Piccola conoscenza della Valle del Cesano.

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ASSOCIAZIONE MONTE PORZIO CULTURA

LA VALLE DEL CESANO



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Prefazione Questo libricino è una piccola raccolta della maggior parte delle storie dei comuni e degli avvenimenti che hanno caratterizzato la vita del fiume Cesano, del suo maggior affluente Cinisco e della Valla del Cesano stessa. La Valle del Cesano è una valle delle Marche il cui territorio si trova a cavallo tra la provincia di Ancona e Pesaro-Urbino. Ăˆ formata da 11 comuni e si suddivide in: Alta Valle del Cesano (Frontone (PU), Serra Sant'Abbondio (PU), Pergola (PU), San Lorenzo in Campo (PU), Fratte Rosa (PU) e in: Bassa Valle del Cesano (Castelleone di Suasa (AN), Corinaldo (AN), Mondavio (PU), Mondolfo (PU), Monte Porzio (PU), Monterado (AN).


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Paesaggio

Il paesaggio è molto variegato: si passa dalle alture del Monte Catria (1702 m) per scendere alle dolci e ridenti colline contraddistinte da una agricoltura con appezzamenti di terreno poco estesi, ma molto colorati che si distinguono dalle colline toscane per un andamento meno aspro e la presenza della quercia invece del cipresso e su cui poggiano castelli medievali, per arrivare alla spiaggia di Marotta/Senigallia.

Archeologia La vallata si caratterizza sia dalla preistoria per la sua elevata e continuativa presenza dell'uomo. Tutte le varie


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civiltà (età del ferro, Piceni, Galli Senoni, Romani) che l'hanno abitata hanno lasciato testimonianze pregevoli.

Gli esempi più significativi sono: la città romana di Suasa che in epoca romana era l'unico municipium della valle e grazie alla sua posizione baricentrica anche punto di riferimento per la popolazione della vallata; i bronzi dorati da Cartoceto di Pergola, unico gruppo statuario equestre della civiltà romana che si è conservato fino ai nostri giorni; il monastero di Santa Maria di Portuno in località Madonna del Piano di Corinaldo ed altri numerosi reperti del periodo preromano conservati nel Museo archeologico del territorio di Suasa. Recenti rivelazioni di superficie condotte dall'Università di Bologna hanno evidenziato la presenza di centinaia di siti archeologici di diverse epoche che testimoniano come la


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densità di popolamento nella valle sia stata alta dalla preistoria.

Architettura Alcuni esami di architettura di maggior pregio sono il monastero di San Gervasio di Bulgaria in località Centocroci di Mondolfo (VI secolo), L'Eremo di Fonte Avellana, l'abbazia di San Lorenzo in Campo (IX secolo), nonché tutti gli antichi borghi medievali che si sono conservati sino ad oggi ed ancora abitati, in particolare il borgo di Frontone, la rocca di Mondavio e le mura medio-medievali e il centro storico di Corinaldo, considerati tra i più belli e meglio conservati d'Italia.

Enogastronomia I prodotti enogastronomici più tipici della valle sono: la Cipolla di Suasa e il salame di Frattula che insieme al Verdicchio dei Colli di Jesi, il Rosso Conero, il Bianchetto del Metauro, il Sangiovese rosso dei Colli Pesaresi, il Pergola doc nelle tre versioni novello, rosso e passito, il Garofanata; offrono alla popolazione e ai visitatori, con particolare entusiasmo, simpatia e cordialità.


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La Foresta Fossile della Valle del Cesano Il fiume Cesano nasce dal Monte Catria (1702 m) nel comune di Serra Sant'Abbondio e dopo circa 55 km sfocia nel Mare Adriatico tra Marotta e Senigallia. Se oggi lo vediamo circondato da campi e piccoli lembi di bosco riparariale per buona parte del suo corso, recenti scoperte dimostrano quello che era l'antico aspetto della Valle del Cesano migliaia di anni fa. Durante l'ultima era glaciale, (il glaciale di Wurm) che ha inizio 75 mila anni fa, il clima era molto rigido rispetto ad oggi, il massiccio del Catria era per buona parte ricoperto di ghiaccio e lungo il corso del fiume era presente un'estesa foresta di conifere, una situazione molto simile a quella che possiamo trovare oggi in alcune valli alpine. La scoperta di questa, denominata in seguito "Foresta Fossile", avvenuta nell'estate 2000, è da attribuirsi ai ricercatori del Gruppo Nose dell'Università di Urbino che hanno rinvenuto nei pressi di San Lorenzo in Campo un primo tronco fossile. In seguito è stata effettuata un'indagine più accurata lungo tutto il fiume Cesano che ha portato alla luce tanti altri reperti fondamentali nello studio e approfondimento di questo antico ecosistema. Tra i ritrovamenti più importanti vi è sicuramente quello di due tronchi di pino silvestre vissuti rispettivamente 46 mila e 60 mila anni fa in località di Monte Porzio


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conservatisi attraverso i detriti sabbiosi e ghiaiosi trasportati dalle acque del fiume da cui sono stati sommersi in antichità. Questi ritrovamenti hanno destato subito interesse sia tra l'opinione pubblica che a livello scientifico, manifestato con diverse pubblicazioni giornalistiche, quali quella comparsa su "Il Resto del Carlino" il 27 settembre 2000, seguita da "Il Corriere della Sera" l'8 ottobre 2000, il "Corriere Adriatico" il 2 novembre 2000 e Paleoltalia" ottobre 2000. Oltre alle pubblicazioni giornalistiche, la divulgazione è passata anche attraverso servizi televisivi sia grazie a telegiornali locali che a trasmissioni scientifiche nazionali quali "Gaia, il pianeta che vive ", andata in onda nel marzo 2002, Il lavoro compiuto in laboratorio è stato lo studio botanico eseguito in collaborazione con il Prof. F. Ferranti e il Prof M.R. Cagiotti del dipartimento di Biologia vegetale e Biotecnologie agroambientali dell'università degli Studi di Perugia. Le datazioni dei campioni sono state effettuate con il metodo del radiocarbonio in collaborazione con il Prof. G. Calderoni dell'Università "La Sapienza" di Roma. Successivi studi eseguiti sono stati le analisi dei pollini, svolte in collaborazione con l'Università di Utrecht,


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Olanda, l'analisi granulometrica dei sedimenti, con la collaborazione della Dott. M. Ceccarini e l'analisi difrattometrica con il Prof. R. Franchi, entrambi dell'Università di Urbino. Nel sito di Monte Porzio, già molti anni prima grazie al Gruppo Terragobba era stato allestito un incantevole spazio verde ben attrezzato, dove poter fare pic-nic in riva al fiume, di seguito denominato "il parco della Vita" tuttora curato a regola d'arte da due volonterosi e instancabili ambientalisti (Franco Ragnetti e Dott. Roberto Costantini) a cui va il plauso più sincero di tutta la popolazione comunale. Di fronte al “Parco della vita” c’è il “Percorso Geonaturalistico”, un progetto dell’Associazione “Monte Porzio cultura” in collaborazione con il dott. Luca Berardi, per valorizzare i ritrovamenti e creare un percorso che descriva al meglio la storia della Foresta Fossile attraverso 12 pannelli illustrativi (vedi foto pagina seguente).


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La battaglia del Cesano La battaglia del Cesano è una battaglia che si è svolta tra il 9 e l'11 agosto 1944 lungo il fiume Cesano nell'ambito dell'avanzata alleata nel settore adriatico. Gli alleati con questa battaglia si proponevano da un lato di consolidare il possesso della Strada statale 76 della Valle d'Esino: direttrice statale che doveva essere percorsa in sicurezza dal I° Corpo canadese e dal V° Corpo britannico nel loro trasferimento verso il versante adriatico, per poi essere impiegati nell'attacco alla Linea Gotica. Dall'altro lato si inserisce nel progressivo avanzare verso Nord del fronte di guerra che si stava ormai approssimando alla Linea Gotica. In seguito alla liberazione di Ancona, avvenuta il 18 luglio 1944, l'esercito tedesco si attestò lungo il crinale spartiacque tra la Valle del Misa a Sud e la Valle del Cesano a Nord. La linea di difesa attraversava le Marche trasversalmente dalla costa sino agli Appennini passando per Scapezzano, Santa Lucia, Monterado, Corinaldo, Castelleone di Suasa, Loretello, Palazzo e Caudino. Sul fronte alleato il II° Corpo d'armata polacco era attestato nella zona del fronte più prossimo alla costa adriatica, la 3a Carpazi direttamente sulla costa e alla sinistra la 5a divisione Kresowa, mentre il Corpo Italiano


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di Liberazione (C.I.L.) si occupava dell'altra metà della lunghezza del fronte, nelle zone più interne dell'entroterra. La battaglia ebbe inizio nella mattina del 9 agosto: i polacchi attaccarono Scapezzano, Santa Lucia, la Croce e Monterado. Il C.I.L. attaccò e conquistò Monterado e Santa Maria. La battaglia durò due giorni e costò complessivamente al corpo polacco 82 morti, 304 feriti e 4 dispersi, mentre sul campo tedesco si contarono 200 morti, 600 feriti e 300 prigionieri. Il 9 agosto venne occupata Serra Sant'Abbon-dio, l'11 agosto Frontone. I tedeschi non resistettero all'offensiva alleata e si dovettero ritirare sul crinale spartiacque tra la Valle del Cesano e la Valle del Metauro. La vittoria alleata permise il raggiungimento della Valle del Cesano e l'interruzione delle comunicazioni stradali sulla direzione Pergola-Cagli.

Frontone Il territorio di Frontone risulta abitato dai tempi più remoti da Umbri, Galli Senoni e Romani, poi da


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Longobardi e Franchi, come testmoniano le preziose pergamene dei monaci Avellaniti e Camandolesi e un tempietto rurale di origine romana, rinvenuto nel 1970. Il primo documento in cui viene citato Frontone è del 7 luglio 1072, dove, fra le chiese dipendenti dall'Eremo di Santa Croce di Fonte Avellana, viene annoverata quella di San Fortunato, edificata "presso il Monte di Frontone".

La storia di Frontone è legata soprattutto al suo Castello, conteso da principi e da guerrieri per il dominio delle contrade circostanti e che oggi rappresenta uno dei piÚ chiari esempi di architettura militare del XI secolo.


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La cittadina è stata a lungo sotto il dominio di Cagli e Gubbio, fino a quando venne conquistata dalla famiglia eugubina dei Gabrielli. Nel 1420 Frontone entra a far parte del ducato di Urbino inserendosi nella storia dell'illustre famiglia dei Montefeltro e di quella dei Della Rovere che le succedette nel possesso del ducato di Urbino Nel 1445 vi è un tentativo di conquista di Sigismondo Malatesta da Rimini, scongiurato con un intervento diretto da parte di Federico da Montefeltro. Proprio in seguito alla scampata minaccia, il signore di Urbino incarica Francesco di Giorgio Martini di operare importanti opere di potenziamento della preesistente rocca. Nel 1530 i Montefeltro cedono il territorio al nobile modenese Giovanni della Porta, ma in realtà Frontone rimane sempre legato ad Urbino, di cui ne segue le sorti, fino a passare nel 1631, sotto il dominio dello Stato Pontificio. Dal 1944 è un comune libero. Nel 1985 il comune di Frontone decise di acquistarlo e restaurarlo, rendendolo un luogo di interesse turistico e storico di notevole valore.


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Fratte Rosa Fratte Rosa è arroccata sulla cima di un colle, in una cornice panoramica tra le piÚ belle della provincia di Pesaro-Urbino, posta a cavaliere tra le medie Valli del Cesano e del Metauro. Fino alla fine dell'ottocento si chiamava semplicemente Fratte. Rosa venne aggiunto forse per la tipica colorazione dei mattoni delle case.

L'origine del nome antico CastrumFractarum si riferisce probabilmente ad una sconfitta che qui subĂŹ una


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propaggine del resto dell'esercito di Asdrubale, fratello del più celebre Annibale, condottiero cartaginese nella seconda guerra punica. Più verosimilmente, tuttavia la comunità di Fratte Rosa fu formata da alcuni superstiti scampati dalla distruzione, operata dai Visigoti di Alarico, della non lontana città romana di Suasa, che sorgeva nei pressi dell'odierna San Lorenzo in Campo. Nel Medioevo, la più recente Fratte Rosa fu un borgo fortificato, capoluogo della cosiddetta Ravignana, un vero e proprio staterello dipendente dai monaci classensi di Ravenna. In seguito fu roccaforte fanese posta a guardia di questa città, scomoda enclave della Chiesa del ducato di Urbino, ragion per cui sia i Montefeltro, sia i Della Rovere tentarono sempre di occuparla.

Serra Sant'Abbondio Serra Sant'Abbondio fondata dal libero comune di Gubbio nel XIII secolo, ebbe una rilevante importanza strategica, quale luogo di difesa e di controllo della via più impervia e recondita, ma più breve, tra l'Umbria e il litorale adriatico. Il territorio è stato abitato fin dall'età del ferro e, prima ancora dell'insediamento voluto dalla municipalità eugubina, esisteva una "Serra", cioè un "luogo chiuso" con chiesa dedicata a Sant'Abbondio che


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prima dipendeva dal monastero Classense, poi da quello di Fonte Avellana e infine dall'abbazia di Nonantola.

Nel 1384 Serra Sant'Abbondio entrò a far parte del ducato di Urbino e perciò nel 1481 il duca Federico da Montefeltro dette incarico al senese Francesco di Giorgio Martini di erigere una rocca a difesa della valle, di cui lo stesso architetto ha lasciato una particolareggiata descrizione in un suo manoscritto. Nulla resta di questa fortezza distrutta per ordine del duca Guidobaldo al fine di sottrarla alla conquista di Cesare Borgia. La conformazione urbanistica del paese conserva il tipico aspetto dell'antico borgo medievale con due porte d'accesso; restanti delle primitive quattro: la Porta Santa con torre e la Porta di Macione del XIII secolo; due vie


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parallele al corso centrale fanno da cornice alle costruzioni in pietra da disegno semplice e lineare. Poco lontano dal paese, sulla sponda sinistra del fiume Cesano, è conservata nella sua struttura la cripta paleocristiana di San Biagio, del IV o V secolo, costruita con reperti d'epoca romana provenienti da un tempio pagano. A circa 6 km dal capoluogo, nel territorio comunale tra boschi di lecci, querce e avellane sorge il glorioso Eremo di Fonte Avellana, sovrastato dal massiccio imponente del Monte Catria (1702 m.). Da questo sacro eremo ricordato da Dante (Paradiso, canto XXI) che forse vi soggiornò dopo il 1310, sono usciti santi, papi, cardinali e vescovi, tra cui si ricordano soprattutto San Romualdo e San Pier Damiani.

Eremo di Fonte Avellana L'Eremo di Fonte Avellana, dedicato alla Santa Croce, si trova nel comune di Serra Sant'Abbondio alle radici del Monte Catria (1702 m). Le sue origini risalgono alla fine del primo millennio d.C., e sono strettamente legate alla storia della congregazione dei Camaldolesi.


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L'Eremo fu forse fondato da San Romualdo nel 980, mentre San Pier Damiani che qui divenne monaco nel 1035 e poi Priore nel 1043 diede un forte sviluppo culturale e spirituale. Da ricordare che viene citato nella Divina Commedia (Paradiso, canto XXI) da Dante Alighieri, il quale sembra che ne sia stato anche ospite. Il 5 settembre 1982 papa Giovanni Paolo II, ha visitato Fonte Avellana in occasione delle celebrazioni del millenario della fondazione dell'Eremo.


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Pergola Il territorio di Pergola risulta abitato fin dalla preistoria, come testimoniano reperti dell'età neolitica, del bronzo e del ferro. Diverse, inoltre, sono le tracce lasciate da successive popolazioni: umbre, etrusche e celtiche.

L'epoca romana è invece ben documentata dal ritrovamento di tombe, vasi e suppellettili varie sia in città, sia in diverse località. Pergola nasce come libero comune nel 1234 per creare posti di lavoro e commercio alle popolazioni dei vicini castelli e di Gubbio. Nel 1631, con il passaggio allo Stato Pontificio, il centro conosce un lungo periodo di decremento demografico di difficoltà economiche, compensate solo in parte dal


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ciclico rifiorire dell'industria tessile e conciaria.

Porta San Marco

Nei secoli XVII e XVIII Pergola raggiunge la sua massima espansione economica tanto che papa Benedetto XIV con la Bolla "RomanumdecetPontificem" del 18 marzo 1752 la eleva al grado di CittĂ e le concede la nomina di un laureato ecclesiastico a Vicario generale vescovile. A conferma dell'importanza raggiunta, nel 1796 viene istituita la Zecca, che batterĂ moneta fino al 1799. Il 14 marzo 1831, durante le sollevazioni dei comitati rivoluzionari di Bologna e delle Romagne, fu il primo


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delle Marche e uno dei primissimi comuni italiani a innalzare nel palazzo municipale il tricolore. L'8 settembre 1860 Pergola è la prima città delle Marche ad insorgere contro il Regno Pontificio, favorendo l'annessione della regione al Regno d'Italia e guadagnandosi la Medaglia d'Oro per "benemerenze acquisite durante il periodo del Risorgimento Nazionale". Da ricordare che a Pergola, la comunità ebraica, oggi scomparsa, è attestata da un atto notarile dell'11 maggio 1383 che testimonia l'autorizzazione di tenere un banco per esercitare prestiti in denaro. Pergola è famosa in tutto il mondo per i bronzi dorati da Cartoceto di Pergola scoperti casualmente nel sottosuolo il 26 giugno 1946 in località Santa Lucia di Calamello da due contadini che stavano scavando nel proprio campo, situato nella parrocchia di Cartoceto nel comune di Pergola. Dopo essere stati sottoposti a tre restauri, il luogo della loro collocazione è ancora incerto. Dopo un lungo pendolarismo (6 mesi esposti ad Ancona e 6 mesi a Pergola) hanno trovato finalmente una sistemazione definitiva nel museo di Pergola.


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I bronzi dorati da Cartoceto di Pergola sono un gruppo statuario equestre romano composto da due cavalieri, due cavalli e due donne in piedi. I bronzi dorati rappresentano l'unico gruppo scultoreo di bronzo dorato di provenienza archeologica rimastoci dell'epoca romana.

San Lorenzo in Campo

Centro storico

La nascita del centro abitato di San Lorenzo in Campo è da ricondurre alla vicina città romana di Suasa, situata sulla piana della media Valle del Cesano, e in particolare alle fasi legate al suo abbandono, che divenne definitivo attorno al VI-VII secolo d.C., con la conseguente perdita del controllo su tutto il territorio circostante.


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Tra l'VIII e il IX secolo le istituzioni monastiche ricreano le condizioni per una ripresa civile e sociale dei territori, il monastero benedettino di San Lorenzo in Campo esercita infatti una funzione di riorganizzazione della vallata.

Abbazia

I monaci, oltre a curare la vita religiosa del luogo, ne dirigono anche l'attivitĂ agricola, iniziando la bonifica del territorio e favorendo la nascita di San Lorenzo in Campo.


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Presto gli interessi della popolazione si svilupparono presso il colle attiguo all'abbazia in posizione fortificata, dando origine ad un abitato stabile. Nel 1141 la cittadina ottiene l'emancipazione della giurisdizione benedettina e passa sotto quella di Fano. Nel 1231 diviene sede di vicariato apostolico e viene munita di rocca. Al centro delle aspre lotte tra Guelfi e Ghibellini, subisce varie devastazioni da parte di Ancona e Senigallia, fino a quando, alla fine del XIV secolo, vi si stabilisce la Signoria dei conti di Montevecchio ai quali rimane in feudo nonostante le temporanee occupazioni degli Sforza e dei Malatesta. Nel 1482 San Lorenzo in Campo viene annesso al ducato di Urbino dei Della Rovere. In particolare la Signoria di Giulio Della Rovere (insediatosi nel 1539), rappresenta per la zona un periodo di pace e prosperitĂ . Nel 1636 la morte di Ippolito Della Rovere (figlio di Giulio della Rovere), San Lorenzo in Campo torna sotto il dominio dello Stato Pontificio, di cui ne segue le sorti. Nel 1797 viene invaso dalle truppe rivoluzionarie francesi alle quali, assieme ad Urbino, riesce a sconfiggerle in localitĂ Ponte Rotto malgrado queste ultime fossero piĂš numerose e meglio armate. Il territorio raggiunge l'estensione attuale con l'unificazione d'Italia, quando a


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San Lorenzo in Campo vengono assegnati i comuni di San Vito sul Cesano e Montalfoglio. L'abbazia benedettina è tra i più bei monumenti romanico-gotico esistente nelle Marche, Costruita tra il VII e il IX secolo dai monaci, venuti da Sant'Apollinare in Classe, sui resti del tempio di Adone con materiale della città si Suasa. Fu elevata a basilica nel 1943 da Pio XII, è una maestosa costruzione a tre navate. Ha delle arcate a tutto sesto in muratura, sorrette da colonne di granito grigio provenienti dall'Egitto. La copertura è a capriate scoperte; la parte centrale, costituita da tre absidi, è la più antica. Per i suoi rari e pregevoli marmi, di notevole importanza è l'altare maggiore. Sotto si trova una bellissima cripta riportata alla luce nel 1940. Al suo interno ha due crocefissi del 1600 in legno. Conserva dipinti pregevoli come la tela del Ramazzanti di Arcevia (1535), raffigurante la "Madonna e Santi" con scene della Passione; la tavola degli Agapiti del 1530, raffigurante San Demetrio e San Lorenzo; la grande tela di Terenzio Terenzi detto il "Rondolino" (fine 1500) che raffigura la Madonna con il Bambino, San Lorenzo, San Benedetto e sullo sfondo il centro storico di San Lorenzo in Campo.


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Castelleone di Suasa Castelleone si forma come nucleo fortificato ("Castrum Castillionis"), su un'altura col nome di "Conocla", all'indomani del definitivo abbandono della città romana di Suasa, avvenuto attorno al VI-VII secolo d.C.. Durante il periodo medievale appartenne ai Conti Brunforte e poi ai Castracane.

Con l'avvento di papa Sisto IV Della Rovere, il controllo della vallata del Cesano passa, nel 1474 a Giovanni Della Rovere, nipote del papa. Da questo momento Castelleone è legata alle vicende dei Della Rovere che ne mantengono il dominio sino al 1641. È proprio nella prima metà del XVII secolo che Castelleone conobbe il massimo splendore. Nel 1695,


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sotto il papato di Innocenzo XII il feudo di Castelleone viene concesso al Cardinale Francesco dè Medici, per poi passare, alla sua morte, alla famiglia Albani. Dopo le intricate vicende del periodo Napoleonico sino alla Restaurazione, il comune nel 1860 entra nel Regno d'Italia con il nome di Castelleone di Suasa. Durante i due conflitti bellici mondiali del secolo scorso Castelleone di Suasa ha versato un oneroso tributo di uomini e di forze, come ci ricorda il Monumento dei Caduti eretto davanti al Municipio.

Castelleone di Suasa - Casa del popolo

Le vicende storiche di Castelleone di Suasa sono ancora rintracciabili nella sua conformazione urbanistica ma anche grazie alle proprie testimonianze architettoniche e artistiche. Oggi Castelleone di Suasa conta circa 1700 abitanti e deve


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la sua notorietà alla città romana di Suasa, la cui area degli scavi è divenuta Parco Archeologico Regionale. La presenza di una fiorente attività floro-vivaistica ha fatto guadagnare al paese l'appellativo di "Paese Verde", con un territorio tipico del paesaggio collinare marchigiano, caratterizzato da viti, olivi, colture cerealicole, arboree e orticole.

Suasa La città romana di Suasa la cui fondazione risale al III secolo a.C., quando i romani dopo la vittoria nella battaglia di Sentino (295 a. C.) cominciarono a popolare l'Ager Gallicus (territorio così chiamato per la precedente presenza dei Galli Senoni). Nel I secolo a.C., Suasa divenne municipium diventando più importante; nel 409 d.C., viene distrutta da Alarico re dei Visigoti nel suo viaggio verso Roma in occasione del celebre Sacco.


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Nel corso dei V secolo d.C., si spopola progressivamente fino al definitivo abbandono nel corso del VI-VII secolo d.C., dovuto alla guerra greco-gotica tra il 535 e il 553 che sconvolse queste zone. La scarsa difendibilità della città di fondovalle come Suasa ne decreta l'abbandono da parte della popolazione che si rifugia sulle alture circostanti dando origine ai paesi medievali tuttora abitati, come Castelleone di Suasa, Corinaldo, San Lorenzo in Campo, Mondavio e la sua frazione di Sant'Andrea di Suasa, Orciano. Il nucleo urbano da questo momento diventa una cava di materiali di recupero per la costruzione sei nuovi abitati. Nel 1987 la città è oggetto di regolari campagne di scavo da parte del dipartimento di archeologia dell'Università di Bologna. Al momento sono state riportate alla luce o scoperte, numerose strutture pubbliche e private: l'anfiteatro, il teatro, la Domus di Coiedii, un'adiacente domus tardo-repubblicana, il foro, il cardine massimo, le necropoli. Nel parco archeologico si può visitare la Domus Coiedii,


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abitazione privata che si estende per una superficie di 3.500 mq, appartenuta ai Coiedii, una famiglia di rango senatoriale il cui membro più prestigioso, Lucio Coiedio Candico, servì l'imperatore Claudio nel suo esercito e fu da lui insignito di numerose onorificenze e ricopri diversi incarichi politici arrivando a diventare questore dell'erario di Saturno. Nella Domus Coiedii abitata a lungo, raggiungendo il massimo splendore nel II secolo d.C., si possono ammirare al suo interno, splendidi mosaici che costituiscono il complesso unitario più importante delle Marche, formati da scene mitologiche, floreali e geometriche, nonché un magnifico pavimento marmoreo realizzato con oltre quindici tipi diversi di pietra. Il foro era l'enorme piazza della città di forma rettangolare (50x100 m), era circondata da tre lati da una struttura porticata a ferro di cavallo, che ospitava decine di botteghe artigiane e negozi, mentre nel quarto lato era lambita dalla via principale (cardine massimo).

Corinaldo Con tutta probabilità Corinaldo è sorta agli inizi del secondo millennio, in seguito al diffuso fenomeno dell'incastellamento. Arroccata tra i fiumi Cesano e Misa, tra la Marca di Ancona e lo Stato di Urbino, diviene ambito avamposto conteso, per la sua posizione strategica, dalle fazioni


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guelfe e ghibelline in lotta per il potere durante la crisi del sistema feudale e l'avvento delle Signorie.

Guelfa fino ai primi del 300, Corinaldo subisce il fascino e poi la tirannia di un suo nobile concittadino di parte ghibellina, Nicolò Boscareto, vicario imperiale per nomina di Ludovico Bavaro, e a causa del quale è distrutta dall'esercito pontificio di Innocenzo VI, agli ordini di Galeotto Malatesta, il 18 agosto 1360. Nel 1367, Corinaldo Viene ricostruita letteralmente fortificata grazie all'architetto militare senese Francesco di Giorgio Martini. Ai Malatesta succedono gli Sforza, e agli Sforza i Della Rovere, con lo spodestato duca di Urbino, Francesco Maria, che nel 1517 tenta di riconquistare Corinaldo e le terre limitrofe.


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Dopo ventitre giorni di assedio i corinaldesi costringono il duca alla ritirata e il papa dell'epoca Leone X, per la fedeltĂ mostrata, eleva Corinaldo al rango di cittĂ . DignitĂ confermata con breve del 20 giugno 1786 dal papa Pio VII.

Ma è nel 600 che Corinaldo si ingentilisce nelle forme architettoniche non solo di palazzi gentilizi, ma anche di edifici civili e religiosi fra i quali la chiesa del Suffragio, dell'Addolorata, di Sant'Anna (patrona di Corinaldo e il santuario ora intestato alla Goretti). Il Seicento e il Settecento sono secoli di intenso sviluppo artistico grazie al pittore Claudio Ridolfi e all'organista Gaetano Callido che ha lasciato a Corinaldo due strumenti di eccezionale fattezza, uno dei quali funzionante e il secondo in restauro. Le vestige dell'eroico passato sono oggi rintracciabili nel perimetro murario di circa un chilometro, nei personaggi


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di cui sopra e alle manifestazioni che riconsegnano Corinaldo ad un'aurea tipicamente medievale, intrigante, avvolgente, che si respira e rivive ogni anno, da venticinque anni a questa parte, con la tradizionale rievocazione storica in costume denominata "Contesa del pozzo della polenta". Certo la storiellina, tutta ottocentesca, riguarda la vicenda di un contadino che, risalendo l'erta che conduceva anticamente dal borgo al centro storico, lascia cadere un sacco di farina di mais nel pozzo al quale tenta di bere per combattere l'arsura estiva. Dal pozzo cominciò a uscire, prodigiosamente, tanta polenta che sfamò i corinaldesi assediati (durante lo storico assedio del 1517). Come a dire che, a Corinaldo "si respira ancora quell'antico colore del tempo" come diceva il giornalista Mario Carafòli fra altro inventore di tante storie sulla particolare astuzia dei suoi stessi concittadini che, mescolata a un pizzico di sana follia, hanno fatto conoscere Corinaldo anche, come il "Paese dei matti". Corinaldo è famosa in tutto il mondo grazie alla notorietà mondiale in virtù della venerazione alla martire Maria Goretti. Ribattezzata quale Agnese del XX secolo da papa Pio XII, la fama e la vita di Marietta, come l'hanno sempre chiamata i suoi concittadini dell'epoca e di oggi, àncora la secolare, consolidata, riconosciuta avvenenza storica e artistica di Corinaldo a luogo di spiritualità che nella provincia dorica è preceduta solamente da Loreto.


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Santa Maria di Portuno Santa Maria di Portuno è una storica località della Media Valle del Cesano che oggi ricade nel territorio del comune di Corinaldo. Nota per essere stata la sede di uno dei sei monasteri medievali nella Valle del Cesano, oggi è oggetto di indagini archeologiche che hanno portato alla creazione di un museo accanto al sito archeologico.

Gli scavi recenti sotto la chiesa hanno rimesso in luce ambienti industriali di epoca romana, dedicati alla fabbricazione di laterizi e ceramica, pertinenti al settore produttivo di una villa romana o ad un vicus, piccolo insediamento collegato al passaggio di una via. La zona era infatti percorsa da un'antica strada romana che collegava la via Flaminia al mare, passando proprio accanto alla chiesa. Numerosi elementi architettonici di età romana (capitelli, colonne, basi) sono stati reimpiegati all'interno delle murature della chiesa. La via continuò ad


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essere usata anche in età tardo romana (come attestato dal miliario di Corinaldo) e poi ancora nel Medioevo. Il monastero citato in una carta di Fonte Avellana del 1090 con il nome di "Madonna del Piano". Il primo toponimo si può ricondurre al dio romano Portuno (dio delle porte e dei porti) il cui tempio si trovava a Roma nel Foro Boario, affacciato sul Tevere.

Nel XVIII secolo la chiesa era in possesso del Collegio Germanico-Ungarico, che provvide ai restauri aggiungendovi un campanile e una nuova facciata con portale ad arco e decorazioni in arenaria. La chiesa attuale, ad unica navata terminante in una abside, è l'unico resto dell'antico monastero ancora visibile. Al centro dell'abside si trova una tela del pittore veronese Claudio Ridolfi (1570-1644), raffigurante


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Maddalena ai piedi della Croce, mentre sull'altare destro si trova un affresco di autore ignoto, datato 1540, raffigurante la Madonna del Conforto, una Madonna con Bambino, scoperto il 23 aprile 1970. La chiesa ospita inoltre numerosi ex voto, in legno e metallo, i cui esemplari più antichi risalgono alla fine dell'ottocento: contadini, artigiani e pescatori ringraziavano la Madonna per una avvenuta guarigione o per uno scampato pericolo. A partire dal 2001 il Dipartimento di Archeologia dell'Università di Bologna ha condotto una serie di scavi sia all'interno sia all'esterno della chiesa. Le ricerche all'interno dell'edificio hanno confermato l'esistenza di numerose fasi più antiche, spesso di difficilissima interpretazione a causa della ristrettezza dei sondaggi eseguiti. La conferma della presenza di un edificio di culto precedente, riferibile almeno di età altomedievale (IX-X secolo) è venuta solo dallo scavo condotto intorno alla cripta dove, incorporata al di sotto dell'abside pentagonale romanica, è emersa una precedente abside semicircolare. La forma delle absidi, le tecniche costruttive ed i materiali risultano analoghi alla chiesa dell'abbazia di San Gervasio nel territorio comunale di Mondolfo.


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Mondavio

Il vocabolo Mondavio si riscontra per la prima volta in un documento del 1178, e quindi preesistente al probabile passaggio di San Francesco sul luogo donatogli dalla famiglia Ricci per costruirvi un Convento. Il Santo in quella occasione si sarebbe compiaciuto per l'amenità del luogo e la varietà degli uccelli (oggi c'è una colomba nello stemma comunale). A prescindere dal vocabolo di origine storicamente incerta, Mondavio come aggregato urbano è sorto o contemporaneamente o subito dopo la costruzione del Convento Francescano (1210-1220 circa). Ci sono però tracce e accenni ancor più antichi dell'esistenza di un castello a Mondavio, al tempo di un signore di nome Vanolo. Nel 1283 Mondavio faceva parte dei "castelli di là dal Metauro" soggetti alla città di Fano e nel 1300 si afferma


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per la presenza di quelle stesse famiglie che, gli danno origine, diventando così vicariato giuridicamente riconosciuto dal cardinale Albornoz nel 1355. Nel 1327 papa Giovanni XII tolse a Fano 24 castelli formanti il vicariato di Mondavio, che fu posto alle dirette dipendenze della Marca Anconitana (Chiesa). Pandolfo e poi Ferrandino e Galeotto Malatesta tentarono a ripetizione di impadronissi del vicariato con scarsi successi tra il 1294 e il 1353, ed il dominio della Chiesa continuò senza grosse scosse sino al 1376, anno in cui Galeotto Malatesta dopo una serie di saccheggi lo conquistò. Alla sua morte nel 1391 Pandolfo Malatesta fu riconfermato signore di Mondavio da papa Bonifacio IX e nel 1400 egli ci stabili la sua residenza accompagnata da grandi feste popolari, e Mondavio poté godere di un periodo di sviluppo e prosperità. Nel 1442 trionfale è stato l'ingresso in Mondavio di Sigismondo, la cui moglie Polissena Sforza porta in dote il vicariato, tolto alla Chiesa dal padre Francesco in un periodo di gravi disordini. Tragica è però la fine degli sposi a seguito della sconfitta subita ad opera di Alfonso di Aragona e Federico da Montefeltro, alleati del papa. Nel 1474, dopo una breve parentesi dei Piccolomini, il vicariato con 24 castelli è concesso da papa Sisto IV al nipote Giovanni Della Rovere promesso sposo a Giovanna da Montefeltro, figlia di Federico. Durante il governo dei Della Rovere, il vicariato vive un periodo di


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pace e progresso di centotrenta anni. La rocca di Mondavio rappresenta una delle più importanti testimonianze dell'attività progettata in campo militare di Francesco di Giorgio Martini nelle Marche. Venne costruita per commissione di Giovanni Della Rovere, insieme ad altre rocche del ducato (Cagli, Cantiano, Fossombrone, Frontone, Sasso-corvaro, Pergola, Mondolfo) e risale con ogni possibilità alla fase più tarda dell'attività dell'architetto senese, probabilmente nel decennio 1482-1492. La costruzione rimase incompiuta per il ritorno dell'architetto a Siena e per la successiva morte del committente Giovanni Della Rovere e dell'architetto (1501). In epoca tardo romana Mondavio fece parte della fiorente città di Suasa, distante 5 km a monte, sulla sponda destra del Cesano, ove sono state portate alla luce notevoli vestigia e reperti. Distrutta Suasa nel 409 d.C. da Alarico re dei Visigoti, gli abitanti fuggirono insediandosi dulie colline attorno, dando origine ai primi nuclei degli attuali borghi collinari, fra cui Mondavio. Il territorio prima di far parte della Penta- poli Ravennate subì le incursioni devastatrici dei Longobardi e dei Bulgari. La rocca costruita a difesa del vicariato, non ha mai subito alcun assalto, né mai ha sparato un colpo dei suoi cannoni.


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Estinti i Della Rovere nel 1831, il Vicariato torna alla Sede Apostolica e vi resta sino al l'annessione al Regno d'Italia nel 1860. La rocca si trasforma in carcere pontificio e tale utilizzo continua ancora fino agli anni quaranta del XX secolo.

Mondolfo

Mondolfo sorge su una collina a poca distanza dal Mare Adriatico, nel lembo meridionale della provincia di Pesaro-Urbino, presso la foce del fiume Cesano. In un'area abitata giĂ dall'etĂ neolitica, nel VI secolo sulla sommitĂ della collina, aveva trovato sede un castello Bizantino, presso il quale attorno all'anno Mille avvenne l'incastellamento della cittadina. Mondolfo rappresenta probabilmente anche un centro di relativa importanza dell'area in cui tra il VI e il VII secolo


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si erano insediate popolazioni protobulgare probabilmente invitate dalle autoritĂ bizantine dell'Esarcato di Ravenna per sostituire la forza lavoro decimata da epidemie in analogia con quanto accaduto in altre aree dell'Esarcato (oggi tra il Nord delle Marche e il Sud della Romagna) quali quelle cesenate e quelle riminese.

Sede comunale

Per sfuggire dal pericolo dal fondovalle, in special modo dalla località di San Gervasio, oggi nella periferia Sud di Mondolfo, dove sorgeva un importante monastero del quale resta la superba chiesa che conserva nella cripta il piÚ grande sarcofago ravennate delle Marche, la popolazione si rifugiò sulla collina di Mondolfo. Il Castello, a seguito di una costante espansione


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urbanistica con nobili palazzi e ricche chiese, venne fortificato con l'innalzamento con due possenti cinta di mura che, grazie all'intervento dell'architetto militare Francesco di Giorgio Martini nel XV secolo, avranno a coronamento l'invincibile rocca, poi atterrata dalla neonata Italia sabauda. Mondolfo è stato un presidio della costa a tutela da eventuali sbarchi Saraceni, come quella volta che attraverso la località ancora oggi segnata dall'antica chiesa di Santa Vittoria che si intravede dal belvedere del boschetto sul crinale della collina a Nord-Est - si dovette respingere con l'astuzia un attacco di forze turche provenienti dal mare, scesi a Marotta, intenzionati a razziare tutto il possibile, lungo la costa e la Valle del Cesano. A maggior presidio della foce del Cesano fu costruita (circa all'odierna Piano Marina) la Bastia, possente torre quadrilatera a guardia del delta.

Abbazia di San Gervasio di Bulgaria Un legame particolare ha avuto la chiesa di San Gervasio di Bulgaria al contesto territoriale; essa è l'unica chiesa il cui titolo ha un chiaro riferimento alla Bulgaria, denominazione risalente all'alto Medioevo e all'insediamento di popolazioni barbariche in questo tratto del Cesano caratterizzato dalla presenza di siti umani da epoca preistorica.


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San Gervasio è un "segno" straordinario nella storia del territorio e delle popolazioni che vi hanno abitato, un segno che si dovrebbe rendere il più possibile leggibile.

I lavori edilizi, nonché gli scavi all'interno dell'edificio, da poco conclusi avrebbero dovuto rappresentare un'occasione imperdibile per effettuare una serie di verifiche sulle questioni, poste da tempo. La formazione dell'edificio, le precedenti e le successive fasi costruttive, la natura e la destinazione delle singole strutture. Purtroppo questa possibilità non è stata sfruttata; sono cosi rimasti irrisolti quei problemi di interpretazione storica, per cui disponiamo solo di indizi per tentare di ricostruire le fasi più antiche della storia del sito. All'inizio del Quattrocento, la dedicazione paleocristiana


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al martire milanese Gervasio, fratello di Procasio, il cui culto era stato diffuso da Sant’Ambrogio a partire del 386, farebbe risalire il luogo di culto alle prime fasi della cristianizzazione della Valle del Cesano.

Cripta

Anche il sarcofago di stile ravennate degli inizi del VI secolo è un indizio circa l'esistenza di un'area cimiteriale nello stesso sito. Altri indizi farebbero pensare che nel corso del VI secolo sia accaduto qualche cosa di importante nella trasformazione o riutilizzo di strutture di età romana nella prospettiva di fondazione di un edificio chiesastico. Nel secolo XII risulta presente nella chiesa una piccola comunità monastica retta da un priore. Il più antico documento risale al 1109, quando ne era priore Atto, che stipula un contratto di rinnovazione enfiteutica insieme


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con due presbiteri monaci. Dunque la chiesa era un priorato dipendente nel 1154 dall'abbazia di San Gaudenzio di Senigallia. Altri contratti del 1161, 1185 1194 riporta- no i nomi di tre altri monaci e due conversi. È molto probabile che all'inizio di questo secolo il monastero esistesse già da qualche tempo e che la sua unione con San Gaudenzio sia stata decretata per ovviare a un processo di decadenza dell'istituzione. Sebbene il numero dei monaci e conversi appaia consono con un priorato, le dimensioni raggiunte allora dalla chiesa farebbero supporre l'esistenza di un cenobio cui dimorava una comunità numerosa. Non si può escludere pertanto, che in precedenza il monastero sia stato un'abbazia indipendente, dotta di un patrimonio fondiario proprio, la cui fondazione potrebbe ricollegarsi a una serie di frammenti scultorei rinvenuti nell'edificio e databili tra l’VIII e il IX secolo. Nel 1221 il priore Matteo concluse una permuta di terre con l'Eremo di Fonte Avellana, compiuta col consenso dell'abate di San Gaudenzio . La presenza di un priore è documentata almeno fino al 1264, mentre negli anni 70 dello stesso secolo San Gaudenzio prese a gestire direttamente le terre di San Gervasio. Verso la fine del Duecento questa abbazia si uni con quella di Santa Maria di Sitria e quindi anche San Gervasio entrò a far parte di una più ampia rete monastica.


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Nel 1345-46 pare esservi stato un solo monaco di Sitria con funzioni da Rettore. Un privilegio di papa Onorio III nel 1223, volto a definire la giurisdizione del vescovo Benno di Senigallia, complica la questione istituzionale in quanto vi include la "pieve" di San Gervasio, Un altro documento del 1231 farebbe supporre l'intervento di chierici secolari soggetti all'ordinario diocesano, anche se la funzione plebana a San Gervasio sembrava sia stata piuttosto effimera: la pieve del territorio si trovava giĂ sulla collina di Mondolfo negli anni 1290-1292 (ples de Castro Marchi), mentre un titulus di Bonifacio VII del 1298 accenna ad un beneficio sine cura di cui era titolare Filippo di Balligano di Jesi). Essa potrebbe comunque essere messa in relazione con l'acquasantiera in marmo bianco di San Gervasio, qualora essa sia da interpretare come fonte battesimale ad aspersione. Nel 1536, mentre alla fine del secolo vi troviamo installati i monaci soprattutto nei paesi dell'Est (ancor oggi presente nel santuario polacco di Czestochowa), tali esperienze favorirono la formazione della leggenda del Santo contadino locale, ma non poterono impedire poi l'abbandono e l'alterazione dell'impianto basicale di San Gervasio. Nel 1690 il consiglio comunale di Mondolfo denunciava al cardinale Barberini l'occupazione della chiesa con magazzini, cantine e stalle, mentre nel 1733 il podestĂ Torri vi trovava ancora un edificio "costruito alla Gotica".


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Monterado

Monterado come centro abitato sorge nel 1267 sotto l'influenza del monastero di Fonte Avellana e la sua origine è molto interessante anche da scoprire. La zona riveste un ruolo importante anche dal punto di vista archeologico: nel 1962 in seguito agli scavi nella zona Ripabianca è stato rinvenuto un giacimento del neolitico medio, consistente in una capanna, tre sepolture con scheletro, diversi oggetti (vasi, ceramiche, lame, bulini, oggetti in osso, ecc.). Sono state rinvenute tracce anche delle attività degli agricoltori del neolitico e dei Piceni risalenti all'età del ferro. Nel V secolo s'insediarono a Monterado i Galli e poi i Romani. Successivamente arrivarono sia i Barbari, che rasero al suolo diverse città limitrofe, sia i Longobardi, sotto i quali si istituì il ducato di Senigallia al quale succedette il comitato dei Franchi.


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Castello

Il 13 luglio 1267 Monterado riceve il permesso di fondare un nuovo castello sulla collina omonima; nel 1285 iniziarono le diverse successioni signorili. La prima ad insediarsi è quella dei Malatesta di Rimini (con Verucchio Malatesta), che con alterne vicende, durerà fino al 1462. Nel 1355 Monterado viene occupata dal cardinale Albornoz e nel 1379 si impone la Signoria di Galeotto Malatesta, A Pandolfo Malatesta si deve la costruzione delle "Mura Malatestiane", di cui resta solo un bastione davanti al Monumento ai Caduti. Dal 1430 inizia la Signoria di Carlo Malatesta e Vittoria Colonna per poi passare a quella degli Sforza nel 1441. La presenza di Francesco Sforza perdura fino al 1482 quando Federico di Montefeltro lo sconfigge, ponendo


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così fine alla presenza Malatestiana a Monterado. Nel 1474 il papa Sisto IV diede a suo nipote Giovanni Della Rovere la Signoria di Senigallia e del Vicariato di Mondavio, in cui è compreso il castello di Monterado. Comincia così la Signoria Roveresca che durerà fino al 1631. L'anno successivo viene istituito il "Commissariato Ducale di Tomba" fino al 1808. Breve presenza anche di Cesare Borgia, detto il "Valentino", seguita da quella di Francesco Maria I Della Rovere che, nel 1508 diventa "Duca di Urbino" per cui Monterado viene inserita nel ducato di Urbino, fino al 1860. Monterado fu conquistata anche da Lorenzo dè Medici nel 1516 fino al 1530 quando sopraggiunge Francesco Maria I Della Rovere. Nel 1578 sotto il papa Gregorio XIII, Monterado viene scelta come centro principale per il controllo e l'amministrazione dei beni situati nella Valle del Cesano. Con la morte di Francesco Maria II Della Rovere nel 1631 termina la Signoria roveresca a Monterado, e il ducato di Urbino ne prende possesso. Nel 1686 sotto i Gesuiti avviene la costruzione del Palazzo di Piaggiolino, mentre al 1742 risale il Palazzo di Monterado. In epoca napoleonica, nel 1798, Monterado entra a far parte del "Dipartimento del Metauro"; con il Congresso di Vienna del 1815 il castello torna sotto lo Stato Pontificio, passando sotto la "Provincia di PesaroUrbino”. Nel 1859 il Palazzo di Monterado, il Palazzo di


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Piaggiolino, con le tenute passò ai principi Barberini. Nel 1860, realizzata l'Unità d'Italia Monterado, insieme a Castel Colonna, Ripe e Senigallia passa a far parte della Provincia di Ancona. Monte Porzio

Il territorio del comune di Monte Porzio entra nella storia solo con i Galli Senoni, ma è documentato che esso fosse abitato già dall'età della pietra. Molte sono le probabili etimologie del nome. La più probabile e antica è quella che lo vede derivare da "Montal porco" (monte per l'allevamento dei porci, termine poi abbandonato dopo lo sviluppo del centro


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storico. Fino ai primi del Cinquecento non si può parlare di un vero e proprio centro abitato, ma soltanto di una "pieve", cioè di una popolazione sparsa nel territorio. Sembra che i primi possessori del Castrum Montis Podii sono stati gli abati di San Lorenzo in Campo, per poi cederlo in feudo al conte Guido di Mirabello, luogotenente di Carlo Malatesta. Dopo la sua morte nel 1431, Monte Porzio passa sotto la reggenza della famiglia Gabrielli conti di Montevecchio (famiglia con cui ha in comune anche lo stemma) e viene inserito nel vicariato di Mondavio, di cui segue le vicende sino al 1520, con i domini dei Piccolomini, dei Della Rovere e di Lorenzo dè Medici. La famiglia Gabrielli di Montevecchio fu protagonista della costruzione dell'intero complesso del centro storico, dominato da una serie di edifici per i vari componenti della stessa famiglia. L'intero edificato, caratterizzato da una struttura omogenea, riprende in chiave settecentesca, il tema della città ideale del Risorgimento; il tutto è opera dell'architetto Andrea Vici, allievo del Vanvitelli che non fu forse estraneo al progetto. Con la restituzione del vicariato da papa Leone X a Fano, Monte Porzio vi rimane legato fino all'annessione al Regno d'Italia, ad eccezione di un periodo in cui entra a far parte del territorio di Senigallia. Un avvenimento molto importante, forse tra i più interessanti della vallata del Cesano, è il grande vaso attico che in un documento del 1952 si dice"... riguardante le figurazioni del cratere a colonnette che si conservava nel


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secolo scorso in casa dei duchi di Montevecchio a Fano e che si era rinvenuto in un tenimento della stessa famiglia a Monte Porzio dentro un sepolcro, con altre suppellettili...). Il vaso rappresentante una scena di un guerriero che si arma, ed è il maggior esemplare a figure rosse del Museo di Ancona e risale alla prima metà del V secolo a.C.

Ruderi ed altri ritrovamenti testimoniano la presenza di un castrum romano di una certa importanza che aveva il nome Montis Podii. A fianco dell'ex municipio si trova la chiesa di Santa Maria Assunta del 1748.


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Chiesola dell’Assunta - interno

Nel centro storico, vicino al numero civico 53 di Via Mazzini sorge la deliziosa minuscola chiesetta della PietĂ , un tempo isolata, come dimostra una carta del Settecento. Nella chiesa parrocchiale di San Michele Arcangelo che si trova appena fuori il centro storico, si venera almeno dal 1588 un antico crocifisso ligneo, ma nulla si sa sull'origine di questa devozione.


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