Il Periodico News - LUGLIO 2021 N°165

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Anche in Oltrepò il problema è che molti credono alle favole che i politici raccontano

Anno 15 14 - N° 160 165 DICEMBRE LUGLIO 2021 2020

di Antonio La Trippa

RIVANAZZANO VOGHERA: l’assessore TERME: INTERVISTA ai lavori apubblici romano ferrari

Pagina Pagina 15 7

«Dopo tanto abbandono, ho dovuto concentrarmi sull’essenziale» Broni Stradella Pubblica

RIVANAZZANO TURISMO “LENTO” TERME: E TURISMO INTERVISTA “VELOCE” a romano ferrari

Pagina pagine1518 e 19

«Al Brallo c’è posto per tutti, enduristi ed escursionisti»

«A Voghera comanda la Lega»

«Devono essere i sindaci e le amministrazioni a decidere, non i partiti» godiasco salice terme

Pagina 15

Case in vendita o in affitto, «Salice Terme vive ancora della fama degli anni d’oro» casei gerola

Pagine 12 e 13

«Trasformiamo chiunque lo voglia in cartone animato» VOLPARA

Pagina 27

Entro la primavera tutte le strade saranno completate»

Il Conte Carlo Giorgi Vimercati di Vistarino: con lui quando era «Sì» era sì, quando era «No» era no di Cyrano De Bergerac

Varzi: Giuliana ed Elena, le due amiche che hanno “gallinizzato” l’Oltrepò

“Bruciare i tempi”, parte da Stradella il progetto per combattere il disagio minorile

Editore



ANTONIO LA TRIPPA

LUGLIO 2021

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Anche in Oltrepò il problema è che molti credono alle favole che i politici raccontano Terminata la pandemia, la gente lentamente sta riprendendo i normali ritmi di vita, la gente ha voglia di vita sociale, di andare al ristorante, al bar o semplicemente di divertirsi con gli amici. Come in tutto il mondo, anche in Oltrepò, in mezzo alla “massa” di adulti, ragazzini e anziani che “si muove” c’è di tutto: persone educate e civili ma anche chi non lo è affatto. Tra questi ci sono coloro che provocano disturbo alla quiete pubblica, che compiono atti criminali o molto più semplicemente – soprattutto tra i più giovani – che, nell’esuberanza dell’età, causano fastidio con schiamazzi, bivacchi o quant’altro. In questi ultimi mesi sui social e sui media si sono scatenate innumerevoli proteste contro i vari atti di intemperanza successi in Oltrepò, come in tutto il mondo... quindi anche in Oltrepò. La politica si sa entra a gamba tesa in situazioni già di per sé tese e allora le varie fazioni politiche, soprattutto quelle di minoranza oppure quelle che hanno intenzione di scendere in campo, accusano le varie amministrazioni di non fare niente per prevenire tutto questo disagio. Succede principalmente nei grandi centri oltrepadani come Voghera, Stradella, Broni e Casteggio, nelle piccole località (Salice Terme a parte) il fenomeno è meno avvertito e in alcuni casi inesistente. Ma se i politici di minoranza o gli aspiranti politici si possono capire, criticare e accusare fa parte del loro lavoro, ciò che non capisco sono i cittadini che si dicono delusi e traditi da chi hanno votato perché non ha mantenuto la promessa fatta in campagna elettorale di risolvere i problemi del mondo… L’Oltrepò è sempre stata una terra dove la maggioranza delle persone ha buon senso ed ha i piedi piantati per terra, gente concreta che ha sempre lavorato anche duramente, per cui mi risulta difficile pensare che queste persone possano aver creduto anche per un solo secondo alle promesse elettorali del politico di turno o quanto meno alle promesse inerenti al tema della sicurezza. Rimango veramente perplesso quando queste persone che hanno creduto alle favole raccontate dagli aspiranti sindaci – di qualunque appartenenza politica - per farsi eleggere in campagna elettorale, ora inviperiti puntano loro il dito accusandoli di non aver mantenuto la parola e le promesse fatte. Non avrei mai pensato che gli oltrepadani fossero così pronti a farsi abbindolare e non da chi è stato eletto ma da tutti coloro che fanno campagna elettorale. Tutti gli aspiranti politici hanno la ricetta perfetta, sicura, infallibile su come risolvere il problema legato alla sicurezza, all’ordine pubblico, allo spaccio, di come riuscire a silenziare gli schiamazzi o a impedire i bivacchi e le intemperanze notturne e anche diurne dei

giovani, tutti la raccontano e se la raccontano, ma il problema è chi ci crede e non chi la racconta. Allora io mi domando: ma dove vive questa gente che ora inviperita accusa dei politici locali di non riuscire a risolvere un problema che neanche il Ministero dell’Interno con i vari ministri e soprattutto funzionari, molti di quest’ultimi di provata capacità e competenze che si sono succeduti, ha risolto? Penso che il senso critico degli oltrepadani e sto parlando degli elettori e non degli eletti – di qualsiasi schieramento essi siano – stia venendo meno, mi sembra che per questi elettori l’unica cosa importante sia l’illusione di sapere che c’è qualcuno che ha fatto loro delle promesse per risolvere i problemi del mondo e come dei cre-

duloni mettono la loro bella X sulla scheda elettorale per sancire questo patto di sangue. Forse quando entrano in una cabina elettorale, molti tornano bambini e sentono l’intima necessità di chiedere a chi stanno votando… la luna. Come si può pensare che un sindaco o un assessore possa risolvere il problema dell’ordine pubblico. Il vero problema non è il politico che ha fatto promesse in campagna elettorale, è il suo lavoro e per essere eletti, tutti, ma proprio tutti promettono mari e monti a tutti, il vero problema sono quelli che ci credono e dopo averci creduto ed aver perso tempo in questo ne perdono ancora per protestare più o meno educatamente contro il politico di turno – di qualsiasi schieramento esso sia – per dir che non sta risolvendo il problema dello spaccio, degli schiamazzi, degli

ubriachi, dei bivacchi, etc. etc. etc. Ci manca solo che accusino i sindaci e gli assessori locali di non portare la pace nel mondo e poi siamo a posto! Il riassunto è che la gente in campagna elettorale crede a quello che vuol credere, dal taglio alle tasse alla lotta agli sprechi o all’ordine pubblico e la lista è infinita. Durante la campagna elettorale molti elettori si trasformano in tifosi sfegatati del proprio preferito e sono sordi a tutto ciò che potrebbe mettere in dubbio questa loro convinzione. In Oltrepò non avremo statisti alla Churchill ma politici come ce ne sono ovunque ed a bizzeffe in Italia, né meglio né peggio, il problema, almeno sull’argomento specifico sicurezza sono gli elettori che hanno creduto alle favole. di Antonio La Trippa


4 Greenway, «Esistono delle regole comportamentali anche per i ciclisti, pretendiamo che vengano rispettate»

LETTERE AL DIRETTORE

LUGLIO 2021

Egregio Direttore, Sabato 19 Giugno è stato inaugurato il tratto Salice Terme - Varzi a completamento della Greenway che già collegava Voghera a Salice Terme. Un’opera bellissima particolarmente attesa che sicuramente porterà grandi benefici a tutti gli abitanti della valle Staffora come il sottoscritto, al turismo e spero anche a quei giovani che sapranno sfruttare quest’occasione per creare nuove opportunità di lavoro sul territorio. Fatto questo doveroso preambolo, vorrei descrivere una situazione alla quale ho assistito una mattina verso le 8.00 mentre percorrevo la ciclopedonale in direzione Godiasco, peraltro situazione già vissuta più volte in passato nel tratto di greenway Voghera - Rivanazzano già esistente. Un signore, neanche tanto giovane, probabilmente un pensionato, sfreccia sulla greenway con la sua E-bike a 30-35 km/h sfiorando una coppia di anziani che camminano appaiati dandogli le spalle. Per fortuna nessun incidente, il ciclista che non era neanche un gran pilota è rimasto in piedi per miracolo e subito dopo ha cominciato ad inveire con una serie di improperi e insulti indicibili nei confronti della coppia di anziani ammutoliti. Peccato che in questo caso la ragione sta proprio dalla parte dei due anziani perchè, trattandosi di strada ci-

clopedonale, aperta cioè non solo a bici ma anche a pedoni, il suo limite di velocità è fissato a 10 km/h. Queste le massime velocità per un velocipede, stabilite dalla circolare ministeriale del 31 marzo 1993, n.432. Un testo che il ciclista ignorante non conosce e non considera. Quindi, vorrei segnalare a tutte le persone che frequentano la greenway che esistono delle regole comportamentali anche per i ciclisti e che tutti dovremmo pretendere che venissero rispettate. Non dico che i ciclisti non dovrebbero divertirsi, sarebbe assurdo pretendere che percorressero tutta la greenway a velocità limitata, ma quando si incontrano delle persone che potrebbero anche avere al seguito bambini, anziani, o animali, bisognerebbe rallentare per poter controllare eventuali imprevisti; non sfrecciare a tutta manetta addirittura indispettiti perchè disturbati nell’allenamento. A parte il solito problema di mancanza di buon senso, non è giusto che per colpa di (pochi) ciclisti stolti e maleducati, vengano create tensioni, pregiudizi e discriminazioni nei confronti dei ciclisti (tanti) che rispettano il prossimo e si comportano correttamente. Carlo Golgi - Rivanazzano Terme

LETTERE AL DIRETTORE

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«Povera Salice, diventata intollerante a tutto» Al direttore, Povera Salice che ha visto fallire le Terme, povera Salice che ha visto decimate attività commerciali, povera Salice che (basta fare un giro per il paese) conta meno di Godiasco, certamente più curata e pulita, povera, povera, povera… L’elenco delle “disgrazie” è ahimè lungo, ma c’è una disgrazia “gratuita”che proprio fatico a capire: l’intolleranza smisurata, illogica e appunto gratuita di alcuni salicesi ma soprattutto di alcuni salicesi, per fortuna pochissimi, che hanno attività commerciali, quelle poche rimaste. Vi racconto ciò che ho visto con i miei occhi e che la dice lunga sull’intolleranza che regna a Salice. 10.00 del mattino, una giovane signora sale sulla propria auto parcheggiata davanti ad un noto locale di via delle Terme, chiuso al pubblico e dove i titolari stanno innaffiando, pulendo e quant’altro, apro parentesi, per fortuna che la signora scesa per andare a prendere il giornale ha parcheggiato da manuale e quindi non criticabile anche per questo. La signora accende l’auto per partire, ma ahimè si attarda per non più

di 30-40 secondi. Arriva uno dei titolari del noto locale salicese che le bussa al vetro e le dice che la sua auto dà fastidio, l’odore dello scarico e il rumore sembrano proprio aver urtato l’esercente, nonostante fosse munito di mascherina (consiglio anche i tappi il prossimo giro…) Non vi descrivo l’auto ma vi posso assicurare che era una comune berlina. Ora capite che qui non si parla di schiamazzi notturni, di auto che sfrecciano ad alta velocità, di un problema di ordine pubblico e chi più ne ha più ne metta, qui un titolare di un locale ha notato ed ha fatto notare un’auto parcheggiata ed accesa e che non è partita subito. Ora vorrei dire al noto titolare, a fratelli, sorelle e genitori compresi che la prossima volta che trovo decine di persone in coda sul marciapiede che attendono di potersi sedere ai loro tavoli, farò loro notare che con la loro attività stanno ostruendo un luogo di passaggio e che il marciapiedi è di tutti. Sarà anche questo atteggiamento colpa del Covid? Lettera Firmata - Salice Terme

Qualche domanda al sindaco di Zavattarello... Gentile Direttore, mi sono letto “tutto” il paginone dedicato al sindaco di Zavattarello (dr. Simone Tiglio) nell’intervista pubblicata nel mese di giugno sulla vostra testata. A mio avviso è pertinente la canzone cantata dalla nostra Mina: “Parole, parole, parole... soltanto parole...”. Eccone delle “perle”: “senso unico in piazza Dal Verme per facilitare “il traffico” di auto e più sicuro il transito dei pedoni”. Ma i lettori sanno quanti veicoli transitano nelle suddette vie a senso unico? Nell’arco delle 20 ore diurne circa (abbondando) 30 auto e 50 pedoni. Al Castello Dal Verme ed alle “opposizioni politiche” riservate la bellezza di 37 e di 38 righe. Per una nuova sede dei Carabinieri il Sindaco non menziona che a Zavattarello (esisteva) ed esiste la Stazione del Corpo Forestale dello Stato (edificio indipendente e recintato).

Ora con l’avvenuto provvedimento legislativo che lo ha inglobato nei C.C. nulla vieta che nello stesso si trasferiscano i Carabinieri di stanza nel paese. Avrei voluto, per un momento, sostituirmi alla vostra intervistatrice Carlotta Segni ed evitare che il sindaco ponga delle domande e poi risponda alle stesse (o quasi!). Avrei chiesto al Sindaco Tiglio di rispondere, invece, a domande precise e puntuali, quali: - perché in tutte le numerose frazioni del Comune non è possibile eseguire la raccolta differenziata?; - perché nelle frazioni medesime non arriva la fornitura di gas-metano, nonostante l’autorizzazione comunale alla “Powergas”, con convenzione che prevedeva l’allaccio anche per le frazioni stesse?; - come mai nel Comune, nonostante i molti (?) anni trascorsi, non esiste un depuratore? Oscar Roncaglia – Voghera


CYRANO DE BERGERAC

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Il Conte Carlo Giorgi Vimercati di Vistarino: con lui quando era «Sì» era sì, quando era «No» era no Il conte Carlo Giorgi Vimercati di Vistarino si è spento nei giorni scorsi all’età di 91 anni. Purtroppo nemmeno lui è riuscito a vedere l’Oltrepò Pavese della vite e del vino cambiare e valorizzarsi. Il discendente della nobile famiglia, proprietaria dalla metà del XV secolo della più grande realtà vitivinicola privata dell’Oltrepò Pavese per numero di ettari, l’azienda Conte Vistarino, con i suoi 826 ettari, dei quali 200 a vite e gli altri coltivati a bosco e con all’interno una riserva di caccia, lascia al territorio oltrepadano un importante testamento: dare valore al vino di un Oltrepò che ha scritto importanti pagine di storia dell’enologia italiana ma che oggi arranca tra scandali, prezzi sbragati in grande distribuzione, valore delle uve e degli sfusi ai minimi storici e terreni che non vengono pagati dal mercato ciò che meriterebbero. Nel 1865 il nonno del compianto conte Carlo, il conte Augusto Giorgi di Vistarino, piantò per primo il Pinot nero in Oltrepò, importando le barbatelle direttamente dalla Francia dando così origine insieme alla famiglia Gancia alla grande tradizione spumantistica del territorio, che è ancora oggi una delle zone più vocate al mondo per la produzione a base di uve Pinot nero. Una storia divenuta poi tradizione grazie al padre di Carlo, Ottaviano, dal conte stesso e, ora, dalla figlia Ottavia, imprenditrice vitale, vicepresidente del Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese e attuale titolare della cantina Conte Vistarino. Il compianto conte Carlo non era un uomo facile: tutto d’un pezzo, deciso e caparbio, sapeva essere sempre di polso e non tutti lo capivano fino in fondo. Con lui gli accordi e i contratti si facevano sulla parola o al massimo con una stretta di mano.

Con lui quando era «sì» era sì e quando era «no» era no. Resta il fatto che scelse, occupandosene direttamente ogni giorno per tanti anni, di trasformare la sua azienda in una sorta di cantina sociale privata nel dialogo con i produttori di uva del territorio. La storia moderna della cantina Conte Vistarino è partita con lui per poi evolvere nella visione e nelle capacità della figlia Ottavia che ora si sta occupando di portare l’azienda nel futuro, con le sue capacità di donna del vino e del marketing. La nuova cantina voluta da Ottavia, la valorizzazione di Villa Fornace a vantaggio dell’intero territorio, l’approccio a un enoturismo selettivo e di cultura sono le fondamenta del futuro aziendale. A ciò si aggiunge la costante ricerca della qualità che è la stella polare di Ottavia e del team agronomico ed enologico che ha direttamente selezionato e messo insieme. All’Oltrepò manca ancora, al di là delle belle parole, il senso di agire come squadra. Gli ultimi dati statistici pubblicati mostrano una curva dei prezzi di mercato dei vini sfusi in caduta libera. Non si comprende ancora che per valorizzare uve e terreni si deve partire dal valorizzare il vino con politiche produttive coerenti e scelte di

mercato ponderate. Sono molti a sperare che il defunto conte possa osservare da lassù un Oltrepò capace di passare dal «tanto» al «buono» e soprattutto dalle parole ai fatti. Per fare in modo che questo accada è indispensabile mettere da parte fame di potere e vanagloria, che sin qui hanno prodotto solo la sostituzione di figure di vertice di un sistema che era e resta malato. Si vive di segnali, di scelte e di strategie che al momento mancano. Molti confidano che Gian Marco Centinaio possa fare da sottosegretario quello che non è riuscito a fare nel poco tempo che è stato ministro: guidare l’Oltrepò Pavese verso un futuro di

condivisione e visione comune. Tutto ciò sperando che non emergano nuovi scandali per incapacità di gestione industriale e per l’abitudine a ringhiare anziché chiedere scusa e aprirsi al dialogo. L’Oltrepò non deve scambiare per persecuzione la sua incapacità. Deve darsi una nuova classe dirigente, con la mente aperta dei Vistarino e la necessaria voglia di sfidare il futuro, caratteristica che contraddistingue chi fa impresa da chi sopravvive… e magari non ce la fa. di Cyrano de Bergerac


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voghera

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Bariani al lavoro: ASM si riorganizza Negli ultimi tempi all’interno di Asm Voghera se ne sono viste davvero di tutti i colori. Mesi convulsi, conditi da polemiche e scontri a colpi di carte bollate. Infine, nello scorso gennaio è arrivata la nomina di un nuovo CdA, chiamato a riportare la pace e a rilanciare l’azione della multiservizi. Alla presidenza è stato nominato l’ingegner Sergio Bariani. Si tratta di un ritorno “eccellente”: Bariani, infatti, ha trascorso molti dei suoi anni migliori, sotto il profilo professionale, proprio all’interno dell’azienda di via Pozzoni, nella quale peraltro aveva già svolto il ruolo di presidente fra il 2013 e il 2016. La sua figura è pressoché universalmente riconosciuta come garanzia di competenza e affidabilità, anche se la precedente esperienza al vertice si era conclusa con qualche dissapore nei confronti dell’amministrazione Barbieri. L’assemblea dei soci che lo ha nominato (la cui maggioranza è rappresentata dal Comune di Voghera) deve aver ritenuto che in un momento così delicato fosse necessario al timone qualcuno che conoscesse alla perfezione il contesto di riferimento; capace di condurre la nave fuori dalle secche nella quale rischiava di arenarsi e ritrovare quindi una navigazione serena e produttiva. Altra vecchia conoscenza di ASM è anche il nuovo direttore generale, Maurizio Cuzzoli, che in precedenza aveva ricoperto a Voghera la posizione di direttore commerciale e che è stato indicato proprio da Bariani. Ingegner Bariani, quando il suo nome è comparso fra i “rumors” relativi alla nuova presidenza di ASM, mesi fa, alcuni sono rimasti sorpresi. Dopo che negli anni precedenti certi ambienti avevano tentato di “tirarle la giacchetta” - mi passi il termine - anche in ottica Palazzo Gounela, si pensava che ormai lei non

Sergio Bariani, presidente Asm Voghera

fosse più disponibile ad accettare incarichi relativi nel settore pubblico, dato anche il notevole impegno (ed il successo) nella sua azienda “di famiglia” (il Gruppo Gheron, società leader a livello nazionale nel settore dei servizi alla terza e alla quarta età, ndr). Cosa l’ha convinta a tornare in campo in un ruolo delicato come quello della presidenza di ASM, e in un momento così delicato? «Bella domanda… in effetti ho accettato l’incarico di Presidente di ASM perché conosco a fondo l’Azienda e perché ho un legame anche affettivo che deriva dagli anni di lavoro trascorsi in ASM. Da vogherese ho pensato fosse un momento di grande difficoltà per ASM e che era necessario dare una mano.» Che situazione ha trovato in ASM al momento del suo ritorno, e cosa è cambiato negli anni che l’hanno vista “lontano” dall’azienda? «ASM è una società sana dove negli anni è stato costruito molto. Ho trovato un ambiente demotivato e mal gestito ma la struttura è composta per lo più da persone con grande professionalità e aziendaliste.» Quali sono le linee guida che intende attuare durante il suo mandato?

«Dobbiamo tutti insieme, dipendenti, direzione, consiglio di amministrazione e soci, credere e investire energie, idee in questa società che è parte della storia della nostra città e del territorio. Dobbiamo rispettare questa storia e costruire il futuro. Stiamo riorganizzando l’azienda valorizzando le risorse migliori. Lavoriamo per migliorare i servizi della SPA e delle controllate. Lo sviluppo delle energie rinnovabili, la raccolta differenziata, il rapporto con i comuni soci e con le altre società di servizi del territorio, sono gli obiettivi sui quali stiamo lavorando.» Il sindaco di Voghera, Paola Garlaschelli, ha parlato di un progetto di “Smart City” per la città dei prossimi anni, che vedrà in primo piano la partnership fra Comune e ASM. Cosa possiamo anticipare di questa idea? «Con il comune di Voghera stiamo lavorando anche sul progetto Smart City dove ASM da anni è impegnata con lo sviluppo di un sistema di supervisione avanzato per i servizi a rete. A questo si aggiunge il completamento, in corso, della riqualificazione degli impianti di illuminazione pubblica ad alta efficienza. Questi impianti sono lo strumento per il progetto Smart City perché sui pali saranno installati sensori per il controllo del traffico, il rilevamento dell’inquinamento, le webcam.» Dopo il divorzio “traumatico” dal dottor Mognaschi, in una posizione chiave come quella del direttore generale è arrivato l’ingegner Cuzzoli. È stato definito un “traghettatore”, incaricato di dirimere le questioni più spinose sul tavolo. Cosa si aspetta l’azienda da questa figura? «Che riporti serenità in azienda mettendosi a disposizione dei clienti e dei dipendenti. L’ingegner Cuzzoli ha un percorso di studi e professionale importante e sta facendo

molto bene.» I mesi di battaglia relativi alla governance (e le elezioni vogheresi, tema connesso) hanno lasciato qualche scoria fra le pieghe dell’organico? Qual è il clima interno ad ASM in questo momento? «Il clima sta migliorando. C’è però ancora molto da lavorare in collaborazione con tutti. L’analisi del passato serve soprattutto per evitare di commettere ancora gli stessi errori ma dobbiamo guardare al futuro.» Nei giorni scorsi c’è stata una polemica relativa al Comune di Voghera che ha preferito (o dovuto) affidare ad una società diversa dalla propria municipalizzata la fornitura dei servizi elettrici. Si tratta di una polemica fondata o non c’erano alternative? «L’Italia è suddivisa in macro aree che corrispondono indicativamente alle regioni, dove vengono effettuate gare per la fornitura di servizi alla Pubblica Amministrazione. La fornitura dell’energia alle utenze pubbliche comunali in Lombardia non compete ad ASM.» Il Comune di Voghera è l’azionista di maggioranza di ASM; tuttavia tutti i comuni del circondario fanno parte della compagine sociale (pur con quote minime) ed usufruiscono dei servizi dell’azienda. In che modo ASM intende coinvolgere questi enti, quantitativamente rilevanti, nelle strategie future? «Con i comuni soci stiamo lavorando bene rafforzando la collaborazione sui servizi storici, come la raccolta rifiuti, e su nuovi servizi come l’illuminazione pubblica. Colgo l’occasione per ringraziare le amministrazioni comunali per il supporto che stanno dando ad ASM ed in primis al Consiglio di Amministrazione.» di Pier Luigi Feltri


VOGHERA

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Lavori Pubblici, «Dopo tanto abbandono, ho dovuto concentrarmi sull’essenziale» Un cantiere dopo l’altro, in ogni angolo della città. Non tutti sono visibili ai vogheresi, ma tutti erano indispensabili, ubicati in luoghi da troppo tempo trascurati. Ci voleva Giancarlo Gabba, già assessore della giunta Torriani tornato alla politica con l’amministrazione Garlaschelli, per rimettere in moto cantieri a Voghera, città che sta affrontando un’estate di opere pubbliche. Non che basti quanto già iniziato: il patrimonio immobiliare vogherese è enorme e non ben conservato, dunque nei prossimi anni sono tanti gli interventi che ancora dovranno essere affrontati. Ma cominciamo dall’inizio, dall’unico cantiere che avete trovato già iniziato: il Teatro Sociale. A che punto siamo? «Direi a buon punto. In questo momento si sta procedendo con il recupero degli stucchi, degli affreschi e dei palchetti, e posso dire che stiamo rispettando la tabella di marcia. I tempi di consegna prevedono la chiusura del cantiere per la fine dell’anno, ma se si allungheranno o meno dipenderà dai finanziamenti che speriamo di ricevere. I lavori, infatti, non coprono il foyer e il loggione (cioè l’ultimo ordine di palchi), due zone che noi vorremmo comunque recuperare: se riusciremo, quindi, già che i lavori sono in corso vorremmo prolungarli, in modo da consegnare poi alla città un lavoro davvero finito. Ovviamente non dipende da noi: abbiamo richiesto i finanziamenti sia al ministero che alla regione, e speriamo che uno dei due enti sia disposto a sostenere la spesa. Siamo attualmente in attesa di risposta» Una delle prime opere che avete invece cominciato voi riguarda la riqualificazione dei cimiteri cittadini. «Ne avevano un gran bisogno, penso fossero decenni che nessuno più se ne preoccupava, e le lamentele dei cittadini arrivavano di continuo. Io capisco che una strada o un marciapiede ammalorati abbiano ben altra visibilità, ma non si poteva continuare a ignorare la situazione, così ho voluto dargli la priorità. Proprio in questi giorni si stanno ultimando i lavori nel piano interrato del primo campo: ci pioveva dentro, e alcune lapidi si stavano purtroppo staccando. L’intervento è costato 102 mila euro. Sono quasi pronti anche 105 nuovi loculi al cimitero di Oriolo, e in estate sistemeremo anche le parti ammalorate di quello di Medassino» E poi c’è un altro grande edificio comunale da sistemare: l’ex tribunale. «Lo stiamo facendo, infatti. Il comune si occupa dell’ultimo piano (per cui è stato stanziato un contributo di 298 mila euro) mentre quello rialzato lo sta sistemando la provincia. Il recupero sarà quasi totale, mancherà solo una piccola parte su cui speriamo di riuscire a mettere mano presto. In ogni caso sarà pronta per la fine dell’anno, e potrà accogliere la nuova caserma della guardia di finanza» Rimanendo sul fronte delle grandi opere avete annunciato anche il rifacimento

tando di investire lì, e questo è un servizio fondamentale che consentirà all’urbanistica di giocarsi meglio la partita» C’è un bel po’ di carne al fuoco. «E ho intenzione di metterne altra, tutto dipende dai finanziamenti che riusciamo a ricevere. Purtroppo c’è stato un tempo non tanto lontano in cui il comune poteva contare su un massiccio sostengo economico di Asm, che arrivava a elargire anche 500 mila euro all’anno, cifra che veniva per lo più utilizzata per la manutenzione delle strade. In questi ultimi anni (e le ragioni mi Giancarlo Gabba, assessore ai Lavori Pubblici

della pavimentazione dell’ex caserma. è confermato? «Certo che sì, è stato approvato dalla regione un finanziamento di 500 mila euro sulla base di un bellissimo progetto della Soprintendenza. Questi soldi li aspettavamo prima, in realtà, ma dovrebbero arrivare per la fine di luglio. In ogni caso l’intervento si farà, perché la città ne ha assoluto bisogno: serve uno spazio dignitoso per ospitare gli eventi culturali per i giovani, per ospitare i grandi artisti come si faceva un tempo e come fanno ancora le altre città. Io stesso ho organizzato dei bei concerti in caserma anni fa, ma non era in queste condizioni: ora, francamente, è impresentabile. E poi, sistemando il piazzale, anche l’Ascensione potrebbe tornare ad essere quello che era prima, con un programma d’intrattenimento degno di questo nome. Mi auguro che il rifacimento della pavimentazione possa essere solo un primo passo, e che un pezzo per volta (perché tutto in un’unica soluzione è impensabile)si possa recuperare tutto lo stabile dell’ex caserma» E sull’edilizia popolare? Niente di nuovo? «Ci stiamo muovendo anche lì. La regione ci ha concesso un altro finanziamento e stiamo recuperando quindici appartamenti di proprietà comunale situati in centro, che verranno messi a disposizione delle famiglie che ne hanno fatto richiesta. E a proposito di beni immobili destinati alla comunità, stiamo anche sostituendo gli infissi della scuola elementare San Vittore e della materna Pontevecchio» Nessun intervento sulle strade? «Uno importante lo faremo presto in strada Valle, dove ci segnalano di continuo che gli automobilisti infrangono i limiti di velocità. Siamo nelle vicinanze della scuola di San Vittore, dunque abbiamo ritenuto di posizionare un rallentatore. La stessa ditta si occuperà anche di asfaltare l’adiacente via Cattaneo, molto ammalorata» Altro? «Sì, la banda larga. Siamo finalmente riusciti a portarla fino all’area Pip, dove diverse aziende l’avevano richiesta. Stavano valu-

sono sconosciute) il contributo dell’azienda si è ridotto all’osso, e questo significa dover continuare a chiedere soldi agli enti regionali e statali, e quindi allungare di molto i tempi di risposta. Inoltre, dopo tanto abbandono, ho dovuto concentrarmi innanzitutto sull’essenziale, su ciò che non si poteva più rimandare, ma mi piacerebbe dedicarmi anche ad altri interventi: i progetti sono tanti, ma ne parlerò appena avrò la certezza che si possano realizzare». di Serena Simula


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voghera

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«A Voghera comanda la Lega» Il ruolo del “battitore libero” è uno dei più affascinanti della politica. Da sempre, giornalisticamente parlando, questo epiteto viene riservato a quei personaggi capaci di smuovere (con i loro comportamenti o le dichiarazioni) il campo del dibattito politico, specie in quei momenti di stallo che presto o tardi finiscono per attanagliare tutte le amministrazioni, a tutti i livelli. Il “battitore libero” può farlo perché non ha bisogno di scendere a compromessi, perché il suo ruolo (magari anche solo in quel determinato momento della sua vita), lo vede scollegato da qualunque vincolo. Di partito, di società, di circostanza. Magari per scelta propria, magari perché accantonato, magari perché dimenticato. Errore madornale. In tempi recenti la nomea di “battitore libero” è stata avvicinata ai nomi di Alessandro Di Battista per il Movimento Cinque Stelle, ma anche a Nicola Zingaretti nella partita per le prossime elezioni romane. Gli esempi, nel grande e nel piccolo, potrebbero sprecarsi. Se a Voghera c’è qualcuno che incarna questo spirito (pur di tutt’altre idee rispetto ai due prima citati), quella persona è Marina Azzaretti. Già super-assessore dell’Amministrazione Barbieri, oggi siede nei banchi del Consiglio Comunale, dove è approdata lo scorso anno in seguito alle elezioni comunali nelle quali aveva sostenuto il candidato Nicola Affronti. Azzaretti, lei secondo gli almanacchi rappresenta l’opposizione in Consiglio Comunale. Tuttavia è al momento l’unica iscritta al “Gruppo misto”, che riunisce i consiglieri che non si riconoscono nelle altre formazioni politiche presenti nel consesso. Lei è e si è sempre dichiarata con orgoglio appartenente alla famiglia del “centrodestra”. Qual è dunque la sua posizione nei confronti dell’Amministrazione Garlaschelli in questo momento? «Partiamo da un presupposto: a parte alcuni esponenti della Lega e un civico, l’attuale amministrazione Garlaschelli è composta in massima parte da ex colleghi di Forza Italia (di cui alcuni hanno poi aderito ad altri partiti), che si sono avvicendati, come consiglieri ed assessori e pure sindaci, nelle precedenti amministrazioni, amministrazioni sempre di centro destra. Certo ne condivido posizioni politiche, visione e valori ideologici, seppur per motivi ormai noti non ho fatto parte della sua coalizione. Credo però sia mio dovere oggi di fronte ai miei elettori (di ogni mandato e non solo dell’ultimo), essere obiettiva, dato il mio attuale ruolo di consigliere indipendente e la mia lunga esperienza. Ciò vuol dire plaudere alle iniziative positive e prendere posizione netta sulle iniziative che non ritengo idonee, con - se così si vo-

Marina Azzaretti

gliono definire - considerazioni dettate da una valutazione “critica”, che vuole essere se non proprio costruttiva, certo correttiva, non certo distruttiva. Restando mio unico obiettivo, come da sempre, il bene della città e dei miei concittadini». Cioè? «Insomma: se una cosa così come è fatta non va bene, non è funzionale, sento il dovere di dirlo. Il mio utilizzo dei social a tal fine è evidente e sono la prima a Voghera ad averli utilizzati per informare localmente sulla mia attività politica... Tornando all’argomento, ritengo che in un periodo come questo, mentre stiamo uscendo a fatica dalla crisi pandemica, non ci si possa permettere di “fare esperienza” amministrativa: bisogna essere ben consapevoli di ciò che si fa e bisogna fare le cose bene, meglio di prima, per ridare fiducia e slancio a una città molto in sofferenza. Amministrare è un impegno, un sacrificio, un essere sempre a disposizione, un darsi per gli altri». Come giudica il dibattito fra la maggioranza e le variegate opposizioni che compongono questa legislatura? Ma soprattutto: trova che le opposizioni stiano riuscendo a dimostrare una propria identità? «Non credo sia mio compito o diritto valutare od esprimere giudizi sul modo di fare opposizione dei componenti delle varie anime della minoranza. Credo che comunque tutti coloro che si sono impegnati politicamente e siedono in consiglio, anche sui banchi dell’opposizione, abbiano a cuore la nostra città, seppur con diverse visioni. Certo è che finché si metteranno in discussione le interpellanze dopo mesi dalla loro presentazione (nel Consiglio Comunale del 28 giugno, ad esempio, si sono discusse quelle di marzo…) resterà sempre molto difficile il loro lavoro». Dal suo ruolo di osservatrice privilegia-

ta non si esime dal commentare ciò che accade in città, a volte plaudendo alle varie iniziative, altre con giudizi taglienti, se non vere e proprie stroncature. Le chiedo ora di regalare ai nostri lettori i suoi punti di vista relativamente ad alcuni temi che potremmo definire “caldi”, e non soltanto per via delle temperature di questo periodo. Iniziamo con il suo cavallo di battaglia: il Teatro Sociale. Nei mesi passati si è detto tutto e il contrario di tutto. Maxi ritardi, spese ulteriori, dubbi sulla sostenibilità del progetto… i lavori però proseguono. Lei cosa ne dice? «Sì, tra le altre cose che ho fatto non dimentichiamo l’accorpamento degli istituti scolastici e il progetto Attract e la riapertura del Castello, il trasferimento dell’Archivio storico in più idonea sede a Casa Gallini e le tante iniziative culturali e aggreganti, nazional-popolari, sempre di grandissimo successo. Detto questo, il Teatro Sociale (con il suo recupero funzionale) è stato un mio grande impegno. In epoca commissariale ho dovuto rivedere e ripredisporre il progetto, altrimenti “cassato”, che ha portato più di un milione e 200 mila euro di fondi esterni da Fondazione Cariplo per la sua ristrutturazione e ne ho seguito, a mio tempo, con grande attenzione i lavori. E con le disponibilità economiche che c’erano si stava lavorando per completarne la ristrutturazione, in toto. Purtroppo, come tutti sanno, da fine 2019 non ho più potuto seguirne l’iter, essendomi stata tolta, insieme alle altre, la relativa delega. Ho saputo anch’io, con stupore, delle sorte complicanze economiche. Auspico che si sia proceduto e si stia procedendo correttamente e che davvero possa in breve tempo essere restituito alla città. Sarà una grandissima responsabilità anche farlo funzionare bene, con una gestione manageriale, prima che artistica, per non rischiare di fargli fare

la fine di tanti altri, ma farlo essere, come progettavo, un volano anche economico per Voghera. Se il Sociale è stato un mio cavallo di battaglia, lo è stato ed è ancora importante prima di tutto perché era desiderio ed è stato impegno di mio padre. Lui diceva che “se si riaccenderanno le luci del Sociale torneranno i riflettori su tutta la città”… Sì, però se si farà bene. Altrimenti…» Le chiedo ora la sua opinione circa i provvedimenti e gli eventi che sono stati e realizzati o programmati per rivitalizzare il centro cittadino. «Guardi, nessuno può negare, piacessero o non piacessero, che tutti gli eventi che ho organizzato io in passato hanno sempre riscosso un grandissimo successo, non solo riempiendo di gente le vie e le piazze, ma soprattutto perché i vogheresi si risentivano orgogliosi di fare parte di una comunità ritrovandosi padroni e partecipi della vita della loro città. Per far questo e a questo fine ho sempre lavorato in prima persona, con i miei collaboratori, sia alle fasi progettuali che nelle fasi operative di organizzazione logistica ed artistica. Sulla bravura degli artisti che talora si sono esibiti di recente nulla da dire, sull’organizzazione non posso che dirla improvvisata e talora penalizzante, come quando si è chiuso ad un privée per pochi un evento in una piazza Duomo, che è di tutti. E si poteva e si può fare per tutti, adeguandosi certo alle regole anti-Covid: la piazza può tenere centinaia di persone in sicurezza. Il popolo e la sua soddisfazione devono venire prima del “lustro” per pochi. Poi si possono anche organizzare eventi di nicchia, ma più che mai oggi bisogna ridare speranza, voglia di vivere, serenità ad una intera città, far tornare a sorridere i suoi cittadini, tutti. E farlo organizzando al meglio, perfettamente, gli eventi, partecipando, come facevo io e come sto facendo ora per altri comuni, a bandi con progetti che portino fondi a sostegno e soprattutto con passione, creatività e impegno personale. La differenza si nota eccome. I primi giovedì di sera sono stati un innegabile flop. Gli eventi, mal organizzati e troppo spesso di nicchia. Poi ci sono tante altre problematiche e sofferenze che vanno affrontate e risolte con determinazione. Magari dando ad esse la priorità rispetto alle nomine. Auspico poi vengano consolidate da Voghera quelle sinergie territoriali ma anche politiche, principalmente lungo l’asse Valle Staffora, forziere di coordinate progettualità di rilancio di un intero territorio. E, non a caso, oggi si potrebbe anche pensare di guardare agli sviluppi legati alle Terme di Salice in un’ottica partecipata tra enti e con i privati». Anche quando era lei a occuparsi di or-


VOGHERA ganizzare la vita sociale e l’attrattività commerciale vogherese talvolta doveva fare i conti con qualche commento negativo. I criticoni, del resto, hanno sempre bisogno di mantenersi occupati. Tuttavia, a distanza di qualche tempo, c’è qualcosa che non rifarebbe o avrebbe fatto diversamente? «Io ho fatto tutto quello che ho potuto, stando nei limiti impostimi. E, mi creda, sono stati sempre più stringenti. Se avessi avuto meno limiti avrei forse accontentato di più, fatto più cose. Questo è certo». Qualche tempo fa lei ha dichiarato: “Trovo che, per quanto riguarda il Governo della città, Voghera stia sempre più assomigliando, sotto taluni aspetti, a Pavia”. Cosa intendeva? «È innegabile, e sicuramente qualcuno si risentirà della mia affermazione, che a Voghera comanda, come a Pavia, la Lega. Le altre forze della coalizione al governo sono in ombra. Non si percepiscono come altre forze partitiche definite, sono alleati accondiscendenti, certo, ma temo che questo comportamento avrà pesanti ripercussioni sul prosieguo. Le decisioni le prende innegabilmente solo “qualcuno” della Lega, condividendole con il sindaco e forse con una ristrettissima cerchia, ed anche se qualche posto di potere è stato distribuito a componenti eletti o non eletti della coalizione, nessuno di loro riesce più a rappresentare un’identità politica con un pensiero ed una visione partitica, seppur in sintonia, ma propria. Di questo sono molto dispiaciuta, la mia propensione valoriale e

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il mio desiderio di reinserirmi in un contesto partitico trova molte incertezze e dubbi sulla sua strada, oggi a Voghera. Miei e anche di chi teme la mia forte personalità. Ma resto convinta che il tempo farà la sua parte perché, come diceva sempre mio padre, è “galantuomo”». A Voghera esiste un tema “sicurezza” o pensa che si tenda a esacerbare il confronto in merito? «A Voghera, come d’altronde in quasi tutti i centri abitati d’Italia, oggi esiste un problema sicurezza ed è innegabile, sotto gli occhi di tutti. Si tratta, nello specifico, di sicurezza pubblica, quotidiana, ma anche della percezione di essa, che non c’è. Non c’è perché troppi episodi di microcriminalità si susseguono quotidianamente e perché abbiamo troppe presenze discutibili in città che si sono appropriate dei nostri spazi e sulla gestione delle quali va forzata una riflessione tramite i Comitati Sicurezza, di concerto con il Prefetto e le varie Forze dell’ordine oltre che tramite azioni deterrenti da parte della Polizia Municipale, nei limiti, poco proficui, imposti dalla Legge. Servono a poco o niente Daspo a mendicanti e selfie nei punti caldi della città. Anzi, gli episodi di microcriminalità si sono intensificati. Certo è che da quando si è istituito un Governo dalle larghe intese si è anche ridotto molto il focus su questo problema a livello nazionale. Non dimentico certo anche il risvolto umanitario, l’integrazione e la sussidiarietà, ma queste valgono, a mio parere, per tutte le persone per bene in stato di difficoltà, indipenden-

temente dal paese d’origine… anche se forse qualche attenzione in più la meritano gli italiani e quelli che comunque si impegnano, rispetto a chi cerca la residenza qui solo per essere mantenuto. Poi servono più iniziative aggreganti diffuse (come ad esempio avevo iniziato ad organizzare in piazza San Bovo) per dare modo ai cittadini di tornare a vivere le loro vie e piazze, ed anche questo fa da deterrente». Per finire, usciamo dalla politica in senso stretto. Che estate sarà secondo Marina Azzaretti quella che ci aspetta? La situazione generale, a partire dalle preoccupazioni per la pandemia, la vedono ottimista oppure dubbiosa? «Voghera oggi è calda ma triste. Però tanti cittadini ed operatori hanno voglia di impegnarsi e dimostrano forza d’animo, volontà di darsi da fare e tenacia, per uscire dal tunnel. Voghera oggi ha bisogno, per superare la crisi pandemica che ha acuito la crisi già esistente, di azioni forti, nuove, coraggiose. Non basta coprire con stupende foto dell’archivio Cicala i sempre più numerosi negozi dismessi. Non basta chiudere senza un progetto, sia pure sperimentalmente, un pezzo di piazza Duomo vuoto, non bastano concerti d’élite o sporadici eventi triti e ritriti. Servono iniziative strutturate. Servono con urgenza progettualità non “random” ma con pianificazione, obiettivi e strategie ben chiari e condivisi con gli stakeholders locali. Serve farli riaprire i negozi, magari con contratti concordati. Serve riportare il lavoro, serve sistemare le strade e portare

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«Il mio desiderio di reinserirmi in un contesto partitico trova molte incertezze» i servizi primari a tutte le periferie, serve valorizzare il pianeta scuola, formazione e università, serve perseguire la rivitalizzazione delle aree dismesse (avviata col progetto Attract), senza però pesare sulle casse dell’ente, serve dare riscontro tempestivo alle attese, ai bisogni e alle richieste dei cittadini, ascoltandoli. C’è sempre una luce in fondo al tunnel, dipende da quanta benzina hai nel serbatoio, e se non l’hai cercala senza tregua. E da chi conduce il treno e dal suo staff… servono competenza, tempestività ed impegno e passione per arrivarci in tempo utile e senza perdere pezzi per strada (vedi esempio ASM etc.) e per arrivarci vincenti. Sono certa comunque di non essere la sola né da sola a portare Voghera nel cuore né a lottare perché Viva Voghera». di Pier Luigi Feltri



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«Personalmente ho votato la Garlaschelli, pensavo fosse realmente un’esponente del “fare” “La buona destra” è un partito politico nato circa un anno fa con l’obiettivo di fornire un’alternativa ai movimenti populisti e sovranisti di Giorgia Meloni e di Matteo Salvini. Coordinatore di questo nuovo soggetto è Filippo Rossi, già noto per essere stato vicinissimo al Gianfranco Fini del “Che fai, mi cacci?”, nonché fra i promotori del celebre festival culturale viterbese “Caffeina” (evento che ha del miracoloso – nonostante qualche contenzioso economico – e che fra l’altro è divenuto nel tempo un vero e proprio fenomeno social, con oltre tre milioni di follower su Facebook). L’ideologia del movimento è sintetizzata in venti punti programmatici: fra questi il coinvolgimento della società civile nella scena pubblica, la competitività del sistema-paese in un quadro federativo europeo, la sostenibilità del debito pubblico, la semplificazione normativa, la meritocrazia, il riformismo, il rispetto della vita umana e dei diritti inalienabili. Il partito si sta strutturando e conta al momento 5000 iscritti e 150 comitati promotori a livello nazionale. “La buona destra” a Voghera è associata al nome di Gianpiero Santamaria, che abbiamo intervistato. Santamaria, lei si è affacciato negli scorsi mesi sulla scena politica vogherese; all’interno di una formazione nuova per la città, “La buona destra”, e in un momento particolarmente delicato: era infatti già in corso la campagna elettorale che avrebbe portato ad eleggere un nuovo governo cittadino. In questo periodo lei è stato molto attivo sui social networks, ma date anche le restrizioni connesse alla pandemia ha avuto poche occasioni per incontrare i cittadini di Voghera. Le chiedo dunque di presentarsi a chi non la conosce: chi è Gianpiero Santamaria? «Sono un quasi cinquantenne nato a Monza, cresciuto politicamente in Brianza. Iscritto a 15 anni nei giovani di destra, a 20 nei giovani di destra universitari, consigliere comunale per 12 anni, eletto nel centro destra in quota Alleanza Nazionale. Mi occupo della gestione del contenzioso per PMI e banche con due sedi (TortonaMonza). Nei weekend (da quasi 20 anni) seguo l’azienda di famiglia, un’azienda vitivinicola in alta collina Salice Terme. Risiedo a Voghera con mio figlio che studia in città». Ci vuole spiegare i capisaldi de “La Buona Destra”? Quali sono le vostre idee e quali relazioni avete con gli altri partiti? «Nel settembre scorso ho raccolto la richiesta dell’amico Vittorio Tozzini, per un mio impegno in Buona Destra nella pro-

«Sicuramente presenteremo la nostra lista a Rivanazzano Terme, a settembre annunceremo il nostro candidato Sindaco»

Gianpiero Santamaria

vincia di Pavia, per costituire un comitato provinciale che ci porterà al congresso fondativo del 23 novembre a Roma. L’ambizione di Filippo Rossi, il nostro coordinatore nazionale di BD, è quella di costruire una destra liberale, europea, che tuteli gli interessi nazionali dai miopi sovranismi. Guardiamo con simpatia ad Azione di Carlo Calenda e al nuovo partito di Toti e Brugnaro, Coraggio Italia». A Voghera durante le ultime due elezioni amministrative l’area di destra / centrodestra si è presentata agli elettori divisa in due o anche tre compagini avversarie, ognuna con un proprio candidato sindaco. La città, insomma, pur manifestando chiaramente idee di stampo conservatore, non è riuscita ad esprimere posizioni univoche a livello delle liste. In un quadro già così frammentario, perché dovrebbe essere utile un’ulteriore formazione nel campo delle destre? Non si rischia di andare a coltivare un orticello già affollato, peraltro ricco di zappatori ma un po’ povero di seminatori? «Sicuramente Voghera è una città moderata, dove il centro-destra prevale, anche per le divisioni del centrosinistra. Divisioni dettate da egoismi e personalismi. Credo però che in questi mesi assisteremo ad un nuovo riassetto politico. Il ciclo di Forza Italia è destinato ad esaurirsi, per ragioni anche anagrafiche, non solo del presidente Berlusconi. BD pescherà sicuramente nel “campo” dell’astensione (il primo partito iriense). Abbiamo già raccolto adesioni dalle liste di FDI, che soffre di una classe dirigente locale imbarazzante. Molti sono i delusi che hanno votato in massa la Lega, gli elettori faticano nel trovare differenze dal-

le passate amministrazioni, soprattutto su sicurezza e degrado dei quartieri lontani dal centro». Fin dalle primissime mosse dell’amministrazione Garlaschelli la posizione espressa dal movimento che lei rappresenta è stata spesso critica nei suoi confronti. Altre compagini si sono riservate il “beneficio del dubbio” e hanno atteso passi più sostanziali prima di esprimere posizioni nette nei confronti della nuova sindaca. Quali sono i suoi rapporti con i responsabili del governo cittadino ed il suo giudizio attuale in merito? «Le faccio uno scoop, personalmente ho votato il sindaco Garlaschelli. Pensavo fosse realmente un’esponente del “fare” civica e moderata, estranea alla partitocrazia. I primi 100 giorni sono stati un disastro, un immobilismo dettato dall’ossessione di riappropriarsi della governance di ASM. Il piano industriale di ASM dopo 5 mesi dal rinnovo del CDA non si vede, né la due diligence promessa. La sicurezza percepita e reale è peggiorata, anche per l’emergenza pandemica, divenuta emergenza sociale. Nulla è stato fatto (nemmeno un progetto) sull’edilizia popolare, sull’abbandono delle case comunali e Aler di Medassino, Pombio, San Vittore. Ovviamente sarò il primo a complimentarmi, se sarà fatto solo il 10% di quello promesso in campagna elettorale». Da quando è “sceso in campo” ha cercato di tessere relazioni con altri gruppi, ma anche con singoli esponenti della politica cittadina. Ha sviluppato una particolare empatia politica o forme di collaborazione con qualcuno di essi? O, al contrario, rivalità? «In questi 10 mesi ho conosciuto tutta la politica vogherese, l’attuale e la recente passata. Nella quasi totalità sono rapporti di natura amicale, sicuramente posso dire di stimare l’ingegner Chindamo e la segretaria del PD, dottoressa Bazardi. Al di là di qualche incomprensione social, non posso dire di avere rivalità. A livello provinciale mi confronto spesso con l’Onorevole Cattaneo e con il dottor Mangiarotti, segretario

provinciale di FDI». Anche allargando il campo all’Oltrepò ci sono stati contatti con soggetti ben noti, protagonisti a vario titolo dell’agone politico. Per esempio, è proprio di qualche giorno fa l’incontro con il sindaco di Fortunago Pier Achille Lanfranchi. Quali sono i vostri programmi nel territorio? Ci saranno candidati de “La Buona Destra” nelle future competizioni elettorali in Oltrepò? «Assolutamente si, la mia mission è quella di radicare BD nei territori, per essere pronti alle prossime regionali e politiche. In questi mesi abbiamo incontrato molti Sindaci della Comunità Montana. Sicuramente presenteremo la nostra lista a Rivanazzano Terme (a settembre annunceremo il nostro candidato Sindaco). Siamo già al lavoro per Godiasco Salice Terme».

di Pier Luigi Feltri

«In questi 10 mesi ho conosciuto tutta la politica vogherese. Al di là di qualche incomprensione social, non posso dire di avere rivalità»


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Casei gerola

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«Trasformiamo chiunque lo voglia in cartone animato» Caricature cartoon 3D personalizzate e rifinite artigianalmente, è questa l’invenzione di due amici, Massimo Rossi e Simone Rasetti, che con i loro pupazzetti hanno conquistato il pubblico, tanto da decidere di avviare un progetto comune che in un primo momento è sfociato in un album dei puppet – così si chiamano le statuette che rappresentano la persona in versione cartoon – e poi nella “949 Creative Studio”, start up nata nel 2015 e con sede a Casei Gerola, dove oggi Massimo è il Direttore Amministrativo e Pubbliche Relazioni e Simone il Direttore Artistico. La “949 Creative Studio” è oggi considerata un’eccellenza italiana per la progettazione, modellazione, stampa e rifinitura nel campo del 3D a 360 gradi, ed è specializzata nel settore artistico con l’utilizzo di metodologie uniche e di loro invenzione per rifinire artigianalmente i prodotti garantendo l’unicità dei pezzi Massimo è nato tutto per caso e dall’unione di due passioni, la sua per l’informatica e quella del suo socio per la tecnologia 3D. Ci racconta come è nata l’idea e la realizzazione del vostro primo puppetportrait spiegando ai nostri lettori cos’è esattamente un puppetportrait. «Lavorando molto per l’estero, e avendo a che fare spesso con la realizzazione degli action figure americani (le famose statuette dei supereroi o attori del cinema), abbiamo iniziato a divertirci sperimentando e creando nuovi personaggi per inventare qualcosa di nostro ma che non fossero le solite caricature... ed ecco l’idea di trasformare le persone in cartoon. Tra lavoro ed esperimenti nel tempo libero, un giorno mi arriva una scatola e dentro trovo una bellissima sorpresa: il puppet uguale a me. Preso dall’entusiasmo non solo comincio a farlo vedere ad amici e parenti ma a farlo girare su internet ed è subito un boom di richieste. Noi, utilizzando qualche foto e la tavoletta grafica trasformiamo chiunque lo voglia in cartone animato. Poi il disegno creato, con l’utilizzo della stampante 3D, diventa un pupazzetto reale che verrà rifinito e colorato tutto a mano. Nasce così il puppetportrait o puppet 3D, la statuetta che rappresenta la persona in versione cartoon». Vi occupate della progettazione, modellazione, stampa e rifinitura del “prodotto’’ se è corretto chiamarlo così. Come avviene, con che tempistiche e seguendo quali passaggi una produzione in 3D? «Il primo passo è capire cosa si vuole creare e come crearlo, questo può avvenire tramite foto, disegno o semplicemente un’idea che poi noi andremo a sviluppare. Una volta definito il progetto nei minimi particolari, il mio socio Simone comincia a lavorare sulla tavoletta grafica, con l’utilizzo di un software professionale, e inizia

Massimo Rossi

il processo di modellazione. è un’attività molto bella ed interessante da vedere perché è un processo innovativo equiparato all’arte scultorea e in questo caso “lo scultore digitale’’ inizia a plasmare e creare qualcosa attraverso “l’argilla digitale’’. Ultimata la modellazione, il file viene inserito in una stampante 3D e inizia la creazione concreta che può durare anche molte ore a seconda della complessità dell’oggetto da realizzare. Finita la stampa, la creazione dovrà essere rifinita, pulita e preparata alla colorazione che verrà fatta esclusivamente a mano e con tecniche anche di nostra invenzione. Le tempistiche dipendono dalla complessità dell’oggetto da realizzare (ma di solito riusciamo a consegnare in circa due mesi lavorativi) e possono variare da qualche settimana ad addirittura alcuni mesi». Siete partiti con la produzione di pupazzetti cartoon 3D personalizzati e creati artigianalmente. Presumiamo che ci sia tutto un mondo di appassionati dietro ai puppetportrait. è così? «Assolutamente sì, non pensavamo di avere così tanto successo con una nostra invenzione; siamo partiti col realizzare amici e conoscenti fino ad allargare il nostro mercato in tutta Italia ed all’estero. Dai puppet per i matrimoni a quelli dedicati ad eventi speciali o a persone importanti fino a collaborare con negozi, location per eventi e wedding planner. Ma non solo, vedendo i nostri pupazzetti personalizzati o quello che nasceva dalla nostra fantasia, sono cominciate ad arrivare richieste di qualsiasi genere dove l’unicità, la creatività e l’artigianale erano punti importanti». Il puppetportrait più inusuale che vi è stato commissionato?

«A dire la verità, dopo averne realizzati a centinaia, ci sarebbe l’imbarazzo della scelta perché col tempo iniziano ad arrivare le richieste più disparate. Ma quella che ricordo sempre come “più strana’’ è quella arrivata da una coppia di artisti circensi che volevano realizzare i puppet per il loro matrimonio. Fin qui, sembra una richiesta normale, solo che uno era trapezista e l’altro giocoliere/equilibrista…per cui dovevamo trovare un modo di realizzare i puppet sospesi per aria. è stata dura, ma la nostra pazzia unita a creatività, fantasia e passione ha avuto la meglio. Ed è uscito un bellissimo progetto». Vantate anche alcuni personaggi Vip tra i vostri estimatori? «Certamente, tra i più importanti abbiamo realizzato i puppet di Stefano Forcella ed Enrico Zapparoli dei Modà, Rudy Zerbi, Ermal Meta, alcuni attori di soap opera americani, abbiamo realizzato una creazione molto particolare dedicata ad Alessandro Preziosi (un busto del personaggio del film La Bella e la Bestia), il regista francese Ocelot, il regista Alessandro Maggi, il critico Tanino Bonifacio, l’artista Annalaura di Luggo e molti altri. Proprio in questi giorni consegneremo un puppet ad un musicista internazionale molto importante. Tutti lavori richiesti e consegnati da fan e amici, che ci han permesso di farci conoscere tra i professionisti dello spettacolo e ricevere tantissimi apprezzamenti e pubblicazioni nei social. Infine voglio citare un grande amico, il giornalista Marino Bartoletti, che apprezza i nostri lavori e aspetta sempre con molta curiosità di vedere quale campione del ciclismo trasformiamo in puppet 3D». Tempi e costi per la realizzazione di un puppetportrait. «Il puppet 3D è una creazione personalizzata, per cui le tempistiche ed i costi dipendono da ciò che si vuole realizzare. Per questo forniamo al cliente sempre un preventivo gratuito. In media per un puppetportrait “semplice’’ i tempi variano attorno al mese e mezzo lavorativo mentre il costo si aggira sui 200 euro circa, ma comunque è solo un riferimento indicativo». L’ultimo vostro progetto è stato quello dedicato ai miti del ciclismo, con il Giro d’Italia che ha fatto tappa proprio tra le strade dell’Oltrepo. «Il progetto si chiama “I Campioni del ciclismo in 3D’’ e vuole valorizzare i campioni del passato in una veste nuova, inedita e simpatica, trasformandoli in puppet cartoon 3D e col tempo creare una vera collezione di personaggi da poter esporre. Tutto è nato con il Centenario di Fausto Coppi, volevo creare qualcosa per l’evento ma su di lui negli anni è stata fatta qualsiasi cosa. E così mi son detto, perché non trasformarlo in uno dei nostri puppet?

Un qualcosa di unico e mai realizzato! Detto fatto! Successivamente, grazie al supporto di Mario Rovida che organizza La Viscontea a Belgioioso (una ciclostorica legata al Giro d’Italia d’Epoca), ho presentato il nostro puppet 3D di Fausto Coppi alla loro cena di gala dell’evento. Un successo incredibile, tanto che i presenti (appassionati ed ex professionisti del ciclismo) hanno cominciato a farmi un sacco di richieste su vari personaggi. Così è nata l’idea di trasformare una creazione singola in un progetto vero e proprio. Dopo Coppi, è seguito Girardengo, Luciano Berruti (il mitico personaggio che ha inventato le ciclostoriche), Bartali, un progetto che in pochi mesi ha superato le 300mila visualizzazioni. Erano in cantiere molti altri “campioni’’ ma purtroppo la pandemia ha bloccato tutti gli eventi e pure i nostri lavori. Il progetto piace, soprattutto all’estero, e abbiamo ricominciato qualche mese fa con alcune trattative e le prime due consegne in Belgio realizzando Frank Vandenbroucke e Rik Van Looy. Speriamo che il Giro d’Italia, prima o poi, si accorga anche di noi, perché sono convinto che potremmo essere un simpatico e particolare valore aggiunto». Se non ricordiamo male il vostro primo lavoro in Oltrepo è stata la scultura del Grillo Verde posto all’ingresso del Comune di Broni. Com’è nata l’idea? «Diciamo che il primo approccio c’è stato progettando la statua di Jeffrey (posizionata davanti alle nuove scuole di Broni) ma realizzata dal cliente tramite una ditta esterna. Dopo qualche tempo, vengo contattato dall’architetto Angela Ferraresi di Broni, che stava lavorando alla rotonda di Via Marconi. Colpita dalle nostre tecniche innovative, mi ha proposto di lavorare ad un personaggio che doveva essere unico, simpatico e particolare così dalla nostra fantasia e creatività abbiamo proposto una bozza del grillo ed è subito piaciuta con entusiasmo sia a lei che al cliente. Un lavoro molto elaborato anche perché doveva rispettare parecchi parametri dettati dall’architetto, ben 70 giorni di lavoro dalla progettazione alla consegna, tecniche uniche e sperimentali elaborate da noi per creare gli effetti sul colore e un post produzione suddiviso tra il nostro laboratorio e una carrozzeria affittata per l’occasione. Simone si è davvero superato, e penso che il lavoro parli da solo». La vostra attività in campo artistico è a 360 gradi. Altri lavori importanti realizzati in Oltrepò e fuori dai confini oltrepadani? «Un altro lavoro realizzato in Oltrepò, molto importante, è il Premio per il Centenario del primo Cartone Animato al mondo (El Apostol) dedicato a Quirino Cristiani (nativo di Santa Giuletta, come me, ed in-


casei gerola ventore del primo lungometraggio animato al mondo). Questa creazione, ha fatto il giro del mondo, è diventata importante in Argentina (Cristiani era emigrato e viveva a Buenos Aires) diventando il simbolo della Giornata Nazionale del Cartone Animato (festeggiata il 09 novembre di ogni anno) dedicata a Quirino Cristiani. è stata inserita in un video di promozione turistica del Governo Argentino ed esposta per 6 mesi al Museo del Cine di Buenos Aires e poi ha vinto il Premio Dante Alighieri 2021, come Arte Contemporanea, istituito dalla rivista Art Now. Infine, questa creazione insieme al “Grillo’’, hanno contribuito a far ricevere al 949 Creative Studio il Premio al Lavoro ed al Progresso Economico 2018 con Medaglia di Bronzo dalla Camera di Commercio di Pavia (Impresa Innovativa 2018), che di fatto sancisce lo studio, unica Eccellenza Italiana nel 3D artistico. Una bella soddisfazione per una realtà recente e innovativa come la nostra! Tra i lavori più importanti, fuori dal nostro territorio, il Premio “Apostoli dell’Animazione’’ consegnato all’evento “View Conference’’ di Torino nel 2018 a MAD ENTERTAINMENT e ritirato da Marino Guarnieri, uno dei registi di “Gatta Cenerentola’’. Poi un’altra creazione realizzata e consegnata come Premio Speciale al Salone Internazionale del Camper di Parma, abbiamo una convenzione per lavori artistici personalizzati per una location di eventi molto importante nel milanese e una serie di modellazioni per scultori e artisti sia italiani che stranieri. E siamo in contatto con parecchie realtà legate alle Belle Arti». Oltre al settore artistico siete attivi in altri settori? «Lo sviluppo del nostro studio ha un obiettivo importante: diventare l’unica realtà 3D in Italia che ti segue dall’inizio alla fine. Infatti oltre alla parte artistica, abbiamo tutta una parte informatica (e un altro laboratorio) per fornire assistenza tecnica, pre e post vendita. Non solo per chi è già esperto ma soprattutto per chi vuole avvicinarsi al mondo del 3D o addirittura al

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campo artistico. Forniamo computer, software, corsi, materiali, stampanti 3D praticamente tutto ciò che serve per iniziare a modellare e stampare in 3D. Inoltre collaboriamo con altre aziende che operano in vari settori come il modellismo, nella gioielleria, in campo medico, odontoiatrico, meccanico, etc. etc. etc.». Qual è oggi il settore che “tira’’ maggiormente e perché? «La tecnologia 3D è in continua evoluzione ed è la base di partenza per qualsiasi settore produttivo, per cui non esiste un settore che “tira’’ più o meno. Esistono settori dove la tecnologia innovativa ha sostituito o velocizzato processi costosi o articolati, oppure viene utilizzata per introdurre materiali e procedure nuove». I vostri committenti sono per lo più nel settore pubblico o anche privati? «Come raccontavo prima, la tecnologia 3D dà un’opportunità di sviluppo quasi infinita per cui di conseguenza il portafoglio clienti è il più disparato, dagli enti pubblici alle aziende private, dai professionisti ai clienti privati, alle scuole, ai musei, alle persone famose, negozi, ospedali, istituti di ricerca...». Cosa potreste fare voi per l’Oltrepo e in Oltrepò per renderlo più attraente e appetibile da un punto di vista artistico? «Potremmo fare davvero molto! Ogni nostra creazione e soprattutto quelle dedicate, appunto perché uniche e particolari, attirano un riscontro assoluto sia in Italia che all’estero. Abbiamo inventato le statue nelle rotonde stradali, uniche in Italia e che han fatto il giro del mondo, quante creazioni dedicate al nostro territorio potremmo fare e che ci invidierebbero dappertutto, estero compreso? Abbiamo il “creatore’’ del primo cartone animato al mondo, il suo centenario, la famiglia mi ha donato i diritti per l’Italia, lavoro e collaboro con il mondo dell’animazione ad alti livelli, potremmo portare in Oltrepo davvero un contributo impagabile con festival, rassegne, laboratori per i ragazzi e tanto altro. Ho lanciato un progetto legato ad un nostro personaggio, il mitico Giustino, che non

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La realizzazione del Grillo di Broni, ha portato la Camera di Commercio di Pavia a conferire alla “949 Creative Studio” la medaglia di bronzo come impresa innovativa

solo sta girando il mondo, è arrivato ad Hollywood nelle mani di Adam Sandler e questo simpatico gnomo è conosciutissimo nel nostro Oltrepò, lui può fare davvero la differenza nella promozione del nostro territorio! Un aforisma che ci contraddistingue è: valorizzare il passato proiettandolo nel futuro attraverso l’innovazione. Viviamo in un periodo che l’innovazione è un vero boom per qualsiasi cosa e noi abbiamo una delle chiavi per rendere la normalità e il nostro territorio artistico, creativo e unico. Basta volerlo». Avete mai pensato di presentare alle varie amministrazioni locali un progetto di recupero o di abbellimento artistico? «Dopo aver ricevuto l’Eccellenza Italiana, è stato per me un atto di rispetto e dovere contattare tutte le Amministrazioni dell’Oltrepò per metterle a conoscenza della nostra importante realtà. E non solo, per alcuni Comuni avevo preparato una proposta ad hoc, dedicata, in modo da poterli valorizzare ulteriormente o creare qualcosa di unico che li potesse rappresentare. Ma purtroppo non siamo stati fortunati e non ci ha risposto nessuno!». Progetti e ambizioni future? «Tantissime novità e progetti in arrivo, ovviamente non possiamo svelare tutto perché coperto da segreto aziendale.

Partiranno in autunno i corsi di modellazione e stampa 3D (con tecniche di nostra invenzione) sia online che in presenza grazie ad un accordo con un’importante azienda italiana che si occupa di formazione. Stiamo sviluppando un nuovo progetto dedicato alla realizzazione di automezzi mai realizzati nel settore del modellismo. Ci saranno sviluppi nel mondo dell’arte contemporanea. Siamo creativi, stiamo sempre al passo con le novità e di conseguenza anche molto ambiziosi, ci piacerebbe realizzare un laboratorio anche in Oltrepò dove poter sviluppare nuovi progetti, realizzare i corsi e far avvicinare i ragazzi e le persone creative come noi a questo mondo curioso. Un’altra cosa interessante, allo studio, poter realizzare mostre itineranti oppure esposizioni dedicate al territorio utilizzando la tecnologia 3D oppure valorizzare le varie comunità ricreando oggetti, simboli o altro, ormai persi nel tempo. I nostri motori sono sempre caldi e scalpitanti, potremmo davvero essere un punto fermo ed innovativo per l’Oltrepò del futuro in un settore culturale ed artistico che finora è rimasto sempre un po’ in sordina. Ma noi ci siamo!». di Silvia Colombini



godiasco salice terme

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Case in vendita o in affitto, «Salice Terme vive ancora del nome e della fama degli anni d’oro» Dalla primavera scorsa si è paventata la possibilità, o meglio la speranza, che questa emergenza sanitaria potesse creare una sorta di seconda occasione per il mercato immobiliare dell’Oltrepò Pavese: un treno da prendere al volo, sfruttando la grande offerta di immobili disabitati o inutilizzati disseminati su tutto il territorio. Una “carta degli imprevisti” che potrebbe dare anche una seconda possibilità alla cittadina di Salice Terme, nobile decaduta che da una quindicina d’anni soffre della carenza di servizi causata dal fallimento dei noti stabilimenti termali. Proprio in questi giorni si sono verificati due eventi che potrebbero ulteriormente facilitarne il rilancio immobiliare: l’inaugurazione della tratta finale della ciclabile Voghera-Varzi, ma soprattutto l’acquisizione all’asta del Nuovo Hotel Terme da parte del patron delle Terme di Saturnia e Chianciano. Una ventata di speranza anche in vista della prossima asta fallimentare, che riguarderà gli stabilimenti termali e i numerosissimi immobili ad esso collegati. Per quanto riguarda il settore immobiliare, abbiamo intervistato Alberto Dieci, titolare dell’omonimo studio immobiliare, che da quasi trent’anni si occupa di questo settore, chiedendogli un’analisi del mercato attuale e una previsione sugli scenari futuri. Alberto, com’è l’andamento del mercato immobiliare a Salice Terme? «Da alcuni anni anche il mercato degli affitti ha subito un forte arresto, influenzato soprattutto dal fallimento delle Terme. Non essendoci più questo servizio è venuto meno anche l’interesse di chi soggiornava per i classici quindici giorni di cure termali. La crisi turistica è anche tangibile osservando i vari hotel di Salice attualmente chiusi. Ma nell’ultimo periodo la situazione, soprattutto riguardo gli affitti, sembra in fase di miglioramento». Negli anni d’oro Salice Terme registrava valutazioni molto elevate. Oggi la situazione sembra essere notevolmente differente… «Fortunatamente io non ho mai smesso di lavorare, soprattutto con le vendite, che è il mercato che crea più indotto per questo tipo attività. I prezzi sono assolutamente bassi, ma non mi sento di dare un giudizio né positivo, né negativo. Il mercato funziona, nonostante l’interessamento sia molto inferiore rispetto ad alcuni anni fa. L’ultimo “periodo d’oro” di Salice Terme si è verificato tra il 2005 e il 2006, quando si riuscivano a vendere portici e fienili, allo stato di ruderi da ristrutturare, a cifre pari a centinaia di migliaia di euro: c’era una domanda talmente forte che tutto andava bene. C’è comunque da ammettere che quella era “una bolla”, le cifre erano troppo elevate e discostate da quelle di

«Sceglie Salice chi vuole venire a Salice, non perché c’è una proposta turistica o ci sono determinati servizi» mercato». Quindi su quali cifre al metro quadro si è stabilizzato il mercato immobiliare di Salice? «Questa è una domanda a cui è molto difficile rispondere con precisione. Utilizzando la banca dati dell’Agenzia delle Entrate è possibile valutare un valore medio per ogni singolo immobile, attraverso i valori OMI. Va sottolineato che attualmente non rispecchiano assolutamente il valore reale dell’andamento del mercato, non tengono conto di vari fattori che al momento riguardano Salice. Oggi un appartamento può valere 700\800 euro al metro quadro, quando nuovo, quindici\venti anni fa, poteva valerne duemila: e oggi il nuovo, a Salice Terme, non esiste. Quindi tra i singoli prezzi c’è un divario quasi incolmabile. Un prezzo di mercato vero e proprio non esiste: ad ogni singolo immobile viene applicato un parametro per potergli attribuire un valore». Qual è la tipologia di acquirenti\affittuari che oggi si trasferiscono a Salice Terme? Si tratta di giovani o anziani? «La zona vive ancora del nome e della fama creatosi negli anni d’oro, nonostante oggi ci siano quasi solamente attività serali. Sceglie Salice chi vuole venire a Salice, non perché c’è una proposta turistica o ci sono determinati servizi. La maggior parte dei giovani che conoscono il paese per la vita notturna, non hanno ancora le possibilità economiche per poter investire. Viviamo ancora sugli allori dei bei tempi che furono, per questo l’età di chi è interessato a trasferirsi a Salice è medio-alta, nonostante i servizi offerti non sia più gli stessi». Si cerca di investire ancora sulla seconda casa oppure c’è chi tende a trasferirsi in pianta stabile? «Il mercato ormai è orientato quasi esclusivamente per l’acquisto della prima casa, ma a livello nazionale. Chi si trasferisce a Salice lo fa acquistando quelle che erano le seconde, o terze, case delle famiglie benestanti del vogherese e del milanese.

Questo gli permette di essere residente e di poter vivere in una località turistica, che in un futuro avrà certamente ancora tanto da offrire». Nella vicina Rivanazzano, invece, la situazione è diversa? Sebbene siano due comuni confinanti c’è una diversità di domanda? «Su Rivanazzano il discorso è diverso. Innanzitutto, la differenza è territoriale: non dimentichiamoci che Rivanazzano è attraversata da una statale, e ha un’estensione che arriva a prendersi una fetta di Salice. Poi bisogna considerare che si tratta di un paese con una matrice più residenziale, adatto alle famiglie che vi si vogliono trasferire». Parlando più in generale, in Oltrepò Pavese, come sta andando il mercato? Il tanto sperato “boom” di richieste causate dalla pandemia si è verificato? «Non mi sento di parlare dell’Oltrepò Pavese in generale, dato che il mio mercato è principalmente concentrato in questa zona. Posso solo dire che nel periodo del primo lockdown sono stato tartassato di telefonate di persone che cercavano soluzioni in affitto. Le case degli anni ’70 e ’80, sia di Salice che di tutto l’Oltrepò, sono tornate in auge e riaperte sia dai proprietari, che hanno deciso di lasciare la prima casa in città trasferendosi provvisoriamente in collina, sia da nuovi affittuari, che hanno scelto di trasferirsi per un breve periodo pagando affitti non indifferenti. Sebbene non sia stato un bel periodo, è stato bello rivedere queste case piene di vita». Teme che questa sia un’ennesima “bolla” destinata a scoppiare appena sarà finita l’emergenza sanitaria? «No, nella maniera più assoluta. Soprattutto a Salice viste le ultime notizie». Per l’appunto, l’acquisto all’asta del Nuovo Hotel terme da parte del patron delle Terme di Saturnia e Chianciano lo vede come un segnale di ripartenza? «Sono di natura un’ottimista: ritengo che l’acquisizione del Nuovo Hotel Terme da parte di questo investitore sia un’ot-

Alberto Dieci, titolare da quasi 30 anni dell’omonimo Studio Immobiliare di Salice Terme

tima notizia. Si tratta di un gruppo che certamente ha le risorse economiche e le capacità manageriali per poter rilanciare questa attività. Sicuramente l’acquisizione del Nuovo Hotel Terme è collegata ad una possibile offerta per l’asta relativa al complesso delle Terme. A Salice ormai siamo abituati a dare spazio agli entusiasmi quando si parla dell’acquisizione delle Terme, soprattutto dopo le ultime gestioni disastrose: quindi, in quest’occasione dobbiamo cercare di essere positivi. Spero che una prossima riapertura delle Terme possa riportare a Salice quella clientela ormai scomparsa, non più quella del “mordi e fuggi”, orientata solo a frequentare la località per il gelato, la pizza o l’aperitivo». Da poco è stata completata la tratta della ciclabile che fa tappa a Salice e mette in collegamento Voghera con Varzi. Secondo lei, questa nuova “attrazione” riuscirà, magari solo in parte, a fare da volano per il rilancio del turismo nella vallata? «La greenway, a mio avviso, è una trovata molto apprezzata e apprezzabile. Soprattutto in chiave di una riqualificazione del territorio stesso, dotandolo di una struttura in auge ormai ovunque. La vedo come una cosa certamente positiva, anche se non è ovviamente possibile valutarne il ritorno turistico nel breve termine. È un valore aggiunto per il territorio, dotandolo di un ammodernamento che sembra quasi capitare a cappello con l’operazione delle Terme. Speriamo bene». di Manuele Riccardi


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varzi

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Giuliana ed Elena, le due amiche che hanno “gallinizzato” l’Oltrepò Sono il fenomeno del momento: galline di pezza colorate, allegre, simpatiche e un po’ insolenti. Realizzate con materiale di riciclo e cucite a mano, inizialmente dedicate alle persone che vivono in Valle Staffora, con nomi rigorosamente in dialetto varzese, oggi “Ar galèn ad Vors”, messe in bella mostra nelle vetrine di alcune delle attività di Varzi e dei paesi vicini, portate nei furgoni di panettieri itineranti, sulle scrivanie di sindaci, nei camion dei vigili del fuoco e in bicicletta al Giro d’Italia, sono diventate uno strumento originale per far conoscere Varzi e l’Oltrepò. Le foto scattate vicino agli angoli più suggestivi di Varzi e poi pubblicate, hanno ricevuto moltissime visualizzazioni, tant’è che si parla di “gallinizzazione” dell’Oltrepò, termine che Giuliana ed Elena, coloro che le galline le hanno inventate, hanno coniato. Ma chi sono Giuliana Bianchi ed Elena Bortolotti le due varzesi che loro malgrado “sono inciampate” in un successo così inaspettato? Giuliana ed Elena. Raccontateci un po’ di voi, prima di essere “quelle der Galen ed Vors” chi siete, cosa fate nella vita e come è nata la vostra amicizia? «Siamo amiche da tantissimo tempo, non ci siamo sempre frequentate, ma da quando abbiamo lavorato assieme negli ultimi anni la nostra amicizia è tornata “attiva”. Durante la nostra vita abbiamo fatto tanti lavori, ma purtroppo ora siamo a casa, disoccupate». Come è nata l’idea e perché proprio l’utilizzo delle galline? «L’idea delle galline è nata per caso, amiamo gli animali e le galline sono simpaticissime, utili e perchè no, belle... non è vero come diceva una canzone di Cochi e Renato che “la gallina non è un animale intelligente…”. Proviamo noi a fare le uova...!. Le nostre galline sono piramidali, colorate, insolenti, con gambette lunghe e magre; a volte ci chiedono a cosa servono... Beh “servono” a strappare un sorriso, a mettere colore in giornate tristi e in questi periodi è merce rara». Da quanto tempo, prima di raggiungere questa notorietà, avete lavorato al progetto? è nato tutto un po’ per caso come spesso capita o è stato un progetto pensato e studiato? «Non siamo partite da un progetto, è nato tutto per caso a inizio anno... sono piaciute subito soprattutto quelle “personalizzate” crediamo per il senso di appartenenza al territorio, infatti le nostre pagine social presentano le galline con una frase in varzese a volte incomprensibile per i non residenti (tradotte scrupolosamente da due signore grandi conoscitrici della lingua varzese che sono state, loro malgrado coinvolte!); secondo noi le persone si sono sentite parte di una comunità, si sono sentite osservate, studiate nelle loro caratteristiche fisiche,

Giuliana Bianchi

Elena Bortolotti

nelle loro professioni, nelle loro passioni o cariche sociali». Come avviene e con che tempi la realizzazione di quelle che sono ormai diventate le mascotte di Varzi? «I tempi di realizzazione sono solitamente intorno alla settimana, dipende dalla ricerca di stoffe e materiali. Solitamente è tutta roba di riciclo, bottoni, passamaneria, ciondoli, vecchi ritagli di stoffe trovate nei cassetti... qualche massaia ci ha rifornito di materiale che ha accumulato negli anni a cui è stata data una seconda vita». Vi siete fatte conoscere ed apprezzare non solo in quel di Varzi, ma in tutto l’Oltrepò. Come è avvenuta questa notorietà e soprattutto ve lo aspettavate? «La notorietà è venuta tramite il passaparola: varzesi che regalano ad amici, parenti, colleghi fuori Varzi le galline, hanno fatto sì che er galèn arrivassero un po’ in tutto l’Oltrepò, amiche “speciali” ci hanno spinto con i loro amici, i vari commercianti hanno messo la loro gallina in vetrina e le pagine social hanno fatto il resto... mai avremmo pensato ad una cosa simile. Un ringraziamento doveroso a tutti i cittadini che hanno ordinato e voluto la loro gallina». Il vostro è un lavoro a tutti gli effetti o rimane un piacevole passatempo? «Purtroppo tutto ciò non ci consente di campare e quindi, a malincuore, questo rimarrà un piacevole hobby». Dove si possono acquistare e a che prezzo? «Le galline si possono ordinare tramite contatto sulle pagine social facebook/instagram er galen ed Vors oppure alla mail giulianaelena304@gmail.com. I prezzi sono davvero contenuti, vanno dai 6 euro ai 15». Le vostre galline piacciono, c’è anche chi, ad esempio ve le ha commissionate per festeggiare particolari ricorrenze. Quali sono le galline più stravaganti che vi sono state chieste?

«Abbiamo confezionato galline che sono state usate come bomboniere per diverse cerimonie religiose (comunioni, battesimi, matrimoni) e anche per eventi tipo festa di laurea con confetti rossi, come segnaposti per cene aziendali, come “numeratavoli” in ristoranti, come accessori per borse da bimbe in abbinamento a bouquet di fiori e come accompagnamento ad un anello di fidanzamento! Insomma non c’è limite alla forza delle nostre galline!». Dalla gallina interista donata al sindaco Palli, a quelle realizzate per il Giro d’Italia, passando per la gallina dei vigili del fuoco. dove vedremo le prossime galline? «Sapere che il sindaco Palli è il nostro primo fan ci riempie d’orgoglio e certamente non lo avremmo mai pensato. Tra le nostre creazioni più originali una coppia di sposini, una gallina giramondo che è stata fotografata ovunque in Sicilia, soprattutto nei ristoranti, poi abbiamo “gallinizzato” tutti gli impiegati della Comunità Montana, tanti pizzaioli, panettieri, dottori, parrucchieri, avvocati, contadini, ballerine, ciclisti, musicisti, tifosi di varie squadre, baristi, gattare, cowboys .... e poi, per ultime sono nate le Stafforelle, le gallinette summer edition in bikini, infradito ed occhiali da sole che si rilassano prendendo il sole e facendo bagni in Staffora! Oggi stiamo lavorando per creare una vera e propria mascotte del nostro paese che riprenda le caratteristiche del territorio, ci sarà anche in versione calamita in modo da poter essere regalata anche dai turisti che vengono in visita qui e si chiamerà Salamina. Indovinate un po’perché?». Solo galline o la vostra produzione comprende anche altre tipologie di manufatto? «Per ora ci siamo limitate alle galline, facciamo anche altri manufatti ma al di fuori del progetto galline di Varzi». Il vostro legame con Varzi è innegabile raccontatecelo un po’, a modo vostro

«Siamo innegabilmente legate ed innamorate di Varzi che è il paese piu’ bello del mondo! Ci piacerebbe molto vedere tornare Varzi agli antichi splendori, siamo fiduciose in una ripresa dopo il periodo covid...Tanta gente sta tornando ad aprire le seconde case, a popolare paesini, a vivere le nostre colline... la greenway è un buon vettore per far conoscere l’alto Oltrepò per quello che è; un ottimo connubio tra ambiente, cultura, buon cibo e tradizioni». Il vostro è un modo originale per far parlare di Varzi. A voi che avete avuto l’idea chiedo cosa ci vorrebbe in quel di Varzi che oggi non c’è e che potrebbe seguendo il vostro esempio portare un po’ di notorietà? «Se le galline anche in piccola parte hanno contribuito a far parlare di Varzi , noi ne siamo felici. Sveliamo anche una piccola curiosità, un’emittente televisiva ci ha intervistate chiedendoci come delle galline di pezza possano far parlare di sé così tanto, abbiamo spiegato che siamo galline di montagna, tenaci, che si rialzano quando cadono. Siamo in un cuneo tra 4 Regioni, abbiamo assorbito un po’ da tutte: l’amore per la tavola, il carattere burbero, l’ingegno e l’essere arcigni… A voi lettori decidere a che regioni assegnare le varie caratteristiche!».

Il sindaco Palli con la “galèna” interista

La Stafforella, ultima creazione di Giuliana ed Elena

Idee e progetti futuri? «Idee e progetti a parte quelli già citati per ora non li sveliamo... godiamoci questo caldo e, quando arriverà l’autunno si vedrà». di Silvia Colombini


Cheap but chic: PIATTI GOLOSI E D’IMMAGINE CON I PRODOTTI DELL’OLTREPò

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“A San Luis us mangia ra turta ed ris” recita il dialetto varzese di Gabriella Draghi C’è un detto della tradizione popolare varzese che recita: “A SAN LUIS US MANGIA RA TURTA ED RIS”( A San Luigi si mangia la torta di riso). In passato infatti era usanza preparare questa torta di riso salata per la ricorrenza in alta Valle Staffora. Ma molti di voi si chiederanno come mai il riso, tipico delle zone di pianura, fosse l’ingrediente base di una ricetta della tradizione contadina di montagna. Dobbiamo tornare indietro nel tempo, alla fine dell’ottocento quando uno dei principali lavori svolti nelle risaie lomelline era quello della mondina, colei che aveva il compito di mondare la risaia, cioè togliere le piante infestanti e trapiantare le nuove piantine. Lavori che oggi vengono svolti da macchine agricole all’avanguardia. A quei tempi invece le ragazze passavano ore con i piedi nell’acqua, sotto il sole indossando grandi cappelli di paglia e lunghi manicotti per proteggersi dalle punture di zanzare. Le mondine arrivavano in Lomellina da diverse regioni del nord Italia e anche dalla Valle Staffora e avevano un contratto di lavoro che prevedeva che ad ognuna di loro fosse corrisposto, oltre al salario, un chilogrammo di riso bianco di produzione locale per ogni giornata di lavoro. Per cui, ogni ragazza portava a casa circa 40 kg di riso che veniva poi utilizzato in famiglia e distribuito nella zona in cui viveva. Dobbiamo poi aggiungere che la torta di riso salata è anche molto diffusa in regioni a noi limitrofe quali la Liguria, il Piemonte e l’Emilia Romagna con un’infinità di varianti, ogni famiglia, si può dire, avesse la sua versione.

La versione che vi propongo mi è stata gentilmente fornita dalla mia amica Chiara di Varzi che l’ha recuperata da un’antica ricetta della tradizione. Gli ingredienti sono gli stessi ma ho deciso di realizzarla in monoporzione che è molto adatta anche ad un pranzo o una cena estiva in giardino. Come si prepara Iniziamo dalla pasta. Versiamo la farina in una ciotola, aggiungiamo l’olio e il sale e versiamo l’acqua tiepida. Amalgamiamo bene tutti gli ingredienti fino ad ottenere un panetto morbido che avvolgeremo nella pellicola e lasceremo riposare per circa mezz’ora a temperatura ambiente. Veniamo ora al ripieno. In un recipiente versiamo latte e acqua, aggiungiamo un pizzico di sale e portiamo sul fuoco.

Aggiungiamo il riso e cuociamo per circa 10 minuti. Togliamo dal fuoco e aggiungiamo subito il burro ed il grana e mescoliamo bene. Lasciamo intiepidire e poi aggiungiamo l’uovo e i tuorli ed infine la noce moscata grattugiata a piacere. Aggiustiamo di sale. Prendiamo ora la pasta e la tiriamo molto sottile con il mattarello sulla spianatoia. Ricaviamo 12 dischetti della dimensione di 6 stampini del diametro di 12 cm. Mettiamo la prima sfoglia negli stampini imburrati e infarinati avendo cura di tenere i bordi rialzati. Versiamo una buona quantità di riso, livelliamo con un cucchiaio e copriamo con l’altra sfoglia saldando bene i bordi. Punzecchiamo leggermente con una forchetta e inforniamo a forno caldo a 170

TORTA DI RISO SALATA CON SALSA ALLE ZUCCHINE INGREDIENTI: Per la pasta: 250 g di farina 00 2 cucchiai d’olio 1,2 dl di acqua tiepida un pizzico di sale Per il ripieno: 250 g di riso mezzo litro di latte 1 bicchiere di acqua 100 g di burro 4 cucchiai di grana grattugiato 1 uovo intero e 2 tuorli sale noce moscata grattugiata per la salsa: 2 zucchine piccole e giovani un ciuffetto di basilico 2 cucchiai di olio extravergine d’oliva sale gradi per cica 30 minuti. Passiamo ora alla salsa. Lessiamo le zucchine tagliate a fette e, una volta cotte, le scoliamo e le mettiamo nel bicchiere del frullatore, aggiungiamo il basilico spezzettato, l’olio e il sale e frulliamo. La nostra salsa è pronta e non ci resta che impiattare. Stendiamo sul piatto 2 cucchiai di salsa, appoggiamo il nostro tortino e serviamo. You Tube Channel & Facebook page “Cheap but chic”.


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brallo Di pregola

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«L’Oltrepò ha bisogno di ogni forma di turismo, al Brallo c’è posto per tutti, enduristi ed escursionisti» La stagione turistica estiva in Oltrepò Pavese sembra promettere bene. Alberghi, ristoranti ed attività commerciali sembrano aver – dopo mesi drammatici – ripreso a lavorare a pieno ritmo. Molti stanno avendo addirittura difficoltà a reperire personale qualificato per soddisfare la clientela numerosa. Ma si sa che il detto “son tutte rose e fiori” nasconde sempre qualche spina ed ecco che puntuale come troppo spesso accade, emergono le polemiche innescate dalla manifestazione più importante che si terrà in Oltrepò quest’anno: la Sei Giorni Internazionale di Enduro, una vera e propria – così è definita – olimpiade dell’enduro. Molte proteste, anche accese ed alcune al limite del buon senso si sono levate contro questa manifestazione e contro lo sport dell’enduro. Parliamo di questo ma anche di turismo “lento” e di turismo “veloce” con Andrea Maruffi – appassionato di enduro con un passato nei motoclub locali e consigliere di minoranza del Brallo di Pregola – Comune che vanta una lunga tradizione di appassionati del motorport e che al contempo si pone come meta per il riscoperto turismo green. Andrea, il Brallo e l’alta Valle Staffora più in generale, sono meta privilegiata sia per chi pratica turismo “lento” sia per chi ama il turismo “veloce”. Da una parte dunque un turismo green dall’altra i motori. A suo giudizio è possibile far convivere, al Brallo e nell’alto Oltrepò entrambe le tipologie di turismo? In che modo concretamente? «Secondo me l’Oltrepò ha bisogno di ogni forma di turismo, qualunque esso sia. Al Brallo sono tutti ben accetti, dai camminatori che hanno a loro disposizione chilometri di sentieri in mezzo a boschi incontaminati e con una flora e fauna da fare invidia al Trentino. Se si passeggia verso l’imbrunire ci si può imbattere in gruppi di cerbiatti, famigliole di cinghiali, tassi, volpi, lepri e anche in qualche lupo che, e voglio rassicurare gli escursionisti, alla vista dell’uomo scappa a zampe levate. Ora si possono affittare anche le E-bike presso le due strutture ricettive del territorio e abbiamo appena installato una colonnina per la ricarica e la manutenzione fai da te per questo tipo di biciclette. Insomma questo per dire che ci stiamo aprendo al futuro e al turismo green. Di contro, anche per chi ama il turismo “veloce” non mancano di certo gli spazi per praticarlo. So già che qualcuno storcerà il naso ma l’enduro per noi al Brallo è una risorsa e non da poco! Che siate “lenti” o “veloci” il Brallo c’è e vi aspetta a braccia aperte nel suo vestito migliore. Sono sicuro che facendo leva sull’educazione, sul senso civico e sul rispetto delle regole, la convivenza sarà una “cosa” scontata, non attacchiamoci al maleducato di turno,

Andrea Maruffi, appassionato di enduro e consigliere di minoranza del Brallo

che esiste ma è un’eccezione, per puntare il dito, guardiamo avanti a chi cerca di costruire a 360 gradi». Spesso si sentono pronunciare le solite frasi di circostanza del tipo che “con il rispetto reciproco è possibile far convivere chi fa trekking con l’endurista…”. Ritiene che basta il rispetto delle regole per “andare d’accordo” o c’è alla base una sorta di antipatia reciproca tra le due tipologie di turisti? «Ritengo sia davvero controproducente per tutti avere asti o antipatie per chi pratica uno sport, diverso e agli antipodi dal proprio, abbiamo la fortuna di vivere in posti che offrono spazi a tutti e a tutto. È logico qualche regola va data, diversamente sarebbe il caos. So che la Comunità Montana insieme al sindaco di Varzi Giovanni Palli si sta muovendo proprio per riuscire a trovare la miglior soluzione per tutti. Forse siamo stati tutti un po’ troppo polemici, il “vivi e lascia vivere” dovrebbe essere il motto dell’Oltrepò. Qui al Brallo se non ci fossero le moto da enduro molti sentieri impervi sarebbero chiusi già da anni ma non per questo le moto devono farla da padrone. Se io sono in giro con la moto da enduro e incontro dei camminatori è procedura alzare un braccio in modo che tutti rallentino e proseguano a passo d’uomo o si fermino per far passare le persone a piedi, che hanno sempre la precedenza. E se dà fastidio un po’ di rumore e un po’ di gas di scarico, rispondo che per arrivare al Brallo anche i turisti più green utilizzano l’auto, pertanto loro malgrado hanno inquinato. Il buon senso dice di non puntare sempre ed a priori il dito nascondendosi dietro il motto “Io cammino e sono meglio di loro che inquinano”, e viceversa, chi va in moto non deve sentirsi il padrone della

strada. Non credo ci sia antipatia ma piuttosto una sorta di timore e di incomprensione verso chi fa qualcosa di diverso da quello che noi amiamo praticare, che sia camminare, andare in bici o in moto». Lei che è molto attivo nella vita sociale del suo Comune e si occupa concretamente e fattivamente del territorio, osservando le due tipologie di turisti che frequentano il Brallo, quali sono le differenze sostanziali che ha colto tra i fans del turismo “lento” e quelli del turismo “veloce”? «Non penso ci siano differenze sostanziali tra chi è “lento” e chi è “veloce” in termini di passione, credo invece che le differenze maggiori riguardino il come si vive il proprio sport. Il camminatore arriva al Brallo, beve un caffè, dà una controllata alla mappa con il percorso che intende visitare e parte con il suo zaino in spalla. Il suo approccio con l’ambiente circostante è di tipo “interiore”, cerca l’esclusivo contatto con la natura e a fine giornata gli scorci che ha potuto vedere e il panorama mozzafiato lo ripagheranno della faticosa camminata. Chi invece arriva al Brallo con la moto da enduro va a cercare le mulattiere più impervie dove mette alla prova la sua abilità nel superare mille ostacoli: pietraie, tronchi in mezzo ai sentieri e mille altre insidie con l’adrenalina a mille. A fine giornata però anche l’endurista come il camminatore si porterà il ricordo degli scorci che la natura ha offerto durante la giornata e del panorama ineguagliabile. Quindi, escursionisti ed enduristi qualcosa in comune hanno». A suo giudizio da sportivo e appassionato di enduro, ma anche da consigliere comunale e infine come cittadino del Brallo, quale delle due tipologie di turismo portano nell’immediato e nel medio lungo termine le maggiori ricadute economiche nel territorio a livello di attrattività e di incassi per le attività? «Partiamo dicendo che il turismo “lento” ha avuto un aumento esponenziale in questo ultimo anno e mezzo, il non poter uscire dalla regione per le leggi anti Covid ha certamente fatto riscoprire a molti pavesi, vogheresi e oltrepadani in genere, il Brallo e la Valle Staffora. Ci siamo accorti di avere posti dove poter camminare o andare in bici ad un passo da casa, posti che prima “snobbavamo” e che invece abbiamo riscoperto e rivalutato. Non eravamo totalmente pronti ad accogliere in modo adeguato questa tipologia di turista, ci stiamo lavorando, per cercare di dare maggior servizi possibili, ad esempio abbiamo in cantiere un progetto di racchiudere e digitalizzare tutta la nostra rete sentieristica in un applicazione scaricabile tramite bar code che sarà presente su di ogni vetrina dei nostri commercianti, negli alberghi, nei bar e nei ristoranti. Siamo un attimo in ritardo

ma cercheremo di recuperare al più presto. Al contrario gli enduristi, diciamoci la verità, sono di casa al Brallo da tantissimi anni e hanno creato una rete di introiti non indifferente per i nostri alberghi, ristoranti e bar. In piazza a Brallo e non solo, dalle 12.00 alle 14.00 ogni esercente della ristorazione ha le sue moto posteggiate e i suoi motociclisti con le gambe sotto il tavolo. E questo sempre non solo in primavera o in estate, tutti i mesi dell’anno. È inutile nascondersi: le moto in termini economici portano molto, ora sta a noi riuscire a sviluppare allo stesso modo il turismo “lento” che a lungo andare penso sarà la risorsa trainante del turismo in generale». “Le mele marce”, intese come maleducati e irrispettosi esistono in tutto il mondo e non hanno un colore di appartenenza. Fatta questa premessa, l’accusa che spesso viene mossa a chi pratica motorsport e nello specifico agli enduristi è che distruggono la natura, recando gravi danni ai sentieri, alla fauna ed alla flora locale. Cosa si sente di rispondere a queste accuse? «Indubbiamente l’enduro non è uno sport a bassissimo impatto ambientale, ma con piccole accortezze, come ad esempio il montare le gomme green che sono le uniche ammesse perché hanno pochi tacchetti e quindi non arano il terreno e il non praticarlo quando piove o è appena piovuto, si riduce di molto l’impatto ambientale. Inoltre spesso chi pratica enduro lo fa su sentieri che per lo più vengono aperti appositamente e che diversamente sarebbero chiusi, la flora al Brallo se non viene “tenuta a bada” tende anche a chiudere le strade comunali e questo non è un bene. Quando nevica le piante occludono persino la provinciale e in quanto alla fauna ogni anno c’è sempre da monitorare la proliferazione, perché siamo invasi da cerbiatti, cinghiali e quant’altro, quindi mi sembra che non siano così disturbati dal passaggio di qualche moto. Doveroso chiedere scusa se per colpa di qualche maleducato che scredita l’intera categoria di enduristi, ci siamo trovati in qualche circostanza ad essere in torto, però voglio anche ricordare che questo inverno si sono perse due escursioniste e se non fosse stato per i quad che sono riusciti a raggiungerle sotto la cima del Lesima, forse una giornata di svago si sarebbe trasformata in una tragedia. Insomma non tutto il male viene per nuocere». Per gli amanti del turismo “lento” il Brallo e l’Oltrepò non sono territori vocati alla pratica del motorsport. Cosa può ribattere a questo pensiero? «Io penso che l’intero Oltrepò debba ancora capire per cosa sia realmente vocato e che strada debba prendere, perché per il momento stiamo vivacchiando su antichi


BRALLO DI PREGOLA fasti, oramai passati. Sono finiti gli anni delle vasche in via Emilia a Voghera o di quando Salice Terme era la capitale turistica dell’Oltrepò, è ora di ripartire e anche alla svelta, bisogna rimboccarsi le maniche, testa bassa e poche polemiche. Fino a pochi anni fa, quando di gente in Oltrepò ce ne era e tanta, non mi ricordo di polemiche su moto, camminatori, biciclette, cavalli, tutto funzionava a meraviglia e l’economia girava come un’elica. Ora polemizziamo su tutto, perdendo solo tempo prezioso». Sui media e sui social, soprattutto nell’ultimo periodo, sono nate quelle che si possono definire delle frange “talebane” ed estremiste che inneggiano una tipologia di turismo denigrando l’altra. Al di là di questi gruppi definiti dai più al limite del fanatismo, lei ed altri come lei, avete avuto modo di confrontarvi in maniera logica, razionale e civile con qualcuno che la pensa diversamente da voi sul turismo e se sì con chi? Quali punti di accordo avete trovato? «La ringrazio per questa domanda perché almeno posso chiarire che alcuni gruppi apparsi ultimamente sui social sono fake, uno su tutti il “il Brallo vuole solo le moto da Enduro”. Sappiamo chi c’è dietro e posso solo dire che uno stolto rimarrà sempre uno stolto. Ribadisco il Brallo è aperto a tutti e vi aspettiamo a braccia aperte. Non mi curo troppo delle polemiche via social, criticare senza dare soluzioni è troppo facile, spesso chi fa polemica via social è solo in cerca di un minuto da protagonista, nulla di più. Bisogna essere costruttivi e non distruttivi, andiamo oltre, andiamo avanti e da un’opinione contraria cerchiamo di prendere spunto per un confronto sensato». Al Brallo e in alta valle Staffora – prima ancora dell’annuncio dello svolgimento della Sei Giorni in Oltrepò – si sono sempre organizzate gare di motorsport ed di enduro. Perché al contrario, secondo lei, non si organizzano manifestazioni ed eventi a carattere ludico o sportivo inerenti al turismo “lento”?

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Mancanza di idee? Di partecipanti? Di organizzatori? «Come già detto prima con il turismo “lento” siamo un po’ in ritardo, ma vi garantisco che con il gruppo di cui faccio parte abbiamo molti progetti per approcciarci in maniera più adeguata al turismo green. Speriamo che dal mese di ottobre possiamo dimostrare cosa valiamo, cosa e quanto abbiamo voglia di fare». I cittadini del Brallo, concettualmente, sono più “vicini” al turismo “lento” o a quello “veloce”? Per quale ragione preferiscono uno e non l’altro? «I cittadini di Brallo sono persone meravigliose e sempre pronte ad iniziative di qualsiasi genere, però non vanno presi in giro quando organizzamo una gara di Enduro. Tutti si danno una mano, aiutandosi o lasciando passare gli enduristi in proprietà private, a patto che finita la gara si effettuino i ripristini delle strade usate. Speriamo che oltre alle gare di enduro vengano organizzate gare podistiche o di biciclette, noi vi aspettiamo tutti. Lo so che faccio pubblicità al mio amato Comune, però vi giuro abbiamo veramente bisogno di tutto e tutti. Qui si lavora tanto ma solo in estate e l’estate è corta mentre l’inverno e lungo, troppo». Parafrasando le battute che emergono sui social che sostanzialmente dicono “chi fa motorpost viene, esercita la sua passione, si ferma a mangiare nei bar e nei ristoranti della zona, al contrario chi fa camminate, escursioni o trekking, terminata l’attività beve nella borraccia che si è portato da casa e mangia uno snack leggero che tira fuori dallo zainetto”. Secondo lei questa analisi corrisponde al vero o è un’esagerazione? «Chi va in moto è logico che crea più indotto economico rispetto a chi cammina o va in bicicletta. In moto fatico ma a mezzogiorno metto le gambe sotto il tavolo e poi riparto. Se faccio un’escursione in bici o a piedi e mi sono prefissato di fare un certo giro sicuramente non potrò fermarmi a mangiare un primo e un secondo per-

«Alcuni gruppi apparsi ultimamente sui social sono fake, uno su tutti il “il Brallo vuole solo le moto da Enduro”» ché se no poi non riparto più. Sta a noi del Comune di Brallo organizzare eventi che coinvolgano il camminatore e il ciclista magari a pernottare e a cenare nelle nostre strutture. Non esiste un turismo di serie A e uno di serie B». C’è chi dice che la 6 Giorni darà un’ immagine dell’Oltrepò pavese non adeguata e che porterà ricadute pessime per il turismo dei prossimi anni. Lei cosa ne pensa di tale affermazione? «A parere mio personale la Sei Giorni – evento ricordiamo mondiale – sarà una vetrina internazionale per l’intero Oltrepò e qui mi sento di dare un consiglio a chi produce eccellenze del territorio, penso ai nostri prodotti più rappresentativi, il vino ed il salame, di sfruttare questa occasione perché forse non ce ne saranno altre di rilievo così indiscusso. Troppe persone male informate stanno dicendo e scrivendo troppe cavolate sulla Sei Giorni, alimentando falsi allarmismi e frange estremiste. È una gara internazionale, tipo mondiali di calcio e sono presenti quasi tutti gli Stati con i loro piloti, insomma un evento trainante per l’Oltrepò che porterà moltissima gente e dopo il COVID sarà manna per i nostri alberghi, bar e ristoranti e per il commercio in generale. Capisco che ad alcuni non vada a genio però probabilmente sarebbe opportuno prima di dire no a priori sapere che è un evento serio, organizzato in modo serio o non da improvvisatori. Il percorso è stato studiato in modo da non

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provocare eccessivi danni alla flora e alla fauna, non passerà nelle vigne come molti hanno denunciato e se passerà in terreni privati lo si farà perché viene pagato un affitto al proprietario. State tranquilli perché prima dell’ inizio della gara verranno versate cauzioni a cinque zeri per eseguire i ripristini a fine gara! Scusate la franchezza, io amo l’Oltrepò e lo trovo un posto bellissimo, ma la Sei Giorni si è svolta nel 2013 in Sardegna e prima ancora all’Isola d’Elba e non mi sembra che queste due isole abbiano un patrimonio naturalistico o faunistico minore dell’Oltrepò… anzi, stiamo parlando di due tra i più belli e suggestivi luoghi d’Italia, ma lì nessuna polemica, anzi. Non è che a far polemiche si cerca di mascherare la nostra incapacità a fare quel tanto sospirato salto di qualità che non arriva mai in tutti i settori?». Per far convivere il turismo “lento” con quello “veloce” sono necessarie regole chiare e che tutti devono volenti o nolenti seguire. Le regole attuali sono sufficienti a suo giudizio per una convivenza pacifica? «Penso che tutti i vari tipi di turismo debbano convivere in totale armonia, però alcune regole ci vogliono e per stabilire delle regole ci vogliono le persone preposte per farlo. In questo ho totale fiducia nel sindaco di Varzi Giovanni Palli che so che si sta dando da fare per venire a capo di una situazione complessa e per risolverla nel migliore dei modi. Palli è riuscito a riunire ad un tavolo Lega Ambiente ed i Motoclub, da loro devono partire le regole, sono loro che devono parlare e confrontarsi non noi o le inutili stupidaggini e polemiche che proliferano sui social. Io sogno un Oltrepò forte, compatto e unito e finalmente c’è un politico che ci può far fare questo salto di qualità che aspettiamo da tempo. Ma se continuiamo a fare polemiche su tutto, rimarremo quel poco che siamo diventati». di Silvia Colombini


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C’ERA UNA VOLTA L’OLTREPò

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Äl Gärsunê, giovane garzone L’aria sulla stradina che da Poggio Ferrato porta a Oramala, era fresca, pungente. Graffiava le gambette nude di Peppino e le sue guance smunte. Al termine della salita e dopo un pochetto di strada in falso piano tra i boschi, il ragazzino intravide la sagoma scura del castello di Oramala. L’alba schiariva all’orizzonte chiazzando di ombre scure la ghiaia della strada che cantava sotto i sandaletti consunti. Il bambino seguiva il passo svelto del padre or corricchiando per raggiungerlo, or seguendolo come un’ombra sobbalzando ad ogni pur piccolo rumore. Gridolini d’uccelli, rametti spezzati dalla brezza mattutina, latrati lontani nella notte o lo stesso ansimare pesante del padre, segnavano di paura il cammino che il giovanetto sapeva d’aver iniziato ma non ne conosceva la meta. Scendendo verso Varzi, la luce intensa del sole che nasceva e il vociare che si udiva lontano, lo tranquillizzavano in parte: restavano lunghe e minacciose le ombre che si stagliavano sulle stradine, sulle siepi e persino, sui primi muretti delle case lungo il percorso. Piazza della Fiera. Peppino era esterrefatto dal vociare e dallo sciamare di tanta gente, animali, carretti e ceste di frutta e dal gesticolare delle poche donne col vestito nero e le camicette fiorate o a righe. Guardava attorno quasi a tentare di capire cosa muovesse quella moltitudine di assatanati, capire le ragioni del vociare, la ragione del correre e del richiamare con urla e qualche bastonata le povere bestie che conducevano alla cavezza. Come lui, era la prima volta che uscivano dalla stalla e, come lui, stupivano di tanto trambusto senza ragione. Il tempo e i fatti avrebbero convinto lui e le bestie, che una ragione c’era nella fretta della gente e che il mercato, oltre ad essere un lieto luogo d’incontro di uomini e donne d’affari, era il triste luogo ove si consumavano violenze e soprusi su animali e giovani mandati a garzone. Le povere bestie avevano lasciato di buon mattino, stalle confortevoli, mamme e fratelli, per essere vendute al mercato. Stalle immense, maleodoranti, piene di animali sconosciuti, avrebbero atteso a giorni complicati dalle legnate della doma. Per i ragazzi come Peppino, dai sei agli otto anni, il mercato era il luogo ove si “trattava” la loro messa al servizio di “padroni” spesso violenti e arroganti. Una vera e propria contrattazione con cessione finale del ragazzino a chi offrisse le migliori condizioni non per il poveretto, ma per la famiglia da cui proveniva. Non tragga in inganno la brutalità dell’operazione o la mancanza di cuore di un genitore: era la disperazione, la fame, il numero smisurato di bocche da sfamare. Suo padre aveva sei figli e il pane per uno. Si era sposato ereditando una casupola decrepita, l’aveva sistemata e, in attesa della televisione che avrebbe distratto le sue notti, con l’attiva collaborazione di mam-

ma Maria, sfornava un pargolo ogni quattordici mesi. Il granturco era però lo stesso, il frumento pure e la magra vacchetta varzese mal alimentata, spesso produceva il latte per il vitellino e poche settimane dopo, andava in asciutta per sopravvivere. La poca farina bianca era preziosa per la pasta e quella gialla, di granturco, era primo, secondo, pietanza e companatico non solo nei due pasti canonici ma, spesso, persino alla colazione del mattino per grandi e piccini, con un pochino di latte quando c’era. A mezzodì e a cena, quando erano fortunati, una saracca sotto sale pendeva da un filo legato alla vecchia trave del soffitto. I commensali attingevano alle sue squamette un tempo lucide con un pezzo di polenta: era però vietato trattenere la saracca con l’altra mano, solo la polenta doveva sfiorare il pesce conservato, riportarne gli aromi e i gusti più nella fantasia che nella pratica, traballare sopra la tavola di legno seguita dagli sguardi concupiscenti dei presenti. Un uovo in due, un brodino di pollo se ammalati, la carne due o tre volte l’anno, qualche funghetto, molte castagne e una meletta (pum träväiê) o una pera invernale (per cävgiô). Il primo dell’anno si festeggiava con musino di maiale (müsê äd gugnê, lenticchie (lentìgia co’i fons) e l’uva conservata in un sottotiretto del comò (l’ùga däl segrét däl vistè). Vita grama, fame, pellagra e “fastidi” e figli che continuavano a nascere. La soluzione era portarli a sei anni, mandarli a scuola un anno o due e quindi, cederli a garzone. Peppino aveva frequentato la prima elementare, la seconda sino ad aprile e poi era stato avviato a una poco redditiva attività che aveva il vantaggio di non dovergli più dar da mangiare. Era robusto per i suoi sette anni e prometteva di saper lavorare bene, suo padre ottenne tre marenghi per il primo anno ed uno in più per quelli a venire, vitto e alloggio e i capelli tagliati con la scodella e un paio di forbici arrugginite. Il nuovo padrone, bontà sua, promise un paio di pantaloni a manica lunga, una camicina e un maglioncino di lana confezionato dalla nonna, ad ogni Natale. Di scarpe non se ne parlò: in inverno avrebbe usato due grandi zoccoli di legno ad uso promiscuo (suclö) e nelle altre stagioni i piedini nudi la cui pianta, presto, sarebbero diventata cuoio temprato e indistruttibile. Dopo il contratto, con il marengo ottenuto in acconto, ordinò una bottiglia da litro di vino rosso, ne offrì al piccolo che rifiutò sdegnoso, la scolò in pace, dette un buffetto sulla guancia al piccolo e una scarmigliatina ai cespugliosi capelli e, senza guardarlo, si allontanò inbucando traballante la via del ritorno. Il piccolo rimase con il padrone che, prima del ritorno, stava avidamente mangiando una trippa con fagioli. Si accorse che il ragazzino lo guardava e gli chiese: “Hai fame?” Non aveva fiato e coraggio ma rispose di sì con il capo.

Un piatto e un mestolo di legno, un pochino della trippa del padrone travasata davanti a lui e gli occhi illuminati dalla voluttà di una “cosa” nuova e gustosa. Il padrone era un ometto sulla cinquantina, piccolo brutto come la tempesta, con due cespugli sopra gli occhi, il naso grande e bitorzoluto. La bocca era piccolina e il grande mestolo che ritmicamente introduceva, segnava di sugo un mento ossuto e pronunciato. Di tanto in tanto, un rapido movimento della mano, puliva o tentava di farlo, i residui dell’ingordigia dell’uomo. Il fondo della bottiglia da litro di quello buono e un rutto gigantesco, segnarono la fine del pasto dell’omino. Si alzò di scatto, pagò, ebbe un retro sospiro di piacere e con un perentorio “dùma” (andiamo) rivolto a Peppino, prese barcollando leggermente, la via di casa. Camminarono per un’oretta, or salendo or costeggiando un torrente ricco d’acqua della primavera. Giunsero in vista di un’abitazione non grandissima ma slanciata nel cielo terso del pomeriggio. Una donna alta e dal viso buono, molto più giovane del padrone, li accolse sull’aia. I tre figli, tutte femmine, corsero incontro al papà che portava il nuovo garzone e si intenerirono nel vedere i suoi pochi anni. La padrona apostrofò il traballante marito attribuendogli le peggiori nefandezze che avesse mai udito e concludendo con “co’i ciuc äs pö mia pärlà” (con gli ubriachi non si ragiona). Salì una ripida scala di legno, entro e si trovò in un antro nero, affumicato con al centro un grande tavolaccio di legno rustico, sedie impagliate, un grande camino acceso e una stufetta a lato della stanza. Due luminose finestrelle, con tendine ricamate, nere ma ricamate, rallegravano la stamberga. Una grande porta socchiusa, lasciava intravvedere la camera da letto con due grandi pagliericci contrapposti. Il piccolo pensò di dover dormire con le ragazze ma la suadente voce della sua nuova padrona lo disilluse: “tu dormirai al piano di sotto o nel fienile o nella stalla, come vorrai, noi non ti imponiamo nulla. Si sentì mancare ma non lo diede a vedere. Mangiò una fetta di polenta pensando “anche qui polenta!”, con una grattatina di formaggio casalingo stagionato. Scese con la luce del giorno, due magre vacchette ed un vitellino erano legate alla greppia. Nella mangiatoia un poco di paglia e poca erba secca, l’odore dell’ammoniaca contenuta nei liquami, era forte, acre ed i fumi arrossavano gli occhi. Non ebbe dubbio alcuno, si accovacciò nel fienile retrostante e, con le lacrime che tentava inutilmente di vincere, si addormentò sfinito dalla stanchezza e dagli avvenimenti. A notte fonda si svegliò gelato mani e piedi e battendo i denti dal freddo. Al buio cercò riparo agli spifferi di una primavera ancora troppo fredda, nel calduccio della stalla. Al diavolo, la puzza, al diavolo gli occhi rossi, almeno si dormiva al caldo.

Nelle numerose famiglie contadine oltrepadane, esisteva la pratica di “cedere a garzone” uno o più figli in cambio di una paga, che il padrone consegnava al padre, oltre a vitto e alloggio per il figlio

Si accovacciò su una balla di paglia e riprese sonno immediatamente. La stalla divenne per lui lavoro, ricovero e pensatoio. Quando voleva pensare in pace ai suoi fratelli, alla mamma e alla sua casa, la stalla e la compagnia degli animali, erano luogo e compagni dei suoi sfoghi con o senza lacrime. Il lavoro era accudire le bestie, strigliarle, dar loro paglia e fieno secondo gli insegnamenti del padrone, preparare il secchio e lo sgabello per la mungitura. Se ne occupava la signora, sedeva sul barcollante seggiolino a tre gambe, lavava la tettarella della mucca, appoggiava la testa sul fianco della bestia che spesso non si girava neppure ed iniziava la mungitura con gesti dolci ma precisi, con il fluire del latte che prima segnava il fondo del secchio con un rumore metallico e cristallino, poi si attutiva nella bianca schiuma che increspava la superfice liquida. A volte la lunga veste della padrona intenta nella ritmica operazione di mungitura, saliva sin sopra il ginocchio e Peppino, senza darlo ad intendere, lanciava occhiate assassine al ginocchio scoperto e su, su sino al nero elastico che sorreggeva le calze. Un paio d’ore all’alba e una al tramonto erano dedicate alla stalla, il resto della giornata ora aiutava la padrona a scendere al ruscello con le cestine dei panni da lavare, ora il padrone nel bosco, nei due praticelli di proprietà o a tagliare la legna per l’inverno. Lavori massacranti per la sua età ma, tant’è, era la sua vita, il suo destino gramo e perverso. Il peggio capitava la domenica: le bestie andavano accudite ma i lavori in campagna o nel bosco, erano sospesi. Il vecchio satrapo dopo il desinare, si metteva sulle spalle una mantellina, in estate e in inverno, e scendeva all’osteria del vicino paese. Non si lavorava ma lui e le donne vivevano l’incubo del ritorno dell’uomo. Alle ore tarde della sera, compariva trabal-


C’ERA UNA VOLTA L’OLTREPò lante in fondo al vialetto di casa, ubriaco come una bertuccia ed arrabbiato con Dio e con gli uomini iniziava ad inveire contro la povera donna, le figlie che piangevano e il povero Peppino che non sapeva a che Santo votarsi. Traballando riempiva di schiaffi, di calci e di graffi chiunque fosse vicino al suo incedere precario. Cadeva, bisognava aiutarlo a rialzarsi, lo si accompagnava sulla ripida scala e finalmente, in casa. Si trascinava sul pagliericcio e, volendolo il buon Dio, si addormentava ululando nel sonno come un mantice non oliato. Sbuffi, soffi, rutti giganteschi e retro sospiri liberi, ammorbavano la stanzetta convincendo spesso la sposa “adorata” ad accoccolarsi con le figlie vicino al camino e lì trascorrere la notte. Peppino raggiungeva il fienile d’estate e la stalla nelle altre stagioni, felice di aver scampato le cinghiate che spesso si abbattevano sulle sue giovani membra, pensava, canticchiava o semplicemente rimirava la valle con le ombre della notte che si allungavano ad avvolgere tribolazioni, miseria e disperazione. Si addormentava a volte disperato, altre pensando che c’era di peggio nella vita come diceva l’ubriacone. Lui, fino in fondo non capiva, cosa ci fosse peggio della sua vita non lo immaginava, ma si sforzava di crederci, di sperarlo. Oltre al lavoro, alle botte, rare per la verità, capitava spesso quando era ubriaco, la vita si trascinava seguendo il susseguirsi delle stagioni. Erano ormai passati tre anni da quella mattina a Varzi, non era mai andato a vedere o salutare i fratellini e la mamma. Papà saliva a novembre ad intascare i tre marenghi diventati, con il passare degli anni, quattro e poi cinque. Controllava a suo dire che il bambino stesse bene, beveva una bottiglietta di vino che il mio nuovo padrone gli offriva e se ne andava. Peppino lo inseguiva di corsa per un tratto, raccomandandogli di dare un bacio a mamma ed uno ai fratellini. L’ultima domanda la gridava da lontano: “quando torno a casa?” la risposta era un laconico segno con la mano del padre, senza voltarsi, senza salutarlo. A sera, nella stalla, ricordò di non aver neppure detto che la prima delle figlie

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dell’ubriacone, nei tempi morti della giornata, gli dava lezioni sulle materie che lei aveva appreso andando regolarmente a scuola. Si lavorava molto e si mangiava poco: polenta, polenta, polenta, sembrava che il buon Dio avesse mandato sulla terra solo la polenta! Poco companatico, la solita saracca appesa al trave sopra la tavola, qualche grattatina di formaggio vaccino stagionato, un cucchiaio di funghi trifolati e, nelle grandi occasioni un pezzetto minuscolo di baccalà con una montagna di cipolle. Le varianti erano, mezzo uovo sodo, una invisibile fettina di salamino cotto o crudo, qualche minestrone lungo, lungo d’estate, patate e verze declinate in tutte le possibili varianti culinarie partorite dalla sagace mano della padrona di casa. Giornate speciali, allietate da specialissimi menù, erano Natale, Pasqua, Carnevale e il giorno del Santo Patrono: qualche giallo risotto, ravioli di stufato, polli arrosto e cacciagione allietavano le mense di quei poveretti. Specialissima poi era la festa della trebbiatura. Il padrone non coltivava frumento ma scendeva da solo a valle con la falce messoria (m’suria) per tagliare il frumento a giornata e a Varzi e dintorni, per una quindicina di giorni e a trebbiare. Durante l’assenza del padrone il ragazzo si impegnava molto nelle attività della stalla e del cortile. La Signora una sera, mentre mungeva, con noncuranza si asciugò il sudore della fronte con la lunga gonna tirata sin sopra le ginocchia. Peppino trasalì alla vista delle nude gambe della donna, ma non commentò. La donna lo chiamò e usando i lembi sollevati della gonna a mo’ di ventaglio, lo apostrofò “cosa fai, ti spaventi, non hai mai visto nulla?” Il ragazzo, turbato, scappò nel prato confuso e imbarazzato. Aveva undici anni e nessuno aveva mai accennato a questioni che non fossero di lavoro o di servizio. Il seguente pomeriggio le tre ragazze partirono su un traballante biroccio alla volta di “casa di nonna” come gli dissero, per una visita di qualche giorno. A sera la Padrona dopo aver munto, preparò una buona cena, la servì al ragazzo in

silenzio, guardandolo lungamente: aveva undici anni ma s’era fatto un ragazzone alto e prestante, sempre sorridente. Al termine della cena disse al ragazzo: “questa sera non scendi nel fienile, dormi con me e mi fai compagnia. A Peppino parve non tornare tutto ma, in assenza del padrone, quello che diceva Lei era legge. Si coricò e, stanco com’era, si addormentò come un sasso. La donna dopo aver sbrigato le faccende di casa, s’era spogliata e coricata vicino al ragazzo. A notte fonda, svegliò sentendo una mano sulle gambe, si spostò nel letto e riprese a dormire. Si risvegliò sentendo la stessa mano risalire pian, piano. Si allontanò girandosi, sentiva il leggero ansimare della donna che dormiva, il suo profumo, la sua mano leggera che superava il fianco cercando nel buio. Balzò di lato sulla sponda del letto, cadde con un tonfo sordo sul pavimento di legno, si rialzò e, senza proferir parola, infilò di corsa la scala, in mutande con la brezza della sera che gli mordicchiava le gambette nude. Il mattino seguente la perfida donna nulla disse ma lo guardò sorridendo. In occasione della trebbiatura, per fortuna, il padrone si portava il garzone che impegnava a preparare, tendendolo su di un cavalletto, il fil di ferro per la pressa. Non che quest’ultima operazione fosse pagata, ma per il pupo, c’era l’invito a pranzo e cena. Al vecchio satrapo nulla importava della fame del piccolo ma, se mangiava a Varzi, non mangiava a casa. Per Peppino erano i giorni più belli dell’anno: é pur vero che il fil di ferro anneriva e rovinava le già rustiche mani del giovane, che l’attrezzo per tendere il fil di ferro era spesso nei pressi delle macchine e la polvere che queste sollevavano trebbiando e il caldo dell’estate, soffocavano la gola e incendiavano gli occhi degli astanti ma, si mangiava, tre volte al dì, si mangiava a crepapelle, quasi a scoppiare. I ricchi proprietari dei covoni, sapevano della pesantezza dei lavori di trebbiatura sotto un sole accecante e immersi in un polverone micidiale, dalle quattro del mattino alle nove di sera, con due brevi soste per la ricca colazione e il

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Giuliano Cereghini

pranzo. Per questo motivo le padrone di casa (ärsädùr) preparavano pentoloni di bolliti, spesso carni di vacche di dieci o dodici anni, tacchine, oche o galline riproduttori ormai esausti. Zuppe con i ceci anche a colazione al mattino alle otto, spesso attinte con abbondante aggiunta di vino nel piatto, minestre, minestroni, formaggi vaccini, spesso con i vermicelli che fuggivano sulla tovaglia, il famoso formaggio nisso (formaggio nìsso o furmag c’hä brusa). Rare volte compariva qualche fetta di salame o di coppa, spesso pancette dell’anno prima profumate dalla lunga stagionatura in vecchie cantine. Si mangiava e si dormiva sulla paglia nel cortile davanti casa, tra uomini ronfanti ed ubriachi che, prima del giusto riposo, avevano intonato qualche canto alpino. Cinque lunghi anni di servile schiavitù, mangiare poco, lavorare molto e qualche volta, cinghiate, sberloni in faccia o calci nelle parti nobili. A novembre del quinto anno, babbo venne a ritirare i cinque marenghi, mi annunciò che aveva affittato una grossa proprietà nei pressi di Casteggio e che sarei servito a casa. A fine anno lasciai il mio servizio: ero arrivato che ero un gärsunê, me ne andavo grande e grosso ma sempre garzone ero, cambiavo solo padrone! Le storie raccontate sono realmente accadute nei primi anni del dopo guerra. Chi le ha riferite vuole conservare l’anonimato, ma garantisce sull’assoluta verità delle vicende specchio di un mondo dominato dalla povertà e dalla fame. di Giuliano Cereghini


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Broni Stradella Pubblica, «Devono essere i sindaci e le amministrazioni a decidere, non i partiti» In queste settimane in Provincia di Pavia il clima si è fatto sempre più caldo, non solo per colpa delle elevate temperature climatiche, ma anche a causa dell’imminente rinnovo delle cariche amministrative della Broni Stradella Pubblica. L’azienda, per quasi quattro decenni è stata considerata la “roccaforte” del centrosinistra, dai primi anni sotto influenza democristiana, fino ad arrivare agli ultimi tempi a stampo democratico. Dopo le elezioni amministrative del 2019, che hanno visto trionfare a Stradella la lista di centrodestra guidata dall’attuale sindaco Alessandro Cantù, gli equilibri dell’azienda pubblica sembrano essere cambiati e, per la prima volta, il consiglio d’amministrazione potrebbe passare ad una storica rappresentanza di centrodestra. Negli ultimi giorni i sindaci sono stati coinvolti in frenetici incontri, riunioni e telefonate al fine di poter trovare la quadra della situazione. Abbiamo voluto sentire il parere di Piergiorgio Maggi, ex sindaco di Stradella e storico esponente del gruppo “Torre Civica” che per diversi decenni ha governato la città oltrepadana. A Maggi abbiamo chiesto di esprimersi sulla situazione attuale del rinnovo del Cda dell’azienda pubblica, partendo innanzitutto dalla sua attuale posizione di capogruppo di minoranza del comune che per anni lui stesso ha rappresentato e del rapporto con l’amministrazione attuale. Maggi, sono ormai passati due anni dalle elezioni. Come valuta l’operato dell’attuale amministrazione? «Sono passati due anni e si presume che l’amministrazione in carica sia in pieno possesso delle dinamiche amministrative. A volte, per alcune problematiche o per situazioni da gestire, si torna a far riferimento alla vecchia amministrazione, con il classico “Eh ma quelli prima di noi… potevano farlo anche loro…”. Ecco, questi comportamenti infantili sarebbero da evitare, dato che “quelli di prima” non ci sono più e in carica ci sono i nuovi amministratori. Anche eventuali problemi ereditati, come capita spesso con altri casi, bisogna saperli affrontare e cercare di risolverli, senza continui riferimenti al passato». Che rapporto avete con il gruppo di Maggioranza? «Il confronto è iniziato molto male ma adesso qualche passo avanti è stato fatto: ma non perché siamo cambiati noi, ma perché è cambiato il rapporto con il quale la maggioranza si confronta con noi. Loro hanno vinto le elezioni e giustamente sono al governo, ma la minoranza ha il diritto e il dovere di vigilare sull’operato dell’amministrazione e di integrare con determinate proposte, sempre nel bene comune e della città. Se riteniamo che le loro scelte siano sbagliate votiamo contro, con motivazione ed eventualmente formulando una

Piergiorgio Maggi controproposta. Non c’è mai un voto contrario di ostruzionismo o per motivi personali. Senza il giusto coinvolgimento e la giusta comunicazione è difficile poter condividere una scelta. L’importante è capire che, seppur su posizioni diverse, abbiamo lo stesso obiettivo comune: lavorare per il bene della città». Quindi possiamo dire che la situazione è migliorata? «Come rapporti la situazione è migliorata, ma come risultati francamente no. Teniamo pur conto che abbiamo trascorso un anno e mezzo particolare per tutto il mondo, non solo per Stradella. Sicuramente per certi aspetti è stato molto più difficile amministrare in questa fase, anche se va sottolineato che sui comuni non sono mai piovuti così tanti fondi come in questo ultimo periodo». In una lettera del 1° maggio scorso, ha attaccato l’amministrazione in merito alle continue bocciature dei numerosi ordini del giorno da voi presentati, ai ritardi per l’attuazione dei lavori e al cospicuo avanzo di bilancio registrato nel recente Conto Consultivo. Come si legge dal post, secondo il suo gruppo “un avanzo cospicuo non è sinonimo di buona amministrazione”. Ci dica di più. «Aver un notevole avanzo di bilancio non vuol dire amministrare bene. Vuol semplicemente dire che quel disavanzo non è stato destinato completamente agli interventi in favore della popolazione. È anche vero che un amministratore non deve prendere tutti i soldi in maniera dissennata. L’avanzo di bilancio deve esserci, ma deve essere giustificato: lo scopo dell’amministrazione non è quello di creare un utile d’esercizio. Abbiamo presentato diversi ordini del giorno e proposte di modifiche del bilancio

e sono state immediatamente bocciate senza essere prese in considerazione. Poteva essere un buon banco di prova per un tipo di rapporto diverso: avevamo chiesto investimenti maggiori sul commercio e per le attività in crisi, sempre basandosi sulle risorse disponibili, che andavano impegnate interamente». Secondo lei, come si sarebbe dovuto intervenire? «Non è che noi abbiamo la ricetta magica, ma ritengo che con un corretto confronto si sarebbe potuto valutare meglio le iniziative. Come gruppo, avevamo già annunciato che non avremmo mai fatto polemiche in un periodo così brutto e difficile: però non vorrei che questa decisione di non far polemica possa essere scambiata come una debolezza. Poi in commissione qualche spiraglio di dialogo si è aperto e ci sono stati alcuni confronti anche in merito alla partecipazione ai bandi. Certo che il dialogo è partito solo con un anno di ritardo…». Quali altre carenze recrimina all’attuale amministrazione? «Le commissioni andrebbero utilizzate meglio, non andrebbero convocate solo ed esclusivamente in previsione dei documenti che verranno presentati in consiglio. Certo, non è sbagliato, ma andrebbero convocate anche per altro, al di fuori delle scadenze dei consigli comunali, per poter parlare e confrontarsi sulle varie tematiche. Amministrare una città come Stradella non è facile e costa fatica: essendoci passato anch’io, non mi piace usare “la mazza” nei confronti di chi attualmente sta al governo. C’è troppa autoreferenzialità: meno selfie e più ascolto verso la città e le varie categorie economiche. L’amministrazione è al servizio della città, non il contrario». Prima di diventare sindaco, è stato per

diversi anni Assessore allo Sport e promotore della manifestazione “Primavera dello Sport”. A detta di molti, l’arrivo del Giro d’Italia è stato un successo. Lei cosa ne pensa? «C’è una doppia lettura. Obiettivamente il richiamo della manifestazione in sé è indiscutibile: stiamo parlando del Giro d’Italia, un’occasione bellissima per la nostra città. Bisogna però fare un’analisi delle risorse raccolte e rinvestite nel Comitato, e del ritorno economico. A grandi linee sappiamo quali possono essere le cifre richieste per l’organizzazione di un arrivo di tappa e per questo bisognerà analizzare più avanti se c’è stato il tanto sperato ritorno economico, in un anno così difficile. Come gruppo volontariamente non abbiamo voluto prendere posizione, è stata una scelta voluta. In passato avevamo organizzato anche noi un arrivo di tappa e, quando si è potuto, abbiamo fatto fermare la carovana pubblicitaria. Certo, ora viviamo un’altra situazione, ma questa è la dimostrazione che noi non siamo critici a prescindere». Nei mesi scorsi ha mosso diverse critiche in merito al trasferimento dell’Istituto Santachiara a Broni. Secondo l’amministrazione è stato fatto tutto il possibile per cercare di trattenerla a Stradella. Secondo lei, si poteva agire diversamente? «Il problema non è il trasferimento del Santachiara a Broni, ma il trasferimento del Santachiara in senso stretto. Verso la fine della nostra amministrazione l’istituto aveva già manifestato l’intenzione di volersi allargare e, in caso contrario, di voler trovare una sede alternativa, dichiarando un certo interesse verso la struttura del vecchio ospedale. Come si sa, negli ultimi sei mesi di mandato è difficile portare avanti nuovi progetti, e non eravamo mai entrati nel merito. Per due anni non abbiamo più saputo nulla e davamo per scontato che il problema fosse stato risolto. Così, all’ultimo momento, salta fuori che il Santachiara è perso. Immediatamente, già a metà gennaio quando hanno ripreso a girare le voci, abbiamo presentato un’interpellanza per il consiglio seguente, convocato per il 13 marzo. Ma ormai il disastro era già avvenuto. Il sindaco successivamente ha giustificato tutto l’iter e anche il Vescovo si è espresso a mezzo stampa, sottolineando che la colpa è dei privati di Stradella che pretendono affitti troppo alti. I problemi erano evidenti e quello che mi chiedo è: perché il sindaco non ha voluto condividere con noi questa problematica? Magari, parlandone, si poteva trovare una soluzione. Prima di arrendersi si poteva fare ancora molto, non era una situazione da prendere alla leggera. È una perdita enorme per la nostra città: quello del Santachiara è solo uno dei tanti errori che si sono verificati in


STRADELLA questi due anni, potrei fare altri esempi». Del tipo? «Per esempio, la benemerenza civica. Pronti via, cambiano il nome alla benemerenza, che da diciotto anni si chiamava “Torre Civica”. Hanno ritenuto necessario cambiare il nome, forse perché si chiamava come il nome della nostra lista storica. Ma questo è stato un errore, perché la Torre Civica è il simbolo di Stradella. Si sono inventati le “consulte di quartiere e di frazione”: già il nostro statuto prevedeva tutte le forme possibili e inimmaginabili di partecipazione popolare. Nonostante il nostro dissenso l’amministrazione ha voluto portare avanti questa nuova tipologia di consulta. Anche in merito alla questione dell’ospedale, a mio parere, sono stati commessi degli errori: il nostro gruppo ha sempre difeso e picchiato i pugni in sua difesa, sin dalla sua apertura. Secondo noi l’amministrazione doveva impegnarsi maggiormente in difesa della struttura e dei servizi da essa offerti. Che senso aveva permettere la chiusura in pandemia del punto nascite di Stradella, quando a Voghera e a Vigevano il servizio è proseguito correttamente? Certo, è stata una battaglia che poi alla fine è stata condivisa dall’amministrazione comunale: ora è stato riaperto, ma abbiamo perso un anno e mezzo. Per finire con il già citato caso Santachiara…». Parliamo ora di un altro argomento “caldo” che va oltre l’amministrazione comunale: l’elezione del nuovo Cda della Broni Stradella Pubblica. Per quasi 40 anni è stata una roccaforte amministrata sotto l’egemonia della DC e suc-

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cessivamente del PD. Oggi, influenzata sicuramente dal ribaltone amministrativo avvenuto nelle elezioni comunali di Stradella del 2019 e dai recenti scandali che hanno colpito alcuni dirigenti, sembra quasi certa la svolta verso una storica guida di centrodestra. Cosa pensa a riguardo? «L’ideatore di tutti è stato Luigi Maggi, sempre e solo con il concetto di fare una gestione territoriale condivisa, cercando di aiutare e privilegiare i piccoli comuni che altrimenti sarebbero stati sottoposti a costi di gestione esosi e senza lasciare un completo controllo ai comuni di Broni e Stradella, nonostante ne fossero i soci di maggioranza. È sbagliato ridurre l’elezione del nuovo consiglio della Broni Stradella Pubblica a un semplice discorso politico, perché in passato non è mai stato così. Le proposte di Maggi, che ha amministrato la società per diversi decenni, sono sempre state condivise e votate quasi sempre ad un’unanimità. Oggi, invece, qualcuno ha deciso che bisogna portare a casa queste poltrone, quindi sono iniziati accordi tra i vari partiti per decidere i nomi degli amministratori: questa è la cosa più sbagliata e francamente disgustosa. Devono essere i sindaci e le amministrazioni a decidere, non i partiti. Le nomine devono essere effettuate sulla base di curriculum e di capacità manageriali, non calate dall’alto. Ritengo che il rinvio delle elezioni sia stato corretto, anche se questi pochi giorni non sono comunque sufficienti per potersi confrontare su un piano industriale condiviso. Io ho enorme rispetto per i partiti, ma ci

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«Meno selfie e più ascolto verso la città e le varie categorie economiche» sono situazioni in cui questi devono fare un passo indietro. L’obiettivo della società è quello di fornire servizi di qualità a prezzi accessibili. È stato votato un bilancio con un dissesto di circa 900.000 euro, ma era prevedibile in questo periodo di emergenza sanitaria». Luigi Giannini era stato dato come nome certo presentato dalla cordata rappresentante la maggior quota associativa. Poche ore dopo la notizia, Giannini ha ritirato la sua candidatura, forse perché non totalmente condivisa? «Io non ne faccio una questioni di nomi. Come gruppo non abbiamo mai espresso giudizi sui nomi, trovandola una cosa estremamente sgradevole. Per noi il Cda deve essere composto da gente con esperienza, con curriculum adeguati e che sappia amministrare. I nomi che sono usciti sono tutti di persone che conosciamo bene, anche amici che stimiamo e con cui abbiamo ottimi rapporti interpersonali al di là dell’orientamento politico. Se si fosse scelta una strada diversa, magari condivisa, si sarebbe anche evitato di usare nome

di persone per bene e coinvolgendoli in un discorso superiore alle nostre valutazioni». Lei è attualmente consigliere provinciale a fine mandato. Anche se non si conosce ancora la data precisa delle prossime elezioni provinciali, ha già fatto qualche considerazione in merito? Pensa di ricandidarsi per un secondo mandato? «Il consiglio provinciale sarebbe già scaduto, ma a causa della pandemia le elezioni per il rinnovo sono state rinviata a data da destinarsi, sicuramente non potrà essere prima delle prossime amministrative. Ovviamente non mi ricandiderò, nonostante abbia messo tutto il mio impegno per rappresentare la mia zona. Anche per quanto riguarda le amministrative il mio impegno politico terminerà alla fine del mandato e in questi tre anni proseguirò svolgendo una corretta opposizione. Come gruppo cercheremo di riorganizzarci in vista delle prossime elezioni, investendo principalmente sui giovani che sono il futuro della nostra città». di Manuele Riccardi



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“Bruciare i tempi”, parte da Stradella il progetto per combattere il disagio minorile “Bruciare i tempi” è un progetto rivolto alla tutela minorile e al recupero delle situazioni di disagio giovanile. L’idea di implementare questa proposta è partita dal Comune di Stradella, la cui attuale amministrazione si è distinta, fin dagli esordi, per una particolare attenzione al tema. Il progetto è stato poi condiviso con gli amministratori di Pavia, Vigevano, Voghera, Broni e Casteggio, Siziano, ed è stato infine sottoposto ed approvato da parte di tutti i Piani di zona della provincia di Pavia. Prevede la gestione in tempi più veloci rispetto al passato delle procedure che riguardano i minorenni soggetti a percorsi giudiziari. Si tratta di una novità importante, poiché intervenire in modo mirato e rapido vuol dire permettere al ragazzo, che spesso è vittima a sua volta di situazioni di forte disagio, di compiere un percorso di riabilitazione, di inclusione e di crescita. La sintesi del progetto, dunque, è insita nella stessa denominazione (“Bruciare i tempi”), e vedrà un taglio drastico nel passaggio dei fascicoli tra Procura del Tribunale per i Minorenni, Questura e Servizi Sociali territoriali. Del resto sono frequenti i casi di minori che mettono in atto comportamenti devianti, antisociali arrivando spesso a commettere reati per esprimere il loro malessere. La Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Milano avrà il compito di coordinare i rapporti con le forze dell’ordine della provincia di Pavia per una fattiva collaborazione tra istituzioni. A spiegare i dettagli è il vicesindaco di Stradella, Dino Di Michele.

Cosa cambia con questo progetto rispetto a quanto accadeva in passato nella gestione delle situazioni di disagio giovanile attenzionate dal Tribunale per i Minorenni? «Ad oggi la procedura prevede che dopo la segnalazione al Tribunale del reato commesso dal minore da parte delle forze dell’ordine, il fascicolo contenente le informazioni arrivi ai servizi sociali dei comuni di residenza dopo 8/10 mesi. Un periodo piuttosto lungo. In quell’arco di tempo, infatti, il ragazzo e la famiglia sono come lasciati da soli: non vi è modo di procedere con percorsi di rieducazione e non vi è neppure modo di comprendere la situazione familiare in cui si trova il minore. In questa situazione i comuni si trovano nell’impossibilità di intervenire direttamente e di coinvolgere quella rete sociale che può sostenere ed aiutare la famiglia e il giovane, e non è consentito neppure di giungere in tempi brevi dalla commissione del reato a percorsi mirati al recupero». Ora invece sarà possibile abbreviare i tempi di comunicazione tra Tribunale dei minori di Milano e Comuni, in modo che la documentazione arrivi agli enti locali in circa 40 giorni. Come è nata l’idea di intervenire in questo senso? «Dopo un incontro con il dottor Simone Feder della Casa del Giovane di Pavia, volto ad individuare possibili percorsi di collaborazione con il mio comune per individuare e mappare il disagio giovanile, è emersa la possibilità di un incontro con il sostituto procuratore presso il Tribunale dei Minori di Milano, la dottoressa Giulia

Pezzino, la quale ha proposto il progetto “Bruciare i tempi” dando piena disponibilità e collaborazione per avviare percorsi comuni. Il progetto era stato attuato in passato in via sperimentale in altre realtà, trovando ottimi riscontri». Poi come vi siete mossi? «Dopo l’incontro con la dottoressa Pezzino ho interessato il Piano di Zona di Broni - Casteggio (ambito di riferimento per il Comune di Stradella anche per l’esercizio delle funzioni di tutela minorile) e mi sono attivato con i colleghi amministratori Anna Zucconi (Pavia), Marzia Segù (Vigevano), Federico Taverna (Voghera), Cristina Varesi (Broni), Lorenzo Vigo (Casteggio) e Donatella Pumo (Siziano) per illustrare con diversi incontri il progetto “Bruciare i tempi” e successivamente promuovere momenti di confronto tra i dirigenti dei diversi ambiti distrettuali, gli amministratori locali, la dottoressa Pezzino e il dottor Feder quale professionista conoscitore del mondo giovanile, oltre che già giudice onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Milano. In brevissimo tempo tutti i colleghi hanno preso a cuore l’idea e il progetto, portando ai diversi tavoli la proposta e recependo la disponibilità di tutti i piani di zona della Provincia di Pavia che operano nell’ambito della tutela minorile per i 190 comuni della nostra provincia, raggiungendo circa 545.000 abitanti». Concretamente come si svolgono le procedure del caso? «Dopo l’arrivo della documentazione, ogni Comune potrà conoscere la specifica situazione e relazionarsi con il proprio Piano di zona, ovvero lo strumento di pia-

Dino Di Michele

nificazione territoriale per lo sviluppo di una politica locale di servizi ed interventi sociali e da lì far partire progettualità di recupero del minore. I Piani di zona interessati sono: Broni-Casteggio (di cui fa parte Stradella), Voghera e Comunità Montana Oltrepò Pavese, Pavia, Vigevano-Lomellina, Alto e Basso Pavese ». di Pier Luigi Feltri



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«Entro la prossima primavera tutte le strade di Volpara saranno completate» Sono passati due anni dall’insediamento di Claudio Mangiarotti come sindaco di Volpara, piccolo comune di un centinaio di anime situato nell’Alta Valversa. Due anni di amministrazione difficili, iniziati con alcune forti grandinate che, a meno di ventiquattro ore dall’inizio del suo mandato, aveva già causato diversi danni a vigneti e smottamenti, alle quali vanno ad aggiungersi un anno e mezzo di emergenza sanitaria. Queste difficoltà non hanno di certo fermato le attività dell’amministrazione comunale, che negli ultimi mesi ha completato diverse opere di importante rilevanza, merito anche dei cospicui finanziamenti e dei numerosi bandi a cui il comune è riuscito ad accedere. Abbiamo chiesto al sindaco Mangiarotti di illustrarci il punto della situazione, spiegando gli interventi effettuati sul territorio comunale. Mangiarotti, in questi ultimi mesi il suo comune è stato soggetto a diversi interventi di risanamento, merito soprattutto dei numerosi finanziamenti che avete ottenuto in questo ultimo periodo. «Abbiamo avuto la possibilità di effettuare diverse opere grazie ai fondi che sono stati inviati a tutti i comuni italiani per il rilancio post covid-19. Il nostro comune rientrava nella fascia sotto i cinquemila abitanti, ed è per questo che abbiamo avuto diritto ad un finanziamento a fondo perduto di circa 100.000 euro. A questo va ad aggiungersi un ulteriore contributo di 81.000 euro, da parte del Ministero dell’Interno, per i comuni sotto i mille abitanti. Anche Regione Lombardia ha fatto la sua parte, mettendoci a disposizione 30.000 euro, come previsto da quel che viene definito come una sorta il “Piano Marshall per il rilancio post covid”. Sono finanziamenti che non abbiamo cercato, ma che ci sono stati elargiti di diritto da Governo e dalla Regione. Naturalmente noi siamo sempre alla ricerca di bandi, e cerchiamo di parteciparvi al maggior numero possibile. Per esempio, dato che avevamo i requisiti, abbiamo ricevuto dal Ministero dell’Interno un importo di circa 399.850 euro grazie al quale riusciremo a mettere in sicurezza il territorio, effettuando la regimazione idraulica e asfaltando alcune strade comunali. Infatti, molti dei lavori da voi svolti in questi mesi riguardano principalmente le strade, le quali sono spesso indicate come punto debole del nostro Oltrepò Pavese. La nostra rete stradale era veramente in pessime condizioni e, ritenendo le nostre strade di grande importanza per lo sviluppo economico e turistico del territorio, avevamo inserito questi interventi già nel primo punto del nostro programma elettorale. Nei due anni precedenti abbiamo effettuato lavori per cifre non indifferenti: nel 2019 avevamo investito 40.000 euro e nel 2020 tre interventi rispettivamente di

«Abbiamo destinato 100mila euro per il rifacimento del campo di calcetto e la messa in sicurezza dell’area adiacente, ma purtroppo questa stagione andrà persa»

Claudio Mangiarotti 12.000, 44.000 e 50.000 euro. Quest’anno abbiamo destinato 15.000 euro del piano di rilancio, insieme altri 55.000 euro per la sistemazione del cimitero e altri 85.000 euro per la sistemazione delle strade comunali. I 399.850 euro del Ministero dell’Interno ci consentiranno di mettere in sicurezza e sistemare la restante rete stradale, che sarà soggetta ad un’importante opera di regimazione idraulica prima di poter procedere con l’asfaltatura». Quindi, entro la fine del suo mandato, l’intero territorio di Volpara vanterà una rete stradale totalmente riasfaltata? «Penso che entro la prossima primavera tutte le strade di Volpara saranno completate, quindi addirittura entro il terzo anno di mandato». Anche la strada provinciale che attraversa il centro abitato, la cui competenza non è comunale, è stata soggetta ad una totale riasfaltatura. «Appena insediati abbiamo invitato il Presidente della Provincia Vittorio Poma a Volpara, il quale ha mantenuto l’impegno preso provvedendo all’asfaltatura della tratta della provinciale». Avete in progetto interventi ad infrastrutture comunali? «Faremo degli interventi strutturali all’edificio municipale, con il consolidamento dei solai, il rifacimento degli intonaci esterni, attualmente pericolanti, e successiva tinteggiatura». Il centro sportivo di Volpara è stato per diversi anni il fiore all’occhiello del comune, sede di diversi tornei estivi ed eventi sportivi. Dallo scorso anno non è più funzionante, come mai? «La precedente amministrazione aveva stipulato un contratto decennale con una società sportiva che avrebbe dovuto anche occuparsi della gestione. Purtroppo, per diverse cause, siamo stati portati a recedere questo contratto e per questo motivo il

centro sportivo è chiuso. Prima di poterlo affidare ad una nuova gestione dovrà subire diverse opere di manutenzione per ritrovare un rinnovato decoro e funzionalità. Abbiamo destinato 100.000 euro per il rifacimento del campo di calcetto e la messa in sicurezza dell’area adiacente, ma purtroppo questa stagione andrà persa. Riceviamo quotidianamente telefonate da gruppi sportivi interessati a gestire l’area, ma bisognerà attendere la prossima primavera. I lavori dovrebbero iniziare in autunno e stiamo già valutando alcune proposte di gestione dell’impianto». Anche le aree pubbliche saranno soggette ad interventi? «Abbiamo destinato i 30.000 euro inviateci da Regione Lombardia per altre opere, come il rifacimento del parco giochi, l’acquisto di barriere da destinare alla creazione di un’area ecologica meno impattante con l’ambiente circostante e per l’acquisto dei nuovi arredi esterni del Tempio del Moscato». L’amministrazione comunale ha in cantiere qualche progetto riguardante al cultura e l’arte? Pensate di poter organizzare qualche evento nella stagione estiva? «Volpara è vicina all’arte. Già le precedenti amministrazioni avevano provveduto a far affrescare le facciate del municipio dal noto artista Tindaro Calia, che una trentina d’anni fa iniziò a frequentare il nostro paese nel periodo estivo, per poi venirvi ad abitare stabilmente dopo il pensionamento. Con Tindaro Calia abbiamo parlato della possibilità di realizzare un “borgo dipinto”, valutandone la fattibilità e l’impiego economico. Nei mesi scorsi l’amministrazione comunale ha commissionato la creazione di quindici cartelle contenenti una formella di ceramica dipinta a mano, raffigurante un’immagine di convivialità da anni già utilizzata sia come simbolo della nostra comunità, sia come etichetta comune dell’associazione dei produttori di Moscato.

Al momento non è in programma alcun evento, anche se stiamo valutando alcune ipotesi». Volpara è vicina all’arte ma anche alla storia: da poco avete avviato il progetto “Archivio della Memoria di Volpara”. Di cosa si tratta? «Abbiamo avviato una collaborazione con la Dott. Ilaria Nascimbene e abbiamo ottenuto un contributo da Fondazione Cariplo per la realizzazione di un progetto sulla memoria, che riteniamo un argomento estremamente importante. Abbiamo svolto diverse interviste agli anziani del comune, che ci hanno raccontato la Volpara di settant’anni fa, con le numerose attività oggi scomparse e una popolazione che con il passare degli anni è andata sempre più diminuendo. Un progetto importante per ricordare il passato e mantenere vivo il racconto nel futuro». Concludiamo parlando di un argomento di stretta attualità, che riguarda indirettamente anche il Comune di Volpara: l’elezione del consiglio d’amministrazione della Broni-Stradella Pubblica. Non si è ancora arrivati ad un accordo sui nomi e sugli incarichi: c’è chi dice che la politica debba restarne fuori e che gli incarichi debbano essere valutati non sulla base di nomi suggeriti dall’alto, ma valutandone le capacità e i curriculum. Lei cosa ne pensa? «Concordo e penso che la società abbia sicuramente bisogno di un rinnovamento, soprattutto alla luce del bilancio presentato che indica una perdita di circa un milione di euro. Un rinnovamento che viene chiesto anche dal basso, dai cittadini, per un servizio che negli ultimi anni è notevolmente peggiorato. Credo che sia necessario un cambio di rotta, senza valutare curriculum politici ma professionali, che sappiano delineare un piano industriale, dialogare con gli amministratori e capire le necessità del territorio». di Manuele Riccardi



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Val di Nizza, il turismo itinerante passa anche dal poligono di tiro Fresco di inaugurazione il nuovo poligono di tiro situato nel Comune di Val di Nizza, in località Cascina Legra, è un servizio ulteriore per il territorio, sia per gli appassionati del tiro dinamico sportivo, sia per gli accompagnatori: 450 ettari di terreno per il sito di tiro immersi in un contesto isolato e tranquillo sono l’ideale per un turismo itinerante. Passeggiate, visite a castelli e borghi e la possibilità di gustare lungo i percorsi le specialità gastronomiche dell’Oltrepò. Il campo, nato all’interno di un casino di caccia e riservato inizialmente ai soli possessori del porto d’armi ad uso caccia, oggi, grazie al supporto dell’Associazione Sportiva Dilettantistica “Tiro Alta Valle Nizza” che lo gestisce e all’appoggio della proprietà dei terreni, ha avuto un’evoluzione, sia come tiro a lunga distanza, sia come arma corta, con la costruzione di cinque stage di tiro attrezzati per ogni tipo di disciplina, che la Federazione Italiana Tiro Dinamico Sportivo (FITDS) si occupa di promuovere al fine di incrementare e diffondere il tiro dinamico sportivo. Ne parliamo con Enrico Massoni, presidente dell’Associazione “Tiro Alta Valle Nizza” e direttore del poligono multifunzionale, falegname di professione ed istruttore UITS - Unione Italiana Tiro a Segno. Massoni quando è nata l’associazione? Oggi da quanti appassionati è composta? «È nata nel dicembre del 2020 per volontà e passione di cinque soci fondatori. Oggi contiamo una cinquantina di iscritti, con un trend positivo di crescita. Non solo utenti locali, ma abbiamo frequentatori che arrivano da tutto il centro nord Italia, alcuni addirittura dalla Svizzera e dalla Francia». L’associazione promuove il tiro sportivo in ogni sua forma. Una vera e propria disciplina dove l’atleta deve dimostrare le proprie abilità di tiro in qualsiasi circostanza si trova. è uno sport faticoso da apprendere e da praticare? «Direi proprio di no, è accessibile a qualsiasi appassionato di tiro, sia con arma lunga che con arma corta, guardi è talmente faticoso che la maggior parte dei frequentatori viene qui per rilassarsi, anche perché il poligono è inserito in un contesto davvero piacevole, circondato dal verde delle nostre colline». Fate corsi di insegnamento pratico ma anche teorico sulle armi utilizzate e sulle tecniche di tiro? «Abbiamo un’aula attrezzata con schermo gigante per i corsi, dove affrontiamo le varie tematiche che concernono il tiro, ci sono argomenti come la balistica interna e esterna del proiettile che comportano un

L’area del poligono di tiro situata nel Comune di Val di Nizza

certo livello di studio, nonchè la combinazione arma, ottica, clima e l’atto vero e proprio di come premere un grilletto. Questo vale sia se parliamo di arma lunga sia di arma corta. Come Istruttore istituzionale UITS - Unione Italiana Tiro a Segno - al Poligono di Stradella dove sono responsabile dei corsi Maneggio Armi, pongo un’attenzione particolare alla sicurezza e all’uso corretto delle armi». Che tipo di armi utilizzate? «Le armi utilizzate sono carabine dotate di ottiche per il tiro a lunga distanza, le nuove linee di tiro lungo vanno da 100 metri fino a 1000 metri, per le armi corte abbiamo cinque stage attrezzati di porta bersagli, con bersagli costituiti da piastre in ferro e da supporti per bersagli cartacei, oltre a bersagli “reattivi”dotati di sensori luminosi che reagiscono lampeggiando alla vibrazione della piastra colpita». è uno sport costoso? «Per quanto riguarda i costi direi che tutti, con un budget sotto ai mille euro e con gli opportuni consigli, possono avere grandi soddisfazioni». Qual è la tipologia dei vostri iscritti? Appassionati, cacciatori, chi si allena per esigenze lavorative… ? «Abbiamo varie tipologie di iscritti, appassionati di armi in genere, collezionisti di armi storiche exordinanze, cacciatori, agonisti in varie discipline di tiro e persone che utilizzano l’arma per lavoro». Giovani? «Il lato più bello di questi mesi di apertura è stata la presenza costante e continua di persone giovani, mi fa ben sperare, nel fatto che le generazioni del futuro stanno capendo che in fondo hanno per le mani un

oggetto sportivo e la cosa ancora più bella è vedere le ragazze, sempre in maggior numero sul campo». è uno sport totalmente sicuro? «Totalmente sicuro. L’area del poligono è completamente recintata e tabellata, i tiratori sono seguiti da istruttori qualificati e vengono imposte regole chiare per il maneggio delle armi». Il campo è sempre stato fruibile solamente dai possessori del porto d’armi ad uso caccia avendo l’autorizzazione per la taratura armi. Oggi invece chi può accedere al poligono? «Tutti gli iscritti possono accedere al campo, previa prenotazione. L’Associazione dà la possibilità a tiratori per passione o agli agonisti di allenarsi per le gare che dovranno affrontare a livello nazionale o mondiale, abbiamo cercato di accontentare tutti i tiratori e le persone al seguito». Il Poligono è immerso in una riserva di caccia con ristorante e camere. Un contesto piacevole anche per eventuali accompagnatori. Avete un buon riscontro di appassionati con famiglia al seguito? Anche non dell’Oltrepò? «La struttura è al margine dell’agriturismo Cascina Legra, con la possibilità di gustare piatti tipici dell’Oltrepò e di pernottare. La possibilità di farsi una doccia prima di ripartire per il viaggio di ritorno o usufruire della piscina sono servizi aggiuntivi che i nostri frequentatori apprezzano e sono un valore aggiunto per incentivare gli appassionati a portare con sè moglie e figli o gruppi di amici. Il territorio offre anche vari spunti per un turismo itinerante, passeggiate, castelli, borghi e quelle specialità gastronomiche che si trovano lungo i

Enrico Massoni, presidente dell’Associazione “Tiro Alta Valle Nizza” e direttore del poligono multifunzionale,

percorsi. Insomma una serie di servizi per dare il meglio della ospitalità dell’Oltrepò». Progetti per il futuro? «Per il futuro lo vedo sempre positivo, sono stato sempre abituato a risolvere i problemi man mano che si presentano, probabilmente per me sono più sfide che ostacoli quelle che ogni tanto ci ritroviamo a dover affrontare». Lei è falegname di professione. Come si è avvicinato a questo mondo? «è una passione che ho da sempre, “colpa” di mio papà... Oggi dopo anni mi si è presentata la possibilità di poter trasformare questa passione in un progetto reale e concreto e di poterla trasmette anche agli altri». di Silvia Colombini


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storie di rally: Mario perduca racconta

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“IL LELE”, NATO IL 18 GENNAIO, COME VILLENEUVE è universalmente riconosciuto che il primo rivale di ogni pilota è il compagno di squadra in quanto il fatto di disporre di due mezzi identici non dà la possibilità di addurre scusanti volte a giustificare una prestazione inferiore. Figuriamoci se i due piloti sono a bordo della stessa vettura. Tale aberrante situazione si verificò al rally Colline dell’Oltrepò 1983 e vide come protagonisti due ragazzotti di belle speranze con i quali negli anni successivi avrei disputato molte gare, ma oggi l’attenzione è rivolta esclusivamente a uno dei due “stonati” in questione. All’anagrafe viene iscritto nel 1960 come Gabriele Bagnoli, ma per tutti è semplicemente “il Lele”. La data di nascita è già di per sé un programma, 18 Gennaio come Gilles Villeneuve. Abitando a Voghera in via Verdi, a 10 metri di distanza, inevitabile che frequenti il Bar Lerici, sede del Voghera Corse prima e del Rally Club Oltrepò in seguito. La faccia pulita da bravo ragazzino e i modi educati non lasciano trasparire il sacro furore agonistico che in tale contesto trova il terreno ideale. Non appena in possesso della patente cominciano le malefatte. Col suo amico e coscritto Giorgio, non meglio precisato, cominciano a scorrazzare sulle strade della corsa di casa, il Quattro Regioni, così, per vedere come si fa. Dopo l’asfalto, lo sterrato e in una discesa sulla collina di Genestrello, Lele mette la 127 su di un fianco. In attesa che un carrozziere sistemi la fiancata, per evitare guai domestici la posteggia in cortile col lato incidentato a un millimetro dal muro. Sono anche creativi e concepiscono un rudimentale regolatore di velocità ante litteram: un mattone pieno appoggiato sul pedale dell’acceleratore del Diane. La voglia di correre è tanta, ma mancano i fondi. Finalmente nel 1983 riescono a mettere insieme una discreta somma, ma basta solo per una macchina e nessuno dei due vuole fare il naviga, per fortuna (n.d.r.). E così partoriscono la scellerata idea di correre con la stessa vettura alternandosi alla guida. Tanto per semplificare le cose noleggiano una Fiat Abarth 131 gr.4 notoriamente una delle auto più impegnative. Va da sé che la corsa risulti un disastro. L’anno successivo durante il Quattro Regioni andiamo a vedere insieme alcune prove, sempre con la fida 127 blu. Nel tratto tra Varzi e Casanova Staffora comincio a pensare che il ragazzo abbia del talento, mi piace come lascia scivolare la macchina sulle quattro ruote, come sfrutta tutto l’asfalto fino al ciglio, per me è pronto. A settembre c’è la nona edizione dell’altra corsa di casa, il rally Colline dell’Oltrepò, può essere l’occasione per fare qualcosa di buono.

Gabriele Bagnoli

Circostanze fortunate fanno sì che l’amico Pierangelo Furini ci metta a disposizione la sua Opel Kadett che normalmente usa come muletto. La preparazione era di gruppo 1, ma l’iscrizione viene fatta in gruppo 2 in quanto non era più omologato lo storico cambio ZF. Le ricognizioni durano almeno venti giorni, arriviamo alla gara certi di fare una discreta figura. E invece la partenza della prima speciale non giustifica l’ottimismo che avevo riposto nel ragazzo, rilascia la frizione in modo corretto ma poi comincia a litigare con le marce, la seconda per lui non esiste, inserisce quarta, poi terza, poi ancora quarta e intanto il tempo passa e noi restiamo lì a farci sbeffeggiare dagli spettatori. Una volta trovato un rapporto del cambio di suo gradimento torna ad essere un pilota e il tempo finale è decisamente buono, considerando le difficoltà iniziali. Nelle speciali successive va ancora più forte di quanto avessi sperato, ma quel che più mi colpisce è la sicurezza con cui guida, non sembra un esordiente. E i tempi vengono, cominciamo a scalare posizioni in classifica, in breve ci portiamo in testa al gruppo 2 e nella top ten della generale. Alla fine di una prova in cui abbiamo raggiunto e superato il Kadett che ci partiva davanti, il malcapitato pilota viene a farci i complimenti e a scusarsi per averci tenuto dietro per troppe curve. Al che Lele nel maldestro tentativo di non metterlo in ulteriore imbarazzo si schernisce adducendo la motivazione di abitare a Voghera e come tutti i piloti locali di avere un’ottima conoscenza del percorso. Lapidaria e sconfortata risposta “pensa che io sono di Broni!” La classifica generale vede al primo posto Beretta con la Lancia 037 e poi un gran numero di vetture che non ci

sognavamo neanche di poter impensierire e invece un po’ per merito e un po’ grazie alla sfortuna altrui a due terzi di gara ci troviamo secondi. Impensabile. Preferirei che non lo sapesse, per non turbare il suo equilibrio di pilota, notoriamente fragile, ma dagli amici cominciano ad arrivare i complimenti e le inevitabili raccomandazioni a rallentare per non compromettere un risultato del genere. Ma non sanno che pochi secondi ci separano da un altro velocissimo ragazzo locale, Vittorio Brambilla alla guida di una Ritmo gr.2 del River Team. Intuisco che Lele si aspetterebbe di ricevere anche da me l’invito alla prudenza ma evito di affrontare l’argomento, sta guidando benissimo, inutile complicare la situazione. E infatti tutto fila liscio, secondo assoluto, non male per la prima vera gara. Ma l’episodio più divertente di questo rally ha avuto come protagonista un amico, pure lui esordiente, pure lui su Kadett, del quale non farò il cognome ma solo il nome, Francesco. Al primo parco assistenza ci viene incontro visibilmente abbattuto e racconta che alla fine di un allungo frenando sulla ghiaia è andato dritto contro un cancello con grave alterazione del cofano. Lele inorridito gli spiega che assolutamente deve evitare di bloccare le ruote su sabbia e ghiaia, piuttosto rallenta un po’ prima. Rinfrancato, Francesco ci ringrazia per la dritta. Dopo qualche ora lo ritroviamo ancora più abbacchiato ma anche inviperito “bravi voi, mi avete dato proprio un

bel consiglio! Nella ripetizione di quella prova sono arrivato nello stesso punto, c’era ancora più ghiaia ed io vi ho dato retta, non ho neanche sfiorato il pedale del freno. Peccato che così sono andato ancora contro il cancello ma ad una velocità maggiore”. L’ottimo risultato conseguito fa sì che papà Ferdinando si appassioni e, abilmente circuito, si trasformi in munifico sponsor permettendo l’anno successivo l’acquisto di una quasi bellissima Opel Manta in società con l’amico Furini. L’appuntamento è sempre per il Colline. è passato un anno ma la storia si ripete, vinciamo a mani basse il gruppo A pur tra molti problemi meccanici, davanti a noi solo quattro vetture di gruppo B, i mostri. Incautamente decidiamo di iscriverci al rally di Como. Un improvviso guasto all’impianto frenante provoca una disastrosa uscita di strada in un punto dove sono assiepati alcuni spettatori all’esterno della curva. Finiamo in un campo sotto il livello stradale e mentre usciamo dalla macchina, nel buio tra le tante grida isteriche sentiamo un tipo che sostiene che una persona è rimasta schiacciata sotto il Manta. Sempre al buio, a tentoni, sento che qualcosa di rotondo e duro sporge sotto la minigonna dal mio lato. Subito panico, poi un liberatorio vaff… è una zucca, siamo finiti in un orto. Questo incidente in casa Bagnoli segna la fine del tempo delle mele, ci si rende conto che i rally possono essere pericolosi e per me segna l’insorgere di un problema


storie di rally: Mario perduca racconta che non avevo prima e non avrei in seguito dovuto affrontare. Essendo di nove anni più grande venivo visto come più responsabile del loro “scapestrato” bambino e allora a turno papà, mamma Amalia, la sorella Chicca mi prendevano in disparte e il tenore del discorso era sempre lo stesso “mi raccomando, Lele è un ragazzo, tu hai più buon senso, sta attento che non esageri, non deve succedere niente, conto su di te”. Dette così possono sembrare parole di circostanza, ma ho vissuto questa situazione come se mi fossi preso un impegno. Nel 1986 decidiamo di allargare i nostri orizzonti partecipando ad alcune gare del campionato italiano. Si comincia col rally di Modena e qui Lele si laurea ufficialmente pilota col massimo dei voti dando libero sfogo alle psicosi finora represse. Durante la giornata il tempo è stato incerto ma per la notte si attende l’acqua che puntuale arriva a metà di una speciale. Lungo il trasferimento successivo i nostri meccanici ci fanno trovare la manna, un treno di gomme da pioggia. Mentre cominciano ad alzare la macchina sento una voce familiare che dice “non voglio le pioggia, continuiamo con le slick”. Sta scherzando, penso, e anche in modo piuttosto insulso. E invece no, vuole davvero continuare sotto l’acquazzone con le gomme lisce. Tra le tre possibilità che mi si presentano scarto la discussione perché so che quando il pilota entra in modalità mononeuronale il dialogo e la logica sono assolutamente inutili, scarto per ovvi motivi la voglia di mettergli le mani addosso, per cui mi limito a chiedergli a denti

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La faccia pulita da bravo ragazzino e i modi educati non lasciano trasparire il sacro furore agonistico. Non appena in possesso della patente cominciano le malefatte. Col suo amico e coscritto Giorgio... stretti: perché? La sorprendente e aberrante risposta “nell’ultima prova sul bagnato ho fatto fatica a restare in strada, ma sono stato attento e non è successo niente, se ora montiamo le rain so già che mi farò prendere la mano vista la tenuta che hanno sull’acqua e le possibilità di combinare un guaio aumenteranno, invece così so di dover essere cauto”. Laureato con lode e abbraccio accademico. Allo start della successiva speciale un pilota che si era ritirato vede le gomme e commenta “capisco, saltata l’assistenza”. Risposta “no, saltato il cervello”. Nel corso di quell’annata disputammo altri rally, senza infamia e senza lode, a nostra discolpa il fatto che il Manta era ormai assolutamente inadeguato a reggere il confronto con le nuove vetture di gruppo A. Lo sbaglio più grave fu di rinunciare a quella che sarebbe stata l’ultima edizione del Quattro Regioni per disputare la do-

menica precedente il rally della Lanterna. Di interessante nei due anni successivi la partecipazione all’ ADAC Rally che aveva come sede la cittadina di Adenau a pochi chilometri dal circuito del Nürburgring, con prove veramente segrete, in quanto il radar veniva consegnato sulla pedana di partenza. Una di queste prove consisteva in un giro della famosa pista ma in senso contrario. Esperienza indimenticabile nonostante il mezzo assolutamente inadeguato, una Fiat Uno 70 trofeo. La curva più famosa è il Karussell, curva di circa 180°, che nel senso normale di marcia si affronta in salita e gira a sinistra. è un curva soprelevata ma a differenza di Monza la parte ripida è in basso. Orbene percorrendo la pista in senso orario ti sorprende in quanto appare all’improvviso dopo un grande dosso seguito da un breve rettilineo in discesa ripida. Ritengo che sia stato il capolavoro di guida di Lele, riuscire a fare l’unica ma-

Mario Perduca

novra possibile e cioè inserirla d’istinto nei pochi metri in cemento. L’anno successivo abbiamo ripetuto l’esperienza tedesca ma in modo più traumatico per la carrozzeria del Manta. L’ultima gara insieme in realtà non riuscimmo neppure ad iniziarla in quanto un gancio poco fermacofano causò la rottura del parabrezza ancora prima della pedana di partenza. Poi la fiamma del sacro furore di Lele si spense (momentaneamente) ma sotto le ceneri restò latente per tornare a brillare alcuni anni dopo. Ma questa è tutta un’altra storia. di Mario Perduca


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Mazzocchi - Gallotti conquistano 9 punti Cir al San Marino

Al primo appuntamento sterrato con una R5 il pilota piacentino navigato dalla rivazzanese Silvia Gallotti termina secondo tra gli iscritti al tricolore e conquista i primi punti della stagione 49° edizione del San Marino Rally per una gara che ha confermato tutte le caratteristiche di durezza e incertezza, marchio di fabbrica della sfida organizzata dalla FAMS. Gara bella e difficile che aveva il suo principale punto di interesse nella lotta tra i protagonisti del Campionato Italiano Rally Sparco e quelli del Campionato Italiano Rally Terra, specialisti dei fondi bianchi, polverosi ed a bassa aderenza. Ad avere nettamente la meglio sono stati i protagonisti del CIRT, su tutti i loro leader Umberto Scandola e Guido D’Amore. La coppia sulla Hyundai i20 R5 ha messo subito tutti in fila, già nella prova iniziale dove ha guadagnato la vetta dell’assoluta. Un vantaggio consolidato poi al primo giro di crono del sabato, ceduto per due prove al rivale di campionato Paolo Andreucci nella fase centrale, ripreso sul finale del secondo giro prima di volare sul gradino più alto del podio per la sua terza firma nell’albo d’oro del San Marino Rally.

La rivanazzanese Silvia Gallotti L’Equipaggio Mazzocchi - Gallotti (foto di Lavagnini) Il San Marino si è confermato appuntamento arduo per vetture ed equipaggi: rotture ed uscite di strada erano in agguato per molti concorrenti in gara ma il piacentino Andrea Mazzocchi e l’oltrepadana Silvia Gallotti ne sono usciti indenni mostrando velocità e maturità agonistica. A bordo di una Skoda Fabia R5 della M33, Mazzocchi - Gallotti hanno concluso infatti al 6° posto assoluto e in seconda posizione per

coloro che cercavano punti per il CIR grazie ad una gara generosa ma pure attenta che ha permesso loro di incamerare i primi punti della stagione. «Per essere la prima volta con una R5 sulla terra devo dire che è stata una prestazione assolutamente positiva - ha detto Mazzocchi - siamo più che soddisfatti per il risultato conseguito. Ovvio che, proprio in quanto esordiente di categoria sulle strade bianche, ho com-

messo alcuni errori che mi hanno un po’ attardato impedendomi di lottare fino alla fine per il podio. Siamo però felici perché sappiamo quali sono i nostri margini di crescita e abbiamo ben chiara la via da seguire per il nostro processo di maturazione sportiva». Mazzocchi e la Gallotti hanno dunque conquistato 9 punti per il Campionato italiano Rally andandosi a collocare in nona piazza della classifica generale. di Piero Ventura

Bene gli oltrepadani Mombelli - Leoncini al San Marino Storico Nuova vittoria per “Lucky” Battistolli e Fabrizia Pons, sulla Lancia Delta Int. 16V che hanno dominato la gara sulla terra a San Marino, valido come terzo atto stagionale del Campionato Italiano Rally Terra Storico. La coppia leader dell’Italiano Quattro Ruote Motrici ottiene il tris di successi dopo il Val d’Orcia, il Medio Adriatico e si porta a casa anche la terza vittoria consecutiva nel Historic San Marino Rally. Il pilota vicentino ha vinto sei delle 8 prove speciali disputate. Soddisfazione in casa per Marco Bianchini insieme a Giulia Paganoni con l’latra Lancia Delta Int. rimasto sempre vicino al compagno di squadra della Key Sport che termina a 34’’3 da Lucky. Terzo gradino del podio assoluto per Bruno Pelliccioni e Roberto Selva a bordo della Ford Escort 2000 della Scuderia Malatesta. Quarto posto per Giuliano Calzolari navigato da Giancarlo Rossini su Ford Escort Gruppo A J2 del “terzo” Ford Escort. Quinto assoluto Giovanni Muccioli con la BMW 320, incappato in una penalità a metà giornata.

Sesta piazza sudata per Andrea Righi sulla Ford Escort, seguito da Bacci-Riterini Ford Sierra Cosworth 4x4, quindi Corrado Costa presenza fissa nella gara di casa e in campionato che si prende la classe 1600 con la sua Opel Corsa GSI. Alla nona posizione nella classifica assoluta degli “storici” troviamo Domenico Mombelli affiancato da Marco Leoncini sulla Ford Escort MKI. I portacolori della Efferre Motorsport di Romagnese si sono altresì piazzati al secondo posto nel secondo raggruppamento e secondi di classe 2000. Chiudono la top ten i toscani Fabrizio Pierucci e Monica Buonamano sulla Volkswagen Golf GTI del “quarto raggruppamento”. TOP TEN ASSOLUTA 6° HISTORIC SAN MARINO RALLY: 1. Lucky-Pons (Lancia Delta Int 16v) In 54’48.5; 2. Bianchini-Paganoni (Lancia Delta Int 16v) A 32.4; 3. Pelliccioni-Selva (Ford Escort 2000) A 1’47.4; 4. CalzolariRossini (Ford Escort) A 2’49.6; 5. Muccioli-De Marini (Bmw 320) A 5’23.0; 6.

L’Equipaggio Mombelli - Leoncini Righi-Biordi (Ford Escort) A 6’03.1; 7. Bacci-Riterini (Ford Sierra Cosworth 4x4) A 6’32.8; 8. Costa-Mularoni (Opel Corsa Gsi) A 7’14.6; 9. Mombelli-Leoncini (Ford

Escort Mki) A 7’29.2; 10. Pierucci-Buonamano (Volkswagen Golf Gti) A 20’20.9 di Piero Ventura


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Rally Lanterna: il vogherese Scattolon concede il bis

Il podio al Rally della Lanterna

Dalla Skoda alla Polo ma il risultato per Giacomo Scattolon e Simone Cuneo al Rally della Lanterna non cambia. Dopo il successo ottenuto nel 2020 a bordo della Skoda Fabia R5, l’accoppiata lombardoligure si è ripetuta lo scorso 20 giugno imponendosi a bordo della VW Polo R5. Il 31enne pilota vogherese, campione Italiano Rally Junior 2014 e dal 2018 impegnato nel campionato italiano Rally, navigato dal ligure Simone Cuneo, si sono imposti in tutte le otto prove speciali in programma, senza lasciare nulla agli avversari; un dominio mai in discussione iniziato fin dai primi metri di gara. Al secondo posto la sorpresa di giornata, la coppia lombarda formata da Stefano Baccega e Pietro D’Agostino, su un’altra Volkswagen Polo che utilizzavano per la prima volta. Per Baccega la prima partecipazione al Lanterna è stata più che positiva, con una piazza d’onore dietro all’imprendibile Scattolon. Terzo gradino del podio, proprio come nel 2020, per Andrea Spataro e Gabriele Falzone su Skoda Fabia R5, che negli ultimi chilometri hanno scavalcato l’altra Skoda di Luca Bertani e Stefano Oppimiti, giù dal podio per un solo decimo di secondo. Quinta posizione per Jordan Brocchi ed Alessia Muffolini su un’altra Skoda, che hanno preceduto il primo equipaggio ligure, quello composto da Igor Raffo e Paolo Rocca su Skoda Fabia della Movisport. Tra le auto a due ruote motrici affermazione per Nicholas Cianfanelli e Jacopo Innocenti su Renault Clio, che hanno sfiorato la top ten assoluta. Altro vogherese in gara che ha concluso la sua fatica sul secondo gradino del podio di classe, è Paolo Zanini il quale ha letto le note a Maurizio Rossi sulla Peugeot 207 Super 2000. Una gara dura e selettiva il 37° Rally della Lanterna – 5° Rally Val d’Aveto, che ha messo a dura prova gli equipaggi; lo testimoniano i settantaquattro arrivati al traguardo su centodue partiti. di Piero Ventura

Giacomo Scattolon, 31enne pilota vogherese, campione Italiano Rally Junior 2014, navigato da Simone Cuneo (foto di Lavagnini)

Nicelli - Pieri vincono il Trofeo Renault al Rally di Alba Gara combattutissima e da incorniciare per il driver stradellino Davide Nicelli che al termine di un accanito duello con Zanin per il gradino più alto del podio di categoria, conquista per soli sette decimi di secondo la vittoria nel trofeo Renault e anche il primato davanti a tutte le R1. Nicelli era al via di questa gara con la sua Clio rally 5 del team HK, gommato Michelin, navigato dall’ormai inseparabile Tiziano Pieri e i colori della scuderia Sport e Comunicazione. «è stata una gara davvero dura – ha commentato Nicelli - Zanin, che si è dimostrato un avversario tosto e molto veloce fin da subito, infatti noi all’inizio abbiamo accusato qualche secondo di ritardo di troppo: cosa che mi lascia un po’ di amaro in bocca, visto che abbiamo il vizio di partire troppo cauti e poi dover fare sempre delle super rimonte. Nel complesso però, siamo stati bravi a non aver commesso errori in prove davvero impegnative veloci e molto tecniche. Come dicevo, a conclusione di una bella e non facile rimonta, siamo poi passati al comando sulla “speciale” 5, favoriti anche da un errore di Zanin. Da lì abbiamo continuato a spingere al massimo fino all’ultimo metro di prova speciale vincendo, e concludendo al 38esimo posto

Lo stradellino Davide Nicelli navigato da Tiziano Pieri

assoluto con un R1, in mezzo a vetture di categoria ben superiore alla nostra, con quasi 200 iscritti. Dopo questa vittoria ci troviamo al comando del trofeo Renault. Ora prenderò parte alla gara di casa, il rally 4 Regioni in cui testerò la nuova Clio

Rally 4 che al momento è stata testata solamente da Andreucci al Targa Florio e Marchioro al Benacus». di Piero Ventura



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Trofeo città di Biella in chiaroscuro per i pavesi Marco Bertinotti e Andrea Rondi si sono aggiudicati con la Porsche 911 RSR Gruppo 4 griffata Rally & Co. la gara e il Trofeo Città di Biella, davanti a Davide Negri e Roberto Coppa che, anch’essi a bordo di una 911 del 2° Raggruppamento dopo una gara tutta all’attacco. Terzi, al termine di una gara in costante progressione, chiudono Corrado Pinzano e Roberta Passone con la Subaru Legacy 4x4 Gruppo A con la quale si sono aggiudicati la classifica del 4° Raggruppamento. Il trio si è inoltre, spartito le otto prove speciali con quattro sigilli per Bertinotti e due ciascuno Negri e Pinzano. II vogherese Ermanno Sordi navigato da Davide Bozzo Rolando sulla Porsche 911 SCRS si è invece si è classificato al 16° posto assoluto, 8° di Raggruppamento 4 e 2° di classe, mentre Daniele Ruggeri e Martina Marzi con la piccola Fiat 127 Sport supportati da Bpo Service che ha la sua sede operativa nell’Oltrepò Pavese. Specializzata nella gestione e del recupero dei crediti e in tutte le tematiche fondamentali a supporto del business. L’equipaggio di Ruino, impegnato in una gara test dopo oltre un anno di stop, effettuata in vista del 4 Regioni, ha chiuso al 54° posto assoluto, 24° di Raggruppamento 3 e sesti di classe fino a 1150 cc. La Regolarità Sport é diventata invece feudo della coppia Marco Maiolo e Maria Teresa Paracchini che hanno infilato la quarta vittoria consecutiva con la Porsche 911 RSR. Partiti in maniera eccellente, alla fine del primo giro dopo tre prove erano solo 2 le penalità accumulate su tre prove per il duo del Rally Club Team: quanto bastava per metter già una seria ipoteca sulla vittoria con Roberto Viganò e Pieraldo Giacobino ad inseguire con la Fiat 850 Sport a 11 lunghezze e a 16 la Lancia Fulvia Coupè di Luca Fiore ed Elio Garelli, mentre in quarta posizione si portavano gli oltrepadani Roberto Rossetta e Stefano Delucchi con la Fulvia Coupè 1.3S by Paviarally, i quali ben presto agguantano il podio assoluto provvisorio e il primato di Divisione 4. Maiolo prosegue la marcia e nel finale tre colpi di scena privano il possibile podio, prima di Viganò, ritirato, e poi di Fiore che paga una penalità e scivola nelle retrovie e infine ai nostri RossettaDelucchi fermati da un problema ai freni. Via libera quindi per la Lancia Fulvia di Ernesto Gemme e Giancarlo Graziani che si piazzano al secondo posto precedendo la Peugeot 205 Gti di Luca Maielli e Giovanni Gambino, terzi assoluti. di Piero Ventura

Il vogherese Ermanno Sordi

L’Equipaggio di Ruino Ruggeri - Marzi

Roberto Rossetta e Stefano Delucchi

Kart Cross: Canzian sul gradino più alto del podio Si sono svolti al Maggiora off-road Arena i round 3 e 4 del campionato italiano Rallycross. Nella categoria Kart cross, c’è stata la prima meritata vittoria per Riccardo Canzian (Speedcar Xtreme – Scuderia Errerossa) che si è imposto in una combattutissima finale in 4’34”084. Sul suo Speedcar nero, n° 616, il driver di Broni ha dato una zampata al campionato avanzando di 3 posizioni grazie ai 195 punti conquistati nelle qualifiche. Il capolavoro, Canzian, lo compie nel round 4 chiuso al top salendo con grande soddisfazione dopo essersi battuto come un leone durante le qualifiche e facendo stravedere in semifinale e finale emergendo in una lunga lista di iscritti composta da piloti italiani e stranieri, dimostrando che il suo posto è tra i migliori del lotto. Seconda posizione, a soli 0”404, per Simone Firenze (Semog Bravo Sport), che ritorna ancora sul podio. Incredibile il terzo posto di Marco Berniga: qualificatosi per il rotto della cuffia in finale, il pilota del Planet Kart Cross K3, è riuscito a sorpassare Marcello Gallo all’ultima curva, andandosi a prendere un insperato podio. Ora Riccardo Canzian sarà impegnato al Rally 4 Regioni, mentre per il Kart Cross,

Riccardo Canzian in Azione (foto M. Costa)

il prossimo appuntamento è fissato per il 31 luglio/1 agosto al Castelletto Circuit di Castelletto di Branduzzo: una prova che sarà sicuramente interessante visto che avrà coefficiente 1,5 e sarà anche va-

lida per il Campionato Austriaco e per il Campionato FIA CEZ (Central European Zone). di Piero Ventura




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