Oltre il giardino n.7

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Editoriale

di Mauro Fogliaresi

“Ogni sogno è un pezzo di dolore che noi strappiamo ad altri esseri.” [Antonin Artaud]

Oltreilgiardino Periodico dell’Associazione Oltre il Giardino Onlus

Numero 7 - Distribuzione a offerta libera

Avevamo scelto il sogno come argomento chiave di questo numero e il sogno ci è scappato di mano ed è diventato una carezza infinita. Un numero speciale nel carcere non ha sbarre, ma libertà “oltre il giardino”. Libertà viva e creativa che, tra realtà e fantasia, grazie al teatro diventa protagonista di un’avventura umana sofferta e condivisa. Donatella Massimilla, regista “edge”, porta la sua arte a San Vittore, a disposizione di chi non ha tinte azzurre in cella e ritrova il proprio cielo dentro e fuori, tramite il proprio talento ed estro. Un giornale - lo scrivere - la poesia - il teatro: fare teatro come evasione dalla quotidianità, dalla mortale abitudine di non avere orizzonte. Cercare oltre il filo d’orizzonte l’altra matassa di cielo... L’arte e l’infinito? Nei primi numeri di “Oltre il giardino” scrivevamo: “Ognuno ha un suo modo di scrivere quasi conforme al proprio disagio, persino la punteggiatura ha il respiro più vicino al loro disturbo... Mondo incredibilmente ricco da provare imbarazzo nel correggere - persino - gli errori grammaticali e che meraviglia di fragili equilibri, il nostro giornale...” Contro ogni stigma “Oltre il giardino” parteggia per la diversità, non come fonte di paura ma come ricchezza di uno sguardo unico, innocente e spiazzante dove i vicini di casa non siano solo potenziali “folli assassini”. Il nostro sogno lo portiamo ovunque: un giornale - il nostro - che diventa Associazione Onlus, regalandosi onore e oneri di una propria coerenza e autonomia, per riscoprirsi cittadini attivi negandosi l’alibi di malato mentale a vita: “carcerato” nei propri sogni. E se la sfida era cercare in senso propositivo il “bello” in luoghi “scomodi” quando era (ed è) il brutto - terrore! - a fare un po’ notizia ovunque, oggi il nostro sogno è diventato realtà. La sfida è stata vinta da persone messe al bando che nell’improvvisarsi efficienti e validi reporter hanno ritrovato un’appartenenza più viva a una comunità aperta e solidale riacquistando dignità e voglia di sentirsi cittadini con ugual diritto ed entusiasmo in nome di una speranza diventata, da sogno, realtà, “oltre il giardino”.

“Il sogno è vedere le forme invisibili della distanza imprecisa, e, con sensibili movimenti sulla linea fredda dell’orizzonte l’albero, la spiaggia, il fiore, l’uccello, la fonte: i baci meritati della Verità.” [Fernando Pessoa]

R eportage

Teatro nel carcere di San Vittore


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— Grandi

• Cronaca

personaggi

d a u n ’a l t r a e t à

Il sogno di Bambina Bambina diceva di non avere più sogni: a novant’anni passati non si riesce a guardare avanti, si pensa al presente e più ancora al passato. Al massimo si arriva a sperare di avere il budino a cena, anziché la solita frutta cotta: piccoli desideri su cui poter scommettere, perché talvolta si realizzano. Quando andò in pensione, dopo una vita di lavoro sui telai, pensò di potersi dedicare all’orto e alle sue galline. Poi c’era il gruppo parrocchiale che aveva sempre bisogno di volontari; la sua giornata iniziava con la prima messa del mattino e la visita al marito al Cimitero e si chiudeva con il rosario della sera. Raggiungeva il centro del paese in bicicletta, come aveva sempre fatto per andare in fabbrica. Dieci anni di questa vita, con il figlio in Svizzera interna in una fabbrica di orologi. E quando il figlio decise di tornare in Italia fu una festa. Finalmente qualcuno in casa da accudire e con cui poter parlare, perché lui si era ricavato un piccolo laboratorio per riparare orologi nella sua stanza: lo spazio che serviva per il tavolo da lavoro era poco, ci stava anche il letto. Il rapporto con il figlio non era perfetto, perché lui era di poche parole e sembrava sempre arrabbiato; Bambina aveva sempre l’impressione di disturbarlo, forse perché erano stati tanto tempo lontani, pensava. Un giorno le propose di portarla a fare un giro in città: Bam-

“Finalmente qualcuno in casa da accudire e con cui poter parlare, perché lui si era ricavato un piccolo laboratorio per riparare orologi.”

bina era felice, mai uscita dal paese nemmeno per andare a Como; avrebbe visto il lago e il Duomo. Da allora è ospite di una casa di ricovero, ormai sono più di vent’anni. Ha però visto il lago e il Duomo, perché le suore organizzano anche qualche gita e, una volta l’anno, il Signor Vescovo celebra una messa per gli anziani in Cattedrale. Sul comodino una foto del figlio, che va a trovarla un paio di volte l’anno su invito delle suore: prima di Natale e per la festa di compleanno della mamma. Bambina non lo ammette ma ha un sogno: vedere più spesso il suo Luigi, che è l’unico pezzo rimasto della famiglia, non ha altri parenti. Ma ogni giorno si racconta una storia, con un velo di tristezza che le passa sugli occhi azzurri che vedono ormai poco: ha tanto lavoro… ha sposato una straniera e quella lì non lo lascia venire a trovarmi, sarà andato in Svizzera a prendere i pezzi per gli orologi. Ora la sua memoria ha sempre più frequentemente buchi neri, parla pochissimo e partecipa con sempre meno attenzione alle attività ricreative pomeridiane; è sulla sua sedia a rotelle con gli occhi azzurri rivolti sempre verso la finestra. Ma la sera, quando la si aiuta a mangiare, riesce a raccontare con poche parole la sua giornata: oggi è venuto il mio Luigi a trovarmi... siamo andati in paese a messa... oggi ho fatto la polenta al mio Luigi, gli piace... Il mondo di Bambina è ormai un sogno realizzato. Testo: Angela Corengia Foto: Gin Angri

Nelle foto: Casa Santa Marcellina delle Suore Guanelliane, Como

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sguar do alto

Oltre ogni muro Sogno un mondo… che rispetti il prossimo in quanto tale, che dia valore alla natura non abbattendo alberi per fare profitto, senza considerare l’habitat naturale di flora e fauna. Sogno un mondo… che non usi gli animali soltanto come carne da macello e che non porti cani e gatti nei saloni di bellezza, snaturando così il loro modo di essere solo per un’apparenza estetica (e sogno un mondo… che poi, quando i cani fanno i loro bisogni sui marciapiedi o nei luoghi pubblici, i loro padroni li raccolgano e non facciano finta di niente). Sogno un mondo… che non devii i ruscelli per costruire, che non inquini le acque senza scrupolo pur di ottenere ricavato, non riflettendo sull’importanza vitale dell’acqua, che necessita a noi ma necessiterà anche, e soprattutto, ai nostri figli. Sogno un mondo… dove anche i più deboli, diversi, bambini, anziani siano liberi di esprimere la propria esperienza e libertà di pensiero, crescendo nell’umiltà nel confronto con il prossimo senza il condizionamento del Dio denaro. Sogno… di esser farfalla, che pur avendo una vita molto breve, è certamente intensa, piena di vitalità, sfoggiando colori bellissimi, svolazzando in piena libertà, senza obblighi e itinerari, previsti o incanalati da altri, donandoci tutta la sua bellezza: sin dall’inizio ancora baco, regalandoci seta, senza pretendere nulla in cambio, dando così un senso alla sua esistenza. Sogno… di essere nota musicale, che non conosce confini, barriere, ostacoli, che va al di là dell’apparenza di un’etichetta, di false ipocrisie, di opinioni contrastanti, arrivando direttamente ovunque, indistintamente a tutti, indipendentemente da quello che sei, liberando vibrazioni, emozioni, che colpisce i sentimenti di ognuno. Sogno… di riprendere l’utilizzo della gamba (quella che la

Sogno un mondo… dove anche i più deboli, diversi, bambini, anziani siano liberi di esprimere la propria esperienza e libertà di pensiero, crescendo nell’umiltà nel confronto con il prossimo senza il condizionamento del Dio denaro. Nelle foto: Spettacolo teatrale della compagnia Gli Amici di Luca della Casa dei Risvegli di Bologna.

malattia ha compromesso) privandomi di un’autonomia, costringendomi così su una sedia con ruote, dove gli impedimenti diventano tantissimi, per gli ostacoli fisici ma anche psicologici, adattandomi, ripiegando su quello che mi è possibile fare. E poi, sogno… di conoscere una compagna con cui condividere reciprocamente affetto, tenerezze, amore e tutta la magia che una donna può dare, senza idealizzare, ma accettandoti e valorizzando quello che sei. Nonché infine, sogno… di ritor-

nare bambino, nella semplicità, ingenuità, ricominciando a scoprire che non tutto è basato sull’egoismo, sulla rincorsa al potere, sulla smania di successo a ogni costo, calpestando persino la dignità altrui, pur di arrivare. E dove poi?... Se poi alla fine, sotto terra diventiamo tutti uguali? Almeno in sogno, diventa possibile liberare e realizzare un mondo incantato! Testo: Fernando Costa Foto: Gin Angri

Teatro —

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4 — Viaggio

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Como

Shangri-La Il sogno del Nepal è sempre stato un sogno “a doppio senso”. Che cosa vuol dire ciò? Il Nepal fin dagli anni Sessanta è stato al centro del movimento hippy degli Occidentali, attirati dal vivere sereno e pacifico dei Nepalesi, in armonia con la natura e con se stessi, denominato anche “Shangri-La” (che in nepalese significa “Paradiso terrestre”). Finita l’era hippy il paradiso svanisce per un po’. Per molti rimane ancora un ricordo nostalgico. Per me il sogno di Como c’è stato dopo il trasferimento dei miei genitori a Como. Questo sogno di emigrare fuori dal proprio Paese coincide con quello della maggior parte dei nepalesi che vogliono migliorare la qualità e lo standard della loro vita. I sogni hanno un ruolo molto speciale. Alcuni li interpretano come una premonizione per il futuro, altri invece come frutto dell’immaginazione e dei desideri nascosti nell’inconscio. Freud e le sue teorie non sono molto conosciute in Nepal tranne da coloro che hanno la passione per lo studio dei pensieri. In Occidente invece per molti Sigmund Freud (nonostante le sue teorie siano già state in parte superate) coincide ancora con colui che ha rivoluzionato e aperto una nuova era nello studio della mente umana. Testo: Prasiddha Acharya

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Ambiente

ed economia

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pensiero ecosostenibile

Ecotoys: la fattoria delle coccole I viaggi sono profon- piccolo Comune della provindi insegnamenti di cia di Como in una zona ricca vita vera. Guido Ger- di boschi e prati. Il capannone letti, quando ha la- è immerso in un grande parco sciato l’amata Tanza- dove è collocato l’orto aziendale, un’area per i nia per tornare in bambini con una Brianza, ha portaEcotoys cerca casetta sull’albero to con sé lo sguardi sviluppare (in costruzione) e do lontano di un un grande recinto sogno da realizzaun nuovo per Lucky, George e re. E il sogno oggi si modello le loro figlie Mavi e chiama Ecotoys. Bea. Ecotoys è un’aziendi azienda, Uno dei progetda familiare che sensibile ti all’avanguardia progetta, produce Ecotoys è la sperie distribuisce gioal benessere mentazione di un cattoli innovatidei propri nuovo modello di vi, etici ed ecologici. L’azienda nacollaboratori. azienda che permetta di migliorasce nell’ottobre del 2004 con l’obiettivo di contri- re il territorio dove si opera, sia buire alla diffusione di prodot- dal punto di vista ambientati ecosostenibili e alla creazio- le sia da quello culturale. Una ne di un’etica della sostenibilità bio-azienda non è guidata dal profitto ma dal fare azioni conambientale. Il primo prodotto è stato Hap- crete a salvaguardia dell’ampymais al quale se ne sono af- biente. Una bio-azienda deve fiancati molti altri, alcuni di consumare meno risorse ed produzione e altri di distribu- energia possibili cercando di zione esclusiva a livello nazio- focalizzarsi su materie prime locali con un consumo sosteninale. Uno degli obiettivi più impor- bile nel tempo così da diventare tanti dell’azienda è quello di un potente strumento di camdefinire il concetto di “gioco biamento. ecologico” diffondendone l’u- Nello stesso tempo deve essere tilizzo per arginare l’imperan- un luogo ideale per i propri adte presenza dei giochi in pla- detti ed essere aperta e traspastica prodotti in Oriente, senza rente verso clienti, fornitori e alcun ruolo educativo e spesso la comunità locale. pericolosi per chi li produce e Al centro di un più ampio progetto di sviluppo sostenibile, per chi li utilizza. Oltre a creare nuovi giocatto- denominato Sistema Ecotoys, li, Ecotoys cerca di sviluppare l’azienda dispone di una Diun nuovo modello di azienda, spensa Gas (Gruppo di Acquiaperta verso l’esterno e sensibi- sto Solidale) con prodotti bio e le al benessere dei propri colla- a chilometro zero, un Orto Didattico dove si coltivano frutta boratori. L’azienda è situata a Fenegrò, e verdura biologiche consumate

da dipendenti e amici e la rivoluzionaria Fattoria delle Coccole, che ospita in libertà asinelli, cani, gatti (e presto anche mucche, maiali, pecore, capre, oche, galline e conigli). Accanto allo Spaccio aziendale, già fruibile, in programma c’è la creazione di un centro culturale con cucina attrezzata per riunioni, conferenze, corsi di formazione dedicati all’educazione ambientale e molto altro. Il Sistema Ecotoys, nato con lo scopo di perseguire e incentivare un modello di vita e di azienda autosufficiente, sostenibile ed esportabile, mira ad affiancare alla già consolidata attività imprenditoriale nell’ambito della produzione di giocattoli anche una vera e propria azienda agricola, provvista di orto, giardino dei frutti di bosco, città degli insetti, fabbrica del compost e una grande fattoria didattica dove bambini e adulti possano sperimentare un’interazione diretta e senza barriere con gli animali ospiti. Tutto ciò con evidenti notevoli vantaggi nella qualità di vita di tutte le persone e animali coinvolti. Più che un sogno mirabolante, nella realtà del produrre con fantasia, intelligenza e lungimiranza, Ecotoys è un vero esempio di ecologia produttiva dove al profitto di un’azienda si accompagna il respiro profondo di un futuro. Realtà innovativa e stimolante, Ecotoys si trova a Fenegrò in via Berina: destinazione Paradiso per bimbi e animali… Testo: Mauro Fogliaresi Foto: Sandro Ferrari

Nelle foto: Guido Gerletti fondatore e amministratore di Ecotoys e il mondo da abbracciare.

Per chi fosse interessato: Ecotoys Via Berina 2 Fenegrò (CO) telefono: 0313520274


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6 — psicologia

• freud & C.

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Non smettere di sognare “Fornirò la prova dell’esistenza di una tecnica psicologica che permette di interpretare i sogni e dimostrerò che utilizzando questo metodo ogni sogno si rivela essere una formazione psichica dotata di senso che può essere inserita in un luogo ben preciso dell’attività psichica della veglia”. Così Freud apre quella che sarà l’opera più famosa ed importante da lui mai pubblicata: l’Interpretazione dei sogni (1899), con la quale getterà i fondamenti dello studio di quell’incredibile fenomeno psichico quale è l’attività onirica, di coglierne l’importanza, di capire, come dirà lui in seguito, che “il sogno è la strada maestra che conduce alla conoscenza dell’inconscio” e la quale conoscenza è dunque imprescindibile. Gli antichi non consideravano il sogno come un prodotto della psiche, bensì come una manifestazione della divinità. Essi suddividevano i sogni in due fondamentali categorie: la prima che era influenzata solo dal presente e dal passato, e la seconda che era invece determinante per il futuro. Rientravano in queste categorie le profezie, la previsione di eventi imminenti e i sogni simbolici. Con Aristotele il sogno diventa oggetto di psicologia, non ha origine divina, bensì demoniaca, in quanto la natura e tutta la sfera terrena sono considerate demoniache. Freud comprende che l’origine dell’attività onirica è puramente psichica ed influenzata da una molteplicità di fattori. Con questa breve citazione storica del sogno non ho la pretesa di dare una spiegazione a che cosa sono i sogni, ma bensì dopo aver letto il libro di Freud l’Interpretazione dei sogni, mi sono reso conto che è molto importante non smettere di sognare, e della funzione sociale e fantastica che svolge questo suggestivo aspetto della vita. È mediante i sogni che ho perseguito le mete più belle della mia vita fin ora. Da adolescente desideravo suonare il rock perché mi piaceva avere una band e divertirmi con loro e lo feci, la passione delle arti mi fece sperimentare tante altre discipline, sempre non smettendo di immaginare situazioni suggestive che poi si manifestavano, certo di episodi sgradevoli non ne sono mancati, come i sogni brutti e cattivi. Ma fin dalla adolescenza un grande sogno non mi ha mai abbandonato, che un giorno si fosse edificata una società migliore, dove chiunque potesse soddisfare i propri bisogni, una vera e propria rivoluzione culturale, fin ad oggi penso che questo è il motore portante della mia esistenza e della funzione dei sogni stessi. Testo e foto: Sandro Ferrari

Nella foto: un gesso conservato presso l’Istituto Carducci, Como.

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sCrittriCe ed esperta in storY telling

I sogni fan luce

Francesca Mar- Quale sogno ti ha fatto chegiano è una scrivere il libro? scrittrice molto Più che un sogno, scrivo persensibile ai temi ché questo è il mio dono e la sociali, ma prima mia “dannazione”! Qualcodi tutto è una mia sa che credo di saper fare meamica. Ci siamo conosciute due glio di altre (non chiedermi ad anni fa alla redazione del gior- esempio di fare un’operazione a nale “Oltre il Giardino”: en- mente di matematica!) ma antrambe ne facciamo parte, io che che mi sento quasi obbligacome fotografa e scrittrice, lei ta a fare, qualcosa che non mi come autrice di articoli. Do- lascia in pace quando invece vendo parlare di sovorrei occuparmi “...mi sono gni, ho pensato di di tutt’altre cose. farle un’intervista Quindi anche quesvegliata sul libro illustrato sto libro è nato da e sono andata una sorta d’illumiper grandi e bambini, che ha pubblical’immain spiaggia con nazione, to nel 2012 per Ofgine che mi è veil quaderno...” nuta in mente di ficina della Narrazione, dal titolo “I un faro che potessogni fan luce”. se avere una funzione diversa rispetto all’indirizzare le barIl tuo libro parla di sogni... che nel mare. Poi questa immaqual è per te la luce dei sogni? gine mi è rimasta dentro e me La luce dei sogni è come vedere la sono portata dietro anche una scia di lucciole nel buio di al mare... infatti una mattina, una notte d’estate, una scia che in vacanza sul Mar Rosso, mi indica una direzione: qualco- sono svegliata e sono andata in sa che vorremmo fare, vivere o spiaggia con il quaderno, peresprimere nella nostra vita. Per ché l’idea voleva proprio nascenoi stessi o per qualcun altro. re. Ho messo la penna sul foQuel sorriso che ci viene quan- glio, e la storia si è quasi scritta do, prima di addormentarci op- da sola. Per me è sempre quelpure mentre siamo alla guida lo il momento di soddisfazione della macchina, ci immaginia- più grande: quando una storia mo in una situazione... come nasce sul quaderno, o sul tovauna nuova casa, un lavoro più gliolo, o al computer. gratificante, un nuovo amo- Non provo le stesse cose per la re. Ma non deve per forza ri- pubblicazione, perché lì è come guardare qualche cambiamen- se fosse già grande, come se to... possiamo sognare anche prendesse il suo zaino di signidi mantenere la nostra vita, in ficati ed emozioni e se ne antutto e per tutto, così com’è! dasse per la sua strada. Penso però che questa luce, se Ayumi non ciMakita alleniamo a vederla e A proposito di pubblicazione, Detta Matita, sono nata in Giappone ma vivo mantenerla attiva, nel tempo si scrivere un libro è qualcosa in un piccolo appartamento a Perugia, dove cadono spesso i fulmini. Disegno fin da quando affievolisca sempre più e a volte di magico? ero molto piccola. Mi piace correre e giocare a si possafareanche perdere. Non è più magico di costruire pallacanestro, la sauna mentre fuori cadeMi cala neve, bere il cappuccino con gli amici, fare pita e suonare infatti, un tavolo, guidare uno scuolaorigami il gongquando al tempio deglipresento zii. Condivido una gatta con la mia amica Sara. il libro o tengo corsi di scrittubus, fare una torta per le perAlla gatta piace dormire tra le mie braccia mentre disegno. ra, di chiedere alle persone che sone che amiamo. C’è magia in www.flickr.com/photos/ayumimakita/ ho di fronte: “Il tuo sogno qual tutto quello che si fa mettensul nominare è?”... e vederle irrigidirsi quasiUnadostoria in moto il proprio “dono”, stessi i propri fuori sogni, eda seguirli. infastidite, perché è da troppoa semettendolo sé, affintempo che non ci pensano, per-Anche chéquando qualcun altro ne possa befarlo significa cambiare. ché non credono di averne più neficiare. Se ci guardiamo inil diritto o la possibilità, perché torno, ogni cosa ha dietro di pensano che sognare sia solo sé il tempo di qualcuno, le sue OFFICINA DELLA NARRAZIONE “una cosa daa curabambini” idee, la sua passione, la sua stoCoordinamento editoriale di Alberto Terzi o da Grafica: Tomaso Baj, Grafici Senza Frontiere persone poco concrete. Menria, le sue mani. Anche questo Stampa: Associazione Padre Monti Stampa - Saronno (VA) tre Divisione per me è Digitale il motore che deve libro, non è stato creato solo da www.stringhecolorate.com spingerci (o attirarci) sempre, me, ma anche da Ayumi Maki© Officina nella vita. della narrazione, 2012 ta (che ha fatto meravigliose illustrazioni), Tomaso Baj (che

Nelle foto: Francesca Marchegiano e, sopra, con Alberto Terzi Sotto: il libro I sogni fan luce ne ha curato la grafica), Alberto Terzi (che l’ha pubblicato) e tante altre persone che l’hanno stampato, distribuito, messo in vendita. E, a queste, ora si aggiungono le storie di chi lo acquista, regala, legge... compresa la tua, che ora me ne stai parlando! È questa, secondo me, la magia. Quale filo collega il tuo racconto di vita, al libro “I sogni fan luce”? C’è un fi lo rappresentato dal fatto che il libro parla soprattutto del lavoro, del cercare di fare un lavoro (o un’attività) che amiamo e che corrisponde ai nostri valori e alla nostra natura. Il libro l’ho scritto quando nella mia vita ero di nuovo a un capitolo di pagine bianche... dovevo inventarmi un futuro lavorativo, ripartire da zero. Il racconto mi è servito per indirizzare i miei passi verso la strada (non già battuta da altri, e non in discesa), che suggerivano i miei sogni. Non è stato un viaggio facile, ma ora posso dire che ne sia valsa la pena! Qual era il tuo sogno prima di diventare grande? Ne avevo principalmente due: uno era quello di scrivere e illustrare racconti (infatti, già alle elementari, scrivevo racconti sui fogli protocollo a righe e su vecchie agende che mio papà mi dava per giocare) e l’altro era quello di fare la veterinaria “per aiutare gli scoiattoli a scendere dagli alberi”. Per fortuna (degli scoiattoli!) ho realizzato il primo dei due sogni, anche se gli animali mi piacciono sempre... infatti un altro sogno che ho realizzato negli ultimi tempi è stato quello di diventare vegetariana. Ma poi, Ale... prima di diventare grande ho ancora un sacco di sogni da realizzare! Testo e foto: Alessandra Moratti

Francesca Marchegiano Ayumi Makita Francesca Marchegiano Ayumi Makita

I sogni fan luce

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8 — Mitologia

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figlio della notte

Lo sguardo di Morfeo Quale mezzo per superare le distanze meglio del sogno, dove lo spazio non ha tempo, dove i luoghi si susseguono, si avvicendano, si profilano inesausti, sempre nuovi e rocamboleschi, in distese ariose o in situazioni caotiche, che hanno del meraviglioso ma anche del terrificante. Ecco, la macchina del tempo, il sogno, l’obbiettivo, la telecamera spenta che ci scruta nel silenzio: dentro l’iride la coscienza che si proietta, che si risveglia durante il sonno, dando una vita movimentata a quanto viviamo di più simile alla morte. Il desiderio di oltrepassare il punto di non ritorno, di dare alla morte un altrove, di varcare i confini della vita… Il sogno ispira questo: un superamento della morte quando nel sonno è visibile un altrove, un immaginario vivificante che sopravviene destandoci, dando tono e colore alla notte, e accelerando le sensazioni fino a renderle vitali, spesso palpabili. Morfeo, Ipno e Tanato (il sogno - il sonno - la morte) sono strettamente imparentati e nella pittura vascolare mediterranea spesso appaiono accostati: Ipno e Tanato sono fratelli, e Morfeo è figlio del primo e della Notte. Il sogno origina quindi speranza e dubbi, viene dal buio ma è in sé luce e colore, è un’apertura al giorno presente, il portato di un viluppo passato, l’anticipazione di una vita futura. Se il pennello che lo dipinge accosterà alla vivacità che gli è propria dei colori e delle forme rasserenanti il sogno sarà soave; se altrimenti, assumerà connotati vuoi più sublimi, più realistici o semplicemente incomprensibili. L’onirismo riassume le caratteristiche del sogno nel reale, è quella relazione fuggente tra la notte e il giorno, tra il sonno e la veglia, tra il possibile ed il fantastico che ci influenza portandoci in un paesaggio, in una situazione surreale, che può suscitare sperdimento, angoscia, delirio. È quindi il sogno una forza vitale, un veicolo di desideri e di emozioni, o è piuttosto un cimitero dove sono incise le nostre parole, dove sono scolpite le vicende della coscienza a sostenere l’insopportabilità del tutto? O semplicemente è il pigmento della notte, il colore che manca al buio, la sua anima nuova, un’apparizione nel silenzio, una voce nella solitudine, una volontà rimasta inespressa? Da Artemidoro a Freud fino ai giorni nostri l’interpretazione dei sogni ha trovato nuovi interrogativi a cui rispondere, nuove risposte da cui partire. Io vedo nel sogno una compen-

sazione di attitudini che si vorrebbero specificare e rendere attuali, presenti: una compensazione che porta nella nostra visione un’apparenza di realtà, di realtà immaginifica che riveste l’impronta dei desideri inespressi e delle felicità perdute ma anche l’anticipazione di un nuovo fervore, la nascita di un

nuovo immaginario dove il consapevole si distende attingendo alle sue profondità. Non dimentichiamo che la vita è sogno e che il sogno è vitale: sarà quindi la vita continuazione del sogno ed il sogno continuazione della vita. Cosa in fondo più simile all’aldilà, o agli inferni, di un sogno, che riassume i pia-

ceri ma anche le paure e le aspirazioni: cioè tutte le recondite aspettative di felicità e tutti i parossismi di una dannazione preannunciata? Il sogno, forma senza sostanza, fuoco che non brucia, acqua che non disseta, cibo che non sfama è quindi l’ombra del giorno nei meandri della psiche, e il suo sospiro nel

tramonto dei sensi, fino al risveglio nelle fitte maglie del reale… Testo: Marco Catania Foto: Archivio Oig Sopra: Gli occhi di Marco Catania. Sotto: Due quadri di William Blake: “Pastnow” e “Hecate”.


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Coda di luCe

Pescatori di sogni (a riva) Era una sera cal- lungo corso snello e allungarlo ma. Di quelle con fino al principio della luna. la luce di un azzur- Non si vedevano montagne, ro molto attenuato, solo onde basse verdi di foglie come se il cielo di giganti talmente giganti e forti giorno non ne avesse ricevuto a da ospitare le code delle stelle. sufficienza di sole. La cena era pronta tutta ricoTutti erano in pace, calmi, chi perta dalle foglie giganti. in piedi ma coRiso con le verdure, munque sciolti, chi dolci fatti col coc“Approdata distesi con la faccia co, pesce in umido, rivolta verso il ciefrutta fresca, pane a riva sfiorò lo di colore azzurro e latte tiepidi, tisaaccennato. Calmi o l’estremo lembo ne all’anice, fiocforse solo stanchi, chi di panna, ma di pelle. Una comunque tutti in leggera. Succo dalle attesa dei sogni a mano vi si chinò piante. riva. sopra, ma senza Si diceva che chi Il mare era anch’esrestava a riva di soraccoglierla.” so appena accengni non ne avrebnato, il vento basso be pigliati mai. Che solo per rinfrescare il viso ar- i sogni erano come i pesci, che rossato sulle gote. In bocca solo ci volevano reti e lanterne per il silenzio, le mani libere ver- andarli a cercare di notte con so la terra come a raccoglierne la barca quando il mare si facel’essenza di uomo e natura che va sottile più del palmo di una da essa deriva. mano. Che andavano inseguiIndosso solo camicie leggere, ti se necessario fin sotto, fino a ma nemmeno di lino, di un co- perdere il respiro, fino a toccatone sottile. Le scarpe senza le re il fondo per poi risalirvi in calze, di quelle essenziali, basse groppa fino a toccare la coda coi laccetti a nastro sul davan- delle stelle o il principio delti. Chissà che colore avrebbero la luna e forse ancora oltre la avuto gli abiti dei sogni, chissà luna. di quale consistenza o sapore o Ma vi fu chi preferì attenderli rumore o chissà come. dietro ad una tenda in riva al Aspettavano con l’espressione mare con una luce fioca dendi chi non aveva più nulla da tro, una tenda gialla che velava perdere. il mare la sera per proteggerlo La sabbia era bianchissima an- dal vento fresco arrivato a sofche la sera, quella sera for- fiare via il calore dalla pelle. se ancora di più. Dietro solo A piccole dosi sorseggiavano il poche palme a raccoglierne the all’anice, il succo diretto la vita, per assottigliare il suo dalle piante accompagnato con qualche dolce di cocco. Musica solo di natura che sapeva di Nelle foto: pesca onde a poco poco più lente sciin Mozambico.

volate sulla sabbia ora bianca più della neve. Il cielo pieno di code luminose, la sabbia al posto delle scarpe ad asciugare i piedi sprofondati nell’acqua di mare poche ore prima. Una stella marina approdata a

riva sfiorò l’estremo lembo di pelle. Una mano vi si chinò sopra, ma senza raccoglierla. La sera si chiuse lenta dentro il buio, mentre una foglia gigante colse in grembo l’ultima coda di luce dal cielo.

Di sicuro, chi si addormentò quella notte di sogni ne pigliò parecchi. Live in peace. Life is love. Testo: Lisa Tassoni Foto: Gin Angri


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10 — Storie

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di vita

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cor aggio di una madre

Tanta strada da fare Era un sogno normale, un so- Sogno, e la vita ci sorrideva, il gno già sognato da intere gene- nostro progetto si concretizzarazioni che m’avevano precedu- va, metteva su casa, cresceva. to, dalla mia e, forse, anche da Dopo meno di un anno, a fare quelle future. compagnia al fratello arriva Era un sogno di ragazzi sempli- lei! Bella come un sogno… e io ci, binari già percorsi, vie già non avevo ancora 25 anni. visitate, strade sempre diverse Si bella come un sogno, proprio ma che alla fine portavano allo come nei nostri desideri, non stesso indirizzo. le mancava proprio Una vita a due, un niente. “Bisognava progetto da costruTre mesi dopo ci accambiare ire e una famiglia corgemmo che aved’allargare. va qualcosa in più: il sogno, Continuare a tel’epilessia. fonte di nerci per mano ma Sogno diventato inquesta volta certi quell’esperienza, cubo, un’altra stodella meta, sapenria cominciava: fare il punto do quello che voleuna storia di “ordivamo e dove vole- della situazione nario dolore”, una vamo andare. storia da manuale e ridisegnare Si chiamava “procon tutti i suoi pasgetto esistenziala nostra vita.” saggi “fisiologici”, le”… o forse anche con le “tre fasi”, ecsogno. cetera, eccetera… Giovane, forse troppo giovane Ma quella storia è la storia che per tutto quello che avrei dovu- ha travolto e sconvolto la mia to affrontare, ma non per vive- vita e quella della mia famiglia. re quel momento. Ero pronta, Vissuta giorno per giorno, mome lo sentivo, ad iniziare quel mento per momento con una cammino col ragazzo che ama- intensità tale da lasciarmi senvo e che mi amava. za forza, prostrata dal dolore. Sogno sogni. Condivisione di Era la mia storia, indipendenmomenti semplici e belli, tutto temente da quanto la letteratuscorreva secondo i nostri desi- ra medica potesse asserire sul deri, a volte, spesso, al di là dei “caso”. nostri desideri. Sogno e incubo: era questa la Impegno nel crescere insieme, sensazione che avevo svegliannel costruire il nostro mondo. domi tutte le mattine; “forse impegno nel lavoro, nella vita, non era vero”, forse era solo un nel tutelare quel nucleo che era sogno, no! È un incubo! ancora embrione ma che sareb- Incubo sostenuto e alimentabe stata presto famiglia. to dai medici, da eccellenze, Perché famiglia si diventa, non da specialisti della specializè solo “un uomo e una don- zazione... na”, ma sono i progetti, i so- Tutti convenivano sulla severigni, l’impegno, il sentire comu- tà della sindrome e sull’infaune. E poi loro: i figli. sto futuro di Chiara. Il Prof. L’onnipotenza che si impadro- Viani nel suo manuale di Psinisce di te quando dai la vita chiatria Infantile scriveva che ad un figlio. Il giorno più bello i bambini affetti da “sindrome della mia vita! Un primo figlio, di West” non sarebbero mai aril miracolo che si fa carne. rivati ai 4 anni di vita.

Subito e quotidianamente la riabilitazione. Non avrebbe parlato, forse neanche deambulato, psicosi infantile. La scuola? Non sarebbe riuscita a scrivere, a leggere, a far di conto. Vero, verissimo, a far di conto non c’è mai riuscita, ma neanche la sua mamma! Da quel momento ricordo la vita come se l’avessi vissuta io e Chiara. Gli altri erano delle figure sfuocate che parlavano, vivevano, interagivano con me, ma erano lontani anni luce. Esistevano solo Chiara, suo fratello, suo papà e la mia incommensurabile solitudine. Non avevo più un mio ruolo, non ero né moglie, né madre, né figlia. Mi percepivo solo come dolore, tutto mi passava attraverso il corpo; febbre, asma, allergie, alopecia, e non avevo tempo né voglia di curarmi. Quanti studi medici abbiamo visitato, quanti professori intorno a noi. Chiara era un caso atipico, parlavamo di lei ai Congressi medici: era un “ipsaritmia da pubblicare”! Già anche io ormai la percepivo come una crisi da fermare! Tutto il mio amore così immenso e traboccante era un fiume in piena e faceva più danni che altro. Era Chiara che mi indirizzava, che mi faceva capire. Io, sua madre, avevo perso di vista la cosa più importante: lei, la mia bambina, la sua normalità, la sua armonia, il suo diritto ad essere una bimba come tante altre. Rendermi conto di questo è stato, nel tempo, un grosso dolore. Che cosa avrei potuto fare per i miei figli se mi stavo uccidendo, se mi stavo immolando sull’altare del sacrificio portando con me il resto della famiglia?

Che cosa poteva farsene una bimba di una madre che per tre anni l’ha tenuta in braccio giorno e notte piangendo? Bisognava uscire da quell’incubo, bisognava ancora accarezzare i miei sogni, farne di nuovi. Accantonare il nostro “Progetto esistenziale”? No, modificarlo perché in situazioni “speciali” si adoperano strategie “speciali”. Bisognava far riemergere quella grinta e quell’ottimismo che m’avevano sempre accompagnata e che mi caratterizzavano. Bisognava dare dignità alle mie lacrime! Bisognava cambiare il sogno, fronte di quell’esperienza, fare il punto della situazione e ridisegnare la nostra vita, il progetto esistenziale che avevamo fatto. Non certo per sminuirlo, per accontentarci, per ridimensionarlo, ma per renderlo attuale e praticabile con gli eventi che si erano verificati e che inevitabilmente portavano a modificarlo. Molte, troppe cose erano da fare ed avevo bisogno di aiuto. Lo chiesi espressamente, come solo i forti e i coraggiosi sanno fare. Rinfrancata, incoraggiata e supportata ero pronta, e lo feci, a rivedere l’intera mia vita e quella della mia famiglia. Fu come rimettere a fuoco un’immagine, tutto appariva più chiaro, ogni cosa assumeva contorni più nitidi e quindi più facili da identificare e da riconoscere. La mia vità cambiò, e le sue qualità. Avevo scoperto la bellezza della quotidianità, pur nella sua fatica, la felicità dei piccoli gesti che, come trionfi, Chiara mi regalava. Le piccole e gran-

di cose da fare e da condividere insieme agli altri genitori. Individui feriti che chiedono continuamente e a tutti un possibile risarcimento. A volte questo risarcimento passa attraverso la dedizione totale ed esclusiva al figlio “speciale” e alla sua riabilitazione. Se nel cammino incontri qualcuno, la persona giusta, puoi scoprire che possono esistere anche armonia e normalità in ciò che stai vivendo. “Tirar fuori le potenzialità assopite e nascoste” non vale solo per i nostri ragazzi. Molti di noi sono rinati a nuova vita dimostrando forza, coraggio, metodo, intelligenza ed intuito solo grazie a queste situazioni drammatiche. I nostri ragazzi han tirato fuori le nostre potenzialità! Avevo trovato la mia “normalità”. Feci allora una promessa a me stessa e ricordo che quella sera la sussurrai con pudore nell’orecchio a Chiara: avrei dovuto raccontare la nostra vita, le nostre esperienze a quanti si fossero trovati, o si trovavano, nella nostra stessa situazione. Insieme ad altri avrei potuto continuare più agevolmente il nostro cammino. Fu questo che mi portò all’associazionismo. Chiara oggi ha 34 anni , il percorso faticoso, il cammino lungo, ma il sogno continua… Vieni Chiara, dai la mano alla mamma, abbiamo ancora tanta strada da fare. Testo: Rosalba Perla Nella foto: Rosalba Perla


Oltre

Numero 7

• I

sogni nel cassetto

Il secretaire Nella mia vita di abitazioni ne ho cambiate tante. Quando, da bambino, sognavo di realizzare grandi cose, il mio pensiero ricadeva sempre sulla casa: una enorme casa. Vaneggiavo su dimensioni standard, imposte da consigli famigliari, su vari vani, spaziosi e accoglienti che potessero identificare il mio gusto di arredo e praticità. Ho cominciato ad avere, con le prime possibilità economiche (tra studio e lavoro) un piccolo monolocale, giusto per una persona. Ero felice di avere uno spazio tutto mio, condiviso solo dal mio gatto. Mi adattai alla situazione in pochissimo tempo… e quasi subito aumentai le mie esigenze e la necessità di esaudire sempre nuovi bisogni. Altro quindi che biblioteca…, ma armadi pieni di ogni genere di vestiario alla moda, acquario per i pesci, cucina americana, vasca idromassaggio e BMW in garage!!? Capo un intero anno, cambiai ben quattro case (secondo mia madre per solo capriccio), ricorrendo a traslochi costosissimi. Sognavo a occhi aperti, così come faceva peraltro tutta l’élite comasca della mia generazione. Poi, crescendo, ebbi un blocco, riconsiderando i valori e i sani principi… e mi soffermai a riflettere più dettagliatamente sulla mia vita. “Volere è Potere” è un detto familiare tramandato per intere generazioni. Ma io, bastian contrario o pecora nera, cambiai il motto in “Potere è Volere”. Ritornando al mio sogno spaziale di avere una casa propria, il passo fu lungo. A ritroso, ricordo che le dimensioni e gli spazi della casa dei nonni erano davvero eccessivi. La casa era molto grande, circa seicento metri quadrati (pari a tre grandi appartamenti in uno), composta da ingresso, anticamera, sala camino e biblioteca, sala da pranzo, sala tv, anticamera, bagno, cucina, lavanderia, studio, sei camere da letto, cinque bagni, corridoio e balconi. Il loro porre il “Potere è Volere” (o meglio “Valore”) durò circa cinquant’anni, considerando ciò che mia madre mi raccontò dei propri genitori. In codesta casa, dove ho anche abitato, c’erano due luoghi segreti: il primo era lo studio privato (penso sia stato prima del nonno e poi di mio padre) dove l’accesso era negato, il secondo era la stanza-armadio della nonna. La mamma mi raccomandava di entrarci il meno possibile, ma io, testardo, mi rinchiudevo, anche per curiosità, nella camera con vestibolo bicolore della nonna. Tale vano, fat-

to in parte in legno e in parte murato, era il mio nascondiglio preferito: dividevo i miei sogni da bambino dalla realtà. Curiosavo ogni giorno al suo interno: era grande, bicolore, suddiviso in stagioni. Nella parte chiara, in frassino, fresco e solare, c’erano primavera ed estate, mentre nella parte scura, in mogano, lucido e opaco, c’erano autunno e inverno; nell’inter-spazio, un corridoio portava a una porta interna. Scrupoloso, i miei occhi si soffermavano sempre davanti alla porta, che crescendo avrei aperto, scoprendo con stupore il grande scrittoio e il secretaire. Era un mega cassone di legno pregiato e intarsiato, architettato magistralmente su misura, in questo spazio nascosto da occhi indiscreti. Inizialmente adoperavo per lo studio lo scrittoio, pensando fosse appartenuto ai miei bisnonni. Ma la mia morbosa disattenzione per lo studio era catturata dai circa trenta (o più) cassetti, anche nascosti con incastri machiavellici del grande secretaire. Ammiravo, per ore, sognando cosa avrei scoperto aprendo cassetto dopo cassetto. I cassetti erano posti a scacchiera, con pomelli colorati, alcuni in argento, altri in ferro, altri in oro, altri in porcellana dipinta, alcuni a scatto, altri celati e nascosti in altri, alcuni sotto chiave. Tali cassetti contenevano vecchie fotografie ingiallite dal tempo, altri lettere d’amore o documenti notarili; in alcuni c’erano matite colorate, in altri ricette; altri erano vuoti, poi in altri si trovavano cimeli di guerra e medaglie, in altri del denaro estero, in altri cartine topografiche, in alcuni progetti architettonici, in altri banconote e monete del Regno d’Italia… e infine c’erano i cassetti sotto chiave: penso contenessero i gioielli della nonna. In famiglia, tra disegnatori, architetti, contabili e notai, i sogni racchiusi e le crude realtà realizzate o non, nel tempo furono molti e colorati. C’era chi mi forniva consigli per il futuro, chi mi dava semplicemente le sue opinioni, chi parlava di ricordi lontani, chi mi raccontava emozioni vissute, chi mi mostrava vecchie fotografie, chi mi narrava segreti, enigmi, intrighi della mia famiglia. Ma allora perché l’esistenza di un secretaire? Comunque, dei tanti sogni che ho fatto da bambino, alcuni sono stati realizzati (nel mio piccolo) con successo: alcuni buoni, altri sbagliati, ma la mia responsabilità mi ha aiutato a pensarne altri migliori. P.S. Il tanto desiderato secretaire è stato ereditato da una mia sorella. Testo: Paola Tommaselli Foto: Mario Civati

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Testimonianza —

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12 — Reportage

• Sa n Vit tor e

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dentro e fuori

Impressioni di un cielo (sognato) in una stanza Le pareti giallognole e bianche divise non esattamente a metà, il concetto di equità è un concetto astratto anche qui, anche per le pareti. La parte giallognola e lavabile ad altezza d’uomo, anzi un po’ più alta, a fine porte e finestre, porte e finestre di un verde scuro con poca speranza. Quelle porte e finestre che stanno a indicare la via d’uscita a piedi, con le proprie gambe, o semplicemente con lo sguardo fuori dalle inferriate. Con la fantasia. Pareti giallognole e lavabili come a voler dire che per poter uscire da lì, da quei lunghi corridoi, da quelle anonime stanze, il percorso deve essere indefinito e inconcludente come il giallognolo dei muri, ma lavabile. Lavabile da non si sa bene cosa, lavabile da non si sa bene chi. Dopo il giallognolo iniziava la restante parte di parete, di muro. Un muro di un bianco opaco che si univa al bianco e opaco del soffitto creando così un grande cielo sopra di noi, non molto allegro, non molto speranzoso di bel tempo, ma comunque un cielo. Un cielo in un stanza, un cielo in un lungo corridoio, un cielo e basta. Perché il cielo, almeno quello, è uguale un po’ per tutti anche in quelle stanze. Un cielo bello o brutto, opaco o luccicante, vero o immaginato. Qui il cielo può essere solo immaginato o visto dietro le finestre, che sono molto alte e con le sbarre, e a questo punto è meglio immaginarlo, se non addirittura “sognarlo”. Perché, se non l’avete capito, queste stanze giallognole e bianche e questi cieli sognati non sono in un posto qualunque, ma sono nella casa circondariale di San Vittore a Milano, per brevità milanese San Vitur. Non è un bel posto, però i ragazzi, le ragazze, gli “ospiti” di questa casa si impegnavano, si impegnano e sono sicuro che si impegneranno per “vivere” quel posto, quelle mura, quelle pareti nel modo più “dignitoso” possibile. Una dignità che tante volte non vedo “fuori” da quella casa. Avevano voglia di continuare, lottare e andare avanti per un futuro, magari lontano e lungo come quei lunghi corridoi senza macchie perché il giallognolo delle pareti è lavabile e il bianco del cielo-soffitto sopra di loro è infinito e speranzoso come il resto della vita che li attende di fuori, quel resto della vita tanto sognata sotto quel cielo in una stanza. Queste sono le mie impressioni alla visita alla casa circondariale di Milano. Testo: Giuseppe Bruzzese Reportage fotografico: Gin Angri Nelle foto: “La Casa di Bernarda Alba” dentro San Vittore.

Dentro e fuori San Vittore

La Casa di Bernarda Alba di Garcia Lorca Un viaggio iniziato dentro le mura di San Vittore dove da diversi anni il teatro produce cultura e incontri, dalla sezione maschile a quella femminile con la direzione artistica di Donatella Massimilla, pioniera del teatro e carcere in Italia e in Europa. San Vittore, un carcere con il pubblico più numeroso di Milano, considerando anche il suo endemico sovraffollamento. Edge Project 2013/2014: la partenza di un progetto concreto e non utopico... realizzare con le attrici e gli attori reclusi spettacoli diversi e farli girare in tournée dentro i diversi raggi e sezioni del carcere, per avvicinare la popolazione reclusa alla cultura e al teatro, poi, dove è possibile, portarli fuori, per avvicinare nuovo pubblico a un Teatro d’Arte Sociale. Così un teatro spesso invisibile, provato nei corridoi e nei cortili, rappresentato nelle biblioteche carcerarie o in spazi rubati alla socialità, rappresentando una sfida artistica e culturale, diviene una tappa di avvicinamento al nuovo pubblico, e la possibilità di realizzare per il CETEC (Centro Europeo Teatro E Carcere) un nuovo progetto biennale intitolato “Libertà, teatro e cultura dentro e fuori le mura di San Vittore” con il sostegno della Fondazione Cariplo, in collaborazione con le Associazioni Oltre il Giardino, Tabit, Scena Aperta. Lo scorso 19 luglio è stato presentato da un gruppo di detenute, nel cortile di Palazzo Isimbardi, sede della provincia di Milano, un reading tratto da “La Casa di Bernarda Alba” di Garcia Lorca, accompagnato da un “documentario fotografico”, come lo stesso Lorca aveva sottotitolato la sua opera, con le immagini del fotografo Gin Angri. Un Diario di Bordo ricco di immagini e testi delle attrici recluse e in libertà, insieme a riflessioni “dal vivo” del pubblico partecipante. Come Maddalena, una delle attrici recluse dice: “L’ opera di Garcia Lorca rispecchia la nostra vita in carcere. Una madre finge di voler proteggere le proprie figlie dalle passioni, dall’amore, ma i suoi modi somigliano più alla sentenza di un giudice, condannandole, dopo la morte del marito, a vivere per sette anni segregate nella loro stessa Casa. Le figlie vengono così sorvegliate, controllate, represse proprio come in un luogo di reclusione… Eppure, più recitavo più avvertivo una forza interiore, consapevole di dove ero, ma con la forza di voler trasmettere agli altri che un errore non può cambiare quello che tu sei e quello che tu vorrai essere al di fuori di quelle mura. Mi sentivo momento dopo momento una ricchezza di animo dentro e il teatro mi ha aiutato a tirar fuori una parte di me che non pensavo di avere, soprattutto mi ha dato la forza e il coraggio di capire che le differenze, i limiti, le barriere che ho superato qui dentro riuscirò a superarle anche nel mondo esterno”. Per informazioni e prenotazioni CETEC Onlus (Centro Europeo Teatro e Carcere) teatrocarcere@yahoo.com cell. 393 9297608 www.cetec-edge.org


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il giardino

Reportage —

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Nelle foto: alcuni redattori di Oltre il Giardino durante la prova generale. Donatella Massimilla la regista.


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14 — Reportage

• Sa n Vit tor e

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dentro e fuori

Le ali della libertà Certo non avrei mai immaginato di entrare in un carcere, per di più nella sezione femminile di un penitenziario rinomato tristemente con una fama sinistra dove regna una angustia latente, sinonimo di degrado e varie ed eventuali miserie cupe e inquietanti. Non si può descrivere il carcere senza esserci entrati e sentire i chiavistelli che ininterrottamente girano nelle toppe ed il fragore delle chiavi dei secondini, il metal detector e l’intercalare tipico di dialetti meridionali, la routine, la consegna dei cellulari e delle cose metalliche, la consegna delle carte di identità a quello che scrive che ti guarda con una faccia di tutti i giorni ed a incasellare i numeri al posto giusto sul brogliaccio che gli hanno dato in consegna. Non so come tra cortiletti e un susseguirsi di aprirsi e chiudersi di cancelli siamo giunti alla sezione femminile e una volta fatto il primo passo ho avvertito un cambiamento di aria: sbarre a tutte le finestre ma anche un profondo senso di umanità dirompente, deflagrante che mi ha pervaso tutti i sensi e i sentimenti. Il corridoio sembrava bello: tenuto bene, piastrellato; mi sa che ci passano pure la cera tra le scrivanie e le poliziotte penitenziarie (qualcuna sovrappeso, molte con gli occhiali spessi un dito). In mezzo ai locali della sezione sovrastava una inquietante e sconcertante statua della Madonna a grandezza naturale che sembrava più una suora, come quelle pinguine che ho avuto io durante l’infanzia, che spesso e volentieri mi hanno riempito di sberle. Sembra che nel carcere si viva di perenne attesa, gli accadimenti sono sospesi, tutto è tempo scandito in pochissimo spazio. Non si può parlare di questo doloroso argomento se non hai messo i tuoi occhi nei loro occhi e non hai messo le mani nelle loro mani come disse Giovanni XXIII durante la sua visita a Regina Coeli. Poi si sale e vedi cemento e metallo verde e io non mi sarei mai immaginato di vedere un braccio con delle donne rinchiuse in minuscole celle come se fosse, il braccio, una casa di bambola da dove non si può uscire. Le sbarre sono verdi e un’altra porta penso che venga chiusa dalle secondine per il riposo notturno di queste povere infelici. A un certo punto ho ripensato alla canzone Hard Rain di Bob Dylan: “Ho visto posti dove nero era il colore e zero era il numero”. Il carcere è duro anche per le guardie stesse: così mi ha detto Carmela, una guardia graduata da trent’anni in un penitenziario che non crede in un carcere retributivo ma riabilitativo perché dagli anni Ottanta lo trova

molto cambiato, con attività di pittura e di scrittura e di teatro e di sartoria. “Stanno pagando, meritano rispetto”. A volte qualche attrito con le detenute ci può essere oppure una giornata negativa, d’altronde sono persone a cui è stata tolta la libertà, ma non ha mai mancato di rispetto a una reclusa e questo, se è vero, le fa veramente onore perché deve sempre essere l’umanità a vincere, tanto più se si vuole rieducare. Meglio mille volte vittima che una volta carnefice. Bisogna amare i nostri nemici e saremo liberi perché anche loro amano quelli a cui vogliono bene. Donatella Massimilla, la regista della tragedia di Garcia Lorca “La Casa di Bernarda Alba” ci ha fatto assistere agli ultimi frenetici preparativi della prova generale di questo capolavoro di attrici, l’ultima opera scritta dal grande poeta spagnolo prima di essere ucciso dai Franchisti. Noi del pubblico siamo dovuti uscire ai bordi del cancello del braccio femminile e ho visto le donne recluse che mi

hanno fatto moltissima compassione, a me che mi sento un emarginato dalla società e prigioniero dei guardiani e protettori della mente. Dal corridoio del braccio si è estesa una processione con tutte le attrici a passi e movenze di flamenco di una bellezza fulminante e canti in lingua spagnola al ritmo del battere di mani veramente struggente, classe e bravura assoluta. Come la malattia mentale che colpisce e danneggia quattro volte di più le donne rispetto agli uomini, anche il carcere segna pesantemente di più le donne, anche se la grazia e la bellezza del sorriso di una donna sono le ultime cose che sfioriscono nel corso della sua vita. Come ho già spiegato, la biblioteca della sezione femminile del carcere di San Vittore è a un metro da un braccio abitato da donne e in modo particolare alle prime due celle vicino alla cancellata; ho visto alla mia sinistra una donna che pareva una nomade molto anziana che avrà visto senz’altro il delta del Danubio l’ultimo paradi-

so in questo continente, in cui sono stati perpetrati i peggiori crimini dell’umanità, e non ho capito cosa ci poteva fare ancora in carcere. Mentre alla mia destra in un’altra cella di rimpetto alla cella numero sei scritta in giallo una ragazza giovanissima che non avrà avuto nemmeno vent’anni con aria rassegnata e il suo splendido viso da angelo e i capelli biondi dietro le sbarre. Aveva gli occhi tristi, avrei voluto tanto avvicinarmi e farle coraggio, se fossi stato qualcuno le avrei promesso aiuto alla fine della sua pena ma non sono nessuno e non so badare nemmeno a me stesso. Come disse qualcuno, l’uomo della pena non è l’uomo del delitto. Alle attrici che ho incontrato ho stretto la mano: ci tenevo a dare almeno del coraggio e i complimenti per tutto quello che hanno fatto e so che un giorno libere si riprenderanno in mano il destino della loro vita che adesso le ha fatte passare tra le sbarre e qui non torneranno più. Poi alle ore tredici ce ne siamo dovuti andare e

abbiamo ripassato tutti i cancelli e tutti i chiavistelli fino all’ingresso della sezione dove c’è quell’orrenda statua della Vergine Maria che sembra una pinguina. Siamo andati a mangiare un panino nel bar della polizia penitenziaria dove sfoggiavano gadget e stemmi e stemmini del corpo, tutti noi otto tranne Gin che è ritornato a fotografare con molta dedizione e con molta passione. Devo ringraziare Gin per questa catarsi di umanità che mi sono fatto. Auguro a tutti i detenuti e le detenute di ogni carcere al mondo, a chi vive la negazione della verità che qualcuno, Dio o chi per esso, gli dia una seconda possibilità. Testo: Luigi Bregaglio Reportage fotografico: Gin Angri

Nelle foto: fuori San Vittore, “La casa di Bernarda Alba” è stata presentata nel cortile di Palazzo Isimbardi, sede della Provincia di Milano, lo scorso 19 Luglio.


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• Stor ie

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di una emigrazione

Quando ero al Nord Non è facile iniziare, controllare tutte le emozioni che mi arrivano al cuore parlando della mia infanzia, al Nord. Sono nato in un quartiere di Erba: Erba Alta. Una volta nel quartiere c’era tutto e lì si svolgeva il quotidiano convivere. La mia vita da bambino, figlio di immigrati, è stata contrassegnata da sentimenti contrastanti, odio e amore verso il Nord, un certo Nord, e odio e amore verso il Sud, un certo Sud. Però scelgo la strada più vera e consona, parlando di me, cronista di me stesso... Un bambino, gioioso, sorridente, il cui lavoro era quello di giocare; non c’era alcun pericolo, automobili o altro che avrebbe potuto impedircelo, eravamo una schiera di bambini che, come una nuvola di zanzare, correva a destra e manca, inventando sempre nuovi giochi. La piazzetta con un lavatoio, il grande albero scavato in cui ci si infilava dalla base per arrivare sui grossi rami. La signora Mentina e suo marito Cleto, due anziani, stavano seduti all’angolo di una casa, una casa di quelle di una volta, in pietra e muratura a secco, centenarie. Io alla sera andavo dal contadino per prendere il latte appena munto, con la bottiglia di vetro, e mi attardavo nella stalla a osservarlo mentre mungeva le mucche (odori genuini, di quel Nord); poi scappavo, appena appagata la curiosità, e andavo in casa della signora Rizzi, la moglie del contadino, che girava col mestolo e scremava il latte appena munto dal secchio e come ogni sera le porgevo la bottiglia che lei riempiva con sereno fare. E poi via, salutavo e tornavo a casa, con la bottiglia tiepida che mi aggradava nelle sere d’inverno, scaldandomi le mani, sulla via del ritorno, con la neve ai bordi della strada. Noi bambini avevamo i calzoni corti anche d’inverno ma i calzettoni lunghi, e il berretto di lana sferruzzato dalla nonna. La neve, che fantastica cosa la neve, bianca, sui tetti; quel candore, la magia della neve che scendeva copiosa, per la nostra gioia, in quel silenzio ovattato. Che bello quel silenzio, rotto solo da passi di persone che schiacciavano la neve e il vociare sottovoce. E io, col naso schiacciato sul vetro della finestra della cucina, incantato a osservare i fiocchi che scendevano, gioiosi. Impensabile oggi. Noi bambini guardavamo sempre il cielo, oggi i bambini guardano giù, l’elettronica. Nessuno di noi si sognava di non salutare ogni qualvolta ci si incontrava: era un piacere il saluto ed era sempre cortesemente ricambiato. Erba Alta aveva una prerogativa importante, era delimitata da prati, boschi, il parco Licinium, dove oltre il bosco si nascondevano grotte che noi bambini

usavamo per le nostre avventure misteriose! E dove si potevano costruire capanne sugli alberi e tra gli alberi. Bastava “emigrare” a Crevenna, frazione confinante, per avere anche un torrente, la Boa, dove per la disperazione di mia madre e la mia gioia imparai a nuotare, mio malgrado, sì, perché c’era un rito di iniziazione: i grandi ci buttavano nella grande vasca che una cascata riempiva, il “Buriocc”, e se ci aggrappavamo alle rocce che limitavano la vasca, ci bacchettavano le dita e noi, così, a cagnolino si imparava, volere o volare, a nuotare. E nelle vasche con l’acqua bassa si nuotava a rana, sfiorando le pietre che giacevano sul fondo. Che piscine! Pure, di acqua fredda ma limpida, davvero chiara. Quel Nord... che Nord! Partite interminabili a pallone, nel prato, si finivano perché diventava buio e non perché eravamo stanchi e spesso le madri, disperate, venivano a chiamarci per “fare i compiti”! Sorrido. Quel Nord discreto, apparentemente assente ma presente, se ci fossero state le condizioni di esserci. Un aiuto non lo si negava, mai. Io vivevo a Erba Alta, un quartiere dove non mancava niente, tutto racchiuso in una strada e un paio di piazzette, ma al confine c’erano i prati, i boschi, un torrente (la Boa) e si poteva inoltrarci anche in montagna. A Erba Alta c’erano anche le case patrizie, ville, e si conviveva normalmente con le persone “nobili”. Anche per loro il saluto era segno di educazione e rispetto, e venivo sempre contraccambiato. Era un mondo fatato, naturalmente c’era anche la scuola elementare. E soprattutto era un mondo reale. Potrei dilungarmi ma esigenze di spazio me lo impediscono. Ecco io per Nord intendo “quel Nord”. L’altro Nord, quello che velatamente e poi non tanto, rimarcava la mia condizione di figlio di immigrati, è un Nord che non faceva onore al Nord stesso. E ormai avevo circa 8 o 9 anni. Battutelle del tipo:.. “L’è un terrunscell ma è brava gent”, buttate là nelle botteghe, a me facevano male e abbassavo gli occhi, attraversato da sentimenti di vergogna, mi umiliavano; un bambino è sensibile a certe frasi con certi toni. Battute da commercianti ma si sa, loro per “brava gent” intendevano che noi, la mia famiglia, si pagava sempre alla fine del mese il libretto in bottega. Ecco in quello sì, ci restavo male, ero ancora un bambino ma la mia sensibilità era segnata, dal tono di quella frase ma non sapevo ancora cosa mi aspettava nel proseguo della mia vita, l’importanza di quella frase e di altre che iniziavano a essere sempre più forti e frequenti, in alcuni dei miei compagni di gioco, con l’arri-

vo degli immigrati degli anni Sessanta. Nascevano le fazioni anche fra noi bambini, Nord e Sud, non era bella quella cosa lì ma era la realtà, una nuova realtà che si faceva largo. E io nato lì da genitori del Sud con chi stavo? Passavano gli anni e da bambini si cresceva, da preadolescenti ad adolescenti, le prime feste con le ragazze, ma io sentivo che era come quando, anni prima, c’era quel clima che faceva “selezione”. Non era una mia impressione e mi si escludeva dalle feste, le prime feste con le ragazze che niente avevano a che vedere con le schifosate che oggi sono la “normalità” di certi adulti. E anche all’oratorio strisciava quel campanilismo e allora capii che era giunto il momento di scegliere e scelsi quelli come me, figli di immigrati. È stato forse il regalo più grande che potevano farmi, quello di escludermi, ma questo lo capii in seguito. Senza ancora rendermi conto nasceva la mia rivalsa... Comunque quel Nord a cui resterò per sempre legato, sia quello educato e fatato ma anche l’altro, quello di portare il caffè al prete in oratorio, cosa a me mai andata giù e che mi sono sempre rifiutato di fare, è finito per essere il regalo più bello che abbia mai ricevuto, oltre la vita. Destino ha voluto di aver conosciuto e scelto, come mia compagna e poi madre di mio figlio, una ragazza bellissima, con tratti del “Nord-Nord”, dolomitica. Si perché quella esperienza del “terrunscell”, e le esclusioni avevano contribuito a far maturare in me, probabilmente per rivalsa, un senso estetico, un gusto estetico, molto nordico! E Alba lo era! E mi perdoni se la menziono. E questa strana legge, che non è scritta da nessuna parte, ma esiste, mi ha accompagnato nella mia vita: ogni volta che qualcuno ha voluto il mio male, io ho ottenuto solo del bene, realizzando uno dei più bei sogni della mia vita: un matrimonio felice e un figlio sano, che a sua volta oggi è un papà felice e sereno. È questo il messaggio che vorrei giungesse a chi mi legge, una legge forse bizzarra ma spietata, e Lui lassù lo sa bene. Quindi mi tengo stretto la mia discrezione del Nord, del vero Nord, e il pudore del Sud, del vero Sud. Non potevo essere più fortunato! E quella condizione di figlio di immigrati ha poi dato, dopo molti anni, una brusca sterzata alla mia vita, ma questo è un altro capitolo. Nel prossimo articolo vi parlerò al contrario di cosa accadeva a un bambino, figlio di immigrati che dal Nord scendeva al Sud, nel tempo delle vacanze. Testo: Giampiero Valenti Foto: Gin Angri

Società —

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16 — Musica

• Il

sogno nella canzone di

Oltre

Vecchioni non considera il sogno solamente “onirico”, lo considera invece come una forza che non ti fa smettere mai di credere nel futuro. Ora, in questi momenti di crisi, sognare, forse, è l’unico modo per uscire indenni dalle paludi economiche che scriteriate politiche ci hanno portato. Forse perché non guardavano oltre? Vecchioni ci dà una sua risposta in merito, proprio nell’inizio della canzone Sogna ragazzo Sogna quando canta: “E ti diranno parole rosse come il sangue, nere come la notte ma non è vero, ragazzo, che la ragione sta sempre col più forte; io conosco poeti che spostano i fiumi con il pensiero, e naviganti infiniti che sanno parlare con il cielo.” Già i poeti, direi gli artisti, capaci di immaginare e fantasticare un mondo diverso… è vero l’arte ha una potenza tutta sua. E sarà così che tramite la poesia, come scriveva il poeta Giuliano Beretta, è possibile stancare il buio nel pensare. I giovani, e non solo, non debbono mai perdere la speranza, anche se questa è calpestata, e Vecchioni nella canzone incita la persona a farsi scivolare addosso le situazioni, non facendosi spostare dall’obiettivo: “Lasciali dire che al mondo quelli come te perderanno sempre, perché hai già vinto, lo giuro, e non ti possono fare più niente.” Si!... se crediamo in noi stessi abbiamo già vinto la battaglia contro la mediocrità. Ecco che cosa è alla fine il sogno: è andare “oltre il giardino” con mani e braccia aperte. Testo: Cristiano Stella

Nella foto: Roberto Vecchioni

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R o b e r t o V e cc h i o n i

Sogna ragazzo sogna Il sogno o l’aspettativa è il tema che, spesso, il professor Vecchioni canta e ne decanta in quasi tutta la sua opera discografica. Essendo, oltre che cantautore, professore, è sempre stato a stretto contatto con la generazione dei giovani. Nelle parole di Vecchioni il sogno rappresenta una forza propulsiva, difatti il cantautore dice sovente: “Ai ragazzi, anche ai miei figli, ho sempre detto di non accettare passivamente, di andare sempre oltre la prima impressione, l’apparenza, di lottare contro il predefinito, di vivere la vita con pienezza, anche con rabbia, mai con violenza.”

il giardino

“Sogna, ragazzo sogna, quando sale il vento nelle vie del cuore, quando un uomo vive per le sue parole o non vive più; sogna, ragazzo sogna, non lasciarlo solo contro questo mondo, non lasciarlo andare, sogna fino in fondo, fallo pure te...”


Oltre

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• Ad

o cc h i a p e r t i

Sognando e cercando È meglio che un sogno si realizzi o continuare a sognarne altri mille? Io, se smetto di sognare e di fantasticare, smetto anche di vivere. Sono stati tantissimi i miei sogni e mi hanno illuminato la vita. Da bambino mi colpivano tanto gli animali e il loro mondo, la foresta e Tarzan… ma, come disse Cassius Clay, “Come mai il re della foresta è un bianco?” A tre anni sono andato alla scuola materna delle Figlie di Maria Ausiliatrice, le suore Salesiane di Don Bosco, che dalle 14 alle 17 cercavano di farmi dormire sul banco nell’opera pia, e che hanno tentato di ammorbarmi con le loro storiacce, ma io sono evaso con la fantasia da quel luogo infausto. Già sognavo i verdi spazi infiniti, i cieli immensi, e mi chiedevo come mai ero finito proprio in questo mondo e se la mia casa non fosse un’altra. Poi un giorno con la scuola siamo passati per Pescarenico, luogo sacro della Lecco Manzoniana, e inspiegabilmente abbiamo attraversato un campo nomadi: gente che non si accorgeva nemmeno del nostro passaggio e si occupava esclusivamente delle proprie faccende. Io ricordo un ragazzo con i capelli crespi neri che suonava una chitarra e l’incredibile magia che in quel luogo già sacro avevano portato i più antichi uomini liberi del nostro continente, il popolo del vento. Quello è stato il primo sogno a occhi aperti che ho fatto. Sognavo le pianure magiare e il delta del Danubio, il fiume blu, il più affascinante del mondo. Avrei voluto andarmene con loro, perché ho sempre pensato che quando una persona apre per la prima volta gli occhi, ammantati di stupore, su questa terra, la prima sensazione che si prova è sicuramente un grande stupore… E non è un sogno a occhi aperti vedere un maestoso airone che plana sul nostro disastrato torrente nel quale hanno rovesciato dentro di tutto, ogni sorta di veleno. Cercavo di collocare la mia vita e non sapevo che per quindici anni sarebbe stata incatenata a una macchina utensile. Oltretutto, una volta che sei lì, devi produrre secondo delle tabelle stabilite da chissà chi, e rendi trenta volte quello che ti pagano. E se non rientri nei parametri di questa desolata, malata e malandata società arrivano i guardiani e protettori della mente: quelli sì che non sanno sognare e non sono mai stati né bambini né adolescenti, e hanno farmaci potentissimi e letti di contenzione. Barbari esecutori spietati del sistema convulso, perverso e corrotto, che

aziona i suoi ingranaggi che stridono come un tritacarne mai lubrificato. Tutti bestemmiano, imprecano, maledicono se stessi, i propri colleghi e i padroni ma puntualmente timbrano il cartellino della feroce fabbrica degli armamenti che ci ha riempito la schiscetta, poco maledetto e subito (che lungimiranza!). Così tutti, direttamente o indirettamente, abbiamo mangiato da lì. E nessuno ha il coraggio di andarsene e di dire “Basta!” a questa guerra di morti di fame contro altri morti di fame. Dobbiamo avere tutti il nostro sogno, il mio è l’Eternità, è la ricerca della Verità, è quello di avere finalmente Giustizia… visto come la società dei benpensanti mi ha ridotto, togliendomi tutto… ma per fortuna non la voglia di sognare! Testo: Luigi Bregaglio Foto: Archivio OiG

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Pensieri —

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8 — Simboli

• Sogni

onirici

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e segni

Sogno intenso Strano ma vero, al sinistro rappresenta la Luna. Al pomeriggio più che maschile e al femminile si unidi sera penso sem- sce il terzo occhio, che rapprepre a mia madre… e senta il presente, ma anche la trasporto il mio cor- saggezza che sta tra gli estrepo nel divino sonno; mi e che è in grado di percepire mi rilasso al punto che sogno l’uno e l’altro, quindi di aspiraocchi che mi guardano. Vedo re alla perfezione: non a caso sempre un gatl’occhio unico inseto intento a scru- “Strano ma vero, rito in un triangotare nello stagno al pomeriggio più lo è la rappresentauna rana che nuozione della Trinità ta e, arrivata a riva, che di sera penso di Dio. emerge nel versempre a mia Il significato degli de prato. Nel praocchi che appaiono madre… to erboso, rumina in sogno dipende un cavallo; lontano dalla loro condizioe trasporto sorgo dei pappagalli ne: se sono limpiil mio corpo colorati che cantadi e grandi suggerino una musica tra- nel divino sonno; scono l’arrivo della sognante che mi rifortuna, il coronami rilasso mane nella testa. mento dei propri Io sto sdraiata sforzi e l’armonia al punto che nell’erba, leggendo che anima il solibri, e condivido il sogno occhi che gnatore; al contramio spazio con il mi guardano.” rio, piccoli, sporchi mio amore, faceno lacrimosi sottolido pic-nic. Dato che è un sogno neano le sue mancanze e i suoi ricorrente, che faccio quotidia- limiti. namente ricordandomi ogni Gli occhi colorati presenti nel passaggio, mi sono interessata sogno, soprattutto quando colagli eventuali significati. piscono per la loro vivacità, rappresentano l’intensità delOcchio. È considerato il simbo- le emozioni che il dormienlo della percezione intellettua- te sta provando e vanno per le: l’occhio riceve la luce rea- questo analizzati con estrema le, quella spirituale (il terzo oc- cura. Sono una specie di richiachio) e quella emotiva (l’occhio mo che l’inconscio trasmette, del cuore). con forza pari alla loro intenGli occhi vengono fatti corri- sità e varietà, un invito a prenspondere ai due astri principa- dere in esame con più attenzioli: il destro è il Sole, mentre il ne il messaggio contenuto in

quel particolare frammento o aspetto che il sognatore, tramite i colori, riveste di importanza tutta speciale. Gatto. Sornione e indifferente, imprevedibile e accattivante, solitario e impenetrabile, il gatto è considerato benefico per alcuni e malefico per altri. Per gli egizi era il benefattore e il protettore dell’uomo, per i buddhisti rappresenta il peccato e l’abuso dei beni terreni. Legato alla siccità, può essere definito come la materia prima non ancora fecondata nonché simbolo di chiaroveggenza. In sogno può significare il desiderio di risolvere un problema con la sua proverbiale abilità e pazienza, oppure l’aspirazione a isolarsi e a concentrarsi come sa fare lui. Rana. È un animale portatore di fortuna: lunare, poiché vive nell’acqua, è simbolo di metamorfosi (da pesce fornito di branchie a girino, quindi ad adulto che respira con i polmoni) e della pioggia, per il gracidìo che ricorda il rumore del tuono. Alcuni popoli credono che racchiuda le anime dei dormienti ed è quindi proibito farle del male; altri ne fanno il simbolo dei pensieri frammentari che impediscono la meditazione, altri ancora ritengono che sia la rappresentazione della felicità. Il suo canto continuo e infaticabile è ritenuto un’ode del creato.

Verde. Viene considerato il colore della mediazione perché è tiepido, se paragonato al rosso bruciato o al gelido azzurro, della serenità, della calma, della frescura, della forza, della speranza, che rinasce con la vegetazione dopo il lungo sonno invernale con il ritorno della terra al suo ruolo di madre e nutrice. Verdi sono le piante e il mondo vegetale, ma verdi sono anche le acque; è abbinato al femminile, al rifugio sereno (il Paradiso terrestre non era forse un giardino?), all’oasi che ristora e rinfresca, alla pace (il ramo d’ulivo), all’abbondanza; verde viene anche considerata la giovinezza. Complementare al rosso maschile, il verde è femminile (non a caso il Santo Graal, vaso o coppa che si narra abbia raccolto il sangue di Cristo, si dice che fosse fatto in verde e trasparente smeraldo) e pare possedere ogni sorta di virtù e valori occulti. È il valore del principio vitale, dello spirito e del segreto primo e per questo può diventare anche pericoloso e minaccioso. Cavallo. Si tratta di uno dei simboli più ricchi, sia per il fascino di cui la natura ha dotato il suo corpo e la sua psicologia, sia per l’importanza che ha assunto nel corso della storia umana come fonte di cibo e come prezioso mezzo di trasporto, veloce e resistente. Ap-

partiene al lato eroico della vita, è l’emblema del movimento perfetto, quasi musicale, della libertà e della generosità, strumento di conquista, di nobiltà e di salvezza. Quasi tutti i popoli sono d’accordo nell’associarlo al femminile lunare, alle tenebre, all’impetuosità del desiderio e dell’inconscio: non a caso alcune leggende lo fanno nascere dalle profondità della Terra, altre lo descrivono mentre sorge dalle acque del mare, ma in tutte compare come il figlio della notte e del mistero, dotato di poteri soprannaturali. Il cavallo è una cavalcatura, un veicolo e un mezzo per ottenere risultati a cui l’uomo da solo non potrebbe aspirare: permette al suo cavaliere di attraversare senza pericoli la soglia del mistero e della notte, cioè di affrontare l’inconscio. Il cavallo bianco, solare e luminoso, rappresenta l’ardore, la fecondità e la generosità della giovinezza, ma anche l’istinto che deve essere domato dalla ragione; i cavalli neri compaiono nelle fiabe per tirare la carrozza nuziale, ma possono anche portare presagi di morte; quelli in libertà sono indicazione di tranquillità e benessere, mentre se prendono la fuga o si impennano e scalciano annunciano senz’altro conflitti e problemi. È anche un chiaro simbolo di fertilità.


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Pappagallo. I suoi vivaci colori sono indicazione di creatività e fantasia, mentre la sua facoltà di “parlare” il linguaggio umano indica le capacità di adattamento del sognatore. Musica. La musica significa ordine, armonia, pienezza e sensibilità. Secondo gli antichi esistevano tre ordini di musica: quella del mondo (la perfezione del movimento degli astri, il susseguirsi delle stagioni…), quella dell’uomo, cioè l’accordo tra corpo, anima e spirito, e per ultima la musica strumentale. Libro. I libri racchiudono l’esperienza, i desideri, le aspirazioni e l’energia creativa dell’uomo, tutta la sua conoscenza; sono il simbolo del suo stesso centro vitale, il cuore. L’interpretazione dipende da come si presentano i libri nel sogno, dal loro numero (tanti oppure uno solo), dal loro stato e dal contenuto chiaramente visibile o meno. Poiché di fatto i libri rappresentano i segreti del sapere, suggeriscono la relazione del dormiente con esso e le sue capacità di aprirsi agli altri nonché di donarsi con grande generosità. Se si presentano chiusi indicano che il dormiente non ne possiede la chiave d’interpretazione, oppure che trattiene solo per sé il loro segreto,

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Simboli

onirici

mentre quelli aperti permettono di attingere liberamente al loro contenuto. Amore. Nella mitologia greca, Eros, il figlio di Afrodite, dea della bellezza, e di Ares, dio della guerra, è rappresentato da un fanciullo, talvolta dispettoso, dotato di un arco e di una faretra colma di frecce, con le quali colpisce capricciosamente uomini e dèi per farli innamorare a suo piacimento. Rappresenta l’attrazione che unisce gli opposti e la passione; è la pulsione che spinge ogni individuo ad agire per realizzarsi, a entrare in contatto con l’altro, il diverso da sé. Ma questo incontro, per essere fruttuoso, deve essere totale e non limitarsi alla sola sessualità: Eros deve incontrare Psiche (cioè tutte le attività mentali, sensitive e affettive di un individuo) perché vi sia vero progresso e non semplice appropriazione. Sognare di provare questo sentimento indica un animo nobile e generoso, talvolta bisognoso di protezione. Questo è un estratto del mio sognare, cioè di quando mi addormento profondamente; mentre nella vita, il mio sogno primario è stato realizzato pienamente... grazie mamma.

Testo: Paola Tommaselli Foto: Archivio OiG

Attività editoriale di “Oltre il Giardino” “Il nostro sogno lo portiamo ovunque: un giornale, il nostro, che diventa associazione Onlus, Oltre il giardino Onlus, regalandosi onore e oneri di una propria coerenza e autonomia, per riscoprirsi cittadini attivi” La porta della nostra redazione è aperta a tutti, veniteci a trovare tutti i mercoledì dalle ore 15,30 presso il Centro Diurno di Como, in via Vittorio Emanuele, 112 a Como. Associazione Socio culturale Oltre il Giardino - Onlus, Sede legale: Via Carloni, 56 22100 Como

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20 — conFidenze

• il

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mio inConsCio

Un altro sogno La spiegazione dell’ inconscio come luogo, primordiale, dove non esistono regole se non quella che: “tutto ciò che è di ostacolo alla vita stessa, va eliminato”, è reale. L’inconscio, che è una parte di noi, non riconosce parentele o legami affettivi o sociali ma ubbidisce a se stesso, alla vita stessa (istinto di sopravvivenza e istinto di morte) e quindi tutto ciò che porta a un disagio va eliminato! Questa è la regola principe dell’inconscio. Nel corso della vita, ognuno di noi ha un percorso dove ci si scontra con genitori o figli. Riprendiamo il concetto basilare che l’inconscio non riconosce genitori o figli ma li concepisce nel momento che rappresentano un ostacolo, come qualcosa da eliminare. Quindi in una parte di noi agisce questo “impulso-desiderio”. Ora va da sé che dalla coscienza, dall’Io, nel

momento in cui questo impulso sale all’Io, immediatamente viene rimosso… rimosso ma non eliminato, e giace appunto “inconscio”, in un angolo… ma rimane pur sempre un impulso, che racchiude una certa energia. Credo che il concetto sia chiaro. Spendiamo altre due parole per decifrare la mente nel suo complesso. Tra l’impulso e la sua realizzazione esistono alcuni passaggi dove sono stampigliate le regole, regole morali (le leggi morali che ognuno di noi ha) e sociali (le regole che racchiudono i principi di convivenza). Ora facciamo un esempio: è impensabile che impulsi omicidi possano avvenire come se niente fosse, e infatti dentro di noi esistono quei freni citati prima, le regole, diversamente l’impulso sale senza freni e l’Io agisce. Questo distingue l’uomo evoluto dall’uomo primordiale. Ora entriamo nel dunque. Nel

corso della vita famigliare o sociale avvengono litigi, discussioni, alterchi. Poniamo in una famiglia un padre che nega a un figlio un qualcosa e lo fa in modo violento. Prendo il mio caso ma è soltanto uno spaccato. Ci furono alterchi anche violenti tra me e mio padre, vuoi per cultura o per altre circostanze. Mio padre morì mentre io ero in analisi. Immediatamente sviluppai malattie psicosomatiche, ipocondria, tachicardia, paura di morire di ictus o infarto. Mio padre morì di ictus. Ma perché racconto tutto questo? Non mi dilungo molto, voglio solo ricordare una frase che mi disse l’analista, in modo semplice e pacato: “Una parte di lei la colpevolizza per NON provare dolore per la morte di suo padre”. Non aggiunse altro. Io tirai un gran respiro di sollievo e l’angoscia e l’ipocondria sparirono. Perché successe questo dentro di me, oltre a quanto descrit-

to prima? Semplice, sviluppai un senso di colpa per la morte di mio padre, come se “l’avessi ucciso io”. Era la pulsione, quel desiderio inconscio che però agiva, nella mia inconsapevolezza, e quando smascherai la pulsione, svanì il suo effetto. Tutto qui. Vorrei che il mio esempio potesse servire a rinfrancare e a capire anche certi drammi che in alcune situazioni famigliari si sono consumati, compresi i casi dove è avvenuto un suicidio: anche lì agisce quella pulsione e non ritengo giusto che per un semplice senso di colpa camuffato, la vita di chi è rimasto debba risentirne e restare segnata, impedendo di fatto di vedere la realtà oggettiva di quanto è successo. La nostra mente è davvero un qualcosa di incredibilmente semplice e grande, quando se ne coglie l’aspetto più nascosto. E come sempre la cultura, la conoscenza è la strada ma-

estra per vivere una vita sana. Ma questo è un altro capitolo che riguarda chi avrebbe il dovere di divulgare conoscenze per il bene comune e non nasconderle per scopi a dir poco indegni (e poi, fra l’altro, anche l’economia in generale ne risente negativamente). Vorrei ringraziare ancora questo giornale che mi dà la possibilità di informare e spero di dare un conforto reale, vero a chi è attanagliato da questo tipo di psicodramma e renderlo meno efficace, restituendo serenità. E grazie ancora per avermi dato la possibilità di realizzare un sogno, in barba a chi chiama sciocchezze la sofferenza delle persone e spero di ridare un sorriso… un altro a chi soffre. Testo: Giampiero Valenti Foto: Gin Angri Sotto: camera da letto con la gigantografia di un’opera di Ico Parisi.


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• Una

Oltre

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In

libertà

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storia

Che bello sognare anche se a volte... Tutto a un tratto ti trovi in un mondo del tutto diverso dalla realtà. A volte mi capita anche di volare e di sentirmi libero lassù, in alto, sopra i tetti delle città… a volte, però, i sogni s’incupiscono e diventano incubi… provo a raccontarne qualcuno. Mi trovavo in un cortile dove circolavano liberi alcuni leoni; fin qui nulla di strano ma, nel sogno, ero in compagnia di mia madre e i felini diventarono aggressivi a tal punto da attaccare mia madre fino ad azzannarla… mi svegliai di colpo temendo che fosse tutto vero. In un altro momento onirico mi trovavo in quel di Bellagio e ci fu un grosso terremoto… ero in lacrime… l’hotel dove lavoravo distrutto, macerie su macerie… mia sorella che provava a consolarmi dicendomi: “Dài, ti aiuterò a trovare lavoro in un altro albergo, chiedo a un amico se può assumerti”… Come son strani a volte i sogni: in questi due perdo le cose più care… madre e lavoro; ti lasciano l’amaro in bocca quando ti arrivano; alcuni sogni invece non li ricordiamo, forse perché non hanno alcuna importanza. Ma allora perché è bello sognare se quelli che ho raccontato finora sono così orrendi? Forse ti indicano una strada da percorrere o ti fanno capire che cosa è per te rilevante… Già, ed è questo il caso di un sogno bellissimo che ho fatto. Premetto che io amo recitare e in questo sogno c’è rappresentato quel mondo che per me è essenziale. Mi trovo in una villa bellissima ma che stranamente non aveva mobili… la villa doveva essere del Settecento. Cammino per un corridoio lungo e incontro una gentile signora anziana che riconosco: era un’attrice che recitava nella pubblicità di un’importante marca di caffè. La signora mi dice di seguirla e mi conduce a un set cinematografico dove si sta svolgendo un’intervista-documentario a tanti attori famosi, tra cui la De Sio e Manfredi. Mi prende un’enorme emozione che non avevo mai provato: essere lì a contatto con quel mondo mi rende felice… Sul set è presente pure mio padre e un collega di lavoro che mi regala un paio di scarpe che apprezzo tanto… Che cosa dedurre ? Che forse bisogna seguire ciò che sentiamo veramente, ciò che vogliamo, ciò che sogniamo? Guai a non avere sogni nella vita… Ora vi saluto perché un altro sogno mi attende… e voi che leggete che sogni avete? Testo: Marco Wenk Nella foto sopra: Marco Wenk. Nella foto sotto: una scena de “l'Olandese Volante” al Teatro Sociale di Como.

“Vorrei volare in cielo come le rondini.” Lucio Dalla


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22 — Testimonianza

• I

disegni dell a vita

Dentro lo specchio Sono appena uscita da un periodo buio. Anzi, sto cercando di uscirne. Ho passato l’ennesimo periodo in psichiatria (15 giorni) ma non sto ancora bene. Da quando sono uscita mi perseguita un sogno. Sogno una bambina di 11 anni circa, e sarebbe la mia vera età contando i compleanni nel giorno giusto (io sono nata in un anno bisestile, sarà una coincidenza?) La bambina è bionda, all’inizio pensavo fosse Irene, mia nipote di 4 anni, bionda, poi mi è venuto in mente che anche io da piccola ero bionda. Ma che tipo di sogno è? È un sogno orrendo, perché la bambina ogni volta è coperta di vermi, ragni, sangue e si vede che soffre. Io mi sveglio, ma poi quando mi riaddormento il sogno riprende da dove è finito… così tutte le notti. Ho chiesto aiuto a uno psichiatra il quale mi ha detto che la bambina in sogno sono io e che in me c’è, fondamentalmente, della bontà che io rifiuto, o meglio ho difficoltà a riconoscere. Già, dovrei avere più fiducia in me stessa e coltivare quel lato bello e dolce della mia persona. E invece? Invece continuo a concentrarmi sul lato negativo della mia “visione” allo specchio e ciò mi porta a compiere gli stessi errori che, già in passato, mi hanno rovinato e tolto anni di ottimismo e gioia di vivere. Ho paura. Paura di compiere atti che, immancabilmente, mi porteranno ad avere tutti contro di me e il terrore che ciò accada mi costringe ad avere idee contro la mia persona e credere che nessuno mi ami per ciò che sono, che tutti possano odiarmi. Ho bisogno di parlare ma, come al solito, in questi momenti sei solo… non c’è nessuno. E tu sei solo con i tuoi problemi e incubi. Aiutatemi. Ma una luce positiva sta filtrando dalle finestre della mia vita, ho trovato degli amici e quella bambina è scomparsa. Ho fatto domanda alle case popolari e cerco lavoro e i miei sogni non sono più “notturni” ma sono reali e voglio portare avanti i miei obiettivi. Vi chiedo di aiutarmi anche in questo…

Testo: Roberta Dal Corso Foto: Alessandra Moratti

Nella foto: Roberta Dal Corso con un suo disegno

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• te r r a

di

siena

Sogno toscano Nel nostro incessante peregrinare per le vie d’Italia e d’Europa, cascate di emozioni hanno inondato il nostro cammino, avvolgendoci e sconvolgendoci. Straordinari incontri erano possibili a ogni istante, ampliandoci la sfera della conoscenza. La nostra valigia si era riempita d’arte e cultura ma aveva lasciato lo spazio per un piccolo sogno. L’abbiamo a lungo inseguito e coltivato ma sul più bello ci è sfuggito. Sembrava definitivamente svanito quando, per gioco, l’abbiamo riabbracciato mentre come un aquilone si librava nel cielo della Val d’Orcia. È una piccola delizia di pietra avvolta dalla quiete rasserenante del suo giardino. Di fronte la spettacolare vetta del monte Amiata con i suoi contorni, a lato lo storico palazzo comunale che ormai millenario apre le porte dello splendido borgo medievale di Radicofani, alla cui sommità domina una fortezza, da cui nelle belle giornate si gode un panorama di rara bellezza che spazia dal lago Trasimeno in Umbria a quello di Bolsena nel Lazio, dal mar Tirreno fino alla città eterna, oltre a tutto il territorio della Val d’Orcia… naturalmente. Il nostro sogno ora ha un nome: “Piccolo Eden”, casetta indipendente con giardino, quattro posti letto, a uso esclusivamente turistico. Radicofani Magico sito adagiato su una rupe appena t’ho scorto sei entrato nel profondo. Nel contemplarti ho ammirato le tue splendide vesti specchiarsi in un fiabesco scenario i cui colori riversano le loro mille fantastiche proiezioni sui tuoi muri di pietra. Infinite colline si stringono per mano, abbracciando il grande vulcano, che si erge a sentinella di piccoli borghi, scolpiti come intarsi, nel vivo di una terra dove il tempo scorre dolcemente, accompagnando i passi di un cammino che ha ancora un senso. Nel gustarti assaporo l’intenso tuo profumo, respirandoti vivo antiche emozioni.

Testo: Paolo, Daniela e Jessica Foto: Paolo Maffia

Nella foto: Radicofani

il giardino

Viaggio —

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photofinish

photofinish

di Mario Civati

di Mario Civati

Parada Par Tücc Como, 2013

Associazione Socio Culturale “OLTRE IL GIARDINO ONLUS” SeDe LegaLe Via Carloni, 56 / 22100 Como

Sito iNteRNet www.oltreilgiardinoproject.it coDice iBaN IT04X0843010900000000262356 maiL ReDaZioNe

ginangri@tiscali.it resifoglia@libero.it cristiano.stella@oltreilgiardinoproject.it coDice FiScaLe 95111010138

FaceBooK Oltre il giardino... Nessuno è perfetto DiRettoRe ReSpoNSaBiLe Gin Angri Stampa Newpress di A. Botta & C. sas Como

pRogetto poetico Mauro Fogliaresi aRt DiRectoR Tomaso Baj SegReteRia Di ReDaZioNe Prasiddha Acharya, Cristiano Stella ReDaZioNe Sergio Baragiola, Anita Bertacchi, Luigi Bregaglio, Giuseppe Bruzzese, Marco Catania, Mario Civati, Andrea Cotta, Fernando Costa, Roberta Dal Corso, Sandro Ferrari, Giovanna Galeazzi, Alexandra Kalsdorf, Mauro Ledda, Paolo Maffia, Francesca Marchegiano, Laura Moretti, Rosanna Motta, Rosalba Perla, Marta Pezzati, Demir Regalia, Cristiano Stella, Lisa Tassoni, Paola Tommaselli, Dragana Trivak, Giampiero Valenti, Marco Wenk

La redazione di “Oltre il Giardino” Marco

Demir

Giampiero

Mauro

Rosanna

Anita

Andrea

Marco

Mario

Tomaso

Giovanna

Paola

Prasiddha Luigi

Dragana

Lisa

Gin

Luigi

Elena

Mauro

Alessandra

Foto Di copeRtiNa Gin Angri ReaLiZZaZioNe gRaFica a cuRa Di

Teatro nella sezione femminile di San Vittore.

www.graficisenzafrontiere.com periodico trimestrale registrato presso il Tribunale di Como n. 8/010 del 23 Giugno 2010

Alexandra

Sandro

Cristiano

Francesca

Ritratti realizzati da Marina Cusimano

Nel prossimo numero: LA CURA “Interessamento solerte e premuroso per un oggetto o persona, riguardo, attenzione, impegno, zelo, assistenza, mezzi terapeutici ...” [e nCiClopedia t reCC ani ]


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