A. Capodiferro, La testa di Artemide Efesia da via Marmorata

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LA TESTA DI ARTEMIDE EFESIA DA VIA MARMORATA ALESSANDRA CAPODIFERRO

La scoperta della bella testa marmorea che, sormontata dal ragguardevole copricapo decorato da fiere fantastiche, cinta da un’alta corona di piccoli fiori su cui poggia il velo rigonfio ornato da due Nikai incoronanti, è stata riconosciuta come il tipo dell’Artemide Efesia, ha luogo alle pendici dell’Aventino nel gennaio del 2009 e culmina pochi mesi dopo con l’esposizione del pezzo nella Sala delle Grandi Dee del Museo Nazionale Romano in Palazzo Altemps1. Il notevole rinvenimento è incorso all’inizio della seconda campagna di scavo condotta dalla Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma lungo la via Marmorata, in concomitanza dei lavori di manutenzione straordinaria della sede tranviaria (2008-2010) posta al centro della carreggiata stradale2. Nel complesso, le indagini archeologiche hanno posto in luce – subito al di sotto del massetto di cemento dei binari del tram – cospicui resti di due complessi edilizi di età imperiale Inv. 549356. Per la testa di Artemide Efesia, si rimanda a CAPODIFERRO 2011. 2 Sui risultati delle indagini archeologiche, svolte in tre campagne successive di scavo, si vedano CAPODIFERRO, QUARANTA 2011a; CAPODIFERRO, QUARANTA 2011b. 1


A.CAPODIFERRO entrambi a destinazione commerciale localizzati in prossimità dell’Arco di San Lazzaro e nell’area antistante il bastione del Sangallo. Si tratta di edifici in opera laterizia con fronte a tabernae, e in un caso con antistante portico a pilastri in laterizi e blocchi di travertino, posti lungo la direttrice viaria che uscendo da porta Trigemina correva parallela alla riva sinistra del Tevere e al versante sud-occidentale del colle Aventino. La cronologia degli interventi edilizi e di assetto urbanistico dell’area indagata – la piana subaventina – data dall’età tardo repubblicana-augustea all’età traianea-adrianea fino al III secolo d.C. In un continuum d’uso, ulteriori opere di sistemazione sono realizzate nel corso del IV e fino alla metà del V secolo. A partire da questo tempo cominciano a formarsi depositi di abbandono e si attiva una vera e propria opera di spoglio. Tuttavia, la frequentazione e il riassetto delle sopravviventi porzioni dei precedenti edifici proseguono ove possibile per tutto il VI secolo ed è nel corso del VII secolo che colmature e crolli trasformano radicalmente lo scenario nel residuo sforzo di salvare e continuare a sfruttare, con opportuni accorgimenti, il costruito. In questo passaggio di secolo fanno la loro comparsa sepolture a cappuccina in semplice fossa di terra e prive di corredo, collocate secondo una nota consuetudine al margine esterno di ambienti ancora vissuti o della viabilità. La progressiva mutazione dell’aspetto dei luoghi trova un successivo punto di arrivo nella formazione di una distinta area cimiteriale di epoca altomedievale caratterizzata da deposizioni terragne prive anch’esse di corredo, delimitate da muretti in laterizi e coperte da mattoni rotti. Avanza, quindi, all’immediato margine della Roma monumentale – caput mundi – ancora grande e magnifica seppure in incipiente rovina, l’immagine di una campagna più o meno abbandonata fino agli interventi che interessarono l’area a partire dalla prima metà del XVI secolo, in relazione alle attività del cantiere per la costruzione del bastione della Colonnella, edificato su progetto di Antonio da Sangallo il Giovane. Considerevoli livellamenti del piano di frequentazione operati nel corso del tempo testimoniano la permanenza ai piedi della 440


LA TESTA DI ARTEMIDE EFESIA pendice aventina di una percorrenza che ricalca la strada antica ancora nell’Ottocento, provenendo da porta San Paolo (già porta Ostiensis) e dirigendosi verso il centro della città storica. Per quanto possa sembrare singolare, proprio a questa ininterrotta successione di attività consistenti in riempimenti realizzati con vario materiale a portata di mano, in livellamenti del terreno di volta in volta rialzato senza intaccare gli strati sottostanti, potrebbe essere dovuta la fortunata casualità per la quale la testa di dea riconosciuta come Artemide Efesia, occultata da pietrame di nessun conto misto a terra, è rimasta a lungo custodita in strati superficiali lasciati intatti anche dagli interventi più recenti. La scultura in marmo lunense3 è stata rinvenuta con il volto rivolto verso l’alto, la superficie lapidea deteriorata dalla prolungata giacitura nella terra. Abrasioni consistenti interessano infatti il naso, le guance e la fronte, la corona di fiori e la parte centrale del copricapo (polos). Danneggiamenti operati in antico e verosimilmente intenzionali si riconoscono nella frattura del naso, nell’esteso taglio alla base del collo, nell’asportazione di parte del velo (nymbus) e della Vittoria alata di destra, nell’evidente strappo del coronamento del polos. Di dimensioni leggermente minori del vero4, la testa doveva essere vista frontalmente come può essere ricavato dalla finitura a semplice lisciatura del retro e dalla leggera inclinazione all’indietro del polos. L’identificazione del tipo di marmo è stata effettuata dal professor Lorenzo Lazzarini, Direttore del Laboratorio di Analisi dei Materiali Antichi – DSA dell’Università IUAV di Venezia, che ha preparato e studiato al microscopio polarizzatore una sezione sottile di un campione di marmo prelevato nel corso delle operazioni di restauro. Le caratteristiche petrografiche rilevate sono in ottimo accordo con quelle tipiche del marmo lunense estratto dalle Valli Carrarine. 4 Alt. max 40,5 cm; larg. max 29 cm; spess. max 21 cm; altezza testa dal diadema al mento 22,5 cm; altezza testa dalla radice dei capelli al mento 15 cm; alt. diadema 7,5 cm; alt. max polos 11,3 cm; distanza tra gli angoli interni degli occhi 2,5 cm; distanza tra gli angoli esterni degli occhi 9,5 cm; largh. bocca 3,8 cm; alt. max Nike 14,5 cm. 3

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A.CAPODIFERRO Il riconoscimento del tipo dell’Efesia si basa sull’analisi degli elementi compositivi, costituiti essenzialmente dall’alto polos decorato da animali fantastici e coronato da un piccolo tempio e dalla foggia del nymbus. Procedendo nell’esame comparato dell’apparato decorativo e simbolico proprio della veste e del copricapo dell’Artemide di Efeso, così come lo conosciamo essenzialmente dagli esemplari scultorei pervenutici, rari quelli integri (per la maggior parte statue acefale e singoli elementi – poloi, torsi, nimbi)5, appare con sufficiente chiarezza come questa sia la fonte d’ispirazione cui attinge l’estro creativo che rende la testa da via Marmorata un pezzo unico. Rimane tuttavia evidente la distanza dagli esemplari di ambito microasiatico come anche mancano confronti puntuali di ambito romano dove numerose sono le repliche acefale o con teste di restauro, spesso bronzee o in pietra scura6 a imitazione della primitiva statua di culto lignea (xoanon)7. Per le raffigurazioni dell’Artemide Efesia sono stati presi a riferimento: THIERSCH 1935; FLEISCHER 1973, pp. 1-137, Taff. 1-57, 171; FLEISCHER 1984a-b; FLEISCHER 2009a-b; a questi si aggiunge da ultimo HERMARY 2009, pp. 136-137. 6 Sulla fortuna dell’immagine di Artemide Efesia in età moderna si vedano in particolare: SELTMAN 1951, p. 40; BOSSO 2000; DE NUCCIO 2002, pp. 307308; PALMA VENETUCCI 2009. 7 Sull’evoluzione dell’immagine di culto dell’Artemision efesino dall’originario xoanon ligneo alla prima statua realizzata da Endoios nella seconda metà del VI secolo a.C. fino alla “canonizzazione” del simulacro nel II secolo d.C. e sulla sua diffusione in ambito greco-romano, si veda in particolare FLEISCHER 1973, pp. 116-137. Con riguardo ai luoghi di provenienza delle repliche statuarie di Artemide Efesia, si può ricordare che la maggior parte dei rinvenimenti si situa nel contesto originario del culto tributato alla dea in Anatolia e diffusosi in ambito orientale anche in Grecia e in area palestinese; un buon numero di esemplari è attestato anche in Occidente, dalla Narbonense a Roma fino ad Aquileia e all’Africa settentrionale, in relazione alla diffusione del culto attuatasi fin dall’età arcaica soprattutto attraverso la colonizzazione focea e la conseguente fondazione di emporia: a tale riguardo si vedano i passi di Strabone in C. CENCI, Fonti letterarie, in CAPODIFERRO, QUARANTA 2011a, pp. 49-50; si vedano inoltre SELTMAN 1951; COLONNA 1962; LIDONNICI 1992; ELSNER 1997; STEUERNAGEL 1999; SCODELLARI 2003; HERMARY 2009. 5

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LA TESTA DI ARTEMIDE EFESIA La scultura costituisce infatti il solo esemplare finora noto di una testa della dea che, per gli elementi di originalità dell’insieme, potrebbe essere considerata una rielaborazione locale ispirata alla statua di culto del tempio di Artemide a Efeso8. Nel solco della tradizione si pone maggiormente l’alto polos a “cono rovescio” decorato da una teoria di fiere fantastiche disposte su due fasce sovrapposte e, nel terzo registro, da una forma architettonica di cui rimane indubbia traccia sulla sommità del copricapo dove, lungo il margine esterno, si individua un aggetto quadrato sul quale insiste la base di una colonna frammentaria9. Più al centro, la profonda rovina Nel Museo Gregoriano Profano (inv. 2351) è esposta una “Diana Efesina”, con testa ritratto antica non pertinente, cfr. PALMA VENETUCCI 2009, p. 710; si veda inoltre LIVERANI 2008, pp. 89-90, n. 80: “la statua … è in realtà un pastiche composto di un solo frammento sicuramente antico, la testa, mentre il resto è un assemblaggio di parti diverse, complessivamente opera di età moderna”; THIERSCH 1935, n. 21, Taf. 10-11, 12. 1-3 (=FLEISCHER 1984a, n. 59 p. 759). Non sembra riconducibile al tipo dell’Efesia una testa femminile in marmo greco che, sormontata da un modio adorno di palmette sul quale è fissato un velo, apparteneva probabilmente ad un statuetta di divinità femminile seduta, forse una Artemide per la quale si rimanda a esemplari fittili da Cipro o dalla Sicilia, cfr. KASCHNITZ-WEINBERG 1937, p. 48, n. 81. 9 Per il coronamento del polos a tempietto si veda, in particolare, la c.d. “Große” Artemis di Efeso: FLEISCHER 1984a, n. 73 p. 760; 1984b, pp. 569570; si vedano inoltre un polos frammentario da Efeso: THIERSCH 1935, n. 34, Taff. 35, 2-3; 38, 2 (=FLEISCHER 1984a, n. 77 p. 760); un esemplare da Villa Albani: THIERSCH 1935, n. 26, Taf. 36, 1-2 (=FLEISCHER 1984a, n. 70 p. 760); il polos frammentario rinvenuto ad Ostia nel portico del Decumano presso Porta Romana: THIERSCH 1935, n. 13, Taf. 37, 1-4 (=FLEISCHER 1984a, n. 51 p. 759); un polos da Efeso frammentario nei magazzini Vaticani: MAGI 1936, pp. 229-231, figg. 9-11 (=FLEISCHER 1984a, n. 64 p. 760); il polos da Cirene: FLEISCHER 1984a, n. 43 p. 759; 1984b, p. 566; l’esemplare noto da disegno: FLEISCHER 1984a, n. 97 p. 761; il polos frammentario rinvenuto nella Villa dei Quintili: PETTINAU 2010, p. 227, cat. 6b; il polos rinvenuto alla foce del Rodano: HERMARY 2009, pp. 136-137; tra le statuette si veda FLEISCHER 1984a, n. 58 p. 759 (in marmo, da Roma?), nn. 99, 103 p. 761 (fittili, forse rispettivamente da Smirne e da Clazomene), n. 133 p. 762 (in bronzo); FLEISCHER 1984b, pp. 568, 571, 573. Come osservato da R. Fleischer (1973, p. 58), la terminazione architettonica sostituisce nella piena 8

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A.CAPODIFERRO causata dallo strappo espone tracce di lavorazione della subbia e del trapano. Canonica è considerata anche la foggia del velo disteso come un nimbo ai lati del capo; la linea di frattura al bordo ispessito non consente di individuare il limite della superficie finita. I principali e ricorrenti motivi decorativi, quali il corredo di animali fantastici rappresentati in genere come protomi aggettanti10, sono svolti nel nostro caso con resa originale nel basso rilievo di sfingi e grifoni alati che decora su due registri il polos; al centro del registro inferiore una protome alata di animale (grifo?) tiene appuntato nelle fauci spalancate il nymbus (vedi infra, Vincenti fig. 7c). Spicca come caratteristica distintiva ed eccentrica, la soffice voluminosità della triplice corona di rosette quadripetale, lavorate col trapano, che si dispongono in tre serie sovrapposte e leggermente ascendenti. Da questo diadema floreale che abbraccia la fronte e serra i capelli, sfuggono alcune ciocche ondulate, anch’esse lavorate al trapano, bipartite in due bande che incorniciano il viso, gonfiandosi morbide a nascondere la parte alta delle orecchie. Sembra questo appariscente attributo floreale una particolare redazione del singolo o doppio giro di bende, sulle quali sono appunto incise simili rosette, che fasciano la fronte dei tipi canonici della “Große” e della “Schöne” Artemis di Efeso come di altri esemplari11. Né va tralasciata una età imperiale l’alta corona turrita che sormontava il capo della dea in una fase più antica e di cui rimane memoria soprattutto nella monetazione. Sulla valenza politica e simbolica del coronamento a tempietto, v. SELTMAN 1951, pp. 44-47; LIDONNICI 1992, p. 395, nota 25. 10 Sfingi alate ricorrono su tutti i poloi citati alla nota precedente: THIERSCH 1935, n. 13, Taf. 37, 1-4; n. 26, Taf. 36, 1-2; n. 34, Taff. 35, 2-3; 38, 2; MAGI 1936, pp. 229-231, figg. 9-11; FLEISCHER 1984a, nn. 43, 73, 97 pp. 759-760; 1984b, pp. 566, 569-570; PETTINAU 2010, p. 227, cat. 6b; HERMARY 2009, pp. 136-137; FLEISCHER 1984a, nn. 38, 43, 48, 51, 58, 64, 91, 95-97 pp. 759761; FLEISCHER 1984b, nn. 43, 58 pp. 566, 568. 11 FLEISCHER 1984a, nn. 73-74, p. 760; 1984b, pp. 569-571; si veda anche un esemplare frammentario da Efeso: FLEISCHER 1984a, n. 78 p. 760; 1984b, p. 570. Sembra caratterizzarsi per una leggera volumetria, una corona di fiori che come un’alta fascia cinge la fronte di una dea e ferma sul capo il lungo

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LA TESTA DI ARTEMIDE EFESIA possibile “citazione” della fitta ghirlanda intrecciata di elicrisi, e percorsa dalla spirale di un nastro, che usualmente è disposta in forma di crescente sul pettorale della dea12. Altro elemento insolito è la sistemazione nell’incavo del nymbus delle due figurine in bassorilievo delle Nikai disposte simmetricamente, ai lati della testa sopra la linea delle spalle, come sembra potersi ricostruire da quanto sopravvive della figura alata di destra. Questa indossa un chitone leggero e fluttuante che lascia trasparire, fino alla linea di frattura, il modellato delle gambe incrociate in un rapido passo. Il braccio destro è sollevato e, posto di traverso sull’ala, scompare in parte dietro la nuca della dea, quasi a sostenerne la corona; il braccio sinistro è disteso, morbido, lungo il fianco, la mano tiene levato in alto un ramo di palma che si sovrappone in parte al rilievo dell’altra ala. Le proporzioni snelle, le linee flessuose, le ali rivolte all’insù rendono lo slancio del volo. All’interno del nymbus trovano posto, simmetricamente disposte alla base del collo della dea, anche due rosette a quattro petali con bottoncino centrale inscritte in un cerchio, elemento esornativo di solito ripetuto più volte nell’addobbo a fasce e riquadri della sopravveste (ependytes)13. Estranei alla tradizione appaiono sia l’inserimento a riempitivo nel velo sia l’appaiamento di tale motivo floreale – raffigurato in grande scala – con la figura della Nike. Passando in esame il guardaroba decorativo dell’Artemide Efesia, un raffronto plausibile può essere rintracciato nell’esemplare acefalo conservato nel Museo Archeologico Nazionale di Atene che presenta sotto il pettorale, disposte di tre quarti ai lati del busto, due figure femminili alate tra le quali velo che scende fino ai piedi: nota da un disegno, la statua nominata come “Artemis Ephesia” è riconosciuta invece come «Venus di Afrodisia», in proposito si veda RAUSA 2007. 12 Si vedano ad esempio: FLEISCHER 1984a, nn. 26, 39, 47, 49, 52, 58, 60-63, 67-68, 73-74, 88-89; FLEISCHER 1984b, pp. 565-571. 13 Si vedano ad esempio: FLEISCHER 1984a, nn. 28, 39, 44, 49, 62, 73-74, 88; FLEISCHER 1984b, pp. 566-571.

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A.CAPODIFERRO si distende una teoria di rosette14. In linea generale, quindi, le Nikai15 nel velo della dea da via Marmorata potrebbero rimandare alle figure femminili alate che appaiono usualmente raffigurate, insieme alla teoria dei segni dello zodiaco, sul pettorale a mezzaluna delle statue dell’Efesia16. In termini di raffronto diretto, allo stato attuale dello studio dell’edito, la presenza di figurine femminili all’interno del velo è riscontrabile nella statuetta di terracotta dell’Artemide Efesia da Smirne, oggi nel Museum of Fine Arts di Boston17, e nel discusso frammento di testa in marmo bianco proveniente dagli scavi del Foro Romano18.

FLEISCHER 1984a, n. 28 p. 759; 1984b, p. 566. FLEISCHER 1973, pp. 58-63. 16 Nikai sono poste lateralmente sopra il petto all’attacco delle braccia nella straordinaria statua di età tardoellenistica dell’Antikensammlungen Museum di Basilea che R. Fleischer ritiene il primo esempio conservato di freestanding figure, FLEISCHER 1984a, n. 86 p. 760; 1984b, p. 571. Nell’esemplare da Leptis Magna (FLEISCHER 1984a, n. 88 p. 760; 1984b, p. 571) due Nikai compaiono oltre che all’interno del pettorale anche ai lati del busto, mentre nella già menzionata statua acefala da Atene (FLEISCHER 1984a, n. 28 p. 759; 1984b, p. 566) le Nikai compaiono solo sulla sopravveste, lateralmente. Tra i numerosi esemplari conservati nei quali le Nikai decorano il pettorale della statua, si segnala quello da Caesarea Maritima (FROVA 1962; FLEISCHER 1984a, n. 39 p. 759; 1984b, p. 566). In particolare, le Vittorie raffigurate sulla corazza di un gruppo di statue di Adriano (VERMEULE 1959, nn. 180-191, figg. 46-47, 49, 51) mostrano diverse analogie con la figura conservata sul velo della testa da via Marmorata. 17 Datazione all’età ellenistica in VERMEULE 1967-1968, pp. 58-59, fig. 8; all’età traianea-adrianea per la presenza del polos in FLEISCHER 1973, pp. 27, 50, 60, E 88, tav. 44 = FLEISCHER 1984a, n. 99 p. 761; 1984b, p. 571. 18 SQUARCIAPINO 1960, pp. 208-211, Tav. LXV; FLEISCHER 1973, pp. 140146, 152, tav. 61 a, b = FLEISCHER 1984c, pp. 764-765; 1984d, p. 573. In SQUARCIAPINO 1960, p. 208 sono riportate le misure del frammento: alt. 12 cm, largh. 15,5 cm; circa la raffigurazione delle Vittorie viene precisato come esse siano riconoscibili dagli attributi e dal gesto mentre non si notano tracce di ali, forse a causa “della frattura e della consunzione delle superfici” (p. 209). Diverso appare il trattamento della superficie posteriore del velo “con pieghe a bordi stondati e poco rilevate, che si irraggiano da sotto la corona” (p. 209). Si può inoltre osservare che in questo esemplare è presente un 14 15

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LA TESTA DI ARTEMIDE EFESIA Nel primo caso, sebbene le piccole dimensioni e il mediocre stato di conservazione della superficie decorata rendano poco leggibile il rilievo, non sembra possa trattarsi di due Nikai in quanto le figurine hanno le braccia levate nell’atteggiamento tipico dell’Efesia19. Più appropriato appare invece l’accostamento al frammento forense, costituito dalla parte superiore del velo che copriva il capo e dall’elemento coronante, polos o corona turrita; manca il viso, realizzato a parte. In questo secondo caso, infatti, l’incavo del velo è decorato da due Vittorie diversamente atteggiate con ramo di palma e corona, riscontrandosi quindi un’efficace similitudine e il medesimo elemento di novità che nella nostra testa. In mancanza di confronti puntuali, pur considerando che la presenza di rilievi nella faccia interna del nymbus – dove però in luogo delle usuali protomi di grifi alati o di figure di animali compaiono le Vittorie alate – e la stessa foggia del velo che si allarga ai lati del capo rimanderebbero al tipo dell’Efesia, questo frammento è stato attribuito all’Afrodite di Afrodisia ipotizzando “un’imitazione o un’attrazione esercitata” dal tipo dell’Artemide Efesia20. Altrimenti, le Nikai poste sul nimbo sono state considerate distintive dell’Artemide Leukophryene di Magnesia sul Meandro, allo stesso tempo richiamandone la derivazione del culto e la similitudine iconografica con gli esemplari dell’Efesia21. A questo proposito, si vuole richiamare di nuovo l’ipotesi che la testa da via Marmorata possa costituire un esemplare di un particolare tipo dell’Efesia nel quale le Nikai, inizialmente raffigurate sulle monete accanto alla dea quali accompagnatrici, cercine a tortiglione alla base del polos perduto che è tuttavia identificato con una corona turrita. 19 FLEISCHER 1973, p. 58. 20 SQUARCIAPINO 1960, pp. 208-211; nella rappresentazione dell’Afrodite di Afrodisia in rari casi il velo non scende verticalmente ma si allarga quasi come un nimbo ai lati del capo, come nell’esemplare frammentario da Atene, sul quale si veda BRODY 2007, p. 18, n. 6, tav. 8,6. 21 FLEISCHER 1973, pp. 145-146.

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A.CAPODIFERRO collocate nella statuaria ai lati del busto ed infine sul pettorale, assurgono fino al nimbo, esemplificando forse una contaminazione tra i caratteri peculiari dell’una e dell’altra iconografia22. La totale assenza di dati di scavo utili alla cronologia del pezzo, stante il rinvenimento in colmature di superficie23, obbliga ad una datazione basata sulle componenti iconografiche e sui fattori tecnici e stilistici che permettono di inquadrarlo nella prima metà del II secolo d.C.24, in accordo del resto con la cronologia delle repliche statuarie note dell’Artemide Efesia25. Nella piena età adrianea, una rinascita del culto tributato alla dea è attestata anche dalla frequente rappresentazione del simulacro, come questo era arrivato a configurarsi al termine di un lungo processo di formazione26, sulle monete27. La scultura potrebbe quindi essere ascritta al novero delle repliche del simulacro dell’Efesia databili nella piena età imperiale, quando il tipo ha ormai fissati i tratti salienti che lo caratterizzano dall’età ellenistica diventando universali nel mondo romano. Di ragguardevole interesse appare, infine, il luogo di rinvenimento alle pendici dell’Aventino28. Non è del tutto Si veda in proposito, CAPODIFERRO 2011, p. 21. Cfr. A. NEGRONI, Saggio XX, in CAPODIFERRO, QUARANTA 2011b, pp. 115-116. 24 CAPODIFERRO 2011a, pp. 21-23. 25 FLEISCHER 1973, p. 129; cfr. anche PALMA VENETUCCI 2009, p. 715, che ipotizza che la diffusione delle repliche romane dell’Artemide Efesia in età adrianea possa attribuirsi alla presenza a Roma degli scultori di Afrodisia. 26 Vedi supra nota 7. 27 Si vedano in particolare i cistofori adrianei con raffigurazione della statua di culto di Artemide Efesia: METCALF 1980, pp. 12-13, nn. 10-38, Taff. 1-3; FLEISCHER 1973, pp. 43-44, Taf. 56; si veda anche FLEISCHER 1984a, n. 25 p. 758; 1984b, p. 565. In generale sull’iconografia della dea documentata dalle monete si vedano: SELTMAN 1951; FLEISCHER 1973, pp. 39-46. 28 Altri significativi ritovamenti sull’Aventino sono costituiti da: una statuetta di Artemide Efesia in alabastro, nota da una incisione, proveniente da scavi eseguiti nei primi decenni del Settecento in un “orto dirimpetto alla chiesa” di Santa Sabina (1722) (vedi infra il saggio di Vincenti, fig. 7); il torso di una kore acefala di marmo greco, di stile arcaizzante, che è stata messa in 22 23

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LA TESTA DI ARTEMIDE EFESIA inverosimile ipotizzare che la testa rinvenuta in via Marmorata possa avere attinenza con il tempio di Diana Aventina che sorgeva sul colle29 e che la tradizione antica pone in relazione con il santuario di Artemide ad Efeso30.

relazione al simulacro di Diana Aventina, venuta in luce nei lavori di ricostruzione del convento annesso alla chiesa di Sant’Alessio (1750); un nymbus frammentario in marmo bianco, decorato da due protomi di grifi, pertinente ad una statua dell’Efesia, dagli scavi presso la chiesa di Santa Prisca (1966). Per la bibliografia inerente, si veda CAPODIFERRO 2011, note 38-41, p. 38. 29 Le principali vicende storiche e i caratteri architettonici del tempio sono delineati in VENDITTELLI 1995 con bibliografia precedente; sulla localizzazione del tempio di Diana Aventina si vedano inoltre: COLONNA 1994, pp. 299-304; ARMELLIN, QUARANTA 2004; VENDITTELLI 2005; BRUNO 2006, pp. 113-115. 30 COLONNA 1962; AMPOLO 1970; sulle fonti si veda C. CENCI, Fonti letterarie, in CAPODIFERRO, QUARANTA 2011a, pp. 51-54. Sulla similitudine tra le statue di culto venerate nel santuario di Efeso e in quello sull’Aventino, v. TURCAN 2000.

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LA TESTA DI ARTEMIDE EFESIA Didascalie Fig. 1. La testa di Artemide Efesia al momento del rinvenimento. Fig. 2. La testa di Artemide Efesia, visione frontale. Fig. 3. Particolare del polos, oggetto quadrato con base di colonna. Fig. 4. Rilievo e ipotesi ricostruttiva. Fig. 5. Profilo sinistro. Fig. 6. Profilo destro. Fig. 7. Visione posteriore. Fig. 8. Localizzazione del rinvenimento. Le fotografie dell’Artemide Efesia sono di Marco Delogu. Il rilievo, l’elaborazione e la documentazione grafica sono di Monica Cola – Studio MCM.

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