INMETEO MAGAZINE 5

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Finalità Associazione “INMETEO” Dall’Art. 2 (Finalità dell’Associazione) dello Statuto dell’associazione NO PROFIT InMeteo Le specifiche finalità dell’Associazione di promozione sociale InMeteo sono: 1) Effettuare e pubblicare Bollettini Meteo e Previsioni del Tempo sul sito www.inmeteo.it (e relativi siti affiliati) e tramite i mass-media, fornendo un servizio di informazione e di divulgazione scientifica 2) Effettuare e favorire la ricerca e lo studio scientifico, organizzare convegni, seminari, conferenze e corsi di forma zione professionale; pubblicare il risultato di quanto suddetto sul web o tramite pubblicazioni particolari. a) Pubblicare la Rivista “InMeteo Magazine” con cadenza trimestrale per i soci e chi ne fa richiesta (a secon da delle modalità decise in comune accordo dal consiglio direttivo) b) Creare un sussidio per la pubblicazione di Libri di natura meteorologica e scientifica, soprattutto all’interno dell’associazione 3) Facilitare la riunione di appassionati di meteorologia attraverso il web, convegni e incontri. 4) L’installazione e la gestione, nell’osservanza delle relative norme legislative e regolamentari, di stazioni meteoro logiche e quant’altro utile allo studio dei specifici fenomeni, nonché di eventuali sistemi informatici ed informativi di collegamento. 5) Stipulare delle convenzioni con negozi e rivenditori autorizzati di materiale meteorologico e affine. 6) Fornire ai soci materiale informatico per migliorare il monitoraggio e l’attività meteorologica sul web. 7) Stipulare convenzioni con importanti centri di raccolta dati. 8) Elaborare strutture informatiche complesse ed utili alla meteorologia nell’ambito associativo ed esterno, mediante la costruzione di piattaforme adatte e la possibilità di offrire servizi di supporto. 9) La promozione di corsi di formazione e di aggiornamento per alunni ed insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado. È doveroso porgere un ringraziamento particolare agli enti gemellati con la nostra associazione, e cioè l’Associazione MeteoNetwork e l’Osservatorio Astronomico Isaac Newton per il preziosissimo contributo pervenuto in redazione e quindi per la collaborazione che da questo numero in poi contribuirà a rendere alta la qualità della nostra rivita meteorologica. La redazione Per acquistare le vecchie copie di InMeteo Magazine è possibile inviare la richiesta a magazine@inmeteo.it specificando: -nome cognome -indirizzo -recapito telefonico -copia della ricevuta di versamento da effettuare al numero di postepay 4023 6004 5160 9764 intestata a Giancarlo Modugno Per ogni copia richiesta viene richiesta una donazione minima di 6 €; per eventuali ristampe la donazione minima per ogni copia ristampata è 8 € Sono disponibili i seguenti numeri: - InMeteo Magazine 1 (1 copia) - InMeteo Magazine 3 (1 copia) - InMeteo Magazine 2 (12 copie) - InMeteo Magazine 4 (6 copie) Presidente: Vittorio Villasmunta Vice Presidente: Giancarlo Modugno Consiglio Direttivo: Giuseppe Conteduca, Francesco Montanaro, Pasquale Abbattista, Francesco Ladisa, Sante Barbano Tecnici Ufficiali: Francesco Galella, Pasquale Abbattista, Filippo Gorguglione Comitato Gargano:Sante Barbano, Giuseppe d’Altilia, Filippo Gurgoglione, Vincenzo Mastromatteo Soci onorari: Domenico Papandrea, Gabriele Ladisa Relazioni esterne: Tommaso Intini, Francesco Ladisa www.inmeteo.it Fondato il 3 Settembre 2005

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InMeteo Magazine

Periodico trimestrale di InMeteo Associazione NO - PROFIT di Meteorologia

Anno 2 - Aprile 2008 - Numero 5

sommario numero 2/2008 

Direttore Responsabile Domenico Papandrea Capo Redattore Giancarlo Modugno Vice Capo Redattore Paolo De Luca Comitato di Redazione Giancarlo Modugno Vittorio Villasmunta Pasquale Abbatista Annalisa Muschitiello Giuseppe Conteduca

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Assottigliamento concentrazioni ozono ... della Dottoressa Rosetta Onorati

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Venti locali sul golfo di Taranto

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Stratospheric Final Warming

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L’uomo: da spettatore a protagonista del...

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Impatto della NAO invernale sulla circolazione..

di Vittorio Spagnoletti

di Claudio Stefanini

della Dottoressa Annalisa Muschitiello

di Paolo De Luca

Redazione

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Approssimazione Geostrofica

E mail: magazine@inmeteo.it http://www.inmeteo.it

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Esplosioni nucleari e clima

Progetto Grafico e Composizione

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Vento termico

Giancarlo Modugno

di Giancarlo Modugno

di Sante Barbano

di Giancarlo Modugno

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Idrogeno: il nostro futuro?

“Pubblicittà” - Roma

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Modelli Numerici (2à parte)

Autorizzazione del Tribunale di Bari con decreto numero 8 del 28/02/2007

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Focus Climatico Puglia

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I Convegni consigliati da InMeteo

Stampa

di François Burgay

del Ten. Francesco Montanaro

di Giuseppe Conteduca

di Giancarlo Modugno

InMeteo Magazine e www.inmeteo.it sono due mezzi d’informazione che nascono con lo scopo di divulgare la scienza e la cultura meteorologica. Chiunque volesse contribuire con articoli e commenti agli articoli pubblicati può scriverci al seguente indirizzo mail: magazine@inmeteo.it


L’ASSOTTIGLIAMENTO DELLE CONCENTRAZIONI DI OZONO STRATOSFERICO ANTARTICO 

della Dottoressa Rosetta Onorati - CNR-IDAC – Gruppo ICES - Roma - Tor Vergata Quali sono le cause? Qual è l’importanza dell’ozono? Cosa è successo dal 1980 ad oggi? Ecco alcune risposte. [Abstract della tesi di laurea della dott. ssa Rosetta Onorati] L’ozono è una molecola gassosa, costituita da tre atomi di ossigeno (O3), molto nociva se respirata dagli esseri viventi tanto che, quando si parla di ozono ai livelli superficiali, ci si riferisce ad una sostanza velenosa. Tuttavia l’ozono svolge un ruolo fondamentale in stratosfera, perché lo strato assorbe la radiazione ultravioletta biologicamente nociva, attenuando i flussi che raggiungono la superficie della terra e rendendo quindi possibile la vita sul pianeta. Purtroppo però, dalla metà del secolo scorso ad oggi, lo strato di ozono si è assottigliato, provocando ripercussioni sugli organismi che compongono la biologia terrestre. Pertanto si è avvertita l’esigenza di studiare più a fondo il fenomeno del depauperamento allo scopo di individuare le ragioni che lo hanno determinato. Una causa dell’assottigliamento dello strato, e perciò della distruzione dell’ozono stratosferico, è la presenza in stratosfera per lunghi periodi di tempo dei clorofluorocarburi (CFC), che sono una famiglia di sostanze chimiche sviluppate intorno agli anni venti come alternativa sicura, atossica ed ininfiammabile, alle sostanze pericolose come per esempio l’ammoniaca, usate nella refrigerazione o come propellenti spray, il cui uso è divenuto molto frequente nel corso degli anni.

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Uno degli elementi principali che compongono i CFC è il cloro, pertanto le emissioni dei CFC comportano un aumento considerevole di cloro in atmosfera, che è liberato in stratosfera attraverso reazioni di fotochimica. Secondo quanto è stato rilevato soprattutto in Antartide, il cloro ha la potenzialità di distruggere grosse quantità di ozono, provocando un sensibile incremento dei livelli di radiazione ultravioletta. Di tutto l’ozono presente in atmosfera, il 90% è reperibile nella stratosfera (la regione che va dai 10 ai 50 km al di sopra della superficie della

terra) e solo il 10% nella troposfera (da 1 a 9 km sopra il territorio polare), ma, come è stato già detto, l’ozono troposferico è una sostanza velenosa: esso si viene a creare generalmente durante le ore diurne nelle zone inquinate come i territori urbani. L’ozono stratosferico, invece, svolge un ruolo molto importante per gli organismi viventi sul pianeta, perché assorbe la radiazione ultravioletta nociva, l’UV-B, che potrebbe provocare danni all’uomo, quali il cancro della pelle a seguito dell’ esposizione prolungata ai suoi raggi. L’ultravioletto si suddivide in tre bande di radiazione: UV-A (400320 nm), UV-B (320-280 nm) ed UV-C (280-100 nm), che differiscono fra loro per la lunghezza d’onda. L’ UV-A, in particolare, attraversa totalmente lo strato arrivando sulla terra, ma non ha effetti nocivi sugli organismi; l’UV-C, invece, è filtrata totalmente dall’atmosfera e non raggiunge la superficie terrestre. Quello che è assorbito dall’ozono è l’UV-B, e più lo strato di ozono si assottiglia più i raggi UV-B riescono a penetrare, raggiungendo la superficie della terra ed aumentando così la percentuale di rischio per la biologia terrestre.

Per comprendere a pieno l’importanza dell’ozono stratosferico nella “protezione” della superficie terrestre da tali radiazioni, occorre fare riferimento allo spettro d’azione: questo descrive l’effetto relativo della radiazione UV, per ciascuna lunghezza d’onda (280400 nm), nel determinare una certa risposta biologica all’esposizione della radiazione. Tale risposta può essere riferita a vari effetti dannosi e per svariati soggetti biologici come uomo, animali e piante. Uno spettro di azione per un dato effetto biologico viene impiegato come fattore moltiplicativo, dipendente dalla lunghezza d’onda; le irradianze a ciascuna lunghezza d’onda vengono moltiplicate per i rispettivi coefficienti dello spettro di azione ed infine integrate sull’intero intervallo dell’UV-A al fine di trovare l’irradianza biologicamente efficace (in W*m^-2) della radiazione in esame. La dose UV (in J*m^-2) per un dato intervallo di tempo di esposizione viene determinata integrando l’irradianza biologicamente efficace sull’intero periodo di esposizione. I più importanti spettri di azione sono gli spettri di azione dell’eritema, dell’assorbimento del

Fig. 1.1 – Le tre bande dell’UV in relazione alla fascia di ozono Polare (http://www.ccpo.odu.edu/SEES/ozone/class.jpg)


DNA e quello relativo al tumore della pelle. In sostanza ci darà una misura dell’efficacia delle radiazioni sulla biologia terrestre, in base alla risposta data dalla sua stimolazione. Alcuni di questi effetti potrebbero essere, ad esempio, eritemi, variazioni nel Dna molecolare o cambiamenti nello sviluppo di una pianta.

Questo trasporto è lentissimo: infatti, per spostare una massa d’aria dalla tropopausa tropicale, a 20 km circa, sono necessari quattro o cinque mesi. L’aria che viene trasportata è ricca di CFC. Nel 1928 il chimico statunitense Thomas Midgley sviluppa il CFC-12 come sostanza refrigerante sostitutiva dell’ammoniaca, tossica ed infiammaRiguardo la distribuzione dell’ozono, oc- bile. Questa sostanza, inoltre, offriva la corre dire che è data sia da un equilibrio possibilità di ottimizzare i rendimenti fra produzione e perdita, sia dal trasporto della macchina termica. dell’ozono, attraverso i venti, dalle zone di produzione fino alle alte latitudini. Gli Dal 1930 Duport e General Motors strumenti TOMS (Total Ozone Mapping introdussero i CFC nelle industrie con Spectrometer) ed OMI (Ozone Monila denominazione di Freon, e furono toring Instrument), montati sui satelliti utilizzati anche per i propellenti spray. Ninbus 7, Meteor 3, Eptoms, ed Aura, I CFC sono estremamente stabili, e la forniscono una “mappatura” di ozono loro distruzione avviene solo in presenproducendo dati dal 1978 ad oggi. za di radiazione ultravioletta (fotodecomposizione). Attraverso le reazioni I rilevamenti effettuati sono relativi di distruzione dei CFC viene liberato al numero totale di molecole di ozono il cloro, che diviene un catalizzatore, presenti fra la superficie terrestre ed il insieme al bromo, anch’esso presente top dell’atmosfera. In questa colonna, in atmosfera, delle reazioni catalitiche la quantità di l’ozono viene calcolata di distruzione dell’ozono. Il cloro ed il in Dobson, un’unità di misura dello bromo, quindi, sono da considerarsi i spessore dello strato di ozono. La misura diretti responsabili di tale distruzione. è concettualizzata immaginando che le molecole di ozono siano contenute in La produzione della specie reattiva uno spessore di 3 mm, e ad una presdel bromo e del cloro è accelerata sione e temperatura standard, 298,15 dalle reazioni di chimica eterogenea K (25 °C) e 1013.25 hPa (1 atm). Tale che avvengono sulla superficie delle quantità acquista il valore unitario di 300 PSC (Polar Stratosferic Clouds), nubi DU (Dobson Unit) e dall’analisi dei dati stratosferiche composte di sostanze in ricavati dagli strumenti TOMS ed OMI, fase solida, che si formano durante gli si nota come, spostandoci dai tropici ai inverni polari quando la temperatura poli, per entrambi gli emisferi, il contedella stratosfera diminuisce bruscanuto di ozono colonnare aumenti e, in mente. particolare, gli importi colonnari sono Le reazioni di fotochimica in fase etemaggiori nell’emisfero settentrionale, rogenea che avvengono sulle PSC sono rispetto l’emisfero meridionale. talmente veloci che l’assottigliamento dello strato di ozono avviene nel giro di pochissime settimane, alla fine del In più mentre i livelli minimi di ozono mese di agosto. Inoltre sia al polo Nord raggiunti in Artide si riscontrano nel che al polo Sud è presente un’intensa periodo compreso fra marzo ed aprile, corrente stratosferica, detta “vortice i minimi in Antartide si registrano fra polare”, che isola le masse d’aria che settembre ed ottobre. Le variazioni sono arrivano dalle medie latitudini, ricche anche determinate dal trasporto dell’ozo- appunto di CFC. no causato dalla circolazione generale atmosferica dalle zone di produzione, le La conseguenza di questo isolamento medie latitudini, nei paesi sviluppati ed è principalmente di tipo radiativo in industrializzati. Ma non basta: l’ozono quanto in assenza di apporti di energia varia anche con l’altezza, la cui misura dinamici comporta un raffreddamento. viene data dal valore della densità, cioè La temperatura più bassa determina dalla quantità di ozono per unità di volu- a sua volta il tipo di chimica che in me. I 300 DU sopra citati corrispondono inverno si sviluppa prevalentemente a 8.07*1022 mol*m^-2. La circolazione nella bassa stratosfera delle regioni stratosferica spiega in che modo viene polari. In questo modo i CFC entrano trasportato l’ozono nelle latitudini del in contatto con la superficie delle PSC pianeta, ed in particolare dall’alta strato- e hanno modo di reagire per produrre sfera, sopra i tropici, alla bassa stratosfe- le forme attive del cloro e del bromo. ra delle medie latitudini.

Le temperature di questa aria polare sono estremamente basse, arrivando a toccare i -80°C. Essendo l’Antartide più fredda e più isolata dell’Artide, il fenomeno dell’assottigliamento è più evidente. La prima volta che si pensò ad un buco nello strato di ozono, fu nel 1971, quando James Lovelock riscontrò la presenza di freon in atmosfera in seguito ad indagini ed analisi dettagliate. Solo nel 1974, però, si cominciò a formulare teorie, basate su dati di laboratorio, che confermavano l’ipotesi che i CFC nelle quote stratosferiche vengono scissi nei componenti reattivi del cloro e del bromo, che svolgono la funzione di radicali liberi nelle reazioni catalitiche di scissione di ozono. Nel 1979 il lancio del satellite Ninbus7 in cui era istallato lo strumento TOMS, fornì la prima mappatura completa dello strato di ozono, rilevando una effettiva diminuzione globale del 3%, e confermando le teorie di distruzione.

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Qualche anno dopo la NASA coordinò l’esperimento che confermò una forte diminuzione dello strato d’ozono antartico e rivelò che, in alcune zone, addirittura il 95% di questo era distrutto. Proprio in queste aree l’ossido di cloro era presente in concentrazioni 1000 volte superiori a quelle del suolo, confermando così l’ipotesi che l’ozono venisse distrutto da queste molecole. Nel 1985 Joe Farman, Gardiner e Shanklin denunciarono una riduzione dello strato di ozono sull’Antartide del 40%, pubblicando una carta con una rappresentazione dettagliata dell’ozono e dimostrando che questo spariva sopra l’atmosfera antartica proprio nel periodo di agosto, con cadenza ciclica annuale. Nell’Artico l’assottigliamento dello strato di ozono fu denunciato non prima dell’inizio degli anni ’90 a Londra dalla WMO (World Metereological Organizzation), che registrò una diminuzione del tasso di ozono stratosferico del 20% sulla Scandinavia e sulla Gran Bretagna. Ovviamente una volta conosciuto il fenomeno, la preoccupazione per la salute dell’ozono ha condotto nel 1987 a stipulare un accordo internazionale, il Protocollo di Montreal, che limitasse la produzione dei CFC. Nel prossimo numero: Analisi dei dati satellitari

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I VENTI LOCALI - Le brezze, il wind-shear ed i principali venti sul Golfo di Taranto 

di Vittorio Spagnoletti - Osservatorio Isaac Newton Il Mediterraneo è dominato da molti venti caratteristici, ma il più diffuso, specie nella stagione estiva, è certamente la brezza. Il meccanismo di formazione delle brezze, in sintesi, può essere riassunto così: di giorno, per azione dei raggi solari la terra si riscalda velocemente ad una temperatura superiore a quella delle zone di mare adiacenti. Il calore si trasmette all’aria a contatto con la terraferma e pertanto si formano bolla d’aria che si espandono e diminuiscono di intensità, divenendo più leggere. Questa bolla si innalza e viene rimpiazzata al suolo con aria più fresca proveniente dal mare. Con una controbrezza in quota l’aria che si era innalzata dalla costa si porta verso il mare dove ridiscende sostituendo quella che si era diretta verso la spiaggia. Si determina così una piccola cella convettiva caratterizzata da una zona di bassa pressione sulla terraferma (depressione termica) e di alta pressione sul mare.

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nuvolosità, l’orografia o il grado di stabilità dei bassi strati dell’atmosfera. Normalmente la brezza raggiunge nel primo pomeriggio velocità intorno ai 10-15 nodi. Talora però la brezza fatica ad avviarsi o non si avvia affatto. Le ragioni potrebbero essere una forte instabilità atmosferica, una forte stabilità atmosferica o un vento in quota di direzione opposta alla controbrezza. Nel tardo pomeriggio l’intensità della brezza cede progressivamente fino alla calma di vento poco dopo il tramonto. Il regime di brezza si instaura pertanto in condizioni di bel tempo e di cielo sereno. Di notte, poi, la terra si raffredda molto più rapidamente del mare e pertanto, seppur attenuate, le parti si invertono; è l’aria sul mare che ora è più calda e pertanto si innalza e determina un richiamo di aria dall’entroterra verso il largo. Si instaura così una brezza di terra. L’inversione della direzione si ha in prima serata e la brezza di terra raggiunge il massimo della La direzione del vento teoricamente sua intensità nelle ore che precedono sarebbe dal mare verso la terraferma, l’alba, quando è massimo il raffredma solo inizialmente è così. Infatti, col damento del suolo. Tuttavia essendo passare delle ore, la differenza di tempe- più debole, anche il campo d’azione ratura e quindi di pressione atmosferica della brezza di terra è certamente più aumenta sempre di più. Con l’aumentare limitato; Non è raro che, spinti da una della differenza di pressione, aumenta piacevole brezza e dal chiaro di luna anche la velocità del vento; ma con si decide per una uscita in mare a vela l’aumentare dell’intensità di quest’ultie ci si ritrovi appena fuori dalla rada mo comincia a farsi sentire l’azione della nella più completa calma di vento. forza deviante di Coriolis. Contemporaneamente viene interessata una fascia Abbiamo detto che l’orografia ha una costiera e di mare via via più larga, fino certa importanza nell’andamento delle a 15-20 miglia al largo. In definitiva si brezze; infatti nel caso di catene monavrà una rotazione verso destra della tuose costiere, la direzione della brezza direzione della brezza sino a che questa di terra sarà determinata dalla direzionel pomeriggio si metterà a spirare quasi ne delle vallate che sboccano sul mare. parallela alla costa ed alle isobare. Da Qui i venti potranno assumere notevole qui il detto popolare che in estate il ven- intensità anche in inverno, quando i to “gira col sole”. L’azione della brezza monti sono innevati. In questi casi si sulla terraferma si estende anche sino a instaura un vento detto catabatico, che 40 km dalla costa, mentre verticalmente può raggiungere intensità di burrasca. la cella è racchiusa nei primi 600-1000 Se la corrente ascensionale determinata metri di quota. dalla brezza supera il livello di condensazione, avremo la formazione di Normalmente la brezza di mare si instau- una nube cumuliforme innocua, detta ra intorno alle 10 del mattino e raggiun- cumulo di bel tempo. Questi cumuli ge il massimo dell’intensità nelle prime svaniranno con l’affievolirsi dei venti ore del pomeriggio. La sua velocità di brezza. La presenza di nubi cumulidipende da molti fattori, come la formi imponenti, invece, può

determinare la scomparsa delle brezze; così anche una brezza di mare che dura ben oltre il tramonto è sinonimo di tempo che cambia. Un altro aspetto importante per la navigazione locale è senz’altro dato dalle correnti marine. Le differenze di salinità e di temperatura tra le acque del Mediterraneo e quelle dell’Atlantico danno luogo, attraverso lo Stretto di Gibilterra, ad un incessante scambio delle acque superficiali: quelle del Mediterraneo, più dense, scendono in profondità dirigendosi verso l’oceano, mentre quelle atlantiche scivolano in superficie verso l’interno. Le correnti marine superficiali hanno in media una velocità di 0,5 nodi e percorrono in senso antiorario le zone costiere di tutto il Mediterraneo, mantenendosi a circa 3-4 miglia dalla costa. I venti di terra spingono la corrente più al largo, aumentandone la larghezza e diminuendone l’intensità. I venti che soffiano invece dal mare aperto sospingono sottocosta l’invisibile fiume marino, restringendone la sezione ed aumentandone la velocità. Il rinforzo è massimo in presenza di venti di mare che formino un angolo di 3040° rispetto alla direzione di movimento della corrente. Alle correnti marine permanenti spesso si sovrappongono temporaneamente i moti di deriva generati da venti superiori ai 10-15 nodi e che soffino con direzione costante per qualche giorno. Vediamo ora brevemente le relazioni tra vento e moto ondoso. All’insorgere del vento la superficie del mare si increspa per effetto dell’attrito dell’aria che scorre sull’acqua. Le increspature, sotto la spinta del vento, guadagnano energia cinetica, crescono in altezza e si trasformano in onde. Gli elementi caratteristici di un’onda sono: la lunghezza dell’onda (L), che è la distanza orizzontale tra due creste successive; l’altezza d’onda (H), che è data dalla distanza verticale tra cresta e gola; il periodo (T), il quale è il tempo intercorrente tra il passaggio nello stesso punto di due creste consecutive.


Tra i valori di L (in metri), T (in secondi) e la velocità V dell’onda (in m/s) si hanno le seguenti relazioni:

sull’Adriatico e sullo Jonio sono più limitati. Quando le correnti fredde che seguono una depressione atlantica in transito sulle isole britanniche e l’EuL = 1,5 * T2; ropa centrale investono l’arco alpino in V = 1,5 * T; parte entrano nel Mediterraneo attraverV = 1,2 *L. so la valle del Rodano, in parte valicano le Alpi determinando una depressione L’ultima relazione è particolarmente im- sul golfo ligure. portante, poiché mostra che la velocità dell’onda cresce all’aumentare della sua Nel frattempo dopo il passaggio della lunghezza. Può pertanto accadere che perturbazione sulla Francia la pressione alcune onde molto lunghe acquistino aumenta rapidamente e ciò determina un una velocità superiore a quella del vento forte gradiente barico tra l’alta pressione che le ha generate. Questo è il motivo sulla Francia e la bassa sul mar Ligure. per cui talvolta si assiste all’arrivo delle Il risultato è il mistral che può arrivare onde anche in assenza di vento. L’alimprovviso ed impetuoso e determinare tezza delle onde, oltre che dall’intensità rapidamente l’insorgere di una burrasca. del vento dipende anche dal numero di Si tratta di un vento molto più frequente ore in cui questo vento soffia in maniera d’inverno che in estate. Sul golfo di persistente e costante. Nei fondali bassi, Taranto il vento da nord ovest raramente poi, la velocità di propagazione delle deriva dal mistral, quanto piuttosto dal onde dipende anche dalla profondità passaggio di un fronte freddo in seno a del fondale. Quando un’onda si muove correnti nord occidentali a tutte le quote. verso acque più basse tende a diminuire la velocità e di conseguenza anche la La presenza della catena appenninica lunghezza. Pertanto l’onda aumenta costituisce un ostacolo alle fredde ed la pendenza, il che prelude alla rottura umide correnti da NW, che pertanto della stessa sotto forma di frangenti. apporteranno precipitazioni e fenomeni Per tale motivo nei fondali bassi il mare più intensi sui rilievi lucani e, localrisulta mosso anche in presenza di venti mente sul versante occidentale della deboli. penisola salentina. In estate tuttavia in situazione di instabilità possono portare Un evento molto temuto nella navigarovesci e temporali dai monti verso le zione aerea, ma che comporta problemi acque del golfo, pertanto non sono venti anche nella navigazione è il wind shear, da sottovalutare. che si manifesta con rapide variazioni orizzontali o verticali della direzione Il libeccio e dell’intensità del vento in prossimità Vento da sud ovest, il libeccio precede del suolo. Il wind shear è particolarmente temibile al di sotto delle nubi una perturbazione di origine atlantica temporalesche o da rovescio dalla cui che entra attraverso la porta di Carcasbase fuoriescono correnti di aria fredda sonne. E’ un vento particolarmente teche precipitano verso il basso a velocità muto sul Tirreno, poiché con esso si ha talora superiori a 30 m/s interessando un notevole fetch che parte dalle Baleari uno strato profondo 500 – 1000 metri e e termina sulle coste tirreniche. Spesso largo 3-4 km. In prossimità del suoprecede il mistral ed il rapido modificarlo le correnti fredde sono costrette a si dei venti può determinare effetto di divergere lateralmente, trasformandosi mare incrociato. E’ anch’esso un vento in violenti venti orizzontali (outflow) i più frequente nella stagione invernale. quali si propagano radicalmente in tutte le direzioni. Nella parte avanzata della Nel golfo di Taranto il libeccio è assonube i venti rifluiscono verso l’alto sotto ciato ad una depressione che si muove forma di turbinosi vortici. dal basso Tirreno verso il medio Adriatico o come avanguardia di un fronte Vediamo ora i principali venti sul Golfo freddo in arrivo da nord. E’ il cosiddetto di Taranto. “vento della Calabria”, a volte impetuoso e che può durare sino a 2-3 giorni; Il maestrale. non porta grandi precipitazioni, poiché anche qui c’è l’effetto ombra determiE’ un vento da nord ovest, talvolta mol- nato dai rilievi della Sila, tuttavia può to forte, che dal Golfo del Leone si apre trasportare con sé nubi cumuliformi che a ventaglio verso la Corsica, la Sarde- possono dare vita a qualche rovescio gna, la Sicilia, ma i suoi effetti o temporale. Anche in questo caso i

fenomeni saranno più probabili lungo la costa salentina. La bora E’ un forte vento da nord est, tipico dell’alto Adriatico, poiché si riversa sul Mediterraneo attraverso la porta di Trieste. La situazione barica tipica della bora è costituita da un promontorio di alte pressioni a nord delle Alpi e da un’area di basse pressioni sullo Jonio. Anche questa situazione non è sempre prevedibile con sufficiente anticipo e, vista l’impetuosità del vento, può determinare seri problemi alla navigazione specie sull’Adriatico (anche a causa della sua scarsa profondità).sul golfo di Taranto raramente arriva la bora direttamente dal golfo di Trieste, quanto piuttosto dalle Alpi Dinariche e dal Montenegro. E’ un vento quasi esclusivamente invernale e determina notevoli condizioni di maltempo sul golfo. La configurazione barica tipica prevede una zona di alta pressione che si estende dall’Europa orientale sino al centronord Italia ed una depressione centrata sulla Grecia. Tale situazione comporta estese precipitazioni su tutto il golfo con temperature assai rigide (talora anche precipitazioni nevose). Non bisogna illudersi delle buone condizioni del mare sottocosta, poiché già poche miglia al largo il mare comincia rapidamente ad ncresparsi.

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Lo scirocco Vento caldo da sud-est, inizialmente secco, proviene dai deserti del nord Africa. Qui assume dei nomi locali come Chili dal Marocco alla Tunisia, Ghibli in Libia e Khamsin in Egitto ed Israele. Il quadro tipico di questo vento è costituito da una depressione originariamente centrata sul nord Africa, sottovento alla catena dell’Atlante che spesso poi si sposta attraverso tutta la parte meridionale del bacino del Mediterraneo da ovest verso est. Quando il vento abbandona la costa africana è molto secco ma, data la sua alta temperatura, assorbe rapidamente una grande quantità di umidità dalla superficie del mare; tale assorbimento è tanto maggiore quanto più lentamente scorre sul mare e quanto maggiore è il tratto di mare percorso. Non è infrequente che lo scirocco trasporti con sé grandi quantità di sabbia che poi si riversa al suolo a seguito delle precipitazioni. Lo scirocco è un vento del tardo

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inverno o inizio primavera, ma anche dell’autunno. Esso tuttavia non è del tutto assente negli altri periodi dell’anno.

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Man mano che il minimo di pressione si allontana le schiarite tendono a prevalere ed il vento si orienta più nettamente da nord o nord-est.

Sul golfo di Taranto è il vento che si manifesta meglio in tutta la sua potenza. Infatti per la conformazione geografica della costa nessuna zona è immune dalla sua azione e frequenti sono le mareggiate che si abbattono lungo la costa anche per la mancanza di ostacoli naturali. Il cielo è coperto da nubi che corrono veloci e che solo in prossimità del fronte lasceranno cadere la pioggia (ed in tal caso i venti ruotano a sud). La tipica situazione barica è data da una profonda depressione centrata intorno alla Sicilia ed i mari adiacenti ed una zona di alta pressione sui Balcani.

Altri venti Il vento da sud nel golfo di Taranto produce estesa nuvolosità e piogge continue. E’ tipico del semestre invernale e spesso è l’evoluzione dello scirocco, rispetto al quale si presenta meno impetuoso. Piuttosto raro è il vento da ovest, poiché subisce l’influenza della catena appenninica. Non apporta mai grossi quantitativi di pioggia, ed anche la nuvolosità da esso trasportata si presenta alquanto frastagliata. Più frequente è il vento da nord, spesso associato ad irruzioni di aria fredda durante il semestre invernale. In estate esso è insieme al vento da nord est il vento prevalente, poiché è associato alle estreme propaggini dell’anticicloIl grecale ne delle Azzorre e della depressione a carattere stagionale presente sul mar di Il grecale è il nome maltese di un vento Levante. Piuttosto raro è pure un vento da nord est che interessa il mediterraproveniente da est che non sia l’evoluneo centrale e lo Jonio. La situazione zione successiva di un vento esaminato che lo determina è data da una depres- in precedenza. Può manifestarsi a seguito sione sul mar libico ed una zona di alta del formarsi di locali depressioni sullo pressione sui Balcani. Si differenzia Jonio centrale che normalmente vengono dalla bora poiché è nettamente meno a colmarsi nel giro di poco tempo. freddo, ma porta ugualmente buone Nel Mediterraneo si possono avere anche quantità di precipitazioni. burrasche che non rientrano negli schemi Sul golfo di Taranto si manifesta summenzionati. Per esempio vi possocon venti da ENE e con cielo molto no essere infiltrazioni di aria fredda di nuvoloso e con pioggia nella stagione dimensioni molto limitate, anche sotto i invernale. 100 km che possono determinare

violentissime perturbazioni locali che sfuggono alle previsioni dei servizi meteorologici. Più in generale per quanto riguarda i venti sul Mediterraneo facciamo una distinzione tra la stagione invernale e quella estiva con due periodi di transizione, aprile-maggio e ottobrenovembre. La stagione invernale è caratterizzata dall’arrivo di aria fredda polare portata dalle correnti da W e da N che seguono le depressioni in transito sull’Europa centrale. In estate l’anticiclone delle Azzorre si sposta più a nord. Le depressioni atlantiche tendono pertanto a passare sull’Europa centrale senza interessarci. L’eventuale aria polare che fluisca verso il Mediterraneo verrà modificata nel suo passaggio sul continente europeo abbastanza caldo da far perdere alla massa d’aria i suoi caratteri freddi; i contrasti termici risulteranno perciò attenuati rispetto alla stagione invernale e quindi ben difficilmente si formeranno depressioni profonde. Tuttavia anche d’estate il tempo si può guastare, per esempio perché l’anticiclone delle Azzorre è più basso o più ad ovest rispetto alla posizione media in questo periodo dell’anno. Le burrasche estive sono generalmente dovute all’ingresso improvviso, per traboccamento, di aria fredda che si precipita nel bacino del Mediterraneo.

GLI STRATOSPHERIC FINAL WARMING E IL LORO IMPATTO SULLA PRIMAVERA EUROPEA. di Claudio Stefanini - Comitato Scientifico Meteonetwork Gli Stratospheric Final Warming (SFW) consistono in una repentina inversione dei venti zonali stratosferici partendo dalle quote più alte fino alla bassa stratosfera (non oltre i 100 hPa) accelerando in questo modo la transizione annuale dal vortice polare stratosferico (VPS) ad un regime anticiclonico (sempre e solo in stratosfera) sopra il polo. La propagazione verso il basso da 10 hPa a 50 hPa avviene in una settimana/10 giorni.

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Nel dettaglio, qual’é la differenza tra gli SFW e i Major Midwinter Warming (MMW)? Diciamo che l’unico punto che hanno in comune é l’aumento delle temperature stratosferiche polari e

l’indebolimento (e/o inversione) delle westerlies delle alte latitudini, per il resto le differenze sono le seguenti: 1) Frequenza e periodo di accadimento: gli SSW si presentano nel medio-tardo inverno in media ogni 2 anni circa (0,6 all’anno); gli SFW si presentano in primavera ogni anno; 2) Effetti: durante gli SSW i venti zonali si invertono ma poi ritornano occidentali; con gli SFW i venti zonali vengono “definitivamente” (fino all’autunno successivo) sostituiti dalle easterlies; 3) Meccanismo: gli SSW sono causati dalla propagazione delle onde planetarie mentre negli SFW gioca un ruolo anche l’aumento della radiazione

solare. Inoltre i pattern circolatori associati agli SFW sono strutturalmente distinti da quelli degli SSW (connessi al NAM) essendo i primi traslati verso nord rispetto ai secondi. Gli SFW presentano una grande variabilità per quel che concerne il momento del loro arrivo durante la primavera; per stabilire una data precisa del passaggio alla circolazione estiva Black et al. [2006] (uno dei maggiori esperti di SFW) hanno adottato questo criterio: é il momento in cui la media mobile su 5 giorni del vento zonale medio a 70N e 50 hPa diventa negativa e non risale oltre i 5 m/s fino all’autunno successivo (si veda un esempio in fig. 1).


Fig. 1. Calcolo della data di uno SFW (1964) in base all’andamento dei venti zonali (in ordinata) a 50 hPa e 70N.

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Black et al., in base all’archivio ERA40 (anni considerati: 1958-1999) hanno ottenuto come media 14-15 aprile, mentre utilizzando i dati NCEP/ NCAR la media (calcolata sullo stesso periodo) risulta 16 aprile. Ayarzaguena et al. [2007] hanno studiato l’impatto troposferico durante la media primavera degli SFW precoci e tardivi ottenendo il risultato di fig.2: ovvero in ambedue i casi una struttura di “tripolo” consistente in GPT+ (-) alle alte latitudini e sulle Azzorre e GPT- (+) alle medie latitudini in Atlantico negli anni di SFW precoce (tardivo). nel primo (secondo) caso abbiamo un surplus (deficit) di precipitazioni sull’Europa centro-occidentale (in part. sud Francia e NW italiano) e un deficit (surplus) sui Balcani e in Algeria. Non é ancora ben chiaro da cosa dipenda l’anticipo/ritardo dell’avvio della circolazione estiva, forse dipende dalle condizioni del flusso stratosferico precedente e dalle variazioni della propagazione delle planetary waves troposferiche (Waugh et al. 1999) ma sembra ormai certo che la QBO non abbia in questo nessun ruolo.

Fig. 2. Anomalie dei geopotenziali a 500 hPa di aprile negli anni con SFW precoce (early) e tardivo (late)

poi mentre si assiste ad un calo dell’anomalia stratosferica, ha luogo un’altra decelerazione delle westerlies alle alte latitudini troposferiche (tra 70N e 80N). Durante l’evoluzione del final warming il jet stream subtropicale si indebolisce e si espande latitudinalmente. Come si accennava sopra, la struttura delle anomalie dei venti zonali troposferici si mostra distinta da quella canonica del NAM, Osservando la fig. 3 si vede che 15 giorni perché i massimi locali del vento zonale sono osservati ben più a nord di 55N, prima sono presenti anomalie positive l’estremo troposferico latitudinale del alle alte latitudini stratosferiche e tra le Un’altra caratteristica chiave degli NAM (Thompson and Wallace 2000). medie e le alte latitudini troposferiche; SFW é l’occorrenza di due distinti pe5 giorni dopo l’anomalia troposferica si riodi di decelerazione del flusso zonale sposta verso nord coprendo tutta l’area a Bibliografia: troposferico: il primo 10 giorni prima “Impact of interannual variability of stratospheric dell’evento che coincide con il periodo nord di 60N, mentre in stratosfera l’ano- final warmings on the anomalous spring rainfall malia si sposta verso nord e verso il bas- regime in the Mediterranean region” – Ayarzagüedi massima decelerazione stratosferiso. Le westerlies anomale strato- e tropo- na et al. 2007, Journal of Climate ca; il secondo tra 5 e 10 giorni dopo lo SFW in cui il flusso stratosferico in sferiche si indeboliscono tra i giorni -10 “Impact of the wintertime North Atlantic oscillagenere tende a “rilassarsi” e seguire le e -5 mentre emergono anomalie orientali tion on the summertime atmospheric circulation” alle alte latitudini nella media stratosfera; condizioni climatologiche medie e il flusso troposferico presenta la massima quest’anomalia si intensifica velocemen- 10 luglio 2003 te e si sposta molto rapidamente verso il Masayo Ogi, Yoshihiro Tachibana e Koji Yamazaki ampiezza. Queste anomalie connesse con gli SFW si riflettono sul comporta- basso fin verso la troposfera sostituendo Copyright 2003 by the American Geophysical la precedente anomalia positiva. Union. mento degli indici AO e NAO (Arctic Oscillation e North Atlantic Oscilla“Stratosphere-Troposhere coupling durino spring tion) che durante i due periodi di dece- Il cambiamento più drastico quindi si onset” – Black et al. 2005, Journal of Climate ha tra i giorni -10 e 0 tra 60N e 90N. lerazione dei venti zonali troposferici Dopodichè c’é un breve periodo in cui “The dynamics of northern hemisphere stratocalano vistosamente rispetto ai giorni spheric final warming events” – Black et al. 2006, l’anomalia stratosferica si espande e immediatamente precedenti. Journal of Climate quella troposferica si sposta verso sud; Black et al. hanno ipotizzato che i due periodi di decelerazione siano associati rispettivamente alla risposta diretta ed indiretta ai cambiamenti della circolazione della bassa stratosfera. Andando nel dettaglio dell’evoluzione degli SFW, vediamo l’anomalia dei venti zonali (m/s) prima e dopo lo SFW (fig. 3, pagina 8).

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Fig. 3. Anomalie dei venti zonali in funzione della latitudine (in ascissa) e della quota (ordinata) 15, 10, 5 giorni prima dello SFW (giorno 0) e 5 e 10 giorni dopo.

L’ UOMO: DA SPETTATORE A PROTAGONISTA DEL “TEATRO NATURA”. della Dottoressa Annalisa Muschitiello - Socia e Redattrice InMeteo

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Per centinaia di migliaia di anni, l’uomo è stato parte integrante della natura: si cibava di vegetali che coglieva o degli animali che riusciva a catturare ed era costretto al nomadismo, allorquando le risorse scarseggiavano o le condizioni ambientali di un luogo diventavano ostili. Con il tempo, però, ha imparato ad imporsi sempre di più sull’ambiente, attraverso l’agricoltura, prima (70.000 anni prima di Cristo), l’allevamento e la pastorizia, dopo. Per millenni l’uomo, pur affinando le tecniche di coltivazione e di allevamento, ha continuato a vivere in sintonia con l’ambiente e in sincronia con i ritmi della natura. L’inizio delle grandi trasformazioni risale all’Ottocento, con l’avvento della

Rivoluzione industriale. Le macchine infatti, necessitavano di combustibile (legno, carbone e dopo gli idrocarburi) per il loro funzionamento; la velocità e la semplicità con cui producevano, richiedeva sempre maggiori quantità di materie prime e, infine, immettevano nell’ambiente una quantità sempre maggiore di sostanze inquinanti. La necessità di trasportare le merci spinse l’uomo a costruire strade, ferrovie, addirittura perforando le montagne e abbattendo boschi.Col tempo, la corsa al progresso e al benessere e l’incuria verso qualsiasi norma di rispetto verso l’ambiente hanno provocato quei problemi ambientali di cui tanto oggi si discute: piogge acide; effetto serra;

inquinamento atmosferico, idrico, elettromagnetico, acustico e luminoso; il problema “acqua”; il disboscamento; l’edilizia selvaggia; l’industializzazione massiccia; lo sfruttamento irrazionale dei terreni agricoli con l’uso intenso dei prodotti chimici e così via. La gravità di questi problemi e l’esigenza di intervenire per cercare di proteggere l’ambiente, inducono gli scienziati a formare una coscienza ambientale nelle attuali genarezioni. E’ importante valutare quel che ancora si può fare per salvare la Terra. Le prime misure hanno portato a difendere in maniera passiva la natura, con la creazione di aree protette, parchi naturali, riserve naturali, zone


in cui qualsiasi attività antropica fosse evitata. Successivamente, però, si è adottata una difesa attiva, mediante la promozione di un turismo sostenibile, non distruttivo e atto a valorizzare certe zone, con i propri ecosistemi. Col turismo sostenibile nasce, ad esempio, l’idea di organizzare safari fotografici per turisti; questo tipo di attività garantisce introiti tali da far desistere bracconieri e la popolazione locale dalla caccia e dalla vendita di animali, spesso anche in via di estinzione. Un altro vantaggio di questa difesa attiva consiste nel promuovere la cultura e le tradizioni delle popolazioni che vivono in quelle zone, il che significa valorizzare la vocazione naturale di quel territorio e aiutarlo ecologicamente ed economicamente. In Kenya, ad esempio, sono state favorite le attività artigianali delle popolazioni Masai dei parchi naturali, scoraggiandone allo stesso tempo, le attività industriali che avrebbero danneggiato l’ambiente. Il concetto di “sviluppo sostenibile”, risale al 1987 quando, Gro Harlem Brundtland, Presidente della Commissione Mondiale su Ambiente e Sviluppo, lo definì come “ lo sviluppo in grado di soddisfare i bisogni della generazione presente, senza compromettere la possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare i propri”. La legislazione italiana mira a salvaguardare il patrimonio naturale, anche se spesso, queste leggi sono rimaste inosservate! L’articolo 9 della Costituzione recita che “la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione”. La “Legge antismog” (1966) e la “Legge Merli” (1976) limitano rispettivamente l’inquinamento atmosferico e quello idrico. Al 1986 risale poi la nascita del Ministero dell’Ambiente, col compito di sovrintendere alla tutela del territorio e quindi anche il concetto di “danno ambientale” con le relative pene.

Lo Stato italiano interviene inoltre, con una politica economica volta ad incentivare le imprese che vogliano dotarsi di tecnologie pulite; prevede la VIA (Valutazione di impatto ambientale) prima della costruzione di grandi opere (autostrade, ferrovie, aeroporti, etc.); promuove iniziative di sensibilizzazione alle problematiche ambientali; individua aree naturali protette; gestisce le politiche di raccolta e smaltimento dei rifiuti. A proposito del delicato tema della gestione dei rifiuti, dal 1997, il CONAI (Consorzio Nazionale Imballaggi) ha il compito di promuovere la raccolta differenziata. Quello dei rifiuti rimane però un gravissimo problema perché la società industrializzata ne produce così tanti che è difficile smaltirli. Da qualche anno si stanno sperimentando tecnologie che utilizzino “energie alternative o rinnovabili”, meno inquinanti e inesauribili, rispetto ai combustibili tradizionali (petrolio, carbone, metano). L’ energia nucleare è un esempio di energia rinnovabile; si ottiene utilizzando piccole quantità di uranio nei reattori nucleari. D’altra parte, non tutti sono favorevoli all’uso del nucleare perché le scorie di lavorazione mantengono la loro radioattività per secoli e quindi rappresentano un prodotto molto pericoloso, delicato e difficile da smaltire. Inoltre, un malfunzionamento agli impianti nucleari potrebbe avere conseguenze catastrofiche come l’incidente di Chernobyl, in Ucraina, del 1986. Un’altra fonte di energia è rappresentata dal vento: nelle macchine eoliche, alcune pale spinte dal vento, ruotano producendo l’energia che viene immagazzinata. C’è poi l’energia solare raccolta dai pannelli solari: il calore riscalda acqua fino a 60-70 gradi, mentre la luce viene convertita in energia elettrica.

L’energia geotermica sfrutta il calore interno della Terra, presente in prossimità dei vulcani. Nella zona boracifera di Larderello (Toscana), le centrali geotermiche producono circa 5 miliardi di KWh di energia elettrica, risparmiando 1.100.000 tonnellate di petrolio ed evitando l’emissione di 3,8 milioni di tonnellate di anidride carbonica. Tale calore viene utilizzato per produrre energia elettrica ma anche per il riscaldamento di edifici e serre e nei processi industriali.

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Infine citiamo l’energia da biomassa, derivante dalla decomposizione di vegetali, da sottoprodotti delle attività agroindustriali e forestali (residui della lavorazione del legno), dai rifiuti urbani e dai gas provenienti da discariche controllate. Nonostante il problema sia grave e complesso, in realtà, anche noi nel nostro piccolo possiamo fare qualcosa. Una prima regola è quella di gettare sempre i rifiuti negli appositi cestini della spazzatura per evitare l’inquinamento ambientale; infatti, per esempio, una lattina di alluminio impiega dieci anni per essere smaltita dall’ambiente; un sacchetto di plastica ne impiega mille; un chewing gum, cinque! Una seconda regola è quella di evitare sprechi di acqua: basti pensare che chiudere il rubinetto mentre ci laviamo i denti, fa risparmiare circa tre litri di acqua e preferire una doccia al bagno, fa risparmiare circa cento litri! Fondamentale è osservare i divieti all’interno di parchi e aree protette; infatti, non rispettarli, potrebbe significare danneggiare la flora, la fauna e l’ecosistema. Per concludere, encomiabile è il lavoro di molte associazioni ambientaliste quali Greenpeace, WWF, Legambiente, FAI (Fondo Ambiente Italiano), Italia Nostra, Lipu (Lega Italiana per la Protezione degli Uccelli), LAV (Lega Anti Vivisezione) etc., alle quali possiamo prestare il nostro sostegno.

L’energia idroelettrica si ottiene sfruttando l’energia cinetica dell’acqua, la quale viene convertita in energia elettrica, in una centrale idroelettrica.

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IMPATTO DELLA NAO INVERNALE SULLA CIRCOLAZIONE ATMOSFERICA PRIMAVERILE-ESTIVA 

di Paolo De Luca - Socio e Redattore InMeteo

Usando i dati di reanalisi NCEP/ NCAR e altre osservazioni, si è dimostrato come il clima estivo delle alte latitudini dell’Emisfero Nord sia influenzato dalla NAO del precedente inverno. Questa influenza la si individua in estate nella temperatura superficiale dell’aria, nell’altezza del geopotenziale, nella temperatura superificiale marina (SST), negli estesi campi della copertura nevosa dei ghiacci marini continentali così come nell’altezza geopotenziale zonale media e nei campi del vento zonale. Le distinte anomalie estive sono localizzate sulle latitudini nodali delle anomalie invernali (medio-alte latitudini). In definitiva i ghiacci marini, le anomalie delle SST e della copertura nevosa memorizzino il segno della NAO invernale per stabilire il successivo clima estivo. Introduzione L’Oscillazione del Nord Atlantico (NAO), il simultaneo rinforzo e indebolimento della depressione d’Islanda e dell’Alta delle Azzorre, è il più importante fenomeno in inverno e domina la variabilità climatica invernale dell’Emisfero Nord, specialmente sull’America nord-orientale, l’Atlantico e l’Eurasia. Molti studi sono stati fatti sull’influenza della NAO nel clima invernale a livello regionale ed emisferico (Hurrell 1995, 1997; Kodera e al. 1999; Rodwell e al. 1999; Xie e al. 1999).

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Recentemente, enfatizzando maggiormente un pattern della circolazione emisferica, Thompson e Wallace (1998, 2000) introdussero l’Oscillazione Artica (AO) o Northern Anular Mode (NAM). L’AO ha anche un impatto sul clima invernale nell’Emisfero Nord su scale temporali interannuali o più lunghe (Thompson e Wallace, 2001). Comunque, pochi studi sono stati sviluppati sull’impatto in estate della NAO/AO invernale. Rigor e al., nel 2002, mostrarono che le concentrazioni dei ghiacci marini estivi sull’Oceano Artico sono collegate alla fase dell’AO del precedente inverno. Comunque, il loro studio è limitato alla regione artica. L’impatto della

NAO/AO invernale sulla circolazione atmosferica estiva non è stata ancora chiarita. Lo scopo di questo studio è illustrare l’impatto della NAO/AO invernale sulla circolazione atmosferica estiva nelle zone extratropicali. Sebbene l’indice NAO, in questo studio, sia utilizzato come un indice per la circolazione invernale, i risultati dell’AO sono simili a quelli della NAO. Dati e Metodi I dati atmosferici usati in questo studio sono la raccolta dei dati di reanalisi NCEP/NCAR per il periodo che va dal 1958 al 2000 (Kalnay e al., 1996). L’inverno è definito come Dicembre, Gennaio e Febbraio (DJF). L’indice NAO è definito come la differenza della SLP tra Stykkisholmur in Islanda e Ponta Delgada nelle Azzorre (da Hurrell 1995). La NAO invernale e la circolazione atmosferica primaverile-estiva Per afferrare lo scopo dell’impatto della NAO invernale sui mesi successivi, ci affidiamo alle correlazioni medie mensili della media altezza di geopotenziale a 500 hPa con l’indice della NAO invernale, visualizzabili in figura 1.

Figura 1

In gennaio e febbraio, è dominante uno scarto tra 40-50°N e 60-75°N. Dopo febbraio, la collocazione del massimo positivo trasla verso nord e la correlazione è più debole in Marzo. In Aprile, la correlazione positiva localizzata ai nodi latitudinali dell’anomalia invernale si incrementa nuovamente e la correlazione negativa artica riappare in Giugno. Da questa variazione temporale del coefficiente di correlazione, noi definiamo estate come Maggio, Giugno e Luglio (MJJ) e la stagione di transizione come Marzo e Aprile (MA). I pattern risultanti in primavera e in estate relativa alla NAO invernale sono mostrati in figura 2. Il campo della SLP in primavera (figura 2a) mostra uno scarto tra un’area positiva sul Nord Atlantico e una negativa centrata sul Mar di Groenlandia. Il campo delle altezze a 500 hPa (figura 2b) mostra anche un simile scarto con pattern differente tra il Nord Atlantico e il Mar di Groenlandia. La NAO primaverile mostra una equivalente struttura barotropica eccetto per la Siberia centrale.


Figura 2

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Il dato delle calde temperature a 850 hPa (figura 2c) è osservabile sul Nord Atlantico e si estende verso est attraverso l’Eurasia settentrionale e per larga parte si trova sulla Siberia centrale. La temperatura superficiale dell’aria (temperatura a 2 m) mostra un pattern simile. Il dato molto caldo sulla Siberia centrale genera una significativa anomalia dell’altezza geopotenziale a 500 hPa. Il segno della NAO primaverile è molto simile a quello della NAO invernale (Hurrell, 1995). I dati di SLP e altezza a 500 hPa in estate (figure 2d e 2e) sono caratterizzati da un differente pattern tra l’Artico e la regione subartica; un’area di correlazione negativa nell’Artico e una correlazione positiva nella regione subartica, specialmente tra le isole britanniche, la Siberia centrale e il Mar di Okhotsk settentrionale. Le anomalie nella parte settentrionale del Mar di Okhotsk sono relazionate alla sua altezza di geopotenziale, laddove soggiace un’anticiclone che talvolta si instaura in estate su quel mare. I segnali dell’altezza a 500 hPa (figura 2e) mostrano che i valori negativi della correlazione/regressione dell’Artico sono circondati da valori positivi dei medesimi parametri.

In particolare, valori positivi sono significativi sulle isole britanniche, Siberia centrale, Siberia orientale e Nord America subartico. Queste caratteristiche possono essere viste nell’intera troposfera. La regressione/correlazione nella mappa tra la NAO invernale e la temperatura a 850 hPa in estate (figura 2f) mostra larghi valori positivi sulla zona circumpolare, specialmente sull’Europa nordoccidentale, Siberia centrale, e Siberia nordorientale. Cioè, quando la NAO invernale è in fase positiva, le temperature nelle regioni circumpolari tendono ad essere più calde. Le aree di massime anomalie nella temperatura corrispondono con l’area delle anomalie massime nell’altezza del geopotenziale. La figura 3 mostra i coefficenti di correlazione tra la media del vento zonale in estate e la NAO invernale. Una struttura dipolare, con correlazioni positive localizzate al 70-75°N e negative a 50-55°N, è palese. Quando la NAO invernale è in fase positiva, i venti occidentali estivi al 70-75°N tendono ad essere più forti rispetto ai più deboli a 50-55°N.

Tabella 1

Jan NAO 0.75 AO 0.87

Feb 0.61 0.77

Mar 0.16 0.30

Intorno i 40°N, dove è localizzato il getto subtropicale, le correlazioni sono quasi a zero. Ciò indica una doppia struttura del getto, che è quasi relazionata agli eventi di blocking, comparendo in estate dopo una NAO invernale positiva. Dal momento che il segnale estivo è anulare, il collegamento inverno-estate potrebbe essere la causa di una persistenza della modalità anulare invernale (persistenza di valori simili dell’indice AO anche in estate). La tabella 1 mostra queste auto-correlazioni da Gennaio fino a Luglio con gli indici invernali NAO/AO. Dopo Febbraio, i coefficenti di correlazione diminuiscono rapidamente e perdono il loro significato statistico dopo un mese o due. Allora, il collegamento tra la NAO invernale e l’atmosfera estiva scoperto in questo studio non mette in risalto semplicemente una persistenza dello specifico pattern atmosferico; ma esso accompagna un cambiamento strutturale.

Apr May Jun -0.15 -0.17 0.15 0.00 0.09 0.00

Jul -0.20 0.21

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Figura 3

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La NAO invernale e la copertura nevosa primaverile-estiva, i ghiacci marini e le SST I risultati nel precedente paragrafo mostrano che la NAO invernale influenza la circolazione atmosferica primaverile-estiva. La stessa atmosfera non ha una lunga memoria al di là di un mese e la NAO invernale non ha una significativa auto-correlazione dopo Marzo, qualcos’altro ha una memoria più lunga che potrebbe collegare l’inverno all’estate. La superficie oceanica, i ghiacci marini e la copertura nevosa sono possibili candidati per questa lunga memoria. La figura 4a mostra la correlazione tra la NAO invernale e le SST primaverili, la concentrazione dei ghiacci marini e la copertura nevosa. Figura 4 (a) Coefficienti di correlazione tra la NAO invernale (DJF) e le SST primaverili (MA), ghiacci marini e copertura nevosa. (b) Come in (a) ma per le SST estive (MJJ), ghiacci marini e copertura nevosa. Le linee sugli oceani sono le correlazioni delle SST. Linne continue (rosse) e linee tratteggiate (blu) mostrano le correlazioni positive e negative, rispettivamente. Le colorazioni sugli oceani riguardano le correlazioni con i ghiacci marini. Le colorazioni sulla terraferma riguardano le correlazioni con la copertura nevosa. Le rappresentazioni delle aree colorate sono al contraio di quelle in Figura 1

(in figura 4, qui sopra, la colorazione rossa denota correlazione negativa, quella blu correlazione positiva).

La zona calda nella figura denota SST più calde, meno ghiacci marini e meno copertura nevosa per l’indice NAO positivo in inverno. SST più fredde e maggiori coperture di ghiaccio marino sono state trovate nel Nord Atlantico e Mar di Labrador. Quest’area fredda è circondata da SST calde a sud e a est e da meno copertura di ghiacci marini sul Mar di Groenlandia e Mar di Barents. Queste anomalie delle SST e dei ghiacci marini associati con la NAO sono ben noti da precedenti studi [Rodwell e al., 1999] e persistono per tutta l’estate (figura 4b). Ciò indica che l’influenza della NAO invernale è memorizzata nell’oceano e nei ghiacci marini, entrambi i quali hanno una più ampia inerzia termica rispetto all’atmosfera. Un altro candidato per una lunga memoria è la copertura nevosa (Watanabe e Nitta, 1999, Rajeevan, 2002). Le anomalie negative nella copertura nevosa sull’Eurasia occidentale e l’Asia centrale in primavera (figura 4a) e quelle sulla Siberia orientale in estate (figura 4b) sono statisticamente significative.

Poiché la Siberia orientale è montuosa, la stagione dello scioglimento della neve avviene in ritardo rispetto ad altre regioni e il segnale di copertura nevosa sulla Siberia orientale appare in estate. Le anomalie di copertura nevosa sul Nord America subartico in estate sono anche negative. Il precoce scioglimento sull’Eurasia occidentale è considerato essere la causa delle temperature calde e delle minori precipitazioni nevose durante l’inverno (Serreze e al., 1997). In generale, il periodo di scioglimento nelle regioni circumpolari in entrambi i continenti è più precoce dopo una fase positiva della NAO invernale che dopo la fase negativa. La copertura nevosa influisce sul locale riscaldamento atmosferico attraverso l’effeto albedo durante la stagione calda. Anche dopo lo scioglimento, la copertura nevosa influisce sul riscaldamento attraverso l’umidità del suolo. Conclusioni Abbiamo visto l’influenza della NAO invernale sulla successiva circolazione atmosferica in primavera ed estate nelle zone extratropicali con analisi di regressione e correlazione basate su dati di reanalisi NCEP/NCAR. E’ stato visto che quando la NAO invernale è in fase positiva, le temperature superficiali dell’aria in estate sulle regioni circumpolari dell’Eurasia settentrionale e sul Nord America subartico sono più calde e sono più alte le altezze di geopotenziale e viceversa. Le anomalie delle SST e dei ghiacci marini sul Nord Atlantico e sull’Oceano Artico persistono dall’inverno fino all’estate. In aggiunta, le anomalie della copertura nevosa sull’Eurasia occidentale e l’Asia centrale in primavera e quelle sulla Siberia orientale in estate sono significative. Si può affermare che il segnale della NAO invernale è memorizzato nella neve, nei ghiacci e sulla superficie oceanica nelle regioni circumpolari, e queste anomalie influenzano la circolazione atmosferica estiva nelle regioni extratropicali.

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Figura 4


L’APPROSSIMAZIONE GEOSTROFICA di Giancarlo Modugno - Vice Presidente “InMeteo”, Fondatore del portale www.inmeteo.it Le equazioni che aiutano a descrivere lo stato e non la previsione dei moti trosposferici sono dette primitive; esse tengono conto della continuità della massa (in un volume tanta massa entra tanta ne esce), della legge di stato per i gas perfetti (in realtà abbiamo un gas reale ma si usa volentieri questa approssimazione), e della famosissima legge di Newton F = m*a anche se riscritta per un campo di velocità e conosciuta come legge di Eulero nella seguente forma:

Questa manipolazione fisica è ritenuta molto buona dai meteorologi quando si considerano scale spaziali estese (diversa sarebbe la situazione in scale ridotte, trovandoci per esempio a contatto con una montagna o con un temporale) e quindi otteniamo [3] Considerando le altre due componenti otteniamo un’altra buona semplificazione, seppur molto azzardata:

[1] Con Fext le forze esterne agenti sul sistema (nel nostro caso la forza di gravità e la forza di Coriolis essendo il sistema non inerziale). [2] Sostanzialmente stiamo trattando l’atmosfera come un fluido, il quale è abbastanza complesso e di conseguenza è doveroso effettuare delle approssimazioni per poter estrarre dall’equazione [1] attraverso un procedimento fisico-matematico qualcosa di concreto che rispecchi la realtà. Possiamo prendere in esame l’eq [1] e scriverla per ogni componente, tralasciando la forza di Coriolis per l’asse z ed eliminando la forza di gravità dall’asse x e y. La prima approssimazione è quella dell’idrostatica: consideriamo, cioè, il fluido non in movimento lungo l’asse z.

[4] [5] Dove [6] Cioè il termine aggiuntivo di Coriolis che dipende dal seno della longitudine. Sostanzialmente a sinistra abbiamo delle forze e a destra abbiamo delle accelerazioni. Il fatto che abbiamo approssimato queste accelerazioni con zero non significa che essere non ci siano, ma che le consideriamo molto trascurabili rispetto ai termini a sinistra (tutto ciò molto vero solo alle medie latitudini). In questo modo ci stiamo avvicinando all’equilibrio geostrofico:

questi non è altro che una buona approssimazione di come è distribuito il campo delle velocità in quota dove non vi è l’interazione con gli ostacoli del suolo, dato un campo di pressione. È grazie a queste considerazioni fisiche che possiamo effettuare una diagnostica meteorologica sulle mappe bariche: infatti se abbiamo un gradiente di pressione lungo y con bassa pressione a nord e bassa al sud ci aspetteremo un vento che lascia la prima a sinistra e la seconda a destra (fig 1).

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Si può dimostrare che le componenti del vento parallele alla superficie terrestre si possono associare ad una funzione che descrive in sostanza il flusso in maniera bidimensionale soddisfacendo la principale caratteristica, ovvero la divergenza nulla per mantenere l’incomprimibilità del fluido. Questa funzione contiene la definizione di potenziale, ovvero l’altezza a cui si misura una certa pressione atmosferica: con g*z il potenziale. La considerazione principale che verte sulla questione “flusso bidimensionale” è che il differenziale della funzione rappresenta proprio le isolinee del flusso del fluido, quindi è questo il motivo per cui sulle topografie relative possiamo individuare la direzione del vento in quota attraverso le isoipse.

Figura 1

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ESPLOSIONI NUCLEARI E CLIMA di Sante Barbano, Consigliere InMeteo, Sede Staccata “Gargano” 

Un conflitto nucleare anche se su scala regionale potrebbe causare, oltre a un elevatissimo numero di morti, lo sconvolgimento degli equilibri climatici e degli ecosistemi: è questa la conclusione a cui è arrivato uno studio condotto da un gruppo interdisciplinare di ricercatori della Rutgers University, dell’Università del Colorado a Boulder e dell’Università della California a Los Angeles (UCLA), presentato nel 2006 al convegno dell’American Geophysical Union a San Francisco. Il rapporto scorge le possibili conseguenze di un conflitto nucleare, un’evenienza divenuta meno fantapolitica a causa del continuo aumento di stati che dispongono, o potrebbero disporre in tempi relativamente brevi, di un arsenale atomico. Per quanto questi stati possano disporre solo di armi nucleari di limitata potenza, si tratta comunque di ordigni dotati di una potenza molto superiore a quella usata a Hiroshima, che era di 15 chiloton. Secondo i moderni modelli di simu lazione, le conseguenze climatiche si sono rilevate inaspettatamente grandi rispetto alle dimensioni del conflitto ipotizzato, nel quale è stato considerato l’equivalente del lancio di 100 testate da 15 chiloton. Fra gli effetti più devastanti di una guerra nucleare vi è sicuramente quello dell’inverno nucleare (teoria del 1983 dell’astronomo Carl Sagan). Il meccanismo fisico che provocherebbe lo scenario ipotizzato è legato all’innescarsi di grandi incendi dovuti alle esplosioni nucleari. Questi incendi immetterebbero nell’atmosfera enormi quantità di fumo che oscurerebbero la luce del sole per vario tempo. Tuttavia qualche scienziato crede che da solo il “fumo” non creerebbe tutto lo sconvolgimento ipotizzato.

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La possibilità e l’estensione dell’inverno nucleare sono legate a vari fattori: innanzitutto nel caso i maggiori bersagli fossero i centri urbani e industriali le quantità di fumo immesse nell’atmosfera sarebbero enormi. Invece una guerra nucleare strategica tesa

all’eliminazione delle armi nucleari nemiche e non all’annientamento della forza industriale e demografica del rivale probabilmente non avrebbe fra i suoi effetti l’inverno nucleare. Bisogna sottolineare che i combustibili fossili e i prodotti da essi derivanti sono fortemente concentrati nei centri abitati: la combustione anche di una piccola percentuale di questi materiali genererebbe milioni di tonnellate di fumo di cui circa la metà sarebbe costituito da carbonio elementare amorfo, nero e assorbente la luce solare.

Le esplosioni genererebbero grandi quantità di ossidi di azoto che sarebbero innalzati nella stratosfera: ciò avrebbe l’effetto di ridurre del 20% la concentrazione di ozono nell’atmosfera dell’emisfero boreale. Tale riduzione aumenterebbe sulla superficie terrestre l’intensità della radiazione ultravioletta che, inizialmente, sarebbe arrestata dalla presenza delle coltri di fumo ma che successivamente colpirebbe la terra senza alcun ostacolo (il ripristino della concentrazione dell’ozono avverrebbe solo dopo parecchi anni). Senza contare che il dilavamento dei composti di azoto, zolfo e cloro, dovuto alle precipitazioni, aumenterebbe il grado di acidità delle piogge (nevicate) stesse.

Gli incendi di grandi aree forestali aggiungerebbero altri milioni di tonnellate di fumo che contenendo solo il 10% di carbonio elementare amorfo sarebbe di importanza secondaria rispetto a quello prodotto dagli incendi urbani La stagione in cui si verificasse, nelche avrebbe un più elevato coefficiente l’emisfero nord, questa ipotetica guerra di assorbimento della radiazione solare. nucleare giocherebbe paradossalmente un ruolo molto importante nell’evoluQuesta enorme quantità di fumo (costi- zione dell’inverno: nel caso ci si trovi tuito di particelle con diametri da 0,1 a nel periodo che va dalla primavera 1 micron formate da una mescolanza di all’inizio dell’autunno le temperature carbonio elementare amorfo, idrocarmedie al suolo potrebbero calare di buri condensati, minuscoli detriti e decine di °C (nel recente studio s’ipoaltre sostanze) sarebbe rapidamente tizza un calo di 2°F, circa 1°C, della trasportata nella troposfera, e probatemperatura media terrestre nei primi bilmente anche nelle parte più bassa tre anni) causando temperature intordella stratosfera, dalle violente correnti no allo zero nelle zone settentrionali ascensionali generate dagli incendi. temperate dell’emisfero boreale. Una Inizialmente il fumo non viene introstagione estiva con temperature così ridotto nella stratosfera, ma il riscaldagide sarebbe poi seguita dall’inverno e mento prodotto dall’assorbimento della questo determinerebbe almeno 12 mesi radiazione solare determinerebbe la consecutivi di freddo intenso. Se invece risalita del fumo anche in questo settore l’ipotetica guerra nucleare generalizzadell’atmosfera. ta si compisse nell’inverno boreale la temperatura subirebbe un calo modeSuccessivamente una parte consirato e nella successiva estate il dilavaderevole, dal 30% al 50%, dei fumi mento della coltre fumosa produrrebbe verrebbe immediatamente depurata un raffreddamento generalizzato ma dalla pioggia (neve) nera, la restante re- comunque più contenuto. sterebbe a lungo sospesa nell’atmosfera esercitando una forte azione assorbente In caso di grandi immissioni di fumo della radiazione solare di circa il 25alle latitudini subtropicali dell’emi30%. Si ritiene probabile che il fumo sfero settentrionale le temperature ascendente rimanga nell’atmosfera potrebbero crollare in zone solitamente almeno per un anno dopo le esplosioni, molto calde. In tali condizioni potrebbe con una depurazione costante operata, verificarsi una notevole riduzione delle oltre che dalle precipitazioni, dall’ossi- precipitazioni e dell’intensità dei mondazione chimica e da altri fattori. soni estivi in Asia e Africa, rischiando un totale collasso della circolazione monsonica.


Ma il forte riscaldamento del fumo presente nell’emisfero boreale in caso di guerra nucleare nel periodo estivo porterebbe il fumo alle alte quote troposferiche e così verso l’equatore: in pochi giorni sottili ma estesi strati di fumo potrebbero apparire nell’emisfero australe. Comunque in quel periodo l’emisfero sud si troverebbe già in inverno, quindi la diminuzione della temperatura dovuta alla coltre fumosa sarebbe in ogni caso di pochi gradi tuttavia associata a una diminuzione della quantità di precipitazioni. Il raffreddamento del globo durerebbe probabilmente per numerosi anni, in considerazione anche della diminuzione della temperatura degli oceani mentre le precipitazioni potrebbero ridursi drasticamente. Con le nozioni acquisite non si nota la correlazione che vorrebbe un raffreddamento terrestre dopo la seconda guerra mondiale dovuto ai numerosi esperimenti nucleari effettuati, principalmente in atmosfera e al suolo. Secondo Greenpeace, sono stati circa 2044 i test condotti fino al 1996, dei

quali 711 nell’atmosfera o in aree marine, per una potenza complessiva di 438 megatoni, ovvero l’equivalente di 29200 bombe di Hiroshima. Gli esperimenti non vennero fatti in maniera concentrata né di tempo (anche se alcuni anni denotano una quantità elevatissima di esprimenti), né di luoghi. Ma soprattutto gli effetti nebulosi che si sono avuti sono stati comunque impercettibili rispetto alla teoria dell’inverno nucleare visto che in atmosfera non c’è nulla da annientare e al suolo gli obiettivi, che sono stati citati in precedenza, non c’erano quindi il massimo delle polveri deriva dalla sublimazione della massa dell’arma e dal pulviscolo alzatosi dal terreno. Non si prende assolutamente in considerazione per ovvi motivi gli esperimenti sotterranei. Quindi si esclude a priori un possibile cambiamento climatico generale e diffuso: infatti studiando il grafico delle temperature medie globali notiamo un graduale e costante aumento termico che non pare per niente essere scalfito dal numero degli esperimenti nucleari che tra gli anni 60 e 80 raggiunsero una regolarità preoccupante.

Naturalmente se poi si vogliono collegare singoli e limitati episodi, come ad esempio il gran freddo dell’inverno ‘62-‘63, risulta veramente complicato trovare possibili cause e lo stesso vale per altri avvenimenti di questo genere. Naturalmente gli effetti di contaminazione radioattiva e ambientale sono certi ma non risulta possibile un mutamento significativo e diffuso di un sistema così complesso, anche se delicato, come quello climatico. L’unico effetto ipotizzabile è una riduzione dello strato di ozono in stratosfera che paradossalmente avrebbe causato un aumento delle temperature terrestri. Quindi le esplosioni nucleari non avrebbero effetti diretti sul clima ma sarebbero la causa dell’offuscamento atmosferico e siccome il principale attore del clima terrestre è il sole le conseguenze sarebbero veramente imprevedibili e serie.

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Fonti: - wikipedia.org - fisicamente.net - meteogiornale.it - usatoday.com

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IL VENTO TERMICO di Giancarlo Modugno - Vice Presidente “InMeteo”, Fondatore del portale www.inmeteo.it  La sola definizione di vento geostrofico e il relativo utilizzo pratico delle isoipse sulle topografie relative permetterebbero di effettuare una sorta di descrizione qualitativa della distribuzione dei campi di pressione e di velocità su una zona ma non darebbero nessuna informazione “dinamica”, quindi di previsione: ciò che è resta così nel tempo. Per poter effettuare un passo avanti rispetto all’analisi dei venti geostrofici sarebbe necessario sovrapporre alle topografie relative le relative distribuzioni delle temperature sul territorio, in modo tale da ritrovare lì dove vi sono le intersezioni tra isoipse e isoterme le zone di convezione termica, ritrovando maggiori informazioni circa la successiva evoluzione del sistema ma sempre rimanendo in un ambito qualitativo. La meteorologia dinamica spiega come è possibile far interagire i venti geostrofici e i campi di temperatura riscoprendo proprio il movimento di masse d’aria con caratteristiche termiche diverse: con il vento termico, infatti, inseriamo le informazioni relative all’equilibrio idrostatico, alla distribuzione dei campi di pressione, ai geopotenziali e alle temperature determinando una relazione molto interessante, la quale esprime la dipendenza dallo spostamento delle masse d’aria in funzione della differenza di temperatura. Partendo dall’approssimazione idrostatica si considerano le velocità parallele alla superficie terrestre in relazione alle derivate della funzione di un flusso bidimensionale legato al sistema di riferimento non inerziale. Si può raccogliere questa informazione in un’unica relazione:

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Dove k è il versore perpendicolare alla superficie terrestre e Ф l’altezza di geopotenziale.

Se si effettua la differenza vettoriale tra un vento geostrofico ad una certa quota e un vento geostrofico ad una quota inferiore nel gradiente di Ф avremo la differenza delle due altezze di geopotenziale, la quale utilizzando l’approssimazione idrostatica e la legge di stato dei gas perfetti può essere riscritta come

Con R costante del gas, T temperatura, P pressione, 2 e 1 rispettivamente il geopotenziale superiore e quello inferiore. Utilizzando il teorema della media per gli integrali riusciamo a scrivere una media termica per tutti i valori delle pressioni “attraversate” nello strato atmosferico racchiuso dai due valori di geopotenziale

una quota che si estrapola l’informazione relativa all’arrivo di aria calda o fredda. Volendo essere ancora più precisi potremmo sviluppare in serie il termine logaritmico (considerando la pressione superiore molto vicina a quella inferiore), dividere per la differenza di altezza la differenza vettoriale, utilizzare l’equazione di stato dei gas perfetti e l’approssimazione idrostatica nuovamente e passare al limite, ottenendo:

Questa relazione è molto importante in quanto spiega che la variazione dell’intensità dei venti lungo l’asse x con l’altezza è proporzionale al gradiente di temperatura lungo l’asse y col meno davanti; allo stesso modo la variazione di intensità dei venti lungo l’asse y è proporzionale al gradiente di temperatura lungo l’asse x.

Nell’esempio riportato in figura viene mostrato come ricavare la differenza Di conseguenza la differenza vettoriale tra i due venti, considerando vettoriale si trasforma in che il vento termico lascia l’aria calda a destra e l’aria fredda a sinistra. In questo caso si intuisce subito che è in arrivo aria più calda sul punto in cui viene effettuata la differenza vettoriale. È possibile poter fare delle consideraIl risultato evidente è che il vento termico dipende sì dalla forza di Coriolis zioni di questo genere utilizzando i dati provenienti dai sondaggi termodinamie dalla differenza di pressione tra le ci, oppure all’aria aperta osservando lo due superfici isobariche ma tutto ciò esclusivamente in modo scalare: infatti, spostamento delle nubi in quota e per esempio delle bandiere che indichino è grazie al gradiente di temperatura e la direzione del vento al suolo. quindi all’anomalia di temperatura ad


IDROGENO: IL NOSTRO FUTURO? di François Burgay - Collaboratore InMeteo  L’Idrogeno. Il nostro futuro? In molti ne stanno discutendo in questi ultimi anni. Ci sono scettici e promotori. Ma quali vantaggi e quali svantaggi ha questa forma energetica? Cercheremo di capirlo in questo articolo. Che cos’è l’Idrogeno? L’Idrogeno è l’elemento più abbondante dell’universo, forma fino al 75% della materia (in base alla massa) e più del 90% (in base al numero di atomi). Sulla Terra lo si può trovare principalmente nell’acqua (H2O), ma anche nel Metano (CH4) sottoprodotto della decomposizione organica. Per questo motivo non è una fonte energetica: non esistono pozzi o miniere di Idrogeno. Esso è una forma energetica che può essere ottenuta attraverso diversi metodi: dalla gassificazione del carbone (C + H2O → CO + H2) all’elettrolisi dell’acqua, in parole povere la separazione dell’ H2 dall’ O. In questo caso bisogna disporre di una certa quantità di energia elettrica. Come si vede quindi la produzione di questo gas non è semplice e ancora poco conveniente: l’Idrogeno è sì pulito, ma se per produrlo si ricorre all’energia elettrica (il più delle volte prodotta da centrali a petrolio o a carbone) non ha molto senso.

Le possibilità per produrre Idrogeno pulito ci sono, ma allo stato attuale delle cose le tecnologie disponibili non garantiscono una produzione su scala industriale. La sfida futura è quindi questa: produrre industrialmente Idrogeno usufruendo di fonti energetiche pulite. Il Sole e il vento su tutte. Gli esperti dell’ENI, che dichiarano un forte interesse nei confronti di questa forma energetica, sostengono che, prima di produrre Idrogeno senza immettere nell’atmosfera gas serra, ci vorrà ancora molto tempo: 50/60 anni. E’ quindi necessario che prima di raggiungere questo obiettivo l’Idrogeno venga prodotto da fonti fossili. La produzione di questo gas è quindi molto costosa. Si stima che a parità di volume l’Idrogeno è due volte più caro del Metano. Vogliamo segnalare, a scopo di cronaca, una ricerca piuttosto interessante che permette di produrre Idrogeno a partire da microrganismi quali, ad esempio, i batteri rossi o le microalghe. Essendo il processo ancora in fase di studio ed essendo piuttosto complesso, ci riserviamo la facoltà di analizzarlo in modo più approfondito in un prossimo futuro. L’Idrogeno è proprio una forma energetica nuova?

La risposta è negativa. Infatti è conosciuto fin dal 1800 e ogni anno vengono prodotti fino a 60.000.000 di metri cubi di Idrogeno in Italia. Una centrale la troviamo a Mantova dove si produce Idrogeno per uso industriale partendo dal Metano. Come sottoprodotto si ha dell’anidride carbonica che potrebbe essere recuperata per fare l’acqua minerale frizzante o per altre applicazioni tradizionali. Inoltre è in costruzione nei pressi di Venezia una nuova centrale completamente a Idrogeno che, stando ad alcune stime, riuscirà a produrre fino a 12MW di energia. L’anno prossimo, il 2009, dovrebbe essere l’anno inaugurale. Oltre a essere un combustibile completamente pulito per le automobili, l’Idrogeno può essere usato, come visto, per produrre energia (nel quartiere milanese della Bicocca, circa 40 famiglie sono alimentate a Idrogeno), ma anche per il teleriscaldamento. Non tutti sanno infatti che il prodotto di scarto del processo usato presso la Bicocca, ove è collocata una centrale con una potenza di 1,3MW, è acqua calda. Prima avevamo detto come l’Idrogeno, al giorno d’oggi, sia ancora troppo caro e quindi troppo poco conveniente. Questo merita però una riflessione. Infatti questa forma energetica è a bassissimo impatto ambientale, di conseguenza i costi di altre strutture, quali quelle sanitarie, diminuirebbero in quanto tutte le malattie legate all’inquinamento andrebbero mano a mano a diminuire. L’Unione Europea ha infatti calcolato che per ogni litro di benzina bruciato bisognerebbe aggiungere un euro per i costi legati alla sanità.

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VERIFICA DELLA CAPACITÀ DEI MODELLI NUMERICI DI IDENTIFICARE I SOGGETTI METEOROLOGICI DEFINITI DAI MODELLI CONCETTUALI Parte 2 di S.Ten. G.A.r.s. Francesco Montanaro , Consigliere InMeteo

1.3.6 Struttura della 4DVAR Nella 4DVAR il compromesso tra i dati di background e le osservazioni è determinato dalla combinazione del modello dinamico con l’importanza che è data alla first-guess o alle osservazioni. Questa diversa importanza è basata su una stima fatta a priori sugli errori che ci si attende di trovare nei dati della first-guess e nei dati osservati (Derber e Bouttier,1999). La correzione di una variabile del modello genererà delle correzioni anche per altre variabili del modello dinamico. Per esempio una sequenza di osservazioni dell’umidità che mostra uno spostamento in atmosfera, correggerà non solo l’umidità ma anche il campo del vento che determina l’avvezione della massa umida. Il peso relativo dato alle osservazioni e ai dati di background dipende dalla predicibilità locale del flusso. Ad esempio una osservazione in un flusso molto baroclino che sviluppa una depressione sarà più fittato con le osservazioni rispetto a quelle legate ad un anticiclone. Questo rende la 4DVAR di poter correggere la fase di sviluppo dei cicloni (Rabier et al 1997) e lo rende anche sensibile ad osservazioni errate, singole o in gruppo, che non sono state viste dal controllo di qualità. 1.3.7 Effetti di una analisi non perfetta Ci sono differenti ragioni perché errori nelle condizioni iniziali influenzano negativamente le previsioni: • Quando vi è una cattiva first-guess e si accorda con dati osservati errati, o quando i dati su una data zona sono insufficienti.

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• Quando ci sono isolate osservazioni che danno condizioni estreme presenti solo su piccola scala ed invece sono relazionate con fenomeni a più larga scala dai modelli dinamici.

• Se la first-guess è cosi errata da non accettare le osservazioni nel sistema dinamico che invece accetta solo le osservazioni errate. • Quando un modello concettuale a scala sinottica non è adeguatamente fittato dalle osservazioni. Una analisi errata non necessariamente porta ad una previsione fallita. Questa ha un più ampio impatto in zone dinamicamente sensibili, per esempio in zone dove si sviluppa un sistema baroclino. Durante una ciclogenesi un enorme quantità di energia cinetica intensifica le correnti occidentali nelle alte e medie latitudini ed è trasportata dalla corrente a getto fuori dall’area dove l’energia cinetica si è prodotta. In una previsione a breve termine le zone sottovento al getto saranno interessate dall’aumento di energia cinetica. Se un ciclone si sviluppa in questa zona esso si approfondirà erroneamente. In pochi giorni gli errori da questo sistema saranno amplificati e trasmessi al successivo sistema determinando il cosiddetto effetto domino. 1.4 CARATTERISTICHE GENERALI DEL MODELLO EUROHRM L’HRM è una versione modificata del modello EM/DM (Majewski,2001) del Servizio Meteorologico Tedesco (Deutscher Wetterdienst), sviluppato ed adattato su server HP Alpha. Le principali caratteristiche numeriche del modello sono: • griglia lat/lon in coordinate ruotate; • griglia di Arakawa di tipo C, schema alle differenze finite del 2° ordine,centrato; • coordinata verticale ibrida • equazione di Helmhotz risolta direttamente tramite FFT e metodo di Gauss; • formulazione di Davies delle condizioni al contorno; • termine diffusivo del 4° ordine, correzione di temperatura sui rilievi.

Per quanto riguarda invece le parametrizzazioni fisiche queste possono essere riassunte come segue: • schema radiativo di Ritter e Geleyn (1992) • precipitazione stratiforme con parametrizzazione della microfisica delle nubi; • schema convettivo del Mass flux (Tiedtke,1989); • schema a due livelli di diffusione verticale nell’atmosfera (Mellor e Yamada,1974), teoria della similarità alla superficie (Louis, 1979); • schema del suolo a due livelli. Una fase di inizializzazione è compiuta prima di iniziare il calcolo di previsione, per ridurre lo squilibrio nei campi di analisi. In questo modello la distanza tra i vari punti di griglia è di 0.5° (56 Km) e il numero di strati verticali è 31 (tabella n°3). Annidato in questo modello c’è un’altra versione del HRM (chiamata Med-HRM)(tabella n°4) a doppia risoluzione orizzontale (effettiva distanza tra punti di griglia 0.25°; 28 Km) sul bacino del Mediterraneo. I campi previsti ogni tre ore dal Boundary Project del ECMWF danno le condizioni al contorno al modello EUROHRM. Il pacchetto software IFS2HRM è usato per interpolare e adattare i campi al contorno generati dall’ECMWF alla griglia dell’HRM ed alle variabili prognostiche. Inoltre il software IFS2HRM è usato giornalmente per mescolare (blending) i campi di analisi del CNMCA delle 12 UTC con i campi di analisi del ECMWF delle ore 12 UTC. L’interfaccia tra l’analisi oggettiva e il modello prognostico è completato dallo spline interpolation di campi analizzati definiti dall’analisi di 20 livelli di pressione a 31 livelli di coordinata ibrida. A questo punto il ciclo di assimilazione corre su una Compaq ES45 server, con una finestra assimilazione dati di 4 ore intorno al tempo nominale.


Tab. 3 Caratteristiche principali del modello operativo EUROHRM

Il tempo di un’intera corsa per un numero disponibile di osservazioni indipendenti facenti parte dell’algoritmo di analisi ( circa 7000) è grossomodo di 30 minuti, che, considerando il tempo necessario per le elaborazioni di post-processing, rende disponibili i campi analizzati a meno di tre ore dopo il tempo nominale di analisi. Due volte al giorno, alle 00 UTC e alle 12 UTC, è eseguita una corsa estesa a T+72 ore del modello EUROHRM basato sul ciclo di assimilazione dati. La sezione modelli del CNMCA nel corso del 2004 ha sviluppato ed apportato cambiamenti operativi nei modelli, con corse sperimentali sulla IBM960 all’ ECMWF.

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Tab.4 Caratteristiche principali del modello MED HRM model

Le maggiori innovazioni sono date da: • introduzioni di osservazioni non sinottiche nella suite dell’assimilazione dati varazionale (vettori di movimento atmosferico dal Meteosat 5-7-8, venti misurati con scatterometri Quikscat ed ERS2, osservazioni aeree AMDAR- ACAR,osservazioni del profilo del vento). Per ciascun nuovo tipo di osservazione è stato eseguito l’Observing System Experiments (O.S.E.), mostrando significativi miglioramenti.(vedere per esempio Bonavita e Torrisi 2004). • Aumento della risoluzione orizzontale da 0.5° a 0.25°. • Piccolo incremento del dominio d’integrazione. 1.5. CARATTERISTICHE GENERALI DEL MODELLO NON IDROSTATICO AD ALTA RISOLUZIONE LAMI 1.5.1 Introduzione Tra gli scopi principali del modello non idrostatico a piccola scala c’è quello di creare un sistema predittivo che permetta la simulazione e la previsione di fenomeni meteorologici con risoluzione spaziale dalla meso alla micro scala. Infatti il modello numerico a scala locale è uno strumento di previsione utile per scopi operativi se utilizzati dai servizi meteorologici cosi come può avere un vasto campo di applicazioni scientifiche su diverse scale spaziali. L’applicazione principale di tale modello è legato all’uso operativo nelle previsioni meteorologiche e in questo

Fig.1 Diagramma a blocchi del ciclo assimilazione dati

senso il punto chiave per tale applicazione è la capacità del modello numerico di prevedere fenomeni quali nuvolosità, nebbie, precipitazioni, flussi d’aria locali con forcing orografico o termico, fenomeni estremi come supercelle temporalesche, intensi sistemi convettivi a mesoscala o linee di convergenza pre o postfrontali.

La maggior parte dei modelli di previsione numerica utilizzati nei servizi meteorologici operano su scale di moto per le quali può essere considerato valido l’equilibrio idrostatico utilizzando reticoli con passo superiore a 15 Km. Questi modelli non hanno una risoluzione spaziale necessaria per vedere esplicitamente quei fenomeni intensi a piccola scala e di breve durata che

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sono strettamente connessi con distanze orizzontali in cui la componente non idrostatica diventa fondamentale. Il modello locale è appunto progettato per tale tipo di scale per le quali i processi non idrostatici rivestono un ruolo importante. Le peculiarità del modello locale sono l’uso di equazioni dinamiche non idrostatiche, nelle quali la velocità verticale è una grandezza ricavata esplicitamente da una equazione prognostica, e una più realistica simulazione dei processi fisici parametrizzati sulle piccole scale temporali. Infatti il modello locale è basato sulle equazioni primitive della termodinamica e idrodinamica che descrivono i flussi non idrostatici in un’atmosfera senza approssimazioni di scala. Le equazioni fondamentali sono scritte considerando la forma avvettiva e l’equazione di continuità è sostituita dall’equazione prognostica per la variazione di pressione. Le equazioni del modello sono risolte numericamente usando il metodo delle differenze finite. Le principali caratteristiche del modello sono date:

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scala a intervalli di tempo discretizzati. I campi interpolati sono idrostaticamente bilanciati. Con questi intervalli di tempo, i dati al contorno all’interno del modello sono interpolati linearmente. Normalmente l’aggiornamento dei dati al contorno nel modello locale è scelto essere un’ora per scala meso- β. I valori al contorno sono ottenuti da un programma di preprocessing dal modello principale definito GME2LM: dove i dati sono interpolati dalla maglia triangolare del modello globale GME del DWD. •Analisi Il sistema di assimilazione dati è basato sulla tecnica del nudging osservazionale. Il modello corre su macchine di memoria distribuite e usa la decomposizione del modello per calcolare gli incrementi delle analisi per ciascun punto di griglia del dominio.

1) la for mazione o dissolvimento di nubi d’acqua derivano dall’aggiustamento idrostatico. 2) Formazione di precipitazione da una bulk- parametrization includendo vapor acqueo, acqua della nube, e come idrometeore la pioggia e neve. 3) Pioggia e neve sono trattati diagnosticamene assumendo l’equilibrio nella colonna d’aria. 4) Nel nuovo schema è incluso anche il ghiaccio contenuto nella nube. • Nubi a scala di subgriglia: 1) la nuvolosità a scala di sub griglia (frazione di nuvolosità) è interpretata da una funzione empirica dipendente dall’umidità relativa. È diagnosticata anche il contenuto di acqua liquida presente nelle nubi.

2) schema del flusso convettivo di massa umida con chiusura basato su Al momento lo schema usa solo dati convergenza di umidità convenzionali provenienti da messaggi • Radiazione: schema δ- stream radiaTemp, Ship, Pilot, Synop. tion basato su Ritter e Geylen (1989) per flussi ad onda lunga e corta, feedLe principali caratteristiche dello sche- back della radiazione totale dalle nubi. ma di nudging del modello locale sono: • Diffusione turbolenta: nuova opzione • Equazioni del modello : equazioni per un nuovo schema con trattamentermodinamiche ed idrostatiche sono con • Implementazione : Ciclo continuo di to prognostico dell’energia cinetica termini avvettivi, senza approssimazioni assimilazione dati con corse di 3 ore. turbolenta; sono inclusi effetti di si scala. • Variabili analizzate : componente condensazione ed evaporazione a scala • Variabili prognostiche: componenti del orizzontale del vettore vento, tempedi sub-griglia vento orizzontale e verticale, ratura potenziale, umidità relativa, pres- • Strato superficiale: parametrizzazione temperatura, perturbazione della pressio- sione vicino al suolo. dello strato con flusso costante sullo ne (deviazione dallo stato di riferimen• Analisi spaziale: i dati sono analizzati schema di Louis; nuovo schema per to), umidità specifica, contenuto specifi- prima verticalmente e dopo trascinati uno strato di superficie basato sulco dell’acqua nelle nubi orizzontalmente lungo superfici orizl’energia cinetica turbolenta inclusi • Variabili diagnostiche: densità totale zontali. effetti da circolazioni termiche di scala dell’aria, flusso delle precipitazioni di a sub griglia. pioggia e neve. Come componente esterna dell’analisi del LM è stato sviluppato uno schema La versione italiana del Local Model 1.5.2 Inizializzazione del modello e di analisi per l’umidità del suolo. è chiamata LAMI ( Local Area Model condizioni al contorno Altre due addizionali analisi esterne Italy) ed è eseguito presso il centro di completano l’assimilazione dati e sono: calcolo del CINECA di Bologna. • Tecnica del nesting analisi della temperatura del mare Le mappe del LAMI sono in uso Per le simulazioni di dati reali, il LAMI (SST) basato sul metodo di correziopresso il Centro Nazionale di Meteoropuò essere guidato dal modello globale ne usando dati di SST da navi e boe; logia e Climatologia Aeronautica come GME del servizio meteorologico tedesco un’analisi della copertura della neve strumento operativo complementare DWD usando la tradizionale tecnica del usando le osservazioni da Synop. ai modelli ad alta risoluzione (EUrilassamento al contorno. ROHRM) ed al modello a scala globale 1.5.3 Parametrizzazione fisica del Questo modello locale può essere del ECMWF; già alla fine del 2001. annidato nel modello globale GME modello Il LAMI è un modello ad area limitata (Majewski, 1998). Con la tecnica dei operante su un reticolo con passo di dati al contorno la soluzione interna del Una varietà di processi fisici sono griglia di 0.0625° (circa 7 Km) e 35 modello è agganciata ad una soluzione tenuti in conto nello schema di paralivelli verticali a coordinata ibrida ( sespecificata esternamente usando un termetrizzazione. Di seguito diamo una guono il profilo del terreno nella bassa mine di forcing nelle equazioni. panoramica dello schema di parametroposfera mentre in quota, lontano dal La soluzione esterna è ottenuta daltrizzazione usato operativamente: suolo, sono a pressione costante). l’interpolazione dal modello a grande • Precipitazioni e nubi a scala di griglia: Continua nel prossimo Numero


FOCUS PUGLIA: FEBBRAIO ARIDO SU QUASI TUTTA LA REGIONE di Giuseppe Conteduca, Consigliere e Redattore InMeteo

Lo scorso mese di Febbraio ha fatto registrato giornate di ghiaccio, con registrare condizioni meteo-climatiche massime abbondantemente sotto lo zero. prettamente aride. Fatta eccezione per Monte Sant’Angelo a circa 800 m.s.l.m. la sfuriata gelida del 16-17, il mese è sul Gargano ha rilevato tali estremi giortrascorso sotto un regime termico mite. nalieri domenica 17: -3,8° / -7,0°. Localmente punte di 20° si sono registra- Sempre domenica 17, Castel del Monte te in alcune località costiere o di bassa sull’Alta Murgia registrava 0° di massicollina durante la terza decade del mese. ma, e -5,1° di minima, a soli 500 metri sul livello del mare. Nelle zone pianegCome già detto in precedenza, l’unico gianti e costiere i valori massimi hanno evento degno di nota si è verificato fra il raggiunto diffusamente i 4-5°, mentre i 16 e il 17 febbraio. valori minimi hanno oscillato fra -1° e Una colata di aria artico-continentale ha 1° ( prendendo in considerazione sempre interessato tutta l’area Balcanica, la Gre- domenica 17). cia, e la Turchia, con la Puglia e le altre regione del sud-est italico, che sono state Durante queste 2 giornata di freddo, le interessate marginalmente dalla sfredda- precipitazioni sono risultate quasi nulle, ta. In concomitanza di tale avvenimento, eccetto deboli fiocchettate da stau in i valori pressori sono risultati particoalcune aree della regione. larmente elevati, localmente superiori ai 1030 hpa. Nei giorni successivi minime abbondaMolte aree collinari nell’area centro-set- mente sottozero si sono verificate nelle tentrionale della regione, hanno pianure e sulle coste di quasi tutta

la regione. In questi giorni infatti, si verificano i valori minimi più bassi di tutto il mese di Febbraio: -2,6° a Foggia Amendola, -1,3° a Bari Palese, -2,2° a Gioia del Colle, 0,0° a Marina di Ginosa, -2,0° a Lecce Galatina. Dal punto di vista pluviometrico il mese di Febbraio è risultato completamente deficitario, con accumuli di pioggia scarsi, e in alcuni casi irrisori. Delle stazioni dell’Aeronautica Militare, la più piovosa è stata quella di Lecce Galatina, con 26,2 mm, seguita da Brindisi con 23,7 mm. Le aree meno interessate dalle precipitazioni, sono state il Tavoliere delle Puglie, e la costa Ionica tarantina. Non per questo Foggia Amendola ha totalizzato solo 7 mm, e Marina di Ginosa 4,4 mm. Accumuli intorno ai 30 mm si sono avuti anche in area Garganica ( San Giovanni Rotondo 30 mm, e Vico del Gargano, 22 mm).

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I CONVEGNI CONSIGLIATI DA INMETEO di Giancarlo Modugno - Vice Presidente “InMeteo”, Fondatore del portale www.inmeteo.it

Attraverso il web è possibile aggiornarsi sui principali eventi che riguardano i momenti di confronto e di aggiornamento in relazione al clima che cambia, ma non solo.

Maggio dal tema “Il clima della regione mediterranea: tendenza attuale e scenari futuri”. Sul sito www.inmeteo.it è possibile trovare tutte le informazioni circa la mostra con il relativo opuscolo.

Tra gli eventi più importanti un occhio di riguardo va alla Prima Mostra sul Clima, organizzata dal Museo Regionale delle Scienze Naturali di Torino, inaugurata il 17 marzo scorso, la quale si concluderà ad ottobre di quest’anno. L’evento è una dimostrazione che la sensibilizzazione verso il tema “cambiamento climatico” è sempre più accesa e che si vuole divulgare la problematica attraverso il parere di esperti internazionali: infatti, “I tempi stanno cambiando” (il titolo della mostra) è divisa in mostra, ciclo di conferenze e convegni, proiezioni cinematografiche. L’associazione InMeteo sarà presente in visita durante il convegno del 16

Un occhio di riguardo va anche all’incontro tra i ricercatori e le forze politiche in programma per il 7 aprile 2008 a Roma: “Il Futuro ipotecato: come se ne esce? La politica della ricerca negli ultimi 15 anni, le esigenze della società le proposte delle forze politiche su Ricerca, Innovazione e Qualità dello Sviluppo”. L’incontro sarà un’occasione per discutere le strategie per cercare di ovviare al rischio “declino” a cui l’Italia potrebbe andare incontro. Sul sito www. osservatorio-ricerca.it sono disponibili maggiori informazioni. Sempre nel mese di maggio si terrà un altro convegno climatico: “Challenges

in hydrometeorological forecasting in complex terrain”. Esso si terrà a Bologna, presso il centro congressi dell´area di ricerca del CNR. Il convegno, organizzato da ARPA-SIM e CNR-ISAC, tratterà come temi principali tutti gli aspetti connessi con l´utilizzo di sistemi previsionali per la gestione di eventi a rischio meteoidrologici con particolare attenzione alla modellazione probabilistica e deterministica. Maggiori informazioni su http://www.smr.arpa.emr.it/dphasecost/

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ASSOCIAZIONE CULTURALE di METEOROLOGIA Via Generale Cantore, 73 - Bitonto (Ba) E - mail: info@inmeteo.it Magazine: magazine@inmeteo.it Website: http://www.inmeteo.it Forum: http://www.inmeteo.it/forum

DOMANDA DI AMMISSIONE A “INMETEO” - da inviare tramite Casella Postale o Mail (copia scannerizzata e firmata). Inviare la quota associativa di 20 € al numero di Postepay 4023 6004 5160 9764 intestata a Giancarlo Modugno) allegando alla domanda di ammissione la ricevuta di pagamento.

_l_ sottoscritt_ (cognome)________________________________nome_________________________ nat_ a __________________________________________________ il __________________________ laurea/diploma in _____________________________________________________________________ professione ___________________________________________________________________________ residente in (1)_______________________________________________________________________ telefono ________________________________________ fax__________________________________ e mail __________________________________________ sito web ____________________________ chiede di essere ammess_ in qualità di socio ordinario a InMeteo. Le mie esperienze principali nel campo della Meteorologia sono : _______________________________________________________________________________________ _______________________________________________________________________________________ _______________________________________________________________________________________ I mieii interessi principali nel campo della Meteorologia sono : _______________________________________________________________________________________ _______________________________________________________________________________________ _______________________________________________________________________________________ ________________________ (data)

_________________________________ (firma leggibile)

(1) Indicare Via/Piazza, numero civico, CAP, città, sigla Provincia; a questo indirizzo vi verrà inviata la rivista “InMeteo Magazine”. (2) La qualità di socio si acquisisce su domanda del candidato e per approvazione del Consiglio Direttivo. La quota associativa annuale [ 20 euro ] è unica, ai sensi del nostro Statuto e ha scadenza il 31 Dicembre dell’anno. Il versamento deve essere effettuato via POSTEPAY al numero 4023 6004 5160 9764 allegando ricevuta di pagamento a questa domanda di iscrizione. [ Il numero di carta è intestato a Giancarlo Modugno ] ------------------------------------------------------------------------------------------------------------Ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. 196/2003 (Codice in materia di trattamento dei dati personali), Le forniamo le seguenti informazioni. I dati da Lei forniti verranno utilizzati da InMeteo nel pieno rispetto della normativa citata. I dati saranno oggetto di trattamento in forma scritta e/o supporto cartaceo, elettronico e telematico; i dati, previo Suo consenso, verranno utilizzati per le future informazioni delle attività di InMeteo tramite supporti cartacei e/o pubblicazione e della distribuzione della rivista “InMeteo Magazine”; l’eventuale diniego a fornire tali dati comporterà l’impossibilità di ottenere il servizio richiesto; i dati non saranno soggetti a diffusione presso terzi. FORMULA DI ACQUISIZIONE DEL CONSENSO DELL’INTERESSATO Il/La sottoscritto/a, acquisite le informazioni fornite dal titolare del trattamento, ai sensi dell’art.13 del D.Lgs.196/2003, dichiara di prestare il mio consenso al trattamento dei dati personali per i fini indicati nella suddetta normativa. LUOGO E DATA _________________________________________; FIRMA _______________________________________________ (Firma di un genitore in caso di minorenni)


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