La ricamatrice di segreti

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Kate Alcott LA RICAMATRICE DI SEGRETI

Romanzo


Titolo originale The Dressmaker

ISBN 978-88-6702-031-7

Traduzione di Roberta Zuppet

Per essere informato sulle novita` del Gruppo editoriale Mauri Spagnol visita: www.illibraio.it www.infinitestorie.it

Progetto grafico: PEPE nymi In copertina: foto g Katya Evdokinova/Arcangel Images; foto g Zahradales/Shutterstock; rielaborazione grafica PEPE nymi

Copyright g 2012 by Kate Alcott All rights reserved. Tre60 e` un marchio di TEA – Tascabili degli Editori Associati S.p.A. Gruppo editoriale Mauri Spagnol Copyright g 2012 TEA S.p.A., Milano

Prima edizione digitale 2012 Quest’opera e` protetta dalla Legge sul diritto d’autore. E` vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.


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Cherbourg, Francia, 10 aprile 1912

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ess tiro` gli angoli delle lenzuola fresche di bucato e cerco` d’infilarli per bene sotto il materasso, facendo un passo indietro per esaminare il risultato. Ancora qualche grinza e increspatura. La governante avrebbe sicuramente controllato, arricciato il naso e avuto qualcosa da ridire, ma ormai non aveva piu` importanza. Guardo` fuori della finestra. Stava passando una donna con uno splendido cappello impreziosito da un bellissimo nastro verde scuro, intenta a roteare un ombrellino rosso acceso, col volto radioso e con l’andatura disinvolta ed energica. Tess tento` d’immaginare se stessa che camminava con la medesima sicurezza senza che qualcuno la accusasse di alzare troppo la cresta. Sentı` quasi le dita che si chiudevano intorno al manico liscio e lucido dell’ombrellino. Dove stava andando quella donna? Torno` a concentrarsi sul letto sfatto. Doveva smetterla di fantasticare, non aveva un minuto da perdere. Uscı` nel corridoio centrale e si fermo` vedendo il proprio riflesso nel grande specchio dorato in fondo. Come sempre, i lunghi capelli castani le sfuggivano dalla crocchia, fissata alla bell’e meglio, anche quando il mento all’insu`, che spesso le conferiva un’aria sfrontata, restava basso. Non pote´ negare, tuttavia, la vergognosa realta` di cio` che vide: una ragazza


scheletrica, con un vestito nero e un grembiule bianco, che portava un mucchio di biancheria sporca e aveva una stupida cuffietta al centro della testa. Un’immagine di servitu`. Si strappo` la cuffietta e la scaglio` contro lo specchio. Non era una serva: era una cucitrice, e brava per giunta, e avrebbe dovuto essere pagata per il suo lavoro. Era stata convinta con l’inganno ad accettare quel posto. Getto` le lenzuola nel cesto della lavanderia e salı` in camera sua, al terzo piano, slacciandosi il grembiule. Ormai aveva deciso. Basta con le esitazioni! C’erano posti di lavoro disponibili sull’enorme nave che sarebbe salpata per New York quel giorno, avevano detto i portuali. Diede un’occhiata alla stanzetta. Niente valigia; la padrona di casa l’avrebbe bloccata sulla soglia se avesse scoperto che se ne stava andando. La fotografia di sua madre, sı`. Cosı` come i soldi e l’album degli schizzi con tutti i figurini. Si tolse l’uniforme, indosso` il suo abito migliore e infilo` sottovesti, biancheria intima e il suo unico altro vestito in un sacco di tela. Fisso` l’abito da ballo posato sulla macchina da cucire, i minuscoli fiocchi candidi di velluto riccio che aveva applicato con tanta meticolosita` sulla vaporosa gonna di seta blu. Avrebbe dovuto finirlo qualcun altro, qualcuno che venisse effettivamente pagato. Che altro? Nulla. Trasse un profondo respiro, cercando d’ignorare la voce di suo padre che le echeggiava nella mente: Non darti delle arie. Sei una ragazza di campagna, fa’ il tuo lavoro, sii umile. Hai un salario discreto; sta’ attenta a non rovinarti la vita con quella vena di ribellione. « Non me la rovinero`! Al contrario », sussurro` Tess. Tuttavia, anche quando si giro` e uscı` dalla camera per l’ultima volta, udı` quasi la voce di suo padre che la seguiva,


aspra e rabbiosa come sempre: Fa’ attenzione, sciocca ragazzina.

I tacchi degli stivaletti di Lucile affondavano nelle tavole di legno marcio e spugnoso mentre si faceva largo tra la folla al porto di Cherbourg. Si sistemo` ben bene la stola di volpe argentata intorno al collo, crogiolandosi nella morbidezza lussuosa della folta pelliccia, e sollevo` la testa attirando molti sguardi, alcuni colpiti dai suoi vistosi capelli rossi, altri dalla sua identita`. Lancio` un’occhiata alla sorella, che si avvicinava a passo spedito canticchiando una nuova canzone e roteando l’ombrellino. « Ti piace fare lo spirito gaio, vero? » la apostrofo`. « Cerco di essere cordiale », mormoro` l’altra. « Non ho bisogno di competere con te; puoi prenderti tutta l’attenzione », ribatte´ Lucile con la sua voce piu` roca e altezzosa. « Oh, smettila, Lucy. Nessuna delle due puo` lamentarsi da questo punto di vista. La verita` e` che ultimamente sei irritabile. » « Se dovessi presentare una collezione primaverile a New York tra qualche settimana, saresti irritabile anche tu. Sono molto preoccupata per tutti questi discorsi sulle donne che si tirano su la gonna e si appiattiscono i seni. Tu invece devi soltanto scrivere un altro romanzo su di loro. » Superarono a fatica dozzine di valigie e bauli, le cui cerniere di ottone scintillavano nella luce sempre piu` fioca, mentre le loro gonne di lana pregiata, strisciando, raccoglievano strati di polvere. « E` vero, i miei ferri del mestiere sono assai meno ingombranti dei tuoi », ammise vivacemente Elinor.


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« Puoi ben dirlo. Sono costretta a partire perche´ non ho nessuno di abbastanza competente cui affidare la direzione della sfilata, percio` devo andarci di persona. Dunque, per favore, non essere frivola. » Elinor chiuse l’ombrellino di scatto e fisso` la sorella, inarcando un sopracciglio perfettamente curato. « Lucy, volevo solo fare una battuta. Sono qui per augurarti buon viaggio e salutarti quando la nave salpera`. Vuoi che me ne vada subito? » Lucile tiro` un profondo sospiro, facendo una pausa calcolata. « No. Vorrei soltanto che venissi con me. Mi mancherai. » « Non potrei chiedere di meglio, ma il caporedattore rivuole le bozze corrette entro la fine della settimana. A ogni modo, hai Cosmo. E` un tale tesoro, benche´ non apprezzi la poesia. » Elinor aveva ritrovato il suo tono allegro. « Un piccolo difetto. » « E` un amore, e il dono migliore che ti abbia fatto e` il titolo nobiliare. E` forse una cosa troppo grossolana? Ma e` vero che non ha nessuna sensibilita` letteraria... » Elinor sospiro`. « E sa essere noioso. » « Sciocchezze. » « Lo sai meglio di me. A proposito, dove si e` cacciato? » Lucile scruto` la folla, cercando la figura alta e spigolosa di Sir Cosmo Duff Gordon. « Questo ritardo e` esasperante. Se c’e` qualcuno che sa far funzionare le cose in modo efficiente e puntuale, e` Cosmo. » « Certo. E` il suo lavoro. » Lucile le scocco` un’occhiataccia, ma Elinor stava guardando altrove con espressione innocente.


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Sulla collina, lontano dal cantiere navale, tra le disarmoniche ville di mattoni sulle scogliere della costa normanna, Tess stava scendendo in salotto. La aspettava la padrona di casa, un’inglese compita con le labbra cosı` sottili da sembrare una riga disegnata. « Vorrei la mia paga, per favore », disse Tess nascondendo il sacco tra le pieghe della gonna. Adocchio` la busta sul tavolino nell’angolo accanto alla porta e si diresse da quella parte. « Non hai finito il mio abito per il ballo, Tess. E questa mattina mio figlio non ha trovato nemmeno un asciugamano nello stanzino in corridoio », affermo` la donna con un tono piu` lamentoso del solito. « Ora ce ne sono in abbondanza. » Tess non intendeva tornare di sopra. Non sarebbe mai piu` entrata nello stanzino della biancheria, dove aveva dovuto sottrarsi piu` volte alle avide dita filiformi del ragazzo. Quella busta era sua; c’era scritto sopra il suo nome, e lei non sarebbe rimasta ad ascoltare la solita sfilza di lamentele prima di riceverla. Si avvicino` al tavolino. « Sempre le stesse scuse. Vado immediatamente di sopra a controllare. » La donna si fermo` quando vide la giovane allungare la mano verso la busta. « Tess, non te l’ho ancora consegnata! » « Forse no, ma me la sono guadagnata », replico` la ragazza, soppesando le parole. « La scortesia non e` qualcosa di cui andare fieri, Tess. Sei stata molto scontrosa negli ultimi tempi. Se tocchi quella busta prima che sia io a dartela, con me hai chiuso. » Tess trasse un profondo respiro e, con un lieve senso di vertigine, prese la busta e se la strinse al petto, come se temesse che gliela portassero via. « Allora ho chiuso. » Senza aspettare la risposta, aprı` l’uscio riccamente ornato – che


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non avrebbe mai piu` dovuto lucidare – e s’incammino` verso il porto. Dopo tanto fantasticare e rimuginare, era arrivato il momento.

Il molo era coperto di alghe scivolose. Col cuore che le martellava nel petto, Tess si fece largo tra la folla e il caos, respirando a fondo l’aria frizzante del mare. Ma dov’erano i cartelli con le offerte di lavoro? Si avvicino` a un uomo con un’uniforme dai grossi bottoni d’ottone e domando`, prima in un francese stentato e poi in un inglese spasmodico, chi si occupasse di assumere il personale per le pulizie e la cucina sulla grande nave. « E` in ritardo, mia cara, la servitu` e` al completo e i passeggeri s’imbarcheranno tra poco. E` stata sfortunata, temo. » E le volto` le spalle. Per quanto Tess potesse cercare di sorridere, il suo piano stava andando in fumo. Idiota. Sarebbe dovuta andare prima. E ora? Tento` d’ignorare il senso di vuoto e provo` a riflettere. Trova delle famiglie; cerca dei bambini. Sarebbe stata una brava bambinaia. Avere sette fratelli e sorelle piu` piccoli non era forse un bel bagaglio di esperienza? Se ne sarebbe andata, su quello non c’erano dubbi; doveva solo individuare la persona giusta e dire le cose giuste, poi sarebbe partita. Non intendeva assolutamente restare in trappola; sarebbe fuggita a ogni costo. Ma nessuno le diede retta. Due anziani coniugi inglesi arretrarono quando chiese loro se avessero bisogno di una dama di compagnia per il viaggio. Quando si rivolse a una famiglia con bambini offrendo i propri servigi, i genitori la guardarono di traverso, scossero educatamente il capo e si al-


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lontanarono. Che cosa si aspettava? Doveva sembrare disperata, coi capelli arruffati e con tutto il resto.

« Lucy, guarda quella ragazza laggiu`. » Elinor punto` un dito delicato dall’unghia laccata verso la povera Tess. « Buon Dio, e` uno splendore. Occhi grandi, magnifici. Guarda come corre qua e la` parlando con le persone. Credo stia cercando di salire sulla nave. Pensi che stia fuggendo da qualcosa? Dalla polizia, forse? O da un uomo? » « Non ne ho idea, ma sono certa che ne trarrai una storia avvincente. » Scorgendo Cosmo, Lucy agito` la mano. Come al solito, suo marito aveva un’aria un po’ distaccata, uno sguardo freddo, un contegno impassibile; sempre padrone di se´. Aveva alle calcagna un fattorino impaurito. « Lucile, c’e` un problema... » esordı` Cosmo. « Lo sapevo. Si tratta di Hetty, vero? » Lucy contrasse la mandibola. « Dice che non puo` venire. Sua madre e` malata. » Il fattorino si piego` quasi in un inchino nervoso, e non c’era da sorprendersi, perche´ ormai Lucile aveva un diavolo per capello. « Di’ a quella ragazza che non puo` tirarsi indietro all’ultimo minuto. Chi pensa di essere? Se non sale a bordo con noi, e` licenziata. Gliel’hai detto? » Lo fulmino` con lo sguardo. « Sı`, Madame. » Tess udı` il trambusto e si fermo` vedendo le due donne. Poteva essere? Sı`, una di loro portava lo stesso magnifico cappello col meraviglioso nastro verde che aveva visto dalla finestra; era proprio la`, intenta a picchiettare sul terreno col medesimo ombrellino rosso. « Che pretesto insulso! » La voce acuta dell’altra signora la fece trasalire. Qualcuno, forse una serva, non si era presenta-


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to in tempo per la partenza, e la donnina coi capelli rosso vivo e col rossetto cremisi era furibonda. Incuteva soggezione. Il viso marcato e immobile le conferiva un’aria intransigente, e gli occhi distanziati parevano capaci di passare dalla dolcezza alla crudelta` in pochi secondi. In quel momento, di dolcezza non c’era nemmeno l’ombra. « Chi e`? » chiese Tess a un giovanotto del gruppetto riunito la` accanto. Le tremava la voce. Nulla stava andando per il verso giusto. « Non lo sai? » Tess guardo` ancora la signora, notando che i passanti rallentavano, sussurrando e lanciandole sguardi di ammirazione. Sı`, aveva qualcosa di familiare. « Oddio! E` Lucile Duff Gordon! » trasalı`. « Esatto. Haute couture. E l’altra donna e` sua sorella, Elinor Glyn. Viene da Hollywood, scrive romanzi. Alcuni piuttosto scandalosi, a dire il vero. » Tess non stava piu` ascoltando. Quella signora adirata era la stilista piu` famosa del mondo, una creatrice di moda di cui aveva visto gli abiti favolosi nei giornali, ed era a pochi metri da lei. La sua occasione... Quella era la sua occasione. « Lady Duff Gordon, non credo ai miei occhi », proruppe spingendosi avanti. « La ammiro moltissimo. E` davvero geniale. Ho visto le fotografie dei suoi modelli, sono favolosi. » Parlava a vanvera, ma non le importava. Voleva solo l’attenzione di Lucile. L’altra non la degno` neppure di un’occhiata. « Mi piacerebbe lavorare per lei. Me ne intendo di vestiti. Sono una sarta, e molto brava per giunta; potrei esserle di grande aiuto. » E poi penso` affannosamente: cosa avrebbe potuto aggiungere? « Sono imbattibile con le asole... Qualunque cosa le serva. Per favore... »


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« E` disperata, te l’avevo detto », ridacchio` Elinor, raddrizzandosi il cappello elegante. Lucile guardo` Tess. « Sai di che lavoro si tratta? » La giovane esito`. « Cameriera personale. T’interessa ancora? » « Altroche´. » Qualsiasi cosa, qualsiasi cosa pur di salire sulla nave. Lavorare per Lady Lucile sarebbe stato un’opportunita` incredibile. « Dove lavori attualmente? Che cosa fai? » « Ecco... sono a servizio in una casa a Cherbourg. E faccio la sarta. Le mie clienti sono molto soddisfatte. » « Una specie di serva. Non mi sorprende », mormoro` Elinor. Lucile la ignoro`. « Come ti chiami? » « Tess Collins. » « Tessie? » « No. Tess. » « Sai leggere e scrivere? » « Certo! » La giovane era indignata. Lady Duff Gordon si stupı` di quel lampo di combattivita`. « Referenze? » « Me le faro` spedire. Tutto cio` che desidera. » « In mezzo all’Atlantico? » « Ci sono sempre i marconigrammi. » Tess l’aveva letto da qualche parte e si auguro` di non aver detto una scemenza. Lucile era stanca del botta e risposta. « Mi dispiace, non so nulla di te. Non se ne fa niente. » Si volto` verso Cosmo. Disperata, Tess ebbe un’idea. « Guardi, per favore, guardi. » Si aprı` il colletto del vestito. « Questo l’ho fatto io. Ho cercato di copiarlo dalla fotografia di uno dei suoi abiti che ho ritagliato da un giornale. E` una misera imitazione, naturalmente, ma... » « Non male. Molto elaborato. Insolito per una serva », com-


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mento` Elinor sbirciando il colletto. Era ben confezionato; una striscia di lino inamidata che si poteva portare aperta o chiusa, cucita con estrema cura. Lucile guardo` ancora Tess, quindi tocco` il colletto. Era una delle sue creazioni migliori. La ragazza l’aveva tagliato in perfetta proporzione col vestito e l’aveva cucito a mano; sul tessuto non c’era neppure una grinza. « L’hai fatto tu, hai detto? » « Esatto. » « Chi ti ha insegnato a cucire? » « Mia madre, che e` bravissima. » Tess drizzo` la schiena, orgogliosa. « Sono famosa in tutta la contea. E mi taglio da sola i modelli. » « Tutti sanno tagliare, mia cara. Basta avere un paio di forbici. Presumo che intendessi dire ’disegno i modelli’. » Lucile allungo` la mano senza chiedere il permesso e le sollevo` la manica dell’abito, notando la squisitezza degli inserti. « Sı`. Disegno e cucio. Faccio tutto. » « Il tuo datore di lavoro ti paga? » « Non per i vestiti. Ma sono brava, e merito di essere pagata. » Forse aveva esagerato. Fece un bel respiro e continuo`: « Voglio lavorare per lei. E` la migliore stilista del mondo, e stento a credere di aver avuto la fortuna di conoscerla. I suoi abiti sono una fonte d’ispirazione. Chi sa disegnare come lei? Per favore, mi dia una chance. Non se ne pentira` ». Lucile la fisso` con espressione indecifrabile. Le brillo` una luce negli occhi mentre i curiosi tutt’intorno si zittivano, aspettando di vedere cosa sarebbe successo. « Forse e` un po’ troppo intraprendente per te. Non si puo` mai sapere. Potrebbe non essere cio` che sembra », sussurro` Elinor. Il volto di Lucile non cambio` nemmeno quando l’accenno


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di un sorriso le curvo` le labbra. « Forse. Ma in tal caso potrei tenere i gioielli chiusi nella cassaforte della nave, giusto? » Si rivolse a Tess. « Ti accontenti di fare la cameriera? Non ho altro da offrirti. » « Faro` tutto cio` che desidera. Voglio solo avere la possibilita` di dimostrare quel che valgo, e di lavorare per lei. » Sı`, sı`, avrebbe fatto qualunque cosa. Non avrebbe fantasticato ne´ raggrinzito gli angoli delle lenzuola; avrebbe lavorato sodo, imparato e cambiato la propria vita. Faticava a respirare. Sentı` i cardini del destino che cigolavano, una porta che si apriva... O che si chiudeva? Fa’ che dica di sı`, prego`. « Proprio tutto? » Tess raddrizzo` le spalle. « Nei limiti del rispettabile, s’intende. » Lucile la squadro`, registrando i capelli castani arruffati, gli zigomi alti e arrossati, il mento all’insu`, gli stivaletti consunti con un laccio rotto. « Presto c’imbarcheranno. Sei disposta a partire tra un’ora o giu` di lı`? » « Sı`, anche subito. » Tess scandı` accuratamente le parole. Una sola possibilita`. Non sprecarla, penso`. Il gruppetto intorno a Lucile parve trattenere il respiro. La stilista esito` ancora per un istante. « D’accordo, sei assunta. Come cameriera, beninteso. » « Non e` una decisione un poco impulsiva, Lucy? » intervenne Elinor, stupita. Sua sorella non rispose, continuando a fissare Tess come se avesse gli occhi puntati nel vuoto. « Grazie. Non se ne pentira` », disse Tess con voce tremante, cercando di non lasciarsi intimidire dal suo sguardo implacabile. « Dovrai avere l’abbigliamento adatto al tuo ruolo, che tu


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sia istruita oppure no. Mi chiamerai ’Madame’. E porterai la cuffietta. » Lucile aveva ritrovato la sua sicurezza. Indico` Cosmo. « Mio marito, Sir Cosmo, si occupera` dei dettagli. » Tess sorrise cautamente all’uomo alto e magro coi baffi folti e ben curati, che fece un passo avanti per parlarle. Dopo averle rivolto alcune domande, confabulo` sottovoce con un funzionario della White Star Line. Si trattava solo del viaggio di una serva: non era necessario il passaporto. Non ci sarebbero stati problemi da quel punto di vista, vero? Conclusero la chiacchierata con una vigorosa stretta di mano. Tess espiro` cosı` a fondo da avere le vertigini. Sı`, la porta si stava aprendo.

Si aggrappo` alla ringhiera, seguendo Lady Duff Gordon giu` per gli scalini sdrucciolevoli verso una scialuppa sudicia e un po’ fragile. Un uomo zelante con l’uniforme della White Star li aveva informati che la nave era troppo grande per le acque poco profonde del porto di Cherbourg, cosı` avrebbero dovuto raggiungerla con quella scialuppa. Quanto poteva essere gigantesco il transatlantico se, quand’era partito da Southampton, aveva provocato un’ondata che aveva rotto gli ormeggi di un’altra nave? Tess scruto` la nebbiolina grigia, ansiosa di vederlo per la prima volta. La foschia si dirado`. Ed eccolo, cosı` alto, orgoglioso e altero che pareva dominare il mare. Quattro enormi fumaioli che si allungavano con grazia verso il cielo. Nove ponti, e per contarli Tess fu costretta a piegare il collo fino a sentire male. Non c’era da meravigliarsi che si chiamasse Titanic. Le persone che si erano arrampicate per agganciare la scialuppa alla nave sembravano gia` minuscole, come formichine laboriose. Un marinaio le allungo` la mano, invitandola a issarsi sulla


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passerella. Lei obbedı`, concentrandosi sulla necessita` di mettere un piede davanti all’altro. Stava succedendo; ormai non era piu` possibile tornare indietro. Addio al Sussex, addio a quell’odiosa inglese con la faccia da prugna secca e a quell’assatanato di suo figlio, addio a ogni cosa. Anche a casa sua, alla mamma, ai fratelli e alle sorelle che forse non avrebbe mai piu` rivisto. Ebbe un fremito al cuore; mosse un altro passo, piu` deciso. Arrivo` in cima. Piu` avanti, un uomo col mento finemente scolpito e una donna avvolta in una mantellina di pelliccia bianca salirono a bordo e si fermarono per abbracciarsi. Che bel gesto spontaneo. D’un tratto, l’uomo – le cui mani rugose dimostravano che non era giovane com’era parso di primo acchito – fece piroettare la donna con un movimento agile che la porto` a ridere di gioia tra le sue braccia. I due si allontanarono a passo leggero tra qualche applauso. Che fossero ballerini? Davanti a Tess c’era un tale con un volto attraente e irrequieto, dominato da una mascella pronunciata e da un sottile naso aquilino. Teneva le mani nelle tasche di un impeccabile cappotto di cashmere marrone chiaro. I suoi occhi parevano offuscati. Dall’infelicita`? I capelli cominciavano a ingrigire sulle tempie. Sara` sulla quarantina, ipotizzo` Tess. Un uomo d’affari, che consultava senza sosta l’orologio. Sembrava immerso in un mondo tutto suo e non reagı` al piccolo spettacolo davanti a se´, fermandosi solo per un istante a guardare la coppia felice con quella che Tess interpreto` come una punta di malinconia. « Si sbrighi, signorina. » Il tizio alle sue spalle aveva una voce dura, spazientita. Tess si volto`; aveva l’aria di un personaggio molto importante. « Benvenuto, signor Ismay. » Un ufficiale gli tese la mano.


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« E` un onore avere a bordo il presidente della White Star. Posso prometterle che raggiungeremo New York in un tempo da record. » Bruce Ismay borbotto` qualcosa; Tess penso` che assomigliasse a una gru alta e ossuta. Allungo` il passo per non intralciarlo. Dalla scialuppa, Lucile ed Elinor osservavano la ragazza. « Non credo sia portata per fare la serva, Lucy. Non ha neppure aspettato che la grande Lady Duff Gordon la precedesse. Mi piace il suo temperamento », ridacchio` Elinor. « La mettero` alla prova con orli e bottoni. Se non sara` all’altezza, la caccero` non appena sbarcheremo a New York. » « Hai un secondo fine. Ti conosco. Ogni tanto ci vuole un po’ di pepe nella vita. Io continuero` a scrivere di passioni illecite e tu continuerai a disegnare i vestiti che indosserebbe una mantenuta. » Elinor la abbraccio`. « Elinor... » « Oh, lo so, sono destinati a donne dignitose e celebrita` di ogni tipo. Non sono stata gentile a venire fino alla nave per salutarti? » « Volevi solo vedere il Titanic da vicino. » Lucile sorrise, ricambiando l’abbraccio. Aggrotto` le sopracciglia. « Sei troppo magra. Riesco a contarti le costole. Non te ne sarai fatta asportare chirurgicamente qualcuna, vero? » « Sciocchezze. Sai meglio di me che lo fanno solo le pazze e che io non sono una di loro. » « Non porti il corsetto. » « Be’, su questo hai ragione. Ho rinunciato alle stecche di balena. Buona fortuna, e torna presto. » Il tono di Elinor passo` da dolce a beffardo. « Madame... » « Mi conferisce il giusto rispetto », la rimbecco` Lucile. « Non farti illusioni. »


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« Staremo a vedere. » Un po’ soprappensiero, Lucile fisso` la giovane cameriera, che ormai era in cima alla passerella. « Hai occhi solo per quella ragazza, cara. Saluta la tua affettuosa sorella. » « Oh, chiudi il becco. » Lucile rise e le stampo` un bacio rosso vivo sulla guancia, quindi s’incammino`.


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