Ticino7

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№ 11 del 14 marzo 2014 · con Teleradio dal 16 al 22 mar.

TaTiana crivelli

Quale futuro per l,italiano in Svizzera? a colloquio con una delle maggiori studiose della nostra lingua

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Ticinosette n. 11 del 14 marzo 2014

Impressum Tiratura controllata 66’475 copie

Chiusura redazionale Venerdì 7 marzo

Editore

Teleradio 7 SA Muzzano

Redattore responsabile Fabio Martini

Coredattore

Giancarlo Fornasier

4 Arti Aldo Busi. Scrittore senza romanzo di Marco alloni .......................................... 8 Kronos Diario cretese, prima parte di FranceSca rigotti............................................ 9 Media Alessandro Ongaro. Un ticinese d’effetto di nicoletta Barazzoni .................. 10 Vitae Sarah Rusconi di gaia griMani ....................................................................... 12 Reportage Con lo sguardo verso l’alto di Martina rezzonico; Foto di Peter Keller ... 37 Graphic Novel I fatti degli altri di cordeliuS & denver deSSert ............................... 42 Mostre Fotografia. Eve Arnold: l’arte degli opposti di JacoPo Bianchi ...................... 43 Tendenze Fragranza. Profumo di donna di MariSa gorza ...................................... 44 Svaghi .................................................................................................................... 46 Agorà Tatiana Crivelli. Italiano, lingua dinamica

di

Silvano de Pietro ........................

Photo editor Reza Khatir

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs

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In copertina

Tatiana Crivelli Fotografia ©Sabine Biedermann

Scuola: parola di docente Ho letto la risposta della professoressa Daniela Tazzioli (“Scuola: quali obiettivi?, Ticinosette n. 8/2014, ndr.). (...) Per essere in grado di esprimere un giudizio minimamente legato alla nostra realtà, la professoressa dovrebbe conoscere il “Lehrplan 21” relativo ai cantoni germanofoni e il “PER”, relativo ai cantoni francofoni, nonché i “Piani di studi della scuola dell’obbligo” ticinesi. Metto in dubbio questa sua conoscenza, non fosse altro per il fatto che nei tre testi non si parla più di obiettivi, bensì di competenze. (...) È interessante apprendere che in Italia gli insegnanti si limitano a un consiglio orientativo il che tiene conto di vari criteri; di pari interesse sarebbe conoscere come questi insegnanti riescano a disquisire, su attitudini, talenti e aspirazioni. Sorvoliamo sul fatto che la nota in una disciplina rappresenta la media aritmetica delle valutazioni conseguite in un dato periodo (eventualmente), e non una somma: ciò che infastidisce nel discorso è il fatto che si parli ancora di materie principali, come se avessimo materie di “serie A” e discipline di “serie B”.(...) In Ticino è dal 1972, con l’avvento della scuola media, che non esiste più il distinguo tra materie definite “normali” e “speciali”! Per quanto concerne le passerelle, per saperne di più, basta chiedere alla Divisione scuola del canton Ticino; comunque nessuno ha mai detto che questo passaggio sia indolore e agevole. Sono invece convinto che ad approfittarne siano proprio le classi sociali socialmente ed economicamente meno privilegiate. Proprio per il loro stato sociale questi allievi sono indotti a cercare di lavorare il prima possibile per portare a casa qualche franco, scoprendo i vantaggi dello studio, solo in seconda (terza) battuta. La professoressa, nel secondo paragrafo della seconda parte dell’articolo, ritorna a battere il tasto della cultura umanistica provando a

spiegare cosa significhi per lei. In primis, in Ticino i licei sono cinque e nessuno ha un indirizzo particolare: è lo studente a scegliere il suo curricolo in funzione delle sue attitudini, del suo (suoi) talento/i e delle sue aspirazioni per il suo futuro; in tutte e cinque le “strade” è possibile ottenere la maturità, una volta definita classica, con latino e greco. Ancora una volta, a torto, si mescola quello che avviene al sud delle Alpi con il resto della Svizzera e/o viceversa. (...) Alla domanda del terzo capoverso, ovviamente non si può che rispondere con un secco no: una scuola che “sforna” solo dei pecoroni acritici, non adempie il suo dovere. Tuttavia non basta scriverlo, occorre dimostrare che il nostro sistema non dà degli strumenti critici per interpretare la realtà. Per quel che vale, i risultati dell’ultimo sondaggio PISA dimostrano invece come il sistema italiano non dia i risultati auspicati nelle discipline umanistiche, meno ancora in quelle scientifiche. Cito dal rapporto del ministero dell’istruzione italiano): “(...) I risultati medi in lettura sono inferiori alla media OCSE e sono rimasti stabili tra il 2000 e il 2012”. Nel rapporto è ancora possibile leggere: “In Italia il 17% degli studenti quindicenni ha dichiarato di aver ripetuto almeno un anno scolastico, rispetto a una media OCSE del 12%”. La “famigerata” selezione non esiste? Siccome in Italia i docenti valorizzano i loro allievi, dal rapporto si apprende che “la percentuale di studenti che ha dichiarato di essersi assentata da scuola è tra le più alte di tutti i paesi e le economie che partecipano all’indagine PISA”. Dal rapporto si evince inoltre che il sistema italiano è globalmente valutato con una “media significativamente inferiore alla media OCSE”, mentre quello svizzero con “una media significativamente superiore alla media OCSE” (...). Cordialmente, F. A (insegnante), R. S. Vitale


Italiano, lingua dinamica Tatiana Crivelli. “Nel panorama internazionale, l’italianistica in Svizzera ha un suo profilo particolare e molto stimato. Ogni sette anni veniamo esaminati da commissioni di esperti internazionali, che nel 2011 hanno valutato il nostro come uno degli istituti al mondo più interessanti per infrastruttura, didattica e ricerca” di Silvano De Pietro; fotografia ©Sabine Biedermann

L

a pacata puntualizzazione riportata sopra citata non dissimula il legittimo orgoglio con cui la professoressa Tatiana Crivelli, ordinaria di Letteratura italiana presso il Romanisches Seminar (Istituto di lingue romanze) dell’università di Zurigo, rivendica il successo del suo lavoro. Un successo fondato in gran parte sul ruolo centrale, quasi di cerniera che questa cattedra ricopre tra lo studio della lingua e della letteratura italiana in Italia e quello prodotto nel resto del mondo.

Agorà 4

Un profilo di tutto rispetto Tatiana Crivelli è nata a Lugano da una famiglia che vive a Cureglia ma è originaria di Novazzano. Dopo essersi laureata in Lingua e Letteratura italiana all’università di Zurigo con una tesi su Giacomo Leopardi, ha trascorso periodi di studio a Padova e negli Stati Uniti per preparare il suo dottorato, conseguito nel 1992 con un poderoso volume che raccoglie le Dissertazioni filosofiche di Leopardi. Da lì ha preso avvio la sua carriera accademica, sia come assistente e docente incaricata, sulle orme del professor Ottavio Besomi, all’università come al politecnico federale di Zurigo, sia come studiosa e ricercatrice in stretto contatto con sedi universitarie estere tra Europa e America. Autrice di una cinquantina (finora) di pubblicazioni, tra monografie, saggi e articoli, Tatiana Crivelli ha ottenuto nel 2000 la libera docenza con uno studio dedicato al romanzo italiano del secondo settecento; proseguendo poi con soggiorni di studio e d’insegnamento tra Roma, Firenze e Chicago (quale visiting professor alla university of Michigan). Dal 2003 al 2010 è stata docente straordinaria e dal 2010 è docente ordinaria di Letteratura italiana all’università di Zurigo. In quanto membro del comitato scientifico che presiede la cattedra di Lingua e Letteratura italiana del politecnico federale, è anche “custode” della prestigiosa tradizione che si richiama a Francesco De Sanctis, a Giuseppe Zoppi, a Guido Calgari, a Dante Isella e a Ottavio Besomi. Dell’autorevolezza e del ruolo internazionale dell’italianistica zurighese parla, tra l’altro, anche il fatto che dal 23 al 25 maggio di quest’anno si terrà a Zurigo il congresso annuale della American Association of Italian Studies. È un evento di notevole importanza per gli studiosi di italiani-

stica che s’incontreranno, provenienti un po’ da tutto il mondo, nella città sulla Limmat. Ed è la prima volta che un tale appuntamento non avviene negli Stati Uniti o in Italia. Il merito dell’iniziativa va in gran parte alla professoressa Crivelli, che ne sta preparando i contenuti scientifici e spiega così il contributo agli studi di italianistica della sua e delle altre cattedre fuori d’Italia: “È fondamentale. Le nostre relazioni con l’Accademia italiana sono reciprocamente molto fruttuose perché veniamo da sistemi accademici diversi: noi portiamo una strutturazione degli studi che favorisce l’interdisciplinarietà, e loro ci danno la tradizione. La dimostrazione dell’utilità reciproca sta proprio nelle attività comuni: noi siamo spesso implicati nelle loro e loro nelle nostre. In Svizzera offriamo curricula di studi che, diversamente da quanto avviene in Italia, coinvolgono per esempio sempre letteratura e linguistica e la combinazione di più materie. Del resto, siamo in un paese plurilingue e, trovandoci al centro dell’Europa, abbiamo la possibilità di inglobare direzioni di studio che invece nelle università italiane non trovano spazio”. I buoni maestri Come sia arrivata a questo livello di competenza accademica, Tatiana Crivelli lo spiega con la sua inclinazione giovanile alla lettura. “Già da piccola, è stata sempre la mia passione”, afferma rievocando gli anni delle elementari a Cureglia, del ginnasio a Savosa e del liceo a Lugano. “C’è chi se ne ricorda”, racconta. “Una volta, nel corso di un’intervista alla Radio della Svizzera italiana, Nicola Colotti, già mio compagno di ginnasio, mi disse: «Mi ricordo che dicevano di te che leggevi un libro al giorno». Una cosa, questa, che avevo assolutamente rimosso. Però già da piccola, in famiglia, siamo sempre stati abituati alla lettura, mia madre ci leggeva le favole… Per me è sempre stata una relazione molto stretta quella con il libro, che mi apriva mondi particolari. E l’ho sempre mantenuta. Sono ancora adesso una lettrice onnivora: non leggo solo cose che riguardano il mio lavoro”. Ma la spinta allo studio della letteratura e dell’italiano “alto” da dove le è venuta? Credo che gli insegnanti siano determinanti nel percorso scolastico di tutti. Quelle e quelli che ho incontrato io hanno sicuramente incentivato questa mia passione. Studiare italianistica (...)


AgorĂ 5

La professoressa Tatiana Crivelli


“Per quanto riguarda l’italianità, siamo in una situazione straordinariamente fertile: abbiamo relazioni con innumerevoli associazioni culturali, che rappresentano il Ticino, i Grigioni e l’Italia in tutta la sua varietà, e rispecchiano la diversità e l’eterogeneità dell’emigrazione dal punto di vista culturale, politico, regionale ecc., e con le quali si riescono a tessere discorsi interessanti” è stata invece un’esperienza molto arricchente da tanti punti di vista, e l’ho fatta proprio qui a Zurigo. E poi per me è stato fondamentale l’incontro con l’ambiente degli studi americani, dove ho scoperto un modo di guardare alla letteratura molto diverso rispetto a quello che abbiamo noi, più aperto verso gli studi culturali in senso lato. Questo è un approccio che si può giudicare positivamente o negativamente, ma che in ogni caso permette di porsi domande sul senso, sull’attualità, sulla valenza culturale del testo letterario, quindi anche di attualizzarlo in maniera un po’ diversa rispetto a quella che è invece la nostra tradizione europea.

Agorà 6

Detta così, sembra una cosa molto interessante, avvincente… Diciamo che fa da ottimo “pendant” a quella che è la nostra formazione più specifica, la quale naturalmente fornisce strumenti indispensabili, ma che può essere completata dall’apertura verso gli studi culturali. Per me è importante curare questo aspetto metodologico, non evitando di restringersi a un unico punto di vista, e da tale decisione dipende anche la scelta dei miei ambiti di studio specifici. La “letteratura delle donne” Quando parla di ambiti di studio particolari, Tatiana Crivelli intende soprattutto la letteratura delle donne, spesso dimenticate o poste in secondo piano dalla tradizione accademica. Vi ha dedicato e continua a dedicarvi gran parte delle sue ricerche. Sicché la domanda sorge spontanea: Professoressa Crivelli, che cosa ha scoperto delle donne scrittrici che va al di là dei pregiudizi e anche dell’ignoranza nei loro confronti? Per me sono un territorio quasi interamente da esplorare. C’è in primis una coincidenza che mi riguarda direttamente perché sono donna, e anche dal punto di vista della mia carriera accademica ho dovuto confrontarmi con alcune situazioni particolari. Per esempio, sono stata la prima donna ad avere un ordinariato nella storia di questo istituto. Questo significa in concreto che il mio essere donna mi viene ricordato dalle situazioni quotidiane (per esempio, dalle riunioni dove sono presenti prevalentemente colleghi maschi; ma ricordo anche che, quando sono arrivata qui, nell’elenco delle letture obbligatorie per gli studenti e le studentesse non c’era nemmeno un nome di autrice…). Tuttavia per me questa attenzione significa soprattutto allargare il campo di studio ad aspetti che ancora non sono stati valutati. Così si scopre che nemmeno le grandi figure del canone letterario nascono dal nulla, ma crescono invece su un territorio fatto di esperienze diffuse, che costituiscono il tessuto culturale con cui ci si confronta. E le donne sono una parte fondamentale di

questo tessuto, anche se, per ragioni storiche, hanno avuto molte più difficoltà ad accedere alla pubblicazione, alla notorietà, e in generale allo spazio pubblico. Non per questo, però, la loro scrittura non è esistita: è semplicemente non registrata. Del resto possiamo anche vantare figure di altissimo valore: per esempio, ora mi sto occupando di Vittoria Colonna, grande poetessa del Rinascimento, la prima autrice donna che abbia pubblicato un canzoniere con il proprio nome. L’italiano e Zurigo. Come giudica la professoressa Crivelli l’attenzione degli zurighesi verso l’italianità? Zurigo è una città che amo veramente, perché è stimolante, ricca di cultura, vivace come una vera metropoli, ma nello stesso tempo assolutamente vivibile. Per quanto riguarda l’italianità, siamo in una situazione straordinariamente fertile: abbiamo relazioni con innumerevoli associazioni culturali, che rappresentano il Ticino, i Grigioni e l’Italia in tutta la sua varietà, e rispecchiano la diversità e l’eterogeneità dell’emigrazione dal punto di vista culturale, politico, regionale ecc., e con le quali si riescono a tessere discorsi interessanti. Mi pare significativo che a Zurigo si possa studiare in italiano dall’asilo fino alla maturità (oltre alle materne e alle medie ci sono due licei bilingui) e poi si possa proseguire all’università. Ogni anno organizziamo, insieme a tutte queste associazioni, il programma di manifestazioni culturali “Zurigo in italiano”. Però al politecnico la figura del docente fisso di lingua e letteratura italiana è stata sostituita con quella dei “Gastdozenten”, i professori ospiti… Questo è un fatto che viene presentato sempre in termini negativi. In realtà, la decisione originaria, che andava nella direzione dell’abolizione della cattedra, è poi stata ripensata, proprio perché si è capito, grazie anche a pressioni politiche e culturali, che l’importanza dell’italiano non poteva essere sottovalutata in una scuola federale. La formula attuale (ma la mia è certo un’opinione di parte, perché sono membro della commissione scientifica di questa nuova cattedra) è una soluzione molto interessante, che sta dando frutti molto positivi. Le docenti e i docenti ospiti, che insegnano a Zurigo per un semestre, naturalmente hanno una funzione diversa rispetto al cattedratico tradizionale. Del resto, non va dimenticato che nemmeno la struttura originaria era pensata perché ci si potesse laureare in lingua e letteratura italiana al politecnico: i corsi sono sempre stati offerti per garantire una formazione complementare e ampliare le competenze degli studenti e delle studentesse. E questa finalità è mantenuta anche oggi. Le lezioni sono sempre in italiano, riguardano la cultura, la storia, i rapporti con la scienza ecc., e stanno riscuotendo un enorme successo. Sulla


storia di questa cattedra è appena uscito un mio articolo sulla rivista online “Between” (ojs.unica.it/index.php/between/ article/view/1044). L’italiano, si dice, è in crisi. L’interesse è calato anche tra gli studenti? Con il termine di crisi dell’italiano non si indica, credo, un problema nuovo. Se è vero che in Svizzera è diminuito il numero dei parlanti italiano, perché nel corso degli anni è calato l’effetto del grande flusso migratorio, è anche vero che il numero dei parlanti, da qualche tempo, risulta piuttosto stabile. Il discorso è diverso invece riguardo alle cattedre di italianistica: è chiaro che se, in seguito a scelte politiche, l’italiano nei licei viene insegnato di meno, ci sarà anche un minore interesse a prepararsi, a livello universitario, alla professione dell’insegnamento. È quindi importantissimo mantenere viva l’attenzione verso l’italiano fuori dal canton Ticino. Poi c’è la questione del prestigio dell’italiano che, anche in relazione alle recenti vicende politiche e culturali dell’Italia, si è un po’ modificato nel tempo. Occorre promuovere un’immagine dell’italiano non più soltanto come lingua di cultura “museale”, ma anche come lingua capace di comunicare valori culturali dinamici. Ma perché un giovane ticinese, dopo la maturità, volendo studiare lingua e letteratura italiana dovrebbe scegliere Zurigo invece di iscriversi all’Usi o a Milano o a Pavia? Questa domanda me l’ero già fatta io quando ho cominciato i miei studi. La mia risposta allora era stata: volendo lavorare

in Svizzera (allora non avevo ancora preso in considerazione la carriera accademica), mi sembrava importante rimanere a contatto con le altre lingue nazionali e avere una formazione più connessa alle nostre esigenze di paese plurilingue. Se è vero che l’ampiezza dell’offerta didattica, la tradizione delle sedi accademiche e la fama dei docenti – tutte cose in cui l’Italia eccelle – sono importanti, non bisogna dimenticare però altri aspetti. Sul piatto della bilancia vanno purtroppo messi anche i grossi problemi infrastrutturali dell’accademia italiana. Venire in un’università come quella di Zurigo, dove, oltre alla qualità della ricerca e dell’insegnamento, sono garantite ottime infrastrutture, e dove si è seguiti con costanza nel corso degli studi, è comunque qualcosa che facilita il progresso negli studi. Come giudica l’italiano parlato in Ticino? Non giudico. Perché la grande varietà con cui la lingua italiana viene parlata è una delle cose più belle di cui disponiamo. L’italiano che viene parlato in Ticino è una delle molte varietà regionali che rendono affascinante questa lingua. La cosa che la scuola dovrebbe fare, secondo me, è rispettare e dare piena cittadinanza a queste varietà linguistiche, insegnando però che fuori da una determinata area quell’italiano non viene più capito, quindi che c’è un sinonimo, l’italiano standard, che si usa quando si esce dal proprio territorio. Io questo l’ho imparato proprio qui, dalle lezioni di Gaetano Berruto, grande linguista che ha insegnato a Zurigo quando io vi studiavo, e mi sono liberata anche di molti complessi che come parlante ticinese mi portavo dietro.

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Scrittore senza romanzo Si può essere un ottimo scrittore e un modesto romanziere? Non sono il primo a pormi la domanda né il primo a rispondere affermativamente. Come esistono ottimi romanzieri ma modesti scrittori, esistono scrittori di grande sapienza stilistica ma di scarsa qualità romanzesca di Marco Alloni

Un

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dato che caratterizza il romanzo riuscito è quello di veicolarlo secondo ed entro stili e strutture adeguate. che potremmo chiamare, in una parola, l’equilibrio: una Di questa categoria fa parte quella letteratura del dilettangiusta consonanza fra qualità del linguaggio e struttura tismo che presume il contenuto inscindibile dalla forma: del racconto. Rarissimi casi ci propongono una perfet- vizio opposto ma speculare a quello della letteratura edita sintesi fra i due. Più generalmente siamo di fronte a toriale che viceversa presume di poter confezionare ad arte un bel libro dal linguaggio discutibile o a un’opera di opere di qualche pregio solo perché addobba il proprio grande pregio stilistico ma debole sul piano strutturale. contenuto, inconsistente ed effimero, in una forma di scorPer precisare meglio cosa intenrevole e gradevole lettura. La diamo con romanzo perfetto o maggior parte della letteratura capolavoro dobbiamo considecontemporanea italiana apparrare i due aspetti appena mentiene a quest’ultima categoria. zionati: la lingua e la struttura. Libri concepiti a tavolino dagli Per lingua va intesa la capacità editor ma del tutto privi di una di formulare le frasi in modo qualsiasi rilevanza culturale. intelligente, originale, chiaro quanto basta per essere intelligiIl caso Busi bile ma non sciatto al punto da Il caso dell’ultimo romanzo di risultare banale. La sintesi esatta Aldo Busi, El especialista de Bardi queste qualità dà forma allo celona, può essere letto nella stile, e la sua estremizzazione chiave qui accennata. Busi è al virtuosismo, nella migliore probabilmente in Italia uno delle ipotesi, e al manierismo, dei migliori scrittori, ma fra i nella peggiore. più modesti romanzieri. Fatta Ma affinché un romanzo sia eccezione per Seminario sulla definibile come capolavoro è gioventù (1984), da quel fortuAldo Busi (immagine tratta da corsoitalianews.it) essenziale che a uno stile efficanato esordio in poi la sua opera ce si accompagni una struttura si è andata strutturando nelle altrettanto efficace, la cui massima prerogativa è quella forme sempre più esibite dell’autocompiacimento e del di garantire, insieme allo stile, la tenuta del racconto. A virtuosismo fine a se stesso. Un virtuosismo godibilissimo, sua volta la struttura può sconfinare nel manierismo e per carità, che giustamente Alessandro Barbero dice ripanel virtuosismo: nel qual caso siamo di fronte a opere in- garci dalla lingua di plastica di tanta letteratura corrente. gegneristiche e non d’arte. I due estremi del virtuosismo Ma un virtuosismo che purtroppo – e dico purtroppo a sono, per lo stile, un certo minimalismo sterile e, al lato ragion veduta, essendo Busi dotato di una Weltanschauung opposto, un certo barocchismo altrettanto sterile; mentre di indiscutibile spessore esistenziale e morale – non fa il per la struttura una certa école du regard e, al lato opposto, paio con una capacità narrativa – da romanziere – degna un certo “editorialismo commerciale”, entrambi sterili di tanta scrittura. nella misura in cui riproducono schemi prefabbricati privi Le pagine di Busi vanno assunte a spizzichi e bocconi: altridi vitalità e originalità. menti non se ne apprezza la tessitura. Ma il problema è che accanto a questo doveroso sforzo – che appaga come appaSenso e struttura ga il virtuosismo – nessun altro sforzo compiuto durante la A questi due aspetti va naturalmente aggiunto il terzo lettura ci offre granché. Alla fine si rimane con un pugno requisito di un buon romanzo: il senso. Opere provviste di sabbia sbrilluccicante in mano, e ci si domanda se tanta di senso ma scritte magistralmente, o viceversa sprovviste sapienza non poteva essere, come ai bei temi del Seminario, di senso ma strutturate, non sono opere degne di menzio- posta al servizio di un’opera d’arte a tutti gli effetti e non ne. Così come di modesto rilievo sono opere di grande e solo di uno straordinario esercizio stilistico. Detto questo, profondo senso ma completamente scevre dalla capacità qui siamo di fronte al sapore vero della letteratura.


Diario cretese

Prima parte Quelle che seguono, in tre diverse puntate, sono le impressioni di un breve viaggio compiuto dall’autrice nell’isola di Creta, a piedi e coi mezzi pubblici, nello scorso mese di febbraio di Francesca Rigotti

Creta

non è soltanto un’isola favolosa che si allunga, a sfuggire alle onde, attoniti di fronte alla favolosa spiaggia forma di insetto cornuto, nell’angolo più a sud dell’Europa. deserta (è un mattino di febbraio!), ma giunti alla località È anche un luogo ricco di cultura la cui portata è inconfu- di Kalamaki l’incanto si spezza. L’arenile è sporco e maltabile. Perché è lì che è iniziato tutto, nel golfo di Messara curato, il paese sul mare è un cimitero di scheletri di cee nell’omonima pianura, nel cuore dell’isola incoronato dal mento armato e fili di metallo arrugginiti di edifici iniziati massiccio del monte Ida, e mai conclusi. Un degraimbiancato dalla neve per do e una desolazione che molti mesi all’anno. Uno contrastano col precedendi quei luoghi del mondo te paesaggio naturale ma dove tutto comincia, dove anche questa è Creta. Un tutto era prima che tutto luogo di profondi contrasti fosse, e dove ogni nuovo tra aspetti negativi e posiha da iniziare. tivi, come il sentiero che Raggiungiamo Kommos, il troviamo poco dopo e che presunto porto della citattraversa uno degli infità egeo-minoica di Festo. niti uliveti dove i tronchi Nella notte ha piovuto: le delle piante spuntano da strade sono bagnate e sui un tappeto di erba verde monti è caduta la neve. chiaro cosparso di fiorellini Vi arriviamo dalla cittadigialli. Pratum ridet, il prato na di Pitsidia che abbiamo ride, diceva il retore roraggiunto con l’autobus. mano Quintiliano e aveva Il sentiero verso il mare ragione. si apre tra colline aspre Ci sediamo per mangiare la a sinistra e prati dolci e nostra colazione un po’ da verdissimi a destra, dove pastori, pane, formaggio, Pitsidia, Creta (immagine tratta da de.wikipedia.org) l’erica è già fiorita. Ecco le olive, yogurt e acqua. La rovine del porto, edificato situazione è così idillica due millenni prima dell’inizio della nostra era, enormi e che da un ulivo potrebbe spuntare Pan con i suoi piedi regolari blocchi di pietra squadrata. Il mare si sente ma non caprini e la zampogna, o una ninfa Amadriade, e non ce si vede, deve essere qualche metro sotto. Pochi passi ancora ne stupiremmo. Invece non si vede nessuno, né una figura ed eccolo, il mare Libico gonfio di onde di varie sfumature mitologica né un essere umano. di blu verso il largo, di verde verso la riva. Il boato delle acque è fortissimo ed echeggia per tutta la lunga spiaggia L’aquila dorata alle cui spalle si erge una muraglia di sabbia e roccia alta Camminare oggi all’interno di Creta vuol dire non inconqualche metro. È la mitica spiaggia cui approdarono Zeus, trare esseri umani per ore, quasi sempre per tutto il pere la principessa Europa. La fanciulla era stata rapita dal suo corso, chilometri e chilometri. Animali sì, capre e pecore, paese, l’attuale Libano, dal padre degli dei a lei presentatosi (quante pecore e agnellini poppanti e belanti abbiamo in forma di toro bianco, bellissimo, con piccole corna do- incrociato), e poi uccelli, nei cespugli, sugli alberi, o che rate. Nella piana interna, su un enorme platano che diede volano alti sopra il tuo capo. Cince e fringuelli, cardellini, il nome al paesino di Plàtanos, i due si amarono e persino scriccioli e aironi, in prossimità di acque, ma soprattutto una principessa come Europa non seppe resistere al fascino rapaci: corvi, falchi, poiane e nibbi che planano come di quella terra e di quel mare. modellini d’aereo spinti dal vento onnipresente, e per ben due volte l’aquila. Sarà l’aquila di Zeus quell’esemplare di L’incanto è spezzato khrysaetós, l’aquila reale – ma in realtà il nome significa Lungo quelle acque camminiamo, quasi corriamo per aquila d’oro – che vola sull’acropoli di Polyrrhinia?

Kronos 9


Un ticinese d’effetto Storia di un ragazzo trasferitosi negli Stati Uniti che, spinto da una grande passione e dall’interesse per la computer graphics, è oggi diventato un creatore di sogni… di Nicoletta Barazzoni

Media 10

Nato e cresciuto a Lugano, Alessandro Ongaro attualmente è responsabile del dipartimento dei visual effects (effetti speciali) della Dreamworks Animation, in California, dove lavora da dieci anni. Oltre a essere un esperto di effetti speciali ha acquisito durante il suo percorso professionale anche doti manageriali, grazie alle quali oggi gestisce un articolato team di professionisti. Ha fatto carriera, nell’ambito degli effetti speciali, da europeo in un paese come gli Stati Uniti, realizzando il sogno di trasferirsi in America. Con il suo bagaglio di esperienze guarda anche al processo produttivo, mettendo a frutto la sua capacità di raccontare storie. Ha collaborato agli effetti speciali di numerosi film di successo fra cui, per esempio, Matrix. Ma in particolare si è distinto realizzando gli effetti speciali nel film Constantine che, passo dopo passo, lo ha portato al successo.

trascina la vicenda narrata. Sono diventati, in gran parte, degli effetti visivi piuttosto che di contenuto. Questo cambiamento a me sinceramente non fa impazzire. Lo possiamo vedere oggi in film come Transformer o Battleship. Una volta l’hardware per fare l’animazione era costosissimo. Mancavano i software che oggi riesci a ideare con un qualsiasi PC. Un ragazzino può realizzare da casa degli effetti speciali, certo non possono pretendere di avere la nostra durata, ma possono comunque raggiungere un buon livello qualitativo.

L’effetto speciale coinvolge le emozioni e i sentimenti. Si rivolge a un pubblico di bambini. Da questo punto di vista come si pone? In animazione tutto viene fatto al computer. Nel nostro caso l’animazione è un unico prodotto. Siccome la Walt Disney o la Pixar sono delle industrie, in quanto tali l’aspetto più importante è quello commerciale. AlSignor Ongaro, qual è stato l’agla Dreamworks abbiamo realizzato gancio che le ha permesso di qualche cosa di più sperimentale entrare nel mondo degli effetti con, per esempio, il film Le quattro speciali? leggende. Purtroppo con i costi che Il primo approccio con la computer abbiamo se il film non ha successo graphics l’ho avuto frequentando la si perdono soldi. Cosa che è successa scuola di architettura d’interni a Micon Le quattro leggende. Hollywolano. A quell’epoca seguivo un corso od oggi non produce più nulla sotto di modellazione tridimensionale e di i cento milioni di dollari perché è Alessandro Ongaro rendering. In realtà, pensavo di fare risaputo che se quel film non avrà i architettura d’interni. Quando mi migliori effetti speciali, in grado di sono diplomato, e ho iniziato a lavorare a Milano, mi pagavano trasportare visivamente lo spettatore, non sarà un film ad alto 5mila lire (al giorno!). Questo ovviamente non mi premetteva impatto sul pubblico. di essere indipendente. Perciò sono tornato a Lugano, dove ho seguito un corso alla CSIA di infografia, che mi ha permesso Oltre all’aspetto puramente commerciale, l’effetto spedi utilizzare computer molto costosi per l’epoca. Successiva- ciale può esprimere una forma artistica? mente ho iniziato a lavorare alla Amila Production, avviando Certamente. Dal punto di vista di chi, come me, crea l’effetto un’esperienza nel campo ma sognando di andare in America. speciale in quanto a ideazione, immaginazione e esecuzione c’è Erano da poco usciti i film Toy Story e Jurassic Park, il settore dell’arte, che spesso viene sottovalutata. L’esempio del film La stava evolvendo e Hollywood puntava a questo nuovo modo di vita di P ha sollevato parecchie polemiche agli Oscar, vincendo produrre e investire nel film d’animazione. però grazie agli effetti speciali. Certo, anche il messaggio era parte integrante del film ma senza i visual effects non avrebbe Dalla Walt Disney a oggi che cosa è cambiato? vinto e non si sarebbe potuto realizzare. Parlando in generale dei film di quindici o vent’anni fa, gli effetti speciali erano di supporto alla trama. Adesso purtroppo, un L’aspetto commerciale ha le sue leggi. Lei non si è mai po’ a causa della crisi e della necessità di realizzare profitti, gli trovato in disaccordo, rinunciando a un progetto? effetti speciali sono divenuti la parte preponderante, il mezzo che All’inizio della mia carriera era tutto stupendo e fantastico. La-


voravo in Italia dove il cinema italiano era un cinema d’autore. Ho lavorato al film di Silvio Soldini Brucio nel vento e al film di Gabriele Salvatores Io non ho paura. In queste opere il mio lavoro, con gli effetti speciali, era di supporto. In quella fase della mia carriera non ho mai avuto problemi. In America facevo un lavoro che era una sfida quotidiana, un lavoro complesso che è un misto di tecnica e creatività. Nel nostro lavoro non ci si preoccupa troppo del prodotto finale perché si è concentrati sui dettagli e sui particolari degli effetti. Mi è capitato di rea­ lizzare dei film che personalmente non mi sono piaciuti, come Bee Movie, che ho odiato. Ovviamente quello che realizzavo mi dava soddisfazione poi però non ha avuto il successo che doveva avere. In questo senso il mio disaccordo, nei confronti di questo film, ha preannunciato il suo insuccesso. Perché non è rimasto al film d’autore ma è passato al film animazione? La mia destinazione sin dall’inizio non era tanto il film d’ani­ mazione ma era l’America. Restare in Italia con il film d’autore voleva dire svolgere dei lavori “minimi” senza grandi possibilità di sviluppo, senza grandi sfide. È arrivata la possibilità di an­ dare negli Stati Uniti e non ho avuto ripensamenti. I fruitori del film d’animazione sono in prevalenza i bambini. Si vedono film d’animazione con incitamento alla violenza verbale e fisica, con doppi sensi che invitano all’uso di droghe. E con messaggi impliciti che parlano di sesso. Cosa ci dice al riguardo? Non è il caso della Dreamworks perché i nostri prodotti vengono controllati e passati al vaglio del Rating, un’associazione che valuta i contenuti. I nostri film sono denominati PG, ovvero parental guidance, cioè un primo filtro in cui si verifica che non ci siano parolacce o scene di violenza. Non possono contenere concetti che portino a nessun incitamento di nessun genere. Questi aspetti, che sono fondamentali per i nostri film, rendono il nostro lavoro piuttosto difficile perché accontentare un’audience, dai quattro ai cinque anni, fino ad adulti di oltre settant’anni, richiede una continua valutazione e selezione, senza dimenticare lo studio dello stile di vita delle fasce d’età degli spettatori. Si cerca di considerare uno spettro più ampio. Per esempio, in Turbo, ultimo film a cui ho lavorato, si puntava ai bambini. Una volta sottoposto il film ad alcuni di loro, at­ traverso gli screening test, soprattutto le bambine, prediligevano e adoravano la lumachina, mentre agli adulti piaceva l’aspetto delle gare automobilistiche. Se le dico messaggi subliminali? Da noi non ce ne sono. Certo ci vuole un attimo a realizzarli in modo non esplicito. Non sono un’invenzione del cervello. C’è chi li utilizza per vendere il prodotto magari anche solo per fare della pubblicità. Jeffrey Katzenberg, il produttore della Dreamworks, è molto attento e non approverebbe mai. A volte qualcuno cerca il messaggio subliminale e lo appioppa a qualcun altro, inventandosi tutto con delle manipolazioni. Con la cen­ sura americana è molto difficile inserire messaggi subliminali. E poi ne va della credibilità della Dreamworks. Cosa la motiva ad andare avanti? Quel che mi aiuta nei momenti di noia, perché non ci sono sempre e soltanto sfide, quello che mi incoraggia, è sapere che

ciò che creo fa sognare le persone. Noi realizziamo dei personaggi virtuali e per alcuni di loro, per alcuni di questi personaggi, qual­ cuno impazzisce. Questo mi dà la forza per continuare a creare, dando felicità. Il sentimento e l’emozione sono imprescindibili. Come in un’orchestra abbiamo un regista che si preoccupa di verificare tutto in modo che le emozioni vengano sviluppate e si riflettano nel film. Qual è la qualità che un esperto di effetti speciali deve avere? Ce ne sono parecchie perché sono tra loro differenti. Il mio la­ voro è specialistico nel senso che non esiste una persona che si occupa di tutti gli aspetti del processo produttivo. C’è chi crea il modello, per esempio, il personaggio Shrek. Prima di essere approvato è stato sottoposto a diverse visioni e dunque passano anni e anni prima di vedere la luce. Ci sono delle sinergie con le varie fasi che richiedono delle convergenze. Nel mio caso devi essere bravo tecnicamente ma avere anche un buon occhio per i colori, e dunque la parte tecnica e quella artistica non possono essere disgiunte. Devono fondersi. Ogni dipartimento richiede delle qualità specifiche che poi si compenetrano con quelle degli altri professionisti. La televisione è entrata nel campo dell’alta definizione. Ci sono sbocchi per gli effetti speciali? La televisione sta sorpassando il cinema hollywoodiano. Hol­ lywood come la conosciamo sta collassando e lo sta facendo da sola. Per cercare di contenere i costi esporta all’estero, perché ci sono incentivi fiscali favorevoli. Per i visual effect c’è la Drea­ mworks Animation, la Disney, la Pixar e la Sony. La Fox com­ missiona tutto all’esterno. La casa di VFX che ha fatto La vita di P è fallita e chiusa. Quella che ha prodotto Titanic ha chiuso. Tutti stanno investendo nella televisione. Per esempio, Robin Williams sta investendo nei TV Show perché i soldi convogliano in quel settore. Anche Dreamworks Animation si sta adattando a questo scenario. Per diversificarci ci stiamo buttando sulla televisione e infatti abbiamo appena aperto Dreamworks TV, che produce cartoni animati che vengono venduti a Netflix un sistema di streaming americano. Il cinema ha dei processi e costi elevati. I nostri film vengono a costare tra tutto circa 170 milioni di dollari e per avere dei profitti devono entrare almeno 400 milioni. E oggi realizzare una cifra del genere al boxoffice non è facile perché il mercato è saturo. Quali sono gli scenari futuri? La Dreamworks attualmente investe in Cina perché ci sono miliardi di abitanti. La Cina accetta solo nove film stranieri all’anno. Avendo fondato la Oriental Dreamworks in Cina, che è per il 60% proprietà dei cinesi e per il restante della Dreamworks, producendo in Cina, i nostri film verranno mostrati dappertutto. Oltretutto vengono doppiati in lingua cinese. Attualmente sto lavorando a Kunfu Panda 3 che è una coproduzione cinese, venduta ai cinesi, in modo tale da avere una fetta di mercato più ampia. I personaggi vengono animati da noi, il labiale viene sincronizzato con le voci dei vari attori (Jack Black, Angelina Jolie ecc.). Questo film lo produciamo anche in lingua cinese, e più precisamente in mandarino con attori cinesi che sono pagati molto meno, con risvolti economici importanti. La Cina è il futuro. Loro imparano da noi e, una volta imparato, ci comperano.

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ia madre è inglese e mio padre ha viaggiato molto per lavoro, un po’ ovunque. Credo che questo mi abbia fatto capire molto presto che il mondo non si limitava al Ticino, alla Svizzera, ma che rimaneva molto da scoprire fuori da questi confini. All’inizio della scuola elementare, poi, la mia famiglia ha traslocato da un paesotto del Mendrisiotto a un altro: niente di sconvolgente, ma questo passaggio mi ha fatto assaporare il gusto, dolce e amaro, della diversità: arrivavo da fuori, accompagnata da una mamma con uno strano accento, “emergevo” perché decisamente più alta della media e, per mettere la ciliegina sulla torta, ero anche l’unica della mia classe, se non della scuola, a lasciare l’aula durante le lezioni di religione. Piccole cose che insieme mi facevano comunque sentire ed essere diversa dagli altri e, in alcuni casi, mi hanno anche creato piccoli grandi problemi che credo mi abbiano poi resa più attenta e sensibile alla discriminazione nei confronti di chi è percepito come diverso. Forse per questo, più tardi, mi sono definita fieramente “ticinese”, quando abitavo fuori cantone per ragioni di studio, quasi a rivendicare l’appartenenza a una minoranza. A tal proposito, è inevitabile ricordare il mio professore d’italiano delle scuole medie a Balerna, Franco Marinoni, una persona speciale, che ci ha lasciati con una raccomandazione: “Siate egregi”, non nel senso della banale forma di cortesia, ma nel suo significato originario, “ex gregis”, fuori dal gregge. Credo che essere e rimanere se stessi sia fondamentale nella vita, insieme al conservare una parte di sé che non si conforma, non accettando le ingiustizie o esprimendo la propria opinione, anche a costo di non essere popolari. Dopo gli studi e il tentativo, fallito, di rimanere in Svizzera romanda a lavorare, sono tornata in Ticino, dove, per qualche anno, due occupazioni molto diverse mi hanno permesso di far convivere l’interesse per il sociale e la comunicazione, seguendo le audizioni dei richiedenti l’asilo come garante della procedura per Soccorso Operaio e lavorando come assistente in una casa di produzione cinematografica.

Ho poi partecipato a un concorso della RSI per praticanti giornalisti, e, dopo un lungo iter, ho iniziato il mio percorso nel mondo dei media. Alla conclusione del praticantato, mio padre mi ha segnalato l’annuncio di Amnesty International, che cercava un addetto stampa in Ticino. E, nel gennaio 2009, è iniziata quest’avventura, con il Gruppo Ticino dell’Associazione e i volontari della Svizzera Italiana che da qui si impegnano per chiedere giustizia per persone che non conoscono, vittime di abusi. Lavorando in Ticino per un’organizzazione internazionale come Amnesty, credo di avere il grande privilegio di essere parte di un movimento veramente mondiale, che può fare grandi cose, sia a livello locale che nelle grandi istituzioni internazionali. L’unico vero svantaggio è la grande lontananza dalla sede centrale svizzera, a Berna, e dal segretariato a Londra. D’altra parte non potrei neppure lontanamente pensare di muovermi: ho una figlia piccola e, da quando è nata, tutto ruota attorno a lei e alla necessità di conciliare famiglia e lavoro. La mia attività è, infatti, a tempo parziale, e ogni giorno, al mattino, dopo la sveglia e l’indispensabile colazione, si parte per l’asilo nido. Poi vado in ufficio, accendo il computer e cerco di fare il punto sulle cose in sospeso, le possibili urgenze, senza dimenticare di dare un’occhiata ai giornali e ai siti internet per informarmi un po’ su cosa succede nel mondo. Molto rapidamente arriva il momento di andare a riprendere la mia bimba, e di passare al “turno mamma”, con il rientro a casa e la routine di tutte le famiglie. Di certo l’arrivo di mia figlia, nata nel settembre 2012, ha ridimensionato tutto, impostando la mia vita in modo nuovo. Con la sua nascita è stato chiaro che molte cose che credevo di aver capito fino a quel momento non erano importanti e tutto sarebbe cambiato per sempre, eccetto la necessità assoluta di mantenere uno spazio mio, il mio lavoro, nel quale trovare un modo di esprimere i valori e ciò in cui credo, senza nulla togliere al ruolo di mamma.

SARAH RuSCOnI

Mamma di corsa, si divide fra Amnesty International e una bimba a cui spera di trasmettere i valori in cui crede: un mondo senza ingiustizie e discriminazioni, dove vivere in libertà e nel rispetto reciproco

testimonianza raccolta da Gaia Grimani fotografia ©Flavia Leuenberger

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Con lo sguardo verso l’alto di Martina Rezzonico; fotografie ©Peter Keller

“l’arrampicata non è tanto raggiungere la cima, ma piuttosto tutto quello che sta nel mezzo” (lynn Hill, arrampicatrice statunitense)


in apertura L’assicurazione dell’arrampicatore garantisce la sua incolumità in caso di caduta a sinistra L’arrampicatore deve disporre di forza, resistenza, equilibrio, coordinazione e capacità di orientarsi nello spazio a destra La parete del Centro di arrampicata Evolution di Taverne (dove sono state realizzate queste fotografie) è alta dodici metri e permette percorsi di scalata lunghi venti metri

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assando qualche ora in una palestra d’arrampicata si provano emozioni e sensazioni diverse: ammirazione (per chi è molto più bravo di noi), competizione (con gli altri e soprattutto se stessi), consapevolezza (del proprio corpo), determinazione, dolore (ai muscoli del collo, se non si è abituati a guardare a lungo in su), fatica, fiducia (nel proprio partner, nell’attrezzatura e nelle proprie capacità), soddisfazione (per essere riusciti a compiere un passaggio difficile), timore (di cadere, finché si scopre che non è per nulla grave ma addirittura divertente)… Inoltre la maggior parte dei climber, soprattutto se praticano anche l’arrampicata all’aperto, su pareti rocciose (falesie), parlano dell’avventura e della grande libertà che si prova percorrendo una via d’arrampicata. Perché l’arrampicata è diventata per molti una filosofia e una ragione di vita. Istinti primordiali Arrampicarsi è un modo di procedere insito nella natura umana. Basti pensare a come i bambini si arrampichino intuitivamente e dappertutto. Sin dall’antichità venivano scalate montagne, per ragioni pratiche (punto d’osservazione) o culturali (luogo religioso). Nel medioevo le rocce esposte ottennero una sempre maggiore importanza strate-

gica per l’osservazione e la comunicazione. Se all’inizio si affrontava la scalata senza particolari ausili, con la crescente inaccessibilità dei luoghi che si volevano raggiungere vennero ideati attrezzi e tecniche che permettevano di superare queste difficoltà. L’arrampicata sportiva – a differenza dell’alpinismo classico, da cui si è evoluta questa disciplina già a partire dagli inizi del ventesimo secolo in Europa e poi in particolare dagli anni cinquanta e sessanta negli Stati Uniti – non ha più come scopo la conquista della vetta, bensì il piacere insito nel movimento stesso e un buon stile di salita. L’aspetto sportivo sta in primo piano. Nell’arrampicata libera (o free climbing) si affronta la risalita con il solo utilizzo del proprio corpo; si ricorre ad attrezzatura, come corda e moschettoni, esclusivamente per l’assicurazione (differenziandosi così dall’arrampicata artificiale che fa ricorso a strumenti anche per aiutarsi nella progressione). Quando si rinuncia anche all’assicurazione si parla di free solo. Un’altra forma di arrampicata senza corda è il bouldering, che consiste nell’arrampicarsi su piccoli massi, a un’altezza che permette di “cadere” senza farsi male (in media 3-4 metri, al massimo 7-8). Sia il bouldering che l’arrampicata libera con corda possono essere effettuati



Un passaggio di massima difficoltĂ


anche indoor, su pannelli artificiali su cui sono montate delle prese. Qui, dalla metà degli anni ottanta, si svolgono pure le competizioni. Mentre su roccia si è più liberi nel cercare i propri appigli, in palestra la sequenza dei movimenti è più o meno data, grazie alle prese di colore diverso: l’obiettivo è raggiungere la fine della via d’arrampicata (la cui difficoltà è segnalata in basso con una scala composta da cifre e lettere) toccando con mani e piedi solo le prese di quel colore o la parete. Naturalmente ognuno è libero di sfruttare le prese come meglio crede e riesce. Nel bouldering si eseguono pochi movimenti (7-8 in media), questi sono però concatenati e dinamici e richiedono uno sforzo breve ma molto intenso. Per l’arrampicata in parete con corda invece le lunghezze sono maggiori e quindi lo stile di arrampicata è basato più sulla resistenza. Un’attività sportiva completa Grazie anche alla sempre maggiore diffusione di palestre, l’arrampicata si sta allontanando sempre di più dallo stereotipo di sport estremo d’élite, diventando un’attività accessibile a tutti: vi si trovano principianti e professionisti, persone di ogni età, costituzione ed estrazione sociale, ognuna delle quali può trovare le vie più adatte alle proprie capacità. E gli aspetti positivi di questo sport – ovviamente se praticato con le dovute conoscenze e precauzioni – sono indubbi, sia dal punto di vista fisico sia mentale: vengono allenati oltre a forza muscolare e resistenza anche aspetti come equilibrio, coordinazione e capacità di orientarsi nello spazio. Inoltre, nonostante si tratti di uno sforzo individuale, che richiede iniziativa personale e autonomia, se si arrampica con corda si necessita di un partner; a differenza di altri sport, questa è un’attività che si può praticare senza problemi in due anche se sussistono grandi differenze di livello. Dato che non si tratta di competizione bensì di una necessaria collaborazione con il partner, l’arrampicata sportiva stimola anche il proprio senso di responsabilità: bisogna avere riguardo e al tempo stesso concedere fiducia a un’altra persona.

Per alcuni passaggi sono necessari anche capacità equilibriste

Si ringrazia il Centro di arrampicata Evolution di Taverne e in particolare Linda Poletti, Stéphanie Surmont e Claudio Notari per la loro disponibilità e per averci permesso di effettuare le riprese fotografiche. Peter Keller Classe 1950, ha dapprima seguito una formazione nell’ambito della tipografia e della fotografia, in seguito si è diplomato in Ingegneria della stampa e dei media presso l’Università di Stoccarda. Dopo una carriera dirigenziale per diversi quotidiani, da luglio 2012 lavora come fotografo e autore indipendente. Ha collaborato con i fotografi Adriano Heitmann e Reza Khatir. Nel 2010 è stato pubblicato il volume fotografico Barocco (Edizioni Casagrande) e alcuni suoi lavori sono presenti in Dodicisette (EdizioniSalvioni, 2012), il catalogo della mostra “12 x 7” (Casa Cavalier Pellanda, Biasca).

Linda Poletti, Claudio Notari e Stéphanie Surmont (da sinistra a destra) dopo la scalata sono ancora in vena di scherzi


Cordelius & Denver Dessert

Sì lo so, lo so... ma lui è comunque uno stronzo... non si è mai preso le sue responsabilità… pensa solo al lavoro e dei figli se ne frega…

Davvero un casino! Pensa che gli devo solo tremila franchi e lui che fa? Mi manda la lettera di un avvocato…

Ma che vuoi che me ne importi… e poi, non è che uno ti debba tradire per forza per qualificarsi come stronzo…

E certo… e certo… comunque ne dovremo parlare… Hai sentito di Luisa… ma che situazione…

Sì, sì, ma mia sorella mi ha detto di non fare nulla e aspettare. Lui sapeva che a fine mese glieli avrei restituiti. Veramente assurdo!

Evidentemente ha soldi da spendere… che vuoi che ti dica.

Privacy, riservatezza… in realtà non gliene importa più nulla a nessuno… Andiamo a comprarci della carta da lettere…

Certo che c’è li ho, ma ora glieli faccio sospirare a quel pezzente… Vai a fidarti di certa gente… c’è da dire che lei è davvero una sprovveduta…


L’arte degli opposti Sino al 27 aprile la Corte Medievale di Palazzo Madama a Torino ospita una retrospettiva dedicata alla grande fotografa statunitense Eve Arnold. Suoi gli scatti a Marilyn, Malcolm X, Liz Taylor, ma anche a un’umanità meno “scintillante”, più umile di Jacopo Bianchi

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cosa hanno in comune una Joan Crawford ormai in declino e una giovane sposa afghana? E il ritratto di Malcom X con quello di una vecchia signora cinese? Apparentemente nulla, se si esclude il non trascurabile fatto di essere stati fotografati da Eve Arnold, prima reporter donna o, come lei amava definirsi, prima donna fotografa dell’agenzia Magnum. Pioniera nell’arte di unire gli opposti, i divi di Hollywood a chi vive ai margini della società, la Arnold ha attraversato la seconda metà del novecento distinguendosi per vicinanza fisica e intellettuale alle persone che ritraeva, immergendosi completamente nel processo fotografico, fino alla scrittura delle didascalie che accompagnavano le sue istantanee.

Foto su commissione perché Malcom X la volle in tutte le sue campagne per i diritti civili.

“Sono stata povera…” Ma è la vita a farle scegliere le storie da raccontare. “Sono stata povera e ho voluto documentare la povertà; ho perso un figlio e il tema della nascita mi ha ossessionato; sono donna e ho voluto capire le donne”. Entra così nella sala parto di un ospedale a Long Island, per fotografare la mano di una madre che stringe quella del figlio appena nato. Ed è forse la lezione di queste immagini quasi rubate a rendere uniche le fotografie più famose della Arnold, quelle delle celebrities del cinema, con le dive di celluloide ancora non ossessionate dal culto della propria perUna mostra per ricordarla sona. Marilyn, la Rossellini, la Vitti, la A due anni dalla scomparsa, Torino le Dietrich e silvana Mangano ma anche dedica la prima retrospettiva italiana: Clark Gable e Antonhy Quinn passano 83 scatti tra bianco e nero e colore, attraverso il suo obiettivo, sui set dei ritratti, reportage e fotografie di scena film e nelle pause tra una scena e l’alche raccontano 34 anni di lavoro, dal tra, grazie al legame che in molti casi 1950 al 1984. Dodici i percorsi perché si instaurò tra la fotografa e gli attori. Eve Arnold, “la fotografa di tutti con In particolare con la Monroe, “amabile Getting Ready (Marilyn Monroe), la «t» maiuscola”, ha sempre voluto incicciottella” che pur non essendo uno Los Angeles, 1960 quadrare la vita quotidiana e mostrare dei suoi soggetti preferiti Eve Arnold (©Eve Arnold/Magnum Photos) quanto possa essere speciale. seguì per un decennio, riconoscendole Nata il 21 aprile del 1912 a Philadelphia, Eve Choen, quinta l’innegabile dote di sapersi offrire con grande naturalezza, di nove fratelli, figlia di un rabbino russo emigrato negli immortalandola ai piedi della scaletta di un aereo come tra UsA, scopre la fotografia a trent’anni. Prima sviluppando le lenzuola del suo letto, prima degli ultimi scatti in Nevada negativi alla Kodak, poi grazie al suo ragazzo che le regala durante le riprese de Gli spostati. una macchina fotografica. Nel 1946 a New York frequenta servizi patinati che come riconobbe lei stessa le permettela New school for social Research e Harper’s Bazaar le com- vano di guadagnare, e di dedicarsi alla fotografia sociale e missiona alcuni servizi di moda. E sono le photo-stories documentaristica. Qui si abbandona il bianco e nero per il nelle strade di Harlem alla ricerca della moda afroamericana colore. Anzi per i colori. E si scopre la vera passione della a farla notare da Henry Cartier Bresson che la chiama alla Arnold per il mondo femminile, la sua voglia di essere là Magnum, dove nel 1957 entra come membro effettivo. dove, diceva, le donne di tutte le età avevano bisogno di La retrospettiva torinese parte da qui, dai visi, dai profili e lei. Documentò per prima la condizione femminile in Afanche dai generosi fondoschiena delle modelle di colore ghanistan e nei Paesi arabi. Ma anche in Egitto e in Cina, che sfilano nei locali notturni di New York, testimoniando fino all’India di Indira Gandhi. fin dagli esordi quella che fu una vera e propria ossessione Il ritratto più vivo di Eve Arnold lo ha fatto la sua amica della Arnold: concentrarsi su ciò che l’immagine diceva alla scrittrice simonetta Agnello Hornby, che la conobbe a gente. E sull’immagine lavora, giocando su chiaroscuri e Londra negli anni ottanta. “Donna di poche parole e di grandi penombre. Come per l’elegante profilo di Malcom X, un silenzi, che tutti ascoltavano. Aveva una curiosità insaziabile e primo piano che si staglia netto sul bianco dello sfondo. sapeva raccogliere le confidenze di tutti”.

Mostre 43


Tendenze p. 44 – 45 | di Marisa Gorza

Profumo di donna

“Se vuoi che venga detto qualcosa, chiedi a un uomo, se vuoi che venga fatto qualcosa, chiedi a una donna!” Margaret Thatcher


U

na frase così diretta non poteva che venir espressa da una donna, Margaret Thatcher, tanto determinata da essere apostrofata come Lady di ferro. Tuttavia, l’aforisma era adatto anche a celebrare l’8 marzo più di certi motteggi, sdolcinature o improvvise galanterie di cui amiche, colleghe, sorelle e conoscenti vari sono stati, per la ricorrenza, bersaglio inerme. Al di là di inevitabili contraddizioni e qualche polemica, non è che aforismi e celebri frasi poetiche non ci lusinghino… anzi! Si sa, con il passare del tempo le feste hanno mutato la loro connotazione d’origine, assumendo spesso valenze consumistiche. La cosa importante è però che ogni festeggiamento, privato o collettivo che sia, sia mantenuto nei binari del buon gusto e nel rispetto del carattere e della personalità di ciascuna/o di noi. Un criterio che dovrebbe guidare anche la scelta delle fragranze a cui noi donne ci affidiamo per farci “sentire” anche quando, a ragion veduta, preferiamo tenere la bocca chiusa. Per trovare il profumo “più giusto” suggerisco dunque di fare un salto da Olfattorio-Bar à Parfums a Milano. Un bar? Certo, uno spazio speciale dove si possono centellinare fragranze rare e di nicchia, offerte in modo singolare. Difatti la degustazione è imperniata su inediti calici tipo flûtechampagne che sostituiscono le classiche mouillette.

Romantica Appassionata Sensuale Per una femminilità delicata e romantica c’è Violetta di Penhaligon’s. Una eau de toilette dove la mammola gioca a nascondino nel sottobosco di note agrumate e legnose. La fragranza, morbida e cipriata, riflette la misteriosa bellezza del fiore amato da Liz Taylor. Ricordava la magia dei suoi occhi… viola. E se la rosa rossa è il fiore del romanticismo per antonomasia e messaggera d’amore, eccola sacrificata in un bagno di champagne per creare un profumo di passione. Cuore di rosa damascena, arricchito dalla voluttà del chiodo di garofano su una base di cedro e vetiver. Si tratta di Dom Rosa, appartenente a Les Liquides Immaginaires. Il temperamento della nostra musa si fa più acceso e passionale che mai. Ecco una donna gioiosa, amante di tutti i piaceri della vita, compresi quelli spirituali, ma sempre con un po’ di impertinenza. Il suo profumo, Sèville à l’aube (L’Artisan Parfumeur), richiama l’effluvio degli aranceti in fiore, l’incanto degli incensieri e i sentori delle candele di cera che ardono nel contesto di una cerimonia andalusa, durante la settimana santa. Sacro e profano: le note frizzanti della linfa verde e degli agrumi si mescolano a quelle ambrate e resinate, terminando con un eco di lavanda di Spagna.

Intellettuale Dinamica Giramondo Sei un tipetto dinamico? Allora preparati ad essere stregata da un delizioso vortice che ti si confà. Difatti Deliria, sempre by L’Artisan Parfumeur, è un folle contrasto tra note metalliche, l’ebbrezza del rhum e aromi gourmand come mela caramellata e zucchero filato. Il tutto unito in una nuvola impalpabile e inebriante. Intrigante e raffinato pure L’Air de Rien, creato da Miller Harris per Jane Birkin, tra le attrici più anticonformista e per tutte le donne dallo stile intellectual-chic. La profumazione evoca la suggestiva atmosfera delle biblioteche dagli scaffali pieni di volumi antichi, pagine di saperi e segreti. Ricreata con effluvi di muschi, legno di quercia e vaniglia: da leggere o da immergersi?


La domanda della settimana

Da alcuni anni si parla sovente di vermi e insetti come le nuove frontiere alimentari: siete pronti a nutrirvi di lombrichi, locuste, farfalle, cimici ecc?

Inviate un SMS con scritto T7 SI oppure T7 NO al numero 4636 (CHF 0.40/SMS), e inoltrate la vostra risposta entro giovedì 20 marzo. I risultati appariranno sul numero 13 di Ticinosette.

Al quesito “Sentite il bisogno o la necessità di avere negozi e supermercati aperti, in tutto il cantone, sino alle ore 20?” avete risposto:

SI

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NO

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Astri ariete Se siete rimasti inerti di fronte ad alcune situazioni vi accorgerete di aver fatto i conti senza l’oste. Ossia voi. Irritabilità e contrasti.

toro Comunicazioni disturbate. Evitate di avere scontri verbali sul luogo di lavoro. Novità per i nati nella prima decade. Problemi tra il 19 e il 21.

gemelli Grazie a Venere la vostra vita affettiva sta per rinnovarsi. Particolarmente intuitivi i nati nella terza decade. Amicizie e affinità spirituali.

cancro La coscienza fa da guida in ogni vostra azione. Intuito primordiale per i nati nella prima decade. Una buona offerta professionale si fa strada.

leone Periodo segnato da un’improvvisa spinta prometeica. Opportunità professionali per i nati nella prima decade. Cambiamenti stimolati da Saturno.

vergine Immotivate superstizioni. Confusione in ordine alla linearità delle vostre idee. Chiacchiere. Positive le giornate comprese tra il 18 e il 21 marzo.

bilancia Periodo vivace. I rapporti con il partner tendono a diventare più fluidi e così più creativi. Ottime le relazioni con tutti e tre i segni d’aria.

scorpione Sbalzi umorali e forte incremento dei vostri appetiti sessuali. Se non sarete soddisfatti non esiterete a guardarvi altrove. Lunatici tra il 19 e il 21.

sagittario Non scalpitate troppo in ambito professionale. Non fatevi dei film. Accettate le persone per ciò che sono. Confusione nei rapporti familiari.

capricorno I pianeti vi spingono a rivoluzionare l’esistenza. Ispirati e molto romantici tra il 20 e il 21. Opportunità affettive per i nati nella terza decade.

acquario Intraprendenti e rivoluzionari grazie a Marte e a Urano. Possibilità di dare una svolta interessante alla vostra vita. Guadagni e incontri inaspettati.

pesci Colpi di fulmine e relazioni clandestine. Forte attrazione verso il mistero. Emotivamente disturbati intorno al 17 a casa dell’opposizione lunare.


Gioca e vinci con Ticinosette

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Orizzontali 1. Zampare, spazientirsi • 10. Megera • 11. Una voce del pokerista • 12. Nulla • 13. L’io dello psicanalista • 14. Consonanti in genio • 15. Escursionisti Esteri • 16. Bailamme • 17. La figlia del Corsaro Nero • 20. Avverbio di luogo • 21. Risuona nell’arena • 22. Si ornano con candeline • 24. Vedute • 26. Il principe della comicità • 28. Sportelli • 29. Tappa, pausa • 30. La bella Campbell • 32. Stato asiatico • 33. Un digestivo molto amaro • 34. Il mitico aviatore • 36. Colpevoli (f) • 38. Si contrappone al male • 39. Due romani • 40. Lussemburgo e Romania • 42. Pari in bollito • 43. Guasto navale • 45. Riposino pomeridiano • 47. Pari in concavo • 48. Le iniziali della Bruni • 49. Razziali (f) • 51. Intacca la vite • 52. Natale a Losanna. Verticali 1. Il fondatore dei Salesiani • 2. Sottogonna • 3. Insetto laborioso • 4. Riga • 5. La perde l’automobilista indisciplinato • 6. Le iniziali di Tasso • 7. Superficie • 8. Opera di Verdi • 9. Gretti, ingordi • 16. Un negozio per lo studente • 18. Manigoldo • 19. La prima nota • 23. Rasate • 25. Paventare • 27. Vi sosta la carovana • 31. Pari in giorno • 35. Non hanno moglie • 37. Creano vortici nell’acqua • 39. Il nome di Graziani • 41. Ha composto un famoso Bolero • 43. Parte teatrale • 44. Ha la voce fioca • 46. Mezza dozzina • 50. Preposizione semplice.

Soluzioni n. 9

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 13

Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 20 marzo e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 18 mar. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

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La soluzione del Concorso apparso il 28 febbraio è: RAPPORTO Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stato sorteggiato: Colombo Luigi via Soldini 1c 6830 Chiasso

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Al vincitore facciamo i nostri complimenti!

Premio in palio: tre Ape card Arcobaleno Ape card è lo strumento ideale per caricare e pagare i biglietti Arcobaleno risparmiando, grazie al plusvalore di ricarica. Maggiori informazioni su www.arcobaleno.ch/apecard

Arcobaleno mette in palio una Ape card da CHF 50.– a tre fortunati lettori che comunicheranno correttamente la soluzione del Concorso.

Svaghi 47


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