GUSTARE L'ITALIA 13 - GIUGNO 2011

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consideriamo la pizza nelle sue innumerevoli varianti di focaccia, lievitata o meno, e di torta salata. A quel punto si può tranquillamente risalire ai Greci e addirittura agli Egizi, arrivando a ritroso in epoche nelle quali la città campana non era ancora stata fondata.

(anche in Italia, dove non è diffusa la cultura del delivery e dove sono pochissimi i cibi che vengono acquistati in locali per poi essere mangiati a casa propria) e la pratica di piegare la pizza in quattro (a libretto o a portafoglio) e di divorarla in strada, il più delle volte in piedi. La tradizione della pizza era talmente peculiare della città di Napoli che ancora nell’Ottocento veniva sottolineato da cronisti e letterati ogni fallimento di esportare questo modello di consumo alimentare al di fuori dei confini partenopei. Matilde Serao, per esempio, nel suo celebre Il ventre di Napoli, racconta dell’insuccesso del tentativo di un imprenditore napoletano trasferitosi a Roma “Sapendo che la pizza è una delle adorazioni culinarie napoletane, sapendo che la colonia napoletana in

Napoli, Napoli e poi ancora Napoli Così come viene inteso oggi il termine pizza, ormai praticamente in tutto il mondo, e come abbiamo detto ci interessa analizzarlo qui, nelle sue varianti pop, esso non può però prescindere dalla tradizione napoletana. Già nel Seicento era infatti usanza del popolo partenopeo cibarsi di pizza. Si trattava all’epoca di un vero e proprio cibo di strada, antesignano dell’odierno fast food: la pizza era un piatto molto economico, preparato in poco tempo e consumato ancora più velocemente, al momento. Retaggi di questa tradizione sono stati a lungo, e in qualche modo lo sono tuttora, l’enorme diffusione di pizzerie da asporto

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