[Anteprima] Code 2-18: Intermission Two - FOG of War

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CODE 2-18 - INTERMISSION TWO -

FOG OF WAR

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Questo racconto è un’opera di fantasia. Ogni riferimento a fatti, persone o organizzazioni realmente esistiti o esistenti è puramente casuale. Nonostante la storia sia ambientata in luoghi reali, questi sono stati spesso modificati e riadattati per esigenze narrative.

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Kasdeya non esiste più, sconfitta da Delayenne e annientata dalla bomba di Leonard. Il mondo ritorna alla cupa, interminabile routine bellica a cui è stato costretto ad abituarsi. Ai margini del conflitto globale, un generale americano estromesso dal suo incarico operativo pianifica il ritorno sul campo di battaglia, nell’assordante silenzio delle operazioni speciali clandestine e sotto copertura. Missioni con obiettivi da colpire con precisione chirurgica, ma dalle conseguenze devastanti. Operatori costretti all’invisibilità totale, non solo agli occhi del nemico, ma anche a quelli dei loro stessi commilitoni e superiori diretti. Nessuna prima linea e nessuna retrovia, nessun alleato e nessun supporto... Nessuna paura. Nessun problema. FOG OF WAR narra la genesi dell’organizzazione clandestina destinata, un giorno, a salvare il mondo intero.



FOG OF WAR



Capitolo 1 Gli Istruttori

5 luglio 2012, ore 15:23 locali Berlin-Tempelhof CA, Germania Il sergente di prima classe Cunningham aveva sorvolato l’Atlantico a bordo di un aereo cargo Globemaster III, assieme a una compagnia di veterani della 10° Divisione di Montagna in fase di rischieramento presso i campi di battaglia europei. Il resto del vano di carico era ingombro di rifornimenti bellici e pezzi di ricambio per elicotteri d’attacco Apache. La 10° di Montagna era l’unità presso la quale Brian Cunningham aveva iniziato la sua carriera militare, quindi si era ritrovato in buona compagnia: molti di quei soldati avevano servito sotto i suoi stessi comandanti di allora, o erano stati addestrati dagli stessi istruttori. Incontrò addirittura un paio di ex commilitoni della sua vecchia Compagnia. Il viaggio era stato un continuo scambio di ricordi e aneddoti, i più strani e i più divertenti, a parte le due ore abbondanti di sonno che Brian si era concesso verso la fine del volo, interrotte proprio dalla manovra di atterraggio. Il portellone posteriore del quadrimotore da trasporto era calato sull’asfalto della pista dell’aeroporto Berlino-Tempelhof, i soldati avevano

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recuperato armi e bagagli personali, ed erano sbarcati con ordine a terra. Indossavano tutti lo stesso tipo di mimetica digitale, ma Brian spiccava su tutti gli altri. Testa rasata di fresco, alto, e molto più massiccio della maggior parte di loro, scarponi da montagna Salomon al posto degli anfibi Belleville standard, e soprattutto i simboli delle Forze Speciali sulla manica sinistra dell’uniforme. Quando poi tirò fuori il suo Green Beret da una tasca laterale dei pantaloni e lo indossò con orgoglio, chiunque avesse dato anche solo un veloce sguardo alla formazione militare si sarebbe subito accorto che quel sergente non ne faceva parte. Brian salutò con discrezione i suoi nuovi e vecchi amici della 10° Divisione, mentre gli ufficiali li smistavano fra i tre autobus che erano venuti a prelevarli, poi si diresse a passo sicuro verso un’automobile “civile” parcheggiata oltre uno dei cancelli di accesso alle piste. Ad attenderlo accanto alla berlina Ford c’era un ufficiale donna dai capelli corvini e dagli occhi azzurri, con indosso una strana mezza maschera respiratoria e la divisa ordinaria estiva, versione gonna nera e camicia bianca. Brian si liberò la mano destra dal borsone che trasportava, passandoselo nella sinistra, e la salutò militarmente. «Buon pomeriggio, maggiore De Céline.» «Benvenuto in Germania, sergente Cunningham.» Lo accolse lei, rispondendo velocemente al saluto e aprendo il bagagliaio della sua vettura di servizio. «Mi aspettavo facesse più caldo...» Commentò il sottufficiale, caricando a bordo i suoi bagagli: due

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borsoni da viaggio civili e un enorme zaino mimetico. «Dopotutto l’estate è pur sempre l’estate.» «Ma la Germania è pur sempre la Germania.» Rispose serafica Beatrix, prendendo posto al sedile di guida. Vasto complesso di boschi e radure, aule d’istruzione e dormitori, il Final Military Training era dislocato appena fuori Berlino. Un pezzettino di Länder concesso all’US Army, dove i soldati freschi di addestramento di base potevano sperimentare un assaggio delle condizioni di impiego reali, che avrebbero di lì a poco affrontato presso il fronte europeo. E fino a quel momento l’iniziativa si era dimostrata proficua, l’efficacia delle squadre di novellini schierate in ambito operativo era aumentata in misura tangibile. Beatrix arrestò la Crown Vic di fronte alla palazzina di comando dell’FMT, senza però spegnere il motore. Scese dal veicolo, imitata dal sergente Cunningham. «Devo ritornare al mio posto e concludere il turno, per non destare troppi sospetti.» Disse lei. «L’auto è sua, sergente. Si può sistemare presso l’Edificio 47 assieme agli altri membri dell’unità: in fondo a questa strada, a destra, oltre un cancello e avanti nel bosco per circa un chilometro.» «Roger. Mica dovrà farsela a piedi lei, no?» «Di recente ho acquistato un’auto privata, visto che, a quanto pare, ci toccherà restare ancora a lungo da queste parti. Questo veicolo d’ora in poi rimarrà a disposizione della squadra.» «Ci possiamo accontentare.» Rispose lui con tono sprezzante. «A più tardi, sergente di prima classe.» 11


Brian la osservò mentre si allontanava: il maggiore faceva la sua bella figura, con indosso la gonna dell’uniforme. Il sottufficiale delle Forze Speciali risalì in auto, sul sedile del guidatore stavolta, e ingranò la marcia “drive” sul cambio automatico. Si rese però conto che non aveva prestato molta attenzione alla indicazioni stradali ricevute dall’intrigante ufficiale, distratto un po’ dalle sue gambe e un po’ da quella sua strana maschera respiratoria. Brian tirò giù il finestrino e colse l’occasione per interpellare una recluta di passaggio. «Ehi, soldato. Vieni qui.» «Sissignore!» Accorse il giovane. «Signore? Ti sembro forse un ufficiale?» Sbraitò Cunningham, in vena di recitare la parte del sottufficiale anziano un po’ stronzo.» «Noss- No, sergente!» «Soldato, sai dove si trova l’Edificio 47?» «Si tratta di un test, sergente?» «Certo che sì. Se non sei in grado di rispondere correttamente ti faccio sbattere fuori dalla tua unità e ricominciare il Basic dall’inizio.» «Io... Io... Sergente, i numeri 40 sono tutti nel quarto settore, laggiù...» Rispose, indicando una via traversa che proseguiva oltre un cancello aperto. «Posso scoprirne l’esatta ubicazione, mi dia un minuto, sergente.» «Lasciamo stare, levati dai piedi. Oggi mi sento particolarmente magnanimo, te la cavi con venti piegamenti sulle braccia. Giù e pompa, recluta.» Brian pigiò l’acceleratore e si allontanò sgommando, lasciando la confusa ma obbediente recluta a fare flessioni sul vialetto d’ingresso alla palazzina di comando. 12


Il manto stradale di quell’ultimo tratto era un disastro, scolorito dal sole e screpolato da decenni di intemperie e sbalzi termici stagionali. Poi, quando ormai il sergente Cunningham temeva di essersi perso da qualche parte nel bosco, gli alberi si diradarono e comparve un caseggiato a due piani dalla facciata grigiastra, con vecchi infissi verdi bisognosi di una nuova mano di pittura. Architettura semplice e per nulla elegante, tipica della Guerra Fredda. L’edificio doveva risalire agli anni ‘80 e doveva essere rimasto inutilizzato per parecchio tempo. Brian parcheggiò l’automobile di servizio accanto a una Crown Vic blu identica alla sua e a un fuoristrada militare Hummer. Recuperò i suoi bagagli e varcò l’ingresso del Gebäude 47, come recitava la scritta scolorita a lato del portone. Attraversò l’atrio e salì al primo piano senza incontrare anima viva, trovò invece un corridoio con una serie di porte contrassegnate da foglietti di carta, attaccati con nastro isolante da elettricista. Sopra era stato scritto frettolosamente a pennarello nome e grado degli occupanti delle camere. Trovò il biglietto “SFC Cunningham”; entrò nella stanza che gli avevano assegnato e buttò sulla branda lo zaino e le sacche da viaggio, tirando un sospiro di sollievo. Non perché trascinarsi dietro i suoi ingombranti bagagli l’avesse sfiancato, bensì perché aveva potuto constatare che l’interno della camera era già stato ristrutturato e ripulito da cima a fondo, restava ancora un leggero sentore di pittura fresca. Di trascorrere le settimane successive in una topaia squallida come lasciava intendere l’esterno dell’edificio ne avrebbe fatto volentieri a meno. 13


Uscì dalla camera in cerca di qualche segno di vita e subito si imbatté in un altro soldato in mimetica, un volto conosciuto, che però Brian non pensava avrebbe rivisto così presto. Dietro i suoi lineamenti giovanili e puliti, i capelli corti e ben pettinati, e uno sguardo affilato che metteva soggezione, si celava uno dei più letali combattenti plasmati dal fuoco di quella guerra infinita. «Signor maggiore.» Si stupì Brian, irrigidendosi d’istinto. «Buongiorno sergente.» Disse il maggiore Luke Andrew, porgendogli la mano destra. «Vedo che hai già preso possesso del tuo alloggio.» «Sissignore, qui tutto in ordine. Invece non mi è ancora molto chiara questa cosa, questa convocazione. Cioè, il motivo per cui ci troviamo qui.» «Perfetto, dato che si suppone trattarsi di un’operazione segreta. Ci stiamo riunendo al piano terra in attesa dell’arrivo del generale, per il primo briefing orientativo. Chissà, forse cominceremo ad avere qualche risposta alle nostre domande.» «Ci tengo a specificare che sono venuto fin quaggiù soltanto perché è stato lei a propormelo, maggiore. Non mi fido di quella Menškov, soprattutto dopo quello che ci ha fatto passare a Roma.» «Siamo in due allora.» «In ogni caso, sono comunque onorato di poter servire ancora al suo fianco... A proposito, ho qui una cosa per lei.» Brian fece scorrere la zip di un tascone laterale dello zaino e recuperò una piccola valigetta in plastica nera antiurto, la aprì e impugnò la pistola semiautomatica custodita al suo interno. Si trattava di una Para-USA P14.45 BlackOps, cioè una copia di 1911 calibro .45 con il fusto allargato per 14


accomodare un caricatore bifilare, a capienza raddoppiata rispetto alle sette cartucce della Colt originale. Il sottufficiale delle Forze Speciali tirò indietro il carrello e lo bloccò con l’apposita leva, prima di rigirarsi l’arma sull’indice e presentarne l’impugnatura al maggiore Andrew. «Credo che questa appartenga a lei, signore.» Lui si concesse un raro sorriso. «Tienila pure, sergente. È un regalo.» «Sarebbe dovuta essere un regalo di addio, ma a quanto pare le tocca avere di nuovo a che fare con il sottoscritto... È un po’ sprecata al cinturone di uno come me, dato che mi è richiesto di abbattere gli obiettivi a un chilometro di distanza. Conoscendo il suo stile di combattimento, ne farebbe di sicuro un utilizzo migliore.» «Nessun problema, ho già trovato un rimpiazzo.» Replicò Luke, dando un paio di colpetti alla fondina che portava alla cintura, e alla semiautomatica H&K al suo interno. Aveva deciso di conservare la USP45 Compact Tactical adoperata per la missione a Solovki. «Quindi siamo autorizzati a girare armati.» «Sì, autorizzati ma non obbligati, dato che siamo abbastanza lontani dalla linea del fronte. E ovviamente soltanto all’interno del perimetro della base: non ci è permesso portare armi in città. Se ti va, puoi caricare già adesso la P14 e portartela dietro mentre scendiamo.» Brian scosse il capo mentre rimetteva via la pistola. «Con me ho solo un caricatore vuoto e zero proiettili, politiche di volo del Comando Traporti Aerei dell’USAF. La cosa ridicola è che assieme a noi soldati avevano imbarcato pure un enorme pallet

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pieno di nastri di munizioni, e chissà quanta altra merda dirompente... Signore.» «Vedremo di rimediare al più presto allora.» Concluse il maggiore, incamminandosi verso le scale. La maggior parte dei corridoi e dei locali del palazzetto erano ancora in stato pietoso, se non altro luce, acqua e servizi erano stati ripristinati. La sala briefing dove i membri della squadra si erano riuniti era a malapena praticabile. In origine doveva essere stata pensata come sala d’istruzione: era provvista di lunghi tavoli disposti a mo’ di banchi e relative sedie, con un largo pannello a muro posizionato di fronte. L’ambiente era a malapena rischiarato da un numero insufficiente di lampadine, era ancora tutto da ristrutturare, ma era già stato ripulito a fondo in vista della loro riunione. Brian e Luke fecero il loro ingresso dalla porta posteriore, facendo voltare le teste dei militari che li avevano preceduti. Ai banchi c’era spazio per almeno una trentina di reclute, ma in quel momento c’erano soltanto altri due uomini, seduti davanti in seconda fila. A differenza dei soldati, vestivano mimetiche MARPAT del Corpo Marine e felpe leggere color sabbia. Uno dei due portava in testa un consunto berretto da baseball, l’altro aveva capelli biondi cortissimi e un accenno di cresta moicana. I marine fissarono di sottecchi i soldati, senza accennare ad alzarsi in piedi o anche solo rivolger loro la parola. Ricevettero il medesimo trattamento, poi tornarono a chiacchierare fra loro tenendo basso il tono di voce. Anche se avevano già conosciuto il maggiore Andrew, Alan e Will avevano subito capito che l’ufficiale non dimostrava molta confidenza, e non 16


desiderava riceverla, da chiunque non facesse parte del suo ristretto circolo di persone conosciute e fidate. «E questi da dove escono?» Si chiese Brian. «Il generale sta raschiando il fondo del barile. Per forza, tutti quelli a cui capita il privilegio di servire sotto il suo comando finiscono per vivere una vita breve e dolorosa.» Commentò il maggiore Andrew, che aveva perso metà dalla sua vecchia squadra in battaglia, dopo essere stato inviato in missione dalla Menškov con informazioni incomplete sui pericoli che avrebbero potuto correre. Rick, Jane, Colin... Andati, barbaramente uccisi dalla creatura umanoide denominata Kasdeya. A rientrare alla base erano stati soltanto i due presenti ed Hellen Jameson, il medico del team. «Come sta il sergente Jameson? L’hai più vista?» Domandò Luke, ripensando al disappunto di lei nel momento in cui aveva congedato ciò che restava del Distaccamento 683. «Bene.» Rispose Brian, sfoggiando un’espressione piuttosto compiaciuta. «Abbiamo... Credo che Hellen ed io... Mi sa che stiamo insieme.» Luke non apparve eccessivamente stupito, o anche solo interessato alla questione. «Ormai non fate più parte della stessa unità, non c’è nulla di male.» «Giusto. Comunque lei è proprio fuori dai giochi, si è congedata appena un paio di giorni dopo essere rientrati in patria. Non ce la faceva più a continuare.» «Ha fatto bene.» Sentenziò il maggiore. «La nostra è una vita di sacrifici e supplizi, non faceva per lei.» «Già... Vorrebbe terminare gli studi medici e diventare un dottore a tutti gli effetti, nel frattempo le ho detto di parcheggiarsi da me fintanto che non trova una sistemazione migliore. Abito sempre in 17


quella casetta appena fuori Bragg, almeno ho qualcuno a tenermi sotto controllo l’ambiente finché restiamo in Germania.» Luke fece per rispondere, ma il rumoroso ingresso nella saletta di un quinto individuo lo interruppe. Spingendo un carrellino cigolante, un ufficiale dell’US Army grassoccio e non molto alto, raggiunse i quattro incursori. Capelli biondi pettinati con la riga da una parte, occhialetti da vista e gradi da colonnello sulle controspalline della camicia bianca: sembrava un po’ fuori posto in compagnia degli altri quattro navigati guerrieri. «Prego, non fate caso a me. Continuate.» Disse, riprendendo a spingere il carrello metallico fin sotto alla lavagna, sbuffando poi per la fatica. Mentre gli altri continuavano a chiedersi chi diamine fosse, lui cominciò a scartabellare fra le cartellette e i plichi che aveva trasportato fin lì, scegliendo alcuni fogli e alcune foto e cominciando a formare dei mucchietti sul primo banco. A un certo punto si mise pure a canticchiare fra sé e sé. Il generale Galiya Menškov arrivò una decina di minuti più tardi, seguita a ruota dalla “sua” Beatrix. Quel giorno Galiya indossava l’ACU mimetica, doveva essere di ritorno da un’attività esterna. Tre stelle da generale d’armata sul petto e basco amaranto da parà in testa, di una tonalità più scura del rosso naturale dei suoi capelli. Galiya aveva militato per lungo tempo nella 101° Divisione Aviotrasportata, e nel tempo aveva mantenuto l’abilitazione agli aviolanci, assieme al diritto di fregiarsi del basco amaranto. 18


Se lo tolse e lo ripiegò con cura nel palmo della mano, mentre sfilava fra i suoi sottoposti fino a raggiungere il colonnello. Questa volta sì che si alzarono tutti in piedi, compresi i due marine del MARSOC. «Riposo, sedetevi.» Disse Galiya, voltandosi e appoggiandosi al tavolo in fondo alla sala, appena davanti al pannello a muro. I due incursori dell’Esercito si sedettero nel lato opposto dell’aula rispetto ai marine, Beatrix e il colonnello rimasero in piedi ai lati del generale Menškov. «Sarò breve, anche perché non ho molto tempo a disposizione prima di dover ritornare al centro di comando.» Esordì lei, alternando il suo sguardo d’acciaio tra i presenti. «Benvenuti al Final Military Training di Berlino, e più precisamente alla neo costituita task-force di addestramento sperimentale. Formerete il nucleo iniziale di un team di istruttori provenienti dalle varie branche delle Forze per Operazioni Speciali di ciascuna delle Forze Armate... Incursori MARSOC, Berretti Verdi dell’Esercito, per adesso cominceremo con voi. In futuro speriamo di coinvolgere anche Marina e Aeronautica, ma di sicuro dovremo allargare parecchio i nostri ranghi. Quattro operativi sono troppo pochi.» «Operativi o istruttori?» La domanda si levò dal lato Esercito dell’aula. «Come, prego?» Domandò a sua volta Galiya, lasciando intendere con il suo ruvido tono di voce quanto odiasse essere interrotta. «Cosa siamo venuti a fare qui?» Proseguì imperterrito Brian. «Istruire o... operare?»

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«Mi ricordo di lei, sergente. È stato e continua a essere l’insolenza personificata.» Disse Galiya, facendo una smorfia infastidita. «Ma si ricorda di me, è questo che conta.» Mormorò lui, ficcandosi in bocca una gomma Dubble Bubble. «Sergente Cunningham, potrei dirvi che siete stati convocati all’FMT per collaborare tra di voi e condividere le vostre esperienze operative, allo scopo di progettare e mettere in pratica nuovi paradigmi formativi, che verranno poi utilizzati dai vostri colleghi delle SF/SOF... Ma se devo essere sincera, vi siete ritrovati in questa topaia delle retrovie perché non avete altro posto dove andare.» Rispose secca Galiya. «I vostri reparti di origine non esistono più, oppure vi hanno scaricato in corsa.» «Siamo diventati merce che scotta, dopo aver avuto a che fare con l’aliena.» Intervenne uno dei marine. «Ah, ve ne siete accorti.» Sogghignò il generale. Il maggiore Andrew annuì. «Le nostre testimonianze e le nostre stesse esistenze si scontrano con la versione ufficiale, siamo gli unici a essere stati testimoni diretti della contorta verità di quei giorni.» «Siete diventati scomodi per gli alti vertici, o meglio: per un motivo o per un altro, tutti noi siamo diventati scomodi, anch’io mi trovo sulla vostra stessa barca. I paria dell’apparato bellico, gli appestati.» Disse Galiya. «Benvenuti fra le unità di terza linea, ovvero nel nostro piccolo angolo di Purgatorio.» Si poteva notare una certa nota di malinconia nella sua voce, altrimenti sempre decisa e inflessibile.

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«Non il mio, però... Io sono qui di mia volontà.» Disse a quel punto il colonnello, con un sorrisetto bonario stampato in volto. Quella sembrava essere la sua espressione facciale standard. «A proposito, penso che prima di continuare sia necessaria una breve presentazione formale: al contrario del generale Menškov, mi rendo conto di non essere preceduto dalla mia stessa fama.» Fece un passo avanti. «Il mio nome è Philip Bishop, faccio parte dell’Esercito da ormai quasi vent’anni e ho maturato una discreta esperienza nel campo amministrativo e nella gestione delle risorse, ma sono anche stato analista d’Intelligence.» «Il colonnello Bishop sarà il vostro diretto superiore durante la durata del vostro incarico.» Sottolineò Galiya, dando così un’altra bella doccia fredda agli ex appartenenti al SOCOM. Brian e gli altri erano abituati a essere guidati da ufficiali che, come loro, si erano fatti il culo in prima linea, per poter avere il privilegio di comandare cani di razza come i Berretti Verdi dell’Esercito e i ninjamarine del MARSOC. Essere invece affidati alle cure di un pacioccone passacarte caduto dal cielo, con zero esperienza tattica, non andava loro particolarmente a genio, per usare un eufemismo. «Lei invece è il maggiore Genocide Andrew, giusto?» Domandò Bishop, fissandolo attraverso le lenti degli occhiali da vista. «Un altro ufficiale che nel corso degli anni ha saputo creare una certa aura di leggenda attorno al suo nome.» Lui si alzò, mettendosi svogliatamente sull’attenti. Poteva non gradire la situazione, ma il suo senso del dovere gli impediva di mantenere un atteggiamento che non fosse più che impeccabile. 21


«Maggiore Luke Andrew. Ho iniziato presso l’Officer Candidate School di fanteria, e il mio primo incarico è stato il comando di un plotone della 173° Brigata Aviotrasportata. Sono poi passato al comando di un plotone di Ranger del 75° Reggimento, infine ho fondato il Distaccamento 683 delle Forze Speciali dell’Esercito.» «I famosi Crusaders.» Commentò il colonnello. «Anche lei ha fatto parte di quel Distaccamento, giusto sergente?» Chiese poi a Brian. Luke si accomodò al suo posto, lanciando uno sguardo glaciale al commilitone finché lui non seguì il suo esempio e si alzò in piedi. «Sergente di prima classe Cunningham, Brian. Tiratore scelto nella 10° Divisione di Montagna, specialista in armamenti 18B delle Forze Speciali... Crusader dell’ODA-683.» Concluse, rimettendosi frettolosamente a sedere. Bishop annuì, soddisfatto, prima di puntare i due marine. A quanto pare si aspettava una presentazione ufficiale da parte di tutti i presenti. «Sergente artigliere Alan Bricker. Corso 0311, fanteria anfibia. Ricognitore del 1° Battaglione, 1° MEF. Attualmente Critical Skills Operator del MARSOC. Dieci anni di servizio la prossima settimana, di cui gli ultimi tre presso il Comando Operazioni Speciali.» «Buon anniversario, firmaiolo.» Scherzò Brian, masticando la sua gomma rosa. Alan non lo sentì, oppure decise di non ribattere. Per ultimo si alzò in piedi Will. «Sergente di squadra McHugh, William. Fante mitragliere 0331, Critical Skills Operator 0372 da circa tre anni.»

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Tagliò corto e si rimise a sedere con il medesimo entusiasmo con cui si era presentato, trascinando rumorosamente la sedia sul pavimento. «Adesso tutti conoscono tutti.» Concluse Bishop, e l’aula rimase silenziosa per qualche istante. «Non mi sembrate molto elettrizzati, alla luce della vostra nuova sistemazione.» Disse la Menškov, leggendo senza sforzo nelle loro menti. La platea continuò a rimanere silenziosa. «Maggiore Andrew.» Lo provocò Galiya. «Preferisce non pronunciarsi?» «Non c’è molto da dire. Questo è l’incarico, quelli sono gli ordini.» Il suo tono di voce era piatto, irrealisticamente calmo, ma Brian conosceva il suo caposquadra: stava obbligando se stesso a non mettere le mani al collo al generale, dato che la riteneva davvero responsabile dei loro commilitoni caduti. «E lei esegue sempre gli ordini che le vengono impartiti, giusto? Compresi quelli del colonnello Bishop? I miei?» «Mi pare di averle già dimostrato più volte il livello della mia professionalità... Dove vuole arrivare?» «Voglio soltanto sincerarmi della vostra motivazione: siete disposti a diventare istruttori e fare squadra gli uni con gli altri? A sottomettervi alla mia autorità, a quella del colonnello Bishop e del maggiore De Céline?» Brian si rilassò sulla sedia, incrociando le mani dietro la nuca. «Come ha detto il maggiore Andrew, non c’è altra scelta. E come direbbero i nostri cugini di differente schieramento: semper-fi, generale.» «Come no, hoo-ah.» Gli fece eco Alan, rispondendo con un’esclamazione tipica dell’Esercito. 23


«Bene.» Decise di accontentarsi Galiya. Si schiarì la voce. «Allora memorizzate con attenzione quello che vi è stato detto oggi, imparate la lezioncina a memoria. Questa fantomatica squadra d’addestramento speciale costituirà la nostra principale storia di copertura.» Il pubblico di colpo si fece molto più attento. La Menškov non ne fu affatto sorpresa. «Maggiore De Céline?» Beatrix annuì, prese un foglio formato A3 dalla sua cartellina, lo dispiegò e lo fissò con una puntina alla parete in fondo. L’ampia foto segnaletica raffigurava il volto di un uomo sulla quarantina, occhi e capelli chiari. Galiya gli rivolse uno sguardo di malcelato disprezzo, prima di riprendere la parola. «Vi presento Ivan Grošcev: nato nella miseria più nera, da padre russo e madre cecena, è oggi considerato il più importante trafficante di armamenti e informazioni classificate di tutto il blocco est, se non del mondo intero. Nel suo ambiente è principalmente conosciuto con il soprannome di Harlequin, almeno dall’inizio degli anni ‘90 in poi.» Galiya fece una piccola pausa, per focalizzare l’attenzione dei presenti. «Signori, dovrete mantenere l’apparenza di far parte di un’unità congiunta sperimentale, incaricata di ricercare nuove tecniche di guerra asimmetrica, mentre la vostra reale missione sarà quella di dare la caccia a questo pezzo di merda, stanarlo dal suo buco e ucciderlo.» «La faccenda si fa interessante.» Commentò Brian. «Ufficialmente la task-force addestrativa verrà diretta dal colonnello Bishop, ma nella realtà operativa voi risponderete a me e a me soltanto, 24


nessuno all’interno delle vostre normali catene di comando dovrà mai sapere nulla di questa faccenda... Soltanto che alcuni dei loro uomini sono stati prestati al TRADOC a tempo indefinito per partecipare a questo progetto addestrativo congiunto. Siamo intesi?» «Sì.» «Intesi.» «Sì, generale.» «Allora... Sono riuscita a sollevarvi il morale?» Domandò poi lei, soddisfatta. Ecco spiegato come mai prima se la stesse ghignando tanto, pregustava il momento in cui avrebbe detto la verità ai suoi “istruttori”. Alan Bricker si protese in avanti sul banco, carezzandosi la barba scura. «Dare la caccia a un cattivone del genere, in gran segreto, lavorare sotto copertura all’insaputa persino del SOCOM, con personale e risorse a disposizione ridotti all’osso... Suona eccitante, ma sembra anche un sistema un po’ suicida di guadagnarsi la pagnotta.» «Non ci sono già troppe battaglie da combattere, senza andare a cercarsene di nuove?» Obiettò anche Luke Andrew. «Saremmo molto più utili se impiegati a combattere il vero nemico, ovvero la Russia e la Fratellanza.» Galiya si staccò dal tavolo su cui si era appoggiata e mosse qualche passo in direzione degli incursori. «Siamo uomini e donne ben addestrati, moltiplicatori di forze che sul campo di battaglia possono far pesare parecchio la loro presenza, o la loro assenza, non c’è dubbio. Tuttavia, quanti combattenti siamo, riuniti in questa stanza? Cinque? Sette con De Céline e Bishop? Saremmo davvero in

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grado di smuovere l’ago della bilancia nelle sorti della guerra? No, io non credo.» «Per quanto minima, ognuno deve fare la propria parte. È così che si vincono le guerre, senza individualismi e con invece parecchio spirito di sacrificio.» Rispose Luke, alzandosi in piedi e spostandosi verso il centro della stanza. «Per quanto mi riguarda, la storia di copertura aveva più senso della reale missione che ci vorrebbe affidare.» «Che dici, capo?» Protestò Brian, tenendo bassa la voce. «Harlequin.» Riprese il maggiore Andrew. «È lo stesso tizio che ci ha mandato a stanare a Solovki, in un’altra missione che, come questa, non era stata approvata dalle alte sfere.» «Può darsi. E allora?» «E allora questa contro Grošcev è soltanto una sua crociata personale, generale, una sua fissazione. Il mondo è pieno di obiettivi strategici che sarebbe molto più sensato colpire, ma lei non riesce neanche a vederli perché è costantemente accecata dal pensiero di scovare quel tizio... Perché è stato Harlequin in persona a togliere la vita al colonnello Mark Reed.» Quelle parole, pronunciate senza esitazione e davanti a tutte quelle persone, le fecero avvertire un brivido lungo tutta la schiena. Luke aveva ragione, vendicarsi di quella morte era sempre stato il suo chiodo fisso. Galiya si rese conto che Il maggiore Andrew aveva fatto i compiti a casa, si era procurato le giuste informazioni su di lei. «Con permesso, quindi.» Concluse l’ex comandante dei Crusaders, facendo per lasciare la saletta. «Affermativo.» Disse però Galiya, che non aveva più intenzione di nascondersi. «Non ho certo timore 26


di ammetterlo: molti anni fa, in un paese molto lontano da casa, quel bastardo di Harlequin ha assassinato mio padre. E io gli sto dando la caccia da quando ho indossato per la prima volta l’uniforme. Tuttavia-» «Quindi, come già ribadito, questa non è la nostra battaglia, è la sua. La combatta e la vinca solo e soltanto con le sue forze. Se ne è in grado.» Concluse Luke, lapidario, senza nemmeno voltarsi. «Tuttavia...» Riprese il generale. «Lei sottovaluta l’impatto che un individuo come Harlequin può arrecare all’interno del conflitto globale. Come ad esempio la morte dei suoi Crusaders.» Con un piede già fuori dalla porta, Luke si fermò per ascoltarla. «In che senso? Sappiamo benissimo da che cosa sono stati uccisi i miei soldati.» Galiya sorrise, prima di giocarsi il carico da undici. «Grazie alle informazioni che io e lei abbiamo raccolto a Solovki, assieme ai più recenti rapporti di Intelligence, abbiamo potuto stabilire con certezza che Harlequin ha giocato un ruolo chiave nella creazione di Kasdeya.» La completa attenzione dei presenti adesso era per lei, tutti quanti erano stati privati di qualcosa o qualcuno dalla creatura aliena. Galiya fece un cenno al colonnello Bishop, che recuperò i suoi fascicoli e li distribuì ai presenti. All’interno dei plichi era presente un sunto delle informazioni recuperate, cioè di come Harlequin avesse organizzato il tradimento di Choi, lo scienziato sudcoreano che era finito a lavorare sul progetto Kasdeya, diventandone il fautore principale. «Cristo Santo.» Commentò il sergente McHugh, per tutti i presenti. 27


«Pensate a quale volto avrebbe adesso la guerra se qualcuno avesse tolto di mezzo Harlequin tempo fa.» Disse Bishop, tornando al suo posto a fianco della Menškov. «Prima che avesse avuto la possibilità di aiutare i russi nel realizzare Kasdeya: niente intromissione nella battaglia di Roma, niente affondamento della portaerei Truman, e via discorrendo... Quante vite avremmo potuto salvare, all'epoca? Quale altra nefandezza potrebbe architettare, domani, un individuo pericoloso come Harlequin? Cosa sta già complottando oggi?» Luke e gli altri rifletterono su quel pensiero spaventoso, percependo il sangue ribollire. Galiya in quel momento fu certa di aver scelto la persona giusta, per occuparsi degli aspetti burocratici e logistici che derivavano dal creare e mantenere in piena efficienza un team segreto, e per di più clandestino: Philip Bishop ci sapeva fare con le persone. E le istituzioni, civili e militari, erano costituite da persone. «È una mia battaglia, non lo nego.» Riprese Galiya. «Ma questo non significa che non possa essere allo stesso tempo una vostra battaglia. Unitevi a me e distruggiamo una volta per tutte questo figlio di puttana.» «Va bene.» Disse Luke Andrew dopo un attimo di silenzio, chiudendo di scatto il plico e tornando a sedere al suo posto. «Se le cose stanno così... ha senso restare.» Anche gli altri incursori sembravano motivati e decisi a continuare sulla sua strada. Galiya sorrise compiaciuta, tutto stava procedendo secondo i suoi piani.

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*** Non occorse molto tempo, affinché le reclute e il personale dell’FMT si accorgessero della presenza dei nuovi “istruttori”. Vedevano strana gente andare e venire dai cancelli della base, e che finiva sempre per scomparire nei meandri nel bosco racchiuso dal perimetro della struttura. Berretti Verdi e marine a spasso in una base dell’US Army non passavano certo inosservati. Luke, Brian e gli altri si limitavano a non dare troppa confidenza a nessuno, mentre il colonnello Bishop tesseva le sue trame. Per il momento si era limitato a comunicare a chi di dovere che la sua squadra congiunta interforze di istruttori stava pian piano prendendo vita. Aveva scelto di riferirsi all’unità come alla “Task Force 47”, dal numero di catasto della base che corrispondeva al loro edificio principale. Almeno finché qualcuno non avesse trovato un nome più interessante. Non che Galiya e i suoi avessero un impellente bisogno di una vera e propria denominazione ufficiale, le faccende importanti adesso erano ben altre: in primis trasformare l’Edificio 47 da quella mezza topaia che era, a un Centro di Comando Tattico degno di questo nome. In secondo luogo trovare un sistema per ottenere rifornimenti logistici costanti, cosa non semplice data la natura para-legale della TF47. Ma soprattutto, scoprire qualche indizio su dove si trovasse in quel momento lo sfuggente Harlequin, sperando che si trattasse di un punto del globo a loro accessibile.

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Philip Bishop si era impegnato a scandagliare le fonti di Intelligence HUMINT che era ancora in grado di raggiungere, tramite i suoi molteplici agganci a Washington. Beatrix invece si era concentrata sul flusso di dati SIGNINT, ma dopo essere stata privata della possibilità di accedere alle informazioni secretate ai massimi livelli, quelle più succulente, stava avendo poca fortuna in quel compito. Tutto cambiò la notte del 19 luglio. Come molte altre notti precedenti, lei era rimasta in ufficio ben oltre l’orario di apertura dell’edificio di comando dell’FMT, continuando a trafficare sul suo computer e sul suo portatile mentre, uno dopo l’altro, gli altri impiegati civili e militari lasciavano le loro scrivanie. Poi era stato il turno degli addetti alle pulizie. Finché Beatrix non era rimasta da sola, in un ufficio vuoto e buio, eccezion fatta per i computer e la sua lampada da scrivania. Scovò un rapporto del PACOM, il corrispettivo del comando EUCOM per le terre che si affacciavano sull’Oceano Pacifico, che riferiva della crescente instabilità che si stava verificando in Cina, in particolare nella macroregione dello Xinjiang. E citava, senza però identificarlo con precisione, un trafficante d’armi che stava facendo grossi affari nel rifornire alcune delle fazioni ribelli. L’unica informazione certa che i servizi locali erano stati in grado di fornire era una foto sgranata, scattata da lontano, di un uomo con barba e capelli scuri, mossi e di media lunghezza. Sorrideva, lo sguardo nascosto dagli occhiali da sole a goccia, attorniato da guerriglieri e casse di materiale bellico.

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Beatrix fissò per una trentina di secondi la foto, indecisa se credere o meno ai suoi occhi, poi tirò su la cornetta e chiamò il colonnello Bishop, senza fare troppo caso all’ora tarda. Lui comunque rispose quasi subito, non stava dormendo. Gli domandò se fosse possibile contattare qualcuna delle sue fonti, indagare in merito alla segnalazione. Un paio di giorni più tardi, l’intera TF47 venne riunita per un briefing d’emergenza. L’aula formativa del centro di controllo tattico, con le vecchie file di banchi, era stata trasformata in una sorta di sala riunioni, con un ampio tavolo centrale e sedie in pelle girevoli nuove di zecca per tutti gli occupanti. La parete in fondo era diventata un tabellone che riassumeva tutte le informazioni raccolte su Harlequin e il suo losco giro di affari, con al centro la sua foto e tutto attorno una contorta ragnatela di frecce, tabulati, scritte a pennarello, appunti vari e foto di sorveglianza scattate in giro per il mondo. Ben presto un’altra foto sarebbe entrata a far parte del gruppo. «Il conflitto con l’Unione Sovietica ha precipitato la Cina in una pessima situazione economica.» Esordì il generale Menškov, la prima ad aver preso la parola. «I confini nazionali dei due stati non hanno subito grosse variazioni, ma il primo trattato di armistizio in pratica ha lasciato l’intera Mongolia sotto il controllo dei sovietici, e di conseguenza tutte le ricchezze naturali racchiuse in quel vasto territorio. I cinesi hanno dovuto rinunciare alla metà di Mongolia che gli era stata promessa dalla Russia quando avevano stipulato la loro alleanza... Beata ingenuità.»

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«Quindi abbiamo una missione?» Si domandò Brian a bassa voce, masticando nervosamente una delle sue gomme rosa. «Ora Pechino si è chiuso in difensiva.» Proseguì Galiya, ignorandolo del tutto. «Hanno a malapena le risorse per mantenere una vera e propria linea bellica a nord, ma stanno avendo sempre maggiori difficoltà a controllare il fronte interno. Le economie locali di un regime comunista dipendono dallo Stato tanto quanto la politica economica nazionale, quindi la brutta avventura che il Politburo cinese ha fatto correre all’intera nazione sta costando cara a tutta la popolazione... Generali ultranazionalisti e politicanti locali stanno approfittando di questo malcontento per guadagnare consenso tra le masse, e ribellarsi all’autorità centrale. Alcuni vorrebbero tornare a combattere contro la Russia, altri perfino contro gli attuali alleati di Pechino, ovvero noi americani.» «Ma ce l’abbiamo una missione?» «Per poter riuscire nei loro intenti, sanno di avere bisogno di aiuto esterno, in primo luogo armi e supporto operativo. Fortunatamente per loro, a questo mondo non mancano i trafficanti e i mercenari che non vedono l’ora di fare affari con chicchessia. Come questo gentiluomo qui.» Disse, facendo un cenno al maggiore De Céline. Beatrix si alzò dalla sedia e fece scorrere sul tavolo una serie di copie di una foto, quella nel rapporto del PACOM che aveva catturato la sua attenzione. Gli incursori della TF47 strizzarono gli occhi per distinguere qualcosa tra quei pixel. «Ma questo non è Grošcev... Credo.» Disse il sergente Cunningham, dubbioso. «Brutto figlio di una gran puttana.» Dissero invece Alan e Will all’unisono, dopo qualche istante. 32


«L’avete riconosciuto anche voi?» Ghignò la Menškov. «Non capisco. Chi dovrebbe essere?» Domandò Luke. «Maggiore De Céline?» La chiamò di nuovo in causa Galiya. Lei si schiarì la voce. «Alexander Hunt, un americano.» Rispose, passando a tutti i presenti un’immagine d’archivio del volto che si nascondeva dietro quegli occhiali e quella barba. La foto a mezzobusto era quella di un bell’uomo in uniforme da ufficiale di Marina, con i gradi da capitano di corvetta sulla manica della giacca nera e un tridente dorato sul petto, sopra le decorazioni. «È stato un incursore dei SEAL fino al 2010, quando è andato AWOL invece di presentarsi all’incarico presso il quale era stato riassegnato. La sua sparizione dal Paese è risultata contemporanea a quella del professor Choi, quindi si era sempre sospettato che le due cose fossero collegate... E oggi ne abbiamo la certezza.» «Allora abbiamo una missione! Ouch.» Luke Andrew, seduto accanto a Brian, gli affibbiò un calcio alla caviglia per fargli smettere di dar fastidio al resto della squadra. «Come mai adesso ne siamo certi?» Domandò poi il maggiore. «Quello nella foto è l’emissario di Harlequin in Cina.» Disse Galiya. «Non c’è nessun dubbio, il capitano Hunt ha lavorato con il ceceno fin dall’inizio. Due anni fa gli ha portato Choi, e oggi sta smerciando materiale bellico per lui.» «È sempre stato un viscido pezzo di merda.» Commentò Alan Bricker, che aveva avuto il dispiacere 33


di lavorarci assieme in occasione dell’Operazione Black Breeze. Beartrix non osò proferire parola, ma annuì ripetutamente: lei aveva trascorsi ancora peggiori con l’ex capitano. «Quindi? Lo ammazziamo?» Proseguì Alan. «Io ci sto.» Disse Will. «Negativo, ho paura che ci serva vivo.» Rispose Galiya, affossando le loro speranze di vendetta. «Dobbiamo usarlo per arrivare ad Harlequin. L’ordine è di catturare, non di uccidere.» «Non sarà facile. Sarà pure un pezzo di merda, ma è anche un pezzo di merda molto ben addestrato.» «Lo so, sergente. Ma in teoria dovreste esserlo anche voi, giusto? Ottimi combattenti intendo.» Lo provocò Galiya. «Nessun problema, completeremo la missione.» Tagliò corto Luke. «Anche se arrivargli abbastanza vicino da riuscire a prenderlo mi sembra un’impresa non da poco.» «Già, la Cina è letteralmente dall’altra parte del globo. Dobbiamo iniziare a scavare un tunnel?» Il colonnello Bishop si fece avanti, aggiustandosi gli occhialetti da vista. «Presumo che non sarà necessario... Congratulazioni, siete tutti quanti stati selezionati per un programma di scambio culturale con le forze armate cinesi.» «Non ci credo...» Bofonchiò Brian. «Ufficialmente vi recherete in Cina per studiare i metodi addestrativi delle forze speciali del PLA, e insegnare qualche trucchetto americano agli incursori di Pechino, che potranno impiegare ai danni del nostro comune nemico.» «E questa simpatica storiella i grandi capi se la sono bevuta, signore?» 34


«Sì, sergente Cunningham: la Task Force 47 si recherà in Cina con il beneplacito del TRADOC e dell’EUCOM, gliela faremo proprio sotto il naso.» «Ma seriamente, che cosa vogliono i cinesi in cambio da noi?» Chiese Alan. Fu il generale Menškov a riprendere la parola. «Gli agenti di Pechino hanno individuato un generale russo che collabora con una delle fazioni rifornite da Hunt, di sicuro per stabilire contatti tra Mosca e i guerriglieri, da sfruttare in caso la Cina dovesse precipitare in una guerra civile vera e propria. Sicuramente l’avete già sentito nominare, si tratta del generale d’armata Nicolaj Petrosian, lo stesso che era stato messo al comando della forza d’invasione della penisola italiana.» «Quello che chiamano lo Stratega.» Precisò il colonnello Bishop. «Il governo cinese vuole che catturiamo anche Petrosian, e che glielo consegniamo vivo e vegeto. Intendono interrogarlo a fondo per stabilire con chiarezza fino a che punto i sovietici si sono infiltrati nelle loro faccende politiche interne, è lampante.» «Come mai hanno accettato la nostra offerta di andare a prelevarlo per conto loro?» Chiese a quel punto il maggiore Andrew. «Perché non lo fanno loro stessi, visto che già sanno dove si trova?» «A parte la mancanza generalizzata di risorse militari, non vogliono che si sappia in giro che il Politburo sta perdendo il controllo della nazione. E non vogliono nemmeno che siano regolari cinesi a rapire il generale russo, per evitare ogni possibilità che Mosca si incazzi con loro: la linea di difesa che separa la Cina dalle forze russe in Mongolia non è poi così robusta, come vi è stato appena spiegato.»

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«Giusto. Passiamo alle questioni pratiche, allora. Su che tipo di supporto cinese potremo contare, una volta arrivati a destinazione?» «Minimo: vogliono esporsi il meno possibile. Il nostro unico contatto in loco sarà un agente del loro Ministero della Sicurezza dello Stato, già infiltrato all’interno della fazione ribelle. Ci fornirà senz’altro informazioni utili.» «Equipaggiamento e armi?» Domandò Alan Bricker. «Presumo che ci toccherà utilizzare fondi di magazzino e armi della precedente generazione, come per Solovki.» Sbuffò Luke. «Purtroppo d’ora in avanti anche quelle ci saranno precluse.» Intervenne Bishop. «Anche se dismesse, sono state comunque conteggiate e catalogate in qualche database statale, non possiamo rischiare che qualcuno noti gli ammanchi.» «Quindi? Rugginosi fucili Norinco cinesi presi al mercato nero?» «Potremmo rivolgerci ad Alex Hunt, magari ci fa un buon prezzo.» Scherzò Brian. «Non sarà necessario... Ho individuato altri depositi che potremo saccheggiare senza farci notare da alcun burocrate militare: quelli delle armi sperimentali. Materiale bellico testato e valutato, ma mai entrato in servizio.» «Fucili che ci scoppieranno in faccia, grandioso!» «Adesso basta!» Il generale Menškov sbatté con forza il pugno sul tavolo, Brian Cunningham aveva messo fin troppo a dura prova la sua pazienza. Lui si schiarì la voce e si rilassò sulla sua poltrona, decidendo che forse era il caso di darci un taglio con la spacconeria.

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«Il colonnello Bishop e io abbiamo stimato una finestra di tre o quattro settimane, prima di poter lanciare l’operazione. A quel punto partirò alla volta dello Xinjiang, per recitare la parte del comandante dell’FMT in missione diplomatica. Io e la mia controparte cinese sistemeremo le cose con i nostri rispettivi governi. Mentre voi verrete dispiegati sul campo, noi faremo credere al TRADOC che siete impegnati in esercitazioni congiunte assieme alle forze speciali del PLA. Tutto chiaro?» Domandò Galiya, scandagliando gli sguardi dei presenti con i suoi glaciali occhi grigi. «Maggiore Andrew, ovviamente lei avrà il comando operativo della squadra, nonché quello tattico. Studi le informazioni in nostro possesso e decida come organizzare il doppio prelievo. Si relazioni con il colonnello Bishop per quanto riguarda gli approvvigionamenti logistici a vostra disposizione.» «Comunicatemi che cosa vi occorrerà, io farò il possibile per farvela avere.» Confermò il colonnello. «Munizioni. Parecchie per portare a termine la missione e molte di più per l’allenamento quotidiano, nonché la messa a punto delle nuove armi.» Disse Alan. «Quelle possiamo metterle in conto all’FMT.» Rispose Bishop. «Far figurare che siano state sparate dalle reclute, o prenderle direttamente dalle loro riserve... Un caricatore in meno ciascuno non farà molta differenza per il loro addestramento, ma lo farà per la nostra missione.» «Più uomini.» Disse Luke scuotendo il capo, dopo aver dato una scorsa veloce al plico contenente le informazioni riguardanti le forze ostili.

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«È la stessa cosa che ho pensato io, leggendo quei rapporti di Intelligence, ma non ho potuto convocare nessun’altro nella TF47.» Rispose Galiya. «Diamine, scenderei io stessa con voi in azione, ma d’ora in avanti mi sarà davvero impossibile.» «Siamo solo quattro operativi, avere anche soltanto un uomo in più in squadra potrebbe fare la differenza.» Insistette lui. Il generale si sistemò dietro l’orecchio un ciuffo ribelle, pensierosa, prima di rialzare lo sguardo. «E una donna in più, potrebbe farvi comodo?» «Ha appena detto che lei non potrà partecipare all’azione.» «Non io... Maggiore De Céline, questa volta le tocca tradire la sua amata scrivania e scendere in campo.» Non era una richiesta, quella di Galiya era una semplice constatazione. Beatrix si guardò attorno, smarrita, respirando a fondo nella sua maschera nera. Il generale non poteva dire sul serio. Luke mise le mani avanti. «Con tutto il rispetto, non si tratta di una passeggiata nel parco. Non possiamo portare con noi gente a caso, soltanto personale altamente addestrato.» «Quand’ero ancora un giovane tenente della 66° Brigata di Intelligence Militare sono stata aggregata per lunghi periodi a varie unità delle Forze Speciali, con soltanto poche ore a disposizione per entrare nell’ordine giusto di idee, altro che settimane... Diamine, ho sentito che di questi tempi perfino una ex cheerleader arruolatasi nell’Esercito è riuscita a essere aggregata a un team ODA.» «Perché era una cheerleader texana.» Precisò Alan. «No, non era texana.» Obiettò Brian. 38


«Sì che lo era, mister.» Replicò Alan, enfatizzando con ironia il suo accento del sud. «No, era di Philadelphia.» «Non lo era.» «Sì invece, lo so per certo perché ho cercato di contattarla, così, tanto per scambiarci storie di guerra...» «Finitela.» Intimò il maggiore Andrew. «Generale, sa bene quanto l’impiego sul campo possa essere pericoloso, e gravoso, per qualunque soldato di fanteria, anche se in perfetta forma fisica. E De Céline non lo è.» «Certo che lo so. E so anche che un leader esperto come lei riuscirà senz’altro a trovare il modo di sfruttare a dovere... ciò che rimane di sfruttabile del maggiore De Céline. In ogni team operativo persistono differenti livelli di preparazione e di competenze specifiche, perfino tra voi quattro incursori professionisti.» Sentenziò la Menškov, alzandosi in piedi e inforcando il suo basco amaranto. «Devo ritornare al centro di comando dell’FMT, il tempo a mia disposizione per questo incontro è terminato. Non ci sono alternative: avete tre settimane per far sì che la mia attendente costituisca un vantaggio, e non un peso, sul vostro futuro campo di battaglia. Mettetevi all’opera. E finite di restaurare questo cesso di quartier generale.»

[FINE ANTEPRIMA]

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La saga Code 2-18 racconta un presente alternativo in cui l’Unione Sovietica non si è mai dissolta e il conflitto armato e ideologico fra le maggiori superpotenze mondiali è infine esploso in una vera e propria Terza Guerra Mondiale. È una storia sospesa a metà fra il thriller militare e la fantascienza, vissuta attraverso gli occhi di uomini e donne in armi, ma anche di spietati assassini, trafficanti d’armi e cittadini innocenti. I volumi disponibili: 1. 2. 3. 4. 5.

Surreal – Step One Intermission One – Black Breeze Surreal – Step Two Surreal – Step Three Intermission Two – Fog of War

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