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L’appuntamento del venerdì

18 VII

Corriere del Ticino • laRegioneTicino • Giornale del Popolo • Tessiner Zeitung • CHF. 2.90

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numero

Sul tècc de Milan 4 Agopuntura: la salute di spirito e corpo 12 Food Miles. La lunga strada del cibo 46 Moda uomo. Un bavero color zafferano

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numero 30 18 luglio 2008

Agorà Agopuntura: la salute di spirito e corpo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 Arti Mingus e le Favole di Faubus

Impressum Tiratura controllata 93’617 copie

Chiusura redazionale Venerdì 11 luglio

Editore

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Media YouTube: di tutto, di tutti e di più . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Società La svolta di Marignano

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Gastronomia Food Miles. La lunga strada del cibo

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Vitae Franco Ancona . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Direttore editoriale

Reportage Sul tècc de Milan

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Capo progetto, art director, photo editor

Tendenze Moda uomo. Un bavero color zafferano

Teleradio 7 SA Muzzano Peter Keller

Adriano Heitmann

Redattore responsabile Fabio Martini

Coredattore

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Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Giochi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Giancarlo Fornasier

Concetto editoriale IMMAGINA Sagl, Stabio

Amministrazione via San Gottardo 50 6900 Massagno tel. 091 922 38 00 fax 091 922 38 12

Libero pensiero

Direzione, redazione, composizione e stampa Società Editrice CdT SA via Industria CH - 6933 Muzzano tel. 091 960 31 31 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch

Stampa

(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona

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In copertina

Fotografia di Adriano Heitmann

Egregi signori, anni fa nelle scuole ci venivano insegnati e fatti memorizzare i testi dell’Inno nazionale e di altre composizioni a carattere patriottico. La bandiera era un simbolo molto rispettato. In seguito, specie negli anni successivi al Sessantotto, i suddetti valori nazionali vennero offuscati da una serie di simboli e di icone di carattere sovversivo, rivoluzionario e internazionale. Paradossalmente, mentre sulle T-shirt ammiccava l’effige del Che, sul cofano della macchina o sul serbatoio della moto faceva bella mostra di sé la bandiera a stelle e strisce, quasi che la Svizzera o l’intera Europa fossero divenute un nuovo stato americano. Ora si è verificata una riscoperta del nostro simbolo nazionale e i nostri sportivi, uomini e donne, giovanotti e signorinelle, non provano più complessi nell’indossare berretti e magliette rossocrociati, a dipingersi il volto con i colori nazionali e sventolare bandierine e striscioni. A me non dispiace affatto, anzi: se possono permetterselo gli americani, gli inglesi, gli italiani, i brasiliani, i russi e gli svedesi, perché non dovrebbero poterlo fare i nostri? C’è però una penosa lacuna, segnalata da altri in altre sedi: parecchi conoscono i testi di canzoni e ballate ma ignorano quello dell’Inno nazionale (ex Salmo svizzero) e nessuno sa dove ripescarlo (forse su internet per chi è allacciato?); altrimenti, nebbia profonda. Detto e fatto, ringrazio per la cortese attenzione nella speranza che questo seme possa produrre qualche germoglio. Distinti saluti Z.R. (Tegna)

Caro lettore, non c’è nulla di scandaloso nel recupero delle proprie radici nazionali, anche se ciò avviene spesso solo in concomitanza a eventi sportivi come gli appena trascorsi Campionati Europei di calcio. Nel numero 28 di Ticinosette è stato pubblicato un articolo di Moreno Bernasconi proprio su questo tema. La saluto cordialmente con il testo dell’Inno nazionale svizzero. Fabio Martini Inno nazionale svizzero (Salmo svizzero) Quando bionda aurora il mattin c’indora l’alma mia t’adora re del ciel! Quando l’alpe già rosseggia a pregare allor t’atteggia; in favor del patrio suol, cittadino Dio lo vuol. Se di stelle è un giubilo la celeste sfera Te ritrovo a sera o Signor! Nella notte silenziosa l’alma mia in Te riposa: libertà, concordia, amor, all’Elvezia serba ognor. Se di nubi un velo m’asconde il tuo cielo pel tuo raggio anelo Dio d’amore! Fuga o sole quei vapori e mi rendi i tuoi favori: di mia patria deh! Pietà brilla, sol di verità. Quando rugge e strepita impetuoso il nembo m’è ostel tuo grembo o Signor! In te fido Onnipossente deh, proteggi nostra gente; Libertà, concordia, amor, all’Elvezia serba ognor. (tratto dal sito della Confederazione www.admin.ch)


Agopuntura: la salute di spirito e corpo

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L’

agopuntura, una bufala per alcuni, una certezza terapeutica per altri. Sbarcata timidamente in occidente nel XVII secolo è stata per molto tempo snobbata dalla medicina tradizionale. Oggi l’agopuntura, malgrado il persistere di un certo scetticismo, è comunque riuscita a farsi strada nell’universo medico moderno e viene da molti considerata un metodo terapeutico valido e complementare alla medicina convenzionale. Non si può dunque negare che questa antica arte cinese ha ormai raggiunto in Occidente un’indiscussa popolarità. E non solo tra persone malate che cercano di mitigare le proprie sofferenze o tra coloro che semplicemente ambiscono a un migliore benessere fisico e mentale, ma anche tra medici di formazione accademica convenzionale. Non è forse un caso, che da alcuni anni tutto il mondo scientifico sia attraversato da un acceso dibattito, riguardo i sorprendenti risultati che si sono potuti osservare attraverso questa tecnica, che si serve di aghi capillari infissi in punti precisi della superficie del corpo. Un’evoluzione inimmaginabile, se pensiamo solo a qualche decennio fa. È vero che i tentativi di raffronto tra i due sistemi medici, quello occidentale e quello

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Agorà

Una storia lunga cinquemila anni, un’arte, ma anche una medicina: l’agopuntura accolta in Occidente con entusiasmo e speranza da alcuni, e con diffidenza da altri, cerca di farsi strada nell’edificio della medicina moderna superspecializzata

cinese, non hanno finora portato a grandi risultati, ma certamente non è impresa facile paragonare due medicine che affondano le loro radici in culture diverse. I concetti fisiologici e patologici su cui si basa l’agopuntura sono l’evoluzione di una conoscenza millenaria, che per ovvi motivi non può offrire la chiarezza e il rigore che siamo abituati a riscontrare nella medicina moderna superspecializzata. È però bene specificare anche, che la complessità filosofica della medicina orientale non può essere pienamente compresa se non si possiede una profonda conoscenza della cultura sinologica. A questo proposito si potrebbe fare riferimento a una frase particolarmente significativa, a cui spesso ci si riferisce nell’ambito della medicina orientale: “l’impalpabile governa la struttura”. In altre parole, l’energia governa il corpo. Per il medico cinese il corpo umano è formato da una rete di meridiani invisibili, collegati agli organi interni e a più punti sulla superficie corporea, che se correttamente stimolati permettono di accelerare, inibire o regolare l’energia vitale presente nel nostro organismo. Dunque una sola energia che si manifesta in modi diversi e che, se armoniosamente distribuita

nel nostro organismo, favorisce un benessere psico-fisico. Quando questo equilibrio si altera ecco che insorge la malattia cagionata da una modifica anormale di queste forze energetiche. Perciò per l’agopuntore alla base di qualsiasi disturbo o malattia sussiste un disequilibrio del campo energetico. Nonostante i dubbi ancora ampiamente diffusi riguardo a questa terapia, si sta iniziando a percorrere una nuova strada, volta a prevedere un’integrazione della medicina tradizionale cinese nel panorama di quella occidentale. L’obiettivo è di abbattere i pregiudizi esistenti e dimostrare quanto queste due metodologie mediche, possono essere complementari tra loro e vivere per arricchirsi a vicenda. Una sfida in cui è coinvolta anche la nostra piccola realtà ticinese. Da qualche anno le principali strutture ospedaliere del cantone, ospitano infatti, ambulatori di medicina tradizionale cinese. L’esperienza ha avuto il suo inizio all’Ospedale la Carità di Locarno nel 2002, all’Ospedale Italiano di Lugano nel 2005 per estendersi in poco tempo anche all’Ospedale Beata Vergine di Mendrisio e al San Giovanni di Bellinzona. Centri di medicina tradizionale cinese a cui ogni anno si


Agorà

5 stesso e che vede la malattia in modo meccanicistico senza considerare l’individuo nel suo insieme”. Il problema dunque non è la medicina moderna, che è senza ombra di dubbio il migliore metodo di cura disponibile sul pianeta, ma il suo approccio, perché pretende di dividere il corpo umano in diverse sezioni, considerate sconnesse da un insieme, che detto in modo semplice è poi la parte spirituale dell’individuo. Diversamente detto la medicina convenzionale lavora solo sulla parte tangibile, quella fisica, tralasciando l’influenza che può avere su di noi l’aspetto mentale e quello energetico. Ma i medici sono davvero disposti a collaborare con gli agopunturisti? Da quanto emerge, uno dei principali ostacoli a una vera e propria integrazione della

medicina cinese in Ticino, ma anche altrove (scetticismo a parte), è l’aspetto culturale e più precisamente quello linguistico che impedisce sovente uno scambio di opinioni tra il terapista e il medico. Invece, quando questo problema non sussiste, soprattutto nei casi laddove il medico e il terapista hanno un comune obiettivo, cioè la salute e il benessere del paziente, la sinergia diviene più marcata. La collaborazione diventa invece complicata quando alla base ci sono interessi diversi. Per esempio, è risaputa l’importanza acquisita dall’agopuntura nell’ambito delle malattie psicosomatiche, come anoressia, bulimia, emicrania, lombalgia e dolori cronici in generale, rispetto alle quali la medicina tradizionale è diventata arrogante perché impotente.

Un’arroganza che si manifesta attraverso quei medici, che promuovono in modo sconsiderato la farmacologia, ostacolando così l’avvicinamento e la cooperazione tra le due medicine. La pratica dell’agopuntura ha dimostrato la sua attendibilità per una vasta gamma di malattie e disturbi, siano essi cronici oppure no. Conosciuta come un efficace analgesico, ha confermato la sua validità come antiinfiammatorio, come regolatrice del sistema endocrino, come tonificantrice della massa muscolare, nonché come cura terapeutica utile per la regolarizzazione del funzionamento dei vasi sanguigni. A patto di non considerarla la panacea di tutti i mali, l’agopuntura ha dunque un suo legittimo e consolidato diritto di cittadinanza nell’ambito dell’universo medico.

» di Sabina Campi; illustrazione di Céline Meisser

rivolgono grosso modo dalle 1500 alle 2000 persone. Nei centri lavorano per la maggior parte terapisti di origine cinese, supervisionati da dottori di formazione medica occidentale, che possiedono un riconoscimento anche in agopuntura. Ma questa innovativa collaborazione tra i due sistemi medici, in Svizzera e all’estero, significa forse che la medicina moderna è in crisi e che sempre più le persone preferiscono affidare la propria salute alla medicina non convenzionale? Secondo Andrea Bernasconi, che da quindici anni è attivo in Ticino nell’ambito dell’agopuntura, questo non è del tutto vero. “In realtà non si può parlare di una crisi della medicina occidentale, bensì di un progressivo declino del pensiero filosofico materialista, che è fine a sé


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Film

Triumph of the Underdog di Don McGlynn, 1997 Include una preziosa raccolta di immagini storiche, testimonianze di musicisti che hanno suonato con Mingus, nonché frammenti di concerti live registrati in America ed Europa.

disgustosi e ridicoli? / Due, quattro, sei, otto: / ti fanno il lavaggio del cervello e insegnano l’odio. / C-I-A-O, ciao”. Musicalmente la composizione presenta tutti i tratti tipici dello stile di Mingus: cambi di tempo, melodie nette costruite con particolare attenzione all’impasto timbrico degli strumenti ai quali verranno affidate, richiami alla tradizione dei gospel, del blues e a Duke Ellington, ma soprattutto una carica ritmica molto particolare, sempre presente nella musica del musicista statunitense e che invoglia al movimento... Fra i numerosi aspetti caratteristici della sua musica appare di particolare interesse proprio la concezione ritmica e la sua idea di swing. Proprio a tal riguardo, nella sua autobiografia Beneath the Underdog Mingus riferisce: “Una volta si usava una parola: swing. Lo swing andava in un’unica direzione, era lineare, doveva essere suonato su un ritmo evidente, e questo è chiaramente molto restrittivo... Preferisco usare il termine «percezione rotativa»... immagini un cerchio che circonda ogni tempo: ognuno può suonare le sue note dove vuole dentro quel cerchio e questo gli dà la senGrande innovatore del linguaggio jazzistico, sazione di avere più Charles Mingus ha animato con vivacità e spazio. Le note cadono dovunque nel cerchio, intelligenza il dibattito sulle discriminazioni ma il feeling originale razziali. Soprattutto attraverso la musica del tempo non è cambiato. Se qualcuno del gruppo si trova sbilanciato, qualcun altro un pazzo! Boo! nazi nascista ricade sul tempo. Il tempo è dentro di te. razzista! / Boo! Ku Klux Klan Quando suoni con musicisti che la pensa(col tuo piano alla Jim Crow) no così puoi fare qualsiasi cosa. Chiunque / Nominami una manciata di può fermarsi e lasciare che gli altri vadano gente ridicola, Dannie Richavanti. Si chiama passeggiare...” (da Peggio mond. / Faubus, Rockefeller, di un bastardo). Eisenhower / Perché sono così di Little Rock a nove giovani afroamericani. Il quartetto della versione Candid del 1960 era formato da Eric Dolphy al clarinetto basso e sax alto, Ted Curson alla tromba, Charles Mingus al contrabbasso e voce, e Dannie Richmond alla batteria e voce. Il testo, recitato e cantato da Mingus in dialogo con Dannie Richmond, è il seguente: “Oh, Signore, non lasciare che ci sparino! / Oh, Signore, non lasciare che ci pugnalino! / Oh, Signore, non lasciare che ci buttino nel catrame e nelle piume! / Oh, Signore, mai più svastiche! / Oh, Signore, mai più Ku Klux Klan! / Dimmi il nome di una persona ridicola, Dannie. / Il governatore Faubus! / Perché è così nauseante e ridicolo? / Non permette l’integrazione nelle scuole. / Allora è

» di Giancarlo Locatelli

Arti

contate tante, poi con gli anni ci hanno insegnato che non dobbiamo più crederci, per spiegarci infine che sono importanti non per quello che raccontano ma per il loro significato profondo e il contenuto simbolico. Mi riferisco alle favole, che tanto ci tengono compagnia da bambini e ritornano a popolare le nostre fantasie quando le raccontiamo ai nostri figli o nipoti... Le Favole di Faubus, Fables of Faubus in inglese, è un famoso brano del grande jazzista, contrabbassista e compositore americano Charles Mingus. Il brano fu registrato per la prima volta nel 1959 e pubblicato nell’album Mingus Ah Um dall’etichetta Columbia. Nel corso dell’anno successivo però l’etichetta indipendente Candid pubblicò Charles Mingus presents Charles Mingus nel quale era presente una nuova versione del brano reintitolata Original Fables of Faubus. Venivano qui recuperate anche le parole originali, censurate nella prima versione, e scritte da Mingus in aperta protesta contro il governatore dello stato dell’Arkansas, Orval E. Faubus. Quest’ultimo nel 1957 aveva inviato la Guardia Nazionale per vietare l’integrazione in una scuola

Charles Mingus Peggio di un bastardo Baldini Castoldi Dalai, 2005 L’autobiografia di Mingus. Il titolo fa riferimento alle origini meticce (nere, gialle e pellerossa) del musicista.

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Da piccoli ce ne hanno rac-

Mingus e le Favole di Faubus

Charles Mingus (fotografia tratta dal sito www.mingusmingusmingus.com)

Libri


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Feel the difference


Time La pubblicazione statunitense ha consacrato il successo di YouTube e della “democrazia digitale” con la storica copertina del dicembre 2006 dedicata al personaggio dell’anno. “Tu”, per l’appunto.

Libri

Glauco Benigni YouTube. La storia Magazzini Salani 2008 Cosa c’è dietro il fenomeno YouTube? Un saggio per saperne di più sul sito che ha rivoluzionato il concetto di ricerca e visibilità.

MySpace, Wikipedia, blog. Per dirla tecnicamente, degli User Generated Content, il contenuto generato dagli utenti disponibile sul web. La copertina strizza l’occhio in particolare a YouTube perché riporta un computer la cui forma ricorda il player del sito. È il trionfo della “democrazia digitale”. Il popolo di YouTube comprende il tutto, in ogni sua sfaccettatura. Nel 2006 viene caricato un video in cui un ragazzo se ne va in giro tra i passanti per Sidney con un cartello con scritto “free hugs” (abbracci gratis). Dopo due mesi il filmato ha già ricevuto 6 milione di visite. Oggi è uno dei filmati più visti in assoluto ed è diventata un’iniziativa sociale diffusa in tutto il mondo. YouTube ha il fascino di essere realtà senza filtri e censure. Ne sanno qualcosa anche i politici, le cui gaffe sono finite più volte nell’immenso archivio del sito. Purtroppo a volte è una seduzione pericolosa: i video di bullismo e violenza, poi rimossi, ne sono testimonianza. Trampolino di lancio, condivisione, appartenenza, moderno juke boxe, enciclopedia: i termini per riassuAttraverso YouTube la realtà è mostrata mere i significati di senza filtri: i signor nessuno diventano qual- YouTube sono molti. La vox populi trova la cuno, i politici ridicolizzati nelle loro peggiori sua espressione e sodperformance, i filmati introvabili e perduti disfazione in un sito nella memoria collettiva risorgono con un fatto a sua immagine semplice click. La vita delle immagini si per- e somiglianza, perché parla di noi e fa parlapetua senza tempo, luoghi e confini re, esaudisce desideri avvale della collaborazione e appaga qualsiasi curiosità. È la versione e del contributo degli utenti. audiovisiva del “fratello” Google e il suo Il “neonato” YouTube, ma futuro, come si dice in una clip che ho anche Citizen Journalism visto qualche giorno fa, dipende proprio (giornalismo collaborativo), da noi, mondo di utenti.

» di Valentina Gerig; illustrazione di Ulrico Gonzato

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del diritto di copywriting e di spodestamento degli Old Media, primi tra tutti la tv. I mezzi di comunicazione tradizionali ci metteranno un po’ a capire le potenzialità e il vantaggio che possono ricavare dal fatto che tutto è disponibile, recuperabile e visionabile. Eppure YouTube cresce, conquista, esplode. E lo fa col botto nel 2006 quando viene acquistata dal colosso Google. A Natale dello stesso anno il prestigioso magazine americano “Time” dedica la tradizionale copertina sul personaggio dell’anno a un globale “You”. E il titolo è chiaro: “La persona dell’anno 2006 sei tu. Sì tu. Tu controlli l’età dell’informazione. Benvenuto nel tuo mondo”. È la consacrazione del Web 2.0 ovvero la “nuova era” di Internet, quella che si

YouTube: di tutto, di tutti e di più

Media

giorno successivo alla finale io e i miei amici non ci stanchiamo di vedere e rivedere il rigore decisivo di Grosso per l’Italia e la testata di Zidane per capire cosa diavolo abbia detto a Materazzi. Questo il mio primo incontro con YouTube. Piuttosto banale, scoprirò in seguito, dato che è stato proprio l’evento calcistico a fare parlare del nuovo sito web in Italia e in Europa. Nessun pretesa di scoperta anticipata quindi, per me. Eppure YouTube esiste già dal 2005. Da quando in una fredda mattinata tipicamente americana tre ragazzi, non proprio come tanti altri, stanno andando a una festa con delle bottiglie sottobraccio. Si chiamano Chad Hurley, Steve Chan e Jawed Karim e la loro singolarità sta nell’essere tutti e tre dipendenti della PayPal, una società di e-commerce. Abbiamo quindi a che fare con tre giovani esperti d’informatica. Da quel giorno, il cammino verso la possibilità di caricare sul web qualsiasi video prodotto e renderlo visibile a tutti non è divenuto un fatto immediato. Viene così avviata una rivoluzione basata sul concetto di visibilità e, di conseguenza, di violazione

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Mondiali di calcio 2006. II

Riviste


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Disegnare la vita

Design

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Questa particolarissima sedia, ide-

ata dal designer e architetto svizzero Riccardo Blumer e premiata con il Compasso d’oro nel 1998, si caratterizza per il segno semplice ed essenziale. Il nome, LaLeggera, è da ricondurre al peso dell’oggetto che risulta infatti estremamente contenuto. Il motivo è da ricondurre al particolare materiale utilizzato, legno con supporto interno in poliuretano iniettato, che viene normalmente adottato per la costruzione degli alianti e dei

velivoli ultraleggeri. La sedia, impilabile, resistente e maneggevole, è divenuta una vera e propria icona del design contemporaneo ed è esposta al MOMA di New York, al Centre George Pompidou di Parigi e alla Triennale di Milano. È inoltre esposta stabilmente al Centro di Arte Contemporanea di Cavalese (Trento) e al Musée des Arts Décoratifs di Parigi. Il medesimo materiale e la stessa purezza di linee tornano nei recenti pezzi della serie, progettati in un’ottica di ergonomia e

funzionalità. Viene infatti proposto da Alias – l’azienda di Bergamo che produce LaLeggera – un significativo ampliamento della collezione, con l’introduzione di tre nuove proposte, nuove declinazioni del concetto di leggerezza: dormeuse, chaise longue e poltroncina sono disponibili con struttura in legno massello di acero o frassino, impiallacciatura di acero, frassino ebanizzato, ciliegio, wengé, rovere sbiancato, o verniciato in vari colori. Il supporto interno è sempre in poliuterano iniettato.


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Manca spazio... tutto viene riempito da filari di case e capannoni, da strade intasate di auto, da tralicci dell’alta tensione e da gru per l’edilizia che svettano contro il cielo e un po’ lo nascondono alla vista. Ogni tanto qualche vecchia cascina o qualche campo sopravvissuto interrompono la monotonia del cemento. I dintorni di Milano sono tutti così e la periferia verso Melegnano, direzione sud-est, non fa eccezione. Pensare che in queste terre si sia combattuta una delle prime grandi batta-

settembre del 1515 l’esercito di Francesco I di Francia e dei suoi alleati veneziani, forte di oltre 40.000 mila uomini e di 70 pezzi di artiglieria, sconfisse i 20.000 uomini della fanteria dei cantoni svizzeri, alleati del duca di Milano, Massimiliano Sforza. Fu la vittoria di Marignano (l’antico nome di Melegnano) in quella che i contemporanei hanno definito la battaglia dei Giganti per il numero dei combattenti in campo e la ferocia degli scontri. Sgomberato il campo di battaglia

La battaglia di Marignano, avvenuta nel 1515, segnò la fine del coinvolgimento svizzero nelle guerre europee. Un viaggio a ritroso nella campagna lombarda in cerca di tracce e testimonianze glie dell’era moderna richiede uno sforzo di immaginazione, quasi un atto di fiducia nella storia. Eppure non parliamo di vicende di poco conto: qui, tra il 13 e il 14

e sepolti i morti, le terre di Lombardia divennero terra di Francia, mentre per gli svizzeri l’evento diede il via alla loro secolare neutralità. Ah, particolare non di poco:

Per raggiungere l’area della battaglia di Marignano percorrere l’Autostrada del Sole fino a Melegnano, quindi risalire la Via Emilia fino a Zivido.

Internet

www.comune.melegnano.mi.it Il sito, molto attraente, del comune di Melegnano. Da visitare assolutamente il Castello Mediceo ricco di dipinti murali e sale di grande suggestione.

il Canton Ticino entrò definitivamente nella sfera d’influenza svizzera. Già, ma questa è storia e un manuale scolastico è sufficiente per conoscerla. Diverso è ripercorrere i luoghi della battaglia e provare a recuperare i “segni” rimasti, con l’intento di “incontrare” l’evento (la battaglia), riscoprendo allo stesso tempo un territorio e i suoi mutamenti. Per farlo bisogna uscire dalle vie più battute e infilarsi in quelle stradine di campagna che ancora oggi, come piccoli capillari, intersecano le arterie principali nei dintorni di Milano. Strade strette e tortuose, costeggiate da fossi e rogge, strade fatte apposta per una vecchia Topolino col suo bel tettuccio apribile, per godersi il sole. Io mi accontento della mia vecchia Panda, meno romantica, ma altrettanto formidabile su questi nastrini di asfalto. Per prima cosa, però, affronto baldanzoso, come l’esercito svizzero uscendo da Milano, la via Emilia, la statale che segue il percorso dell’antica via romana, una linea retta tracciata duemila anni fa attraverso la pianura tra Milano e Rimini. L’andatura è singhiozzante per il traffico ma riesco a superare senza troppi intoppi gli abitati di San Donato Milanese e di San Giuliano Milanese. Le avanguardie dell’esercito francese, attestato nei pressi di Melegnano, si spinsero fino a qui per fare terra bruciata all’avanzata svizzera. Passati gli eserciti restarono solo campi

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Società

La svolta di Marignano

Il “campo degli svizzeri” o “prato dei morti”, presso Melegnano

Itinerario


generale di Francesco I, si fa sterrato e non mancano le pozzanghere. La campagna abbonda intorno a me e immagino il re di Francia che osserva i movimenti delle truppe dal piano più altro della casa padronale, confuso tra le speranze di vittoria e le preoccupazioni della sconfitta. Parte del complesso è oggi un’azienda agrituristica. È un altro buon modo per sfuggire all’abbandono o alle speculazioni edilizie che trasformano antichi insediamenti agricoli in complessi residenziali dal nome altisonante tipo “la corte di Francesco I”. Chissà come si sarebbe trovato il re francese in tre locali, servizi e box? Sorrido a questo pensiero mentre viaggio con il mio “metallico destriero” (insomma la mia Panda) lungo la via Emilia verso il borgo di Zivido, in territorio di San Giuliano Milanese. Se questo fu il luogo, come pare, dove i due eserciti cozzarono più violentemente, non ne ho sentore alcuno mentre mi avvicino. Mi accoglie piuttosto a una lunga processione di palazzi, centri commerciali e officine. Fatico a ritrovare il filo del discorso, fino a che non intravedo una costruzione in mattoni, segno di edilizia lombarda di altri tempi e lì mi dirigo. Il nucleo storico di Zivido e il castello, sempre della casata Brivio, paiono sotto l’assedio del cemento armato così come i guerrieri svizzeri, che qui si asserragliarono a centinaia in un estremo tentativo di resistenza quando le loro sorti erano già segnate. I francesi, ebbri di vittoria, non andarono troppo per il sottile: incendiarono il castello uccidendo così tutti gli assediati. La speranza è che il destino del borgo sia ben diverso e che si conservi anche la stradina in ciottoli che mi conduce alla fine del mio viaggio tra i ricordi dei Giganti. Sono arrivato alla splendida chiesetta quattrocentesca di Santa Maria della natività, un gioiellino di architettura lombarda in mattoni rossi che pare costruito con i pezzi del Lego. Molti caduti della battaglia riposano sotto il pavimento della chiesa e nel giardinetto circostante ora occupato da piccolo parco giochi per bambini. Il tempo muta veramente le cose e non sempre in peggio. Il monumento che ricorda la battaglia, di fianco alla chiesetta, riporta una lapidaria iscrizione che sembra volere dare un senso a ciò che accaduto in queste terre: ex clade salus, dalla sconfitta venne la salvezza. La disfatta convinse i cantoni svizzeri a scegliere la via della neutralità, evitando così alla Confederazione i secoli di guerre che sconvolsero poi l’Europa tutta. Non so se fu realmente così semplice, ma lasciandomi alle spalle i campi della battaglia e i suoi morti mi piace pensarlo e ho voglia di crederlo.

» di Roberto Roveda; fotografia Ti-Press

devastati, case bruciate, donne violentate, miseria e carestia. Ma cosa contavano di fronte alla gloria del re di Francia e del duca di Milano… Un colpo di clacson mi riscuote dai pensieri. Sono già in direzione dell’antica abbazia di Viboldone, alla cui altezza svolto a sinistra tra i campi, seguendo l’indicazione per Mezzano. Il paesaggio cambia, diventa luogo e spazio della battaglia, finalmente! Qui posso immaginare avanzate di fanti schierati, cavalieri al galoppo, fuoco di artiglieria. Ed ecco il borgo di Mezzano, un grande complesso agricolo in disuso, una chiesa, due osterie per turisti domenicali e quattro abitanti in tutto! Sospeso nel tempo a due passi da Milano, segnato dai secoli, pare più invecchiato che antico. Di fronte a me una distesa verde, il “prato dei morti”, in cui bastava rigirare la terra con l’aratro per trovare le ossa dei soldati. E in quei due giorni di settembre i morti furono molti, forse 10.000, forse 15.000. I poemi epici dell’epoca cantavano le sfide dei cavalieri ma i numeri e le ossa narrano di una carneficina spaventosa. Il piccolo ossario di fianco al tozzo campanile della chiesa di Santa Maria della neve mi offre la prima testimonianza della battaglia. Due targhe, una in italiano, l’altra in latino, avvertono il viandante che li riposano le ossa dei soldati svizzeri che combatterono contro Francesco I di Francia. Mi chino per guardare all’interno e scorgo, infatti, ossa e teschi che mi fissano con le loro orbite vuote. Chissà se appartengono a un montanaro svizzero o a un cavaliere veneziano… per alcuni, meno romantici, si tratta di contadini del luogo morti di peste. Poco importa, la cappella di Mezzano è sempre stata quella dei “morti svizzeri” e il popolo attribuisce a quelle povere ossa il potere di fare dei miracoli. Difficile sovvertire le certezze popolari… e perché poi? Mi dirigo, ora, verso l’epicentro della battaglia, verso Melegnano e poi, di nuovo, la via Emilia, in direzione Milano, ma brevemente perché si svolta a destra per Rocca Brivio e la cascina Santa Brera. La rocca appare da lontano un po’ come il palazzotto di don Rodrigo, il “cattivo” dei Promessi sposi, colpa di quella sua aria severa frutto dei rimaneggiamenti seicenteschi e, forse, del cielo, fattosi cupo. Fu per secoli dimora della famiglia Brivio, i signori di queste terre e, durante la battaglia, uno dei presidi francesi. Passeggio nel cortile interno, un po’ consumato dal tempo, e nel giardino: oggi il complesso viene utilizzato per concerti, attività culturali e ricevimenti di matrimonio. Gli antichi signori, forse, inorridirebbero al pensiero, ma forse così non lo si lascia cadere in rovina del tutto. Il cammino verso la cascina, il quartier

Il piacere di provare e gustare il diverso I vini di M. Perler, Arzo - www.agriloro.ch


www.europa.eu/scadplus/ Sul sito, dedicato alle attività dell’Unione Europea, è possibile consultare il Libro bianco sulla sicurezza alimentare.

cibo prodotto localmente, in modo da ridurre le emissioni ambientali. Una iniziativa lodevole e difficile da non condividere. In Inghilterra su alcuni prodotti è segnalato il Food Miles: le miglia percorsa dal cibo per arrivare dal produttore allo scaffale del supermercato. Purtroppo le cose non sono mai semplici, e alcune ricerche mettono in dubbio l’affidabilità di questo indice: non necessariamente la fragola che ha viaggiato meno ha anche inquinato di meno. Tanto per cominciare, il tragitto più inquinante non è quello dal produttore al supermercato, ma quello dal supermercato a casa: tante automobili che percorrono la breve distanza dall’abitazione al centro commerciale trasportando i pochi chili della spesa per la settimana inquinano almeno quanto i pochi camion che trasportano per centinaia di chilometri tonnellate di merce. Inoltre, in Food Miles: ovvero le miglia del cibo. Come certi periodi dell’anno rendersi conto di quanta strada percorre un la frutta e la verdura vengono coltivate in prodotto alimentare. Per essere confezionato serre riscaldate e illue consumato minate: le emissioni di queste serre possono superare quelle del trasporto. Riassumendo: Contro questa abbondanza di può essere meno inquinante andare in chilometri, e soprattutto conbicicletta a comprare frutta australiana che tro l’inquinamento che questi andare in auto e acquistare prodotti locali. chilometri comportano, sta Alla fine, l’unica certezza è che non ci sono prendendo sempre più piede certezze e, purtroppo, neppure metodi semla “spesa a chilometri zero”. plici per essere virtuosi. L’idea è semplice: acquistare

» di Ivo Silvestro

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e ritorno: sulla confezione è infatti scritto “Prodotto in Belgio con panna svizzera”. Certo, la panna non si è fermata a Interlaken per ammirare la Jungfrau, ma la distanza, grosso modo, è la stessa: tra andata e ritorno, un migliaio di chilometri. Qualcosa, evidentemente, non funziona: mille chilometri per avere un po’ di panna montata sono decisamente troppi. Le fragole, d’altra parte, da dove vengono? Spesso non ci si fa caso, quando le si compra. Forse dall’Italia, oppure dalla Spagna: un altro migliaio di chilometri. Prendendo in considerazione anche la ciotola e il cucchiaino, che presumibilmente arrivano dalla Cina o dal Bangladesh, probabilmente si riesce a fare il giro del mondo. E tutto questo per un po’ di fragole con panna!

www.slowfood.ch L’associazione Slow Food da diversi anni difende la cultura del cibo. L’importante è mangiare bene, con un occhio di riguardo alla provenienza delle derrate.

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Gastronomia

Una sera, dopo cena e prima di gustare, per dolce, delle deliziose fragole, decidi di organizzare una breve vacanza. Hai già l’itinerario in mente, si tratta solo di prendere una cartina e vedere se quello che hai in mente si adatta anche alla realtà. Partenza al mattino presto, il passo del Gottardo, poi il passo del Susten, Interlaken e Thun. Poi Berna, con la sua città vecchia e il moderno Zentrum Paul Klee. Decidi di spingerti ancora più a nord: Basilea, la città sul Reno con il museo della Fondazione Beyeler. Perché fermarsi? Si può continuare seguendo il corso del Reno, non sai ancora se lungo il versante francese o quello tedesco: l’Alsazia è una regione stupenda, e Strasburgo una magnifica città. E poi? Si può deviare verso ovest: Lussemburgo e, perché no?, il Belgio. Sì, meglio visitare Bruxelles prima che valloni e fiamminghi decidano di separarsi definitivamente. Infine, il viaggio di ritorno, magari seguendo una strada leggermente diversa. Soddisfatto dell’itinerario, riponi le cartine e, al loro posto, metti le fragole. Prendi dal frigorifero la panna montata spray, e scopri che quella piccola bomboletta ha già fatto il tuo viaggio, andata

La lunga strada del cibo

Immagine tratta da www.livinggreentoronto.com (elaborazione Tecnica T7)

Internet


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Il Ticino e i suoi fotografi Alfonso Zirpoli

Fotografia

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Big Jack Johnson

Classe 1954, Alfonso Zirpoli vive e lavora a Bellinzona. Si dedica da molti anni alla fotografia di ritratto, d’arte

e di reportage. Da due decenni ritrae nel suo studio di Piazza Governo a Bellinzona i musicisti invitati a Piazza Blues. Gestisce la galleria “Incontri di Fotografia” ed è gerente dell’Osteria Zoccolino, sempre in Piazza Governo. Venerdì 21 luglio, alle ore 17.30, s’inaugura l’esposizione fotografica dedicata al ventennale di Piazza Blues. Per maggiori informazioni: www.incontridifotografia.ch.


» testo di Giorgia Reclari; fotografia di Adriano Heitmann

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magazzini che si trovano qui in centro, perché attraggono la gente. Senza di loro sarei già fallito da un pezzo. Io sono un po’ come l’uccellino che becca le briciole dell’elefante! Inoltre la salvezza di noi piccoli commercianti al giorno d’oggi sta nella specializzazione e nell’offerta di qualità. La clientela non esprime più solo una domanda generica ma chiede qualcosa di preciso, di qualità elevata, ciò che le grandi superfici commerciali non possono soddisfare. Il cliente ora è curioso, anche culturalmente, vuole appropriarsi anche di ciò che sta dietro un oggetto. E quindi io devo essere in grado non Proprietario della storica coltelleria Ma- solo di consigliare il miglior turi a Lugano, racconta dei suoi coltelli, coltello in generale, ma anche di soddisfare questa curiosità. Il oggetti d’uso comune ma dotati di un problema è quello di aiutare a fascino ancestrale e misterioso. E di un vedere dentro se stessi e trovare suo passatempo “violento” che non ha l’oggetto giusto. Comunque sempre nel rispetto del cliente, nulla a che fare con le armi senza imposizioni o manipolacoltelli non significa automatizioni. Cerco di capire e di condurre il cliente a camente saperli usare. Io però quello che lui stesso desidera. È vero che c’è la ho imparato da ragazzo, lavomassa dietro il carrello del grande magazzino, rando d’estate nelle cucine dei ma ci sono anche molti che chiedono qualristoranti. cosa in più. Nemmeno la qualità è però oggi Nel tempo libero amo dedisufficiente, anche l’estetica conta. Un oggetto carmi alla mia famiglia, fare non può più essere solo utile ma deve essere lunghe passeggiate in montaanche bello. gna con mia moglie e giocare a Quando si parla di coltelli, inoltre, entrano scopa. Lo trovo un passatempo in gioco anche altri aspetti, più profondi, meraviglioso, con i compagni che toccano l’inconscio. Il coltello è un ogsi possono instaurare rapporti getto che non lascia indifferenti, evoca – che veri, al di fuori della relazione piaccia o che non piaccia – un’immagine di venditore-cliente. Inoltre è un sangue. Ma nello stesso tempo è un oggetto gioco violento, ci si sfoga e ci si magico, affascinante e con esso si può creare può insultare senza problemi! un legame forte e assolutamente personale, Amo anche trascorrere il temdiverso per ognuno. E sono le donne a perpo con i miei figli, che ora stucepire maggiormente questa doppia valenza, diano entrambi all’università. cogliendo fino in fondo l’evocazione di vioNon so che cosa vorranno fare lenza racchiusa nell’oggetto. Ma il paradosso quando finiranno, ma non creè che oggi il coltello lo adoperano più le do che intendano prendere in donne degli uomini. In teoria, se io utilizzo mano loro l’attività. E io non un oggetto dovrei entrare in confidenza con me la sento di forzarli. Oggi esso, completamente. Invece per le donne le cose sono molto cambiate non è così, provano sempre un sottile senso dagli anni Settanta. Una volta di angoscia. Ci sono donne che non si avvisi andava ancora a comprare la cinano ai coltelli esposti in negozio, d’istinto. carne dal macellaio, la verdura È una cosa affascinante, ma in realtà non so dal fruttivendolo e i coltelli dal spiegarne la causa. coltellaio. Questo oggi si è perAmo il mio lavoro e credo che continuerò so. La realtà è molto diversa, finché ne avrò la forza, anche per chi viene ma credo sia importante coda vent’anni e ogni volta mi dice “Molla gliere comunque degli stimoli mia, neh!”. Perché per loro rappresento una positivi nel cambiamento. Per stabilità, un punto fermo a Lugano, un po’ di esempio, ringrazio i grandi loro stessi che resta.

Franco Ancona

Vitae

uesto negozio ha 110 anni ed è sempre stato qui, in questo edificio. È una tradizione di famiglia e di luogo. Anche l’insegna è ancora la stessa: “Pio Maturi fu Giovanni. Ferramenta, coltelleria, articoli casalinghi e chincaglieria”. È stato aperto alla fine dell’Ottocento da due fratelli arrotini ambulanti provenienti dal Trentino e stabilitisi a Lugano. Uno dei due in seguito ripartì verso l’Inghilterra, dove aprì un altro negozio, che esiste tuttora! Quando, alla fine degli anni Settanta, ho ereditato questo esercizio da mio suocero, era come un museo, vendeva ancora ranze, falci e oggetti agricoli. Ho rinnovato tutto, ma ho salvato quella che era l’essenza dell’attività: l’affilatura e la coltelleria. Ancora oggi l’affilatura rappresenta la metà delle mie entrate. Ma naturalmente mi sono adeguato all’evoluzione, da un lato dell’industria, dall’altro della domanda. Per esempio, ora vendo anche katane, spade e coltelli giapponesi, molto richiesti perché rappresentano l’onda lunga della cultura cinematografica. Ma personalmente non sono in sintonia con questa tendenza, io sono un tradizionalista, mi identifico di più con la nostra cultura e il nostro passato. Oltre alla coltelleria, mi occupo anche del recupero di oggetti in rame appartenenti alla tradizione rurale ticinese e lombarda. Li aggiusto e poi li rivendo. Non tengo mai per me nessuno degli oggetti che trovo, anche se a volte, per utensili particolarmente rari o interessanti, la tentazione è forte. Secondo me bisogna avere rispetto dell’oggetto, se lo metto a posto poi desidero che trovi il suo padrone, qualcuno che vi si riconosca e vi si identifichi. A casa ho solo ciò che già apparteneva alla mia famiglia, non porto a casa oggetti dal lavoro. Divido assolutamente la professione dalla mia vita privata. Quando esco da qui chiudo con il lavoro. I coltelli però li adopero in cucina, quando aiuto mia moglie. Naturalmente vendere

»

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Reportage

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Sul tècc de Milan testo di Roberto Roveda fotografie di Adriano Heitmann

Un caso architettonico unico al mondo, un esempio di estro ingegneristico, un’unità stilistica mirabile ma anche il centro ideale e spirituale di una metropoli con una storia millenaria. Un percorso ad altezze vertiginose sul tetto della cattedrale milanese, fra i riflessi rosati dei marmi di Candoglia e la fitta selva di guglie e statue


I

l Duomo di Milano è capace di regalare emozioni inaspettate, anche a chi, come me, è sempre vissuto all’ombra delle sue guglie. È un microcosmo di marmo che è possibile scoprire da mille angolature, girandogli attorno, osservandolo da fuori oppure all’interno, per scoprire i tesori che racchiude. Gli architetti che lo progettarono, alla fine del XIV secolo, vollero, però, offrire qualcosa di unico al mondo: la possibilità di salire sul tetto per osservare la città da una prospettiva nuova, sospesa realmente tra cielo e terra. Perciò niente tetto spiovente,

in rame o in piombo, come nelle cattedrali gotiche del resto d’Europa, ma una copertura a terrazzi digradanti, lievemente inclinati, facilmente percorribili e raggiungibili attraverso una lunga serie di scale a chiocciola La prima cosa è proprio usare le scale e salire sul Duomo, rinunciando al moderno e rapidissimo ascensore optando quindi per un incontro più autentico, quello gradino dopo gradino, ripetuto per 158 volte. La stretta e angusta scala a chiocciola lungo la quale si procede in fila indiana, come in


sopra: particolare della decorazione scultorea delle scale sinistra: una veduta dei contrafforti e del camminamento sul versante sinistro del Duomo

processione, diventa ben presto un ricordo lontano quando si sbuca sui terrazzi. Lo scenario si riempie di luce e di spazio, ogni cosa appare protesa verso l’altro e il marmo prende vita, si anima nelle statue, nelle guglie, nei ricami e negli ornati che generazioni di artisti paiono essersi divertiti a realizzare, quasi che il marmo sia stato lavorato con l’ago per il ricamo, non con martello e scalpello. Il Marino, il più grande poeta del barocco italiano, diceva che “è del poeta il fin la meraviglia”, ma osservando il tetto del Duomo il concetto

può essere benissimo esteso alla scultura e all’architettura. Mi incammino, accompagnato dallo stupefacente e dal meraviglioso, rendendomi conto per la prima volta di cosa sia una grande cattedrale gotica, quale immenso cantiere sia stato e continui a essere. Per secoli al Duomo hanno lavorato artisti e maestranze non solo italiane, ma provenienti dalla Francia, dalle terre tedesche, dall’Austria, dalla Boemia e dall’Ungheria. La cattedrale è stata un crocevia obbligatorio dell’attività artistica e costruttiva continentale, vera e propria summa dell’ar➜


chitettura e della scultura europea, per varietà e quantità. Pensiamo solo agli elementi più caratteristici del tetto, le guglie, ben 135, realizzate nel corso di quattro secoli. La più antica, risalente al 1400, è anche la prima che osservo, sull’estremità settentrionale dell’abside. È detta guglia Carelli perché venne realizzata grazie ai lasciti del mercante Marco Carelli. Confrontandola con le sue “sorelle” più giovani rimango colpito dalla varietà di stili, che vanno dal gotico, al rinascimentale al barocco, fino a gusti più tipi-

camente settecenteschi e ottocenteschi. Un vero e proprio campionario di storia dell’arte degli ultimi seicento anni. Lo stesso discorso vale per le circa 1900 statue che abitano le guglie e il tetto: grandi e piccole mi circondano ovunque, profeti, santi, vergini, martiri e uomini di chiesa. Alcune sono qui da secoli, altre solo dalla fine della seconda guerra mondiale quando furono realizzate per sostituire la cinquantina di statue più antiche irrimediabilmente danneggiate dai bombardamenti.


sopra: dettaglio scultoreo della facciata ripreso dalla scala di accesso sinistra: veduta longitudinale del tetto del Duomo verso la facciata rivolta a occidente

Sessanta metri sotto di me il frequentatissimo Corso Vittorio Emanuele. Le vertigini in questa posizione si fanno sentire, ma la curiosità mi spinge ad ammirare più da vicino possibile alcuni dei 150 doccioni. Sono le bocche di scarico delle acque piovane e, nella maggior parte dei casi hanno la forma di creature mostruose e fantastiche, uscite direttamente da un bestiario medievale. Figure orripilanti che con le loro fauci spalancate allontanano gli spiriti maligni, proteggendo la cattedrale. Attraverso le rampe di scale della facciata accedo al terrazzo

grande. Il sole esalta i riflessi bianchi e rosa del marmo di Candoglia e il cielo è sufficientemente terso da permettermi di intravedere le Prealpi e, più distante, la catena alpina. Al di sotto, Milano appare, a perdita d’occhio, come un fitto bosco di edifici, tra cui spiccano i campanili delle chiese, i palazzi più alti e la Torre Velasca, tanto vicina da sembrare a portata di mano. Di fronte a me la mole del tiburio, l’elemento architettonico che si erge imponente sulla pianta ottagonale della cupola del Duomo, nascondendola esternamente alla vista. In una ➜


cattedrale priva di campanile, il tiburio svolge un po’ questa funzione e alloggia al suo interno le quattro campane. Ma soprattutto, fa da “piedistallo” alla guglia maggiore, quella che dal 1774 ospita sulla sua sommità la statua più importante per i milanesi, la Madonnina, il simbolo di Milano. L’oro che la ricopre luccica e riporta alla mente i racconti dei nonni sui tempi di guerra, quando anche la Madonnina dovette essere coperta dai teli per evitare che di notte, riflettendo la luce della luna, facesse da punto

di riferimento per i bombardieri che attaccavano Milano. Già è difficile non vederla, la Madonnina, è proprio in alto. Grazie a lei il Duomo arriva a 108,50 metri da terra, un’altezza dalla quale la statua della Madonna ha guardato per secoli la città dall’alto. Poi, negli anni Cinquanta del Novecento, ha trionfato la modernità e il primato è passato ai 127 metri del grattacielo Pirelli. La spinta ascensionale della guglia maggiore è ardita e pare essere accompagnata dalla complessa struttura dei gugliotti,


sopra: la guglia centrale con la statua della Madonnina circondata dai gugliotti sinistra: i doccioni, le bocche di scarico delle acque piovane. Di particolare interesse è l’efficiente sistema di raccolta delle acque sul tetto della cattedrale

quattro guglie grandi che circondano la principale, quasi a sostenerla. Non per nulla la guglia maggiore, così grande, così slanciata, così pesante è stata per secoli l’incubo e il sogno di tutti gli architetti che hanno lavorato al Duomo. Così, dopo che fu terminata la cupola nel 1500 (dopo ben 120 anni di lavoro!), ci vollero più di 250 anni di progetti e calcoli perché la guglia maggiore fosse innalzata, tra il 1765 e il 1769. È ora di scendere e lo faccio dalla parte opposta da cui sono salito, verso meridione. Intorno a me i ponteggi metallici te-

stimoniano che il lavoro sul Duomo prosegue ancora: ci sono sempre restauri da fare e il marmo va costantemente pulito per evitare i danni dell’inquinamento. A “curare” questa meraviglia dell’ingegno umano ci pensa, dal lontano 1386, un ente laico denominato Veneranda Fabbrica del Duomo e il lavoro non manca mai tanto che i milanesi usano l’espressione fabrica del Domm per indicare tutti quei lavori che non hanno mai termine. E il Duomo è veramente una fabbrica sempre aperta… che speriamo non chiuda mai


COLOR zafferano... UN BAVERO

UOMO: “STRIZZATO” TRA JAMES BOND E LE FIGURE DI SALGARI, IN UNA PERENNE NOSTALGICA RICERCA DI UN APPRODO SICURO DOVE LASCIARE RIPOSARE IL SUO SPIRITO NOMADE

Tendenze

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“Aveva un bavero color zafferano e la marsina color ciclamino...” una vecchia canzone parlava di un giovanotto innamorato e di un’eleganza piena di colore e di emozione, come piaceva un tempo. Nostalgia? Certo! Ma, potenza della moda, l’immagine evocata prende vita sulla pedana di Angela Missoni ❺ che, con un caleidoscopio di cromie e sentimento, si diverte a dipingere completi dalla giacca sartoriale e pantaloni con tanto di banda a crochet, in tema con l’immancabile maglioncino della maison. Zafferano (appunto), turchese, lavanda, verdolino, azzurro cielo... in tinta unita, ma anche fusi nei punti tridimensionali, nelle rigature e negli sfiziosi zig-zag del tricot maschile, squisitamente Missoni. Già, perché il Dna non mente. E se nell’aria si respira un richiamo al gusto del bel vestire, a un pizzico di educata ricercatezza, diciamo che ogni Grande Firma di MilanoModaUomo ha anticipato come vestirà “lui” l’estate prossima tramite i suoi storici stilemi. Magari mediati da guizzi contemporanei. Convince in tal senso pure Francesco Martini che per Coveri ❹ manda in sce-

na il ragazzo “energizzato” a tutto-tinte, accese da batterie, pile e lampadine scintillanti a comporre le fantasie delle camicie e dar la carica a una bella stagione che non disdegna short candidi e papillon rosa. Insomma una sublime fusione tra memorie e senso del presente. Iceberg mostra, invece, come un confortevole blazer di maglia sia tutt’altro che banale con l’inserto di piccoli dettagli colorati: una riga, un bordo, un sottocollo coordinati (tocco di dandismo…) ai calzini principe di Galles. Più che ispirazione nel men-

swear Gianfranco Ferrè, c’è ricordo, storia, rispetto nel proporre completi gessati e doppiopetto con maxi revers a lancia, rinfrescati dai materiali ultralight. Non può mancare la camicia bianca e ricamata, tanto cara all’indimenticato stilista-architetto. Il dandy di Carlo Pignatelli è ispirato a James Bond prima maniera, ne riveste il perfetto aplomb di smoking bianchi e neri shining, contornati di camicia papillon e scarpe di lucida vernice. Per gli emuli del seducente agente segreto 007 con licenza di... amare. Almeno si spera.

Le piccole trasgressioni sulla pedana continuano da Prada, che lancia un maschio con l’aria da seminarista, strizzato in rigorosi completi in grisaglia. Addirittura si “preserva” dal male con un trench in lattice portato a pelle. Più che in odore di santità il belloccio di Krizia è in sintonia con le nuove pulsioni ecologiche. Così si aggira nei boschi e luoghi incontaminati con capi nonchalance in varie gradazioni di verde botanico. Ma è Giorgio Armani ❶ con una collezione Emporio di un’mpronta decisa


INDIAN SUMMER

❹ che suggella il rappel à l’ordre annunciato. Ragazzi sani e tosti scelgono abiti in una sinfonia di blu, il vezzo di una T-shirt dallo scollo a cratere, l’aquilotto-logo disegnato sul petto che occhieggia sotto la giacca, i calzoni morbidi, spesso ripresi in fondo per esaltare i polpacci scolpiti dallo sport. E giacca sia... nell’omonima linea clou il capospalla (quasi) formale, avvitato ed un po’ più corto, crea un nuovo equilibrio con i pantaloni in seta lieve che ricordano i jodhpurs indiani e i sarong malesi, bassi di cavallo, trattenuti in vita da una cravatta, mentre sulle spalle c’è una languida sciarpa. Insomma un mix di attitudini e scambi tra Oriente e Occidente

Tendenze

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» di Marisa Gorza

A passage to India lo compie anche l’uomo che veste gli inappuntabili completi di Ermenegildo Zegna in lino bianco avorio, come pure in fresche stoffe cool effect in sfumature “sfinite” dal sole che evocano i toni sabbia delle spiagge vulcaniche, il marrone del tabacco, il rosa e il giallo di certe fioriture. Kean Etro ❷ ❸ intanto sogna la Malesia di Salgari con Sandokan, Yanez e i Tigrotti di Monpracen in passerella. Tutti in calzoni tipo pigiama e vestaglia di fluida seta stampata nelle tipiche virgole paisley, camicie grondanti jabots, fasce in vita e cappelloni in paglia. La smania di viaggiare – anche solo virtualmente – è dilagante, per incontrare il nuovo, il diverso e accoglierlo come un regalo che amplia la mente. Roberto Biagini guarda al Brasile, alla sua allegria, alle sue tradizioni, alle coste del mare infinito e alle città frenetiche che la sera si riempiono di luci e di folclore. Canape e lini immacolati per il giorno e gessati pieni di ritmo di samba e di colore per la notte promettente. La musica cambia da Dean e Dan Caten, i gemelli che disegnano il marchio Dsquared, dove ragazzi di colore danzano una frenetica break dance in completi slim lucidissimi e dalle spalle impostate. L’Harlem dei Sessanta esce finalmente e allegramente dal ghetto. Siamo o non siamo in tempi in cui un affascinante afroamericano come Obama potrebbe diventare presidente? La moda è sempre più nomade, tant’è che gli abiti concettuali di Romeo Gigli, sostanzialmente di scuola napoletana, hanno quel tocco di ricercatezza che piaceva ai mod britannici e sono azzimati come i completi di un tanguero argentino, inoltre tecniche giapponesi creano effetti origami. Insomma l’alternativa al formale reinventato sta nella fuga verso lidi esotici. L’Africa in primis che Roberto Cavalli coglie dai tramonti magici, dai fiori giganti e dai mantelli delle belve per poi trasformare ogni dettaglio in stampe che diventano jeans, foderano lo smoking, appaiono sulla sahariana da esploratore un po’ hippy. I ragazzi di Frankie Morello diventano invece protagonisti di un toy-safari con tarantole, scimmiette e pitoni di peluche che si arrampicano sulla testa e si appendono alla T-shirt e ai bermuda mimetici. Sono gitani i ganzi di Vivienne Westwood, tutti ciondoli e catene, gilet e camicie a fiorellini, bragone stazzonate dal viaggio in carrozzone. Capelli lunghi, tatuaggi, denti d’oro e l’aria tra il romantico e il malandrino. “È una minoranza etnica di cui la gente sa troppo poco”. Ma visti i tempi e gli eventi che si succedono nella vicina penisola, la polemica si innesca...


Ghideone, il piccione del Duomo Non

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è una leggenda, un’invenzione, un quaqquaraqquà da galline in pausa covo. È tutto vero: fra noi piccioni c’è una stirpe di immortali. E io sono uno di questi. Un piccione highlander, per intenderci. È difficile da credersi? E perché mai? Voi umani credete a tante di quelle fesserie... Scusatemi: prima di darvi dei fessacchiotti – magari – dovrei presentarmi. Mi chiamo Ghideone, Ghideone l’immortal piccione del tetto del duomo di Milano. Come ogni milanese – l’avrete capito – sono un filo altezzoso e sgarbato. Sono nato al tempo di Gian Galeazzo Visconti, Duca di Milano, uomo ambizioso e pieno di talento per la conquista e la tortura dei nemici. Nell’anno 1386 – lo stesso anno della mia nascita – Galeazzo diede il via ai lavori per la costruzione a Milano di un gigantesco duomo dedicato alla Madonna. Oggi, a 622 anni da allora, comincio ad avvertire una certa malinconia per il passato, cosa che, nella mia vita di immortale, tutta tesa al futuro e alla trasformazione, davvero ancora non avevo sentita. Non sono nato a Milano, sono nato a Pavia, in cattività, nelle immense (mai quanto il cielo, o Piazza del Duomo) voliere ducali, fra centinaia di miei simili, tutti col comune destino di finire abbrustoliti serviti per pranzo alla famiglia Visconti, fra mirtilli e castagne, cosparsi di una salsa – ancor medievale – poco digeribile e di oscura ricetta anche per il cuoco. Sono stato liberato grazie al fortuito caso di una graditissima – così è la vita – peste bubbonica, che s’è abbattuta in Lombardia portandosi via metà della popolazione, casato visconteo e servitori compresi. Metà di noi piccioni venne liberata dal figlio del nostro burbero carceriere e sgozzatore – il piccionaro Pautasso – che, agonizzante e in delirio da febbre, terrorizzato dalla morte imminente, in cerca di un atto di pietà che lo riscattasse agli occhi del suo Signore (e non parlo di Galeazzo, ma del Signore Iddio), diede ordine al figlio di liberarci tutti. Ma il figlio – cautamente – temendo la ritorsione a legnate del suo Signore (il Galeazzo, in questo caso), optò per una via di mezzo, aprendo 4 gabbie su 8. Si prese la metà delle botte (bastanti ad azzopparlo a vita), mentre il padre finì in purgatorio, o così tutti pensarono, cercando di sorridere di un dramma almeno. Mentre io, con la metà fortunata dei miei fratelli piccioni, da Pavia, ci involammo verso Milano, in cerca di fortuna, stoicamente, ormai abituati all’uomo e al suo caratteraccio sempre in bilico fra bontà di cuore, cattiveria manesca e l’orripilante fame di carne arrosto. Nei secoli, noi piccioni s’è subita una lenta trasformazione. Da buoni selvaggi, ci siamo trasformati in uccelli postali addomesticati (o succulente prelibatezze), e, in più o meno civili, cittadini tutta prole e niente cervello. Abbiamo preso per habitat la vita umana ammassata e poco organizzata delle città, e oggi siamo tanto brutti, spennacchiati, zoppi e sporchi quanto tristi, desolate, inquiete e inquinate sono le città. La mia casa è qui, sul tetto del duomo. Ci siete mai venuti?

Molti di voi immagino di sì. È qualcosa di davvero spettacolare, da vedersi. Condivido casa mia con un sacco d’altri uccelli – spilli anti piccione permettendo –. Figurarsi, il tetto della casa del Signore è di tutti. A parte di chi non ha sette euro o le ali, oppure di coloro che temono gli ascensori incastrati fra tonnellate di blocchi di marmo. Giacché immortale, e siccome voi umani avete tutto un vostro modo di vedere l’eccezionalità – come qualcosa di luccicante, al pari delle gazze – immaginerete che, casa mia, il mio nido (per così dire), sia là, sulla più alta guglia della foresta di guglie, statue, archi rampanti e spilli, laddove è sita la Madunina d’ora (4 metri e venti, la picinina). E invece no. Abito più in basso, dalla parte della Rinascente, ai piedi di un santo che fissa nello strapiombo le teste dei passanti. È il Santo Negro, il leggendario, almeno per me, Santo Negro. Alto 124 centimetri, un nanerottolo, in confronto agli Evangelisti. Nel 1524, quando per tutta Italia il trio Da Vinci, Michelangelo e Raffaello, aveva gettato le basi di una modernità fin da subito classica e massimale, giunse a Milano, a prestar servizio alla Fabbrica del Duomo come scultore, un certo boemo, a nome Boghumilo l’Orrido, così chiamato perché, oggettivamente, orrido. Brutto e torvo, Boghumilo non spiccicava mezza parola se non ululati al creatore quando si martellava le dita. Faceva il suo lavoro la notte, prendendosi le maledizioni di chi, fra i ponteggi del cantiere, cercava di dormire. Tutti quanti ridevano delle sue cose, così arcaiche, rigide, astratte. Ma Boghumilo teneva in scacco – non si sa con quale sortilegio – il capocantiere. Lavorò per quasi due anni a questo santo di 124 centimetri. E a chi gli chiedeva “Chi è quel Santo, che non riesco mica a riconoscerlo… sembra un tronco d’albero, chi è, San Tronco?”, egli candidamente (per quanto orrido) e per niente impaurito dalla facilità con la quale si infamavano allora le persone davanti alla santa inquisizione, rispondeva: “Mì! Sun mì!”. La sua statua venne piazzata qui, dov’è tutt’ora. Piuttosto imboscata, fra le centinaia di altre statue, su una guglia fra le più appuntite e spinose (anch’essa opera del Boghumilo), visibile solo dal quinto occhiello del parapetto sinistro (per voi, che non sapete volare). Il Santo Negro, è così chiamato perché negro di fatto, nero, scuro come la pece. Io dormo appollaiato ai suoi piedi da ormai cinque secoli, mi sento bene vicino a lui, che col tempo s’è fatto ancor più orrido e sporco. Cinquecento anni di storia – una roba zozza – una pellaccia di fuliggine, polvere e malattie aeree. Ultimamente sto facendo pensieri strani – amici miei – e non mi basta più planare da qui a laggiù, sulla testa di Vittorio Emanuele a scacazzarla, per riuscire a liberarmi da quest’ansia vaga, afosa, che questi miei pensieri mi danno. Penso sempre più spesso che, da immortale che sono, mi piacerebbe – come il mio Santo Boghumilo – rinunciare a volare per stare immobile, anche con la testa (difficile per un piccione), e aspettare, fissando il vuoto, aspettare che qualcosa di nuovo succeda, che il cantiere riapra forse, che questa calma, questa conservazione linda della pace cessi. Forse anche gli immortali invecchiano, e diventano statue. Ma è solo perché stanno fermi, ad aspettare.

» di Tony Loyola

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Grazie al transito di Venere questa settimana di luglio potrebbe tinteggiarsi di rosa; grandi occasioni di svago per i nati della seconda decade. Se siete della terza decade state attenti ai disguidi familiari. Energia in crescita per i nati di marzo.

Molti contatti di lavoro contraddistinti da un soprapporsi continuo di nuove comunicazioni. Cercate di non farvi fuorviare da chiacchiere inutili e puntate ai vostri obiettivi. Stanchezza e malumori tra il 24 e il 25 luglio provocati da una “luna storta”.

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Marte in quinta casa vi stimola a sperimentare nuove situazioni erotiche, rispetto alle quali vi sentirete sempre più intraprendenti. Se una persona vi piace farete di tutto per farla vostra. Successi professionali per i nati della prima e seconda decade.

Una situazione affettiva potrebbe distogliervi dal raggiungimento di un vostro obiettivo personale. Momenti di stress e di inquietudine potrebbero essere causati dal transito lunare del 20. Indolenza e pigrizia per i nati della seconda decade.

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Momento di verifiche e di bilanci per i nati di maggio. Cambiamenti improvvisi per i nati della terza decade colti da nuovi interessi. Momenti di passioni e gelosie per i nati della seconda decade iperstimolati dal doppio transito di Venere e Marte.

Mentre Marte angolare tende ad accrescere il vostro nervosismo e la vostra irascibilità, Venere controbilancia, acquietando gli animi. Evitate gli scatti di rabbia nell’ambiente di lavoro. Organizzate una uscita romantica in compagnia del partner.

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Intensificazione delle comunicazioni per i nati della terza decade. Durante la settimana i vostri interessi tenderanno a centuplicarsi e così anche i vostri contatti. State attenti a non stressarvi troppo e tenete la lingua a freno.

Problemi di comunicazione con il partner per i nati della terza decade. Prima di iniziare una discussione cercate di comprendere le ragioni del vostro compagno. Non esasperate i giudizi: a breve ogni cosa tornerà a ridimensionarsi.

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Venere transita nel vostro segno, Marte attraversa la vostra seconda casa solare. Questo aspetto potrebbe portare a una intensificazione della vostra vita amorosa e a una serie di spese mirate a una decisa affermazione della vostra immagine.

Siete difatti sotto l’azione di una edonistica Venere in Leone: avete tanto bisogno di coccole e cercate qualcuno che finalmente vi riconosca le vostre qualità… Non compensate le vostre carenze affettive con una scorpacciata di “cose dolci”.

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Marte e Saturno di transito nel vostro primo decano vi rendono particolarmente determinati nel raggiungimento dei vostri obiettivi, oltre che implacabili nella eliminazione di tutto ciò che potrebbe rivelarsi superfluo. Riconoscimenti professionali per i nati della seconda decade.

Calo di energie per i nati della seconda decade, da tempo sotto l’azione di Marte. Cercate di non sprecare tutte le vostre forze in inutili competizioni con soci e partner. Focalizzate i vostri reali obiettivi. Riconoscimenti professionali per i nati della seconda decade.

Elemento: Fuoco - fisso Pianeta governante: Sole Relazioni con il corpo: cuore, sistema cardiocircolatorio Metallo: oro Parole chiave: potere personale, energia vitale, fierezza, forza

Quinto segno dello Zodiaco, il Leone è la sede del luminario dispensatore di luce e vita, il Sole. Mentre il Cancro, da cui questa settimana stiamo uscendo, è dominato dalla Luna e simboleggia l’inconscio e il mondo interiore, il Leone rappresenta il passaggio al conscio, all’Io-sé. Ai due luminari fa riferimento anche il primo libro della Genesi: “Siano dei luminari del firmamento del cielo per distinguere il giorno dalla notte, e siano segni per giorni, anni e stagioni… Dio fece due grandi luminari: il maggiore per presiedere il giorno e il minore per governare la notte”. Il Sole, astro centrale del nostro sistema planetario, simboleggia il centro dell’uomo, il nucleo vitale della personalità, l’espansione dell’energia vitale attraverso il cosmo. Del resto, un po’ in uttte le mitologie e le tradizione simboliche e iconografiche, il leone è il simbolo della potenza soggettiva spesso connessa all’affermazione del principio vitale maschile. Riconducibile al principio di vita che C.G. Jung, chiama animus, esso simboleggia l’impulso umano ad agire e ad affrontare l’esperienza della realtà e del mondo. Forza dominatrice, potere, giustizia, legge sono infatti tutti elementi riconducibili al segno. Personalità forti e travolgenti, contrassegnate dalla tendenza a coinvolgere gli altri sulla base delle proprie esperienze, i nati nel Leone, nella costante ricerca dell’eccellenza, si trovano spesso attanagliati dal proprio stesso ego. La volontà di emergere e di affermarsi come personalità dominanti rappresenta infatti il loro limite che può portarli a travalicare in comportamenti egoistici e nell’incapacità di cogliere le reali potenzialità del prossimo.

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Il Sole transita nel segno del Leone dal 23 luglio al 23 agosto

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» a cura di Elisabetta

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“ … il sole che sorge allegro e forte”

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Âť Illustrazione di Adriano Crivelli


IN PALIO 5 buoni per un massaggio da Fr. 75.-

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Tra coloro che invieranno la soluzione della frase-chiave verranno estratti 5 buoni per un massaggio da Fr. 75.offerti da: Giorgio Migani, massaggiatore. 1

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Indovina… dove siamo?

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1. Noto romanzo di Hammet da cui è tratto il film diretto da Houston • 2. Tomba monumentale • 3. Misure di superficie agrarie • 4. Pronome personale • 5. Mogi, mesti • 6. Cifra imprecisata • 7. Il gemello di Giacobbe • 8. Radio Svizzera • 9. Trasparenti come il vetro (f) • 13. Ebbe la moglie tramutata in statua di sale • 17. Tentennante, arrendevole (f) • 19. Est-Ovest • 20. Cuor di cane • 27. Smarrite • 30. Il Nuovo Continente • 33. Uno detto a Londra • 34. Consonante in stuoia • 35. Il nome di Nazzari • 36. Nel bel mezzo della balera • 37. Indifesi • 39. Ne ha tanti Matusalemme • 44. Gigaro • 45. Attraversa Berna • 47. Pari in losca.

Inviate una cartolina postale con la soluzione entro giovedì 24 luglio a: Ticinosette, Concorso Migani, Via Industria, 6933 Muzzano.

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Le soluzioni verranno pubblicate sul numero 32.

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1. Gli insetti come le api e le formiche • 10. Parte del perimetro • 11. Fulva • 12. Leggerezza, frivolezza • 14. Simili ai DIN • 15. Rosa nel cuore • 16. Cantone svizzero • 18. Una delle Goggi • 21. Prep. semplice • 22. La prima delle nove Muse • 23. Incapace • 24. Dittongo in poeta • 25. Negazione • 26. Norvegia e Portogallo • 28. Mezza cena • 29. Dubitativa • 31. Mira al centro • 32. Un profeta • 35. Meglio noto con il nome... • 38. Adagio, adagio • 40. Il numero perfetto • 41. Nord-Est • 42. Spagna e Austria • 43. Dittongo in reità • 44. Stato nei Pirenei • 46. Rifiuti radioattivi • 48. Il nome della Martini • 49. Il mitico re di Egina • 50. Detestar.

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Schema realizzato dalla Società Editrice Corriere del Ticino

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La soluzione a Epigoni è: Dio, il Diavolo e la Mosca nel grande caldo dei prossimi mille anni di Sebastiano Vassalli (Einaudi, 2008).

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“Carì; vista aerea da sud”.

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Soluzioni n. 28

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I vincitori del Concorso Migani del n. 26: Giacometti Sirio, Minusio; Ramelli Laura, Grancia; Rossettio Cinzia, Bellinzona; Scaroni Comotti Alda, Gordola; Strozzega Chiara, Agarone.

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*Risultato del sondaggio rappresentativo «MOST TRUSTED BRAND» di Reader’s Digest.


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