve abbandonare la sua visione di operatività ristretta, che vedeva l’opera del parco tutta orientata alla gestione interna. Occorre passare ad una visione output-input, dove il sistema parco ricopre il ruolo di spazio di attenzione ad una risorsa in cogestione con lo spazio esterno: è l’idea che Valerio Giacomini aveva già proposto nel suo Uomini e Parchi e che oggi dobbiamo mettere in pratica. Questa può essere la vera innovazione: passare alla pratica guidati da una teoria plastica, ovvero pronta a reagire alle continue modificazioni. Ma un secondo aspetto riguarda le riflessioni generali: mi riferisco alla utilità dell’emergere del dibattito più di tipo culturale sulla cultura/e ambientali, e sulle problematiche dell’etica della sostenibilità. Oggi pare come dissolta la questione della spinta morale nelle aree protette al perseguimento di un “ideale ambientale”, vittime delle contingenze e dell’assorbimento delle problematiche gestionali, mentre esiste una forte necessità di ricondurre il nostro operato ad un “progetto culturale”. Uni spirito che può essere ripreso a partire dai temi e dagli approfondimenti che oggi sopravvivono nel dibattito culturale intorno all’ambiente: sia percorrendo il filone della storia ambientale, sia quello del ruolo che l’operare per la Terra ricopre. A questo fine è utile fare un cenno a quanto scrive Francesco Di Castri nell’introduzione proprio a Uomini e Parchi, che ci porta a interpretare i temi della protezione ambientale innanzi tutto come una questione di approccio etico e di modello culturale: «Il MaB rappresentava una vera rottura rispetto a tutti i programmi precedenti. Non considerava l’uomo solo nei suoi aspetti biologici, genetici e demografici, come nell’IBP, ma come entità culturale e sociale, nello stesso tempo universale ed infinitamente specifica, sulla quale gravitava tutto il resto della biosfera. L’uomo tornava al centro dell'universo, ed è questa la controrivoluzione tolemaica di cui parlava Valerio Giacomini. L’uomo non era messo in stato d’accusa né spinto verso un sentimento di colpevolezza, ma stimolato verso l’azione e la responsabilità. Una responsabilità evolutiva, essendosi trasformato nel fattore principale che guida ora – nel bene e nel male - l’evoluzione di tutti gli altri organismi. Il MAB costituiva anche una rottura di fronte all’ecologia profonda che cominciava a dilagare soprattutto nel mondo anglosassone.». Un approccio questo che fa riferimento ad una visione più operativista delle politiche e delle culture della conservazione della natura, trasferendo quella che è la matrice culturale da cui questo settore trae origine, l’evoluzionismo, come categoria teorica di fondamentale valore e che non a caso dà origine a molti filoni di filosofia contemporanea, al confine fra scienza, umanesimo e epistemologia: mi riferisco alle speculazioni da cui partì Ludwig von Bertalanffy il biologo austriaco fondatore della teoria generale dei sistemi (« Pensare in termini di sistemi gioca un ruolo dominante in un ampio intervallo di settori che va dalle imprese industriali e dagli armamenti sino ai temi più misteriosi della scienza pura… »), come anche alle problematiche connesse ai principi della “emergenza” intesi nel senso della scuola dei filosofi inglesi, negli anni Venti del Novecento al cui pensiero ci si riferisce parlando di “primo emergentismo” o di British Emergentism, che raccolsero l’eredità dell’evoluzionismo, comprendendo, con grande lungimiranza, che l’evoluzione naturale era destinata a fare da sfondo ad ogni teoria filosofica scientificamente orientata, come anche ad una Etica evoluzionista che riflette sul rapporto Uomo Natura e si colloca nel filone aperto già da pensatori dell’800 come George Perkins Marsh e il suo Man and Nature.

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Per ottenere una Agenda Parchi del XXI secolo occorre quindi dotarsi di una visione e di una strategia operativa: ovvero il segnalibro e la matita da usarsi nella sua scrittura. Una visione: su tale aspetto ritengo che questa debba sempre più coincidere con l’approccio sistemico, ovvero di una visione della realtà che si fonda sulla concezione complessa delle interazioni che esistono fra le diverse componenti, unita all’interpretazione delle connessioni fra le diverse componenti ispirate ad un processo di scambio, dove l’output di una componente diviene input per l’altra o per le altre con cui la prima può costruire processi virtuosi di scambio. E’ la visione classica a cui si l’approccio sistemico della scuola di F. Capra. Questo tipo di concezione, che ispira anche le visioni neoeconomiste - della cosiddetta economia circolare, blu o green, devono quindi informare l’insieme dell’approccio, per applicare le leggi naturali ai processi di carattere economico che la società umana svolge sul pianeta. E’ imprescindibile a tale riguardo il tema della visione di carattere pianificatorio e programmatico, che ha negli strumenti della Carta della Natura il suo riferimento (e delle Infrastrutture Verdi), con una forte integrazione con gli aspetti paesaggistici e con quelli delle Infrastrutture grigie del territorio. Una strategia operativa: in merito alla strategia operativa è necessario creare piattaforme che permettano, anche dal punto di vista della governance, quella dimensione di carattere territoriale e di integrazione fra componenti umane, sociali ed ambientali. Nel contempo un processo di tale natura ha la necessità di essere riconoscibile a livello internazionale.

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Nella recente esperienza che abbiamo sviluppato nella piattaforma MaB UNESCO – grazie al riconoscimento del nuovo sito UNESCO CollinaPo, questi principi li abbiamo potuti ritrovare svolgendo una esperienza che riteniamo dovrebbe essere maggiormente valorizzata a livello nazionale. La stessa origine di questo programma, che fonda guarda caso la sua visione nel pensiero stesso di Valerio Giacomini, testimonia la coerenza fra questa piattaforma e i temi delle aree naturali protette. In particolare questo programma si connota per la particolare attenzione alla costruzione di politiche integrate e sistemiche con i territori di contesto dell’area protette, permettendo un ingaggio formale ed insieme di prestigio al progetto del parco. Si tratta di un approccio che giocoforza comporta l’utilizzo di competenze nuove e più ampie: a fianco delle competenze naturalistiche per ottenere il vero coinvolgimento dei cittadini per raggiungere la loro disponibilità a prendersi cura delle risorse naturali, occorre utilizzare le capacità della comunicazione e della progettazione culturale nonché le professioni legate alla facilitazione delle reti locali, di impresa e pubbliche. Una realtà che ad esempio sta anche assumendo un importante significato di rete come testimoniano le attività di coordinamento attivate da un lato a scala del Piemonte con l’idea del Distretto UNESCO e dall’altra con la creazione di territori in cooperazione nel bacino del Po e in particolare lungo l’asta del Po e dei suoi principali affluenti.

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In sintesi non sono necessarie leggi nuove in una Agenda del XXI secolo per le Aree protette, ma soprattutto modi più integrati e virtuosi di operare, utilizzando strumenti già presenti nelle nostre cassette degli attrezzi. E soprattutto formazione: valorizzare l’esistente deve essere anche qui la parola d’ordine. Ecco che allora una Agenda dei parchi del XXI secolo può vedere nei suoi appunti e priorità, con una visione ispirata alla naturale sequenza del calendario dei 12 mesi, con un approccio sistemico in programmi del tipo Uomo e Biosfera, 12 lunazioni: 1. Coltivare una dimensione culturale dell’approccio sistemico a tutti i livelli della gestione territoriale nella quale si compendiano le categorie del territorio, con quella ecologica, con il profilo socioeconomico per giungere a quello paesaggistico e antropologico. La Natura è sistemica. 2. Definire il quadro nazionale della Carta della Natura per la definizione del contesto della biodiversità e le priorità di salvaguardia. Cura la tua natura. 3. Varare un Patto per la ricerca consolidando o costruendo l’alleanza permanente fra i contenitori della ricerca e i territori dei parchi. Conoscere ci salva. 4. Promuovere la costituzione di progetti MaB nel territorio nazionale per innescare obiettivi e sistemi di governance. Uomo e Biosfera insieme. 5. Costituire un comitato misto Sistema AAPP nazionale e sistema AAPP regionali e locali. Cooperare per affrontare il cambiamento. 6. Istituire una scuola di formazione nazionale di intesa con organizzazioni delle categorie economiche sui temi della salvaguardia, nuove economie e valorizzazione del territorio. La Natura: nuova fabbrica d’Italia di servizi ecosistemici. 7. Promuovere a scala regionale organismi operanti di coordinamento fra gli staff dei parchi. Esperienze in comune=più capacità. 8. Partecipare alle piattaforme della progettazione e diffusione culturale ed artistica. La natura: rappresentazione di noi. 9. Accrescere l’unione fra paesaggio e natura, visione estetica e visione biologica non in antitesi ma come parte di una unica visione. Natura vs Paesaggio. 10. Alleare l’attività fisica in natura e l’interpretazione ambientale come due volti di una rinata dimensione di uso degli spazi aperti. In natura cresci sano e intelligente. 11. Riprendere le politiche di cooperazione abbandonate da attuare nei grandi sistemi paesaggistici ed ambientali: Alpi, Appennini e aree interne, Bacino del Po, Isole e mare, aree fluviali, parchi periurbani. Insieme si può aiutare il recupero. 12. Destinare risorse economiche alla natura. E’ l’investimento migliore, con i frutti più duraturi e che non si ritorcono contro. 7


Possiamo immaginare questo strumento o agenda come un ombrello, nel cui manico sta la visione e nella sua asta il modello operativo che sorregge una raggiera di azioni che si muovono fra natura, economia, cultura, paesaggio, etica e gestione e cura. E’ anche un oggetto che riflette l’oggi: abbiamo bisogno di coprirci per superare l’impasse, quel malpasso dell’umanità di pecceiana memoria.

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