Magazine Erika Trojer

Page 1


Erika T

R O J E R

Dalla passerella all’arte

From the catwalk to Art

Dalla calma imperturbabile di selve e montagne altoatesine alle scintillanti passerelle dell’alta moda fino alla scoperta di un originale linguaggio creativo nel mondo dell’arte a livello internazionale. Erika Trojer nasce a San Candido, in Alto Adige, nel 1968. Nel 1986, a 18 anni, partecipa al concorso di bellezza “Miss Italia”, dove si classifica seconda dietro la vincitrice Roberta Capua. Dopo le scuole superiori si trasferisce a Milano, dove inizia la carriera di modella che la porta a viaggiare per il mondo. Nel 1987, uno scatto del celebre fotografo di glamour Marco Glaviano la ritrae sulla rivista “Harper’s Bazar”. Successivamente continua a lavorare nel settore della moda, per importanti case come Versace, Jill Sander e Cavalli. Nel 1997 si trasferisce a Cernobbio, sul lago di Como, dove tuttora vive e lavora. Proprio in riva al Lario ha inizio la sua carriera artistica. Il suo atelier è un vecchio forno per panetteria e dolciumi recuperato e trasformato, con grande passione, in un laboratorio d’arte: lo Spazio Forno. Le opere di Erika Trojer sono state esposte in numerose mostre in Italia e all’estero. L’artista ha proposto i suoi lavori nella collettiva From White to Black alla galleria Barbara Mahler presso la Banca Ubs di Lugano. Allo Spazio Forno ha messo in scena le sue opere nelle personali Corsi e ricorsi del 2005 e Senza tempo del 2008, due eventi che hanno riscosso molto successo con ottimi riscontri sia di critica che di pubblico. I suoi scultorei elementi d’arredo sono stati inoltre presentati nell’atelier “Domo Adami” in occasione del Salone del Mobile di Milano. Nel 2006 con l’opera Fili di seta ha vinto il secondo premio al concorso “Rifiuti: la tecnologia, l’uomo, l’arte” organizzato dalla Regione Lombardia con l’associazione Greem. All’arte di Erika Trojer sono stati dedicati articoli su importanti riviste e la sua performance creativa è stata diffusa a livello nazionale grazie alla rubrica Occhio allo spreco del tg di Canale 5 Striscia la notizia. A conferma di una creatività che ha raggiunto dimensioni ormai internazionali, l’artista proporrà i suoi lavori sulla scena prestigiosa di Saint Tropez nel giugno 2009 con la personale all’Ambassade du Tourisme.

From the imperturbable calm of the the Southern Tyrolean woods and mountains to the glittering catwalks of high fashion, then on to discover original creative expression in the international art world. Erika Trojer was born in San Candido in South Tyrol in 1968. In 1986 at the age of 18 she took part in the ‘Miss Italy’ beauty contest, where she was pipped at the post by the winner Roberta Capua. After high school she moved to Milan to begin her career as a model which took her all over the world. In 1987 a shot of her by famous glamour photographer Marco Glaviano was featured in the magazine ‘Harper’s Bazaar’. She was to continue working in the fashion world for such leading names as Versace, Jill Sander and Cavalli. In 1997 she transferred to Cernobbio on Lake Como, where she still lives and works. The banks of the Lario were the very place where her artistic career began. Her atelier is an old bakery which she overhauled and transformed with passionate enthusiasm into an art workshop: the Spazio Forno. Erika Trojer’s works have been exhibited extensively in Italy and abroad. The artist has displayed her works in the collective From White to Black at the Barbara Mahler gallery c/o the UBS Bank in Lugano. At Spazio Forno she has shown off her works in the personal exhibitions Corsi e Ricorsi in 2005 and Senza Tempo in 2008, two highly successful events enjoying considerable acclaim both by critics and members of the public alike. Her sculptural items of decor were moreover presented in the atelier ‘Domo Adami’ at Milan’s Salone del Mobile. In 2006 her Silk Threads came second in in the competition ‘Refuse: technology, man, art’ organised by the Lombardy Region with the association Greem. Erika Trojer’s art has been featured in several top magazines and her creative performance was broadcast nationwide thanks to the docu-slot Occhio allo spreco (‘Watch your Waste’) on Channel 5’s news programme Striscia la notizia. Confirming creativity now of international standing, the artist will be showcasing her works in prestigious Saint Tropez in June 2009 with a personal exhibition at the Ambassade du Tourisme.

Ca r t

ucce

da s par o

(13

0x1

30x 8

cm )



Erika T

R O J E R

Arte che nasce da un imprinting culturale “S ono anni che mi dedico al mondo del recupero”, dice Erika. Per lei la realizzazione di opere che abbiano una valenza estetica non è solo un’esperienza artistica, ma “di una vera e propria filosofia di vita che spazia dall’abbigliamento all’arredamento e alla ricerca di rustici da riattare”. “Da sempre amo indossare capi vintage – spiega – Mi sento in un certo senso una pioniera di una moda che adesso è diventata patrimonio comune. Inoltre realizzo mobili con lastre di ferro arrugginite, e insieme con mio marito, Enzo Schettino, ho seguito personalmente la ristrutturazione di alcuni rustici trasandati e decadenti, cercando il più possibile di rispettarne il disegno originario. Come il maso del XVI secolo che abbiamo recuperato in Val Pusteria, uno dei più antichi di Villabassa, o il rustico che stiamo curando sul lago di Como”. Ecco il punto di intersezione tra l’arte e il vissuto, la realtà quotidiana e la dimensione creativa: “Mi sono trasformata con naturalezza in artista – dice Erika – Riuscire a rianimare un oggetto destinato al rifiuto e ricreare una sua valenza, una sua utilità e una sua bellezza sono per me motivo di ricerca continua, una spinta alla meditazione ma soprattutto una passione e una fonte di soddisfazione immense. Il mio “spirito guida”, da sempre, è il sentimen-

to. Del resto questa mia attenzione spasmodica al riciclo è una forma di rispetto profondo per il creato. Significa che ogni pezzo della nostra storia ha un significato. Che siamo persone e in quanto tali uniche e irripetibili. E che ogni frammento della nostra vita di esseri umani su questa terra ci descrive e ci racconta”. Da dove le proviene questa passione? Da un notevole imprinting culturale. Che in Erika ha lasciato tracce, gettato semi che la sua sensibilità di artista e di donna ha saputo far germogliare. “Me lo sono domandata molto spesso e ho trovato varie risposte nel mio passato. La passione per il riciclo nasce dalle mie solide origini altoatesine. Ecco il mio Dna: il mio legame forte con la natura spiega l’amore per il mondo vegetale e animale, il desiderio di purezza che ogni volta sogna le atmosfere e i suoni dell’amata montagna. Nel “piccolo mondo antico” del mio caro Alto Adige rivedo le radici della mia attitudine al recupero. Sono nata e cresciuta in una famiglia molto semplice, dove niente doveva andare sprecato. Avevo una sorella maggiore e ovviamente io ero destinata a riutilizzarne gli abiti. Anche in questo devo essere grata alle mie origini. E in particolare a mia madre. Solo in occasione di particolari ricorrenze acquistava appositamente per me qualche nuovo vestito. Realizzava personalmente,

a mano, i capi di abbigliamento a noi destinati. Rammento per esempio quei meravigliosi maglioni che ancor oggi apprezzo, anzi più di allora. Ma tutta la nostra vita, all’epoca, era impregnata di questa filosofia contraria all’”usa e getta” che ci impone il consumismo di oggi. Grazie agli insegnamenti di mia madre, ho potuto trasformare questa attitudine al risparmio in un divertentissimo lavoro che mi riempie di gioia e dà senso alle mie giornate. Ed è anche una forma di terapia scacciapensieri. C’è chi va in analisi. Chi fa yoga. Io creo le mie opere e così rinforzo i legami con le mie radici profonde”. Ricorda la sua prima opera? “Volevo fare un regalo di compleanno per mio marito. Ho realizzato il mio primo mosaico partendo da una serie di fotografie strappate che sono andate a comporre, nell’armonia dei colori e delle forme, il segno zodiacale della mia anima gemella. Mentre ho costruito il primo lavoro mi sono sentita immensamente felice e ho capito che su quella strada era mio dovere proseguire”. A Cernobbio, in via Cinque Giornate 3b, a pochi passi dalla storica Villa Erba che fu del regista Luchino Visconti, Erika ha il suo laboratorio. “Anche il mio Spazio Forno, dove ospito la collezione permanente e ho il mio atelier, è un segno della passione per il recupero – dice l’artista – È una forma tangibile della mia

filosofia di vita. Ho cercato di aprire un capitolo nuovo, di dare un ruolo inedito a un edificio di fine Ottocento, lo Spazio Forno appunto, che era condannato a sparire, per far posto a un parcheggio. Me ne sono subito innamorata e ho voluto trasformarlo nella “casa” per eccellenza in cui ospitare la mia arte, i frutti della mia creatività”. Una delle opere di maggiore impatto è il grande ragno costruito con scarti della lavorazione del ferro. Un insetto metallico gigante che vuole esorcizzare la sua paura per gli aracnidi? “Tutto nasce da un secchio di tondini di ferro del mio fabbro di fiducia, Paolo. L’ho vissuto subito come una sfida. Mi è venuta in mente la forma di una tarantola. E, una volta realizzato il “mostro”, ho voluto regalargli un compagno, un piccolo ragno. Ho dato vita a una coppia, mamma e figlio. Così è molto più rassicurante”. Lei ha lavorato anche nel mondo della moda. Che cosa ha significato per lei? “Tantissimi viaggi, che mi hanno spalancato gli orizzonti della mente e del cuore – dice Erika – Mi hanno insegnato la flessibilità e il dinamismo. L’esperienza mi ha aperto gli occhi, insomma. Mi invita ad accettare ciò che è diverso da me, ad accoglierlo con rispetto assoluto. E mi ha fatto capire che il mondo è fatto di infinite sfumature di colore”.

La fata degli oggetti inutili.

Le creazioni proposte nascono dall’amore per gli oggetti che divengono fonte d’ispirazione primaria in un’ottica di recupero. Ma c’è di più. I pezzi unici sono frutto diuna sorta di filosofia che non contempla lo scarto e invita a riscoprire la nobiltà del materiale gettato.

The creations exhibited are born out of a love of objects which become a source of vital inspiration with regard to salvaging. But there’s more. These unique items are the brainchild of a philosophy rejecting disposability, which invite us to rediscover the nobility of discarded material. The fairy of useless objects.

Stefania Briccola, La Provincia

Alle radici di un’arte poetica

R

ovistare tra i rifiuti può essere un’azione poetica: è al tempo stesso trendy, bello e giusto regalare significati nuovi a ciò che ha chiuso il proprio ciclo economico. È l’arte duttile, e pronta a infinite variazioni, del trash. Un club che nella storia ha annoverato nomi illustri. Dall’illusionismo fantastico e mi-

nuzioso di Giuseppe Arcimboldi, con le sue figure allegoriche e i suoi ritratti caricaturali ottenuti dall’assemblaggio di oggetti, piante o animali (singolare anticipazione del Surrealismo), fino alle sperimentazioni futuriste di Umberto Boccioni, alle sculture di Pablo Picasso realizzate con selle e manubri di bicicletta,

ai ready-made di Marcel Duchamp e Man Ray, agli “assemblages” di Hans Arp e Kurt Schwitters. Fanno parte a pieno titolo della famiglia anche Mimmo Rotella con i suoi manifesti pubblicitari strappati, Daniel Spoerri con le sue tavole imbandite, Alberto Burri con i sacchi e le plastiche bruciate, Carol Rama

con le sue bambole fatte a pezzi, Michelangelo Pistoletto con la Venere degli stracci, Arman e i suoi cumuli di oggetti, Jean Tinguely con i suoi “montaggi inutili” e per finire le performances “povere” di Joseph Beuys e i piatti ridotti in cocci di Julian Schnabel. E la storia dello “scarto che detta l’arte” continua…


Art born of cultural imprinting “I

’ve been into salvaging for those wonderful pullovers which I years,” says Erika. For her still appreciate today – in fact even producing works of aesthetic more than then! But then in those worth is not merely an artistic expe- days our whole life-style rejected torience, but “a full-blown philosophy day’s consumer ‘disposable’ philosof life ranging from clothing to decor ophy. Thanks to my mother’s teachor refurbishing crofts.” “I’ve always ing I’ve managed to turn this attitude loved dressing up in vintage gar- of thrift into an enjoyable job which ments,” she explains. “It’s as though gives me a purpose in life and fills it I feel like a pioneer of some fashion with joy. And it’s mentally therapeutic which has now become common her- as well; some people get psychoanitage. I moreover craft furniture using alysed, others do yoga. I create my rusty iron sheeting, and together with works and so consolidate my links my husband Enzo Schettino I per- with my deep roots.” Can you remember your very first sonally see to the restoration of neglected ramshackle crofts, respect- work? “I wanted to give my husband ing as far as possible the original a birthday present. I did my first mostructure. Like the 16th century farm- saic by setting out from a series of stead we restored in Val Pusteria, or torn-up photos which via a harmothe cottage we’re seeing to on Lake nious combination of colours and shapes were made into my other Como.” This is where art meets living ex- half’s star sign. As I was creating this perience, where everyday reality first work I felt immensely happy and meets a creative dimension: “I turned I knew this was the road I had to go into an artist quite naturally,” says down.” Erika’s studio is in Cernobbio in Via Erika. To me managing to reactivate something doomed as refuse and Cinque Giornate 3b, a stone’s throw imbue it anew with worth, usefulness away from historic Villa Erba which and beauty is a reason for constant used to belong to director Luchino research and a stimulus to meditate; Visconti. “My Spazio Forno housing but above all it’s a question of pas- my permanent collection and where I sion and a source of great satisfac- have my atelier is also an expression tion. My ‘guiding light’ has always of my passion for salvaging things,” been feeling. My spasmodic concern says the artist. “It’s a tangible form of with recycling is basically a form of my philosophy of life. I tried to open profound respect for things created; a new chapter and give a new role to a late building, nameit means that each slice of our histo-L’arte di 19th Erikacentury è protagonista ly the Spazio Forno which had been ry is significant, that we are personsanche sul piccolo schermo: and as such unique and one-off. And condemned to disappear to make sul suo sito Internet www. that every fragment of our life on this way for a carpark. But it was love at possibile first sight and Ièwanted to transform it earth as human beings defines userikatrojer.com into thela‘house’ pardiexcellence rivedere puntata Stris- for my and tells our story.” the fruitsinofonda my creativity.” And where does this passionciaart, la notizia il 19 come from? From strong cultural im-dicembre 2008 su Canale printing that has left its mark on Erika 5. Ecco alcuni frammenti and sown seeds which her sensitivity as an artist and woman has ena-del tg satirico di Mediaset. bled her to germinate. “I’ve very oftenI riflettori di Striscia hanno wondered about this and have comeilluminato in un servizio di up with various answers from myalcuni minuti le creazioni di past. My passionate interest in reErika, che in un’intervista ha cycling depends on my solid Southern Tyrolean origins. Here’s my DNA:spiegato come nascono i suoi my strong ties with nature explain my“pezzi unici” in cui il rispetto love for flora and fauna, that desireper l’ambiente è direttamente for purity that ever dreams of the at-proporzionale alla ricerca mosphere and sounds of my belovdi forme, motivi e colori ed mountains. In the ‘little old world’ of my dear South Tyrol I once morein sede propriamente see my attitude towards salvaging. Iestetica. was born and grew up in a very simple family where nothing was wasted. I had an elder sister so clothers were obviously handed down to me; and here too I am grateful to my origins – especially to my mother. Only on very special occasions would she ever buy me special new clothes. She would personally make hand-made clothes for us. For instance I recall

One of the more striking works is the huge spider built out of leftovers from iron manufacturing; a gigantic metal giant to exorcise her fear of arachnids? “It all goes back to a bucket of circular chunks of iron my favourite blacksmith Paolo had. This just had to be a challenge. A tarantula shape came to mind; and once the ‘monster’ had been made I decided to provide him with a companion – a little spider. Thus a couple was born, mother and son. This way it’s much more reassuring.” You’ve also worked in the fashion world; what was that like? “Never-ending journeys which opened up new horizons for my mind and my

heart,” says Erika. “They taught me to be flexible and dynamic. Experiencing the world opended my eyes, basically. It taught me to accept what is different from me and welcome it with complete respect. And I learnt that the world is made up of infinite hues of colour.”

TO THE ROOTS OF POETIC ART

P

oking around in refuse may be a poetic activity: but at the same time it’s trendy, beautiful and right to impart new significance to things at the end of their economic cycle. It’s flexible, infinitely variable trash art. A club which historically has had some illustrious members. From Giuseppe Arcimboldi’s fantastic and

detailed illusionism, with his allegorical figures and caricatures obtained by assembling objects, plants or animals (a singular foretaste of Surrealism), on to Umberto Boccioni’s futuristic experimentation, to Pablo Picasso’s sculptures crafted with bicycle seats and handles, to the ‘ready-made’ items by Marcel Duchamp

and Man Ray, to the ‘assemblages’ by Hans Arp and Kurt Schwitters. Other paid-up members of the family are Mimmo Rotella with his tornup advertisements, Daniel Spoerri with his laid-out woods, Alberto Burri with burnt plastic bags and other items, Carol Rama with her shattered dolls, Michelangelo Pistoletto’s

Venus in Rags, Arman and his heaps of objects, Jean Tinguely with his- ‘useless montages’, and finally Joseph Beuys’s ‘poor’ performances and Julian Schabel’s plate sherds. And the story of “discarded objects dictating art” goes on...


Erika T

R O J E R

I

l filo che unisce le opere di Erika – nate tutte dall’assemblaggio di oggetti destinati alla polvere, cui vengono donati un tempo nuovo e nuove possibilità di dire – è la consapevolezza profonda che ogni singolo frutto del creato, sia esso naturale o artificiale, a prima vista privo di significati o ridotto a cosa, puro agglomerato di atomi, è in effetti risultato di un percorso. E in quanto tale, anche se è d’ignota o dubbia provenienza, ha una storia da raccontare. È diverso

“Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”

da tutti gli altri ed è pertanto unico e irripetibile, come chi lo ha plasmato la prima volta e come chi lo prende di nuovo in considerazione ora, per dargli una funzione d’uso, un colore e una forma inediti. Esso può dunque sempre sprigionare un’energia poetica, tanto più se viene sottratto all’oblio cui lo condanna uno stile di vita (meglio: di non-vita) che fa dell’immediato consumo, dell’“usa e getta”, del “qui e ora” e del “tutto e subito” le proprie bandiere più sfacciate. Il richiamo è particolarmente

forte ed evidente nelle opere ispirate alla dimensione della natura. Con la curiosità di uno straniero e l’assiduità di un nomade tra le feconde vie del caso, Erika scova pigne cadute dai cedri del Libano e le fa rinascere come fiori dipinti che diventano mazzi di rose. Le cortecce scampate alla falciatrice del giardiniere tornano a occupare un posto di prima fila, ordinate come selvaggi soldatini. Frammenti di ferro usciti dalla fucina di Vulcano possono rinascere sotto forma di un enorme ragno

pacifico che fa la guardia all’atelier. Splendidi corni kudu diventano onde di un mare osseo immaginario. Simbolo di una convivenza sapiente tra uomo e natura, forse ormai perduta per sempre, sono infine i chiodi di legno recuperati dalle travi di un antico maso, figlio delle splendide malghe della terra d’origine di Erika, disposti armoniosamente sulla superficie di una vecchia teglia da forno.

Natura

Nature Ragno il ferro (130x150x70 cm)


“Nothing is created, nothing is destroyed, everything is transformed” Antoine LaVoisier Chiodi di legno 92cx50 cm

W

hat unites Erika’s works – all born by assembling objects destined to become dust but given a reprieve and a chance to state their case – is a deep awareness that every single fruit of creation (be it natural or artificial) apparently meaningless or reduced to being a ‘thing’, a mere agglomeration of atoms, is in fact the result of a journey. And as such, despite its unknown or dubious origins, it has a tale to tell. It is differ-

ent from all the others and thus unique and one-off, as is the person who first crafted it and the one now reconsidering it for some brand new function, colour or shape. Consequently it may still unchain poetic energy, all the more if it is rescued from a state of oblivion that condemns it to a lifestyle (or rather non-life) which blatantly glorifies quick consumption, the ‘disposable’, the ‘here and now’ and the ‘all and now’. The reference is especially strong and evi-

dent in the works inspired by the dimension of nature. With the curiosity of an alien and the dogged determination of a nomad foraging along the fertile tracks of chance, Erika unearths cedar of Lebanon cones to which she gives new birth as painted flowers later turning into bunches of roses. Any bark escaping the gardener’s scythe are back in first line as savage soldiers.Fragments of iron spewed out of a Volcano’s forge may find new life as a huge gentle

Tutto si rigenera secondo Erika, anche i bei gesti e le malefatte diventano boomerang pronti a ritornare da chi li aveva lanciati nel gran teatro del mondo. In Erika’s view all things undergo regeneration – even nice gestures or bad deeds turn into boomerangs just waiting to whizz back to whoever threw them in the great theatre of the world. Stefania Briccola, La Provincia

)

u

a

rn

Co

d ku

(

7

x1

5 15

m 0c

spider guarding her atelier. Magnificent kudu horns become waves on an imaginary sea of bones. And last of all as a symbol of an aware modus vivendi (possibly now gone for ever) are the wooden nails salvaged from the beams of an ancient farmstead, offspring of the splendid Alpine meadows of Erika’s homeland, which are harmoniously set out on top of an old roasting pan.


Erika T

Lattine (90x70 cm)

R O J E R

Installazioni, sculture e intriganti elementi d’arredo che rappresentano una saggia risposta alla globalizzazione

Acquario di vetri (97x105x6 cm)

Vita nuova per vetro e lattine

New life for glass and tin cans


Installation art, scultures and intriguing furnishing items constitute a sensible answer to globalization. Stefania Briccola, La Provincia

L’

arte di Erika, ormai proiettata a livello internazionale, è a suo agio con una notevole varietà di linguaggi e passa liberamente dalla decorazione d’ambiente all’arredo, fino all’installazione di maggior spessore concettuale. Nel suo slancio creativo hanno uguale diritto di cittadinanza la natura e la contemporaneità fatta di oggetti artificiali, dove il prevalere di forme rigorose e geometricamente definite non impedisce di veicolare forti messaggi sociali. Ecco dunque le sculture fatte di cartucce color ottone, modulate secondo piani a rilievo quasi a creare moderni Mandala al cui centro può anche fiorire un rosso cuore, simbolo del sacrificio e della lotta. L’opera più grande di questa serie è stata realizzata con 3.800 bossoli. Il collezionista le ha contate, e diverte gli ospiti chiedendo loro di indovinarne la quantità. Ma ci sono anche opere realizzate con frammenti di polistirolo da imballaggio, le cosiddette “chips” colorate all’origine o spruzzate di acrilici, chiamate a definire strutture minimali o a creare petali multi-

colori incorniciati. L’alternarsi di astratto e concreto è il modo in cui Erika Trojer interpreta l’artificio che regna sulla vita moderna. Una condanna, a volte, da cui l’arte può riscattare spalancando le porte dell’immaginario, quale frutto di una divertita e divertente arte combinatoria. Anonimi frammenti di cornici possono così evocare una croce o antichi mosaici policromi di gusto barocco o bizantineggiante. Le prosaiche lattine delle bibite, compresse e modulate, sono paesaggi che richiamano immensi cimiteri di automobili. Centinaia di tappi di bottiglia, di varie dimensioni e di vari colori, legati da filo metallico, possono dar vita a nuove superfici in un gioco quasi erotico di trasparenza e densità. Le gocce vitree dei lampadari in stile possono diventare solidi acquari del terzo millennio. E, capovolti, i cartoni che proteggono nel loro viaggio da un punto all’altro del pianeta i più diversi oggetti possono disegnare antichi borghi fatti di sabbia e fango. E suggerire arcane parentele con le immense astronavi della saga di Star Wars.

E

rika’s art now enjoying both national and international acclaim in whatever format it embraces moves freely between ambient decoration and furnishing, on up to creations of greater conceptual depth. Its creative momentum has equal respect for both natural phenomena and contemporaneity made out of artificial objects, whose prevelantrigorous geometrically defined lines in no way inhibit the expression of strong social messages. Thus there are sculptures made from brass-coloured cartridges, modulated via surface relief variation so as almost to create modern Mandalas in whose centres a red heart might be blooming as a symbol of sacrifice and struggle. The largest work in this series was made out of 3,800 cartridges; they were counted by the collector who entertains guests by inviting them to guess how many there are. But there are also works made of little chips of polystyrene packaging, either with their original colour or sprayed with acrylic paint, used for fine detail or to create

framed muli-coloured petals. This alternation between things abstract and concrete is Erika Trojer’s way of interpreting the artificial aspects pervading modern life. Our condemnation to such a state may sometimes find redemption when art gives free rein to its flights of imagination through an entertained – yet entertaining – combination art form. Anonymous fragments of frame may thus evoke a cross or ancient polychromatic mosaics with Baroque or Byzantine overtones. Prosaic drink cans are crushed and ‘modulated’ into landscapes reminiscent of huge car dumps. Hundreds of bottle caps of various sizes and colours on a wire thread can impart life to new surfaces in an almost erotic interplay of transparency and density. Former style glass chandelier pendants can turn into solid third millennium aquaria. And turned upside down cardboard packaging boxes used to dispatch goods can depict ancient hamlets made of sand and mud – or suggest arcane family ties with the enormous spaceships in the Star Wars saga.

Città di cartone - deserto (190cx130 cm)


R O J E R

N

el lavoro di Erika Trojer c’è l’invito alla leggerezza e al gioco, talvolta legato a una spiccata propensione all’ironia. Strumenti tutti che permettono all’artista di interpretare il mondo con schietta positività e di accedere, con più matura coscienza, all’universo parallelo della poesia. È il caso, per esempio, dei riferimenti espliciti al mondo della moda vissuto in prima persona sulle passerelle di tante sfilate internazionali d’alto bordo. Che a ben vedere sono un richiamo forte, attraverso il concetto domestico di “abito” e quello industriale di tessuto, alla costruzione di una “trama” che è arte del racconto tipicamente femminile.

Lo si nota nell’assemblaggio di scampoli di seta e altri scarti di produzione tessile come i rocchetti, che disegnano rigorose partiture geometriche. Ma anche negli elementi d’arredo, come le numerose lampade “fashion” realizzate con occhiali da sole di mille fogge e griffes, o l’imponente abito – autentica primadonna nell’atelier Spazio Forno di Cernobbio – realizzato con rullini di negativi su pellicola, sintesi di dieci anni trascorsi fotografando gli affetti più cari. Spesso le opere di Erika sono frammenti di memoria, tasselli di un universo privato che, attraverso l’energia creatrice, diventa magicamente pubblico.

E

This can be seen in the assembly of silk leftovers and other discarded items in textile production such as reels with their rigorous geometrical art forms. But also in decor items like the numerous ‘fashion’ lamps made from sunglasses of thousands of shapes or griffes, or the impressive dress – an authentic primadonna in the atelier Spazio Forno in Cernobbio – made from reels of film negatives, the result of ten years spent photographing very dear personal effects. Often Erika’s works are fragments retrieved from her private memory bank, which her creative force makes public as if by magic.

rika Trojer’s work though light and playful is sometimes underpinned by a strong sense of the ironic: all vehicles enabling the artist to interpret the world with unapologetic positiveness and gain access, with greater maturity of awareness, to the parallel universe of poetry. Instances of this are her explicit references to the world of fashion, experienced first hand on the catwalks of leading international fashion parades which, upon scrutiny, via the everyday concept of a ‘garment’ and the industrial one of fabric are strongly reminiscent of the construction of a ‘weft’, the typically female artistic web used in story-telling.

Donna – negativi di foto (185x130 cm)

Erika T

Ogni pezzo ha origine dall’assemblaggio di relitti, pezzi di vita scartati o sfollati, che invocano asilo.

Il mondo della moda The world of fashion

Vecchi rocchetti (105x105x15 cm)


Each piece originates from the assembly of derelict, discarded or cleared-out pieces of life crying out for asylum. Lorenzo Morandotti, Corriere di Como Lampada di occhiali vintage (135x45x40 cm)


R O J E R

Arazzo kilim (300x210 cm)

Erika T

Del riciclaggio colto e intelligente, sua passione da sempre, ha fatto un’arte.

L

anciando un campanello d’allarme sull’uso improprio e smodato che l’uomo fa delle risorse del pianeta Terra, Erika ricicla con gesto artistico oggetti rifiutati, considerati “in esubero” dalle logiche a senso unico della moderna globalizzazione. Si direbbe agisca in lei una precisa volontà di “riscrittura”, ma senza ridondanza retorica, perché è altrettanto forte l’antidoto di una coerente sobrietà. Cioè una specie di antichissimo pudore muliebre, con cui l’atto creativo rispetta la materia – già presa nella rete del destino umano fatto per intima vocazione di peregrinazioni, sogni e sfaceli – e suscita però altre identità e nuove forme di espressione. A volte con riferimenti simbolici e figurativi spiccati, più spesso con ampia libertà di orizzonti stilistici. Il perentorio “lasciatemi divertire” dell’autrice si traduce qui in una fisica e materica semplicità, che si avventura in molteplici sentieri di esplorazione: il teatro del mondo, certo, ma anche la dimensione interiore, con le sue emozioni, pulsa-

zioni, intermittenze e fantasie; e il recupero della memoria, personale e ancestrale, “rimessa in circolo” e fatta riemergere da oggetti consacrati di nuovo alla vita, laicamente immersi in un fonte battesimale di luce un attimo prima di vederli consegnati per sempre all’oblio, al buio, alla dispersione. In Erika agisce fortemente la cifra della femminilità, nel tentativo di conservare, costruire, cucire come una Penelope sempre orientata all’ottimismo; di dare ordine e senso al mondo, di abbracciare lo spazio, di accogliere il canto del creato. Sono inni alla vita i suoi arazzi realizzati con tappi metallici, da abitare e da indossare come talismani, antidoti alla freddezza del reale. E ancor più le sculture fatte di biberon portati via dalla clinica: strumenti apparentemente plasticosi, di natura industriale, ma in realtà vivi, ciascuno grazie a un nome preciso che racconta, attraverso la storia di una nascita, la promessa dell’universo destinato a fiorire.

A

world, surely, but also that inner dimension of emotions, pulsations, intermittences and fantasies; and the retrieval of personal and ancestral memory, ‘reinserted in the circle’ and allowed to re-emerge by objects reconsacrated to life, undergoing a secularistic baptism of light just prior to their being forever consigned to oblivion, darkness and dissipation. Erika’s femininity is much to the fore, as she attempts to conserve, construct and sew like an eternally optimistic Penelope; to impart order and make sense of the world, to embrace space and welcome the song of creation. Her metal cap tapestries to be lived in and worn as talismans against the coldness of the world are hymns to life. And even more so are her sculptures made out of feeding bottles taken from some clinic: these apparently plasticky industrial items are really alive, each one thanks to a precise name – which through the story of a birth – tells of the promise of a universe destined to flower.

s she rings out a warning about man’s improper and wasteful use of the Earth’s resources, Erika recycles with artistic expression rejected objects considered ‘redundant’ according to the one-way view of modern globalisation. This might be described as her precise wish to ‘rewrite’ objects’ stories – but without rhetorical overtones – because there is an equally strong antidote of appropriate sobriety: namely a kind of age-old feminine modesty where creativity respects matter – already caught up in the net of human destiny woven by the esoteric vocation of peregrinations, dreams and devastations – albeit giving rise to alternative identities and new forms of expression. These are sometimes accompanied by symbolic and figurative references, very often giving free rein to style. The author’s peremptory “let me have fun” is translated here in physical and material simplicity in which very few paths are left adventurously unexplored: the theatre of the

L’arte è femmina Art is female


She has made an art of reďŹ ned and intelligent recycling – her life-long passion. Serena BriVio, Mag

Biberon usa-getta (70cx85x18 cm)


Erika T

“Non sopporto la banalità dei mobili prodotti in serie e ritengo un flagello ambientale tutto ciò che è a perdere”

J

ust rust, namely the Arab phoenix rising from the rust. In her Cernobbio atelier Erika also creates furniture and modern furnishing items with very special designs. She crafts them with strictly ‘recycled’ iron sheeting in total keeping with her creative philosophy, and weathers them in a strictly natural way; they are sewn together with special effects, beginning with exposed welding rather like ancient book bindings or surgical stitches. The weathering process, which is in due course ‘blocked’ by a suitable fixing agent,

is very laborious and needs time (about 5-6 weeks) and care, which are crucial for the right colour intensity. The effect obtained by Erika is one of old sewn leather. The collection is simple and basic. The bookcases are modular, to enable them to be arranged according to one’s personal requirements. All the furniture and accessories can bemade to measure too. As the great Canadian rocker Neil Young might say, “Rust never sleeps.”

Il metallo che arreda

rro i n

vecc

hiat

e–J ust

Rus t

Metal that furnishes

in fe

viene poi “bloccato” con un apposito fissativo, è molto laborioso e richiede tempo (circa 5-6 settimane) e cura, indispensabili per ottenere l’intensità di colore desiderata. L’effetto che Erika raggiunge è quello di un vecchio cuoio cucito. La linea della collezione è semplice ed essenziale. Le librerie sono modulari, per poter essere composte secondo le proprie esigenze. Tutti i mobili e i complementi possono essere realizzati anche su misura. Come direbbe il grande rocker canadese Neil Young, “Rust never sleeps”.

Sed ie

ust rust, ovvero l’araba fenice che risorge dalla ruggine. Nel suo atelier cernobbiese, Erika crea anche mobili e componenti d’arredo moderni e dal design molto particolare. Li realizza artigianalmente con lastre di ferro rigorosamente “di recupero”, nel pieno rispetto della sua filosofia creativa, invecchiate in modo rigorosamente naturale e cucite l’una all’altra con particolari effetti, a cominciare dalle saldature a vista che sembrano legature di antichi volumi, o suture chirurgiche. Il processo di invecchiamento, che

Dettaglio lavorazione ferro

R O J E R

J


“I can’t stand the banality of production-line furniture, and I look upon everything that is ‘disposable’ as an environmental scourge.” EriKa Trojer

Dallo scarto all’arte P

uò un’opera d’arte essere, al tempo stesso, segno di eleganza e gesto di dissenso? “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”: Erika Trojer vive la Legge della conservazione della massa enunciata da Lavoisier nella quotidianità della propria ricerca. Che è anzitutto una sfida al tempo. Con le antenne bene alzate, si muove curiosa in mezzo al trash come il simpatico robottino nel film di animazione digitale Wall-E. E vuole organizzare il mondo in nuove immagini simboliche. Per salvarlo dall’oblio, dall’entropia. Dice l’artista: “Se si vuole cer-

care un filo conduttore nelle mie opere, così apparentemente diverse l’una dall’altra, così uniche perché nate tutte da oggetti diversi, è proprio nel desiderio di stabilire un ordine nuovo e diverso alle cose, e governarle con spirito logico. Io sono molto meticolosa e metodica. Voglio tenere sempre tutto sotto controllo. Emergono anche qui le mie radici altoatesine. E in questo senso sento davvero mio ogni lavoro, al centro per cento”. Uno spirito pragmatico, quindi, e al tempo stesso intrinsecamente romantico. Nell’opera di Erika Trojer ogni pezzo è infatti

un mondo a sé, perché parte da oggetti che hanno vissuto una crisi, anzi ne sono frutto. L’opera ha origine dall’assemblaggio di relitti, pezzi di vita sfollati, scarti di lavorazione, errori di produzione, scorie che chiedono asilo. Il processo tuttavia non si arresta a tale livello. Si lascia guidare dalla concretezza dei materiali per ricreare un mondo caleidoscopico. Non si limita a una sorta d’ingenuo spirito “ecologico” ma riscrive le tracce segnate dal vissuto. Esso infatti incita a riflettere tutti – l’artefice, cioè il poeta, e il suo pubblico – sul senso stesso

dell’esperienza umana. Nel dialogo con i materiali Erika ci dà quindi una grande lezione etica. Né solamente “scultura” né gesto pittorico a se stante, la sua opera si propone quale sperimentazione d’arte davvero “a tutto tondo”, “tridimensionale”. Come a più facce è nel concreto – dell’agire, del respirare, dell’avere un’origine e un destino – la vita stessa. Né piatto né statico né ingessato in manifesti estetici o in un movimento ideologicamente costituito, ma nemmeno aperto anarchicamente a qualsivoglia direzione, il procedimento si può allora dividere in tre fasi: raccolta e selezione pa-

ziente dei materiali, assemblaggio (dove prevale il concetto intimamente muliebre di “tessitura”, di costruzione, di racconto), definizione di una forma (dove ampio spazio è concesso alla ricerca dell’armonia e di una raffinata eleganza, mai disgiunte però dalla semplicità e dalla leggerezza). Alla base però ci sono sempre loro: i materiali che rischiavano di essere sommersi e che ora vengono salvati, perché accolti da una mano amorevole, da un gesto amico e fraterno che li alberga, con grazia tutta femminile, in sistemi di comunicazione nuovi. Lorenzo Morandotti

WHEN THE DISCARDED BECOMES ART C

an a work of art be an expression of elegance and a gesture of dissent at one and the same time? “Nothing is created, nothing is destroyed, everything is transformed”: Erika Trojer lives out the Law of Mass Conservation as enunciated by Lavoisier in her humdrum search routine – which is basically a race against time. With her antennae right up she shuffles inquisitively through piles of trash like the nice little robot in the digital cartoon film Wall-E. And she tries to arrange the world in new symbolic images; to save it from oblivion, from entropy. Says the artist: “What my so ap-

parently different and such unique works (through being born of different objects) may have in common is an underlying desire to establish a new and different order of things to be governed with a spirit of logic. I want everything to be under my control. My Southern Tyrolean roots show through here too. And in this sense I really feel a hundred percent one with my works.” So a spirit of pragmatism and yet one of intrinsic romanticism. Every item in Erika Trojer’s work in effect constitutes its own world because it’s based on objects that have experienced a crisis; indeed

they are it’s fruits. The work’s origins are the assembly of wrecks, pieces of evacuated life, factory rejects, production errors, waste seeking asylum. The process however doesn’t stop here; it allows itself to be guided by the concretenessof materials in order to recreate a kaleidoscopicworld. It isn’t restricted to a sort of naive ‘ecological’ spirit but it actually traces anew the lines scored by living. It in fact spurs everyone – the architect (i.e. the poet ) – to reflect on the very meaning of human experience. In her dialogue with materials Erika thus gives us

Testi: Lorenzo Morandotti. Traduzione in ingese: Jerry Edwards Design: Tomaso Baj, www.graficisenzafrontiere.com Foto: Claudio Scaccini e Cristiana Casotti, Amy Spadacini, Enzo Schettino, Gin Angri

GIOIA n. 43, 28 ottobre 2006

a great lesson in ethics: neither just ‘sculpture’ nor pictorial expression in its own right, her work really is experimental ‘all-round’, ‘3-dimensional’ art. As though multi-faceted and concrete – in acting, in breathing, in having an origin and a destiny – life itself. Neither flat, nor static, nor cast in aesthetic manifestations or ideologically constituted movements, yet neither anarchically open to drifting aimlessly, the procedure can be split into three phases: collection and patient selection of materials, assembly (where the intimately feminine concept of ‘weaving’ predominates, of con-

structing and recounting), and definition of a form (where ample space enables the search for harmony and refined elegance, which are never divorced however from simplicity and airiness). Underpinning everything however are always: the materials which risked being submerged and which are now saved, because they’ve been welcomed by a loving hand and the friendly brotherly action of housing them with typically feminine grace, in new modes of communication. Lorenzo Morandotti


na, i di

ativ

neg foto x130

(185 cm)

Erika Trojer - Spazio Forno Via Cinque Giornate, 3b - 22012 Cernobbio (Como)

Don

L’imponente abito-scultura realizzato con vecchi rullini di pellicole fotografiche (ritraggono la stessa Erika, che qui si rappresenta) ben riassume la poetica dell’artista. È un omaggio autoironico agli anni trascorsi nella moda.

The imposing dress-sculpture made with old reels of photo film (depicting Erika herself represented here) well sums up the artist’s poetic soul, and is a self-mocking tribute to her years spent in fashion.

www.erikatrojer.com www.spazioforno.com

Tel +39.340.73.27.896 info@erikatrojer.com


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.