Il Senso della Repubblica

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Nell’attuale dibattito politico italiano, sempre più spesso degradato a contumelia tra espressioni contrapposte della stessa (ahimè!) visione/azione politica, si delinea anche l’ipotesi, tutt’altro che teoreticamente rassicurante, di un definitivo abbandono del mito propulsivo del buongoverno, sostituito di fatto da una sorta di rassegnazione estrema ad una democrazia realistica e priva di ideali etici, che l’omologato giornalismo dell’Italia di oggi (sempre più unico detentore, a quanto sembra, del dibattitto civico) esalta come virtù di un ipotetico centro moderato, garante della agognata stabilità tra altrettanto ipotetici estremismi di destra e di sinistra e auspicato come unica possibilità di sopravvivenza della democrazia (e della libertà).

Ci chiediamo: tutto qui, dunque, il futuro della democrazia? Tutto in una politica di moderazione e di compromesso che si affida alla governance (e all’agenda) di collaudati tecnici dell’economia prestati alla politica? (I quali, peraltro, con la loro presenza, non fanno altro che rinverdire i fasti/ nefasti dell’equivoco binomio capitalismo/democrazia? Tutta qui la pro(Continua pagina

astano pochi dati a spiegare il senso di questa fase politica e della tornata elettorale in corso. II primi sono dati di carattere sociale. Dal 2005 al 2021 il numero di individui in povertà assoluta è quasi triplicato, passando da 1,9 a 5,6 milioni (il 9,4% del totale). Le famiglie, a loro volta, sono più che raddoppiate, da 800.000 a 1,9 milioni (7,5%). Tra i minori la povertà assoluta è tre volte più frequente (dal 3,9% del 2005 al 14,2 del 2021). Anche tra i giovani (18 34 anni) la dinamica è molto negativa e l’incidenza ha raggiunto l’11,1%, il triplo del 2005, quando era ancora al 3,1% (raccolgo online questi dati di fonte Istat direttamente dall’“Avvenire”). Cosa si intenda per “povertà assoluta” è presto detto: “Sono considerate in povertà assoluta le famiglie e le persone che non possono permettersi le spese minime per condurre una vita ac(Continua a pagina 3)

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4) DAL 2005 AL 2021 GLI INDIVIDUI IN POVERTÀ ASSOLUTA SONO PASSATI DA 1,9 A 5,6 MILIONI SOCIALE E POLITICO AL TORNANTE DELLA CAMPAGNA ELETTORALE di ALFREDO MORGANTI VOLONTÀ POLITICA E POLITICA DELLA VOLONTÀ di ANNA STOMEO PAG. 5 PAG. 6 PAG. 8 PAG. 10 PAG. 13 PAG. 15 DONNE DI MAFIA, QUALCHE SPIRAGLIO DI GIUSEPPE MOSCATI SALENTO E MEZZOGIORNO. TRA SVILUPPO ECONOMICO E PROGRESSO DEMOCRATICO DI PAOLO PROTOPAPA PLANET, PEOPLE AND PEACE DI LUANA ALAGNA MOVIMENTI DEI LAVORATORI, QUESTIONE DI STORIA DI LUCA BENEDINI PER TORNARE A PENSARE LA PACE DI DANIELA BELLITI LA BANCA CENTRALE EUROPEA E IL “VERTICE EURO” DEL GIUGNO 2022 DI SABRINA BANDINI

Il Senso della Repubblica NEL XXI SECOLO QUADERNI DI STORIA, POLITICA E FILOSOFIA Anno XV n. 8 Agosto 2022 Supplemento mensile del giornale online Heos.it

All’interno Nel numero di aprile di questa rivista, avevamo posto in evidenza i rischi del prolungamento della guerra in Ucraina. L’obiettivo, cinico, di trasformare la tragedia bellica in un evento capace di scuotere per logoramento il sistema che regge il dispotismo russo doveva contemplare, a nostro avviso, risposte a dubbi incalzanti: l’Europa si sarebbe rafforzata o indebolita da questa dinamica? Chi avrebbe tratto i maggiori vantaggi? Come si sarebbero delineati i nuovi assetti (economici)? Da allora possiamo annotare che la guerra continua, con le pesantissime e prevedibili conseguenze: crisi alimentari in Africa; tensioni in Kosovo, a Taiwan e instabilità diffusa a livello globale; scenari di stagflazione, crisi energetiche, drammatiche condizioni ambientali incombenti sul mondo e su un’Europa che si sta dilanian(Continua a pagina 2) LE DEMOCRAZIE TRA SOGNO EUROATLANTICO E MULTIPOLARISMI di SAURO MATTARELLI B

Identificato in molti ambienti come “banchiere” o “tecnocrate”, l’allievo di Federico Caffè in realtà può essere considerato uno degli ultimi epigoni di un ideale euroatlantico, che aveva come orizzonte la titanica impresa della “unione delle democrazie” fondata sulla pari dignità politica. Una visione che ha annoverato alleati negli Stati Uniti e in Europa, ma pure tanti nemici: non solo fra i cosiddetti filorussi, ma, soprattutto, nell’arcipelago dei “sovranisti” di vario colore, nei regimi di paesi che si sono aggregati all’Unione europea senza percorsi democratici reali o credibili; in coloro (tanti e militanti in schieramenti insospettabili) che fanno uso sistematico di un populismo che vede nell’Europa un ostacolo alle rivendicazioni regionalistiche o nazionaliste, oppure una mera dispensatrice di favori a cui attingere con scaltrezza. In generale poi agiscono lacune culturali, (in)capacità progettuali e di analisi che fanno da contraltare alla forte possibilità di manipolazione di masse e di consensi, in un clima di deresponsabilizzazione che, in pratica, toglie libertà di soppiatto. Indirettamente ne risulta favorita la corruzione, cresce l’isolamento degli individui, si indeboliscono le difese sociali, dopo che per decenni si è stati educati alla “furbizia”, all’obbedienza, ai bassi istinti: trasformati, cioè, in pura massa di consumatori ormai lontani da ogni concetto di cittadinanza. Ci sono numerose forze politiche in Italia, in Europa, negli Stati Uniti che si appoggiano direttamente o indirettamente a questi “principi”, non certo ostacolate da potenze esterne che, nel mondo multipolare, vedono in simili dinamiche buone premesse di future dominazioni. Sarà probabilmente su questo spartiacque che si consumeranno le prossime lotte politiche in Italia e in Europa. È perciò indispensabile che le connotazioni, le alleanze, siano chiarite politicamente. Uno dei difetti capitali dell’utopia euroatlantica, è infatti riscontrabile nella constatazione che anche molte sedicenti democrazie sono in effetti democrazie incompiute o incomplete, o in crisi; solcate da affaristi senza scrupoli e da potentati non più demarcabili attraverso i tradizionali confini nazionali. Pochi analisti hanno preso atto delle dinamiche (Continua da pagina TRA SOGNO EUROATLANTICO E MULTIPOLARISMI

Il presidente del Consiglio, Mario Draghi (credit: google.com)

IL SENSO DELLA REPUBBLICA Il Senso della Repubblica SR ANNO XV QUADERNI DI STORIA POLITICA E FILOSOFIA NEL XXI SECOLO Supplemento mensile del giornale online www.heos.it Redazione Via Muselle, 940 37050 Isola Rizza (Vr) Italy ++39 345 9295137 heos@heos.it

1) LE DEMOCRAZIE

Direttore editoriale: Sauro Mattarelli (email: smattarelli@virgilio.it) Direttore responsabile: Umberto Pivatello Comitato di redazione: Thomas Casadei, Maria Grazia Lenzi, Giuseppe Moscati, Serena Vantin, Piero Venturelli Direzione scientifica e redazione: via Fosso Nuovo, 5 48125 S. P. in Vincoli Ravenna (Italy) 2 / Agosto 2022 demografiche, ambientali e geopolitiche o tenuto in debito conto che nessuna crescita può essere infinita e che ogni prosperità locale conseguita a scapito di altri genera conflitti. In simili scenari la globalizzazione è stata intesa come una sorta di continuazione del neocolonialismo; il problema ecologico e ambientale trattato alla stessa stregua di quello sociale, facendo cioè perno sull’imperativo di impoverire, risucchiare avidamente il possibile e poi, magari, elargire briciole di carità. Nessuna sorpresa, allora, se le strutture pubbliche, ridotte alla fatiscenza, consentono, con vergognose accondiscendenze, una sistematica evasione fiscale, forme di arbitrio e di soprusi degne delle peggiori tirannie, distruzioni ambientali che ipotecano il futuro e pongono a repentaglio la convivenza civile. Queste emergenze istituzionalizzate dovranno pure essere poste almeno in discussione nelle agende degli schieramenti euroatlantici: dai liberali, dai popolari, dai socialisti, dai “progressisti” dalle mille sfumature... Diversamente resta visibile e chiaro solo lo scudo NATO. Non potrà bastare, perché ogni unione di democrazie ha bisogno di prassi democratiche autentiche, di ideali che la sorreggano, di eventuali rinunce per conseguire traguardi più alti. La NATO può certo offrire “protezione” e letture che indichino “da che parte della storia stare”; ma è appena il caso di ricordare che anche questo linguaggio fa parte del vocabolario populista; asseconda la logica del “portare a casa”; non disegna alcun piano di riforme, né percorsi per il futuro; non svolge nessuna azione di pedagogia civile; genera manicheismi che rischiano di confondersi con quelli degli autocrati. In questi mesi, invece, c’è estremo bisogno della chiarezza e del coraggio civile che ha sempre connotato le democrazie vere. ▪ do dall’interno. Gravi crisi politiche hanno intanto coinvolto i governi di Inghilterra, Germania, Francia e Italia. La caduta di Mario Draghi, al di là dei giudizi che possono essere pronunciati sulla azione di governo, costituisce un fatto di rilievo epocale per il Vecchio Continente perché rappresenta la demolizione di un baluardo della costruzione europea o meglio di una certa idea di costruzione europea.

3 / Agosto 2022 IL SENSO DELLA REPUBBLICA elargizione di sgravi e bonus alle imprese, cavalcando l’onda infruttuosa di questi ultimi dieci anni, come abbiamo visto. Chiara Saraceno, che ha guidato il Comitato scientifico sul Reddito di cittadinanza, in un’intervista a “MicroMega” ha spiegato come, invece, lo strumento sia indispensabile e si rivolga “a chi ha poche possibilità di essere occupato, a chi ha una bassa istruzione, a chi in generale è lontano dal mercato del lavoro. Ma non solo. Tra i percettori del Reddito ci sono molti lavoratori poveri, chi lavora sei mesi all’anno, chi ha bassi salari. Persone che per l’Inps sono “lavoratori” ma solo perché hanno un qualche tipo di contratto regolare. Non parliamo quindi di nullafacenti, ma di chi non riesce a trovare un lavoro che dia un reddito sufficiente per vivere e per uscire dalla povertà”. Se poi in Italia non esistano efficaci politiche attive del lavoro, certo, questa non è responsabilità del Reddito ma di chi non le ha approntate. Il fatto è che, senza rete, molti cittadini che volteggiano tra un part time e all’altro, tra un contratto subordinato e l’altro, tra la disoccupazione, il lavoro sottopagato e la schiavitù di fatto, non avrebbero alcuna tutela se quei volteggi finissero, come spesso accade, in una rovinosa caduta.

(Continua da pagina 1) SOCIALE E POLITICO

È questa la fotografia più efficace del nostro Paese oggi, a cui si è risposto in questi anni solo in termini di bonus per persona e per categoria, di sgravi fiscali alle imprese, di incentivi fiscali di ogni genere, legittimando una deriva “privatistica” dei soldi pubblici e un loro uso individualizzato piuttosto che “sociale”, volto invece al potenziamento dei servizi collettivi come la sanità, la scuola, i trasporti. Che cosa ha fatto la sinistra di governo in questi anni? Come ha speso la sua pressoché costante presenza al governo? Cosa ha fatto per frenare l’onda anomala della crisi sociale, oltre che quella “nera”, che oggi è sventolata come uno spauracchio? Bisognerebbe davvero chiederselo prima che i ritmi forsennati e spesso dissennati della campagna elettorale facciano velo alla realtà. Da questa domanda potrebbe innescarsi una visione diversa della fase e magari partire un rinnovamento politico. Eludendo questi temi si finirà, per cadere ancora una volta nel tran tran comunicativo, nelle chiacchiere da bar, nelle battute da ceto politico, che celano il vero stato di fatto e ottundono la nostra capacità di comprenderne le fattezze e le ragioni. ▪ governi, ma della congiuntura socioeconomica, della fase storica, della crisi nazionale e internazionale. Pur tuttavia, se affianchiamo al dato sociale quello politico c’è da rimanere davvero sbalorditi, o perlomeno sopresi. Dopo 10 anni di governo, a cui le forze progressiste hanno portato il loro più o meno solido contributo, oggi la chiave della campagna elettorale del Partito Democratico, almeno in queste prime battute, è tutta centrata (in negativo) sul pericolo dell’“onda nera” (come ha scritto “Domani” in prima pagina). “O con noi o contro di noi” dice all’incirca una battuta della campagna elettorale del PD lettiano. Tant’è vero che la parola d’ordine è una soltanto, ossia quella dell’“accordo tecnico” salva Costituzione. Anche qui: possibile che, dopo 10 anni di governo del centrosinistra, in vario modo e secondo varie formule, la destra oggi possa presentarsi sul proscenio politico in modo così arrembante (almeno secondo la narrazione in corso)? Caratterizzando in termini così specifici la campagna di comunicazione della sinistra, dopo ben dieci anni di governo pur ad assetto variabile? Non è un caso, allora, che uno dei temi più controversi del confronto elettorale sia proprio il reddito di cittadinanza. L’Istat ha già spiegato come questa misura abbia evitato che almeno un milioni di italiani (circa 500.000 famiglie) potesse cadere, in questi mesi, nella povertà assoluta. Senza sussidi, l’intensità della povertà sarebbe stata di 10 punti maggiore (28,8% a fronte del 18,7). Nonostante ciò, la destra, le formazioni di centro e una certa fetta del PD ritengono che tale misura debba essere tout court cancellata, e i 4 5 miliardi di euro “risparmiati” siano trasferiti direttamente alle imprese. Lo stesso Draghi ne ha parlato in termini velenosi: “quando uno strumento non funziona, significa che è cattivo”. Ecco, detta così sembra una parodia all’inverso di Robin Hood: togliere ai poveri per dare ai ricchi (le imprese). Che si sia d’accordo o meno con il provvedimento, il fatto è di per sé significativo, e testimonia su come le forze politiche, in buona parte, intendano affrontare per oggi e per il futuro la crisi sociale: togliendo protezioni, rendendo la società ancora più “selvaggia” e competitiva, cancellando le misure che intervengono a contenere gli effetti delle crescenti diseguaglianze, continuando invece nella IL cettabile. La soglia di spesa sotto la quale si è assolutamente poveri è definita da Istat attraverso il paniere di povertà assoluta. Questo comprende l’insieme di beni e servizi che, nel contesto italiano, vengono considerati essenziali. Ad esempio, le spese per la casa, quelle per la salute e il vestiario” (fonte “Openpolis”). A rendere questi dati particolarmente tragici è la considerazione che il lavoro oggi non è una protezione sociale adeguata. C’è, difatti, una forte crescita dei lavoratori poveri: nel settore privato un milione di dipendenti percepisce meno di 8,41 euro/ora e si situa sotto la soglia dei 12mila euro/anno. Considerando la sola soglia dei 12.000 euro, il numero dei dipendenti sale a 4 milioni. Se invece si considera soltanto la soglia della retribuzione oraria di 8,41 euro/ ora, parliamo di 1,3 milioni di lavoratori (9,4%). L’inflazione, naturalmente, amplifica il fenomeno. Senza meccanismi di adeguamento, le retribuzioni tornerebbero sotto i valori del 2009. La stessa inflazione accresce i livelli di diseguaglianza, visto che la riduzione di potere d’acquisto è più forte e massiccia nelle famiglie già povere. Ma la novità agghiacciante, come dicevamo, è che il lavoro non basta più a garantire una difesa dalla povertà. I dati parlano chiaro, specialmente se si tratta di lavoratori a tempo determinato o part time o a contratto, che sono quasi 5 milioni (il 21,7% del totale). Questo il dato sociale. Ed ecco quello politico. Negli ultimi 11 anni, in Italia, si sono avvicendati a Palazzo Chigi sette governi: Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte I, Conte II, Draghi. Le forze di centrosinistra (in vario modo) sono state coinvolte nell’esecutivo per 10 anni su 11. Il nostro Paese, in questo decennio, non è mai stato duramente irregimentato sotto amministrazioni esplicitamente di destra (almeno in termini nominali). Certo, si è trattato anche di governi di unità nazionale, ma resta il dato che l’esecutivo ha visto sempre o quasi il Partito Democratico al governo. Ciò nonostante, i fenomeni di impoverimento sono cresciuti in misura considerevole. La crisi si è ingigantita. Si dirà: non è solo responsabilità dei

5) VOLONTÀ POLITICA E POLITICA DELLA VOLONTÀ

La politica, come azione ed esercizio della (e per la) libertà, si incontra e si scontra nel pensiero occidentale con l’etica della volontà nell’esercizio del potere. La “volontà politica” come tensione al fare il bene della comunità, nell’accezione comune di impegno ad agire, implica quell’attenzione al mondo che la filosofia del Novecento ha recuperato attraverso le riflessioni di alcuni pensatori particolarmente attenti a rileggere il tema della volontà (ereditato da Agostino, da Pelagio da Duns Scoto, passando per la Lettera ai Romani di Paolo di Tarso) nel quadro di un’etica della modernità in cui la politica intenda rivestire (Continua da pagina 1) un ruolo progettuale e non di mera gestione del potere, ponendosi come libertà di agire e non semplicemente di fare, azione come volontà e come scelta che rende colui che agisce consapevole della propria identità nella pluralità. In particolare Hans Jonas (Agostino e il problema della libertà, tr. it., Morcelliana, 2007) e Hannah Arendt (La vita della mente, tr. it. il Mulino, 1987), entrambi sollecitati dalla critica a Heidegger e in contrasto con lui sull’interpretazione del pensiero di Agostino, discutono da punti di vista differenti il tema della volontà e della sua autonomia, aprendo la strada ad una dimensione teorico politica contemporanea nella quale l’interiorità può proporsi, paradossalmente, come terreno di coltura della politica nella sua dimensione relazionale e plurale. La volontà infatti appartiene all’individualità e alla consapevolezza interiore, in cui l’io voglio si misura necessariamente con l’io posso, che può metterlo in discussione come io voglio, ma non posso. La volontà come conflitto ineludibile con una contro volontà che incombe come monito e consapevolezza, rappresenta, di per sé, la grande sfida rivolta alla modernità dallo gnosticismo antico. Non possiamo qui addentrarci, per motivi di spazio e di sintesi, negli accattivanti meandri filosofici che la riscoperta della volontà ad opera di Jonas e di Arendt ha reso evidenti e percorribili tanto da farne un topos della ricerca filosofico ermeneutica contemporanea, con numerose pubblicazioni e numerosi approfondimenti di studiosi di alto livello. Ci basta qui ricordare il meccanismo etico e teoretico che rende complessa la volontà perché ne evidenzia la doppia pulsione, il dissidio, intrinseco in ogni atto volitivo, tra volere e non volere. La volontà si determina come proprietà essenziale della libertà, riconducibile secondo Arendt all’idea trascendentale kantiana di libertà e come “molla dell’azione” da cui far derivare “una serie di cose e stadi successivi”. La volontà, dunque, è facoltà autonoma che decide e le cui decisioni risultano determinate non “dal meccanismo del desiderio o da eventuali precedenti determinazioni dell’intelletto”, ma dall’impulso trascendentale della libertà. In questo senso: “O la volontà è l’organo della libera spontaneità che spezza tutte le concatenazioni causali di motivazione da cui verrebbe vincolata, o non è altro che un’illusione […]. In altre parole, è impossibile trattare dell’attività della volontà senza toccare il problema della libertà” (H. Arendt, ivi, p. 308). In questa citazione ritroviamo tutta la forza dirompente di una volontà moderna e problematica che si divincola dalle limitazioni del pensiero classico (per il quale non solo i fini, ma anche i mezzi sono già dati, per cui il nostro agire si ridurrebbe ad una mera scelta “razionale” tra essi) per proporsi come atto spontaneo e assoluto, cioè sciolto da vincoli e ricondotto all’essenza della responsabilità. Non solo dunque consapevolezza dei limiti della condizione umana, ma azione determinata al cambiamento.

4 / Agosto 2022 IL SENSO DELLA REPUBBLICA spettiva offerta a milioni di cittadini offesi dalla crisi, dall’inflazione, dalla guerra, dalla devastazione ecologica? Davvero un’ipotesi inquietante che ci lascia nello sconforto di una perdita (di ideali? di progetti? di possibilità di riscatto e di cambiamento? di futuro? di teoria?) e ci espone, di conseguenza, alla nostalgia per un passato prossimo dominato dai tanto evocati “partiti di massa” e definitivamente perduto nelle nebbie dei processi di trasformazione globalizzata e neoliberista degli ultimi due decenni del secolo scorso. Il tutto nella consapevolezza che la proclamata crisi endemica della democrazia occidentale, nella sua evoluzione storicamente determinata (dal suffragio ristretto al suffragio universale fino all’attuale suffragio mediatico), si alimenta di numerose ambiguità, di contesto e semantiche: da quella di aristotelica memoria, che riconduce la krisis al suo significato intrinseco di scelta e di esercizio del giudizio e dell’azione e, perciò, della libertà politica del discutere e del decidere, a quella giudaico cristiana che identifica la crisi con l’affidamento alla giustizia divina e alle sue promesse apocalittiche e inappellabili di dannazione, ma anche di salvezza. In questo contesto, teorico e politico, sembrano prendere sempre più corpo le ombre di quella personalizzazione della politica che ha caratterizzato gli ultimi trent’anni di storia italiana e le cui conseguenze devastanti si manifestano nella diffusa convinzione che anche in democrazia a fare la storia siano i governanti (capi), provvidenzialmente confortati dal muto consenso dei governati (folla o massa), in una sorta di inevitabile deriva verso la “democrazie recitativa”, secondo la nota e inquietante definizione analizzata da Emilio Gentile qualche tempo fa (E. Gentile, Il capo e la folla. La genesi della democrazia recitativa, Laterza, 2016). Nella quotidiana prassi politica, fatta di accordi elettorali e di potere più che di progetti e di intenzioni di cambiamento e nella quale, ahimè, come cittadini siamo heideggerianamente condannati ad esserci, riportare il dibattitto su un piano teorico e filosofico più generale ci appare un’operazione tanto ardua, quanto necessaria, da tentare, senza timori di disarmonie o sproporzioni, nella convinzione che le vicende politiche del quotidiano (si parva licet…) possano (e debbano) usufruire di tanto in tanto di una rigeneratrice “ossigenazione” teorica. E allora, come è costume della nostra rivista, ci permettiamo di attraversare un terreno filosofico più impervio e impegnativo, fatto di contraddizioni, ma anche di analogie più o meno rassicuranti. Sicuramente un terreno più accattivante ed efficace dell’arida contumelia politico elettoralistica di questi giorni.

Il binomio politica e volontà si definisce, nel pensiero occidentale, come cartina di tornasole del grado di libertà dell’individuo in relazione alle scelte di costruzione del futuro. Ed è proprio qui che, a nostro avviso, le suggestioni filosofiche sono forti e si determina una sorta di corrispondenza inevitabile con la quotidianità dell’agire politico. Fino a che punto sia possibile agire in politica secondo il meccanismo della volontà e quanto la volontà politica sia consapevole del rapporto tra significato e fine dell’azione, e non sia invece condizionata dall’immediatezza del presente e dal peso del passato. Su questi temi occorre interrogarsi tutte (Continua pagina

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L. Madeo, Donne di mafia. Vittime. Complici. Protagoniste, Torino, Miraggi Edizioni, 2020, pp. 272, euro 18,00 le volte che la politica del quotidiano tenta di occupare le nostre coscienze richiamandosi alla libertà. Occorre chiedersi se la volontà politica agisca sulla base di un progetto condiviso e di un fine liberamente posto. Come è avvenuto nei momenti cruciali della storia italiana, dal Risorgimento alla Resistenza, da Mazzini a Gramsci, la volontà politica scaturisce da una politica della volontà che non è certo quella obliqua della medietà o dell’invocazione di soccorso all’apprendista stregone di turno, ma quella delle scelte radicali e consapevoli, fondate sulla responsabilità e sull’etica dell’azione. L’agire come essere nel mondo e come etica del dovere. Ancora una volta, forse, tra Arendt e Mazzini. Un discorso senz’altro da approfondire. In nome della volontà. ▪ (Continua da pagina 4) VOLONTÀ POLITICA E Non è facile raccontare la storia, le storie delle donne di mafia, che possono essere vittime, ma possono essere anche complici e, ancora, possono essere anche protagoniste. Non è facile, ma Liliana Madeo si rivela una penna straordinaria, lucida quando è necessario e poi, con ogni evidenza, capace di narrare l’orgoglio e la frustrazione, i vissuti incattiviti e le disillusioni, le violenze subite e i lumicini di speranza custoditi con le mani piegate a cucchiaio per difenderli dalle fortissime correnti della malavita organizzata. Ecco dunque Donne di mafia (edito per i tipi della torinese Miraggi dopo le prime due fortunate edizioni: 1994 per Mondadori e 1997 per Baldini&Castoldi): un libro non solo coraggioso di per sé, ma che il coraggio, attraverso documenti, deposizioni e testimonianze, lo sa raccontare ed è quello di alcune figure femminili che si aggrappano alla vita anche se hanno subìto il furto della propria adole-

I FUMETTI DI ROSARIA DONNE DI MAFIA, QUALCHE SPIRAGLIO di GIUSEPPE MOSCATI scenza e della propria gioventù. Mi è rimasta impressa in particolare la storia della palermitana Rosaria, che appena diciassettenne e già madre di una bambina di due anni scopre che lui è mafioso. Tutto è sconvolto, tutto cambia di segno. Lei, come magistralmente scrive Madeo, la sua cultura se la fa con i fumetti, con le telenovelas, ma anche “con i discorsi rubati o intrecciati nel vicolo”, sempre sollecitata dal suo sogno di fuggire di casa in cerca di un futuro radicalmente differente.Illavoro, anzi la fatica quotidiana di una bimba strappata appunto ai propri giochi e alla propria innocenza; la “fuitina” con l’uomo sbagliato; la notte passata in motel; la dura realtà delle botte del giorno dopo e di una storia d’amore poco, davvero troppo poco romantico; e poi i soldi e tanti, ma sporchi, tanto sporchi Questa è la vita di Rosaria, o meglio questo è ciò cui si è ridotto a essere il destino di Rosaria. Che non ci sta. Che coltiva uno straccio di speranza per sé e la figlia.

5 / Agosto 2022 IL SENSO DELLA REPUBBLICA

Purtroppo, tra i bocconi più amari che Rosaria è costretta a mandar giù c’è anche quello terribile e che fa male come una lama affilatissima dei familiari che non comprendono perché mai lei abbia scelto di abbandonare quel “suo” lui che è mafioso, per tornare a casa dei propri genitori. E allora c’è tutto un mondo che passa in mezzo a queste due espressioni, l’una ferocemente e spietatamente interrogativa e l’altra candidamente ed entusiasticamente esclamativa: leggiamole di seguito. “Ma che cosa vuoi? Non sei contenta? Non ti fa mancare niente! Con tutte le cose che ti dà! E ora cosa farai? Chi ti vorrà prendere?”. “È stato un anno meraviglioso. Il più bello della mia vita!”. Qui è Rosaria che parla, con la gioia di aver potuto studiare grazie al Centro a cui ha chiesto aiuto e che le ha permesso di recuperare almeno la licenza media.

Un pezzo della sua vita che riaffiora a vita nuova. Sembra uno stralcio da una pièce di profonda, intensa drammaturgia. Invece è la realtà. La realtà di Rosaria, che per fortuna quella fiammella è stata bravissima a tenerla accesa.Nellibro pulsano diverse altre storie, non senza qualche donna di mafia molto distante dalla sensibilità di Rosaria e persino con qualche elemento di seduzione del male quando certi cosiddetti uomini d’onore esercitano un sinistro fascino su donne soggiogate. Da cui le complici. Ma di queste storie sono piene le pagine di cronaca nera, le si può trovare ovunque, mentre la dignità di una storia come quella di Rosaria (e di altre) mi è parsa meritoria di essere qui ricordata, a pieno diritto come una parte significativa de “Il Senso della Repubblica”. ▪

Per semplificare: appare assai complessa la conciliazione tra il “che cosa” empirico e il “come” ideale. Il che equivale ad osservare vogliamo sottolinearlo con Eric Fromm che la coniugazione tra l’avere e l’essere, cioè, da un lato, la conquista concreta, oggettiva di risultati materiali specifici in grado di aumentare il benessere fisico e, dall’altro lato, la pedissequa introiezione e consapevolizzazione qualitativa e culturale di questo processo, rimane uno spinoso, assillante problema della contemporaneità. Ciò significa, sul piano delle normali esigenze di massa (e di masse chiamate al miglioramento della fruizione dei beni e dei servizi sociali) che l’educazione in senso ampio politica, quando non si traduce in sensibilità e affinamento culturale adeguato, degenera in egoismo e feticismo fini a se stessi. Non mi pare estraneo a questo stato di cose il concetto sociologico di anomìa, coniato da Émile Durkheim negli ultimi decenni dell’Ottocento per sintetizzare l’assenza di regole unificatrici. Sul piano filosofico speculativo (hegelianamente) diremmo che si tratta della riduzione dell’individuo, in quanto non essere per sé, a “cosalità”, ossia a mera privatezza, quando non, addirittura, a condizione di “ineducazione”. Termine, quest’ultimo, esplicativo del difetto di universalizzazione per una compiuta azione morale e, quindi, di permanenza nell’esito dell’“accidentalità” e dell’irredenzione individuale.

Per tanti aspetti Le Contrat è la prima, formidabile proposta moderna per legittimare la democrazia come istituto politico non violento del conflitto sociale. Molti studiosi ne hanno continuato a trattare e ad aggiornarne le anticipazioni, in specie Pier Paolo Pasolini, più di un cinquantennio fa, attaccando in radice il problematico sinallagma sviluppo/progresso, ma trascurando che, comunque, senza sviluppo materiale e miglioramento diffuso delle condizioni umane non esiste progresso, né giustizia sociale, tranne che per i pochi che possono permetterselo. Dal che noi oggi comprendiamo quanto, tra l’altro, la militanza intellettuale pasoliniana sia stata lucidamente conservatrice e che, sebbene situata entro le categorie squisitamente politiche del pensatore ginevrino, essa sia risultata tuttavia più romantica che utilmente progressiva.

Ci troveremmo di fronte, secondo il grandioso schizzo della coscienza moderna dilacerata, ad una figura di uomo quale “soggetto che non si appartiene” e che, conseguentemente, si limita a proiettare scompostamente la propria cruda conflittualità nella “società dei bisogni”, priva di idealità e salvazione (G.W.F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, 1821). Concludendo la provocazione riepilogativa, ci aggireremmo esattamente (ma ora in termini sperabilmente più comprensibili!) accanto a quella condizione che poco più di un ventennio dopo Hegel previa la fondamentale mediazione feuerbachiana il Marx comunista e giovane filosofo economista dei Manoscritti del 1844, curvando materialisticamente l’intuizione hegeliana astrattamente spiritualistica, definì “alienazione”, cioè espropriazione proletaria e appropriazione di classe dei beni collettivi e storico naturali da parte della borghesia. Si tratta, notoriamente, di un tema marxiano centrale, semplificabile (ma non banalizzabile) in “umanizzazione”, ribadito in tante opere del rivoluzionario renano, ma soprattutto tecnicamente arricchito e rielaborato nella maturità teorica, tra il ’57 e il ’67, dei Grundrisse, La critica dell’economia politica, Il Capitale Parliamo dei risultati di una straordinaria fatica scientifica e, insieme, dell’engagement politico comunista, poi condensati nelle categorie classiche di “reificazione sociale” e “feticismo delle merci”. Non del tutto peregrine per chi ambisca conservare una dignità critica nell’indagine politica dell’ Scendendoattualità.dal cielo delle idee alla terra delle cose, ma non rinunciando per nulla ad un costume vigile di idee verificate sulle cose e di cose illuminate da qualche buona idea, scopriamo che di questa sofferenza culturale non è tanto e solo il nostro piccolo angolo salentino a risentirne, bensì il mondo grande degli interessi pubblici e della loro gestione e amministrazione. Ora, questa necessità fattuale, è terreno squisitamente politico, così come sono politiche le culture e le strutture istituzionali che presiedono ad ogni azione di intervento sulla realtà, sia essa di inevitabile cambiamento, sia anche di essenziale custodia e salvaguardia storica della vita, pubblica e privata.

6 / Agosto 2022 IL SENSO DELLA REPUBBLICA La civiltà di un popolo e delle varie popolazioni che lo costituiscono evolve di pari passo con il giusto mix tra sviluppo materiale e progresso intellettuale.Locapì benissimo Jean Jacques Rousseau che, in pieno ottimismo illuministico, due secoli e mezzo addietro distinse nettamente (e acutamente) tra i due concetti, rilevandone la contraddittorietà storica, pur non disponendo ancora se non di vaghi prodromi della moderna società della tecnica e delle inedite diseguaglianze capitalistiche.

Il discorso pubblico, ce ne rendiamo perfettamente conto, su uno spettro così largo rischia molto, perché può senz’altro smarrirsi nell’eccesso di temi e problemi che impattano con l’urgenza di manutenere prima e governare simmetricamente dopo (ma parliamo di un prima logico e non cronologico!) una prospettiva di Salento tanto oggi esposto e ricco della propria originalità anticipatrice, quanto povero e carente rispetto a ciò che non ha. Ricco di un immenso patrimonio, non dissimile da giacimenti e potenzialità consimili all’intero Mezzogiorno; ma anche un Sud incerto per fragilità di competenze tecniche consolidate, per memoria storica colta e consapevole, nonché per gli obbiettivi di tutela culturale perseguibili con determinazione e (Continua a pagina RA SVILUPPO ECONOMICO E PROGRESSO DEMOCRATICO di PAOLO PROTOPAPA

7) SALENTO E MEZZOGIORNO T

7 / Agosto 2022 IL SENSO DELLA REPUBBLICA

dalle associazioni, dalle più creative espressioni di robusta ispirazione socialista, l’onere di capire e scoprire la realtà per trasformarla. La rivoluzione democratica deve chiedere agli attori civili del nostro tempo esigente di non limitarsi a “raccontarla”, essa realtà, irretendola nelle modalità di un sempre più preponderante, insopportabile, pleonastico e cortigiano colore folklorico rurale, irrogato sulla asfissiante rima baciata di cuore/ amore, anima/emozione. Lasciamo, insomma, per un po’ da parte le facili scorciatoie estetizzanti general generiche. Se riusciamo a pensare ai (cosiddetti) fondamentali di chi, come nei tempi migliori, aveva imparato qualcosa di serio e di spendibile; e aveva provato, comunque, a curarlo e ristrutturarlo come un’idea manufatto che serve e che è utile per sé e per gli altri; se, meglio ancora, questo frutto della passione e della fatica sociale aggiungerà qualcosa di apprezzabile nel nostro specifico campo di interesse e di più larga condivisione culturale, è probabile che tanti pezzi di Sud e di Salento saranno custoditi, si svilupperanno e diventeranno valide risorse progressive. E anche il cattivo gusto degli improvvisatori e il cicaleccio dei retori vacui, insieme allo scempio diffuso degli insolenti ostinati, avranno meno speranza di farla franca. ▪

6) SALENTO E MEZZOGIORNO...

rispetto ad un solerte e appropriato impiego trasformativo, sono i luoghi della svolta possibile. Luoghi ideali ed effettuali insieme, i quali, come numerosi studiosi sociali e politici avveduti propongono da tempo, devono trovare presto e bene le occasioni organizzative per propiziare ed ampliare empiricamente, fattualmente, progettualmente le occasioni e le ricognizioni della esecutività controllabile, operativa e verificabile. Strumenti di uso sociale per un’impresa collettiva di rinascita dello spirito pubblico più intraprendente e duraturo.

Nessun luogo di pensiero e di ricerca, di invenzione e di realizzazione, di rappresentanza e di decisione civica, insomma nessuna area culturalmente e istruttivamente di lavoro sociale può essere lasciata a se stessa, falsamente asettica o neutrale, chiusa in una sorta di mandarinato apicale più o meno eterodiretto. Tantomeno una simile prospettiva potrà essere considerata ‘tecnocraticamente’ un ganglio inerziale per rendite di un potere esoterico separato. Una rivoluzione che si configuri come consapevole processo democratico non deve lambiccarsi in nulla di particolarmente temerario quanto a intelligenza e ingegno produttivo; ma molto, certamente sì, deve osare di politicamente coraggioso, alternativo e antagonistico. Proprio perché deve pretendere dalla politica e dai politici, soggettivamente e istituzionalmente considerati, dai partiti e spirito d’impresa collettiva progettuale e non sporadica. È proprio qui, ormai per inveterato malcostume anch’esso fortemente salentino e sudista che molti, forse troppi opinionisti agitano più le retoriche lezioncine di maître à penser che non la volontà del fare secondo l’etica civica delle responsabilità.NelSalento,come e forse ancora di più rispetto ad altre aree meridionali e nazionali, la precarizzazione del lavoro maschera e dissimula la reale, cronica assenza di lavoro, ossia di quel valore attività basilare da cui ab ovo origina l’etica storica che ne plasma i caratteri di efficacia e di permanenza democratica, nemico principe della corruzione da sempre diffusa, sovente familistica e molecolare. Tra le possibilità di conoscenza, di studio e di valorizzazione del territorio e l’effettività occupazionale ottenibile in tempi ragionevoli, a tutt’oggi permane il gap tipico delle “questioni meridionali”. Certamente aggravato negli ultimi decenni di globalizzazione e di rapine neoliberistiche. Scuole e officine, università e centri di iniziativa pubblica, nuclei di eccellenza programmatrice e serbatoi dell’intelligenza collettiva, pure presenti, non sembrano sulla via della svolta e, nonostante significative resipiscenze e feconde innovazioni analitiche, appaiono ancora lontani da un progetto di più generale rivoluzione democratica. Con questa espressione non alludiamo ad una formula ideologica magica o consolatoria, surrogato di scorciatoie a buon mercato. Per nulla. Pensiamo, invece, ad una alleanza concreta, diremmo pratica e metodologicamente verificabile, tra saperi, lavori, studi, impegni e, soprattutto, all’adozione di procedure coerenti in cui il merito delle competenze organizzate, e perciò stesso politiche, sopravanzi il chiasso sterile delle ideologie inconcludenti e ripetitive. Le scuole e le istituzioni educative in massimo grado, specialmente tecniche e professionali; i licei rinnovati e risanati dalle muffe di un umanesimo tanto poco umanismo, quando non marchesianamente malato di “troppo Latino”; i saperi scientifico tecnici così oscenamente (mantenuti?) separati (Continua da pagina

Da sinistra, Martano (Le), Chiesa dei Santi Medici (particolare); Torre Sant’Andrea, Melendugno (Le), Punta grande, Scoglio del Tafaluro

Una scuola estiva che ha oggi dunque un suo riconoscimento, avendo contribuito a sensibilizzare il dibattito intellettuale volendo fornire, attraverso la riflessione scientifica basata sulle conoscenze specifiche delle scienze sociali e storiche, gli strumenti per interpretare e comprendere i fenomeni sociopolitici ed economici che caratterizzano la vita sociale, le politiche e le dinamiche istituzionali nazionali ed internazionali. È un momento formativo e di approfondimento rivolto a studenti, dottorandi e giovani ricercatori che si realizza con incontri di natura seminariale e convegnistica attraverso la voce e le lezioni di autorevoli studiosi e specialisti dei tempi trattati. La

8 / Agosto 2022 IL SENSO DELLA REPUBBLICA

H&P Summer School, diretta da Giorgio Scichilone, professore ordinario di Storia delle Istituzioni Politiche dell’Università di Palermo e presidente del Polo universitario di Trapani, di anno in anno ha anche cercato di mettere il sapere scientifico a disposizione della comunità di riferimento aprendo alla città momenti di dibattito pubblico e di confronto sui temi prescelti nelle varie edizioni. Così si è snodato, come detto, un itinerario fatto di “tappe”, esperienze culturali ed umane, pubblicazioni accademiche. A partire dalla prima edizione del 2016, dove si è focalizzata l’attenzione sul Mediterraneo, poi negli anni successivi ci sono stati i vari temi: sull’Europa (2017), sul divario tra Sud e Nord del mondo (2018), sulle Geopolitiche del Mediterraneo e le Schiavitù contemporanee (2019), sui Tempi di passaggi, ovvero sulla politica e i mutamenti tecnologici (2020), sull’Utopia e il futuro dell’Europa (2021), quest’anno il tema che la settimana di studio affronterà riguarda il futuro del pianeta, con particolare attenzione alle politiche di pace e ai temi ambientali e climatici. Il titolo della H&P Summer School, infatti, raccoglierà in tre parole chiave il senso del percorso di approfondimento: Planet, People and Peace (Istituzioni, innovazione, informazione). Grazie, come sempre, all’apporto di esperti di riconosciuto prestigio scientifico internazionale, queste parole chiave verranno declinate per affrontare, sotto il profilo storico politologico ed economico, gli aspetti più salienti che caratterizzano la nostra epoca politica, storica e sociale: dall’emergenza pandemica a quella della pace, dall’emergenza climatica allo sviluppo di politiche economiche sostenibili. Il pianeta è la casa dell’umanità e delle specie viventi. Lo sfruttamento irresponsabile delle risorse della Terra ha posto in modo ineludibile questioni che diventano cruciali per la sopravvivenza pacifica dei gruppi umani. La fine della storia non sarà dovuta al venir meno dello scontro tra modelli imperiali che hanno segnato il globo in sfere di influenza contrapposte, come era stato ipotizzato con la caduta del Muro VII EDIZIONE DELLA HISTORY AND POLITICS SUMMER SCHOOL PLANET, PEOPLE AND PEACE ISTITUZIONI, INNOVAZIONE, INFORMAZIONE di LUANA ALAGNA di Berlino e la conclusione di un’era politica, ma all’incapacità di trovare soluzioni globali accettabili, condivise e durature ai cambiamenti climatici, alle sfide ambientali e alle minacce sanitarie. Il futuro dell’umanità passa attraverso una tale prospettiva, a cui ogni agenda statale ed internazionale deve porre un’urgente priorità. I popoli che abitano il pianeta vivono ormai sotto questa schiacciante pressione, che da energetica diventa demografica, sociale, economica, e quindi eminentemente geopolitica. La pandemia e le guerre a cui assistiamo e che ci coinvolgono sempre più direttamente, restituiscono la consapevolezza almeno che i conflitti hanno radici, in ultima analisi, sulla produzione di beni e risorse la cui distribuzione deve rispondere in modo convincente a criteri praticabili di equità, incardinati sulla tutela e promozione dei diritti umani. La comunità e gli organismi internazionali vengono sollecitati ad esercitare simili responsabilità, per scongiurare non solo l’uso della forza bellica come strumento di controversia tra gli stati e tra i popoli, ma anche per affrontare in modo adeguato i rischi a cui è sottoposta la vita del pianeta. Per riappropriarci della capacità di immaginare il futuro, come sosteneva la filosofa Elena Pulcini, che la scuola estiva ha avuto l’onore e il privilegio di ospitare, dobbiamo essere in grado di “concepire i possibili scenari apocalittici del futuro di pensare una diversa immagine del mondo e scenari alternativi per le generazioni future, la cui vita dipende da ciò che noi siamo in grado di fare, qui ed ora”. Alla luce dello sconvolgimento globale innescato dalla pandemia, una considerazione specifica sarà riservata agli effetti del Covid 19, alla risposta sanitaria e vaccinale delle istituzioni europee e nazionali, ma anche ai costi sociali, economici e politici generati dal dramma pandemico, senza tralasciare l’impulso che la straordinaria crisi sanitaria può innescare nel generare nuovi modelli di relazione, di sviluppo di reti scientifiche e di comunicazione, unitamente al progresso dell’innovazione (Continua a pagina 9) P lanet, People and Peace è il tema della VIIª edizione della History and Politics Summer School, che si terrà dal 22 al 27 agosto come da tradizione a Marsala, nei locali del Complesso Monumentale San Pietro. Nata nel 2016 da un accordo di collaborazione tra l’Università di Palermo e il Comune di Marsala, la scuola estiva è stata immaginata come un incubatore culturale e civile, grazie anche alla rete nazionale e internazionale di varie istituzioni politiche ed accademiche. La peculiarità di quest’anno è che la settimana di studi è organizzata dal Polo Universitario di Trapani dell’Università di Palermo, a testimoniare come la scuola estiva si sia radicata nell’esperienza accademica e culturale del territorio. Un percorso che ha ormai una sua identità storica, costruito ogni estate attraverso il confronto multidisciplinare di linguaggi scientifici diversi e trasversali e tuttavia convergenti sulle tematiche incentrate su questioni urgenti della nostra contemporaneità che hanno avuto ed hanno come cornice geopolitica il Mediterraneo e l’Europa.

Gli altri relatori presenti, specialisti dei temi individuati nella VII edizione della scuola estiva, sono studiosi che provengono da diverse università italiane e compongono un parterre straordinario, facendo per una settimana di Marsala uno snodo scientifico e culturale internazionale: Anna Loretoni, professoressa ordinaria di Filosofia politica del Sant’Anna di Pisa; Patrizia Luongo, Forum disuguaglianze e diversità; Andrea Giuntini, professore associato di storia economica all’Università di Modena e Reggio Emilia; Franco Benigno, professore ordinario di storia moderna all’Università Normale di Pisa; Alessandro Colombo, professore ordinario di Relazioni internazionali all’Università di Milano; Giuseppe Bottaro, professore ordinario di Storia delle dottrine politiche all’ Università di Messina; Paolo Graziano, professore ordinario di Scienza politica all’Università di Padova; Rossella Rega, ricercatrice di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Siena; Andrea Porciello, professore associato di Filosofia del diritto all’Università Magna Grecia di Catanzaro; Tecla Mazzarese, professoressa ordinaria di Filosofia del diritto all’Università di Brescia; Daniela Irrera, professoressa associata di Scienza politica all’Università di Catania; Filippo Andreatta, professore ordinario di Scienza politica all’Università di Bologna; Leonida Tedoldi, professore ordinario di Storia delle istituzioni politiche all’Università di Bergamo.

Una rete di partnership che si consolida continua a sostenere l’iniziativa. Tra questi l’Istituto dell’Enciclopedia italiana Treccani, istituto culturale di rilevanza nazionale e punto di riferimento nel mondo della cultura e dell’editoria; il CRID, Centro di ricerca interdipartimentale su discriminazioni e vulnerabilità dell’università di Modena e Reggio Emilia che, diretto dal professor Gianfranco Zanetti, rappresenta un luogo di discussione di saperi multidisciplinari; le istituzioni locali e regionali, dal Comune di Marsala alla Regione Sicilia, patrocinano la Summer School riconoscendone il valore culturale e scientifico. Quest’anno, inoltre, sarà partner della settimana di studi il Forum Diseguaglianze e Diversità il quale, coordinato da Fabrizio Barca, promuove politiche pubbliche e azioni volte a contrastare le diseguaglianze per favorire l’equità sociale e il pieno sviluppo della persona umana. Una delle nuove linee di ricerca introdotte nel Forum disuguaglianze e diversità, grazie ad una rete qualificata di organizzazioni di cittadinanza attiva, ricercatori e accademici che fanno parte dell’Assemblea dei membri, riguarda proprio la conversione ecologica, la lotta i cambiamenti climatici e il contrasto alle povertà energetiche.

9 / Agosto 2022 IL SENSO DELLA REPUBBLICA tecnologica. Naturalmente, anche il tema della guerra in Ucraina sarà uno degli argomenti che l’H&P Summer School approfondirà. Nel cuore della civilissima Europa, ancora una volta, ci troviamo infatti, con stupore e sgomento, ad assistere a quel tipo di violenza e barbarie che sovrasta e annienta gli schemi della convivenza civile pacifica, e che ci catapulta nel passato di quella storia che pensavamo appartenesse solo alle pagine più oscure dei libri. La Storia, come sappiamo, non si ripete mai allo stesso modo, e si manifesta con le modalità peculiari del periodo temporale in cui gli eventi accadono. Infatti, nell’era del social media questa guerra è stata vissuta in modo differente, globale e on line. Tutti noi abbiamo “visualizzato” la guerra, attraverso Instagram, Tik Tok, Facebook, Telegram, network in cui l’uso soggettivo delle immagini della violenza fa appello alle emozioni, influenzando e compromettendo la comprensione dei fatti oggettivi, data la labilità del confine tra verità e finzione, tra artefatto e fatto. In più approfondimenti dedicati, nel corso della settimana, si cercherà di analizzare le origini storiche del conflitto e gli articolati e complessi aspetti geopolitici implicati, oltre alle modalità con cui il mondo della comunicazione, declinata in senso bellico, ha animato ed influenzato l’opinione pubblica mettendo l’informazione al servizio della comunicazione nelle sue varie configurazioni propagandistiche, politiche e ideologiche. Saranno previsti, infatti, due focus tematici. Il primo è un approfondimento dedicato agli Stati Uniti, alle influenze e connessioni con il mondo diplomatico e militare internazionale, sullo sfondo di una guerra ancora in corso in cui il fattore energetico rappresenta una leva strategica dirimente per tutti gli attori coinvolti nel conflitto. L’altro focus si concentrerà sull’analisi del contesto europeo in relazione alla situazione bellica. L’Unione Europea, che ha tra le sue priorità la difesa dei diritti umani, ha sempre rappresentato un progetto di pace. La crisi ucraina, quella energetica, successive alla crisi economica innescata dalla pandemia, minacciano la stabilità politica interna ed esterna dell’Europa, chiamata, ancora una volta, a “difendere la pace”. Ad aprire la settimana di studi sarà (Continua da pagina 8) Daniele Archibugi, filosofo, economista e studioso di relazioni internazionali che ha sviluppato importanti studi sulla democrazia cosmopolita. Consulente dell’Unione Europea, Dirigente del CNR, docente di Governance and Public Policy all’Università di Londra Birkbeck College e membro dell’Academic Councile della Venice International University, terrà una lectio magistralis su Il progetto Cosmopolitico alla prova del XXI Secolo Di recentissima pubblicazione il suo ultimo lavoro L’apprendista stregone.

▪ PLANET, PEOPLE AND PEACE...

Quanto sopra descritto permette di potere affermare che la scuola estiva si qualifica, sia per le questioni trattate che per gli studiosi che terranno le lezioni con specifici moduli tematici, come una delle più alte manifestazioni accademiche “estive” di carattere scientifico e culturale realizzate in Italia e ospitate in Sicilia nella città di Marsala. Al termine della settimana di studi verrà rilasciato un attestato di partecipazione dell’Università di Palermo. Le iscrizioni sono gratuite e per partecipare occorre inviare una e mail con il proprio Curriculum Vitae all’indirizzo summermarsala@gmail.com.

Consigli, trucchi e sortilegi per apprendisti studiosi, edito da Luiss University Press, in cui Archibugi spiega in modo dissacrante quali sono le regole implicite che governano la “repubblica della conoscenza”. Le conclusioni dei lavori saranno affidate a Massimo Bray, storico, studioso e direttore dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana Treccani che, con la relazione Il pianeta, le persone, la pace: prendersi cura del futuro, arricchirà e suggellerà il percorso di approfondimento. Praticare la pace, curare il pianeta è un esercizio di saggezza che ci richiama in quanto persone, uomini in comunità, a costruire il futuro custodendolo. Nel suo libro Alla voce cultura Massimo Bray, citando Seneca, sembra delinearne l’appello, quando scrive: “La folle avidità degli uomini divide tutte le cose in possessi e in proprietà esclusive, e pensa che ciò che è un bene comune non sia anche di ciascuno. Ma il saggio niente considera maggiormente suo che quel bene di cui ha in comune la proprietà col genere umano”.

10 / Agosto 2022 IL SENSO DELLA REPUBBLICA

In quel testo del 1895, Engels mise in rilievo sia alcuni errori compiuti da lui e Marx nella lettura della storia contemporanea durante il periodo 1848 1850 (quando erano convinti dell’ampia possibilità di una rivoluzione socialista europea), sia diversi approfondimenti avvenuti in seguito nella loro concezione concreta dell’evoluzione storica: in particolare, “la storia [...] ha mostrato chiaramente che allora lo stato dell’evoluzione economica sul continente era ancora lontano dall’essere maturo per l’eliminazione della produzione capitalistica; lo ha provato con la rivoluzione economica che dopo il 1848 si è imposta in tutto il continente e ha installato realmente la grande industria in Francia, in Austria, in Ungheria, in Polonia e ultimamente anche in Russia, mentre ha reso veramente la Germania un paese industriale di prim’ordine: tutto ciò su una base capitalistica, capace quindi ancora nel 1848 di ben grande espansione”. In questa situazione costantemente dinamica, a distanza di mezzo secolo il “proletariato non ha ancora raggiunto la sua meta” e, “lungi dal conseguire la vittoria con una sola grande battaglia, deve progredire lentamente di posizione in posizione, con una lotta dura e tenace”, in cui comunque “noi, i ‘rivoluzionari’, i ‘sovversivi’, stiamo prosperando molto meglio con i mezzi legali che con i mezzi illegali e con la sommossa”. All’interno di quegli approfondimenti come ha ricordato p.es. Giulio Pietranera nella sua Introduzione al libro marxiano del 1859 Per la critica dell’economia politica (Roma, Newton Compton, 1972) ci sta anche il fatto che a fine 1857, nel mezzo di una crescente crisi economica in Europa, Marx ed Engels si aspettassero un “dies irae” per l’economia capitalista, un “diluvio” per la società borghese, ma fu “un diluvio che non avvenne. Il breve periodo di congiuntura era già stato riassorbito nel 1859 lasciando solo delle conseguenze postume”. È verosimilmente anche sulla base dell’esperienza di quel triennio che Marx poté formulare così acutamente uno dei temi chiave della sua fondamentale prefazione a tale libro: il concetto secondo cui in linea di massima “una formazione sociale [come p.es. il capitalismo, precedentemente il feudalesimo ecc. (ndr)] non perisce finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive cui può dare corso; nuovi e superiori rapporti di produzione non subentrano mai, prima che siano maturate in seno alla vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza”. Ed è appunto a questo concetto risalente nella sua essenzialità al 1845, ma evidentemente percepito a quell’epoca in maniera alquanto più generica e approssimativa, come mostrano gli scritti marx engelsiani precedenti al 1859 che Engels si riferiva nel 1895 in quelle righe. Fu dunque un prolungato periodo di ripetuta rivalutazione ed autocorrezione storica e concettuale quello che vissero Marx ed Engels nel loro rapporto con le possibili condizioni concrete del passaggio da una società capitalista a una socialista che era stato auspicato pubblicamente nel loro Manifesto del partito comunista, nel 1848. Ed effettivamente risulta evidente che durante gli ultimi decenni del secolo non si aspettassero più in sostanza una imminente possibilità rivoluzionaria socialista. Nemmeno l’eclatante episodio della Comune di Parigi nel 1871 venne da loro interpretato come un evento capace di avviare con successo una tale rivoluzione, nonostante la grande ricchezza esperienziale che quell’episodio apportò alla storia dei movimenti dei lavoratori (2). Oltre tutto, sin da subito Marx mise in evidenza nelle decisioni degli insorti parigini alcuni pesanti errori tattici che poi finirono col frenare la possibilità di una soluzione pacifica alla controversia in corso nella capitale della Francia e col condurre in pratica verso la sanguinosa sconfitta con cui si concluse quell’esperienza (3). Un altro aspetto nodale ha a che fare con le modalità di quel passaggio. Nel Manifesto del 1848 si considerava inevitabile e necessaria una “aperta rivoluzione” in cui “il proletariato stabilisce il proprio dominio mediante il rovesciamento violento della borghesia”. Diversamente, nel 1872, si trova nel marxiano Discorso sul congresso dell’Aja (a margine del congresso della “Prima Internazionale” appena conclusosi nella città olandese): “Noi crediamo che si debbano prendere in considerazione le istituzioni, i costumi e le tradizioni dei diversi paesi, e non neghiamo che vi sono paesi come l’America, l’Inghilterra e, se conoscessi meglio le vostre istituzioni, aggiungerei forse anche l’Olanda, dove i lavoratori possono giungere per via pacifica alla loro meta”. E una ventina d’anni dopo, nell’engelsiano Per la critica del progetto di programma del partito socialdemocratico 1891: “Si può concepire che la vecchia società possa svilupparsi nella nuova per via pacifica, in paesi nei quali la rappresentanza popolare ha concentrato in sé tutto il potere, dove la Costituzione consente di fare ciò che si vuole quando si abbia dietro di sé la maggioranza del popolo”. Anche in questo, dunque, emerge una progressiva e radicale rivalutazione che appare aver trovato il suo nuovo centro focale durante gli anni ’70 di quel secolo. Ancora più cruciale appare la questione di ciò che dal punto di vista dell’organizzazione dell’economia avrebbe dovuto seguire nel tempo (Continua a pagina 11)

Benché il cosiddetto “marxismo” novecentesco abbia fatto di tutto per accreditare una visione statica e monolitica del pensiero di Marx ed Engels visione che a un certo punto venne anche rimodulata radicalmente ad hoc per farla diventare dapprima identica al pensiero di Lenin e poi adattabile a quello di leader dogmatici come specialmente Stalin e Mao (1) è sufficiente prendere visione dell’ultimo testo scritto da Engels (l’Introduzione realizzata nel 1895 per una riedizione del marxiano Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850) e di alcuni altri materiali storici per rendersi conto del contrario.

L'EVOLUZIONE INTERNA DEL "SOCIALISMO SCIENTIFICO" MARX-ENGELSIANO MOVIMENTI DEI LAVORATORI, QUESTIONE DI STORIA di LUCA BENEDINI

MOVIMENTI DEI LAVORATORI

QUESTIONE

11 / Agosto 2022 IL SENSO DELLA REPUBBLICA quell’auspicato passaggio futuro. Nel Manifesto del 1848 si legge che, dopo la rivoluzione, “il proletariato userà il suo dominio politico per [...] concentrare nelle mani dello Stato [...] tutti gli strumenti di produzione e per accrescere con la massima rapidità possibile la massa delle forze produttive”. E, “quando nel corso dell’evoluzione le differenze di classe saranno scomparse e tutta la produzione sarà concentrata nelle mani degli individui associati, il potere pubblico perderà ogni carattere politico”, cioè ogni carattere di “oppressione” di una classe su un’altra. Espressa in una maniera così generica, quest’idea di una sistematica, univoca e tendenzialmente monolitica statalizzazione di non breve durata era destinata, tuttavia, a suscitare perplessità e critiche. Scrisse p.es. nel 1860 Giuseppe Mazzini esponente di spicco del movimento per la democrazia e anche lui, come Marx, residente a lungo a Londra praticamente in esilio in un articolo per la rivista “Pensiero e azione” poi inserito nell’opuscolo Dei doveri dell’uomo (pubblicato anch’esso nel 1860): “La formola generale del comunismo è la seguente: la proprietà d’ogni cosa che produce [...] sia concentrata nello Stato; lo Stato assegni la sua parte di lavoro a ciascuno; lo Stato assegni a ciascuno una retribuzione, secondo alcuni, con assoluta eguaglianza, secondo altri, a seconda de’ suoi bisogni”. Ma “questa, se mai fosse possibile, sarebbe vita di castori, non d’uomini”. Oltre tutto, questo ruolo assolutistico dello Stato implicherebbe di fatto “una gerarchia di capi padroni della proprietà comune”. E “non sarebbero quei capi [...] sedotti dall’immenso potere concentrato nelle loro mani [...]?”. Vi sono inoltre altre questioni: “il Comunismo non aumenta la produzione ch’è la grande necessità dell’oggi perché, fatta sicura la vita, la natura umana, come s’incontra nei più, è soddisfatta [...]; non migliora i prodotti; non conforta al progresso nelle invenzioni”, anche per effetto della presumibilmente “incerta, ignara direzione collettiva dell’ordinamento” (4).

Avvicinandosi al tardo ’800 Marx ed Engels svilupparono progressivamente, in effetti, delle direzioni prospettiche più sfaccettate. La punta di diamante fu la Critica al programma di Gotha, uno scritto marxiano rivolto a vari esponenti del Partito operaio tedesco nel 1875 e pubblicato postumo nel 1891. Con estrema essenzialità, si trova qui la risposta alle problematiche sollevate da Mazzini e da altri. Come si è già messo in evidenza in un precedente articolo (6), quello scritto conteneva la rivendicazione del fare necessariamente dello Stato un “organo assolutamente subordinato” alla società, e ciò in nome della libertà associata alla prospettiva socialista: rivendicazione in cui sta per l’appunto la decisa consapevolezza dei gravi rischi associati allo strapotere dello Stato. Anche se in modo un po’ più vago, questa tematica compare anche nell’Antidühring engelsiano del 1878 (lungo testo che Marx approvò esplicitamente da cima a fondo, (Continua da pagina 10) scrivendone anche un capitolo), mentre nel già citato Per la critica del progetto di programma socialdemocratico 1891 altro scritto interno al partito e pubblicato postumo nel 1901 Engels criticherà seccamente “il cosiddetto socialismo di Stato, [...] che pone lo Stato al posto dell’imprenditore privato e riunisce così in una mano sola la potenza dello sfruttamento economico e dell’oppressione politica” (7). In aggiunta, Engels sottolineò p.es. in una lettera del 23 gennaio 1886 ad August Bebel (pubblicata postuma in forma parziale nel 1920) che né Marx né lui avevano “mai dubitato che, in caso di passaggio all’economia comunista, sarebbe stato necessario utilizzare su larga scala l’impresa cooperativa come gradino intermedio, a condizione che [...] gli interessi particolari dei cooperatori nei confronti della società non potessero consolidarsi”, mentre da un altro lato, in La questione contadina in Francia e in Germania (del 1894), puntualizzò che era “evidente che, quando saremo in possesso del potere statale, non ci penseremo nemmeno ad espropriare con la forza i piccoli contadini” (8). Da diversi materiali, inoltre, si comprende meglio a quali aspetti della società si potesse riferire Marx in quella rivendicazione: ai lavoratori associati in organizzazioni sindacali e appunto nel movimento cooperativo; agli organi del decentramento amministrativo (Consigli comunali, ecc.), tenendo conto anche della possibilità di sostituire alla “democrazia rappresentativa” forme di “democrazia assembleare e consiliare”, come in particolar modo quella vissuta e proposta dalla Comune di Parigi; alla “democrazia diretta” attuabile soprattutto mediante referendum popolari; in breve, a delle situazioni locali di autogoverno popolare (9). In altre parole, anche se nel tardo ’800 per Marx ed Engels dal punto di vista della proprietà i maggiori strumenti di produzione avrebbero dovuto comunque diventare statali in un futuro periodo di trasformazione della società verso il socialismo, la loro gestione concreta avrebbe dovuto esplicitamente essere affidata non certo allo Stato ma ad altre forme organizzative della società stessa (più semplici, più locali, più direttamente coinvolte), mentre era considerata accettabile la piccola proprietà anche di mezzi di produzione.Sitratta di posizioni espresse in modi molto più complessi di quelli del Manifesto del 1848. Mentre dal punto di vista umano e filosofico la visione culturale di Marx ed Engels appare esser stata estremamente profonda sin dagli anni ’40, la sfera storica, quella economica e quella politica sono state per loro praticamente sempre oggetto di uno studio (Continua a pagina 12) , DI STORIA “LE PROSPETTIVE ECONOMICHE DI MAZZINI VERTEVANO A LORO VOLTA SOPRATTUTTO SULL’ATTIVITÀ CONTADINA E ARTIGIANA STRUTTURATA IN AZIENDE INDIPENDENTI, SULLE AZIENDE COOPERATIVE E SULL’AUSPICIO DI UNA PARTECIPAZIONE DEI LAVORATORI AGLI UTILI DELLE IMPRESE CAPITALISTICHE”

Le prospettive economiche di Mazzini vertevano a loro volta soprattutto sull’attività contadina e artigiana strutturata in aziende indipendenti, sulle aziende cooperative e sull’auspicio di una partecipazione dei lavoratori agli utili delle imprese capitalistiche, oltre che sull’etica come valore fondante della società e sul sacrificio personale come esempio sociale (5).

7 Si tratta di una critica espressa, in modi più generici, anche in altri scritti engelsiani: p.es., l’Antidühring (nel quartultimo capitolo) e la lettera del 6 marzo 1894 a Paul Lafargue.

8 Tra i suoi appunti apparsi postumi, Marx nel 1875 in Note a “Stato e anarchia” di Bakunin (pubblicate nel 1926) si espresse in maniera del tutto analoga a quanto Engels scrisse su socialismo, cooperazione e contadini uno o due decenni dopo. Ciò a ulteriore conferma del profondo parallelismo che per tutta la vita unì interiormente i due filosofi sin dal loro incontro nel 1844. Bebel, politicamente molto vicino ad Engels, era uno dei principali esponenti del movimento socialista in Germania (di modo che scrivergli su argomenti politici era, per Engels, un po’ come comunicare con una consistente parte di quel movimento).

12 / Agosto 2022 IL SENSO DELLA REPUBBLICA

particolarmente intenso e solo intorno agli anni ’70 dopo tutta una serie di approfondimenti e aggiustamenti essi giunsero evidentemente a sentire come sostanzialmente “scientifico” il loro approccio al socialismo (10), grazie soprattutto alla loro capacità non solo di criticare ma anche di dialogare con altre voci e in particolare di dare ascolto e attenzione alle critiche altrui dotate di effettiva sostanza. È in quel decennio infatti che iniziò ad entrare in uso da parte non solo di Engels e Marx ma anche di altri l’espressione specifica “socialismo scientifico”. A dare pubblicamente il “la” a questo uso fu in pratica Joseph Dietzgen, con un articolo che uscì nel 1873 nella rivista tedesca Volksstaat e che aveva tale espressione come titolo.L ’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza concetto divenuto il titolo di un opuscolo di Engels pubblicato con un grande successo editoriale nel 1880 e rielaborato a partire da alcuni capitoli dell’Antidühring appare esser stata insomma non solo una dinamica complessiva del movimento socialista ottocentesco, ma anche uno sviluppo interno alla visione storico economica e politica marx engelsiana, che nell’ultimo trentennio del secolo mostrò di aver acquisito sostanzialmente una particolare capacità di aderire alla realtà nel suo continuo e mutevole scorrere (11). Ci si potrebbe chiedere se nei cambiamenti che nel corso di mezzo secolo hanno avuto luogo in tale visione fossero implicati dei radicali mutamenti di posizione o più semplicemente degli approfondimenti e delle puntualizzazioni da cui emergevano dettagli maggiormente particolareggiati.Se si osserva in particolare la straordinaria sensibilità umana e la grande complessità tematica che caratterizzano gli scritti marx engelsiani già verso la metà degli anni ’40, appare potersi trarre che per lo più si sia trattato in pratica di approfondimenti, anche se in qualche caso come quello della possibilità o meno di rivoluzioni per via pacifica è evidente che vi è stato di fatto un mutamento radicale nella valuta(Continua da pagina 11) diede inizio a un’aspra polemica contro l’Internazionale ed il suo orientamento favorevole alla “lotta di classe”, ma la motivazione principale appare essere stata indiretta, e cioè il voler evitare che i movimenti politici di stampo mazziniano (che erano di ispirazione interclassista pur prestando una particolare attenzione ai lavoratori e che, in pratica, avevano anche abbandonato oramai le azioni carbonare e insurrezionali per cui erano stati messi al bando in vari Stati nei decenni precedenti) venissero coinvolte nella durissima repressione antisocialista avviata quell’anno dai governi di quasi tutti i paesi europei. 6 Nel già citato numero di luglio 2021 di questa rivista.

5 Dal punto di vista marx engelsiano, Mazzini emergeva in pratica come un democratico valido per diversi aspetti, con tendenze socialiste in parte critico utopiste e in parte piccolo borghesi e con un’eccessiva fiducia nei moti insurrezionali repubblicani. È da notare che nel 1871, subito dopo la vicenda della Comune di Parigi, Mazzini

MOVIMENTI DEI LAVORATORI...

3 A questo proposito cfr. specialmente due lettere di Marx: del 6 aprile 1871 a Wilhelm Liebknecht e del 12 aprile a Ludwig Kugelmann (entrambe ben prima del 28 maggio, giorno della caduta definitiva della Comune). 4 Va ricordato che Mazzini scomparve nel marzo 1872 e quindi non poté rapportarsi né con l’evoluzione che il pensiero di Marx ed Engels ebbe dopo quella data né con alcuni loro fondamentali scritti filosofici giovanili (come i marxiani Manoscritti economico filosofici del 1844 e L’ideologia tedesca, del 1846), che all’epoca erano rimasti inediti soprattutto per le difficoltà nel trovare un editore e che vennero pubblicati soltanto postumi. Particolarmente interessante dal punto di vista documentale può risultare un agile testo (orientato in senso più concettuale che storico biografico) di Rodolfo Mondolfo: Mazzini e Marx, Milano, Critica Sociale, 1972.

9 Cfr. specialmente i già ricordati Laguerra civile in Francia e Per la critica del progetto di programma socialdemocratico 1891 e i programmi politici socialisti alla cui stesura parteciparono Marx ed Engels (quello francese del 1880 e quello tedesco del 1891). 10 Va sottolineato che, mentre nella moderna “cultura di massa” l’aggettivo “scientifico” ha spesso una connotazione (filosoficamente erronea) di “assolutamente esatto e dimostrato” e di “privo di dubbi”, così che facilmente può portare ad atteggiamenti dogmatici, nel linguaggio marx engelsiano e in quello di qualsiasi scienziato metodologicamente attento ha invece il significato (filosoficamente corretto) di qualcosa che è profondamente legato ai fatti e al loro studio e che nel contempo è anche pienamente consapevole di essere soltanto un’approssimazione, un risultato migliorabile e per certi versi anche discutibile: in breve, tutt’altro che un dogma. Su questo tema cfr. anche l’articolo di Anna Stomeo nel numero di SR del febbraio 2022. 11 I lettori di oggi potrebbero forse stupirsi del fatto che in quell’opuscolo, rivolto soprattutto alle classi popolari, ci siano precisi riferimenti a Eraclito con il suo “tutto scorre” e alla filosofia classica dell’antica Grecia, oltre che ad altri filosofi più moderni, ma appare trattarsi di un’ennesima indicazione della maniera non paternalistica e non riduttiva con cui Marx ed Engels si ponevano nella loro relazione con tali classi, diversamente da quanto hanno fatto quasi tutti i politici novecenteschi od odierni. zione delle potenzialità offerte alla società dalla storia. Un ultimo punto che appare valer la pena di mettere qui in evidenza è rappresentato dalla stanchezza per le teorie intellettualistiche ed ideologiche e dall’antidogmatismo cui Marx giunse sempre più col trascorrere del tempo. L’espressione di ciò forse più profonda ed evidente la si può trovare nella sua già ricordata lettera inviata nel 1881 a Nieuwenhuis (esponente di rilievo del movimento socialista olandese), nella quale scrisse tra le altre cose: “La mia convinzione è che il momento critico per [la fondazione di] una nuova associazione internazionale di lavoratori non sia ancora giunto; ritengo perciò tutti i congressi di lavoratori ovvero i congressi socialisti, qualora non vertano su situazioni immediate, determinate in questa o quella specifica nazione, non soltanto inutili, ma anche dannosi. Si risolverebbero invariabilmente in una sequela di interminabili, rimasticate e generiche banalità”. ▪ Note 1 Cfr. i numeri di questa rivista di luglio e agosto 2021. 2 Su ciò cfr. in particolar modo, di Marx, il Discorso sul congresso dell’Aja (del 1872) e la lettera del 22 febbraio 1881 a Ferdinand Domela Nieuwenhuis. Sono ovviamente utili anche il già citato testo engelsiano del 1895 e l’opuscolo scritto da Marx nel 1871 per la “prima Internazionale” col titolo di La guerra civile in Francia (al quale Engels aggiunse un’accurata Introduzione nel 1891, per una riedizione).

Il nostro rapporto con la guerra è cambiato rispetto a pochi decenni fa. Sto parlando dei governi e dei parlamenti europei, che ancora all’inizio del millennio riuscivano a prendere le distanze rispetto all’ingerenza degli Stati Uniti nei paesi del Golfo (in ultimo, la guerra in Iraq del 2003, che abbiamo recentemente verificato essersi fondata sulla menzogna della presenza di armi chimiche), intervenivano per ripristinare il cessate il fuoco tra ebrei e palestinesi nella Striscia di Gaza, ma che ora si sono dimostrati incapaci non solo di intraprendere, ma persino di pensare una via alternativa a quella militare per fermare l’invasione russa. Dal febbraio scorso, l’Europa, nel raccontare ogni giorno le battaglie sul campo e la valorosa resistenza ucraina, ha come riscoperto l’esaltazione e la bellezza della guerra, di cui aveva parlato pochi anni fa Alessandro Baricco evocando l’Iliade (2). Nell'Iliade la guerra è uno sbocco quasi naturale della convivenza civile; il poema canta la bellezza della guerra e ci ricorda che per millenni la guerra è stata per gli uomini la circostanza in cui l'intensità della vita si sprigionava in tutta la sua potenza e verità. E ancora oggi, dice Baricco, si continua con guerre combattute per procura “tradendo una sostanziale incapacità a trovare un senso, nella vita, che possa fare a meno di quel momento di verità”. Anche adesso, siamo immersi nella “bellezza” e nella “verità” di questa guerra per procura, che sembra però necessaria a dare senso all’esistenza di noi europei, minacciati nel nostro primo valore della libertà. “Si vis pacem, para bellum”, si è tornati a dire con gli antichi latini, come se decenni di pensiero e pratica della pace non fossero mai esistiti. Non solo. Parlare di pace è diventato nel migliore dei casi utopia di anime belle; nel peggiore, è sostegno all'aggressore e complicità col nemico. Chi non apprezza questa guerra, è traditore dei valori democratici e occidentali. Esprimere dissenso significa essere equidistanti, chiedere la resa dell'Ucraina, assumere una posizione di “comodo terzismo”, essere filoputiniani (le liste di proscrizione di coloro che osano anche solo alimentare il dubbio si sprecano sui grandi giornali italiani), avere nostalgia dell'URSS, essere la solita sinistra antiamericana che guarda al passato. Potremmo continuare a lungo con i cahiers di denigrazioni che portano diretti alla censura. La deformazione strumentale del pensiero (Continua a pagina 14) LA GUERRA IN UCRAINA OGGI È ANCHE UNO SPECCHIO DI COME È DIVENTATO L’OCCIDENTE PER TORNARE A PENSARE LA PACE di DANIELA BELLITI*

La maggior parte di questi sono in corso da molti anni; si tratta di conflitti definiti locali, a bassa intensità, guerre civili, che ogni anno provocano migliaia e migliaia di vittime. La guerra in Ucraina è soltanto l’ultimo evento di uno scenario che già nel 2014 Papa Francesco aveva definito “la terza guerra mondiale a pezzi”, e che soltanto adesso dopo l’invasione russa in Ucraina del 24 febbraio scorso viene rappresentato pubblicamente. In realtà, gli altri conflitti continuano ad essere ignorati, mentre è la guerra in Ucraina che sta occupando da oltre quattro mesi la scena pubblica, per l’impatto che inevitabilmente produce sull’intera Europa, in termini di migrazioni, crisi energetica e crisi economica. Questa guerra, per come è scoppiata, narrata, e gestita, parla molto di ciò che è diventato l’Occidente, e ancora di più di cosa è l’Europa di fronte ad un conflitto militare che la investe direttamente.Inquestepagine, mi limito a focalizzare soltanto alcuni punti di una riflessione che ha bisogno di essere sviluppata in una dimensione multidisciplinare, che attraversi almeno filosofia, teoria politica, diritto e morale. Nel corso di pochi mesi, siamo passati, senza soluzione di continuità, dall’emergenza pandemica all’emergenza bellica. Due anni fa la pandemia da Covid 19 ci aveva scoperto globalmente vulnerabili, come mai prima nella storia. Certamente, non siamo stati egualmente vulnerabili, perché le diseguaglianze sociali, di genere, generazionali e territoriali hanno colpito in modo diverso gli esseri umani; ma tutti, nello stesso tempo e nello stesso spazio del globo, siamo stati esposti ad una minaccia sinora sconosciuta, ipercontagiosa e mortale. In quel momento, siamo stati permeati dal pessimismo della ragione, impreparata all’inedita minaccia, e dall’ottimismo della volontà, che volgeva lo sguardo ad una umanità più consapevole dei propri limiti e più unita nel proprio destino. “Ne usciremo migliori”, dicevano gli ottimisti della volontà. Alle soglie del superamento dello stato di emergenza pandemica, le posizioni si sono come rovesciate. La ragione, pur cautamente, è diventata ottimista. In tempi relativamente brevi, la scienza ci ha dotato degli strumenti per prevenire e guarire dal virus. La volontà, invece, è crollata nella nuova emergenza della guerra, che, a differenza del virus, dipende interamente da noi, dalla nostra cattiva volontà.Leavvisaglie, in verità, c'erano state tutte. Il sintomo più evidente, e oggi potremmo dire preveggente, risiedeva nel linguaggio bellico utilizzato per raccontare la pandemia. Espressioni come “la guerra al virus”, “sconfiggere il virus”, “le armi contro il virus” costituivano la narrazione ideologica di una realtà antropomorfizzata; nonostante il virus non fosse un nemico con obiettivi militari e di conquista, ma semplicemente usava noi per riprodursi e diffondersi biologicamente, la rappresentazione bellica è servita a compattare tutti gli individui chiamati a sopportare le dure restrizioni del lockdown Questa campagna martellante ha lasciato il segno; l’attuale rappresentazione bellica della realtà mira a unificare l’opinione pubblica attorno all’individuazione delle cause e delle responsabilità del nuovo nemico, e alle modalità con le quali combattere una guerra, che pure noi europei non abbiamo mai dichiarato. Ma quella che si combatte in Ucraina è una guerra vera, dove si muore sotto le bombe, le persone scappano, le città sono distrutte; lo vediamo sui media, partecipiamo a distanza all’orrore, ascoltiamo esperti di geopolitica e di strategie militari come se da sempre fossimo usi ad apprendere simili informazioni e a farsi un’opinione sullo stato delle relazioni internazionali.

Secondo Armed Conflict Location & Event Data Project (ACLED) (1), in questo momento nel mondo si stanno combattendo cinquantanove conflitti.

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a pagina 15) PER TORNARE A PENSARE LA PACE

Per finire, a beneficio di chi condivide le politiche dei governi europei: la Russia ha compiuto una grave violazione internazionale, invadendo l’Ucraina, e molti sono gli atti all’attenzione della Commissione istituita presso l’ONU per valutare anche la sussistenza di crimini di guerra e di crimini contro l’umanità. Ma ad oltre quattro mesi dall’inizio del conflitto, con una situazione sul campo sempre più pesante e un possibile e pericoloso backlash della resistenza ucraina rispetto ai primi mesi, è lecito porre almeno la domanda sul tempo che ancora dovrà passare prima di un cessate il fuoco? Oppure dobbiamo continuare inerzialmente a inviare ancora armi, più offensive e letali, e a militarizzare i confini orientali dell’Europa per costruire una nuova cortina di ferro, pur sapendo che la presenza di missili nucleari a lunga gittata vanifica ogni sforzo in tal senso? È disdicevole richiamare il fatto ormai acquisito nel pieno della Guerra Fredda che una guerra tra potenze nucleari non la vince nessuno, ma la perdono tutti? È possibile avviare un vero e proprio negoziato non quelli improbabili gestiti da Turchia e Israele presso le Nazioni Unite, che già stanno lavorando per la gravissima crisi umanitaria determinata dalla guerra? Oppure dobbiamo aspettare che si concluda il regolamento dei conti a distanza tra USA e Cina, per l’accaparramento di territori e risorse, utili ad affrontare la prossima vera e potenzialmente catastrofica crisi energetica?Perdare voce a queste domande, è nata una rete italiana di persone che, impegnate da tempo e su vari fronti per l’affermarsi di una politica di pace, si sono ritrovate nelle parole di Papa Francesco il quale, nell’omelia del 1° maggio, ha detto: “Di fronte a questo macabro regresso dell'umanità mi chiedo, insieme a tante persone, se si stia veramente ricercando la pace, se ci sia la volontà di evitare la escalation militare e verbale. Non ci si arrenda alla logica della violenza perversa, si depongano le armi e si imbocchi la via del dialogo e della pace". La Rete, denominata Costruttori di Pace, è stata promossa da Luigi De Giacomo (6), attivista dei beni comuni, che purtroppo ci ha appena lasciato, consegnandoci questo testimone. La Rete si pro(Continua

14 / Agosto 2022 IL SENSO DELLA REPUBBLICA della pace, operata da questi nuovi stereotipi della politica europea, è sconcertante. Infatti, chiunque abbia studiato e/o praticato operazioni di peace building e peace keeping sa quanto queste pratiche non siano mai uguali tra loro, quanto sia importante conoscere la storia e le reali condizioni di un conflitto, come sia deleterio guardare indietro. Un operatore di pace sa che, davanti ai morti di una guerra, rivendicare altre aggressioni e altre vittime non serve a niente; al contrario, è proprio chi vuole la guerra a tornare con gli occhi al passato. Solo qui ed ora possono essere trovate le ragioni della pace, le condizioni di una pace giusta e duratura. La pace può essere costruita soltanto guardando al futuro, e mai al passato, come dimostrano gli esempi illuminanti di Sudafrica, Rwanda e Kosovo. Ma per perseguire il cessare il fuoco, per rendere realistico il ritorno alla pace, c’è bisogno di un soggetto terzo rispetto alle parti in conflitto: un terzo che ascolta i contendenti, guida il confronto, aiuta l’identificazione dei punti sui quali è possibile trovare un accordo. Questo soggetto terzo dovrebbe avere l’autorevolezza che gli deriva dall’imparzialità e dalla fiducia delle parti in causa circa la volontà autentica di cercare la fine del conflitto; dovrebbe agire con l’indipendenza di chi assume il punto di vista dell’umanità nella sua totalità, ovvero il punto di vista del rispetto dei diritti umani, così come esplicitati nella Dichiarazione universale dei diritti approvata nel 1948 dall’Assemblea Generale delle NazioniDovrebbeUnite.essere l’ONU il soggetto che dirime i conflitti, che interviene per riportare la pace con il mandato derivante dal proprio Statuto. Ma le Nazioni Unite, che sono riuscite ad esercitare questo ruolo in una serie di conflitti locali, sono continuamente indebolite e delegittimate dalla volontà dei paesi più forti di far prevalere le proprie ragioni, tramite l’esercizio del potere di veto. Anche nella guerra in Ucraina pare essere confermata l’impotenza delle Nazioni Unite, ma non dobbiamo fermarci davanti alle apparenze. È vero che subito dopo l’invasione russa una bozza di risoluzione che la condannava è stata respinta, mentre solo a (Continua da pagina 13) maggioranza l’assemblea generale ha condannato la Russia e intimato il ritiro delle truppe. Ma pochissimi sanno che il 6 maggio scorso il Consiglio di Sicurezza ha approvato all’unanimità una risoluzione nella quale si “manifesta profonda preoccupazione per la pace e la sicurezza dell’Ucraina” e, dopo aver richiamato gli obblighi di tutti gli Stati membri “a gestire le loro controversie internazionali con mezzi pacifici”, esprime “un forte sostegno agli sforzi del Segretario Generale volti a trovare una soluzione pacifica” (3). Questo testo, approvato anche dalla Russia, dovrebbe essere il punto di riferimento per la politica internazionale, impegnata a fermare la guerra in Ucraina. Invece, in tutte le altre sedi, si continua a procedere in direzione ostinata e contraria: l’Unione europea implementa l’invio di armi all’Ucraina, il G7 parla della Russia come della nuova minaccia globale, alla stregua del terrorismo islamico di inizio millennio, la NATO prosegue nella sua avanzata verso est attivando le procedure per l’ingresso di Svezia e Finlandia. Con questa guerra il valore della neutralità è stato delegittimato. L’abbandono dello stato di neutralità da parte di Stati che stanno tra Europa e Russia, l’istanza dell’Ucraina di entrare nella NATO, restituiscono la situazione di un mondo che sta precipitando verso la polarizzazione di sfere d’influenza e verso lo scontro di civiltà (4). È vero che il concetto di neutralità di uno Stato, codificato nelle Convenzioni dell’Aja del 1907, è stato profondamente modificato dallo Statuto delle Nazioni Unite, che introduce una sorta di obbligo di solidarietà di tutti gli Stati membri in presenza di una violazione del diritto internazionale. Ma questo non ha niente a che fare con la partecipazione ad alleanze militari, che suddividono il mondo in blocchi; la solidarietà interna alle alleanze provoca inevitabili allargamenti dei conflitti, oggi potenzialmente globali, oltre che un pericoloso avvicinamento tra aree ostili militarizzate. L’ordine (o disordine) mondiale che si sta ridefinendo a seguito dei movimenti tettonici della faglia orientale, senza, per ora, una Conferenza internazionale di pace, ma soltanto con i posizionamenti militari o economici delle diverse parti in gioco, potrebbe decidere di fare a meno di aree neutrali e denuclearizzate; si tratta di tema di riflessione importante, che non può sfuggire agli studiosi delle relazioni internazionali e del diritto internazionale. Roland Barthes definiva il neutro come “ciò che elude il paradigma” (5), ovvero come ciò che sfugge alle catalogazioni, alle irreggimentazioni, alle costruzioni di senso; il neutro tiene aperte altre possibilità. Ne abbiamo un drammatico bisogno.

5 R. Barthes, Il Neutro. Corso al Collège de France 1977 1978, Sesto San Giovanni, Mimesis, 2022.

Nel gioco di specchi della storia economica, volendo citare Barry Eichengreen, “il passato appare ricco di analogie che danno forma al presente, possono guidare le decisioni pubbliche e sono molto influenti nei momenti di crisi quando, soprattutto, c’è poco tempo per la riflessione” (1).

2 A. Baricco, Omero, l’Iliade, Milano, Feltrinelli 2004 p. 162. 3 uscito4story/2022/05/1117742https://news.un.org/en/IlfamososaggiodiS.Huntingtonerasu

1 https://acleddata.com/#/dashboard .

6 Luigi De Giacomo, nato a Napoli il 22 febbraio 1967, ha fondato nel 2012 il movimento politico “Aurora Mediterranea”, e nel 2013 si candidò per le elezioni politiche nelle liste del MIR (Movimento in Rivoluzione). Impegnato nella difesa della Costituzione, ha guidato in Campania il Comitato per il No al referendum sulla riforma costituzionale del 2016. È stato Segretario Nazionale del Comitato Popolare in Difesa dei Beni Pubblici e Comuni “Stefano Rodotà”, promuovendo con Ugo Mattei la raccolta delle firme sul DDL beni comuni e la sottoscrizione popolare per la costituzione della cooperativa Generazioni Future, che avrebbe dovuto rappresentare un modello economico diverso per la gestione dei beni pubblici. Ci ha lasciato per una grave malattia il 4 luglio di quest’anno. (Continua da pagina 14) La nascita e l’evoluzione della Banca Centrale Europea (BCE) anche in relazione ad una crisi economica, quella del 2008, considerata la più grave dal 1929, rappresenta nel panorama istituzionale europeo un aspetto fondante della economia dell’eurozona.

PER TORNARE A PENSARE LA PACE

“Foreign Affairs” nel 1993. È stato tradotto in Italia con il titolo Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale. Il futuro geopolitico del pianeta, Milano, Garzanti, 2000. Recentemente è uscito in nuova ristampa.

15 / Agosto 2022 IL SENSO DELLA REPUBBLICA LA BANCA CENTRALE EUROPEA E IL “VERTICE EURO” DEL GIUGNO 2022pone di mettere in comunicazione le tante esperienze di pace e di nonviolenza presenti nel nostro paese, di unirle in un appello da rivolgere al Presidente della Repubblica, affinché l’Italia assuma il ruolo di costruttrice di pace, in coerenza con l’articolo 11 della Costituzione laddove si dichiara che “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, istituisca un Ministero per la Pace, e spinga anche l’Europa in questa direzione, secondo l’auspicio degli autori del Manifesto di Ventotene Per un’Europa libera e unita. La Rete è mossa da quella speranza, che è l’ultima a morire, e dall’ottimismo di una volontà rivolta a ciò che resta di umano, nel mondo. ▪ * PhD Filosofia Politica e Sociale, Università di Milano Bicocca Riferimenti

Nelle considerazioni inerenti “alla lunga crisi” emerge sicuramente un fenomeno nuovo, ovvero il comportamento della Banca Centrale Europea la cui evoluzione nel corso del tempo appare, nella storia, assolutamente originale. La politica monetaria della BCE è sicuramente al centro di un confronto europeo senza precedenti nel duello fra “austerità e crescita” all’interno del quale ha saputo negoziare. L’argomento, che può essere analizzato da molteplici punti di vista presenta un carattere peculiare ovvero l’autonomia della banca centrale europea nei confronti degli Stati nazionali e delle élites politiche. La Banca Centrale Europea, dalla sua nascita ad oggi, si è trovata dinnanzi a sfidanti processi di trasformazione e internazionalizzazione dei mercati a cui ha risposto evolvendo ed innovando i vecchi sistemi fino a giungere ad una vera e propria Unione Bancaria Europea. Il problema del rapporto tra banca centrale europea e governi nazionali e la sua speciale collocazione nella Unione Europea è particolarmente interessante proprio perché si tratta di una “specificità tutta europea” e di un esperimento di recente costituzione. Nell’analisi delle conseguenze della crisi degli ultimi anni il posto riservato alla Banca Centrale Europea è primario, questa peculiare Banca delle Banche, rappresenta infatti un esito nuovo della pluridecennale costruzione di fiducia reciproca fra gli Stati Europei; una banca centrale autonoma è il perno di un sistema finanziario funzionante e un argine all’instabilità congenita nel capitalismo. Rispetto alle altre Banche centrali, la BCE presenta l’anomalia di essere stata istituita prima, e non dopo, la costituzione di uno Stato. Tale anomalia appare ancora più stridente se confrontata con il ritardo con cui sono state istituite le Banche centrali negli Stati federali, vale a dire nella forma di Stato che potrebbe darsi prospetticamente l’Europa. Oggi come allora, la gestione della politica monetaria all’interno della UE che non è una federazione di stati è particolarmente complessa, implica (Continua a pagina 16) di SABRINA BANDINI A sinistra, la aEuropeaCentraledellasedeBancaFrancoforte

La dichiarazione adottata dai Ministri delle finanze al termine del Vertice euro riporta che al momento conviene concentrare i lavori soltanto sul rafforzamento del quadro europeo della gestione delle crisi e sugli schemi di garanzia dei depositi nazionali (CMDI), invitando, tra l'altro, la Commissione europea a presentare una proposta legislativa. Sono invece rinviate al futuro le decisioni sugli altri elementi in sospeso per rafforzare e completare l'Unione bancaria, in merito al sistema europeo di garanzia dei depositi ed al trattamento delle esposizioni al debito sovrano nazionale delle banche. Sono questi, infatti, gli aspetti su cui si registrano le maggiori divisioni tra gli Stati membri, alle prese con le gravi questioni economiche, le turbolenze provocate dagli scenari bellici e nuove, conseguenti, incertezze politiche interne. ▪ Riferimenti 1 B. Eichengreen, Hall of Mirrors. The Great Depression, the great recession and the uses and misuses of history, Oxford New York, Oxford University Press, 2015, pp . 377 378. 2 M. Draghi, Le sfide del 2015, La stabilità e la prosperità dell’Unione monetaria, “Il Sole 24 ore”, 31 dicembre 2014. 3 Bail in, lett. “cauzione interna”. UROPEA...

16 / Agosto 2022 IL SENSO DELLA REPUBBLICA

1. il Meccanismo di vigilanza unico, Single Supervisiory Mechanism (SSM); 2. il Meccanismo di risoluzione unico, Single Resolution Mechanism (SRM);3.ilSistema di garanzia unico sui

LA BANCA CENTRALE E

scelte di campo non solo monetario e, in caso di crisi esogene, si può avvalere di strumenti importanti, ma non risolutivi. A questo proposito, citando Mario Draghi: “L’invocare un’unione politica è un comune equivoco sull’area dell’euro dicendo che si tratta di un’unione monetaria senza unione politica. L’unione monetaria è possibile solo grazie al considerevole grado di integrazione raggiunto dai paesi dell’Unione europea, reso ancora più profondo dalla condivisione di una moneta unica. Se l’unione monetaria europea ha dimostrato maggiore tenuta di quanto ritenessero molti è soltanto perché coloro che nutrivano dubbi hanno giudicato erroneamente questa dimensione politica, sottovalutando quanto i suoi membri fossero legati, quanto avessero investito collettivamente e quanto fossero disposti a risolvere insieme problemi comuni nei momenti di maggiore necessità. È chiaro però che questa unione monetaria è ancora incompleta” (2). L’Unione europea, completatasi dal punto di vista economico e monetario, non aveva un corpo di norme del tutto sviluppato sul fronte di una politica comune della risoluzione delle crisi bancarie, e mancava di una vigilanza bancaria centralizzata. La moneta unica prevedeva un’unione monetaria tra gli Stati europei, ma allo stesso tempo lasciava ad ogni nazione la responsabilità di vigilare sul proprio sistema bancario; non era previsto un meccanismo unico per la ristrutturazione dei debiti e nemmeno per la supervisione e risoluzione delle banche in dissesto. A seguito della crisi iniziata nel 2007 negli Stati Uniti, il Comitato europeo nell’ottobre 2012 ha avviato il processo di unione bancaria europea che, affiancata a quella monetaria, ha lo scopo di unire i mercati delle diverse nazioni europee conferendo trasparenza e stabilità. Le colonne portanti di questa nuova istituzione sono : il Meccanismo unico di vigilanza (SSM Single Supervisory Mechanism del 2014), preposto alla vigilanza di tutte le banche del territorio europeo, il Meccanismo di risoluzione unico delle crisi bancarie (SRM Single Resolution Mechanism del 2015) che stabilisce (Continua da pagina 15) procedure e standard di valutazione omogenei a tutti gli istituti europei, e il Sistema europeo di assicurazione dei depositi (EDIS European Deposit Insurance Scheme) ossia un fondo comune alimentato da tutti gli stati in grado di elargire fondi in particolari casi di dissesto. Questi tre pilastri poggiano su un sistema di regole unico il Single Rulebook, anche detto codice europeo, istituito appositamente per uniformare le diverse politiche e direttive nazionali. Il progetto di Unione bancaria considerato da molti il più importante progetto di integrazione dopo la moneta unica è stato sviluppato rapidamente per quanto riguarda l’attuazione dei primi due pilastri, ma nel terzo resta ancora un progetto incompleto. Con l'Unione bancaria, parte delle competenze delle autorità nazionali vengono trasferite alla BCE che assume anche il ruolo di supervisore centrale la cui credibilità mira ad indebolire il legame tra banche e stati sovrani apportando maggiore equità, mirando al risanamento dei bilanci delle banche e aumentando la qualità e la quantità delle riserve di capitale delle banche stesse. In caso di fallimento delle banche, il Meccanismo di risoluzione unico dà l'ultima parola alla Commissione per quanto riguarda il momento in cui porre fine ad una banca, ed una nuova procedura semplificata di risoluzione fornisce un ordine gerarchico ben definito per il bail in (3) dei creditori bancari, insieme a un backstop sovranazionale come un'ultima risorsa. I tre pilastri dell’Unione Bancaria Europea sono rappresentabili come segue: depositi, European Deposit Insurance Scheme (EDIS). I pilastri si basano su un corpo unico di norme: il Single Rulebook, il Codice unico europeo. A margine del Consiglio europeo, il 24 giugno 2022, si è tenuto il Vertice che si è in particolare occupato di Unione bancaria. Il Vertice è stato preparato dall'Eurogruppo in formato inclusivo lo scorso 16 giugno. In quella sede, i Ministri hanno discusso degli sviluppi relativi all'Unione bancaria, senza riuscire tuttavia ad adottare un piano di lavoro sul completamento dell'Unione bancaria che il presidente dell'Eurogruppo, Paschal Donohoe, aveva presentato alle delegazioni a inizio maggio.

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