Oltre il giardino n.0

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Editoriale Mauro Fogliaresi “Oltre il giardino” è un gruppo di soci dell’Associazione Nèp (Nessuno è perfetto) che sì è inventato un giornale. Il nostro punto di forza nasce da una fragilità comune a vivere in un mondo complesso e frenetico. E questa fragilità sarà lo sguardo diverso che segnerà il mappamondo del nostro scrivere. Una rivista ricca, bella e dignitosa come merita chi frequenta luoghi spesso messi al margine. Mensile o bimestrale? Decideremo noi di dare tempo al tempo. Ritmi frenetici disumani addio...! Il nostro è un giornale da “pedagogia della lumaca”, da “ozio creativo”… Presto uscirà il numero 1 e da quell’uno potete contarci “daremo i numeri”, nel senso che incolleremo il vostro sguardo al nostro giornale.

Supplemento al numero in corso 398 di Ecoinformazioni dicembre 2009

Nessuno è Perfetto Oltre il giardino è il profumo delle rose dalla parte delle spine

Dove vogliamo arrivare In questi tempi barbari uscire con un giornale poetico è una bella sfida e si dice poetico non perché ci si occupi di poesie scritte ma per l’armonia tra testimonianza viva e l’innocenza di un raccontare che viene immortalato. Non ci sono articoli giornalistici in sé ma la voglia di narrare e narrarsi da una postazione privilegiata: l’umana quotidianità di un disagio. E il lavoro della redazione non è di urlare in prima pagina ma di operare di restauro su uno scrivere giornalisticamente ingenuo ma indifeso e incredibilmente vivo. L’accompagnamento dell’arte fotografica di Gin, il geniale gioco grafico di Tomaso e il fi ltro poetico di chi scrive ora vorrebbero spingere il lettore su un’altalena che possa catapultarvi a guardare oltre il muro del giardino sino ad arrivare a sfiorare l’altra faccia della luna. Oltre il giardino nessuno è perfetto è una redazione di persone sensibili non solo alle rose ma anche alle spine. Oltre il giardino è per chi non coltiva solo il proprio orticello. Oltre il giardino non ha steccati né filo spinato. Oltre il giardino è il femminile che c’è in ognuno di noi. Oltre il giardino è una casa viva con la tv spenta.

Diario di bordo In quella distesa blu dove non si possono dire bugie PRIMA PARTE

La testimonianza Il miracolo di Lourd


Tutto iniziò al Nèp di Como. A una riunione chiesero chi volesse far parte di un gruppo organizzato per un convegno in Grecia, a Creta, in barca a vela, il cui intento era quello di relazionarsi, al di là della malattia, e quindi fu così che ne feci parte accettando l’invito. Voglio precisare che cinque anni fa mi fu diagnosticata la depressione atipica, questo per precisare che nel gruppo c’erano sia medici che persone con determinate patologie, ma l’intento del progetto di quel viaggio era anche appunto di relazionarsi l’un con l’altro, al di là del ruolo, ma proprio come persone. Organizzato il gruppo, iniziò il viaggio. Partenza sabato 2 maggio 2009, da Malpensa. C’era davvero molto entusiasmo. Eravamo in otto compreso lo skipper; lui ci raggiunse ad Atene il giorno dopo, insieme

al dottor Formenti, mentre noi (cioè dottor Mastroeni, Claudio, Tomaso, Andrea, Nicola ed io) partiamo per Atene, circa due ore di volo, dove atterriamo... Atterrati ad Atene, sbrigate le formalità, con un autobus ci rechiamo al porto. La temperatura era giusta, né caldo assillante ma nemmeno freddo, era davvero stupendo iniziare quell’avventura; già ci si immaginava in quella distesa blu, dove non si possono dire le bugie. Talmente è bello. Quindi arriviamo al porto. I nostri visi disegnavano il nostro stato d’animo. Scesi dal pullman, coi nostri bagagli arriviamo al porto dove ci attendeva la barca, e così fu. Una breve sistemazione dei posti e ci accordammo sulle mansioni da svolgere. Io scelsi la kambusa. Quindi in tre ci recammo al supermercato, per fare le provviste.

L’ambiente era quello del Sud, alberi e vegetazione tipicamente africana, e comunque del Sud. Terminate le operazioni di provviste, dei viveri, tornammo alla barca, e sistemammo il tutto. E così passammo la prima notte. Il giorno dopo, domenica 3 maggio, arrivarono lo skipper, Giuliano e il dottor Formenti. Si iniziò a decidere le località e la rotta da percorrere, e il tempo che ci sarebbe voluto, calcolando le condizioni meteorologiche e del vento e del mare. Aegina era la località prescelta, dove arrivammo dopo una navigazione che durò tutto il giorno. Tutto era molto affascinante. La vela ha qualcosa in più; sospinta dal vento, cavalca le onde con il tipico ondeggiare e l’aria che ti avvolge in quella distesa blu; in ognuno di noi c’era una intesa, sottaciuta e a volte espressa, esternata, che fra l’altro è la

miglior cosa, perché il sottacere può nascondere equivoci, cioè si può travisare e questo è ed era anche uno degli scopi, forse il principale, di quel progetto: far capire alle persone nella vita normale che, può essere in una barca a vela o in un condominio o per strada, la parola è il principale mezzo di comunicazione che chiarisce e sgombera ogni dubbio. E fu così su quella bellissima barca. Venne a cadere il rapporto paziente-medico, ma venne a crearsi un rapporto medico–persona e paziente-persona, e presto diventò una vera famiglia senza essere ipocriti, o se volete un buon vicinato. Il mattino dopo, cioè il 4 maggio 2009, siamo ripartiti per Milos, dove giungemmo di notte. La convivenza smussò a favore dell’uno verso l’altro, parti di noi stessi egoisti e si aprì il cuore dove tutto tace, dove in si-

lenzio nasce il rispetto dell’altro in quanto esseri umani. Lo star bene dell’uno coincideva con lo star bene dell’altro. Allora lì nasce qualcosa di buono, e il vento cantava, chi si metteva a prua chi a poppa, il tutto con le proprie mansioni, oppure momenti di assoluto relax, o chi si godeva l’ebrezza del timone, che per qualcuno era una esperienza nuova. Il tutto sotto l’occhio vigile dello skipper. Il 5 maggio 2009, nel tardo pomeriggio, ripartimmo per Creta, dove siamo sbarcati a Iraklion, la mattina seguente. Lì noleggiammo un’auto, e nel tardo pomeriggio andammo a Hersonissos, dove c’era il convegno. Svolgemmo le pratiche di iscrizione e ci fu offerto un buffet. Dopo un paio d’ore tornammo al porto. Il relazionarsi è molto importante e alla base di ogni conviven-

In quella distesa blu... dove non si possono dire bugie Diario di bordo del viaggio a Creta in barca a vela per un convegno sulla promozione della salute negli ospedali


za c’è la cultura. Un pilastro da cui non si prescinde al di là del ruolo. E questo fa sì che è stupendo quando all’improvviso compaiono i delfini, tutti gioiscono... come abbiamo fatto noi, senza trattenersi, e abbiamo dato un senso alla vita. Perché una vita senza emozioni non è vita; è un trascinarsi in qualcosa che alla fine logora, fisico e mente. Ringrazierò sempre il dottor Mastroeni e il Dipartimento di Salute Mentale di Como e il Nèp per avermi insegnato anche lì qualcosa e per avere potuto dire “grazie Signore di esistere”. E così arrivò il giorno del Congresso, il 7 maggio 2009, tarda mattinata. Il dottor Mastroeni, a nome di tutto il gruppo, ha presentato il filmato, il commento e i nostri obbiettivi. Ci sono stati fatti i complimenti; anche lì ho socializzato, relazionato e, parlando con una signora, che fra l’altro era anche psicologa, mentre si mangiucchiava qualcosa, ho riprovato la mia timidezza ed è stato anche lì come un rinascere. Piccole cose che rendono felici. Troppo bello il trasbordo con il gommoncino, per attraccare, per sbarcare dalla barca alle isole; cose semplici ma sono poi le più importanti. Sono sicuro che la malattia non è invincibile; quando un gruppo di persone, medici, educatori, e anche chi poi divulga le esperienze, che all’interno di un gruppo si vive, per portarle a conoscenza del pubblico, e anche chi si pre-

Articolo Giampiero Valenti Foto Tomaso Baj

sta a dare un lavoro, tutta questa positività fa sì che il “malato” non si sente solo... beh il tutto involve a favore di una Civiltà con la C maiuscola. Terminato il Convegno, tornammo al porto, dopo aver riconsegnato l’auto noleggiata. Verso le sette di sera siamo ripartiti da Iraklion per Folegandros, un’altra isola, dove arrivammo all’alba del mattino dopo. È importantissimo per chi soffre sapere che la luce c’è ancora e questo è il Nèp, con tutti gli sforzi, ovviamente, ma il risultato per chi partecipa attivamente è immenso, impagabile. Ci si realizza sia come ruolo che come persona, è molto gratificante. Ritorno al viaggio. Il primo giorno il mare era un po’ mosso e qualcuno, sorrido, non è stato bene ma poi è stato tutto fantastico. Ed è stato anche lì come rinascere. Quando il cuore sorride, sorride anche la voce. È stato bellissimo, quando insieme, seduti uno vicino all’altro, ci si ascoltava reciprocamente, senza prevaricazioni inutili; ognuno la sua storia, ognuno sé stesso. Il rispetto e la condivisione dei sentimenti reciproci. Ci siamo scambiati ognuno le proprie conoscenze, che nella vita servono sempre, l’umiltà, la grandezza di saper ascoltare l’altro, in silenzio e non “far finta di ascoltare...”, è una maleducazione. Ritorno alla vita sulla barca. La kambusa funzionò perfetta-

mente. Piatti semplici ma con l’ingrediente principe, l’amore. Vedere il dottor Formenti, nella veste, nella sua veste di persona come un’altra, sereno e sorridente mentre sbuccia un pomodoro, con la bandana... o Tommy accarezzare con amore un’insalata, beh tutto semplice ma appetibilissimo. Io lavavo i piatti e la cucina cioè la kambusa, e ho preparato anche il sugo, il tutto con l’azzurro del cielo da un finestrino, che si, era piccolo, ma ti apriva l’immenso. L’essenza non la si vede con gli occhi. La chiave di tutto era semplicissimo: è esser veri, cioè fidarsi a occhi chiusi, senza condizioni. Saper di essere accettati al di là del ruolo, dello status e quant’altro. Era bello quando sul tavolo si preparavano le rotte e i punti nave, gradi longitudine... e così via. Poi gli attracchi nei porti dove ognuno svolgeva delle mansioni, per agevolare lo sbarco, sempre sotto l’occhio vigile dello skipper a comandare le operazioni. Al Congresso di Creta ricevemmo i complimenti per l’idea del viaggio in vela. Da Folegandros siamo ripartiti verso le 18. Rotta su un’altra isola e poi per Atene. Continua nel numero 1 Prossimamente in distribuzione


Il miracolo di Lourd

La re)azione La testimonianza

Carrozzine a Lourdes

Articolo Cristina Ughi Foto Gin Angri

Direttore responsabile Gianpaolo Rosso Stampa Studio Pixart Marghera (VE)

In copertina Elena Poli Foto in copertina Marina Cusimano

Una storia come tante, una storia. Un giorno da me non bene identificato, vidi dalla finestra di casa mia una macchina, a bordo della quale vi erano tre persone. Avvisai mia madre che si affacciò anche essa a guardare con circospezione. Andò incontro alle persone e chiese cosa volessero. Scese un uomo ricciolino che si dichiarò infermiere del C.P.S (Centro Psico Sociale) e che doveva accompagnarmi a Como, in una certa Villa Aurora; mia madre si fece spiegare cosa fosse e non trattenne le lacrime. Mio padre chiese all’infermiere se agisse su ordine del dottor Landriani; l’uomo annuì e io fui invitata a preparare frettolosamente le valigie. Partimmo, dopo un quarto d’ora mi trovai di fronte Villa Aurora. Salimmo gli infiniti gradini della stessa e ci venne incontro la direttrice. Mi salutò non troppo cordialmente e mi disse: “Non crederai di stare qui degli anni, tre settimane... e via”, poi mi presentò le mie compagne. Mi portò alla camera dove avrei passato tredici anni della mia esistenza. I primi tre giorni a Villa Aurora li trascorsi a letto e ricordo una signora che mi teneva compagnia leggendomi attentamente le sacre scritture; le Progetto Mauro Fogliaresi Segretaria di redazione Barbara Brunelli Giornalisti Cristina Ughi, Elena Poli, Stefano Rossi, Giampiero Valenti, Melissa Masieri, Rosanna Motta, Irene Macaluso Redazione Giovanna Galeazzi Photo editor Gin Angri Fotografi Marina Cusimano, Melissa Masieri, Mario Civati Art director Tomaso Baj Grafici Noemi Ippolito, Marina Cusimano, Andrea Nardini

Per informazioni Mauro Fogliaresi 349.106.97.53 mail resifoglia@libero.it facebook Oltre il giardino... Sostieni Nessuno è perfetto Per abbonarsi Nèp 031.33.14.752 abbonandoti associazione.nep@gmail.com

sue labbra erano truccate di un rosso acceso e i suoi capelli erano biondi come il grano maturo. Chiudevo gli occhi scegliendo i versetti che mi scatenavano visioni oniriche paradisiache, che mi facevano tremare tutta. Dove sono? Mi chiedevo mentre ero preda di questi stati mentali. Aprivo gli occhi, si parava davanti a me un’infermiera che mi contava le gocce nel bicchierino, arrivava alla quindicesima ed ero quasi addormentata. Stavo sempre in camera e quando mettevo fuori il naso vedevo numerose donne che mi sembravano tanti manichini che si muovevano meccanicamente. Dopo un po’ di giorni di residenza in Villa Aurora scesi un piano dove c’era un finestrone grandissimo dal quale si vedeva la strada piena di macchine; credevo che queste ultime mi seguissero e non lo dissi a nessuno. Qualche volta uscivo e mi sentivo inseguita dalle persone che occupavano le macchine. Mi nascondevo nei portoni e negli anfratti. Poi quando vedevo le persone le dividevo in angeli e diavoli secondo la loro bellezza o la loro bruttezza. Subii numerosi ricoveri dei quali ho qualche sporadico ricordo. Quello che mi è rimasto in mente è che trascorsi tre Natali e due periodi pasquali nel reparto di psichiatria. Il mio compagno era sempre presente. Una volta l’ho visto persino piangere durante la messa natalizia celebrata in reparto. Mi capitarono tante cose nel periodo che trascorsi in Villa Aurora, qui narrerò le più salienti. Dato che avevo l’abitudine di scappare, lo feci numerose volte. Ne riferirò qui di seguito almeno un paio. Una sera sentii una voce che mi diceva: “Vai a Lourd e troverai la pace”. Presi una trous e vi misi dentro un paio di mutandine. E così come mi trovavo uscii da Villa Aurora. Feci l’autostop e una macchina si fermò. Salii. Soldi non ne avevo, ma possedevo numerosi anelli e catenine

d’oro. L’autista della vettura mi chiese dove volevo andare e io risposi: “A Lourd, ma non ho soldi, in compenso ho qui dell’oro”. La compagna dell’autista visionò i gioielli e disse: “Sì! Sì! Vanno bene”. Dopo cinque minuti ero a piedi nei pressi di una stazione ferroviaria. Mi dissi che forse uno di quei treni andava a Lourd. Presi il primo che mi capitò. Era notte inoltrata, ero stanca ma felice. Dal finestrino vidi la città d’oro, la Nuova Gerusalemme che si muoveva in tutte le direzioni. Ero contenta ma non sapevo cosa mi sarebbe capitato. Passò il controllore e mi chiese il biglietto. Naturalmente non l’avevo. Mi guardò male e vidi credo nei suoi occhi qualcosa di storto. Tirò fuori il telefonino e chiamò il 118. Di lì a cinque minuti robusti infermieri mi misero addosso le mani, e mi caricarono su un’autoambulanza. Caddi in uno stato di dormiveglia, incosciente. Sentivo voci volare dal profondo ma non le distinguevo bene. Passò così del tempo e l’unica cosa che sentivo fu l’ago di una puntura nel braccio. Aprii gli occhi e mi accorsi di essere in mezzo a numerose persone che mi osservavano. Di nuovo in autoambulanza e infine in un letto d’ospedale. Mi diedero delle pastiglie ed io caddi in un sonno profondo. Non mi rendevo conto se era giorno o notte, se ero morta o viva, se ero in Paradiso o all’Inferno. Mi svegliai da questo incubo e vidi l’infermiere che mi disse: “Ti vuoi lavare o no?” L’acqua scese su di me e mi diede una stupenda sensazione di benessere. Egli mi porse un pettine che affondò nella mia testa alla quale avevo fatto la tinta e la permanente. Sentivo lui che rideva e si burlava di me. Non sapevo assolutamente dove mi trovavo. Ero confusa, camminavo e la mia testa era piena di allucinazioni visive e uditive. Un giorno mi portarono da un medico che aveva sulla scrivania una busta. Mi fece accomodare e mi disse lentamen-

te: “La dobbiamo rimandare a casa. Dove abita?” Le visioni si facevano sempre più rade e nella mia mente si aprì il nome di una città: “Como!” “Brava”, disse il dottore, “adesso dovrebbe ricordarsi il nome del suo medico”. Mi venne spontaneo il nome e glielo dissi. Il giorno dopo ero al reparto psichiatrico dell’ospedale Sant’Anna di Como. Ricordo che vi era tanta gente e non si poteva neanche camminare. Mi legavano al letto giorno e notte e io non sapevo il perché. Piangevo e piangendo mi bevevo le lacrime. Un giorno mi spogliai nuda davanti al finestrone della sala da pranzo credendo che il sole fosse Dio e che offrendomi a lui fossi liberata dal peccato. Mi rivestirono e di nuovo fui legata e portata in camera da sola; impedivano agli altri degenti di entrare e stetti in questo stato numerosi giorni. Un’altra cosa che segnò la mia vita fu la pratica di due interruzioni di gravidanza, tutte e due perché non potevo portarle a termine. Stetti molto male quando, secondo i miei deliri, mi strapparono dal ventre i miei due angioletti; passarono gli anni e il tempo lenì le mie ferite. La cosa più importante e più felice fu l’incontro con il mio attuale compagno Maurizio, il quale mi amò di un amore delicato e premuroso che io ricambiai caldamente. Dopo qualche mese di frequentazione egli mi portò a casa sua, mi fece conoscere sua madre, e praticamente mi adottò. Attualmente convivo con Maurizio e siamo veramente felici; qualche lite colora la nostra relazione, ma tutto sommato, anche se non siamo sposati, siamo insieme da quasi ventidue anni. Ci amiamo profondamente e spero tanto che il Padreterno ci faccia invecchiare insieme. Anche perché figli non ne abbiamo avuti. Voglio chiudere con una frase che mi dice sempre il Maurizio: “Io non ho che te, tu non hai che me, entrambi non avremo un gran che.”


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