SPERIMENTAZIONE ANIMALE ERRORE METODOLOGICO

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Padova, 11 gennaio 2013

23 DOMANDE PER STEFANO CAGNO Sperimentazione animale: utile strumento o errore metodologico? Stefano Cagno si è laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università Statale di Milano. Lavora come Dirigente Medico Ospedaliero, disciplina Psichiatria.


1. Alcuni scienziati affermano con convinzione che la parola “vivisezione” sia stupidamente accusatoria, in quanto sostengono che la vivisezione propriamente detta, cioè la dissezione anatomica su animali vivi, non esista più, e non esistano più nemmeno gli esperimenti su animali che non siano stati anestetizzati. Si trova d’accordo? Se per “vivisezione” si intende “sezionare da vivo un animale senza anestesia” sicuramente ciò non dovrebbe accadere più. Se invece ci intende “sezionare un animale da vivo con anestesia” ciò succede ad esempio negli interventi chirurgici sperimentali e poi l’anestesia finisce. Se invece prendiamo tutti gli esperimenti su animali, i dati ufficiali britannici dimostrano che circa nel 70% degli animali non viene somministrata né un’anestesia, né un’analgesia e solo nella minoranza del 30% restante viene somministrata un’anestesia. Le “anime candide” si scandalizzano davanti al temine “vivisezione”. Per farle contente possiamo dire che si fa solo “sperimentazione animale”; rimane il fatto che, ad esempio, gli animali sono avvelenati, gli vengono impiantati elettrodi nel cervello e attraverso questi viene fatta passare la corrente elettrica, vengono ustionati, oppure su di essi sono studiati i farmaci antidolorifici. 2. L’antivivisezionismo è solo una delle tante “derivazioni” dell’animalismo? Dobbiamo quindi ritenere che gli antivivisezionisti siano solo degli attivisti da strapazzo, o nel migliore dei casi degli “scienziatucci” che hanno passato per il rotto della cuffia l’esame di biochimica? Esistono antivivisezionisti per motivi etici oppure scientifici. Nel primo caso l’antivivisezionismo è una “derivazione” dell’animalismo. I ricercatori sono una casta come tante altre e quindi al loro interno ci sono alcuni tabù, uno di questi è criticare la sperimentazione animale. Al contrario, all’interno dei clinici, ossia dei medici ai quali tutti noi affidiamo la nostra salute, e talvolta anche la nostra vita, la contestazione alla sperimentazione animale per motivi scientifici sta facendo sempre più proseliti. Tra questi ci sono anche alcuni “scienziatucci” che sono diventati primari.


3. Come si giunge all’antivivisezionismo scientifico? Qual è la Sua esperienza e quanto lavoro ha richiesto e richiede? Ognuno ha la sua strada. Io ho iniziato all’inizio degli anni ’80 del secolo scorso e allora non ero convinto che la sperimentazione animale fosse da abolire per motivi scientifici: oggi sì! È inutile che diciamo che non esistono metodi sostitutivi se continuiamo a sprecare soldi negli esperimenti sugli animali. Le metodologie innovative crescono solo se vengono investiti soldi. Il mio primo lavoro è quello di medico ospedaliero e attraverso quello guadagno la “pagnotta”. Il secondo “lavoro” è quello di medico antivivisezionista per il quale “investo” parte dei miei guadagni di medico. Ci dedico molte ore alla settimana e me lo posso permettere perché ho uno stipendio da medico e sono di poche pretese. 4. Cosa La spinge a dedicare così tanto tempo alla causa animale quando la condizione umana è spesso altrettanto tragica? Se sono convinto, come lo sono, che dagli esperimenti sugli animali posso ottenere solo dati inutili o dannosi per gli esseri umani, nel momento in cui combatto la sperimentazione animale, mi batto anche per una ricerca migliore e per migliorare la salute degli esseri umani e quindi dei miei pazienti. 5. Gli antivivisezionisti possono ritenersi tali solo perché non convivono in prima persona con una malattia o perché hanno la fortuna di avere tutti familiari in ottima salute? Ho la fortuna di godere di buona salute, ma ho conosciuto molte persone che hanno avuto seri problemi e non hanno cambiato idea. Posso citare per tutti la dottoressa Susanna Penco, ricercatrice presso l’Università di Genova, malata di sclerosi multipla e ferma avversatrice della sperimentazione animale. Battersi per abolire gli esperimenti sugli animali è molto meno altruistico di quello che superficialmente potrebbe sembrare, è un modo per cercare di ipotecare speranze migliori per il momento in cui ci ammaleremo, perché ciò accadrà purtroppo un giorno o l’altro a tutti.

6. Le critiche alla sperimentazione animale, per esperienza personale, spesso scatenano reazioni sfrenate di ricercatori che dichiarano con rabbia di “non voler perdere tempo con le barzellette”. Come mai tanta veemenza? Perché difendono i loro interessi. La veemenza è dettata dal fatto che li si tocca nel loro portafoglio e soprattutto i ricercatori più anziani non sarebbero in grado di “riciclarsi” nel settore delle tecnologie avanzate. 7. In Italia, chi, per mille motivi, intenda tenere alla larga la sperimentazione animale dal proprio percorso di studi universitario, è legittimato a farlo? Se il docente dichiarasse di non poter prescindere dall’uso di animali per l’insegnamento della sua materia, lo studente sarebbe tenuto ad accettare la sperimentazione animale per proseguire nei suoi studi?


Dal 1993 in Italia è sancito il diritto all’obiezione di coscienza alla sperimentazione animale (d.l. 413/93). Ciò vale per gli studenti, ma anche per i lavoratori. Nessun professore universitario può obbligare alcuno studente a partecipare ad esercitazioni nelle quali siano utilizzati gli animali. La legge dice anche che il professore deve mettere a disposizione dello studente un laboratorio alternativo (cosa che non avviene mai) e che non deve discriminare lo studente per la sua scelta (cosa difficilissima da provare qualora venisse attuata). 8. All’Università di Padova, in tutta l’area scientifica, sebbene con alcune eccezioni, aleggia l’idea che la sperimentazione animale sia necessaria e irrinunciabile. Ogni manifesto o volantino critico nei confronti della sperimentazione animale viene selettivamente rimosso da bacheche, muri e vetrate con una tempistica perfetta: poche ore o pochi minuti. Può capitare invece che pubblicità di palestre che invitano a fare fitness da loro restino per giorni e giorni nei corridoi e negli atri degli edifici universitari, senza che nessuno si preoccupi di far pulizia. Che dire? Pensa che sarebbe troppo parlare di “dittatura del vivisezionismo”? Torniamo al discorso precedente della casta. La casta ha i suoi dogmi come la religione. Uno di questi è che la sperimentazione animale sia indispensabile, nonostante nemmeno un modello animale sia mai stato validato, ossia ne sia stata dimostrata la validità scientifica. Pensiamo al termine “sacrificare” l’animale. I ricercatori scrivono sulle pubblicazioni che dopo l’esperimento “sacrificano” l’animale. Questo termine ha un origine religiosa. Si sacrificavano persone e animali per ringraziare gli dei o per chiedergli favori. Ora la religione non sacrifica più nessuno. Perché la “scienza” ha ancora bisogno di sacrificare? Un giorno gli scienziati si guarderanno indietro e non sapranno capacitarsi come sia stato possibile che per così tanto tempo, tante persone intelligenti e preparate abbiano dogmaticamente creduto a qualcosa che non era mai stato dimostrato con i criteri formali della Scienza.

9. Più di qualcuno ha parlato di “confabulazioni” tra ricercatori e grandi aziende interessate al profitto, e sempre più spesso si denuncia l’interferenza delle multinazionali con il mondo della ricerca. Tuttavia è difficile da credere che le grandi aziende a caccia di profitti siano riuscite ad insinuarsi ovunque, compreso l’ambiente universitario. Nonostante ciò la sperimentazione animale continua imperterrita negli anni. Verrebbe da concludere che serva davvero … Le industrie farmaceutiche da sempre finanziano la ricerca universitaria, ciò è legale e fatto alla luce del sole. Era così negli anni ’80 del secolo scorso quando ero in Università ed è così tuttora. La


sperimentazione animale è così “scientifica” che poi per obbligo di legge si devono ripetere gli esperimenti sui malati negli ospedali e fino al 1995 in Italia potevano essere compiuti all’insaputa dei pazienti. Quando ciò che era sicuro negli animali da laboratorio si dimostra tossico nei pazienti e questi ultimi o i loro famigliari portano in tribunale le industrie farmaceutiche, queste ultime si sono sempre difese dicendo che ciò che succede negli animali non è detto che si ripeta nella nostra specie. Alle industrie farmaceutiche la sperimentazione animale serve come tutela legale, alle povere Università per avere le sovvenzioni delle ricche industrie farmaceutiche, considerando che lo Stato stanzia poco o nulla per la ricerca. 10. Perché l’Università dovrebbe avere a cuore il fatto di standardizzare i “propri” studenti inculcando loro l’idea che la vivisezione sia utile e necessaria? Una massa di laureati “fabbricati in serie” con le stesse convinzioni, le stesse idee, lo stesso modo di approcciarsi ai problemi e alle ricerche, può essere una vera risorsa per la società? La scientificità della sperimentazione animale è un dogma e come tale non viene messo in discussione. È un vantaggio per i ricercatori che possono fare pubblicazioni veloci ed è il numero di queste ultime che determina la fortuna di un ricercatore, è un vantaggio per le industrie farmaceutiche che cambiando la specie animale possono ottenere tutto e il contrario di tutto ed è un vantaggio per l’Università che fa quadrare i propri miseri bilanci grazie alla “generosità” delle industrie. Il conto finale viene poi pagato direttamente alla società.

11. Perché l’antivivisezionismo spesso suscita reazioni sconsiderate ed è addirittura oggetto di offese, e invece mettere ancora in dubbio che il tonno rosso sia in estremo pericolo di estinzione è ritenuto legittimo, nonostante le numerosissime e schiaccianti evidenze scientifiche? Perché chi si sente direttamente attaccato e a rischio di perdere soldi e prestigio diventa molto aggressivo. Perché intorno alla sperimentazione animale ruotano interessi economici e personali grandissimi. Il professor Pietro Croce, dopo avere compiuto esperimenti sugli animali per 30 anni, giunse alla conclusione che c’era un “errore metodologico”, ossia la presunzione di poter estrapolare i dati ottenuti sugli animali alla nostra specie. Divenne così il “padre” in Italia dell’antivivisezionismo scientifico. Purtroppo però di Pietro Croce ne nasce uno ogni secolo! 12. Perché i metodi sostitutivi, se sono veramente risolutivi, stentano a prendere piede? Perché quasi nessuno li finanzia e quindi non si sviluppano come dovrebbero. Inoltre quasi nessun ricercatore sceglie di occuparsi di metodi sostitutivi perché sa benissimo che resterà disoccupato a vita.


Inoltre la lobby che difende la sperimentazione animale, economicamente molto potente, fa il possibile per osteggiare qualsiasi altro metodo di ricerca meno flessibile e quindi meno manipolabile. 13. Il numero di scienziati antivivisezionisti negli ultimi anni è aumentato o diminuito? Non è possibile che l’antivivisezionismo sia solo un “retaggio sessantottino” destinato a scemare fino a scomparire? Negli ultimi anni persone con una preparazione scientifica antivivisezioniste sono notevolmente aumentate, ma per essere un “opinion leader” non devi essere contro gli esperimenti sugli animali e quindi la gente non si accorge del movimento che sta crescendo all’interno della comunità scientifica. La quasi totalità della interviste che passano sui mass media tradizionali è fatta ad un’unica persona, il professor Garattini, un uomo di quasi 84 anni.

14. Come si farebbe a buttarsi con entusiasmo sulla cosiddetta “scienza senza animali”? Per scrupolo non sarebbe meglio continuare anche con gli animali per non precludere nessuna speranza ai malati e al progresso scientifico? Un conto è la speranza, altro è l’illusione. Fino a quando i modelli animali non saranno sottoposti ad un processo di validazione secondo i criteri formali che vengono richiesti ai metodi sostitutivi, continuerò a credere che la sperimentazione animale sia una truffa. E se è una truffa, è un’illusione per le gente e per i malati, non una possibilità. 15. Ma gli antivivisezionisti, curandosi, non “sputano nel piatto dove mangiano”? Sarebbe in contraddizione un antivivisezionista che potendo curarsi con terapie non sperimentate sugli animali non lo facesse. Oggi, però, i farmaci, ma anche le terapie naturali, sono sperimentate sugli animali e quindi nessuno ha la possibilità di utilizzare prodotti cosiddetti “cruelty free”, come nel caso dei cosmetici. Inoltre si dimentica che i farmaci sono testati per obbligo di legge anche sugli esseri umani e quindi è grazie al rischio a cui si sono sottoposte le “cavie umane” che possiamo determinare la sicurezza e la terapeuticità di un farmaco. Ritenere che la scoperta sia stata possibile grazie alla sperimentazione animale è un trucco da prestigiatore: le terapie sicure ed efficaci lo sono nonostante la sperimentazione animale.


16. Perché, se la sperimentazione animale è tutta da buttare, molte malattie sono divenute oggi curabili e sono state messe a punto delle buone terapie? Perché la sperimentazione animale è solo uno dei passaggi che portano alla scoperta e successivamente alla commercializzazione delle nuove terapie. La sperimentazione umana, obbligatoria per legge in tutto il mondo, è il passaggio attraverso il quale scopriamo se una sostanza è veramente sicura e terapeutica per una determinata malattia. 17. Non è forse vero che se la sperimentazione animale fosse stata condotta su femmine gravide, il talidomide non sarebbe stato commercializzato? Allora è stato solo un errore procedurale, non che la sperimentazione animale sia sbagliata di per sé … Dopo la nascita di 10.000 bambini focomelici il Talidomide fu sperimentato praticamente su ogni specie animale. “In circa 10 ceppi di ratti, 15 ceppi di topi, 11 razze di coniglio, 2 razze di cane, 3 ceppi di criceti, 8

specie di primati e in altre specie diversissime tra loro quali i gatti, gli armadilli, le cavie, i suini, e i furetti in cui si è testato il Talidomide gli effetti teratogeni sono stati indotti solo occasionalmente” (Koppanyi T. e Avery M.A., Clinical Pharmacology & Therapeutics, volume 7, pag. 250-270, 1966). Nei conigli bianchi neozelandesi effettivamente il Talidomide è risultato spesso teratogeno, ma a dosaggi di moltissime volte superiori rispetto a quelli utilizzati nella nostra specie. Se si sperimentassero tutti i farmaci su tutte le specie possibili e fosse sufficiente il verificarsi di un solo grave effetto collaterale su una sola specie per togliere dal commercio quel farmaco, non ne rimarrebbe uno solo in tutto il prontuario farmaceutico!

18. Sebbene sia vero che bisogna comunque sperimentare sull’uomo prima di commercializzare un farmaco o un prodotto, non è forse giusto dire che senza la sperimentazione animale avremmo un numero di dati e prove significativamente inferiore? Questa affermazione avrebbe bisogno di prove. Il linea teorica potrebbe anche essere vera; tuttavia la stragrande maggioranza delle sostanze che hanno superato la sperimentazione animale non superano la sperimentazione umana e quindi non entrano in commercio. Questo dato indica che le variabili nel


passaggio dagli animali agli esseri umani sono talmente tante che ciò corrisponde ad un vero salto nel buio. Quanti sono favorevoli alla sperimentazione animale dovrebbero avere il coraggio di sottoporre i propri metodi ai processi di validazione richiesti a tutti gli altri metodi di ricerca. I ricercatori, però, sanno bene che i loro modelli non superebbero mai tali prove, ma che al contrario si dimostrerebbe la distanza abissale che esiste tra quanto posso verificare negli animali e quanto poi accade negli esseri umani. 19. E’ vero che negli Stati Uniti d’America prima di iniziare ogni esperimento che preveda l’uso di animali viene stabilito con precisione il numero di animali che verranno usati? Se sì, questo accade anche in Italia? Sì, di solito questo accade anche in Italia, anche perché per compiere un esperimento c’è bisogno di un finanziamento e il costo degli animali da acquistare e stabulare è piuttosto rilevante. 20. Siamo seri, se si trovasse che il modello perfetto per la sperimentazione fosse una “lumaca di mare” gli antivivisezionisti avrebbero sollevato un eguale “polverone”? Il problema evidentemente sono i cani, i gatti e le scimmie … Da un punto di vista scientifico la contestazione è sul metodo e quindi esula dalla specie impiegata. Se invece parliamo della gente comune, sicuramente alcune specie sono in grado di colpire di più la sensibilità. Anche per gli animalisti, invece, non esistono differenze di specie, se gli animali possiedono diritti, ciò vale per tutte le specie indipendentemente dallo stato evolutivo o dalla “frequentazione” che abbiamo con loro.

21. Con la nuova direttiva sulla sperimentazione animale che prevede la possibilità di sperimentare anche sui randagi, ipotizziamo che un contadino possieda dei cani e dei gatti lasciati liberi nella campagna, a cui peraltro vuole molto bene, senza microchip o tatuaggio identificativo poiché non si è mai posto il problema. I “suoi” animali sarebbero ritenuti randagi? Se sì, c’è la possibilità che possano finire in un laboratorio di vivisezione da un giorno all’altro per mezzo di un ricettatore di animali? Sarebbe una cosa inaudita? Questo è un caso limite, tuttavia teoricamente ciò potrebbe essere possibile. Un cane vagante potrebbe essere ritenuto randagio e in base alla Direttiva Europea sulla sperimentazione animale del 2010 si possono utilizzare anche gli animali randagi.


22. Una volta un professorone di Veterinaria mi disse che la sperimentazione sui randagi è una leggenda metropolitana inventata dagli animalisti, poiché in laboratorio si usano solo animali allevati appositamente, con tanto di certificazione e tutto. Devo crederci? In Italia in linea di massima c’è da credergli. L’uso dei randagi è vietato, anche se la recente Direttiva Europea del 2010 che l’Italia deve entro breve recepire, lo rende nuovamente possibile. Negli Stati Uniti i laboratori vanno a prendere i cani dei canili e ci sono anche persone con regolare licenza che di lavoro ritirano animali domestici che i cosiddetti padroni non vogliono o non possono più tenere e li rivendono ai laboratori.

23. Da una persona ritenuta esperta di animali, in merito alla sperimentazione animale e alle differenze morfofunzionali tra uomini e animali, sentii dire questa affermazione: “La complessità neurologica è sicuramente diversa tra uomo e animale, tuttavia non riesco a capire quali differenze ci possano essere se parliamo di secrezione gastrica o di contrazione muscolare”. Allora è davvero possibile trasferire sull’uomo i risultati della ricerca sugli animali! Trovo questa affermazione piuttosto bizzarra. Ad esempio basta un gene differente tra una specie e un’altra perché la secrezione gastrica possa essere differente, magari con un differente pH. Nei secoli passati si studiavano gli aspetti macroscopici dei sistemi biologici complessi, ossia si studiava, ad esempio, quale fosse la funzione di un determinato organo. Oggi, al contrario, studiamo gli aspetti microscopici, ossia studiamo come un organo svolge la sua funzione e quindi un gene differente, oppure la presenza o l’assenza di un enzima, possono fare la differenza e rendere, ad esempio, una sostanza innocua in un specie e tossica in un'altra. Nel 2013 non possiamo più permetterci scorciatoie.

a cura di Michele Favaron

Si ringraziano il dott. Stefano Cagno e la LAV Padova per le fotografie.


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