Technopolis 55

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Quali saranno le tendenze del settore Ict nell'anno nuovo? Gli addetti ai lavori scommettono sullo sviluppo del Web3, sull'edge e sul cloud sostenibile.

ARTIFICIAL INTELLIGENCE

Le nuove regole in arrivo per i Paesi dell'Unione Europea e la "doppia velocità" dell'Italia sul fronte della ricerca e dell'adozione dell'A.I.

CYBERSICUREZZA

Dopo un anno segnato dalla crescita di ransomware e phishing, ma anche da una nuova cyberwar, che cosa ci aspetta nel 2023?

EXECUTIVE ANALYSIS

Metaverso, Nft e blockchain stuzzicano l'interesse delle aziende anche nel nostro Paese. Ma restano molte incognite.

LE
www.technopolismagazine.it
TECNOLOGIE PER
SFIDE DEL FUTURO
NUMERO 55 | DICEMBRE 2022
STORIE DI ECCELLENZA E INNOVAZIONE
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STORIE DI ECCELLENZA E INNOVAZIONE

N° 55 - DICEMBRE 2022

Periodico mensile registrato presso il Tribunale di Milano al n° 378 del 09/10/2012

Direttore responsabile: Emilio Mango

Coordinamento: Valentina Bernocco Hanno collaborato: Roberto Bonino, Loris Frezzato, Elena Vaciago

Foto e illustrazioni: Adobe Stock Images, Burst, Pixabay, Unsplash

Editore e redazione:

Indigo Communication Srl

Via Palermo, 5 - 20121 Milano tel: 02 87285220 www.indigocom.it

Pubblicità: The Innovation Group Srl tel: 02 87285500

Stampa: Ciscra SpA - Arcore (MB)

© Copyright 2021

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Il Sole 24 Ore non ha partecipato alla realizzazione di questo periodico e non ha responsabilità per il suo contenuto.

Pubblicazione ceduta gratuitamente.

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STORIA DI COPERTINA

Tecnologie per affrontare il futuro Metaverso in maturazione Le scommesse vincenti secondo gli analisti

10 IN EVIDENZA

Gli investimenti IT resistono ai venti contrari Cloud e sicurezza al centro dell’economia digitale Un sistema valoriale, non una semplice Second Life Da un cloud “affollato” e “pesante” verso la libertà di scelta Velocità e semplicità, le promesse del data fabric Data mesh, quando e come utilizzarlo?

La logica software-defined guida l’innovazione Il software in azienda va verso l’integrazione 24

GREEN IT

In viaggio verso la sostenibilità 26

ITALIA DIGITALE

Lavori in corso e sfide irrisolte negli enti pubblici L’innovazione made in Italy è anche tecnologica

30 INTELLIGENZA ARTIFICIALE

La doppia velocità dell’AI italiana Un compromesso fra tecnologie, regole e costi

34 CYBERSECURITY

Tra minacce evergreen e nuovi pericoli Le previsioni di sicurezza informatica per il 2023

38 EXECUTIVE ANALYSIS

Mondi virtuali, opportunità concrete Esperienze a confronto La protezione dei dati nell’era del cloud Percorsi differenziati d’innovazione

46 ECCELLENZE

Scalapay Pininfarina Etex Gruppo Pederzoli 50

APPUNTAMENTI

SOMMARIO

LE TECNOLOGIE PER AFFRONTARE IL FUTURO

L’espansione del cloud computing, la ricerca della sostenibilità, il metaverso, l'edge, gli sviluppi dell’intelligenza artificiale: il 2023 sarà un altro anno di trasformazioni.

Per prevedere il futuro non serve la sfera di cristallo: l’analisi dei dati e degli eventi recenti, unita alle competenze e all’intuito degli addetti ai lavori, spesso è sufficiente per immaginare che cosa accadrà nell’anno nuovo. Dopo un 2022 attraversato da una guerra in territorio europeo, da tensioni geopolitiche estese dagli Stati Uniti all’Asia, dall’inflazione e da rincari di materie prime ed energia, il 2023 non si apre sotto i migliori auspici. Facciamo un altro passo verso la scaden-

za degli obiettivi di sostenibilità fissati dall’Onu per la fine del decennio, e la finestra di tempo per provare a contenere gli effetti del cambiamento climatico si riduce ancora un po’. Le molte sfide qui elencate sembrano distanti dall’universo tecnologico eppure tutte, in un modo o nell’altro, lo attraversano. Basti pensare alla cyberwar che è scoppiata parallelamente al conflitto armato in Ucraina, o al legame a doppio filo fra transizione ecologica e trasformazione digitale (si parla infatti di twin transition, perché

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Foto di Gerd Altmann da Pixabay
STORIA DI COPERTINA | PREVISIONI 2023

l’una non può fare a meno dell’altra). La fase depressiva dell’economia tende naturalmente a rallentare gli investimenti in molti ambiti, ma il digitale non potrà essere trascurato perché tecnologie come il cloud computing sono essenziali per il recupero di efficienza e il taglio dei costi. Altre, come gli analytics e l’intelligenza artificiale, permettono di raggiungere e rendicontare i traguardi Esg, che per le aziende hanno anche un ritorno economico. Ed è quasi inutile ricordare che, come abbiamo imparato nel 2020, il digitale è un ingrediente di base nella ricetta di resilienza di qualsiasi azienda e di qualsiasi società.

Non è un caso che nel 2020, in un’Italia paralizzata dai lockdown, la spesa in beni e servizi digitali sia calata solo dello 0,6% rispetto al 2019 (dati di Anitec-Assinform) mentre il Pil nazionale è crollato di quasi nove punti percentuali. Tenendo conto del protrarsi della guerra e delle sue conseguenze, gli analisti di The Innovation Group prevedono che nel 2022 il mercato digitale italiano conserverà un andamento anticiclico e crescerà del 3,5%. Un osservatore internazionale come Gartner concorda su questa visione, estendendola a tutta la regione Emea. “Nelle fasi di turbolenza i Cio esitano a siglare nuovi contratti, a impegnarsi in iniziative a lungo termine o a ingaggiare nuovi partner tecnologici”, ha dichiarato John Lovelock , distinguished vice president analyst di Gartner. “I budget IT aziendali non sono al centro di queste esitazioni e le aziende della regione Emea nel 2023 li incrementeranno”.

La marcia del cloud computing Diverse ricerche suggeriscono che il cloud computing nell’anno nuovo sarà ancora un’area in forte crescita: lo studio legale Dla Piper ha stimato che nel 2021 il valore degli investimenti in data center a livello globale sia più che rad-

LA RICERCA DI EFFICIENZA E DI RISPARMIO GUIDA LE AZIENDE ITALIANE

Quali saranno le priorità tecnologiche e di business (due variabili spesso legate le une alle altre) per le aziende italiane nel prossimo futuro? Le tendenze dell’anno che si chiude sono un buon suggerimento per immaginare che cosa succederà nel 2023. La ricerca “Digital Business Transformation Survey 2022” di The Innovation Group, condotta lo scorso marzo su 213 aziende ed enti pubblici italiani, ha evidenziato che l’efficienza operativa e la riduzione di costi sono stati quest’anno la priorità numero uno, indicata ai primi posti dal 42% degli intervistati. A breve distanza, con il 39% di citazioni, il lancio di nuovi prodotti e servizi, seguito da obiettivi di trasformazione digitale (32%), di maggiore agilità o flessibilità del business (28%), di migliore automazione dei processi (28%), di introduzione di nuovi profili professionali (26%). Circa un’organizzazione su quattro, il 26%, ha considerato come priorità anche l’attenzione all’ambiente e il dato è in crescita rispetto ai livelli del 2021. La quota di aziende che considerano il miglioramento dell’esperienza dei clienti come una priorità per il 2022 è intorno al 24%, un dato non altissimo ma in forte crescita (+71%) rispetto a quanto emerso nell’edizione precedente della ricerca. Una chiara tendenza di quest’anno è stata il ridimensionamento dello smart working: in media, tra le realtà del campione d’indagine, il 57% dei dipendenti ha ripreso a lavorare in sede almeno per alcuni giorni a settimana. La formula “ibrida”, che mescola lavoro in presenza e da remoto, piace perché contribuisce a ridurre traffico e inquinamento (53% del campione) e perché rende l’impresa o PA più competitiva e attrattiva (42%), ma soltanto il 38% degli intervistati crede che la propria azienda sia già ben attrezzata per far lavorare le persone da casa in modo efficiente ed efficace. Dunque è probabile che anche nel 2023 vedremo crescere gli investimenti in tecnologie e servizi a supporto dello smart working, come le Unified Communication and Collaboration e le applicazioni basate sul cloud.

doppiato, raggiungendo i 59,5 miliardi di dollari. Gli intervistati (un centinaio di dirigenti di aziende fornitrici di infrastrutture, di capitale e di debito e di sviluppatori di data center) hanno indicato un ulteriore incremento di investimenti per il 2022 e non c’è ragione di credere che nel 2023 la tendenza si invertirà. “Non c’è fine a questa domanda, con investimenti ad oggi nel 2022 più che raddoppiati rispetto allo stesso periodo del 2021”, ha commentato Olaf Schmidt , partner responsabile del dipartimento real estate di Dla Piper in Italia. “I data center sono un’attività ad alta intensità energetica e, pertanto, l’aumento dei

prezzi dell’energia e la questione della sicurezza dell’approvvigionamento giocano un ruolo sempre più importante nel processo decisionale su dove e come sviluppare i centri”. Secondo uno stima della Agenzia Internazionale dell’Energia , organizzazione intergovernativa fondata dall’Ocse, nel 2020 su scala globale le infrastrutture di elaborazione dati hanno utilizzato una quota di elettricità compresa tra 200 e 250 terawattora (TWh), corrispondente all’1% del fabbisogno mondiale; inoltre hanno contribuito per lo 0,3% alle emissioni totali di CO2 rilasciate nell’atmosfera. Il futuro dei data center è necessariamen-

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te proiettato verso la sostenibilità, e da anni i grandi hyperscaler come Amazon, Microsoft, Google e Meta (Facebook) stanno facendo progressi sia nell’uso delle fonti rinnovabili sia nell’efficientamento energetico. Solo in Europa, più di una ventina di operatori di cloud e data center e 17 associazioni di settore hanno siglato un accordo per abbattere le emissioni di gas serra delle proprie infrastrutture, raggiungendo la neutralità carbonica entro il 2030. Uno specialista della gestione termica e della continuità operativa dei data center come Vertiv (tra i principali produttori di sistemi di condizionamento e Ups) prevede che nel 2023 gli operatori di questo mercato si impegneranno sempre di più per ridurre i consumi di elettricità e gli sprechi di acqua, anche per non incappare in sanzioni. C’è in vista, infatti, un inasprimento delle regolamentazioni sull’impatto ambientale dei data center. Inoltre i generatori a gasolio tenderanno a essere sostituiti da alternative più

ecologiche, come quelle basate sull’idrogeno. Per i fornitori di servizi cloud, una infrastruttura efficiente dal punto di vista energetico è più economica da gestire, ma è anche un buon trampolino di lancio per le vendite perché migliora l’immagine del fornitore stesso agli occhi dei clienti e lo agevola nel raggiungere gli obiettivi Esg prefissati. Accanto alla trasformazione sostenibile, altre tendenze attraverseranno il settore. Secondo una ricerca di Omdia , il 99% dei data center aziendali oggi utilizza sistemi standardizzati e design modulari, e a detta di Vertiv sempre più questa sarà anche una scelta degli hyperscaler. Con il crescere delle applicazioni impegnative dal punto di vista dei calcoli, come quelle di machine learning, saranno necessari server sempre più potenti e dunque aumenteranno anche i consumi di elettricità e il calore prodotto.

L’AI trasloca in “periferia”

I l modello dell’edge computing (il cal-

colo “periferico”, eseguito là dove gli eventi accadono anziché trasferire i dati verso un “centro” della rete) si espanderà ulteriormente nei prossimi anni, a comprendere un sempre maggior numero di applicazioni accanto a quelle, già diffuse, di monitoraggio e raccolta dati. Per esempio, applicazioni di intelligenza artificiale. Come noto, il calcolo nell’edge ha il vantaggio di ridurre al minimo i tempi di latenza e quindi velocizzare le applicazioni, e inoltre può avvenire anche in assenza di connettività da e verso il cloud. Finora il limite principale dell’edge computing è stata la potenza di calcolo, affidata a processori embedded che dovevano soprattutto consumare poca energia. Secondo le previsioni di MarketsandMarkets, i software di edge AI quest’anno muoveranno un giro d’affari di 0,8 miliardi di dollari, per poi arrivare a un valore di 3,1 miliardi di dollari nel 2027. Si prevede, quindi, un tasso composto di crescita annuale (Cagr) del 28,9% nell’arco dei cinque anni. Integrare l’intelligenza artificiale nei dispositivi Internet of Things periferici consente di ridurre la latenza e i requisiti di banda, di evitare la duplicazione dei dati, di migliorare la disponibilità (availability) delle applicazioni e in certi casi di rispettare la compliance. L’attesa crescita del mercato avrà diversi fattori di spinta: la migrazione in cloud dei workload aziendali, l’esplosione dei dati e del traffico di rete, nonché gli sviluppi stessi dell’intelligenza artificiale. Dal punto di vista tecnico, una sfida cruciale è quella dell’interoperabilità: le applicazioni e i dispositivi edge AI dovranno poter comunicare tra di loro e verso sistemi terzi, cosa che attualmente spesso non accade. C’è poi sicuramente un’altra sfida ancor più importante, ovvero proteggere i dispositivi edge e i dati dagli attacchi informatici.

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Foto di Brett Sayles da Pexels

METAVERSO IN MATURAZIONE

Nel bene e nel male, anche nel 2023 è probabile che sentiremo parlare molto del metaverso. Finora questa scommessa non ha ripagato Meta , l’azienda che ha aperto le danze e che ha cercato di attrarre investimenti e utenti sulla propria piattaforma Horizon Worlds, con l’idea di una futura integrazione con Facebook. La collezione dei mondi virtuali non ha ancora spiccato il volo: la grafica fumettistica e l’usabilità non convincono né gli utenti né gli addetti ai lavori. La piattaforma ha incassato anche la bocciatura di Palmer Luckey, il fondatore di Oculus (società sviluppatrice di visori di realtà aumentata, acquisita da Facebook nel 2014), che ha definito Horizon Worlds come un prodotto non riuscito. Finora, almeno. In realtà il metaverso si estende ben oltre le ambizioni di Mark Zuckerberg, e a dispetto delle sue incognite sta attirando la curiosità di molte aziende, anche in Italia (ne parliamo anche a pagina 38).

Secondo le previsioni di LinkedIn, già nel 2023 il mondo immersivo del metaverso associato alle altre tecnologie di Web3, come gli Nft e la blockchain, potrebbe affermarsi in quanto canale di marketing e di contatto con i clienti alternativo. Non sarà solo un universo in cui giocare e conoscere altri utenti, ma anche un modo per interagire con le aziende e fare acquisti. Esempi di sperimentazioni in corso includono istituti finanziari come Hsbc e JP Morgan e marchi di abbigliamento come Gucci e Nike Un altro filone sarà quello dei metaversi aziendali, che forniranno ambienti di lavoro digitali completi, dalle applicazioni necessarie per comunicare alle scrivanie virtuali. Ci saranno uffici digitalizzati, come quelli già creati da Accenture per ospitare riunioni di lavoro virtuali e attività di formazione, ma anche laboratori di realtà aumentata dove progettare prototipi di automobili, come quelli di Bmw. I futuri progetti, di qualsiasi genere, potranno

contare su evoluzioni tecnologiche sia dell’hardware sia del software. Già l’anno prossimo potrebbero debuttare nuovi visori di realtà virtuale e di realtà mista delle aziende pioniere, come Meta, Google e Microsoft, oltre ai tanto chiacchierati Apple Glass. Questi ultimi, secondo le indiscrezioni, richiederanno una spesa minima di 500 dollari nella versione con lenti non graduate e funzioneranno collegandosi in wireless all’iPhone. Ma l’innovazione hardware non riguarderà soltanto i visori: il metaverso farà un salto di qualità con le tutine aptiche, totalmente ricoperte di sensori, che permetteranno di provare sensazioni tattili, di temperatura e di movimento realistiche. Non è fantascienza, perché una tecnologia di questo tipo è stata presentata da Teslasuit già nel 2018 e viene attualmente usata dalla Nasa e da Space X per l’addestramento astronautico. Anche il software del Web3 dovrà e potrà migliorare, facendo degli avatar un po’ grezzi di Meta un lontano ricordo. I personaggi digitali potranno continuare ad avere l’aspetto di un cartone animato, naturalmente, ma sempre più personalizzabile e ricco di dettagli. Già oggi esistono servizi come Ready Player Me, che tramite browser, a partire da una fotografia e con semplici personalizzazioni, permettono di creare avatar abbastanza realistici e di usarli poi all’interno di altre applicazioni. LinkedIn prevede inoltre che presto emergeranno nuove applicazioni di tracciamento del movimento, che consentiranno a un utente di calare nel metaverso non solo la propria immagine ma anche la propria gestualità. V.B.

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Foto di James Yarema da Unsplash

LE SCOMMESSE TECNOLOGICHE VINCENTI

Quali saranno le tendenze tecnologiche del 2023 e degli anni a venire? Gli analisti di Gartner rispondono alla domanda ampliandola, allargando lo sguardo alle trasformazioni trasversali (come la ricerca di una maggiore sostenibilità) che si intersecano e potenziano le tendenze tecnologiche in senso stretto. “Per rafforzare la posizione finanziaria delle aziende in tempi di turbolenze economiche, i Cio e i dirigenti IT devono guardare oltre il taglio dei costi, verso nuove forme di eccellenza operativa, e allo stesso tempo continuare ad accelerare la trasformazione digitale”, ha spiegato Frances Karamouzis, distinguished vice president analyst di Gartner. Le tendenze sulle priorità tecnologiche strategiche del 2023 ruotano intorno a tre temi: ottimizzare, scalare ed essere pionieri. Cogliendo queste opportunità, le aziende potranno migliorare la resilienza, le operations e la fiducia degli utenti, e ancora potranno ampliare le soluzioni verticali e aprire la strada per nuove forme di coinvolgimento degli utenti. Se è vero che la tecnologia sarà cruciale, da sola non basterà. “Questi temi”, ha detto David Groombridge, distinguished vice president analyst di Gartner, “sono influenzati dalle aspettative e dai regolamenti Esg (Environmental, Social and Governance), che si traducono in una responsabilità condivisa di applicare tecnologie sostenibili. Ogni investimento tecnologico dovrà essere misurato in rapporto al suo impatto sull’ambiente, con il pensiero rivolto alle generazioni future. L’obiettivo della sostenibilità di default richiede una tecnologia sostenibile”. Vediamo allora le dieci priorità strategiche del 2023 tracciate da Gartner: si tratta non solo di tendenze che osserveremo l’anno prossimo, ma anche e soprattutto di opportunità che potranno scombinare le carte in tavola e generare valore nel prossimo decennio.

1. LA SOSTENIBILITÀ

Si tratta di una tendenza trasversale a tutte le altre. Una recente indagine di Gartner ha evidenziato che i cambiamenti ambientali e sociali sono tra le primissime priorità (le prime tre) degli investitori, davanti al profitto e al fatturato. Questo significa che le aziende dovrebbero puntare maggiormente sulle soluzioni che permettono di raggiungere gli obiettivi Esg, come per esempio tecnologie per la tracciabilità delle emissioni, per gli analytics, per l’utilizzo delle energie rinnovabili e per l’intelligenza artificiale finalizzata alla sostenibilità (sia quella dell’azienda stessa, sia quella dei suoi clienti).

2. IL METAVERSO

Nell’accezione di Gartner, il metaverso è uno spazio tridimensionale virtuale e collettivo, creato dalla convergenza tra realtà fisica e realtà digitale. Inoltre è uno spazio persistente, nel quale gli utenti possono vivere (e proseguire, da una sessione all’altra) esperienze immersive. Gli analisti si aspettano che, una volta maturato, il metaverso sarà indipendente dai dispositivi usati per accedervi e non sarà di proprietà di nessun vendor. Al suo interno esisterà una economia virtuale basata sulle criptovalute e sugli Nft (Non-Fungible Token). Gartner prevede, inoltre, che entro il 2027 più del 40% delle grandi aziende utilizzerà una combinazione di Web3, realtà aumentata, cloud e digital twin all’interno di progetti basati sul metaverso e tesi a incrementare i ricavi.

3. LE “SUPERAPP”

Una superapp somma le funzioni di un’app, una piattaforma e un ecosistema all’interno di un’unica applicazione. Non solo ha le proprie funzionalità ma mette a disposizione a terze parti una piattaforma per lo sviluppo e la pubblicazione di mini-app. Inoltre una singola superapp può consolidare e sostituire diverse applicazioni esistenti. Nella maggior parte dei casi si tratta di applicazioni mobili, ma il concetto può riferirsi anche a programmi desktop, come Microsoft Teams e Slack.

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4. L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE ADATTIVA

Un sistema di adaptive AI può aggiornare continuamente i modelli e apprendere all’interno di ambienti di runtime e di sviluppo basati su dati nuovi. Così facendo, può adattarsi rapidamente a cambiamenti del mondo esterno non prevedibili nel momento dello sviluppo iniziale. Utilizzando feedback in tempo reale, le applicazioni di AI adattiva possono modificare dinamicamente gli algoritmi e i loro obiettivi.

5. UN SISTEMA IMMUNITARIO DIGITALE

Nelle aziende, il 66% dei team responsabili dei prodotti digitali ha anche delle responsabilità sui ricavi. I Cio sono alla ricerca di nuovi metodi e approcci che aiutino i team IT a portare valore economico all’azienda, oltre a preoccuparsi di contenere i rischi e di migliorare la soddisfazione dei clienti. Per fare tutto questo, spiega Gartner, serve un “sistema immunitario digitale”, ovvero un meteodo che usa gli insight derivati dai dati per migliorare la resilienza e la stabilità dei sistemi, mettendo insieme le operations dell’IT, il testing automatizzato, la risoluzione degli incidenti automatizzata, il software engineering e la sicurezza. Entro il 2025, secondo gli analisti, le aziende che investono nella creazione di un sistema immunitario digitale taglieranno dell’80% i tempi di fermo.

6. L’OSSERVABILITÀ APPLICATA

I dati osservabili sono artefatti digitali (come log, chiamate Api, trasferimenti e download di file, tempi di permanenza, eccetera) creati da qualsiasi tipo di azione dell’utente. L’osservabilità applicata dà riscontro a questi artefatti con un approccio altamente orchestrato e integrato, e così facendo può velocizzare le decisioni. “L’osservabilità applicata permette alle aziende di sfruttare i propri artefatti di dati per ottenere vantaggi competitivi”, ha spiegato Karamouzis. “Se pianificata strategicamente e realizzata nel modo giusto, l’osservabilità applicata è la più potente fonte di decisioni basate sui dati”.

7. LA GESTIONE DI FIDUCIA, RISCHIO E SICUREZZA DELL’AI

Molte aziende non sono in grado di gestire i rischi dell’intelligenza artificiale. Uno studio di Gartner condotto su aziende statunitensi, britanniche e tedesche ha mostrato che il 41% di esse ha subito una violazione di privacy o un incidente di sicurezza legato all’AI. Dallo stesso studio risulta anche che sapere gestire attivamente i rischi, la privacy e la sicurezza dell’intelligenza artificiale permette di ottenere migliori risultati nei progetti di AI in corso, e inoltre aiuta a passare dalla fase di proof-ofconcept alla produzione. Per il trust, risk and security management dell’intelligenza artificiale è necessario poter garantire modelli di AI affidabili e sicuri per persone e dati. Inoltre è necessario che diversi dipartimenti aziendali lavorino insieme per adottare le nuove misure.

8. LE PIATTAFORME CLOUD INDUSTRIALI

L e piattaforme cloud industriali offrono una combinazione di Software as-a-Service (SaaS), Platform as-a-Service (PaaS) e Infrastructure as-a-Service (IaaS), con un approccio modulare, e possono rispondere a specifiche necessità di diversi settori e casi d’uso. Le aziende possono usare i diversi “mattoni” della piattaforma per comporre e personalizzare la propria soluzione, con notevoli vantaggi di agilità e time-to-market rispetto a metodi che non prevedono il cloud. Gartner prevede che entro il 2027 più del 50% delle aziende userà le piattaforme cloud industriali per velocizzare le proprie iniziative.

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l’analisi

GLI INVESTIMENTI IT DELLE AZIENDE RESISTONO AI VENTI CONTRARI

Non è un momento facilissimo per l’industria tecnologica. Le turbolenze dell’economia (i “venti contrari” d i cui parlano un po’ tutti gli analisti e i dirigenti delle aziende Ict nel commentare i propri risultati finanziari) stanno spingendo anche i grandi colossi del settore a correre ai ripari con massicci piani di ottimizzazione dei costi e, spesso, di licenziamento. “Siamo focalizzati sugli investimenti responsabili di lungo periodo e sulla risposta al contesto economico”, ha detto a commento dell’ultima trimestrale di Alphabet (Google) l’amministratore delegato Sundar Pichai. L’andamento della società di Mountain View è positivo, perché i ricavi del trimestre di luglio-settembre segnano u na crescita del 9% anno su anno, ma è impietoso il confronto con il +40% realizzato a luglio-settembre 2021. Quello di Alphabet è solo un esempio che dà l’idea della tendenza attuale. Anche Amazon nel terzo trimestre è cresciuta a doppia cifra in termini di ricavi (15% anno su anno) ma meno delle attese degli analisti, e l’amminsitratore delegato, Andy Jassy, ha fatto sapere con abile dialettica che “bilanceremo i nostri investimenti per ottimizzarli senza compromettere le nostre scommesse strategiche fondamentali di lungo termine”. Per la divisione Devices & Services sono già stati u fficializzati tagli, mentre i rumors parlano di licenziamenti più massicci nel prossimo futuro. Twitter, poi,

è un caso peculiare, perché il dimezzamento del numero di dipendenti è a nche l’effetto della “cura dimagrante” voluta da Elon Musk. Ma in generale anche i social network rallentano, cioè rallenta la spesa in advertising. E Meta sta pagando il prezzo del coraggio (o imprudenza) di aver aumentato la spesa in ricerca & sviluppo per tuffarsi nel metaverso. Sull’onda del calo dei ricavi, a inizio novembre l’azienda aveva già lasciato a casa undicimila persone. Focalizzando lo sguardo sul mondo B2B, tuttavia, lo scenario appare molto meno tetro. Nonostante l’inflazione, la volatilità dei tassi di cambio e le incertezze geopolitiche, gli investimenti in tecnologie e servizi IT continueranno a crescere in area Emea (Europa, Medio Oriente, Africa) anche nel 2023, secondo le stime d i Gartner. “Nelle fasi di turbolenza i Cio esitano a siglare nuovi contratti, a impegnarsi in iniziative a lungo termine o a ingaggiare nuovi partner tecnologici”, ha dichiarato John Lovelock , d istinguished vice president analyst di Gartner. “I budget IT

aziendali non sono al centro di queste esitazioni e le aziende della regione Emea nel 2023 li incrementeranno”. Secondo le stime, il prossimo anno i l volume spesa dovrebbe raggiungere i 1.300 miliardi di dollari, con un au mento del 3,7% rispetto al 2022. Il motore trainante sarà ancora una volta il cloud, in particolare i servizi di cloud pubblico, che già quest’anno chiuderanno con un valore di 111 miliardi di dollari e arriveranno a 131 miliardi nel 2023, con u n aumento stimato del 18,2%. A detta di Gartner, il budget cloud delle imprese rappresenterà il 34% del totale destinato alle spese software. Anche per i servizi IT si prospetta un anno positivo, con una crescita del 6,6% che sarà imputabile anche alle difficoltà di reperimento di risorse competenti: fattore, questo, che spinge le aziende a ricorrere a partner esterni per colmare la penuria. Sullo stesso crinale, gli investimenti indirizzati ai sistemi per data center (gli unici cresciuti anche quest’anno nella regione Emea) mostreranno a ncora un segno positivo dell’1%. Per converso, le spese dedicate ai terminali (Pc, tablet, smartphone) proseguiranno nella discesa già avviata nel 2022. Il calo della domanda soprattutto del mondo consumer porterà anche nel 2023 a una riduzione degli investimenti pari al 2,6%. Fra i mercati più maturi dell’Europa Occidentale, le cose andranno meglio nel Regno Unito, dove Gartner prevede che la spesa IT raggiungerà i 218,7 miliardi di dollari. In realtà la crescita sarebbe già iniziata quest'anno, ma l ’8% raggiunto va calcolato in sterline, fortemente deprezzate sul dollaro.

IN EVIDENZA 10 | DICEMBRE 2022 IN EVIDENZA

CLOUD

E SICUREZZA AL CENTRO DELL’ECONOMIA DIGITALE

L’amministratore delegato di Dell in Italia, Filippo Ligresti, sottolinea gli attuali punti di forza e di debolezza del mercato. Si punta sull’as-a-service.

La nuova economia digitale è qui, seppur con livelli differenziati di comprensione e applicazione per area geografica e tipologia di aziende. Al Dell Technologies Forum 2022, tornato in presenza in Italia dopo tre anni, se ne è avuta la conferma nelle testimonianze delle realtà intervenute e nei messaggi proposti dal vendor organizzatore. L’amministratore delegato della filiale italiana, Filippo Ligresti, non ha nascosto le difficoltà che ancora esistono e che emergono da uno studio condotto a livello globale sul tema. “Da noi, come in tutta Europa, si notano ancora limiti all’innovazione legati alla cultura delle persone e ai timori di non riuscire a stare al passo con i tempi e a evolvere in direzione data-driven”, ha detto Ligresti. Ci sono, tuttavia, elementi che suggeriscono che gli sviluppi di breve termine di Dell Technologies in Italia seguiranno un flusso in linea con l’andamento fin qui positivo. Li-

gresti ha confermato come la filiale abbia avuto un andamento persino leggermente migliore della corporate nel primo semestre del 2022, nonostante l’apprezzamento del dollaro. “Idc ci attribuisce il 45% di market share nei server e il 41% nello storage. I clienti ci affidano progetti importanti e, in campo infrastrutturale, l’ultimo è stato il miglior trimestre di sempre”, ha spiegato.

Fra gli sviluppi che potrebbero riservare nuove soddisfazioni, il manager ha indicato i progetti Apex e Alpine.

Il primo, lanciato nel 2021 ma disponibile da quest’anno, esplicita come Dell stia sempre più diventando un fornitore di servizi. Di fatto, si tratta della proposizione pay-per-use di sistemi e storage fruibili anche all’interno del data center di un’azienda, così come su siti periferici o in colocation ( Equinix è il partner globale). Alpine, invece, si fonda sulla migrazione verso i principali cloud pubbli-

ci delle soluzioni di storage (a file, a blocchi e a oggetti), che quindi sono in grado di funzionare sotto un’unica console o al di sopra delle risorse hardware di Aws, Azure e Google Cloud Platform. Se quest’ultima iniziativa sta vivendo ora il primo periodo di proposizione al mercato, Apex invece ha già ottenuto, secondo Ligresti, una buona accoglienza anche in Italia, ma viene proposto con la dovuta attenzione per non spostare equilibri e installazioni in modo forzato.

Garantire una trasformazione digitale sostenibile e innovazioni che si innestino in un futuro migliore è un driver che può essere perseguito superando la miriade di barriere umane al cambiamento e risolvendo le preoccupazioni oggi ancora molto forti sul fronte della cybersecurity. Uno studio realizzato da Vanson Bourne (che ha coinvolto oltre diecimila persone in 40 Paesi) ha infatti evidenziato un 72% di professionisti turbato dall’ascesa degli attacchi e concentrato sulla necessità di mitigare i rischi e ripartire, in caso, nel più breve tempo possibile. “I clienti italiani sono molto attenti alla criticità dei backup, essenziali per un rapido ripristino in caso di incidente, ha concluso Ligresti. “Ma per noi la data protection nel suo insieme è un focus importante e questo coinvolge anche i servizi di managed detection and response che possiamo erogare tramite i nostri partner”.

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Filippo Ligresti

METAVERSO TRA DUBBI E RAGIONEVOLI CERTEZZE

Non solo una tecnologia ma un universo di valore, che ha già un’efficacia dimostrata in attività come il training immersivo e l’assistenza al cliente. Ibm scende in campo con Verse Engine.

La prima e più importante argomentazione utilizzata per “smontare” l’ hype generato dal concetto di metaverso è che sarebbe semplicemente una versione rivisitata e rimodernata di Second Life, il mondo virtuale online nato ormai quasi vent’anni fa. È ovviamente un ragionamento superficiale, anche se non si può escludere a priori che le promesse del metaverso restino tali. È superficiale perché non tiene conto di alcuni fattori molto evidenti: negli ultimi anni la tecnologia si è molto evoluta (tempi di latenza, usabilità, ergonomicità, maggior facilità di sviluppo del software), i costi sono inferiori e la cultura degli utenti è cambiata, anche grazie all’accelerazione digitale impressa dalla pandemia. D’altra parte, sono piuttosto evidenti i potenziali vantaggi di questo nuovo mondo valoriale (sì, perché il metaverso, contrariamente a quanto si possa pensare di primo acchito, non è un insieme di tecnologie, ma un insieme di valori abilitato dalle tecnologie): si possono facilmente immaginare negozi virtuali connessi, sistemi efficaci di assistenza tecnica, strumenti di formazione, nuove modalità di interazione con i clienti. Per non parlare dei videogiochi e, sul fronte diametralmente opposto, dei sistemi di digital twin industriali, che già in parte sono utilizzati con successo e che iniziano a incorporare valori e tecnologie tipiche del metaverso.

Più difficile è immaginare un ritorno degli investimenti dei progetti che coinvolgono il metaverso, anche se la vendita di beni virtuali, nuovi livelli di efficienza sul lavoro (grazie a una collaboration più avanzata) e la possibilità di creare customer experience più efficaci fanno già oggi intravedere un risultato concreto dell’applicazione delle nuove tecnologie. Retail, intrattenimento, finanza, manifattura e formazione sono tra i settori che potrebbero ottenere i maggiori benefici dalla realizzazioni di progetti Web3 e metaverso (i due ambiti non coincidono ma hanno una vasta area di sovrapposizione).

Insomma, scetticismo e interesse si fondono, come spesso accade per ogni next big thing. In Italia, una recente ricerca condotta da The Innovation Group ha mostrato come oltre la metà delle imprese, di qualsiasi dimensione, consideri il metaver-

so un’opportunità. L’8% addirittura lo considera “il futuro” del digitale, mentre solo il 10% ha un atteggiamento negativo (ne parliamo in modo più approfondito a pag. 38).

Ibm ci crede “Per valutare le potenzialità di questo nuovo mercato”, ha detto Chris Hay, distinguished engineer di Ibm Consulting , nel corso di un evento dedicato agli analisti tenutosi a Londra lo scorso novembre, “dobbiamo concentrarci non tanto sui vantaggi e sulle problematiche dell’utilizzo dei visori immersivi, un elemento importante ma che io vedo come consequenziale all’adozione del metaverso. Dobbiamo invece concentrarci su un approccio Web3-driven, che ci porterà nuove e più ricche modalità di comunicazione con colleghi e clienti”.

La storia di Ibm nel metaverso, o meglio nel suo concetto, risale addirittura al 2004, quando Big Blue aiutava i propri clienti a creare mondi virtuali e partecipava poi con numerosi progetti a Second Life. La creazione di ambienti 3D visitabili in real-time e la decentralizzazione sono temi che all’interno dell’azienda sono stati oggetto di sviluppo e che ora fanno parte integrante dell’offerta, insieme a un complesso ecosistema di tecnologie (anche ovviamente di terze parti) e di valori. Un nutrito gruppo di soluzioni è compreso all’interno del Verse Engine, una piattaforma basata su tecnologia open-source che può essere utilizzata in cloud privato o pubblico e che si affianca ad altre soluzioni mirate, come Ibm iX Experience Orchestrator e Spatial Design System.

IN EVIDENZA 12 | DICEMBRE 2022

DA UN CLOUD “AFFOLLATO” E “PESANTE” VERSO LA LIBERTÀ DI SCELTA

Le aziende necessitano di migliorare la flessibilità e ridurre i costi degli ambienti IT. La visione di Vmware, illustrata dal presidente Sumit Dhawan.

Un multicloud smart, accordi per la promozione dei cloud nazionali, maggiore sicurezza e una gestione ottimizzata dei digital workplace estesa al mobile. Questi, in estrema sintesi, i messaggi che Vmware ha lanciato da Barcellona in occasione dell’evento europeo Vmware Explore 2022, che ha accolto ben diecimila persone, tra clienti e partner del Vecchio Continente. Messaggi importanti ribaditi dal presidente della multinazionale, Sumit Dhawan, in un’intervista esclusiva per le nostre testate. “I clienti stanno cambiando velocemente il loro modo di operare”, ha detto Dhawan. “Il lavoro delle aziende viene solitamente strutturato in diversi team, con compiti diversi, che sempre più spesso si trovano ad afferire al cloud. Ma se tutti i team convergono verso lo stesso cloud, sia per l’uso delle tante applicazioni necessarie a un’azienda sia per la parte DevOps, si arriva a una situazione ‘pesante’ che stride con la velocità di azione che ci si attende dalla digitalizzazione”. Oltre a questo problema, le aziende si trovano a dover combattere con altre difficoltà, quali la carenza di talenti digitali, i costi energetici, la sicurezza e timori relativi la sovranità dei dati stessi. Complessivamente, vere e proprie zavorre alla velocità auspicata dalla digitalizzazione, se si fa convergere tutto nello stesso cloud. Vmware si propone come partner di fiducia per le aziende, che consente loro una maggiore flessibilità nell’utilizzo del cloud,

con un migliore controllo dei costi e del consumo di energia. “L’alternativa a un cloud ‘affollato’ e complesso è la ripartizione dei workload, dei processi di sviluppo e gestione delle applicazioni su più cloud”, ha spiegato il presidente di Vmware, “ognuno con caratteristiche che lo rendono il più adatto e conveniente per l’utilizzo designato. Una condizione di flessibilità e di affrancamento dalle condizioni imposte da un unico provider cloud, che consente di lavorare sulle applicazioni aziendali in maniera trasversale attraverso un’infrastruttura che si può comporre di cloud privato, pubblico, nazionale e che arriva fino all’edge. Un’esperienza di efficacia e di sicu-

rezza che Vmware ha dimostrato nel tempo di poter garantire nel cloud privato delle aziende, e che ora possiamo trasferire su qualsiasi cloud, senza imposizioni di limiti”.

Secondo una ricerca condotta da Vanson Bourne per Vmware, il 96% delle aziende pensa che i dati saranno una fonte di ricavi nei prossimi due anni. Tuttavia la quasi totalità degli intervistati, il 95%, ha preoccupazioni relative alla sovranità dei dati. Oggi quasi tutti i Paesi del mondo hanno definito normative che regolano la gestione e l’archiviazione dei dati sul territorio nazionale, con associate multe per chi non è conforme. Per attivare dei cloud nazionali grazie alla trasposizione in edge dei cloud stessi Vmware ha stretto una serie di accordi con partner locali. Ad oggi sono attive alleanze per il sovereign cloud in una decina di Paesi fra cui l’Italia, dove l’accordo è stato siglato con Tim. “La flessibilità e la possibilità di trasposizione verso i diversi cloud consentono, inoltre, a Vmware di spostare le licenze on-premise da un cloud all’altro, potendo offrire sia il modello a sottoscrizione sia quello asa-service”, ha sottolineato Dhawan. “Il nostro Cloud Universal Program consente di spostare in maniera flessibile quanto è nel private cloud in un public cloud, in base a dove i clienti pensano sia meglio far girare i propri workload e le applicazioni sulla base dei diversi costi o dell’efficienza”.

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Sumit Dhawan

VELOCITÀ E SEMPLICITÀ, LE PROMESSE DEL DATA FABRIC

L’integrazione di sviluppo low-code, automazione e visibilità sui dati è la caratteristica distintiva della piattaforma di Appian. E oggi è una carta vincente.

Data fabric per molti può essere un’espressione un po’ criptica, ma non per Appian: è su questo concetto che, d’ora in poi, la multinazionale statunitense si focalizzerà sia dal punto di vista tecnologico sia nella comunicazione. Un data fabric è sostanzialmente un modo semplice per accedere alle informazioni, per condividerle in un ambiente dati distribuito e per gestire i dati stessi in modo unificato e coerente, superando i compartimenti stagni. Dal palco della conferenza londinese “Appian Europe”, il fondatore e Cto dell’azienda, Michael Beckley, ha rimarcato che per portare semplicità in ambienti IT sempre più complessi e frammentati non è sufficiente mettere insieme dati di diverse applicazioni e workflow. Non basta raccogliere: bisogna collegare, integrare e astrarre. La piattaforma di Appian è l’unica sul mercato a contenere tutti

gli elementi: le capacità di sviluppo no code/low code, i servizi di accesso ai dati basati su cloud, funzioni di sincronizzazione, composizione, discovery, arricchimento dei dati e – aspetto fondamentale – un livello di virtualizzazione (virtual data layer) che permette di accedere ai dati separandoli dalle applicazioni di partenza. Per l’utente il risultato principale è la velocità: con un data fabric bastano cinque minuti, anziché tre ore, per creare un report; serve il 75% di codice in meno per creare grafici; si dimezzano i tempi delle operazioni di sicurezza; le ricerche sono da due a quattro volte più rapide. Nonostante l’attuale fase dell’economia stia dando del filo da torcere anche ai grandi colossi tecnologici (basti pensare alle decine di migliaia di licenziamenti delle big tech), il mercato dell’automazione e della data integration ha grande potenziale di

crescita. Tra i settori di destinazione più promettenti quello bancario, l’assicurativo, il giudiziario/amministrativo, energia e utilities, istruzione, trasporti, Pubblica Amministrazione, difesa, sanità, supply chain e canale Ict. “Appian è già la scelta predefinita per le banche, le compagnie bancarie e assicurative e oltre 200 pubbliche amministrazioni”, ha spiegato Beckley a Technopolis. “Non siamo ancora molto conosciuti in altri settori, nei quali ci affidiamo molto ai nostri partner di canale per affermarci”. Il manifatturiero è uno tra i territori ancora da conquistare, ma già presidiati. In quest’ambito Appian può vantare un cliente illustre come Jaguar Land Rover, che ha usato il data fabric per gestire i molti cambiamenti conseguenti alla Brexit, tra documentazione, processi, relazioni con i clienti e compliance. “Il nuovo data fabric è molto adatto per la supply chain”, ha aggiunto il Cto, “perché essa è composta da sistemi che appartengono a diverse organizzazioni. Poterle trattare come un unico database è qualcosa di potente”. Tra le iniziative realizzate in Italia spicca la collaborazione con il Comune di Milano, che ha utilizzato la piattaforma lowcode di Appian per automatizzare e digitalizzare diverse procedure, dai servizi al cittadino al backoffice. Si intreccia invece con un tema molto attuale, quello della sostenibilità, il progetto della compagnia idrica britannica Anglian Water, che con

IN EVIDENZA 14 | DICEMBRE 2022
Michael Beckley Silvia Fossati

E-COMMERCE IN CALO, MA NON IN ITALIA

Il giro d’affari dell’e-commerce è in calo del 2% anno su anno a livello mondiale e del 9% in Europa. Sono i numeri emersi dall’ultimo report trimestrale di Salesforce, lo “Shopping Index”, relativo al terzo trimestre di quest’anno e frutto della raccolta di dati da quasi 2.800 siti di commercio elettronico di 61 Paesi. Scende anche il numero dei consumatori che nel trimestre hanno acquistato qualcosa online: -4% anno su anno. Il volume degli ordini si è ridotto, invece, del 5%. Considerando l’inflazione e il diverso clima psicologico dominante nel 2022 rispetto a quello del 2021, la tendenza non stupisce. Va detto comunque che tutti gli indicatori del confronto anno su anno sono, sì, negativi, ma meno di quelli del secondo trimestre. “Ad oggi il commercio elettronico si sta pian piano riequilibrando, dopo l'impennata sostenuta durante la pandemia”, ha commentato Maurizio Capobianco, area vice

un’applicazione cloud sviluppata tramite Appian ha potuto ridurre di oltre il 60% le proprie emissioni di carbonio.

Nel terzo trimestre del 2022 Appian ha visto crescere i propri ricavi del 30%, anno su anno, e per l’intero esercizio fiscale si attende un giro d’affari compreso tra 461 e 466 milioni di dollari. Il modello di business continua a spostarsi verso la vendita di abbonamenti, da cui oggi deriva più dell’80% del fatturato. “La pandemia, prima, e la contingenza economica nel 2022 hanno accelerato la digitalizzazione delle aziende e anche la loro esigenza di orchestrare

president cloud sales di Salesforce, “ma ciò non toglie che viviamo in un mondo sempre più digitale, dove le aziende devono adattarsi in continuazione alle mutevoli condizioni del mercato in modo da soddisfare al meglio le richieste dei consumatori, sempre più esigenti in termini di aspettative, tempistiche e relazioni con i brand”. Intanto i dispositivi mobili continuano a guadagnare importanza anche per le attività di navigazione sui siti di shopping online: tra quelli monitorati da Salesforce, il traffico

globale prodotto da smartphone e tablet è cresciuto del 6% su base annua, mentre il traffico generato da Pc è diminuito del 2%. Gli andamenti sono comunque parecchio diversi tra un contesto nazionale e l’altro e la buona notizia è che l’Italia, insieme alla Spagna, è in controtendenza. Nel nostro Paese, infatti, il valore degli acquisti in e-commerce del terzo trimestre 2022 è in linea con quello del terzo trimestre 2021, mentre il traffico Internet sui siti monitorati è cresciuto del 7% (più della media mondiale, che è del 3%). L’Italia resta comunque uno dei mercati in cui il tasso di conversione è tra i più bassi al mondo, cioè l’1,1%: questo significa che i consumatori passano molto tempo online a curiosare tra le offerte, leggere recensioni e confrontare prezzi, ma raramente procedono con l’acquisto. Altra nostra peculiarità è che il traffico e-commerce generato dai social media è pari al 10%, superiore di due punti alla media globale dell’8%.

processi più frammentati, se pensiamo allo smart working”, ha illustrato Silvia Fossati, area vice president per il Sud Europa di Appian. “Un altro vantaggio competitivo, per noi, è il fatto che nei periodi di recessione le aziende hanno necessità di ottenere efficientamento e ottimizzazioni con risorse limitate. Appian permette di sviluppare software e prodotti con un rapido time-to-market e con risorse limitate, e dunque siamo un asset importante per le aziende in questo momento”. Fossati ci ha confermato che anche nel nostro Paese, così come a livello globale, le società di servizi finanziari, le compagnie assicurative

e gli enti della Pubblica Amministrazione sono i pilastri di Appian. “In Italia abbiamo in corso iniziative con enti della PA centrale e locale”, ha spiegato, “e oggi il settore governativo, grazie anche al Pnrr, è a un punto di svolta”. La società comincia ora ad approcciare il settore sanitario italiano, potendo far leva sulle esperienze consolidate altrove. “Abbiamo molte referenze, negli Stati Uniti ma anche in Europa e questo è un ambito promettente anche in Italia, considerando le nuove frontiere che affronteremo con la telemedicina”, ha commentato Fossati.

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EUROPA, TERRENO DI CONFLITTI DIGITALI

Il nuovo scenario di cybersecurity vede un peggioramento della situazione più rapido in Europa che non in altre zone del mondo, a causa del conflitto russo ucraino in corso. Ripensare la postura di sicurezza è quanto mai urgente, come ci spiega Alessandro Livrea, Country Manager di Akamai Italia

Alla luce del vostro osservatorio, qual è oggi l’evoluzione delle minacce cyber?

Akamai ha una posizione privilegiata, un network con 365mila macchine e 1.500 reti presenti in 130 Paesi nel mondo, da cui estrae ampie informazioni sui trend delle minacce. Serviamo il 30% del traffico Web mondiale e quindi possiamo analizzare tutti gli accadimenti del Web, in termini di performance e di sicurezza. Nel primo trimestre del 2022 abbiamo intercettato, bloccato e mitigato oltre sei miliardi di attacchi di tipo Web. Ogni giorno analizziamo 454 terabyte di nuovi dati relativi ad attacchi sferrati nei confronti dei nostri clienti. Lo scorso anno abbiamo mitigato 200 miliardi di tentativi di credential abusee quasi settemila attacchi di tipo DDoS (Distributed Denial of Service).

Quali tendenze emergono da questi dati?

Gli attacchi di tipo applicativo stanno crescendo in modo lineare, anno su anno, e in particolare sono cresciuti per taglia e frequenza. Sono diretti a tutti i settori, dal commercio, all’ambito finanziario, high tech, industria, media e Pubblica Amministrazione. Anche gli attacchi DDoS, un evergreen della sicurezza informatica, continuano ad aumentare in magnitudo, frequenza e taglia. Quest’anno, per la prima volta, gli attacchi DDoS sferrati verso l’Europa hanno superato per il volume complessivo quelli diretti contro gli Stati Uniti, con una crescita del 200% anno su anno rispetto a un incremento della taglia media del 70% negli Usa. È il segnale che l’Europa è diventata un terreno di guerra digitale più attivo rispetto al resto del mondo: la crescita maggiore si è osservata da marzo, dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina, che ha portato nel digitale una vera e propria guerriglia.

Quale peso hanno oggi le bot malevole nella diffusione delle minacce cyber?

Sul totale del traffico che raggiunge siti e applicazioni Web, una quota compresa tra il 40% e il 70% è traffico generato da macchine. E il 40% di esse svolge attività in prevalenza malevole. Abbiamo bot che, per entrare in un account, provano le credenziali a ripetizione. Alcune poi sono addestrate per

entrare prima in un account Facebook (provando vari user-id e password spesso usati dagli utenti), per poi ripetere la procedura sull’home banking o altro. Abbiamo anche osservato attacchi malware che, una volta entrati nel network di istituti sanitari, sono riusciti a inserire o eliminare immagini di tumori nei file medicali.

Serve quindi un nuovo paradigma per la cybersecurity: quali sono gli elementi da considerare? Bisogna adottare una filosofia Zero Trust, ossia non dare accesso a informazioni se non strettamente necessarie e proteggere tutti i device, quindi anche quelli a uso promiscuo, come dispositivi personali utilizzati per il lavoro. Considerando la minaccia legata alle bot malevole, da un lato, e il ransomware dall’altro, sono sempre più indispensabili le soluzioni di botmanagement. Invece, per quanto riguarda i ransomware, le soluzioni di microsegmentazione aiutano a intercettare questa tipologia di attacchi e a limitarne gli impatti, facendo in modo che rimangano in una porzione confinata del network e del data center. Delle aziende che si sono rivolte a noi dopo aver ricevuto un attacco ransomware abbiamo notato che tutte avevano installato un EDR (Endpoint Detection and Response) e che erano presenti firewall, IPS (Intrusion Prevention System) e sistemi di controllo accessi. Quello che veramente mancava era una tecnologia che permettesse di avere visibilità dei flussi di informazione tra i sistemi, consentendo di individuare le dipendenze applicative e quindi di attuare procedure di microsegmentazione corrette.

IN EVIDENZA 16 | DICEMBRE 2022
TECHNOPOLIS PER AKAMAI
Di fronte alla crescita di DDoS, ransomware e violazioni di credenziali, gli approcci da adottare sono Zero Trust e microsegmentazione. Come ci spiega Akamai. Alessandro Livrea

L’UMANESIMO DIGITALE È IL NUOVO PARADIGMA

La ricerca del profitto non può più essere l’unico valore che muove le aziende.

Il punto di vista di Mind-Mercatis sull’evoluzione del mercato italiano.

L’accelerazione digitale, il lavoro ibrido e la scarsità di competenze informatiche spingono le aziende verso un cambiamento necessario, che è tecnologico ma anche e soprattutto culturale. Ce ne parla Paolo Malato, responsabile commerciale di Mind-Mercatis, società che si occupa di sviluppare e implementare progetti di trasformazione digitale nelle imprese.

L’ondata di trasformazione digitale innescata dalla pandemia sta proseguendo ancora?

Sì, senza dubbio: i forti cambiamenti che la pandemia ha accelerato con azione catalizzatrice stanno proseguendo ancora e con maggiore incisività. Ritengo però di retrodatare la formazione dell’onda di trasformazione non a ridosso del 2020 ma a qualche anno prima. Vi è stato infatti un intervento del Governo italiano che ha previsto agevolazioni per “Industria 4.0”, termine coniato in Germania nel 2013, correlato a una iniziativa del governo tedesco consistente in un poderoso programma di investimenti in infrastrutture, scuole, Pubblica Amministrazione e aziende, per migliorare il sistema produttivo e che ha innescato la scintilla della trasformazione digitale. Trasformazione partita in sordina in Italia, forse anche a causa della mancanza di una piena consapevolezza della necessità di innovazione da parte delle Pmi, ora divenuta ineluttabile.

Accanto al cosiddetto “lavoro ibrido”, quali cambiamenti osservate nelle aziende italiane?

Il cambiamento è stato soprattutto culturale, ma anche tecnologico. Innanzitutto, è stato letteralmente cancellato il concetto di posto di lavoro fisico. Con il

“lavoro agile” introdotto con la Legge 81/2017, si è voluto attribuire al lavoratore un ruolo fiduciario: non è necessario timbrare il cartellino ma si è misurati per obiettivi, erogando la prestazione nell’arco della giornata e da dovunque ci si trovi. Le innumerevoli piattaforme per il lavoro in cooperazione da remoto hanno facilitato molto tale modalità. Si sono determinate però alcune distorsioni, come ad esempio un utilizzo ipertrofico della videochiamata. Sembra che se non si è in “videocall” non si stia lavorando e le giornate lavorative sono anche di oltre dieci ore. E la quantità non è sempre sinonimo di efficienza.

Si sente spesso parlare di skill gap. Il problema si è accentuato o attenuato dopo la pandemia? Non ritengo che la pandemia abbia incrementato o attenuato il divario di competenza. I talenti andavano coccolati prima e vanno coccolati adesso. Evidenzio che la crisi economica, accentuata nel 2022 per l’inflazione, ha reso tutti più avidi e probabilmente, anche a causa di una mancata presenza fisica nei posti di lavoro, anche meno fidelizzati. Non si può però attuare, da parte delle aziende, una rincorsa ad agganciare valori economici di altre proposte di lavoro, che, come sirene, lusingano in molti; la parte economica è sì importante, ma non è l’unica componente. Vi sono la serenità dell’ambiente di lavoro, la formazione professionale continua, la flessibilità e capacità dell’azienda all’ascolto delle esigenze e la velocità di reazione ai segnali di eventuali insofferenze. Noi di Mind-Mercatis siamo consapevoli dell’importanza di questi aspetti, delle diversità di ognuno e del benessere “lavorativo” di tutti.

La tecnologia può essere una risposta ad alcune di queste necessità? La tecnologia può essere una risposta, ma è sempre il lato umanistico che dovrà prevalere, dovrà facilitare quello che io definisco umanesimo digitale, finalizzato ad apportare trasformazioni significative nella società per il bene e il progresso dell’umanità tutta, in modo trasversale e non a vantaggio di pochi. Mind-Mercatis è una società che eroga consulenza alle aziende in progetti di trasformazione digitale, e siamo in possesso delle competenze tecnologiche per poi rendere operativa tale trasformazione. La nostra squadra – e mi piace sottolineare che noi ci sentiamo fortemente squadra – ha conoscenze molto spinte delle tecnologie abilitanti, abbiamo compreso che l’ascolto dei nostri clienti è molto importante e cerchiamo di individuare sempre soluzioni che definirei sartoriali. I tre pilastri della nostra missione sono: attenzione all’ascolto, competenza spinta e tanta, ma davvero tanta passione.

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TECHNOPOLIS PER MIND-MERCATIS
Paolo Malato

DATA MESH, QUANDO E COME

UTILIZZARLO?

La gestione dei dati è un’attività sempre più strategica, anzi necessaria per le aziende, ma per molti versi è ancora problematica. Il data mesh può rappresentare una soluzione. Ce ne parla Andrea Zinno, sales director & data evangelist di Denodo It alia.

La gestione dei dati è ancora difficile per le aziende?

Oggi i dati sono al centro di qualsiasi processo e decisione aziendale, tuttavia la loro gestione è ancora un aspetto delicato, in quanto coinvolge non soltanto l ’ambito tecnologico ma anche l’assetto organizzativo e culturale. Le trasformazioni data-driven necessitano infatti di un cambiamento profondo, ulteriormente complicato da una mole di dati sempre maggiore e sempre più variegata. Basti pensare all’evoluzione della sensoristica, o al ruolo sempre più pervasivo dei social network e dei dati che li popolano. In un contesto così complesso, strumenti come i “contenitori di dati” (i cosiddetti “silos”)

vengono spesso connotati negativamente a causa della loro natura chiusa e delle difficoltà di fruibilità del dato. In realtà, i silos nascono con lo scopo di proteggere le informazioni e fornire garanzie sul modo in cui il dato verrà distribuito e sugli standard di sicurezza adottati: poiché la protezione dei dati rimane una priorità, ma non deve andare a discapito della loro fruizione, è necessario guardare a nuovi approcci. Le nuove architetture dati, come le a rchitetture logiche, per esempio, si pongono come soluzione mettendo a disposizione il dato grazie alla virtualizzazione, senza che sia necessario copiarlo altrove.

Il cloud ha migliorato o peggiorato la situazione?

Gli ambienti eterogenei, ibridi e multicloud da un lato rappresentano un altro elemento di complessità, dall’altro si connotano anche come la soluzione più adottata. La maggior parte delle aziende sceglie, infatti, di affidarsi a più cloud provider in base alle specifiche esigenze funzionali, mantenendo però il controllo internamente: si tratta di cambiamenti tecnologici che, pur avendo avuto un innegabile impatto, hanno al contempo contribuito ad aumentare la consapevolezza sull’utilizzo del dato e lo hanno addirittura favorito.

Che cos’è esattamente il data mesh e quando è utile?

Il data mesh è un paradigma organizzativo nella gestione del dato, basato su due pilastri fondamentali: la competenza sulle informazioni (importante per saperle sin-

tetizzare e aggregare adeguatamente) e la condivisione delle stesse (un dato diventa utile solo nel momento in cui è reso fruibile a chi ne ha bisogno). Il data mesh valorizza le competenze attraverso la creazione di data domain, permettendo a gruppi più o meno ampi – ma altamente specializzati – di gestire determinate tipologie di dati: tali informazioni, trattate singolarmente e quindi in base alla loro pertinenza, vengono poi condivise tramite data product (ovvero oggetti che rispondono a determinati standard e, una volta fruibili, rappresentano il paradigma informativo dell’azienda). Dal punto di vista implementativo, il data mesh può essere supportato da strumenti come le architetture logiche, la cui agilità non necessita di copiare preventivamente i dati e consente di mettere in comunicazione i diversi data domain. I principali benefici di questo approccio riguardano soprattutto le grandi aziende, che devono gestire elevate quantità di dati, persone e strutture organizzative.

Da dove si parte?

Il primo passo è comprendere appieno che cosa sia il data mesh e appurare che il cambiamento è principalmente organizzativo e culturale, prima ancora che tecnologico. È poi necessario interrogarsi sulla natura dell’azienda, capire quali benefici può portare questo approccio, senza fare scelte frettolose o guidate dai trend del momento. È molto importante che l’azienda abbia già una certa consapevolezza dell’importanza del dato e l’intenzione, già matura, di intraprendere una trasformazione data-driven. Soprattutto le realtà mediograndi, sia nel pubblico sia nel privato, hanno definito e intrapreso una strategia di cambiamento e si stanno ora interrogando sui punti di forza del data mesh e su come questo possa essere integrato con i modelli tradizionali, per poi passare alla fase implementativa. V.B.

IN EVIDENZA 18 | DICEMBRE 2022
Come portare semplicità in ambienti IT sempre più complessi, da dove si comincia? Il punto di vista di Denodo.
Andrea Zinno

ANALYTICS E CLOUD, L’ACCOPPIATA VINCENTE

Dal lancio di nuovi prodotti alla fidelizzazione dei clienti, l’analisi dei dati è sempre più essenziale per raggiungere obiettivi di business. Parola di SAS.

Gli analytics non sono una novità, ma il loro utilizzo in azienda comporta delle sfide. E molte opportunità non ancora pienamente realizzate. Ce ne parla Saverio Pasquini, Presales and Innovation Director di SAS.

Dove gli analytics hanno già preso piede e dove no? Dal nostro osservatorio sul campo notiamo che le aziende, di tutti i settori e dimensioni, sono sempre più consapevoli che per rimanere competitive, espandersi in mercati internazionali, personalizzare le esperienze dei clienti, fidelizzarli, creare nuovi prodotti e servizi devono necessariamente utilizzare i dati, ma non solo. È chiaro che i dati giocano sempre più un ruolo chiave sia nel business, indipendentemente da settore e dimensioni, sia per la società e i cittadini. Tuttavia, la raccolta di questi dati non è di per sé sufficiente perché la vera sfida è farli parlare (soprattutto tra di loro) tramite gli analytics, cioè metterli in connessione, individuare delle relazioni e analizzarli in tempo reale. Solo così, infatti, assumono un valore e possono essere trasformati in veri e propri input in grado di aprire nuovi scenari di supporto alle decisioni strategiche. La possibilità di estrapolarne informazioni permette di coglierne i benefici in ogni settore. Un ambito di applicazione di dati e analytics che sarà sempre più decisivo è quello legato alla sostenibilità, tramite la ricerca di nuovi utilizzi dell'analisi dei dati e dell'intelligenza artificiale per affrontare le sfide più importanti della società.

Il cloud è un’opportunità per gli analytics?

Stiamo osservando come il cambiamento stia portando in tutti gli ambiti produttivi a una rivisitazione delle attività e delle opportunità, sia per trasformarle sia per individuare nuove aree di business. Il trend è quello di avvicinarsi a modalità operative sempre più flessibili, integrate e resilienti. In questa ottica, l’introduzione del cloud rappresenta proprio il modello di fruizione che rende l’IT ancora più pronta a rispondere a questi rapidi cambiamenti del contesto, proprio perché permette di operare in modalità condivise, agili, più efficienti. Di conseguenza, passare al cloud è sempre più “attraente” per le aziende per ragioni di flessibilità e scalabilità. Portare gli analytics in cloud diventa, per le aziende, una scelta strategica che permette loro di estrarre il massimo valore dai dati e trasformarli in insight significativi, supportando i processi decisionali in modo più rapido, agile ed efficace. Velocità, flessibilità, trasparenza e riduzione dei costi. Potrebbero certamente essere riassunti così i vantaggi di un approccio cloud agli analytics. Ma l’elenco non risulterebbe affatto

esaustivo, dato che la forza vincente del binomio cloud-analytics sta nei percorsi di modernizzazione, trasformazione, innovazione che le aziende riescono ad innescare. SAS Viya, ad esempio, è la piattaforma cloud-native ideale per le organizzazioni aziendali che vogliono accelerare la propria trasformazione digitale sfruttando al massimo i benefici di Advanced Analytics e Intelligenza Artificiale in cloud.

Qual è la strategia di SAS per gli analytics in cloud?

La strategia cloud di SAS si snoda su due direttrici importanti: soluzioni “per il cloud” e soluzioni “SAS Cloud”. Può sembrare una sottigliezza, ma racchiuse in queste due anime c’è proprio la nostra volontà di abbracciare tutte le opzioni possibili per lasciare alle imprese la massima libertà di scelta: le soluzioni per il cloud sono pensate per consentire alle aziende di installare gli analytics su infrastrutture cloud scelte dalle aziende stesse senza nessun vincolo, nemmeno nella tipologia (pubblico, privato, ibrido). Negli ultimi anni abbiamo fatto importanti investimenti anche nell’ottica cloud-native; oggi la piattaforma SAS Viya ne è la massima espressione. Le aziende non sono più legate alle release di prodotto ma godono di una piattaforma che viene aggiornata e arricchita costantemente, rendendo fruibili gli aggiornamenti in modo immediato e diretto. Non solo: SAS Viya è aperta anche alle distribuzioni di open-source Kubernetes (che si aggiunge come alternativa al supporto di OpenShift) e supporta e si integra facilmente con nuovi linguaggi di programmazione come R o Python. La direttrice SAS Cloud si snoda invece sulla capacità di SAS di fornire servizi cloud direttamente alle aziende, sia erogando Software as a Service, sia offrendo hostedmanagedservicese remotemanaged services . Questi servizi sono pensati appositamente non solo per supportare le aziende nella governance e nella gestione della piattaforma di analytics, ma anche per accompagnarle nella progettazione del corretto modello architetturale di integrazione con i servizi e le applicazioni aziendali.

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UNA PIATTAFORMA PER LA TRASFORMAZIONE NEL FINANCE

Il rapporto fra istituzioni finanziarie e clienti sta mutando già da diverso tempo e la pandemia ne ha accelerato gli effetti. Il cambiamento coinvolge le tecnologie digitali, ma parte da un ripensamento dei flussi di lavoro. Ne abbiamo parlato con Filippo Latona, sales director di ServiceNow

Quali sono le principali sfide che devono affrontare le aziende operanti in ambito Financial Services, e come ServiceNow può aiutarle nei loro processi di trasformazione? Affianchiamo i nostri clienti e ci proponiamo di supportarli nel loro percorso di trasformazione partendo da un modello culturale, prima ancora che tecnologico. C’è una spinta che viene dalla società e che, naturalmente, ha avuto il suo evento scatenante nella pandemia: prima la tecnologia era subìta, creando il famoso digitaldivide , mentre oggi sembra quasi andare più lentamente rispetto alla società. Cambiamento di abitudini, di orizzonti, nelle relazioni tra le persone: alle aziende viene richiesto di rispondere a questa esigenza proponendosi come il luogo ideale dove realizzare le aspettative di cliente o di dipendente, in altre parole, di persona. Le banche, in particolare, hanno una responsabilità sociale che le pone in prima linea nel rispondere a queste aspettative. Si tratta di cambiare i modelli di ingaggio con le persone, di rendersi in grado di applicare insieme flessibilità e sicurezza a un livello mai raggiunto prima e di promuovere approcci sostenibili, garantendo attenzione ai costi e alla redditività.

Una miglior customer experience per banche, assicurazioni e gestori patrimoniali porta benefici di quale natura?

La realizzazione di questi modelli si scontra con barriere organizzative e tecnologiche che rendono lento il cambiamento e che determinano un “inquinamento” delle attività e dei programmi. Non uso a caso la parola inquinamento, poiché ne possiamo parlare laddove un processo non fluisce in modo spedito, in quanto la lentezza, gli ingorghi, il lavoro e i costi aggiuntivi che ne derivano, oltre alla frustrazione delle persone, sono tossici e producono vero e proprio inquinamento. Chi vorrebbe essere “inquinato” dalla propria banca o dal datore di lavoro, se pensiamo al cliente interno, quindi al dipendente? La soglia di sopportazione verso processi che non funzionano è diminuita drasticamente: il confronto è con i processi super efficienti che ognuno di noi sperimenta nella vita da consumatore online. Team di lavoro e sistemi disconnessi tra loro complicano le richieste più

comuni e, quindi, le esperienze dei clienti. Quando gli sforzi non sono armonizzati, si crea frustrazione e il business è meno produttivo. In breve, una architettura frammentata alimenta customer journey poveri e scollegati, minando il rapporto di fiducia con i clienti. Poter rispondere a tutto questo con soluzioni efficienti vuol dire prendersi cura delle persone, di nuovo la chiave “culturale” per essere riconosciuti dal mercato.

Ci sono vantaggi derivanti dall’adozione di una piattaforma integrata?

Mi piace descrivere le caratteristiche della piattaforma ServiceNow come i suoi “superpoteri”: la capacità di far fluire i flussi di lavoro e di realizzare processi end-to-end sotto controllo durante tutto il ciclo di vita. Ma anche di gestire processi che attraversino vari dipartimenti dentro la banca e che facciano leva sulla base dati disponibile ovunque questi dati si trovino in azienda. Inoltre, si possono mettere in collegamento reparti differenti, con metriche e strumenti differenti, spesso separati tra loro. Questa è la tecnologia con cui ServiceNow affianca i propri clienti per accompagnarli nel loro viaggio di trasformazione.

IN EVIDENZA 20 | DICEMBRE 2022
PER SERVICENOW
TECHNOPOLIS
Il sales director di ServiceNow, Filippo Latona, illustra le evoluzioni che stanno stravolgendo lo scenario e il percorso verso un miglior supporto al customer journey. Filippo Latona

LA LOGICA SOFTWARE-DEFINED GUIDA L’INNOVAZIONE

Le capacità di trasformazione digitale dipendono dal cloud, ma anche dall’automazione delle reti. Parola di Kyndryl.

Cloud computing e reti sono per le aziende due ambiti di trasformazione tra i più dinamici. A che punto siamo, in uno scenario in continua evoluzione? Lo abbiamo chiesto a Kyndryl, società nata a novembre del 2021 da una costola di Ibm e focalizzata sui servizi IT infrastrutturali, e in particolare a Isabella Scisciò, network & edge practice leader della filiale italiana.

Ci fa un primo bilancio della vostra attività in Italia?

Kyndryl si è posta sul mercato con una missione precisa: disegnare, costruire, modernizzare e gestire le infrastrutture tecnologiche che sono alla base dell’economia digitale. In un anno abbiamo vissuto una crescita significativa: la filiale italiana è passata da 1.450 a oltre 2.000 dipendenti e, con più di 200 clienti nei principali settori industriali, ci attestiamo come il leader nell’ambito dei servizi infrastrutturali. La nostra libertà d’azione ci ha permesso inoltre di focalizzare gli investimenti per essere molto più allineati alle esigenze dei nostri clienti. Il 2022 ha visto il consolidamento delle sei practice globali e lo sviluppo di un

ampio ecosistema di partner, con la conseguente espansione di competenze attraverso un importante programma di certificazioni sulle tecnologie più richieste. A tutto questo si aggiunge la costruzione di nuovi asset e capacità locali per rendere più efficace ed efficiente il modo in cui lavoriamo.

Nel prossimo futuro il cloud sarà ancora un motore di trasformazione?

La complessità della trasformazione digitale porta a un’evoluzione continua in termini di soluzioni e servizi: la tecnologia – basata tra le altre cose su cloud, intelligenza artificiale, sicurezza, reti – abilita un ecosistema di soluzioni integrate che portano vero valore alle aziende. Il cloud continuerà ad avere una presenza stabile nel percorso di digitalizzazione delle aziende, ma la tecnologia è in continuo cambiamento e possiamo aspettarci sviluppi più a mpi. Un’area di importante focalizzazione è l’automazione, su cui c’è una spinta incessante per ottimizzare il delivery attraverso un’efficienza di tipo predittivo. Stiamo infatti trasformando il modo in cui eroghiamo i servizi tecnologici grazie alla creazione di un sistema in costante apprendimento basato su automazione intelligente, nuovi modi di lavorare e crescita continua delle competenze: quello che in Kyndryl definiamo Advanced Delivery.

Le reti sono una tra le vostre specialità. Quali punti deboli e quali le sfide?

La rete è la piattaforma alla base del successo nell’era digitale: tuttavia, molte a ziende si trovano a dover gestire un mix di strumenti (hardware, software e forni-

tori di rete legacy) che ne ostacolano l’aggiornamento. Se l’adozione su larga scala del cloud ha reso le aziende più agili, il passaggio comporta anche una serie di oneri: ad esempio, i principali hyperscaler forniscono servizi cloud e di rete su larga scala, ma ciascuno ha set di funzionalità diversi. Ciò si traduce in un ambiente complesso da gestire, che rende difficile spostare carichi di lavoro critici in un cloud ibrido e multicloud integrato. Un mosaico di reti legacy e architetture Software Defined Network (Sdn) – che collegano Lan, Wan e data center aziendali, nonché cloud ibridi e multicloud – richiede che la rete si trasformi e venga gestita attraverso il Network Automation. Le aziende devono poi fare i conti con la sicurezza: a tal fine, Kyndryl propone il Secure Access Service Edge, che riduce i costi e limita le esposizioni ad attacchi esterni.

Ci sono opportunità ancora da cogliere? Spesso le aziende si scoraggiano di fronte alla gestione di ambienti complessi: perciò le supportiamo nel percorso di trasformazione digitale, spiegando come abbracciare una mentalità di governance tecnologica, investire in capacità latente ed estendere l’uso di Sdn e virtualizzazione. È importante poi che considerino l ’uso del cloud privato e dell’infrastruttura “as a service", collaborando con partner dalla comprovata esperienza. Kyndryl vanta molteplici esperienze nella trasformazione delle reti, fornendo soluzioni che tengano conto del modello evolutivo dei clienti: in ambito energy & utilities, per esempio, la realizzazione di una Sdn ha permesso di ridurre i rischi legati all’implementazione e facilitato la scalabilità. O a ncora, l’implementazione di una rete Sdn ha migliorato l’affidabilità e flessibilità di rete di un cliente nel settore digitale, integrando le connessioni tra le diverse sedi aziendali. V.B.

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Isabella Scisciò

IL SOFTWARE IN AZIENDA VA VERSO L’INTEGRAZIONE

Una piattaforma “all in one”, comprensiva di Crm, email, Ucc e altre applicazioni in cloud, può rispondere alle esigenze dei tempi che corrono. Il punto di vista di Zoho.

È noto che negli ultimi anni molte categorie di software funzionali allo smart working abbiano conosciuto un’importante crescita di adozione nelle aziende. Non fa eccezione Zoho, piattaforma nata come Crm ma oggi composta da una vasta gamma di applicazioni Software as-a-Service per posta elettronica, videoconferenze, contabilità, marketing, produzione di contenuti, gestione risorse umane e altro ancora. In Italia l’adozione è in crescita del 45% anno su anno. Qual è stata finora e quale sarà la ricetta per il successo? Ne abbiamo parlato con Sridhar Iyengar, managing director di Zoho Europe.

Come è cambiato l’uso dei Crm nel post pandemia?

La pandemia ha accelerato l’uso degli strumenti digitali per le aziende di ogni dimensione, a causa della necessità del lavoro a distanza. Oggi i modelli di lavoro ibridi sono diventati la norma. Entrambi

questi sviluppi hanno spinto le aziende a ricercare applicazioni cloud per aiutare i team commerciali e di assistenza ai clienti a gestire il Crm senza problemi dovunque essi si trovino, in ufficio, in viaggio o a l lavoro da casa. Le aspettative dei clienti sono aumentate anche in termini di velocità di risposta, ed è per questo motivo che le aziende che non sfruttano tutta la gamma di strumenti digitali di comunicazione potrebbero ritrovarsi con un tasso di soddisfazione dei clienti inferiore.

Che cosa chiedono oggi le aziende?

Oltre ai cambiamenti del Crm, un altro settore che richiede rinnovata attenzione riguarda l’esperienza dei dipendenti. È un tema che ora sta in cima all’agenda dei datori di lavoro ma anche del personale, ed è diventato molto importante dotarsi dei giusti strumenti capaci di consentire ai dipendenti di dare il meglio di sé e fornire una buona Ux (user experience, Ndr), sia per migliorare la competitività aziendale nella ricerca di talenti e nella capacità di trattenerli, sia per consentire ai dipendenti di avere successo nei loro ruoli.

E perché scegliere Zoho?

Zoho offre un eccellente ritorno sull’investimento. Nelle condizioni economiche instabili che attualmente l’Italia, l ’Europa e il mondo si trovano a dover affrontare, le aziende stanno valutando con attenzione i propri fornitori e potenzialmente cercano di limitarne il numero, sia per risparmiare denaro sia per gestire

le relazioni con i fornitori in modo più efficiente. Zoho offre diverse soluzioni su un’unica piattaforma per aiutare le aziende in tutti gli aspetti del business, fornendo così un’esperienza unificata e un metodo semplice e accurato per ottenere la visione di tutti i clienti importanti, e da questo scaturisce una customer experience superiore, nonché l’opportunità di ottenere un’istantanea delle prestazioni aziendali in tempo reale nel suo insieme o per reparto. Ciò consente di intraprendere azioni rapide, nonché decisioni informate aiutate dalla capacità di previsione.

La strada giusta è dunque quella dell'integrazione?

L’integrazione sta assumendo un’importanza crescente per favorire la competitività aziendale e migliorare l’esperienza dei clienti e dei dipendenti. L’uso d i troppe applicazioni diverse su troppe piattaforme crea informazioni e processi in silos, con conseguente isolamento d i dipartimenti o funzioni aziendali. In tempi di austerità, ci aspettiamo di vedere aziende di tutte le dimensioni prendere decisioni per tagliare i costi e, se riescono a ottenere tutto ciò di cui hanno bisogno su un’unica piattaforma o su un numero ridotto di piattaforme, ciò porterà al consolidamento.

Il mercato si sta allontanando dalle applicazioni legacy statiche, per andare verso soluzioni end-to-end che consentono alle organizzazioni di essere agili, scalabili e adattarsi ai cambiamenti dei propri settori. Tuttavia, riconosciamo che molte a ziende preferiranno comunque utilizzare una selezione di fornitori, quindi rendiamo tutto ciò il più semplice possibile, per ridurre le difficoltà e rendere la collaborazione con Zoho una scelta facile. Offriamo Api aperte e abbiamo configurato integrazioni con i principali attori in ogni segmento di mercato. V.B.

IN EVIDENZA 22 | DICEMBRE 2022
Sridhar Iyengar

GFT, DALLE BANCHE AD ALTRI SETTORI. ORA ANCHE CON UN SERVIZIO ESG

Parte dal banking ma si estende sempre più anche verso altri ambiti il mercato di riferimento di GFT, multinazionale tedesca che si occupa di integrazione di sistemi, tecnologie e di consulenza sui processi, presente in ben 16 mercati. Tra questi l’Italia, con una filiale che conta 900 persone dislocate tra Milano, Torino, Padova, Firenze, Siena e Genova. Il timone recentemente è passato nelle mani di Fabrizio Callery, in qualità di amministratore delegato, il quale per il nostro Paese sta esplorando anche altri settori.

Integratori, consulenti e sviluppatori “Sia a livello globale sia nazionale, il banking rappresenta il nostro mercato di riferimento", dichiara Callery, "seguito per dimensione dall’insurance, settore per il quale siamo partner certificati Guidewire. Marchio, questo (insieme ad altri) per cui ci occupiamo di integrazione e progettazione, non di sola rivendita, e che si affianca a un’offerta di soluzioni nostre, software custom sviluppati per rispondere alle esigenze precise dei nostri clienti”.

A questi mecati importanti GFT negli ultimi anni ne sta affiancando gradualmente anche altri, che per l’Italia si concentrano principalmente sul settore retail, sulla Gdo, il fashion e il luxury. Mercati B2C, che in fondo alla catena arrivino a interfacciare un’utenza consumer. Una catena sulla quale l’azienda ha costruito competenze che le consentono oggi di proporsi come interlocutori preferenziali nella costruzione di soluzioni di e-commerce, arricchite da schede clienti nell’ambito di un Crm evoluto, che nella logica dell’omnicanalità mostrino le caratteristiche e le propensioni all’acquisto dei potenziali clienti.

Gft realizza le proprie soluzioni tenendo conto delle specificità di ogni mercato, ma anche considerando che esistono esigenze comuni a tutti i settori e consumatori, sempre più iperconnessi e abituati ad avere risposte veloci, con il risultato di promuovere un’accelerazione della catena con time-tomarket ristretti.

Esg certificato e verificato per le grandi aziende Tra le tematiche che le aziende hanno in comune rientra ormai anche la certificazione Esg, sulla quale GFT è particolarmente attiva. “Il tema della sostenibilità, non solo ambientale ma anche etica, sociale e di governance, impone l’obiettivo di lasciare al futuro un mondo migliore di quello attuale", commenta Callery. "Per ottenere tale risultato, la comunità europea sta chiedendo di certificare non solo il singolo, ma l’intera filiera di riferimento.

Ogni realtà è, infatti, parte di una filiera, in quanto fornitore o cliente di qualcun altro, e nessuna di queste si potrà permettere di non essere in regola, altrimenti romperebbe la certificazione dell’intera filiera”. GFT pertanto, anche grazie a una partnership con un ente certificatore, ha costruito una piattaforma che consente alle grandi imprese di raccogliere i dati dei fornitori e dei clienti potenziali, per certificare la propria filiera, verificando così che i diversi soggetti abbiano le caratteristiche necessarie.

E per le piccole realtà c’è l’as-a-service

Le imprese più piccole, invece, potranno utilizzare la piattaforma attraverso la banca o attraverso la filiera di cui GFT è parte con l’ente certificatore, e sapere così se hanno i requisiti Esg sufficienti per poter ottenere un credito, o capire come e dove intervenire per poterlo avere. “Una funzione, questa che intendiamo offrire anche come as-a-service, in modo che tutte le imprese, anche le più piccole, possano ottenere questo tipo di certificazione, spiega Callery. "Il servizio è cross industry e può interessare indipendentemente retail, industria, fashion e luxury".

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TECHNOPOLIS PER GFT
Il system integrator si propone come riferimento per il mondo del banking e insurance, ma esplora altri settori con soluzioni personalizzate e, ora, con servizi trasversali per la certificazione Esg.

IN VIAGGIO VERSO LA SOSTENIBILITÀ

re consumer o all’interno di filiere sempre più controllate, quali moda e agroalimentare) verso l’adeguamento a questi nuovi standard come condizione necessaria per poter rimanere sul mercato.

L'attuale scenario di crisi energetica potrebbe accelerare o decelerare questo percorso?

La transizione ecologica è non solo la grande sfida del nostro tempo, cruciale per la sopravvivenza del Pianeta. È anche un’opportunità di business per le aziende – grandi o piccole, ben avviate o startup – capaci di proporre soluzioni innovative per la riduzione dei consumi, l’energia circolare, la misurazione e compensazione delle emissioni inquinanti. Insomma, soluzioni di climate tech. Le startup focalizzate su quest’ampio e variegato ambito nascono come funghi e una realtà italiana è quello di Mugo, società benefit nata nel 2020, che propone soluzioni per la misurazione e la compensazione dell’impatto ambientale, integrabili con gli esistenti software aziendali. Il nome allude al pino mugo, un sempreverde che punteggia le Alpi Orientali: un arbusto che ha grandi capacità di assorbire l’anidride carbonica, a dispetto delle piccole dimensioni. La convinzione di Benedetto Ruggeri, giovane imprenditore e fondatore di Mugo, è che ogni piccolo gesto possa fare la differenza.

Quanto le aziende italiane considerano i fattori Esg nelle loro strategie? Anche in Italia, dopo anni di proclami e spot, finalmente un numero sempre maggiore di aziende è interessato a integrare criteri Esg e di sostenibilità al proprio interno. Ad oggi, secondo una ricerca di PwC, un Ceo su tre ha iniziato un percorso di decarbonizzazione in azienda. Le società quotate sono senza dubbio quelle

più attente e consapevoli delle performance Esg, soprattutto per incrementare le opportunità di investimento sul mercato. In generale le grandi aziende investono di più in sostenibilità rispetto alle Pmi. La reportistica, l’individuazione di obiettivi e la misurazione degli impatti sempre più stanno diventando parte di processi ordinari in azienda. Nel tessuto imprenditoriale italiano però, nonostante piccole realtà che rappresentano casi di eccellenza in sostenibilità (molte BCorp e società benefit), esiste ancora un gap in termini di comprensione del tema e, di conseguenza, di opportunità che ne derivano. Il trend attuale spingerà nei prossimi anni sempre più Pmi (in particolare operanti nel setto-

Le aziende che fanno la differenza non possono che essere quelle che guardano nella stessa direzione dei propri consumatori. Infatti, è solo grazie alla consapevolezza dei consumatori che le aziende si impegnano per rispondere concretamente alla crisi climatica. Nel settembre 2019 più di sei milioni di persone sono scese in piazza per il clima e le aziende non hanno fatto altro che rispondere a questo trend, diventando in alcuni casi influencer di sostenibilità per il proprio mercato di riferimento. La crisi energetica in atto sta polarizzando il dibattito su posizioni rigide e difficilmente conciliabili. Situazioni estreme come quella che stiamo vivendo, però, richiedono soluzioni radicali e coraggiose di lungo periodo da parte di aziende e di governi. Non possiamo permetterci di rimettere in discussione la direzione intrapresa.

Quanto è complesso per un'azienda adottare tecnologie per la misurazione dell’impatto carbonico?

Le cosiddette attività di carbon accounting, intraprese per stimare l’impatto climatico di un’azienda, stanno diventando sempre più diffuse, a partire dalle categorizzazioni standard (come quella del Ghg Protocol) per analizzare le emissioni dirette (Scope 1), quelle indirette ma sotto il controllo dell’azienda (Scope 2) e le altre emissioni indirette (Scope 3). Lo stesso si può dire per le attività legate alle emissioni di prodotti e servizi che vengono regolate da standard riconosciuti a livello internazionale. Ma tale stima deve rappresentare una base di partenza. Che cosa fare con

EXECUTIVE ANALYSIS | Networking 24 | DICEMBRE 2022 GREEN IT
La misurazione dell’impronta carbonica è una componente essenziale nelle strategie di transizione ecologica delle aziende. Il punto di vista di Mugo, una startup italiana. Benedetto Ruggeri

CLOUD E AMBIENTE, I PILASTRI DI SAP

Quanto la sostenibilità ambientale è davvero presente nelle strategie delle aziende, al di là delle dichiarazioni d’intenti e delle operazioni di greenwashing? Di certo è un tema che sta guadagnando rilevanza non solo tra i consumatori ma anche nei consigli di amministrazione di piccole, medie e grandi imprese. Lo dimostra un’ampia indagine condotta da Sap su oltre 6.600 manager di aziende distribuite su 40 Paesi e 29 settori: il 60% degli intervistati pensa che la sostenibilità abbia un effetto “forte o moderato” sulla competitività e sulla profittabilità dell’azienda nel lungo periodo. Per diventare sostenibili è spesso necessario trasformarsi, intaccando alcune abitudini e processi aziendali e magari affrontando delle spese. Ma è un investimento che ripaga, perché profitti ed etica ecologista non sono incompatibili, anzi. “Le due cose si possono conciliare”, ha dichiarato Carla Masperi, amministratore delegato Sap Italia, in conferenza stampa a Milano durante l’annuale fiera-evento Sap Now. “Secondo la nostra ricerca, il 75% delle persone trova una correlazione positiva tra profittabilità e sostenibilità, il 71% la trova fra competitività e sostenibilità”. Sap aveva già realizzato un simile studio nel 2021 e rispetto ad allora, in

questa nuova survey, il numero delle organizzazioni che sta pianificando investimenti in progetti sostenibili è aumentato di cinque volte. Ben l’87% degli intervistati ha detto che i dati di misurazione e reporting sulle questioni ambientali influenzano le decisioni operative e strategiche dell’azienda (in misura moderata o forte) e anche qui il salto rispetto al 2021 è apprezzabile: +15%. Inoltre la maggior parte delle realtà prevede di aumentare gli investimenti destinati alle questioni ambientali nell’arco dei prossimi tre anni. La prima motivazione che spinge a diventare più sostenibili (citata dal 36,6% del campione) è la crescita dei ricavi, cui seguono la realizzazione della missione dell’azienda (36%), l’impegno del board (35%) e la volontà di assecondare la domanda dei clienti per prodotti e servizi più green (33,7%). Ovviamente non mancano le difficoltà. Tra gli ostacoli che rallentano i progetti e gli investimenti “verdi” sono stati citati la perdurante incertezza creata dalla pandemia di Covid, la mancanza di fondi, strategie non coerenti e difficoltà nel dimostrare il ritorno sull’investimento. Perdono invece importanza, rispetto a un anno fa, le difficoltà di misurazione e reporting sull’impatto ambientale e sulle azioni di sostenibilità aziendali.

quel dato? Come interpretarlo? Sono queste le vere domande a cui ogni azienda deve rispondere per dare un vero valore alle informazioni raccolte ed è qui che tecnologia e innovazione possono aiutare a orientarsi. Nel nostro caso, usiamo la tecnologia per creare nuove esperienze per i consumatori dei nostri clienti, rendendo disponibili informazioni sull’impatto climatico di prodotti e servizi aggregando,

categorizzando e confrontando migliaia di dati in tempo reale attraverso i nostri algoritmi.

Per una startup che si lancia su questo mercato è difficile farsi largo?

Il mercato è in evoluzione e come tale anche i player che lo compongono. Per questo motivo, è fondamentale da un lato rendere il proprio business sempre più scalabile, dall’altro avere ben chiaro

In quest’ambito sono stati compiuti dei progressi e molto, ancora, può essere fatto per aiutare le aziende a definire il punto di partenza e monitorare i progressi. E qui si inserisce Sap con la propria offerta di piattaforme e software basati sul calcolo in-memory e, sempre più, sul cloud. “Rise with Sap contribuisce per il 50% alla nostra crescita”, ha detto Masperi, riferendosi all’offerta cloud di Sap, lanciata sul mercato da un paio di anni e comprensiva di S/4 Hana e di un’infrastruttura progettata e gestita dal vendor. “Il 100% dei nuovi clienti ha adottato Rise with Sap”, ha aggiunto.

il posizionamento e i fattori chiave che rendono sempre unica la value proposition della startup. La presenza di grandi player in questo settore è una semplice attestazione della bontà di quanto stiamo facendo e delle potenzialità del mercato. Stiamo tutti lavorando per risolvere la crisi climatica attuale: andiamo quindi nella stessa direzione, come compagni di viaggio. V.B.

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LAVORI IN CORSO E SFIDE IRRISOLTE NEGLI ENTI PUBBLICI

Molte realtà della Pubblica Amministrazione hanno già avviato progetti legati al Pnrr, ma la trasformazione richiederà tempo. La cybersicurezza è ancora sottovalutata.

Un “nuovo corso”, con un nuovo governo, con nuove relazioni da consolidare all’interno dell’Unione Europea e con uno scenario internazionale critico, che si riflette sull’economia. Il 2023 si aprirà con molte incognite, ma anche con il proseguimento di un percorso già avviato. Le risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza dovranno servire innanzitutto ad accelerare la trasformazione digitale: questa è la prima aspettativa degli enti di Pubblica Amministrazione centrale e locale italiani, stando a una ricerca di Gruppo Maggioli e The Innovation Group. Sul campione d’indagine (151 enti di diverse dimensio-

ni, in prevalenza locali, come Comuni, Province, Comunità montane, Unioni di Comuni), il 46% ha citato la trasformazione digitale tra i principali benefici attesi del Pnrr per il settore pubblico. Seguono, nell’ordine, lo sviluppo di nuove competenze (36%), l’incremento di efficienza (32%), la semplificazione (29%), la maggiore qualità dei servizi (29%), il ricambio generazionale (28%). In pochi ritengono che le risorse del Piano possano servire al miglioramento dei rapporti con i cittadini (16%), una maggiore competitività della PA (14%), un aumento di produttività (11%) e una riduzione dei costi (7%). Come a dire: per questi non

semplici obiettivi, avere a disposizione dei fondi da investire non è sufficiente.

Tra realismo e preoccupazioni Peraltro gli enti pubblici italiani sembrano anche consapevoli del fatto che una vera trasformazione, digitale e organizzativa, richiede tempo. Ben l’82% degli inter vistati pensa che i progetti legati al Piano dovranno proseguire oltre la scadenza dello stesso, cioè dopo il 2026. Una certa dose di realismo, per non dire pessimismo, si coglie anche dalle risposte alla domanda su quali siano i potenziali ostacoli alla realizzazione dei progetti legati al Pnrr: innanzitutto la complessità delle leggi e della burocrazia e la scarsa capacità amministrativa (elementi citati, entrambi, dal 48% degli intervistati) e a seguire la mancanza di competenze (44%), le resistenze culturali (“La PA non

EXECUTIVE ANALYSIS | Networking 26 | DICEMBRE 2022 ITALIA DIGITALE
Foto di Nattanan Kanchanaprat da Pixabay

è pronta a recepire cambiamenti”, 33%), l’assenza di riforme a supporto (27%), i tempi troppo stretti (22%), il contesto macroeconomico (15%) e lo scenario geopolitico attuale (12%). Dunque la guerra, le tensioni diplomatiche, il rialzo dei costi dell’energia e l’inflazione non vengono usati, se non da pochi, come giustificazione di un eventuale fallimento dei progetti. E tuttavia è indubbio che queste dinamiche non si possano ignorare. Di fronte alla crescita del cyberspionaggio e degli attacchi informatici rivolti alle infrastrutture critiche e agli enti governativi, in tutta Europa si fanno pressanti i temi della resilienza tecnologica, della sicurezza e della sovranità sui dati. Lo confermano le risposte della survey: tra gli intervistati, il 58% ha notato un incremento delle minacce cyber nei mesi successivi all’inizio del conflitto russoucraino.

Progetti avviati e nuove sfide Ma quali sono, nel concreto, i progetti già iniziati nella PA italiana con il supporto del Pnrr? Lo stato dell’arte della scorsa estate, fotografato dall’indagine di The Innovation Group e Gruppo Maggioli, lascia intuire la direzione intrapresa e, purtroppo, un certo ritardo nelle trasformazioni più profonde e di sostanza. Infatti è vero che tra giugno e luglio il 75% degli pubblici aveva già avviato iniziative legate al Pnrr, ma in alcuni casi (il 31%) si trattava di semplici attività di consultazione delle fonti informative ufficiali. Circa un ente su quattro aveva intrapreso azioni di semplificazioni amministrativa (25% dei rispondenti) o riorganizzazioni interne (24%), e meno di due su dieci si erano adoperati per assumere nuovo personale specializzato (17%), per farsi supportare da società di mercato (15) o per rivedere i piani di investimento e i budget (14%). Vero è che negli ultimi mesi lo scenario potrebbe essere cambiato, ma considerando il contesto di incertezze economi-

che e politiche (nazionali e internazionali) non è ragionevole ipotizzare grandi accelerazioni. E, come si diceva, oggi rispetto al passato è ancor più importante che gli enti pubblici migliorino le difese informatiche per proteggersi da attacchi DDoS, ransomware e altre minacce. Lo ha sottolineato anche S&P Global Ratings in un suo recente report: “I cyberattacchi con motivazioni geopolitiche sono un particolare rischio per gli Stati indipendenti”, ha dichiarato Zahabia Gupta, analista autrice del report. “Questo, insieme alla crescente digitalizzazione dei servizi della Pubblica Amministrazione, dovrebbe spingere gli Stati a considerare un aumento degli investimenti e della spesa per creare solidi sistemi IT e di backup”. Come conseguenza della situazione macroeconomica e geopolitica attuale, nel 2022 la spesa di IT security dovrà aumentare per l’88% degli enti pubblici interpellati. Va notato però che il rapporto tra spesa IT e spesa in IT security è ancora sbilanciato, spesso: per il 36% del campione la quota da dedicare alla sicurezza informatica non deve superare il 5% del budget IT, un livello decisamente basso. Particolarmente importante ai fini della sicurezza informatica sarà, inoltre, il successo della

Strategia Cloud Italia, che mira a portare su infrastrutture di data center sicure e certificate il 75% delle attività della Pubblica Amministrazione da qui al 2025. Intanto c’è un nuovo anno che bussa alla porta, con il suo carico di sfide. Accanto a quella della cybersicurezza, bisognerà affrontare quella del cambiamento culturale e organizzativo: un tema non certo nuovo per la PA italiana, spesso accusata (e spesso a ragione) di essere troppo ingessata e lenta. Al suo interno ancora domina una cultura del lavoro incentrata sul controllo diretto del personale: solo il 13% del campione ha già adottato un modello incentrato sul raggiungimento degli obiettivi, modello che è invece già abbastanza diffuso nelle aziende private (52%, secondo un’altra ricerca di The Innovation Group). Su quali leve si può agire? Gli enti pubblici sanno di dover incrementare l’uso delle tecnologie digitali (citato nel 45% delle risposte), di dover promuovere una diversa cultura interna (37%), di dover consolidare lo smart working (30%) e incentivare il lavoro agile (27%). Un mix di tecnologie digitali, di impegno e apertura mentale è ciò che serve per affrontare il futuro.

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L’INNOVAZIONE MADE IN ITALY È ANCHE TECNOLOGICA

Le testimonianze di aziende come Prada, Maire Tecnimont, Snam e Reale Ites: tutte impegnate a coniugare trasformazione digitale, ricerca dell’efficienza e sostenibilità.

Come impostare un percorso di trasformazione digitale che tenga conto delle numerose sfide poste oggi dal mercato? Dalle aziende italiane più strutturate possono arrivare utili indicazioni su come raggiungere obiettivi di trasformazione, che si tratti di migliorare l’efficienza nei processi, di cercare nuove opportunità di business, di contrastare la crisi energetica o di individuare percorsi di sostenibilità accompagnati dal supporto tecnologico. Nel corso di un recente evento organizzato da Microsoft, alcune importanti realtà del nostro Paese hanno fornito testimonianze sull’apporto del digitale ai rispettivi piani di sviluppo.

Gruppo Prada, in modo particolare, ha messo in luce come l’utilizzo dei dati e delle nuove capacità elaborative sia una leva strategica per il made in Italy. Una gestione dei dati capillare può consentire, infatti, una maggiore personalizzazione della customer experience nel contesto della relazione diretta con il cliente, oltre che il monitoraggio puntuale della catena produttiva e il tracciamento dell’autenticità dei prodotti. Per questo, l’azienda ha sviluppato un data lake in cloud che, come ha descritto il Cio, Cristiano Agostini, “consente di beneficiare di una base dati unica e alimentare costantemente il patrimonio informativo, per semplificare

l’elaborazione di insight e per migliorare la pianificazione, meglio comprendendo le dinamiche di mercato”. Prada, inoltre, sta cercando di concentrarsi sulla valorizzazione del capitale umano, per integrare professionalità nuove e tradizionali in uno scenario di skill shortage in cui è fondamentale attrarre e trattenere talenti. Per Snam, ricerca di efficienza e crescita sostenibile devono necessariamente fondersi, visto che parliamo di una delle principali società di infrastrutture energetiche al mondo. Su questa base è stato varato il progetto SnamTec, destinato a guidare l’azienda nell’impegnativa transizione ecologica ed energetica verso l’utilizzo di nuove fonti come il biometano e l’idrogeno. Per renderlo operativo, come ha ricordato l’executive vice president strategy, innovation & sustainability, Claudio Farina, “è stato necessario

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Foto di Oleg Gamulinskiy da Pixabay

rinnovare sia le infrastrutture fisiche sia quelle digitali. Abbiamo scelto di farlo in cloud per ottimizzare la gestione IT, potendo così allocare le risorse prima dedicate all’aggiornamento dell’on-premise a progetti di sviluppo”. Per il futuro, Snam punta a un sempre più massiccio utilizzo di tecnologie di AI e Big Data per diffondere ulteriormente intelligenza e capacità di calcolo sulla rete. Un esempio di questo approccio è il progetto di Intelligent Dispatching, che sta già incrementando la sicurezza del servizio volto a garantire l’approvvigionamento di gas alle attività essenziali del Paese e a migliorare l’efficienza del sistema.

Dall’ingegneria all’agricoltura

Nel solco dell’innovazione a supporto degli obiettivi di sostenibilità si pone anche l’esperienza di Maire Tecnimont. In linea con il proprio piano di azione verso la neutralità carbonica, la società di ingegneria dedica da tempo grande attenzione alla misurazione delle emissioni di CO2. In particolare, ha sviluppato una soluzione che consente di raccogliere dati in modo organico da una varietà di fonti, di misurare le emissioni con librerie e modelli di calcolo sia standard sia personalizzati, di produrre report in tempo reale monitorando l’impatto ambientale su cruscotti di Business Intelligence sempre aggiornati. Questo strumento, ha illustrato Ilaria Catastini, head of group sustainability della società, “rientra in una strategia più ampia di sostenibilità che si basa su quattro cluster, ovvero clima, economia circolare, ambiente, persone & comunità, e innovazione”.

Anche Reale Ites ha intrapreso la via della modernizzazione del proprio data center in ottica cloud, con l’obiettivo di accelerare il percorso di trasformazione digitale del gruppo di appartenenza (Reale Group) e di essere sempre in grado di rispondere alle sempre mutevoli aspettative dei clienti. L’azienda ha anche avviato, in collabo-

RISORSE UMANE, MA SEMPRE PIÙ DIGITALI

In Italia il lavoro delle risorse umane diventa sempre più digitalizzato. In Europa siamo addirittura i timonieri di questa trasformazione, che investe processi come la ricerca e selezione del personale, l’onboarding, la gestione dei dipendenti, la formazione, la misurazione delle performance lavorative e altro ancora. Così emerge da un recente studio di Sd Worx, nel quale sono stati interpellati 4.371 datori di lavoro e 10.119 dipendenti di società private e pubbliche europee. Il 61% delle organizzazioni italiane, fra aziende ed enti pubblici, quest’anno ha incrementato la digitalizzazione delle attività di Hr. I settori più maturi sono finanza e assicurazioni (il 60% ha aumentato la digitalizzazione dell’area risorse umane), manifatturiero (60%), no-profit (58%) e sanità (57%). In diverse attività permane comunque, e comprensibilmente, una certa preferenza per le interazioni faccia a faccia e per i processi decisionali affidati alle persone. In particolare, i dipendenti preferiscono un approccio personale nelle attività di onboarding (solo il 15% predilige un approccio digitale), nella collaborazione tra colleghi, nei colloqui, nel reclutamento e nella valutazione delle prestazioni.

razione con Microsoft, un’iniziativa indirizzata alle Pmi che unisce competenze tecnologiche e finanziario-assicurative per mettere a fattor comune expertise, tecnologie e servizi utili per la digitalizzazione delle piccole realtà del territorio con un obiettivo di efficienza, sostenibilità, produttività, resilienza e prevenzione dei rischi aziendali. Un altro ambito di interesse è rappresentato dal settore agricolo. “Abbiamo dato vita a HubFarm, un progetto che intende accelerare la transizione tecnologica, digitale ed ecologica delle imprese agricole”, ha spiegato Marco Barioni, Ceo di Reale Ites Italy. “Il digitale infatti consente, partendo dai dati, di aiutare ogni organizzazione, anche quelle del settore agricolo, a definire le aree di efficientamento e quelle di innovazione: dal precision farming fino al tracciamento della filiera agroalimentare”.

Il punto d’incontro fra tech e green Molte, come si è visto, sono le realtà impegnate nella ricerca dei punti di congiunzione tra sviluppi tecnologici avanzati e sostenibilità. Si tratta di un contesto nel quale, forse più che in altri ambiti

collegati all’innovazione, si avverte il peso della carenza di competenze. Uno studio realizzato da Boston Consulting Group per Microsoft mette in evidenza la strada che ancora va percorsa per diffondere conoscenze di tipo analitico e di data science a supporto delle scienze ambientali. Si nota, in modo particolare, come il 68% di chi attualmente si occupa di sostenibilità provenga da altre funzioni interne all’organizzazione e solo il 40% abbia maturato un’esperienza di almeno tre anni su questo tema. Più in generale, tra le aziende intervistate a livello globale il 57% dei membri dei team di sustainability non ha una formazione in un campo correlato alle tematiche ambientali e climatiche. Secondo la ricerca, gestione e analisi dei dati, Business Intelligence e digital design sono le competenze digitali più richieste per chi si occupa di sostenibilità in questo momento storico Dal punto di vista ambientale, il focus si concentra sulla misurazione e reportistica delle emissioni, sulle nozioni di base sul cambiamento climatico e sulla capacità di analisi di sfide e opportunità.

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LA DOPPIA VELOCITÀ DELL’AI ITALIANA

Il nostro Paese è all’avanguardia nel campo della ricerca, ma limiti di competenze e investimenti rallentano i progetti. L’opinione di Gianluigi Greco, presidente di AIxIA.

L’intelligenza artificiale è una grande leva di cambiamento, ma è anche fonte di rischi, reali o paventati. E per molte aziende, specie in Italia, è difficile cogliere l’opportunità. Come risolvere queste contraddizioni? Ne abbiamo parlato con Gianluigi Greco, presidente di AIxIA, l’Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale.

La vostra missione è quella di promuovere la ricerca e la diffusione delle tecniche proprie dell’intelligenza artificiale. A che punto è l’Italia in questo percorso?

Per quanto riguarda la ricerca sull’intelligenza artificiale, sicuramente quello italiano è uno scenario fertile come pochi altri territori in Europa. L’Italia è in tutti

i ranking che valutano la qualità della ricerca, la nostra comunità di ricercatori è vivissima ed esiste una tradizione ormai consolidata. Basti pensare che la nostra associazione è nata nel 1988. Sicuramente lo stato di salute della ricerca sull’AI è buono, ma c’è tanto da fare sul fronte delle piccole e medie aziende. Le Pmi hanno una grossa difficoltà ad accedere a iniziative di ricerca industriale e solo una piccola percentuale ha già avviato progetti di intelligenza artificiale, e per lo più si tratta di progetti pilota. Poi c’è il mondo, un po’ paradossale, delle startup di intelligenza artificiale: spesso nate da spin-off di iniziative accademiche o di centri di ricerca, in Italia sono numerose ma faticano a crescere, sono poco votate a una dimensione industriale e raramen-

te dispongono di grandi competenze manageriali al proprio interno.

Che cosa servirebbe per superare questi limiti?

Due elementi, soprattutto: sostegno finanziario e formazione. Certamente bisognerebbe aiutare le startup a superare i problemi iniziali di finanziamento e a “scalare”. Consideriamo che per un progetto di AI servono risorse di calcolo non indifferenti e molto costose, anche se fruite tramite cloud. C’è poi in Italia un enorme problema di competenze: siamo soprattutto un Paese di piccole e micro imprese, in cui difficilmente sono presenti figure specializzate sull’intelligenza artificiale. E spesso le aziende nemmeno conoscono le opportunità dell’AI, una disciplina di cui si parla tanto ma di cui si sa poco dal punto di vista tecnico. Bisognerebbe, quindi, che i dirigenti aziendali avessero una base di competenze sul tema o che le imprese facessero parte di realtà associative.

INTELLIGENZA ARTIFICIALE
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Foto di Pete Linforth da Pixabay

Cito un terzo aspetto, ovvero l’assenza in Italia di grandi imprese specializzate (anche) in intelligenza artificiale. Se i grandi operatori tecnologici italiani iniziassero seriamente a investire sull’AI, questo alimenterebbe tutto il settore. Si tratta di sforzi che non possono provenire da una sola parte: la finanza agevolata potrebbe aiutare, ma devono fare qualcosa anche gli enti locali e le associazioni di categoria. È un percorso lungo, ma necessario.

A livello di casi d’uso, invece, dove siamo particolarmente in ritardo?

In generale, mentre negli Stati Uniti e in gran parte dell’Europa esistono già progetti funzionanti e sistemi basati su AI, in Italia siamo ancora in una fase di definizione dei casi d’uso e di progetti pilota. Le aziende stanno ancora cercando di capire come poter utilizzare l’intelligenza artificiale. Un settore di particolare interesse è quello bancario e assicurativo, che già da tempo impiega sistemi di scoring e analisi del rischio, e che con l’AI predittiva potrebbe ottenere dati più efficaci e puntuali. La predizione però può entrare in gioco anche in un ambito completamente diverso come quello medico, che è quello che ci sorprenderà di più e dove, a mio avviso, da qui a breve vedremo un grande cambiamento. Nei centri di ricerca americani già sono stati realizzati modelli di task per la diagnostica di diverse patologie, per esempio sistemi di riconoscimento di lesioni tumorali su mammografie oppure applicazioni per le malattie epatiche. Le reti neurali già esistenti potrebbero essere facilmente “importate” e usate anche in Italia. Ovviamente sono necessarie competenze per utilizzare questi sistemi, ma i vantaggi si vedranno. Siamo in particolare ritardo, invece, in un ambito come quello giudiziario. Altrove, in Nord America, Asia e nel resto d’Europa, già esistono sistemi predittivi applicati a questo campo. Qui una semplice “importazione” di modelli esistenti

non è possibile e si dovrà lavorare sulla base delle normative e del sistema giudiziario italiano.

L’ultima edizione dell’annuale convegno di AIxIA era centrata sul tema della ripresa sostenibile. Alla luce della crisi economica ed energetica e della guerra, è ancora all’ordine del giorno?

Sono profondamente convinto che oggi sia il momento opportuno per investire sull’AI finalizzata alla sostenibilità. Anzi, se in passato avessimo seriamente investito sul risparmio energetico (sia sull’efficientamento sia su sistemi di metering più complessi) oggi forse affronteremmo la crisi energetica in modo diverso. Inoltre sta emergendo, specie negli Stati Uniti il tema della AI for social good, finalizzata ad azioni di utilità sociale. Oggi è importante dimostrare che l’intelligenza artificiale e la sostenibilità non sono solo chiacchiere: entrambe possono essere importanti leve di trasformazione. La Cina e l’America l’hanno capito. D’altra parte fra queste superpotenze è in atto una guerra tecnologica per il controllo dei chip che stanno alla base di tutti i dispositivi intelligenti in corso di sviluppo. Il Chips Act statunitense ne è dimostrazione, e se è vero che anche l’Unione Europea ha varato un piano per l’incremento della produzione di semi-

conduttori, i finanziamenti stanziati non sono paragonabili. Da solo il Chips Act europeo non sarà in grado di contrastare una eventuale carenza di processori fabbricati a Taiwan né di eliminare la nostra dipendenza dall’America.

Si parla spesso dei rischi legati all’AI, per esempio il rafforzamento di disuguaglianze e pregiudizi o le violazioni di privacy. Sono pericoli reali?

La nuova regolamentazione sull’intelligenza artificiale dell’Unione Europea sarà probabilmente approvata entro la prima metà del 2023. Si tratta di una regolamentazione che tutela in modo forte i cittadini e che è lungimirante, perché imponendo dei limiti (con una logica basata sulla valutazione dei rischi) promuove la fiducia nell’AI. Spesso sentiamo parlare di rischi legati all’impatto dell’intelligenza artificiale sull’occupazione, ma le passate rivoluzioni industriali ci insegnano che le tecnologie trasformano i posti di lavoro e creano nuove opportunità. In futuro ci sarà sempre più spazio per lavori intellettuali e creativi, dunque più che spaventarsi bisogna rimboccarsi le maniche. Dobbiamo essere consapevoli che le competenze insegnate oggi nelle scuole non saranno quelle utili nel mondo del lavoro di domani, quindi è importante che il settore dell’istruzione aiuti i ragazzi ad acquisire autonomia di giudizio e capacità di problem solving. Un altro rischio potenziale è che l’intelligenza artificiale possa decidere per noi. È vero che sempre di più ci affideremo all’AI per prendere decisioni ed è vero che se anche l’AI si limita a dare consigli ne saremo comunque influenzati. La sfida sarà di lavorare sulla complementarietà fra uomini e macchine e anche sulla explainability dei sistemi di AI. A mio avviso le macchine non dovrebbero essere sviluppate per dire sì o no, ma per dare delle spiegazioni.

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UN COMPROMESSO FRA TECNOLOGIE, REGOLE E COSTI

Gli investimenti nel settore sono raddoppiati in due anni, trainati da Usa e Cina. L’Europa attende il nuovo regolamento basato sulla valutazione dei rischi.

L’intelligenza artificiale trova già oggi ampio utilizzo nell'economia globale. Secondo un recente studio dell’Università di Stanford (“Artificial Intelligence Index Report 2022”), gli investimenti privati in soluzioni di AI sono aumentati vertiginosamente lo scorso anno raggiungendo, a livello globale, i 93,5 miliardi di dollari, cioè più del doppio degli investimenti privati totali del 2020. Considerando sia negli investimenti privati totali in soluzioni di AI sia il numero di startup che hanno ricevuto lo scorso anno nuovi finanziamenti, gli Stati Uniti sono in testa alla classifica, seguiti dalla Cina. Guardando alle categorie di soluzioni che hanno ricevuto la maggior parte degli investimenti privati nel 2021, al primo posto ci sono le tecnologie per l’elaborazione e

la gestione dei dati e per il cloud, seguite dalle soluzioni per il settore medicale e sanitario e, al terzo posto, dalle soluzioni per il FinTech.

Alla base del successo dell’intelligenza artificiale applicata al business c’è il fatto che questa tecnologia stia diventando sempre più economica e performante, quindi interessante per un maggior numero di applicazioni in contesti diversi. Dal 2018 il costo per addestrare un sistema di classificazione delle immagini è diminuito del 63,6%, mentre i tempi di formazione del software si sono ridotti del 94,4%. La tendenza a contenere costi e tempi di preparazione del software vale per numerose categorie di intelligenza artificiale, come soluzioni di raccomandazione, rilevamento di oggetti ed elaborazione del linguaggio. Tutto

questo favorisce l'adozione commerciale più diffusa di queste tecnologie. Inoltre, poiché per l’addestramento delle soluzioni è fondamentale poter utilizzare ampi dataset, alcuni attori del settore privato sono favoriti nella corsa all’AI, disponendo già, per il proprio business, di queste informazioni.

Un valore per l’economia Secondo lo “Studio globale sull’intelligenza artificiale” della società di consulenza PwC , queste tecnologie consentiranno nei prossimi anni un diffuso miglioramento della produttività e la maggiore adozione dell’AI contribuirà in misura del 26%, da qui al 2023, all’incremento del PIL mondiale. Nello studio si stima che entro il 2030 il contributo potenziale dell’IA all’economia globale potrebbe valere 15.700 miliardi di dollari. Incrementi di produttività nel lavoro delle persone potrebbero determinare i primi aumenti del PIL quando le aziende cominceranno ad adottare que-

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Foto di Gerd Altmann da Pixabay

sti strumenti nell’automazione di una serie di compiti e ruoli. Una parte consistente (il 45%) della crescita del PIL è attribuita a miglioramenti nei prodotti che potrebbero stimolare una nuova domanda da parte dei consumatori: l’AI, infatti, può consentire a costi contenuti una maggiore personalizzazione dei prodotti e servizi, che quindi diventano più attrattivi per i consumatori. Di nuovo, saranno in Cina e Nord America le economie che beneficeranno maggiormente di queste innovazioni.

I vincoli di etica e regolamenti Con la crescita dell’adozione, anche problemi etici legati all’AI stanno assumendo proporzioni sempre maggiori. Se da un lato è comprensibile preoccuparsi degli impatti di una tecnologia una volta che questa è diffusa, dall’altro lato all’AI si attribuisce la capacità di svolgere compiti sempre più ampi e differenziati, sostituendosi in parte alle persone. Si rischia quindi di mettere in secondo piano le competenze umane e, conseguentemente, il diritto al lavoro. Un numero crescente di Paesi, quindi, sta sviluppando legislazioni ad hoc sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale, volte appunto a contenerne gli effetti negativi. La Commissione Europea , oltre a promuovere in generale la trasformazione digitale delle economie dei Paesi membri, riconosce da tempo che l’AI può portare miglioramenti tangibili alla nostra società, ma, contestualmente, ritiene che i rischi associati debbano essere presi sul serio e affrontati in modo adeguato. Nel tentativo di proteggere i diritti fondamentali dei cittadini, gli sviluppi dell’AI saranno in futuro sempre più regolamentati. È in questo contesto che nell’aprile 2021 la Commissione europea ha proposto un quadro normativo, l’AI Act, per garantire l’equità, l’affidabilità e la sicurezza dei sistemi di intelligenza artificiale. Si adotta un ap -

I quattro livelli di rischio dell’AI Act

Es. social scoring, messaggi pubblicitari rivolti ai bambini, condizionamento psicologico

Es. credit scoring, selezione personale, chirurgia assistita, operazioni di polizia, infrastrutture critiche

Es. chatbot

Vietato

Permesso nel rispetto di requisiti di AI e valutazione di conformità preventiva

Permesso nel rispetto di obblighi di trasparenza e informazione

Es. videogiochi, sistemi antispam

proccio basato sul rischio, distinguendo quattro livelli (inaccettabile, elevato, limitato e minimale o nullo). La normativa è ora in fase di revisione, la versione finale è attesa entro inizio 2023 e la fase di attuazione comincerà nella seconda metà del 2024.

I costi per le software house Una domanda sorge spontanea: quanto costerà conformarsi alle nuove regole? La Commissione Europea ha stimato che per le aziende che sviluppano, utilizzano, importano e rivendono soluzioni di AI costi di adeguamento alle nuove regoleranno saranno, mediamente, pari al 17,3% del fatturato. Risorse che dovranno servire, per esempio, a formare i dipendenti in merito alle novità di legge, a modificare i processi di elaborazione dati, a ingaggiare società di auditing esterne, ad attivare nuove procedure amministrative, e altro ancora. Prendendo a modello un’ipotetica azienda da 150 dipendenti e 23 milioni di euro di fatturato, i costi ammonterebbero a 4 mi-

Permesso senza obblighi, ma con un codice di condotta suggerito

lioni di euro e si dovrebbe dedicare alla compliance circa 70 risorse equivalenti a tempo pieno. Il che, chiaramente, sarebbe insostenibile per la maggior parte delle aziende produttrici o rivenditrici di software.

La buona notizia è che, secondo le valutazioni di Intellera Consulting (lo studio “The AI Act. What costs for SMEs?”), le cifre da spendere e le risorse da impiegare saranno in realtà molto inferiori, pari soltanto all’1,3% del fatturato. Per l’ipotetica azienda da 150 dipendenti e 23 milioni di euro di fatturato, si tratterebbe di circa 300mila euro e 2,7 addetti a tempo pieno dedicati. I costi potrebbero scendere ancora per le Pmi che sceglieranno di appoggiarsi a un polo di innovazione digitale (uno degli European Digital Innovation Hub) o di usare strumenti di prova e sperimentazione dell'intelligenza artificiale (Testing and Experimentation Facility), previsti all’interno del Digital Europe Programme.

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Minimo o nullo Elevato Limitato Inaccettabile

TRA MINACCE EVERGREEN E NUOVI PERICOLI

Il 2022 è stato un anno di consolidamento di tendenze già in atto, come la crescita dei ransomware, e nuove dinamiche conseguenza del conflitto geopolitico.

Non è un’amara sorpresa, quanto piuttosto una conferma che ha lo stesso sgradevole sapore: anche il 2022 è stato un anno di crescita degli attacchi informatici, da qualunque punto di vista lo si voglia guardare. Non è una sorpresa perché questa è la tendenza osservata negli ultimi anni e perché il 2022 è stato segnato dalle ben note tur-

bolenze della guerra russo-ucraina e della parallela cyberwar combattuta a suon di attacchi DDoS (Distributed Denial of Service), ransomware e spionaggio cibernetico. Due delle tendenze osservate da Microsoft quest’anno e riassunte nel suo ultimo “Digital Defense Report” sono l’impennata dei cyber attacchi di natura politica, sponsorizzati dai governi, e un impressionante aumento del

74% degli attacchi incentrati sulle password. La raffica di assalti cibernetici scagliati dalla Russia verso le istituzioni governative, le reti elettriche e le banche ucraine ha catturato l’attenzione mediatica nei primi mesi del calendario, ma il 2022 è stato anche l’anno degli attacchi informatici iraniani contro Israele e Stati Uniti e dell’ascesa del cyberspionaggio cinese (finalizzato a esercitare una

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Foto di B_A da Pixabay

LA FOTOGRAFIA DI ENISA

Con oltre 10 terabyte di dati rubati mensilmente, il ransomware si è confermato come una tra le minacce più attive, e il phishing è stato il vettore iniziale più comune per tali attacchi. Inoltre hanno spopolato i Distributed Denial of Service (DDoS), attacchi che mandano in tilt i server alla base di un servizio (per esempio un sito Web) intasandoli di richieste di accesso. Sono alcune delle tendenze evidenziate nell’annual report di Enisa , l’agenzia dell’Unione europea per la sicurezza informatica. Quest’anno l’invasione russa dell’Ucraina ha rappresentato un punto di svolta, dando il via a una nuova ondata di hacktivismo, guerrilla cibernetica e disinformazione (anche basata sui deepfake). Molte gang cybercriminali sono state individuate, hanno annunciato il ritiro dalle scene e si sono riformate, con vari rimescolamenti, riuscendo così a sfuggire alle maglie delle forze dell’ordine. Gli attori malevoli hanno dimostrato di essere sempre più bravi nell’attaccare le supply chain tecnologiche e i fornitori di servizi di sicurezza gestiti. Inoltre i sistemi di machine learning che stanno alla base di molti servizi sono diventati un bersaglio più appetibile, giacché sempre più diffusi.

maggiore influenza nel sud-est asiatico, a rubare dati e a contrastare l’influenza degli Stati Uniti). Inoltre la Corea del Nord, parallelamente all’intensificarsi dei test missilistici nella prima metà dell’anno, ha lanciato attacchi verso società aerospaziali e ricercatori di tutto il mondo, per rubare dati e dirottare finanziamenti.

R ispetto al 2021, il panorama si è trasformato sia dal punto di vista quantitativo sia qualitativo. A detta di Crowdstrike (“2022 Falcon OverWatch Threat Hunting Report”), le violazioni informatiche sono aumentate di circa il 50% anno su anno ed è leggermente cambiata la composizione degli attacchi. Quelli sostenuti da motivazioni economiche sono ancora la fetta più larga (46% del totale nel 2021, 43% nel 2022), seguiti dagli attacchi mirati e di cyberspionaggio (dal 14% al 18%), mentre l’hacktivismo è l’1% del totale e nei casi restanti (39% nel 2021, 38% nel 2022) non è stato possibile determinare l’esatta natura della minaccia. Anche l’ultimo aggiornamento del semestrale “Cyber Risk Index”, realizzato da Trend Micro in collaborazione con il Ponemon Institute e con oltre 4.100

aziende nordamericane, sudamericane, europee e asiatiche coinvolte, è una buona fotografia del presente. Le principali minacce osservate nel primo semestre di quest’anno sono state, nell’ordine, le operazioni di Business Email Compromise (Bec), il clickjacking, gli attacchi fi-

leless (che non richiedono l’installazione di un programma malevolo, ma sfruttano strumenti legittimi), il ransomware e il furto di credenziali. Complessivamente il livello di rischio informatico mondiale, calcolato da su una scala che va da -10 (rischio minimo) a 10 (massimo), è passato dall'indice di -0,04 della seconda metà del 2021 al -0,15 della prima parte del 2022. Tra un semestre e l’altro il numero di aziende colpite da un attacco informatico andato a segno è salito dall’84% al 90% del totale. Ed è anche notevole, 32%, la quota di organizzazioni che nell’arco di un anno vengono colpite più di una volta. Il futuro non è roseo: è previsto un aumento del numero di aziende che potrebbero essere compromesse nel prossimo anno. La percentuale registrata nell’ultimo report è dell’85%, nove punti in più rispetto al 76% rilevato nel secondo semestre 2021.

Investimenti non sufficienti A ltri osservatori concordano nell’immaginare un futuro sempre più critico.

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Foto di Sarah Pflug da Burst

Uno studio di McKinsey, per esempio, stima che quest’anno il volume delle minacce cyber rivolte alle aziende di medie dimensioni sia quasi raddoppiato rispetto al 2021, e che la crescita continuerà. Rispetto ai 10.500 miliardi di dollari di danni economici causati dagli attacchi informatici nel 2015 a livello mondiale, nel 2025 la cifra sarà salita del 300%, ipotizzando un proseguimento del ritmo di crescita attuale. Esiste oggi un grande divario tra le necessità di cybersicurezza delle aziende e gli investimenti realizzati per acquistare tecnologie e servizi: per potenziare la difesa, rimarca McKinsey, bisognerà spendere molto di più. C ’è anche un altro tipo di investimenti che, secondo gli addetti ai lavori, è necessario incrementare: quelli dei venture capital destinati alle aziende del settore. Anche i fondi pubblici, almeno in Europa, non abbondano. "Il

mercato Ue è altamente frammentato, con le imprese che tendono a focalizzarsi sul mercato nazionale e faticano a sostenere una crescita costante”, ha dichiarato Luca Nicoletti, responsabile del Servizio Programmi Industriali dell’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale, in un recente convegno di Assolombarda e Sole 24 Ore. “C’è dunque un ritardo complessivo di sistema e questo si vede nei numeri”. Nel 2021 gli investimenti di venture capital rivolti a società di cybersicurezza europee sono stati pari a circa 814 milioni di euro, un valore non minimamente paragonabile ai 15 miliardi di dollari mobilitati negli Stati Uniti né ai 2,5 miliardi di euro di Israele. I fondi pubblici destinati alla cybersicurezza, sempre nel 2021, hanno raggiunto quota 16,7 miliardi di dollari negli Usa, contro i 2 miliardi di euro dell’Unione Eureopa.

Molti rischi ancora irrisolti Ma perché gli attacchi informatici continuano a crescere e a fare sempre più danni, e perché non dovremmo stupirci? Non c’è, naturalmente, una risposta univoca. Da un lato, negli ultimi anni il “terreno di gioco” dei cybercriminali si è allargato enormemente per via dei processi di digitalizzazione, dell’adozione del cloud, dell’uso di smartphone e tablet (spesso non adeguatamente protetti) per scopi lavorativi, della diffusione dello smart working (appoggiato a dispositivi personali spesso vulnerabili e a reti domestiche prive di firewall). Inoltre la barriera all’accesso alla professione del cybercriminale, più o meno sofisticato, si è abbassata drasticamente con lo sviluppo di vere e proprie filiere dell’illegalità online, con attori specializzati nel furto di credenziali o nel sviluppo di codice malware di ogni tipo (dai programmi spia al ransomware, passando per i servizi di spam), e altri che acquistano e fruiscono di questi beni in formula “as a service”. “Non si tratta della solita vendita di kit per il phishing, il malware e gli scam”, ha precisato Sean Gallagher, principal threat researcher di Sophos “Adesso i cybercriminali di alto livello vendono sotto forma di servizio per conto terzi tool e capacità che un tempo erano esclusivamente riservati ai più esperti”. Un terzo aspetto da considerare è quello, già citato, degli investimenti insufficienti. Le aziende dovrebbero non solo dotarsi di tecnologie di cybersicurezza aggiornate ma anche intervenire sulle lacune di competenze e sui comportamenti rischiosi dei dipendenti. Anche questi sono problemi di cui si discute da anni, ancora irrisolti. Nel “Global Risk Report 2022” del World Economic Forum si stima che addirittura il 95% dei problemi di cybersicurezza sia riconducibile all’errore umano. In questo scenario riescono ancora ad avere successo forme di attacco tradi-

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Foto di Gerd Altmann da Pixabay

PREPARARSI ALL’ANNO NUOVO

Come sarà il 2023 del cybercrimine e della cybersicurezza? Le tendenze consolidate ed emergenti del 2022 e i fattori di rischio attuali permettono agli analisti e ai vendor di sicurezza informatica di tracciare delle previsioni. Vi proponiamo una carrellata di quelle più interessanti.

• La superficie d’attacco potenziale continuerà a crescere. Le minacce persistenti avanzate (Apt) si rivolgeranno maggiormente verso aziende industriali e sistemi di tecnologia operativa (OT), ma aumenteranno anche gli assalti ad agricoltura, logistica e trasporti, energia, farmaceutico. Sull’onda degli eventi geopolitici, potrebbero aumentare e diventare più efficaci gli attacchi ransomware alle infrastrutture critiche ( Kaspersky).

• Non è probabile che emerga una nuova massiccia vulnerabilità zero day (come è stata Log4j) ma le violazioni nelle reti aziendali continueranno a crescere tramite phishing, furto di credenziali, ingegneria sociale e sfruttamento di vulnerabilità già note. Si presume che aumenterà, nelle aziende, l'uso dell'autenticazione a più fattori. Di conseguenza gli attaccanti cercheranno di aggirare le barriere al login catturando (o acquistando da marketplace specializzati) i cookie di sessione che danno accesso alle applicazioni di terze parti. Inoltre emergeranno schemi multimilionari per rubare e vendere i crediti di carbonio, uno degli strumenti utilizzati dalle aziende per raggiungere obiettivi di sostenibilità (CyberArk Labs).

• Il numero delle vulnerabilità zero-day aumenterà e molte di essere saranno catalogate come “critiche”. Accanto alla crescita del ransomware è prevedibile una espansione dei wiperware, cioè dei programmi che cancellano dati dalle risorse di memoria intaccate. Il wiperware di provenienza russa, finora indirizzato soprattutto all’Ucraina, con il protrarsi delle tensioni geopolitiche potrebbe allargarsi ad altri Paesi. Crescerà nelle aziende l’adozione di tecnologie che impiegano l’intelligenza artificiale per il rilevamento delle minacce (Barracuda).

• I tentativi di phishing e le compromissioni degli account di posta elettronica aziendale continueranno a proliferare. In parallelo, aumenteranno ancora gli attacchi rivolti i servizi cloud e verso le piattaforme per la collaborazione e le comunicazioni a distanza, come Microsoft Teams, OneDrive, Google Drive e Slack. Nel 2023 cresceranno anche l’hacktivismo e le attività cyber sponsorizzate da governi nazionali (Checkpoint Software Technologies).

• Si osserva un tendenziale aumento degli attacchi rivolti verso aziende di dimensioni medie e piccole. I vendor di sicurezza informatica si focalizzeranno su quattro aree ad alta crescita potenziale, per meglio soddisfare la domanda proveniente dalle aziende: le tecnologie cloud, le dinamiche di pricing, l’intelligenza artificiale e (soprattutto per il mid-market) i servizi gestiti. I prodotti per la cybersicurezza sempre più verranno venduti in bundle con offerte che includono servizi a breve o a lungo termine, quali implementazione e servizi di sicurezza gestiti. (previsioni di McKinsey).

• L e applicazioni di Internet of Things, blockchain, 5G e computing quantistico rappresentano opportunità da cogliere ma comportano anche nuovi rischi. Sarà necessario migliorare la visibilità sulle potenziali compromissioni e vulnerabilità dell’intera catena di fornitura del software e del firmware, perché gli attacchi di supply chain cresceranno ancora. La scarsità di personale esperto in sicurezza informatica spingerà molte aziende ad affidarsi a servizi in outsourcing

zionali e consumate come il phishing. Come mai è ancora tanto efficace? “Tanto per cominciare, gli attacchi di phishing si sono evoluti in modo significativo negli ultimi anni”, ha spiegato Josh Goldfarb, draud solutions architect per l'area Emea e Apcj di F5. “Mentre un tempo erano grezze, pieni di errori di battitura e non particolarmente convincenti, oggi persino gli esperti hanno difficoltà a distinguere le email di phishing da quelle legittime. I siti di phishing,

inoltre, assomigliano notevolmente a quelli reali. Non c'è da stupirsi che molti utenti vengano ingannati nel fornire le proprie credenziali agli aggressori. In altre parole, consegnano volontariamente le loro chiavi”.

Impossibile poi non citare il ransomware, che anche quest’anno è stato protagonista di casi di cronaca per aver colpito vittime illustri come Nvidia, Toyota, la compagnia aerea indiana SpiceJet e una trentina di istituzioni governati-

ve del Costa Rica. Ma i casi eclatanti sono solo la punta dell’iceberg. Fra gli attacchi ransomware rilevati da Microsoft nel 2022, nel 93% dei casi l’azienda vittima non proteggeva adeguatamente gli accessi alla propria rete, non usava l’autenticazione multifattore e non era in grado di bloccare i movimenti di laterali, cioè lo spostamento della minaccia dal punto d’ingresso verso altre risorse di una rete.

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MONDI VIRTUALI, OPPORTUNITÀ CONCRETE

In un futuro non lontano, le tecnologie Web3, come realtà aumentata e virtuale, blockchain, Nft e intelligenza artificiale imprimeranno uno sviluppo enorme alla rete e la trasformeranno in qualcosa di diverso da come la conosciamo oggi. I metaversi – mondi virtuali interattivi e immersivi – saranno un luogo dove realizzare, grazie a un’ondata di contenuti e innovazione, esperienze sociali e sensoriali del tutto uniche. Oggi siamo all’inizio e il fenomeno è lontano dalla percezione quotidiana di tutti, ma a detta degli analisti il metaverso è fatto per restare e l’adozione crescerà velocemente: secondo Gartner, entro quattro anni il 25% della popolazione mondiale trascorrerà almeno un’ora al giorno in questi universi digitali. Per le aziende è quindi arrivato il momento di investire? Quali sono le opportunità offerte dai mondi virtuali e quali ancora gli ostacoli, i rischi e le incertezze?

Non tutto sta filando liscio per Mark Zuckerberg, che un anno fa ha scommesso su questi mondi virtuali al punto di cambiare il nome della società da Facebook a Meta: oggi la piattaforma Horizon Worlds è ben lontana da raggiungere i 500mila utenti mensili prefissati e, peggio ancora, il tempo di frequentazione sta calando. Ciononostante, in giro per il mondo esperienze di Web3 già esistono e, anzi, sono numerose. C’è da dire, come spiegazione dell’insuccesso di Zuckerberg, che la scelta di puntare su casi d’uso come socialità e collaborazione non è stata molto prudente, perché al momento i casi di maggiore successo sono quelli legati al gaming. Per le aziende, invece, la motivazione che spinge di più gli investimenti è la brand awareness.

Un’occasione da cogliere

Apripista sono i settori fashion e lusso, che già da qualche anno vanta-

no numerosi sviluppi Web3 e hanno realizzato campagne che dal ritorno planetario in termini di notorietà del marchio e loyalty dei consumatori. Gli sviluppi riguardano molteplici attività e tecnologie, quali realtà aumentata (Ar), realtà virtuale (Vr), Non-Fungible Token (Nft) e blockchain. Secondo la società di analisi DappRadar, solo per l’acquisto di terreni virtuali nei metaversi nell’ultimo anno sono stati spesi 1,93 miliardi di dollari in criptovaluta. Dozzine di grandi marchi hanno acquistato appezzamenti di terreno digitali nella mappa Sandbox, e almeno 22 milioni di dollari sono stati spesi per circa 3.000 lotti di terreno su Voxels. DappRadar può monitorarlo perché Voxels è costruito sul sistema di criptovaluta Ethereum, in cui ogni transazione viene registrata e pubblicata su una blockchain pubblica. Lanciati nel 2020, gli appezzamenti digitali Decentraland sono stati venduti in alcuni casi fino a milioni di dollari: Samsung, Ups e Sotheby’s sono tra coloro che vi hanno acquistato terreni e costruito negozi e centri per i visitatori. Il marchio del lusso Philipp Plein pos-

EXECUTIVE ANALYSIS | Networking 38 | DICEMBRE 2022 METAVERSO
Foto di Erik Tanghe da Pixabay Fioriscono anche in Italia i primi progetti di realtà aumentata, realtà virtuale, Nft, e blockchain. Una ricerca di The Innovation Group e Web3 Alliance.

siede anche un lotto delle dimensioni di quattro campi da calcio, che in futuro dovrà ospitare un negozio e una galleria in metaverso.

Tutto questo basta a spingere anche i più scettici a interessarsi a questi sviluppi?

Secondo una recente indagine, “Web3 e Metaverso Survey 2022”, svolta da The Innovation Group e Web3 Alliance a settembre 2022 su un campione di 142 aziende italiane di diversi settori e di dimensione, il 75% delle imprese italiane (l’80% se consideriamo solo quelle medie e grandi) è interessato già oggi al mondo rappresentato dal Web3, la nuova frontiera di Internet che comprende realtà aumentata e virtuale, Nft, Blockchain, intelligenza artificiale e metaverso. Va aggiunto però che al momento la maggior parte delle aziende, il 64%, dichiara di essere in una fase di studio: solo il 4% fa seguire alla conoscenza progetti concreti di utilizzo. Il 7% ha invece avviato un progetto pilota. La ricerca aveva l’obiettivo di misurare il livello di conoscenza raggiunto in tema Web3 e metaverso e, per quanto riguarda le aziende che già hanno attività di studio e primi sviluppi in corso, capire quali siano le finalità. Dalle risposte emerge che le iniziative già in corso o in cantiere nelle aziende italiane medie e grandi riguardano principalmente la partecipazione a eventi digitali (il 10% ha già investito, il 20% lo farà entro quest’anno, il 33% entro tre anni), il posizionamento del brand (il 13% ha già fatto investimenti, il 13% li prevede entro quest’anno, il 27% entro tre anni), gli ambienti virtuali per lo smart working (il 23% ha già investito, il 10% lo farà entro l’anno, il 27% entro tre anni), la creazione di prodotti digitali ad hoc (il 13% ha già investito, il 13% lo farà entro l’anno, il 23% entro tre anni), gli Nft (l’7% ha già investito, il 10% entro l’anno, il 20% entro tre anni), la creazione di un mondo virtuale privato (il 7% ha già investito, il

7% entro l’anno, il 27% entro tre anni). Come prevedibile, le opportunità per le aziende nei nuovi mondi virtuali sono numerose e in molti saranno interessati a coglierle. Sulla possibilità di creare valore per il business, per il 52% delle aziende intervistate il metaverso è un’occasione per fare ingresso in nuovi mercati; per il 51% è una modalità di creare un’esperienza diversa per i clienti; per il 45% una strada per fare leva su modelli di business che rispecchiano la socialità delle persone; per il 42% un’occasione di partecipazione a ecosistemi innovativi. Tra chi sta lavorando per cogliere le opportunità di questi ambienti, i principali risultati attesi dalla maggiore presenza futura nel metaverso sono far parte di ecosistemi innovativi e aumentare la riconoscibilità del brand (citati rispettivamente dal 53% e 51% degli intervistati), ampliare la clientela (49%), fidelizzarla (39%) e sviluppare nuove aree di offerta (34%). Solo un’azienda su cinque (21%) si aspetta di realizzare profitti.

Gli ostacoli da superare D’altra parte, non mancano i freni che rendono la scelta del Web3 ancora difficile per le aziende: le tecnologie devono essere ancora affinate, la governance e le regole d’ingaggio sono tutte da definire, e non abbiamo standard di navigazione condivisi tra i molti metaversi già esistenti. Ne consegue che, secondo la ricerca, permangono vincoli come: immaturità del settore/moda passeggera

(33% delle aziende), difficoltà legate allo sviluppo di contenuti (30%), costi elevati dei progetti (27%), freni culturali interni (27%), incertezza delle regolamentazioni (27%), limiti tecnologici (25%), portabilità/mancanza di standard unico (16%), problemi legati alla protezione della proprietà intellettuale (12%), rischi di cybersecurity (12%), esperienze non allineate al brand (9%).

L’affermazione del Web3 avrà molti impatti sul modo di comunicare, socializzare, interagire e collaborare. Per le aziende si aprono nuove opportunità ma anche modifiche rilevanti ai modelli di business. In questo momento, analizzando la propensione delle imprese italiane a progettare iniziative concrete per il metaverso, si osserva la tendenza a considerare questi ambienti per gli aspetti ludici, la socialità e la possibilità di realizzare esperienze del tutto nuove, diverse dal reale. Questi sono, secondo le aziende, gli elementi che guideranno l’adozione da parte degli utenti. Servirà ancora tempo, almeno tre anni in media, per poter vedere un’adozione di queste piattaforme da parte degli utenti, e nel frattempo brand awareness e lancio di nuovi prodotti e servizi saranno le principali motivazioni che spingeranno le aziende a progettare la propria presenza nel metaverso. Infine, competenze diffuse, partner specializzati e tecnologie adeguate determineranno il successo del percorso delle aziende verso il Web3.

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Fonte: “Web3 e Metaverso Survey 2022”, The Innovation Group e Web3 Alliance, settembre 2022

ESPERIENZE A CONFRONTO

L’interpretazione che diamo del Web3 è quella di realizzare per i nostri clienti, in una relazione uno-a-uno, un’esperienza personalizzata e raffinata, senza frizioni legate alla tecnologia. Partiamo da un concetto di digital twin economy del lusso, da blockchain ed Nft che sono legati in modo indissolubile al prodotto, come estensione digitale per creare esperienze uniche. Se l’Nft riproduce nel mondo digitale la scarcity, il metaverso è il luogo esperienziale. Abbiamo fatto alcuni esperimenti già nel 2021, creando Nft molto sofisticati, in cui il digitale sublimava l’esperienza del prodotto associato. Eduardo Barbaro, worldwide omnichannel director di Bulgari

Il Web3 è un meraviglioso viaggio costruito con la nostra audience. Stiamo creando con il nostro brand delle esperienze che mettono al centro le emozioni dei nostri clienti, i quali sono da sempre l’ingrediente unico del mondo del lusso. Oggi siamo all’alba di tutto questo: con il metaverso si aggiunge all’e-commerce e ai siti social una terza dimensione. Il cliente non guarda soltanto ma è ingaggiato completamente, come persona. Si aggiunge tridimensionalità all’oggetto ma anche al soggetto, e l’esperienza è fatta di interazione, anche sociale, con più persone. La sfida è creare un’interazione che sia allineata con il posizionamento del brand, mantenere il proprio posizionamento con i tempi che cambiano: Bulgari è sempre stata vicina a una visione artistica e creativa del mondo. Massimo Paloni, chief operation & innovation officer di Bulgari

Il metaverso è un nuovo modo di interagire con i clienti: è evidente che va approcciato con attenzione, soprattutto

nel nostro caso, avendo brand di fascia alta e prodotti con caratteristiche estetiche esclusive. Il tema è infatti essere in grado di misurare i ritorni, che non sono immediati sulle vendite: vanno identificati Kpi diversi. Smarcato questo tema, si possono pianificare molte iniziative: il metaverso, ad esempio, permette di ambientare i nostri prodotti in contesti digitali. Inoltre un elemento che è correlato al metaverso, la parte di blockchain, può essere molto rilevante, permettendo di lavorare sulla certezza dell’autenticità del prodotto. Unire la blockchain al metaverso regalando twin digitali da utilizzare online e garantendo che il prodotto è genuino rafforza l’elemento di autenticità e al contempo crea un’esperienza coinvolgente per il cliente. Un altro aspetto da considerare è il concetto di scarcity, su cui abbiamo sempre forte domanda, che è realizzabile nel mondo virtuale abbinando gli Nft a edizioni limitate dei nostri prodotti. Matteo Bianchini, group Cdo di Design Holding

Con il digitale è possibile far parlare tra loro sistemi e trasformare i dati in informazioni. E nel manifatturiero si hanno moltissimi dati. Noi abbiamo intrapreso da circa sette anni un approccio alla produzione snella basato su un’infrastruttura digitale, sensori, e vediamo che ogni giorno aumenta la possibilità di misurare processi, di trasportare velocemente informazioni. L’intelligenza artificiale già oggi ci aiuta, e lo farà sempre di più in futuro, ad analizzare una grande mole di dati ed elaborare tendenze, visioni e forecasting. Sarà quindi naturale passare a mondi simulati: i prodotti avranno i loro digital twin, per vedere in anticipo quello che può accadere. Portare infine questi

modelli in mondi virtuali e piattaforme come il metaverso sarà fantastico, ma dovremo prima risolvere alcuni temi, ad esempio l’ownership sui dati che saranno condivisi.

Corrado La Forgia, vicepresidente di Federmeccanica e Vp operation manager and managing director di Bosch Vhit

Il Web3 e i building block sottostanti sono un ambito che la nostra società ha seguito e valutato attentamente nell’ultimo anno. Con riferimento agli Nft, questo potrebbe rafforzare l’unicità, l’esclusività di un’esperienza, come ad esempio lo straordinario evento del lancio ufficiale di una nave. Dalla pandemia, l’interazione diretta tra un brand e i consumatori è diventata sempre più importante, spingendo molti clienti a prenotare attraverso i canali online: e l’esperienza è stata soddisfacente, per cui si prevede che sempre più ospiti continueranno a utilizzare questi canali diretti. Con riferimento al metaverso, studiando approfonditamente il tema abbiamo notato che gli attuali utenti di piattaforme, Nft e criptovalute sono un segmento di pubblico molto specifico. Al momento, investire in questa direzione potrebbe essere sì un’opportunità, ma che comporta anche dei rischi, soprattutto legati a tecnologie ancora immature e alla mancanza di standard che facilitino il ritorno degli investimenti. Inoltre, ça va sans dire che l’esperienza offerta oggi dal metaverso non può essere ancora confrontabile con quella di una crociera reale.

Luca Pronzati, chief business innovation officer di Msc Cruises

Abbiamo annunciato lo spazio Rai Cinema nel metaverso The Nemesis nel 2022, in occasione del Festival del Cinema di

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EXECUTIVE ANALYSIS | Networking METAVERSO

Cannes. Una sala cinematografica nel metaverso fa provare un’esperienza collettiva di visione, gli avatar possono parlare e interagire tra loro in sala come nel mondo fisico. Inoltre, abbiamo lanciato un’esperienza di gaming nel metaverso associata al film Diabolic, rivolta a una fascia particolare di utenti (i giovani tra i 15 e i 24 anni), mettendo a disposizione comunque un contesto protetto. Il tema degli Nft è anche interessante nel mondo cinematografico: le collezioni di token non fungibili sono oggetti unici, vicini al mondo dell’arte, che abbinate ai film possono offrire vantaggi di posizionamento, di marketing e promozione. Si può pensare anche di riproporre modelli di crowdfunding, attraverso Nft messi all’asta: al momento però pochi film italiani hanno brand così importanti da poter costruire importanti collezioni. Carlo Rodomonti, responsabile marketing strategico e digital di Rai Cinema

Nei prossimi anni non avremo un metaverso, ma piuttosto esperienze diverse in mondi virtuali interattivi, ognuno con le proprie regole, il proprio aspetto, la propria caratterizzazione. Quando, tra almeno dieci anni, questi mondi virtuali saranno collegati tra loro, interoperabili e con un'esperienza utente senza discontinuità, allora si potrà parlare di metaverso. Il salto rispetto ai social network è tuttavia già evidente: la comunicazione a cui questi ci hanno abituato è completamente asincrona (lasciamo un post e i nostri amici, quando entrano anche ore o giorni dopo, lo leggono e lo commentano), mentre il metaverso richiede la sincronicità (le persone che interagiscono devono essere contemporaneamente presenti nello spazio virtuale condiviso). Se questa è una caratteristica assodata, non altrettanto prevedibili sono le traiettorie di sviluppo. In particolare, non sappiamo ancora se il metaverso sarà pubblico o privato ovvero se sarà un gigantesco

parco giochi che appartiene a qualcuno o un giardino pubblico a disposizione di tutti. La differenza, non solo tecnologica e normativa, è enorme. La strada verso un metaverso aperto, una sorta di Internet immersivo, passa anche attraverso accordi commerciali e modelli di governance e di business decentralizzati, ma soprattutto richiede la definizione di uno standard condiviso. L’esistenza e l’utilizzo di standard aperti mettono le aziende nella condizione di poter costruire, perché la tecnologia è stabile, solida, interoperabile; questo promuove lo sviluppo di un grande numero di soluzioni alternative ed è meno probabile che si crei un monopolio.

Marina Geymonat, head of innovation lab di Sisl ed esperta di intelligenza artificiale presso il Ministero dello Sviluppo Economico

Abbiamo già realizzato una soluzione di realtà virtuale dedicata alla formazione del personale, per far vivere con maggiore consapevolezza e sicurezza l’esperienza della prima scalata di un traliccio della rete elettrica. Per quanto riguarda il metaverso, stiamo progettando le prime iniziative in azienda e, per questo motivo, iniziamo a parlare di “TernaVerso”. Stiamo contestualmente verificando l’approccio delle persone a soluzioni di smart collaboration in mondi virtuali. Nello sviluppo del Web 3.0 dobbiamo, infatti,

tenere conto anche di altri aspetti: da un lato quello generazionale, per i colleghi che hanno poca familiarità con queste nuove modalità di lavoro; dall’altro, è importante, nel metaverso, capire quale sia il corretto bilanciamento tra mondo fisico e virtuale. In ogni caso, anche in questo ambito, il giusto approccio consiste sempre nel sapersi mettere in gioco. Marco Pietrucci, head of

Come tech company, abbiamo una buona conoscenza delle tecnologie Web3 e del metaverso. Con riferimento alle prime, abbiamo realizzato molte soluzioni basate su intelligenza artificiale e realtà aumentata, ad esempio un “sommelier digitale” che interagisce con i clienti dei nostri negozi fisici attraverso la voice recognition. Con riferimento invece al metaverso, quello che ci frena in questo momento è che non esista ancora uno standard riconosciuto a livello globale. Inoltre, la tecnologia infrastrutturale è immatura, non è supportata la presenza contemporanea di molti utenti e l’esperienza finale è ancora insoddisfacente. Con riferimento a Blockchain ed Nft, potrebbe essere uno sviluppo futuro per la nostra valuta digitale che utilizziamo all'interno dell'app (“Tappo”), anche se lo vediamo ancora prematuro.

Francesco Magro, Ceo e founder di Winelivery

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Foto di Tomáš Hustoles da Burst

LA PROTEZIONE DEI DATI NELL’ERA DEL CLOUD

Le esigenze di business continuity e le criticità legate alla sicurezza (non sempre allineate) condizionano le aziende nella scelta delle tempistiche e dei partner a cui affidarsi.

Il percorso di migrazione al cloud oggi riguarda, in un modo o nell’altro, la maggioranza delle aziende. La situazione italiana, fotografata da The Innovation Group nell’indagine annuale “Digital Business Transformation Survey”, indica che oggi solo il 4% delle imprese ha completato la transizione

verso il full-cloud, ma fra tre anni questa percentuale salirà al 25%, con una netta prevalenza di ambienti multi-vendor. Per contro, oggi il 15% si trova ancora in un universo integralmente on-premise, ma si tratta di una condizione destinata quasi a scomparire nel prossimo triennio (sarà confinata nel 2% delle aziende). In mezzo, c’è il grosso del panorama aziendale nazionale, che lavora con un’infrastruttura ibrida, presumibilmente per necessità e natura della propria realtà applicativa. Se il percorso di migrazione appare più o meno segnato per la maggioranza delle imprese italiane, permangono tuttavia elementi di criticità che turbano il sonno soprattutto di chi è responsabile della gestione dell’infrastruttura tecnologica e di chi deve proteggerla. Per il 59% delle organizzazioni, infatti, il tema della sicu-

rezza di dati e applicazioni resta al centro dell’attenzione. Allo stesso modo, il 40% indica come fattore critico anche la necessità di garantire la continuità del servizio.

Tre livelli di adozione Partendo da questi spunti di scenario, Technopolis e The Innovation Group hanno realizzato un’indagine qualitativa volta ad approfondire, in modo particolare, in quale misura quali workload e dati siano migrati in cloud, quali esigenze siano state soddisfatte, e quali siano i principali fattori di preoccupazione soprattutto sul fronte della sicurezza. Lo scenario generale vede realtà collocate in differenti fasi del cammino evolutivo. Un primo gruppo appare in qualche modo condizionato dalla storia tecnologica co-

EXECUTIVE ANALYSIS | Networking 42 | DICEMBRE 2022 DATA PROTECTION

struita nel tempo: il passaggio al cloud ha coinvolto applicazioni di base, ma non ancora i sistemi core. Un secondo insieme di organizzazioni si trova nella fase di transizione, avendo definito una strategia di migrazione, che però appare tuttora in corso e riguarda anche i sistemi core, per definizione i più delicati e bisognosi di tempi e modalità più meditati. Si tratta di realtà che lavorano con infrastrutture ibride, talvolta per scelta definita e altre volte per adeguarsi forzatamente alle proposte dei fornitori di riferimento o dei leader di mercato. Infine, ci sono imprese che hanno deciso di puntare in modo deciso sull’innovazione e utilizzare il cloud come leva, avendo per questo delineato una strategia complessiva o addirittura avendo già completato il processo di migrazione.

Dal punto di vista applicativo, ci sono ambiti ormai sdoganati nel passaggio al cloud e associati a ciò che viene percepito come commodity, dalla posta elettronica alla produttività individuale, dagli strumenti di collaboration all’amministrazione. In tutte le realtà che ne fanno largo uso, anche gli ambienti di test & sviluppo si basano prevalentemente sul cloud e ormai lo stesso si può dire per l’archiviazione dei dati, dove si tende a non “appesantire” più l’infrastruttura interna con nuovi dispositivi.

La scelta di infrastrutture e provider Le scelte fin qui effettuate, che riguardino sistemi strategici o applicazioni tattiche, tendono a orientarsi verso il cloud pubblico, con particolare predilezione per le piattaforme dei più noti player del mercato. Le ragioni spaziano dalla flessibilità del portafoglio d’offerta a una fiducia sull’affidabilità dei servizi sostanzialmente associata alla notorietà e al prestigio internazionale del brand. Non mancano, tuttavia, aziende che lavorano in ambienti dove si combinano workload affidati al cloud pubblico e a

quello privato. Parliamo soprattutto di realtà con un respiro internazionale e che hanno la necessità di mantenere dati e processi ritenuti critici all’interno di un ambiente più controllato . Qui sono stati compiuti passi ben definiti verso l’utilizzo dell’Infrastructure-as-a-Service o del Platform-as-a-Service e in alcune occasioni la scelta è ricaduta su provider nazionali di sicuro affidamento. L’allocazione dei dati sul territorio nazionale è in qualche caso un elemento differenziante, anche se prevale l’idea di poter fare affidamento su realtà che dispongono di data center allocati all’interno dell’Unione Europea e a questo requisito viene associato il concetto di sovranità del dato. Resta, poi, uno zoccolo duro di aziende che su cloud ancora non ci sono andate, per ragioni che spaziano dal peso del legacy e dalla relativa difficoltà di migrare a limiti di budget, per arrivare a vincoli normativi in alcuni ambiti specifici. Anche in questi casi, comunque, sono in corso valutazioni che potrebbero cambiare lo scenario nel medio termine. Per quanto riguarda la protezione dei dati con procedure di backup e disaster recovery, si nota una certa divaricazione quantitativa fra chi ha scelto di mantenere un controllo più stringente, e quindi viaggia ancora on-premise o in cloud privato, e chi ha già fatto il salto verso il cloud pubblico. Per il backup, la ridondanza è garantita dalla replica su più sedi nel caso di data center interni, oppure dal contratto con i provider esterni prescelti. Le aziende già orientate verso il cloud pubblico tendono ad affidarsi al fornitore di riferimento, soprattutto per non doversi occupare troppo di applicare policy o soluzioni specifiche e accettando con fiducia quanto definito nei contratti.

Un po’ meno marcata è la tendenza ad affidare all’esterno il disaster recovery: questo accade, da un lato, perché non tutti hanno delineato un piano di ripristino in seguito a incidenti, e dall’altro

per una certa, radicata volontà di mantenere all’interno questa funzione.

Il nodo della sicurezza Le problematiche di sicurezza sono da tempo in cima alle priorità delle aziende e la loro costante evoluzione costringe a mantenere altissima l’attenzione. In contesti dove la business continuity appare un elemento critico, il ruolo del backup & recovery è centrale e ha portato a un’adozione piuttosto diffusa. Anche nel campione analizzato per la ricerca qualitativa, il tema è stato indicato come fattore di prioritaria attenzione.

A preoccupare maggiormente – fatto che non sorprende troppo – sono soprattutto le minacce esterne, in particolare i ransomware e le forme di malware in grado di aggirare i sistemi di protezione installati. Quasi allo stesso livello, tuttavia, troviamo anche le minacce interne, che possono derivare da disattenzioni del personale e, in casi più estremi, da una volontà dolosa di qualche dipendente o collaboratore con accesso alle risorse aziendali. In tutti questi casi, il cloud non viene considerato, in linea di massima, come un fattore di moltiplicazione dei rischi già esistenti, ma si concorda sulla necessità di disporre di un monitoraggio interno esteso anche a risorse e dati portati all’esterno. Dei provider ci si fida e, soprattutto per gli hyperscaler, si fa leva su una capacità di investimento drasticamente superiore a quella della singola azienda-utente, ma le figure IT tendono a voler mantenere un controllo complessivo sull’infrastruttura della quale devono rispondere al management e ai colleghi. Al di là degli aspetti tecnologici, infine, la stragrande maggioranza delle società ritiene che, per migliorare il livello di protezione di workload e dati, occorra lavorare per rafforzare il mindset aziendale nel suo complesso.

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PERCORSI DIFFERENZIATI D’INNOVAZIONE

Dedichiamo un’attenzione particolare alla continuità del servizio, essendo la nostra un’infrastruttura che non può permettersi interruzioni. Per questo preferiamo mantenere il controllo sui processi critici e in questa categoria rientra anche il disaster recovery. In quanto realtà del settore aeroportuale, sfruttiamo la possibilità di avere a disposizione più di una palazzina ed eroghiamo la quasi totalità dei servizi all'interno del nostro perimetro.

Francesco Saia, information & operation technology manager di Aeroporto di Genova

Siamo una realtà particolare, specializzata negli sviluppi sull’intelligenza artificiale, ma anche legati da un lato alla ricerca interna e dall’altro a un rapporto stretto e personalizzato con la clientela. Motivi economici e di ottimizzazione dei costi ci hanno spinto a mantenere in casa la parte di infrastruttura legata al training degli algoritmi o al lavoro dei data scientist, mentre il cloud è largamente sfruttato nelle applicazioni sviluppate per i clienti. Giovanni Anceschi, head of innovation di Ammagamma

Nella nostra visione, oggi c’è il dato al centro dei processi e tutto ruota attorno a questo concetto. La trasformazione delle architetture e il loro conseguente passaggio nel cloud, con orientamento ai microservizi e alle architetture a eventi, serve a valorizzare i nostri asset, i dati aziendali e i processi rivisti in ottica moderna. A livello infrastrutturale, il nostro obiettivo di riferimento è la business continuity, estesa anche alle soluzioni di produzione

oltre che agli ambienti di test & sviluppo. Francesco Fiaschi, Cto di Autostrade per l’Italia

Il cloud richiede lo stesso livello di attenzione delle risorse tradizionali: spostare un dato non significa di per sé metterlo in sicurezza. Parliamo di un fattore abilitante e di velocizzazione del go-to-market, ma le attività di protezione e contorno devono essere comunque ragionate e implementate con cura. Da noi sono state messe in atto diverse misure per la sicurezza di dati e risorse, non solo tecnologiche ma anche legate alle persone. Siamo molto attenti anche alla parte di reputazione e protezione dei siti aziendali.

Alcuni fattori chiave ci hanno fin qui spinto a mantenere sotto controllo la nostra infrastruttura, senza troppe concessioni al cloud. Da un lato, la sicurezza resta un tema aperto e preferiamo mantenere la responsabilità totale su questo fronte, mentre dall’altro la Sardegna ha scontato, e maggiormente nell’area in cui operiamo, un ritardo nella disponibilità della banda larga. Questo per noi è stato rilevante, essendo l’aeroporto un’infrastruttura critica che deve garantire la massima affidabilità nei servizi erogati. Stefano Nieddu, Cio di Geasar

Abbiamo la particolarità di operare all’interno delle stazioni ferroviarie, 14 in tutto. Questo ci ha portato verso una logica infrastrutturale ibrida, dato che abbiamo la necessità di gestire direttamente informazioni e potenza computazionale, ma

dovendo anche prevenire problematiche (per esempio di alimentazione elettrica) che agiscono sulla disponibilità dei sistemi. Quindi, il cloud diventa un supporto importante quale complemento e area di allocazione di attività come quelle legate all’analisi dei dati o di scalabilità. Marco Gatto, IT manager di Grandi Stazioni Retail

Per noi ormai il cloud è diventato un elemento di trasformazione e non viene utilizzato solo per ragioni di ottimizzazione dei costi. Oggi lavoriamo con un modello ibrido, per dribblare i rischi di vendor lock-in, almeno per la componente infrastrutturale. La scelta del provider è importante e per noi dipende dalla capacità di saper interpretare le nostre esigenze e aiutarci a raggiungere gli obiettivi di resilienza che ci siamo posti.

Francesco Mastrandrea, Cio di Groupama

Per noi il processo di migrazione è iniziato già da qualche anno e ha coinvolto gradualmente anche sistemi core, come la gestione degli ordini dei veicoli o la preventivazione dei veicoli da parte dei concessionari. La pandemia ha avvalorato le scelte che avevamo effettuato solo poco tempo prima. Questo passaggi, tuttavia, ha fatto sorgere qualche riflessione sul livello di maturità digitale degli utenti nell’impiego degli strumenti a loro disposizione.

Roberto Colucci, IT manager di Jaguar Italia

Diversi sono i fattori che hanno concorso a portarci verso il cloud. Abbiamo migra-

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to soluzioni applicative che non eravamo in grado o non volevamo gestire in-house, abbiamo adottato applicativi Software as-a-Service e siamo andati in questa direzione anche per il disaster recovery, per ragioni di data integrity e continuità operativa. Delicata è la scelta dei provider, per avere garanzie dal punto di vista della sicurezza e della compliance. Noi facciamo attente valutazioni a monte.

Siamo in una fase di transizione, ancora da valutare nei suoi tempi ed effetti. Sistemi e dati aziendali core si trovano prevalentemente on-premise, ma oggi siamo un gruppo internazionale, con stabilimenti in Turchia e Inghilterra e sedi logistiche in Germania, Corea e Nord America. E questo rende sempre più necessario sfruttare anche il cloud, più adatto a un contesto mondiale, con necessità di condivisione e uniformità di definizioni e prassi.

Liguria Digitale è un’azienda a capitale totalmente pubblico e lavora principalmente per i suoi azionisti, ovvero enti, agenzie, Comuni e simili. Incoraggiamo la migrazione al cloud dei nostri soci, essendo a nostra volta un provider. Tuttavia, siamo consci che le scelte debbano essere fatte in modo oculato e funzionale alle reali necessità, come, nel nostro caso, la gestione di picchi nei carichi di lavoro. Vanno valutati anche rischi come l’accesso aperto a persone non sempre consapevoli delle proprie azioni e la presenza di competenze adeguate.

Maurizio

Ormai abbiamo adottato una strategia cloud-first, ma ovviamente questo riguarda soprattutto i nuovi sviluppi. In realtà continuiamo a lavorare in un contesto

ibrido e non c’è una strategia di migrazione a tappe forzate. Abbiamo provveduto a una fortissima attività di digitalizzazione, anche grazie alla spinta generata dal Covid. Un percorso ormai avviato è quello verso la logica paperless, che ormai riguarda circa il 90% dei nostri processi. Siamo la filiale che più di tutte indirizza il resto delle attività globali su questi fronti.

Fino a qualche anno fa era opinione diffusa in azienda, e anche nell’IT, che il cloud fosse molto costoso. Di fatto lo è ancora e il paragone con l’infrastruttura interna tutto sommato mette le due scelte più o meno sullo stesso piano. Però oggi si può misurare con maggior concretezza il vantaggio della reperibilità delle informazioni di qualunque strumento venga messo sul cloud e questo porta con sé una maggior resilienza, poiché è molto più raro che si verifichi un blocco totale o un failover.

soluzione, dai dati sottesi, dai vincoli del vendor e da altri fattori. Per questo, lavoriamo su cloud privato per ottimizzare risorse e processi mantenendo un certo controllo, ma anche con servizi di cloud pubblico, mentre l’attenzione sul tema della protezione dei dati ci porta, in alcuni ambiti, a mantenere rigidamente i dati in casa, demandando al cloud solo l’implementazione delle policy.

Badii, IT security director & partner di Pqe Group

La nostra è una società che nasce per erogare servizi in cloud e per questo motivo non abbiamo mai utilizzato una nostra infrastruttura interna. L’aumento della mole di dati è certamente un tema rilevante per noi, visto che ci occupiamo di gestione delle infrazioni del codice della strada, che sono sempre accompagnate da prove fotografiche. Oggi abbiamo circa 25 terabyte di informazioni transitorie su provider esterni e si tratta di una scelta sostanzialmente obbligata perché le economie di scala di uno storage in cloud hanno una rilevante valenza anche economica.

responsabile

Sul cloud non si può fare una scelta unidirezionale, perché dipende dal tipo di

Per noi il 2022 è l’anno del cloud, con un processo di migrazione di tutte le applicazioni legacy in corso. I motivi fondamentali che ci hanno spinto in questa direzione riguardano da un lato la cybersecurity, soprattutto dal punto di vista dell'automazione degli aggiornamenti, e dall’daltro la sostenibilità. Ora stiamo valutando il potenziale di un approccio esteso all’edge computing, per soddisfare le esigenze di performance dell’area della produzione, che ancora vede nel cloud una possibile fonte di interruzione del servizio.

Attualmente è in sviluppo un progetto di business continuity e la parte di cybersecurity è totalmente coinvolta e allineata. Nella nostra struttura ci occupiamo di tutti gli aspetti della sicurezza, non solo di quella cyber e IT, ma anche quella degli impianti produttivi e di tipo fisico. Nel nostro sito di disaster recovery ci sono le stesse procedure di sicurezza che ci sono sugli impianti di produzione. Il coordinamento appare importante anche per superare qualche problematica di natura culturale, più tipica del mondo della produzione, che vive con disagio rallentamenti o interruzioni per ragioni di aggiornamento tecnologico. Il dialogo aiuta anche a minimizzare l’impatto del fattore umano sui rischi di attacco.

Gian Fabio Palmerini, Ciso di Webuild

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Scalapay

FAR FELICI I CLIENTI PER CONTINUARE A CRESCERE

“Compra ora, paga poi” è la formula che ha portato al successo Scalapay. Nata nel 2019, la startup milanese in poco tempo è diventata scaleup e oggi il suo sistema di pagamento a rate senza interessi è supportato da oltre 5.000 negozi fisici e di ecommerce di più di 3.000 brand in Italia, Francia, Germania, Spagna, Portogallo, Finlandia, Belgio, Olanda e Austria. “I nostri clienti e la loro soddisfazione sono al centro dei nostri obiettivi aziendali”, spiega Paola Redaelli, head of service experience della società FinTech. “Se un cliente è soddisfatto, diminuisce anche il tasso di abbandono; infatti, nell’arco di tre mesi il 65% degli utenti della piattaforma ritorna in negozio o sul sito di e-commerce dove ha acquistato con Scalapay”. Su un totale di 230 dipendenti, attualmente sono coinvolti nell’assistenza clienti (multilingue, in italiano, inglese, francese, spagnolo, portoghese e tedesco) 25 agenti distribuiti su due sedi, e il principale canale di interazione è l’email. Il dipartimento di assistenza consta di due aree, dedicate l’una ai consumatori (che ricevono supporto sui pagamenti e informazioni sul funzionamento del servizio) e una ai venditori (supporto commerciale e tecnico di primo livello). Inizialmente il supporto operativo è stato gestito tramite normali programmi di posta elettronica, ma con la crescita degli affari è emersa la necessità di utilizzare uno strumento più performante: la scelta è ricaduta su Zendesk, una piattaforma di Customer Relationship Management

presente sul mercato dal 2007. Con i diversi moduli della piattaforma, Scalapay può gestire l’intero flusso di attività Crm, dal primo contatto con un potenziale cliente fino ai processi interni. In particolare, Zendesk Support consente di gestire le comunicazioni via email e la lavorazione dei ticket con funzioni di risposta automatica multilingue e visualizzazione dello stato delle procedure di assistenza. Il modulo è stato personalizzato con l’implementazione di diverse viste, “per essere sicuri di non perdersi nemmeno una risposta dei clienti, anche se l’agente responsabile di quel ticket è assente”, evidenzia Redaelli. “Inizialmente i contatti con i clienti finali e i venditori avvenivano tramite un’unica email. Quando poi abbiamo differenziato l’email e i form di contatto (e quindi tutti i flussi su Zendesk) diversi venditori scrivevano al nostro vecchio indirizzo email e per noi era essenziale che la nostra risposta partisse dal nuovo. Ebbene, una rapida ricerca nella libreria delle app di Zendesk ci ha permesso di trovare in bre-

LA SOLUZIONE

Zendesk Support viene utilizzato per la gestione delle richieste giunte tramite email e dei ticket di assistenza. Zendesk Guide è alla base dello strumento di supporto self-service inserito sul sito Web. Zendesk Explore permette di creare report e realizzare analisi.

ve tempo la soluzione ideale”. Scalapay ha ora una visione completa delle interazioni con i singoli clienti e può supportarli con comunicazioni fluide e coerenti. Il modulo Zendesk Guide ha permesso di inserire sul sito Internet uno strumento di assistenza self-service dedicato ai venditori e uno per gli acquirenti. “I clienti che ci contattano successivamente all’utilizzo delle funzionalità self service si sono ridotti di oltre il 20%”, sottolinea Radaelli. Zendesk Explore, infine, permette di creare report e di analizzare i punti problematici, che segnalano un calo della customer satisfaction, per intervenire prontamente. L’azienda ha anche creato delle dashboard dedicate ad altri dipartimenti. “La flessibilità di Zendesk ci permette di modificare le regole con pochi click e di cambiare flussi di gestione anche molto complessi in poco tempo”, conclude Radaelli. Scalapay intende adottare prossimamente altre funzionalità di Zendesk per raccogliere maggiori informazioni sulle richieste di assistenza. Inoltre integrerà la piattaforma con altri software in uso, così da poter accedere tramite Zendesk all'intero profilo del cliente, con lo storico degli acquisti e delle interazioni.

ECCELLENZE.IT | Sit voluptate 46 | DICEMBRE 2022
Zendesk ha permesso alla scaleup di migliorare e velocizzare il supporto ai venditori e agli acquirenti che usano il suo servizio di pagamento rateale.

AUTOMAZIONE E INTELLIGENZA MIGLIORANO GLI ACQUISTI

La nota azienda di progettazione e design industriale, simbolo del made in Italy, ha scelto la tecnologia di Jeggaer per digitalizzare le attività di procurement.

Nonostante le dimensioni medie dell’azienda, che ha 500 dipendenti ed è presente in quattro Paesi, Pininfarina è un brand noto in tutto il mondo, in particolare in campo automobilistico. L’esperienza maturata nel design industriale ha portato la società a fornire soluzioni integrate e progetti “chiavi in mano” in settori che comprendono anche il design di prodotti di consumo e le soluzioni di analisi e simulazione di interfaccia utente, così come sviluppi nella nautica e nel real estate. Proprio questa accresciuta visibilità su diversi mercati è tra i fattori che rendono più articolati processi come il procurement. “Lavoriamo con un ampio numero di fornitori”, conferma Pierluigi Bertolin, head of procurement di Pininfarina, “e per diverso tempo ci siamo trascinati una situazione nella quale i nostri buyer disperdevano il proprio tempo in attività a basso valore aggiunto, dalla ricerca dei file alla compilazione di documenti”. Da quello che in passato era un processo fisico e destrutturato, con un controllo non ottimale sulle caratteristiche dei fornitori anche più critici, l’azienda è passata di recente a un’evoluzione verso la digitalizzazione spinta di tutte le forme di interazione. “Abbiamo razionalizzato l’intero processo di gestione degli acquisti, facendo in modo che siano gli stessi fornitori a inserire di volta in volta i documenti necessari per partecipare a una gara”, racconta Bertolin. Anziché rivolgersi ai vendor più noti del mercato, Pininfarina ha preferito adottare la soluzione di uno specialista come Jeggaer, brand forte di una presen-

za distribuita nel mondo con un team di 1.100 professionisti e radicato anche in Italia grazie all’acquisizione di BravoSolution, avvenuta alla fine del 2017. “Abbiamo operato la nostra scelta partendo dalle

LA SOLUZIONE

Pininfarina ha scelto la piattaforma di spend management Jeggaer One, in particolare i moduli Supplier Vendor Management e Sourcing, per passare a una gestione in digitale di ogni interazione con i fornitori. Tra le caratteristiche distintive c’è l’integrazione di tecnologie di intelligenza artificiale specifiche per la governance, la qualità e il risk management nei processi di supply chain.

nostre esigenze”, sottolinea Bertolin, “ma anche dalla competenza specifica nel settore automotive e dalla necessità che fosse in cloud”.

Dal canto proprio, Pininfarina ha proceduto a una qualificazione dei fornitori, propedeutica a un loro miglior bilanciamento. La piattaforma di procurement è il punto d’accesso per tutti, quindi i vari interlocutori inseriscono direttamente le proprie offerte, che possono essere vagliate più agilmente dai buyer. Questi ultimi hanno ora più tempo per dedicarsi ad attività a valore aggiunto come l’analisi e individuazione di nuovi provider o la definizione di un maggior numero di gare, che genera competizione e porta vantaggi economici. Il sistema consentirà di produrre dati più omogenei per report e analisi più trasparenti, a vantaggio di un controllo più completo ed efficace sul processo di acquisto.

ECCELLENZE.IT | Pininfarina 47

RESILIENZA E VELOCITÀ AL SERVIZIO DELL’EDILIZIA

Gtt ha aiutato l’azienda specializzata in fibrocemento a espandere la larghezza di banda, a migliorare l’uptime della rete e a ridurre i costi del trasferimento dati.

Anche un settore come l’edilizia, fondato sulla lavorazione delle materie, ha bisogno di un bene immateriale come i dati, che devono viaggiare velocemente e senza interruzioni. Etex Group, multinazionale che produce rivestimenti in fibrocemento ecologico per facciate ventilate, oggi conta circa 14.000 dipendenti, un centinaio di siti di produzione e uffici in 25 Paesi del mondo (dal 2014 è presente anche in Italia con una filiale domiciliata a Padova). Per il successo di questo business da quasi 3 miliardi di euro di fatturato annuo (2,97 miliardi nel 2021) è fondamentale che ogni luogo di lavoro rimanga sempre connesso alla piattaforma IT centrale dell’azienda, per evitare interruzioni dei processi produttivi. La società si è rivolta a Gtt, suo partner storico, per essere supportata in un ampio progetto di trasformazione digitale: l’obiettivo era quello di diventare un’organizzazione più centrata sui clienti, che può contare su una migliore collaborazione tra tutte le aree aziendali e su processi ottimizzati e sinergici.

Etex voleva innanzitutto espandere la larghezza di banda della propria rete e ridurre i costi del trasferimento dati anche nei siti di lavoro e di produzione più remoti, come quelli che si trovano nei Territori Indigeni Protetti dell’Australia e in località rurali in Francia, Germania e nella regione AsiaPacifico. Gtt, dunque, ha supportato l’azienda sia con le proprie tecnologie sia con servizi professionali dedicati per le fasi di progettazione, costruzione e gestione della nuova soluzione: una rete locale software-

defined (SD-Wan) gestita, distribuita su 91 nodi in 25 Paesi. il servizio Cloud Connect di Gtt viene utilizzato come soluzione di connettività privata e diretta alle applicazioni in hosting su Microsoft Azure. Gtt fornisce a Etex anche circuiti di telefonia Ip (Sip Trunking) per effettuare e ricevere chiamate internazionali, a complemento della configurazione di Microsoft Teams implementata nel cloud.

Per diventare un’azienda cliente-centrica, Etex ha anche previsto l’adozione dei software di Salesforce, il lancio di una piat-

LA SOLUZIONE

La SD-Wan gestita di Etex si estende su più di novanta nodi nel mondo ed è integrata con il backbone Internet globale Tier 1 di Gtt. Il servizio Cloud Connect fornisce connettività diretta e privata alle risorse Microsoft Azure usate dall’azienda. Microsoft Teams è stato adottato come strumento di collaborazione interno.

taforma digitale che permette ai clienti di verificare prezzi e disponibilità dei prodotti e l’uso di nuovi strumenti di automazione e applicazioni aziendali in cloud. Tutto questo, naturalmente, ha incrementato il traffico dati e le esigenze di larghezza di banda, mettendo sotto pressione la rete. La SD-Wan gestita di Gtt, però, ha consentito di ottenere maggiore affidabilità, sicurezza, e continuità del servizio per le applicazioni usate dai dipendenti e clienti di Etex. Le funzioni software-defined permettono anche di assegnare priorità ai processi che necessitano di maggiore larghezza di banda. Tradotto in percentuali, la larghezza di banda disponibile è aumentata del 50%, il costo del trasferimento dati si è ridotto del 30%, mentre gli incidenti di rete sono diminuiti del 60%. Il total cost of ownership (Tco) degli investimenti IT realizzati è sceso del 15%. Inoltre la collaborazione tra i diversi team in giro per il mondo è migliorata grazie all’uso di Microsoft Teams e alla telefonia VoIP basata su tecnologia Gtt. “Lavorando con Gtt, siamo stati in grado di realizzare una strategia di trasformazione della rete che ci consentirà di essere a prova di futuro, rispondendo a tutte le nostre esigenze di sicurezza informatica e di telefonia su scala globale, beneficiando al contempo dell'agilità e dei vantaggi di continuità del servizio propri di una soluzione SD-Wan”, ha dichiarato Richard Pym, chief technology officer di Etex. Oggi l’azienda può contare su una piattaforma di rete standardizzata che è semplice da configurare, performante, stabile, resiliente e sicura.

ECCELLENZE.IT | Sit voluptate 48 | DICEMBRE 2022
Etex

L'EFFICIENZA DELLA SANITÀ PASSA ANCHE DALLO STORAGE

La tecnologia di Pure Storage ha velocizzato i tempi di accesso alle immagini diagnostiche ed è in grado di archiviare e gestire 120.000 nuovi file al giorno.

Più di 120.000 file vengono creati ogni giorno a partire dalle procedure di diagnostica per immagini di Gruppo Pederzoli, uno dei punti di riferimento della sanità privata accreditata del veronese. In seguito alla pandemia di Covid la società ha avviato un progetto di modernizzazione delle proprie applicazioni, teso a semplificare il lavoro del personale e a migliorare il servizio ai pazienti. Il sistema Pacs (Picture Archiving and Communication System) di Gruppo Pederzoli rappresentava il nodo critico del progetto, dovendo gestire ogni giorno gli oltre 120.000 file creati a partire da Tac, risonanze, ecografie e altri esami strumentali. La società voleva velocizzare la ricostruzione delle immagini diagnostiche e dunque i tempi di consegna dei referti, e inoltre desiderava migliorare la sicurezza informatica dei propri dati. Il vecchio data center, tuttavia, non era più compatibile con il sistema Pacs ed era al limite della propria capacità. I dischi Sas (Serial Attached Scsi) e Sata (Serial Advanced Technology Attachment) provocavano rallentamenti operativi, che si riflettevano sul numero massimo di esami eseguibili in una giornata e quindi sui tempi d’attesa. La ricerca di una soluzione più performante e anche più sicuro è approdata su Pure Storage: gli array basati su tecnologia flash hanno permesso di abilitare i protocolli radiologici per il servizio Pacs direttamente dallo storage e rapidamente. Il taglio dei tempi di lettura e scrittura di dati ha consentito di aumentare il numero di esami eseguibili ogni giorno. L’altro

beneficio ottenuto è la migliore sicurezza: la funzione SafeMode, integrata nei sistemi di Pure Storage, impedisce la cancellazione degli snapshot e così facendo protegge i dati dagli attacchi ransomware e preserva la continuità dei servizi. Inoltre, terzo vantaggio, il footprint della sala macchine è stato ridotto di oltre il 75%

LA SOLUZIONE

I sistemi FlashArray di Pure Storage adottati da Gruppo Pederzoli permettono di sfruttare 247 TB di capacità per ciascun rack ed elevati valori di compressione e deduplicazione delle immagini. La tecnologia SafeMode protegge i dati dagli attacchi ransomware.

con un significativo risparmio di spazio occupato e di energia consumata. “Pure Storage ci ha permesso di velocizzare la ricostruzione di immagini diagnostiche”, sintetizza Francesco Corba Colombo, IT infrastructure manager dell'Ospedale Pederzoli. “Questo si traduce in un numero maggiore di esami in meno tempo e ci consente di erogare servizi migliori. Inoltre, abbiamo la certezza di poter contare su una reazione tempestiva a fronte di qualsiasi incidente o attacco cyber, risultando nel complesso ancor più convincente date le performance e il ciclo di vita garantito per ben dieci anni”. La modernizzazione dello storage ha spianato la strada a futuri progetti che riguarderanno il miglioramento dell’affidabilità delle registrazioni dei flussi video dei sistemi di videosorveglianza.

ECCELLENZE.IT | Gruppo Pederzoli 49

CONSUMER ELECTRONICS SHOW

Quando: 5-8 gennaio

Dove: Convention Center, Las Vegas, e www.ces.tech

Perché partecipare: Il CES non ha bisogno di presentazioni. Fra i temi al centro di questa edizione ci sono le automobili a guida autonoma, il metaverso, le tecnologie per la sostenibilità e la resilienza.

MOBILE WORLD CONGRESS

Quando: 27 febbraio - 2 marzo

Dove: Fira Gran Via, Barcellona Perché partecipare: L’accelerazione del 5G, la digitalizzazione dell’industria, le automobili self-driving, la realtà aumentata e virtuale, gli Nft e il FinTech sono alcuni dei temi protagonisti dell’annuale fiera della Gsma.

CYBERSECURITY SUMMIT

Quando: 8-9 marzo

Dove: Palazzo delle Stelline, Milano

Perché partecipare: Il summit di The Innovation Group, giunto all’undicesima edizione, si rivolge ai leader e ai professionisti della sicurezza informatica, discutendo le tendenze in corso e presentando lo stato dell’arte delle tecnologie.

SMART MANUFACTURING SOSTENIBILE

Quando: 23 marzo

Dove: MADE – Competence Center i4.0, Milano

Perché partecipare: L’evento fa parte del ciclo delle “executive conference” di The Innovation Group. Si parlerà di Internet of Things e industria 4.0, ma anche di servitization, di transizione ecologica e di nuovi modelli di produzione e di approvvigionamento.

50 | DICEMBRE 2022 APPUNTAMENTI

THE DIGITAL HEALTHCARE EXECUTIVE CONFERENCE

Le nuove Progettualità tecnologiche e organizzative nell’area della Sanità 18 Aprile 2023, ore 9.00-13.30 ASL Roma 1 Borgo Santo Spirito, 3, Roma

La Pandemia ha accelerato fortemente l’impatto delle tecnologie digitali sull’ intero sistema sanitario, e la dilatazione degli spazi dovuta al Covid ha dato slancio allo sviluppo della telemedicina e delle tecnologie abilitanti (cloud, 5G, collaboration e AI), evidenziando l’importanza strategica dei dati. Negli ultimi 2 anni abbiamo vissuto un’accelerazione fortissima nell’uso degli strumenti digitali a supporto dell’assistenza sanitaria, soprattutto domiciliare:

• Solo tra la primavera del 2020 e quella del 2022 abbiamo visto realizzare, principalmente negli Ospedali e spesso in collaborazione con le aziende, 287 progetti di telemedicina (circa il 70% in più di quanto realizzato negli anni precedenti la pandemia).

• La spesa per tecnologie digitali degli enti sanitari territoriali (ASL/AOSL) supererà a fine 2022 i 900 milioni (circa il 50% in più rispetto al 2019). Principalmente per sviluppare progetti di digitalizzazione dei dati sanitari tramite cartelle cliniche elettroniche.

• L’utilizzo delle televisite è triplicato tra i MMG e quadruplicato tra gli specialisti rispetto al pre-covid.

La conferenza offrirà l’opportunità di ragionare in maniera prospettica sugli investimenti in tecnologie e in telemedicina.

Si parlerà inoltre di:

www.theinnovationgroup.it segreteria.generale@theinnovationgroup.it

The Innovation Group Innovating business and organizations through ICT INFO MAIL LE TECNOLOGIE DIGITALI E LA SALUTE LA FUTURA EVOLUZIONE DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE E I NUOVI MODELLI ORGANIZZATIVI PER IL TERRITORIO DAL FASCICOLO SANITARIO A UN ECOSISTEMA DEI DATI SANITARI LE NUOVE PROGETTUALITA’
Tutta la tecnologia che conosciamo E QUELLA CHE IMMAGINIAMO PER IL FUTURO WEB SOCIAL MEDIA SMART CITY CLOUD SOFTWARE INTERNET OF THINGS DIGITAL POWERED ENTERPRISE info@posytron.com • posytron.com
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