Officinae Settembre 2008

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Trimestrale internazionale di attualitĂ , storia e cultura esoterica Anno XX - Settembre 2008 - numero 3


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2 Equinozio d Autunno

Anna Giacomini

42 Fossili, enigmi dal passato Silvia Braschi

4 Dalla tolleranza alla laicità Luigi Pruneti

48 L origine del mondo

Michela Torcellan

12 Gran Loggia: cento anni per le libertà Aldo A. Mola

52 Teseo e il Labirinto Aldo Mariottini

16 Era l inizio del secolo...

Luigi Pruneti

24 L Occhio di Minerva

58 In collegamento con l antichità

Margherita de Bezzi

Renata Salerno

26 Lavorare alla salute della Patria

62 Il tappeto venuto dal ghiaccio

Maurizio Cohen

Paolo Maggi

30 Il cielo stellato sopra di noi

Sandra Zagatti

36 Riproporre l ordine superiore Maria Concetta Nicolai

66 in Biblioteca

Poesia, Opera al Nero, Recensioni, Canzone perduta

72 Fregi di Loggia


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Equinozio d Autunno

iamo all equinozio d autunno dell anno 2008, i lavori riprendono forza e vigore dopo la pausa estiva, le officine rimettono in uso gli attrezzi e gli Operai della Gran Loggia d Italia degli Antichi Liberi Accettati Muratori Obbedienza di piazza del Gesù, Palazzo Vitelleschi, si accingono ad affrontare un momento di simbolica significanza. Ogni volta che un anno trascorre siamo abituati a considerare il tempo che vi ha trovato svolgimento come una fase. Ogni lustro è un momento, ogni decennio una tappa con le sue luci e le sue ombre. Oggi siamo ad un centenario. Un picco di valenze altissime perché richiede di essere valutato come una vera

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Anna Giacomini

e propria epoca. La continuità del lavoro è indiscussa, ma come alterne sono le vicende che segnano le vite umane così i momenti le tappe e i picchi nei bilanci massonici sono altrettanto impegnativi e forse anche temibili. Sono i momenti della costruttiva autocritica. Ma un autocritica implica la conoscenza della storia e la conseguente programmazione chiama fiducia nel futuro e nelle forze positive che hanno determinato gli eventi passati. Quindi ora accade che ogni Libero Muratore di questa Obbedienza debba effettuare un suo personale bilancio, da inquadrare nel più ampio scenario della vita di questi primi cento anni nati da una ricerca

estrema di libertà e di coerenza, come un parto difficile e doloroso, ma ricco di promesse. In quel momento tutta la vita in potenza di un organismo vivente si esprime nella promessa di un futuro rigoglio. Il simbolo scelto per la copertina di questo numero è quello della Sibilla Cumana, vergine profetessa che affidava al vento i propri vaticini. Può rappresentare il valore profondo della trasmissione di conoscenza che se non è raccolta da forze illuminate può sperdersi senza speranza. Ma se quella conoscenza viene raccolta forma il tracciato di un percorso lungo quanto il tempo dove gli uomini possono imparare la saggezza.


Dalla Costituzione Italiana Dei rapporti civili

Cosa sia la nostra istituzione lo dicono due grandi storici che si sono occupati della stessa nel corso dei loro studi: Luigi Pruneti nella veste di Sovrano Gran Commendatore Gran Maestro e in quella di storiografo con Aldo Alessandro Mola nella sua di attento critico di ogni fenomeno storico di cui conosce e sa ben analizzare le logiche più recondite. Ogni altro lavoro di questo numero fa da corona a questi due principali apporti che mirano a chiarire le nostre ricorrenti domande chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo . Tutta questa analisi troverà un degno spazio nel corso delle tre giornate dal 10 al 12 ottobre durante le quali a Rimini in diverse ad articolate occasioni sarà affrontata l opportunità di mettere a fuoco ogni problematica urgente nella vita dell obbedienza. Nel box abbiamo riportato il ben noto testo degli articoli n°13-18-21 della Costituzione Italiana, che ancora una volta dobbiamo ricordare quando rivolgiamo il pensiero alla dignità dell appartenenza massonica.

Art.13 -La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto. È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà. La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva. Art.18 -I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale. Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare. Art. 21 -Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l indicazione dei responsabili. In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s intende revocato e privo di ogni effetto. La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica. Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.

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so queste righe per rivolgere al Fratello Luigi Danesin già Sovrano Gran Commendatore Gran Maestro, un pensiero commosso e dolente, a nome della redazione e mio proprio, per il tragico evento che lo ha colpito. Il nostro massonico abbraccio gli giunga come volontà di sostegno e come segno di condivisione turbata. La nostra stretta di mano come una simbolica offerta di forza. Il nostro triplice bacio come il sigillo iniziatico di una indissolubile catena, le cui maglie rappresentano l amore fraterno che lega tra di loro i Liberi Muratori della Gran Loggia d Italia degli A.L.A.M, Obbedienza di piazza del Gesù, Palazzo Vitelleschi. P.2-3: Foglie, P.Del Freo, 2007, coll. priv.

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l concetto di tolleranza emerse già nella Grecia classica, a seguito della polemica sul presunto ateismo di Alcibiade e Socrate. Nell Apologia è il filosofo stesso ad indicare quali fossero le accuse di cui era imputato: Socrate [...] è colpevole di corrompere i giovani e di non venerare e non ammettere gli dei che la città venera, bensì altri esseri demoniaci nuovi1 . Sulla base di queste incriminazioni fu condannato a bere la fatale cicuta, la sua morte però non pose termine alla disputa sulla libertà di pensiero ed anzi l Ateniese passò alla storia come il più saggio degli uomini2 , vittima di un gretto oscurantismo. Le prime leggi Per trovare invece una prima legge sulla tolleranza dobbiamo spostarci nell India del III secolo a.C., dominata dalla figura di un celebre monarca, Asoka. Questi conquistò il regno di Kalinga, dopo una guerra lunga e sanguinosa. Sembra che un simile bagno di sangue lo abbia spinto ad abbracciare il Buddismo e a gestire il vasto impero attraverso il dharma, la legge morale, propria dell Illuminato, oltre a promulgare editti che stabilivano l accettazione di tutte le fedi professate nell impero. Quasi contemporaneamente nel mondo ellenistico Antioco II di Siria, Tolomeo II Filadelfo d Egitto ed Alessandro II d Epiro si accostarono al concetto di filantropia , intesa come accoglimento di qualsivoglia religione3. La differenza di credo, in sostanza, non implicava condanne morali, né risultava pericolosa per il potere4. Nel Medioevo Se i primi esempi di tolleranza sono molto antichi per trovare il termine laico5 dobbiamo giungere agli albori del Medioevo. La parola, come è noto, deriva dal greco laòs, popolo combattente, etimo ben diverso da demos, che indica soprattutto la territorialità di una genia6. Il primo ad usarlo fu papa Gelasio I (492-496), in una lettera inviata all imperatore Anastasio per perorare l autonomia dei vescovi, i Servi di Dio , egli affermava, non devono subire ingerenze e condizionamenti sul piano religioso, d altra parte sono devoti all Imperatore perché sanno che per divino potere ti fu data la podestà imperiale, affinché nelle cose temporali ogni resistenza venisse esclusa7 . Le speranze di Gelasio di separare la sfera ecclesiastica da quella laica andarono deluse tanto che una costante della storia medievale fu rappresentata dalla lotta fra papato e

impero. Secondo Guido De Ruggero una simile conflittualità servì a salvaguardare l Europa dal pericolo della teocrazia. Se egli scrive - i popoli occidentali hanno potuto sottrarsi alla stagnante teocrazia dell Oriente, ciò è dovuto alla secolare rivalità fra Chiesa e Stato, avente la sua intima ragione nel fatto che l una e l altro erano istituzioni in sé compiute e per sé sufficienti o, in altri termini, formavano già due stati autarchici. All inizio dell età moderna il conflitto è spinto alle conseguenze estreme, perché le nuove monarchie non sono più inceppate, nella loro opera unificatrice, da tutti gli ostacoli che rallentavano e arrestavano l azione dell impero medievale. Nel loro sforzo di emanciparsi da Roma esse rivendicano, a titolo di libertà, l assoggettamento delle rispettive chiese nazionali al proprio dominio; mentre Roma vi dà il nome di servitù, e considera come libertà della Chiesa il proprio diritto di supremazia e di controllo su tutte le comunità cattoliche [...] Abbiamo così da una parte, le libertà anglicane, le libertà gallicane, aspramente combattute dal papa; dall altra parte le affermazioni liberali degli ambienti cattolici [...] a cui non si può negare il merito di aver giovato ad arginare, sia pure con un arrière pensée [...] il dispotismo statale8 . Gaetano Salvemini sottolineò come nell Età di Mezzo, la divisione dei poteri, fosse perseguita dai liberi comuni9 e in un tale ambito fiorissero le prime speculazioni sull argomento. È noto il pensiero di Dante nel De Monarchia (1302 - 1303) e quello di Marsilio da Padova nel Defensor pacis (1324). Guglielmo Ockam andò oltre e negli scritti politici, rivendicò l autonomia della ricerca filosofica, giacché le asserzioni [...] che non concernono la teologia, non debbono da alcuni essere condannate o interdette, giacché in esse chiunque deve essere libero di dire liberamente ciò che gli piace . All autunno del Medioevo Infine nel XIII secolo, nell orbita imperiale, si radicò l idea di una maggiore tolleranza religiosa. Federico II ne fu un esempio, accogliendo alla sua corte saggi ebrei e musulmani e dimostrando apprezzamento per l Islam, fino ad avvalersi di una guardia saracena. Tutto questo ebbe un riscontro nella letteratura dell epoca con apologhi sulla tolleranza. Ne è un esempio il racconto delle Tre Anella, presente nel Novellino, nel Decameron10 e nello Shevet Jeuda di Salomon Ben Virga. La tesi è quella dell equivalenza delle religioni11, perché le fedi sono tre: il

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padre che le diede sae la migliore, e li figliuoli, ciò siamo noi, ciascuno si crede avere la buona 12. L età moderna Solo con l età moderna il problema della tolleranza e dei rapporti fra potere politico e fede esplose con forza devastante. La Riforma protestante e la conseguente perdita dell unità religiosa europea implicò il drammatico fenomeno del dissenso. I sovrani si trovarono, allora, a confrontarsi con minoranze eterodosse rispetto alla maggioranza dei sudditi. La prima risposta fu la repressione e l eliminazione fisica dei non allineati. La lista delle vittime fu lunga, comprendendo nomi noti come Carnesecchi, Paleario, Tommaso Moro e innumerevoli sconosciuti fra i quali gli Ugonotti massacrati a Parigi nella Notte di San Bartolomeo13. In un secondo momento però l idea di convivenza iniziò a scalfire il muro della repressione e apparve così l Editto di Nantes, firmato da Enrico IV di Borbone, il 13 Agosto del 1598. Il panorama dei difensori Contemporaneamente spiriti illuminati difendevano la libertà di coscienza e l indipendenza del potere politico dai condizionamenti del clero, di un simile avviso fu Paolo Sarpi nell Istoria del Concilio Tridentino14, mentre Galileo Galilei nella Lettera alla Granduchessa Cristina15, riprendendo le argomentazioni di Ockam, propugnò l autonomia della ricerca scientifica. Un contributo fondamentale fu inoltre offerto da Descartes con la scoperta del dubbio sistematico che ha come conseguenza diretta l io pensante , esemplificato dalla frase cogito, ergo sum . Descartes, a sua volta, incise su Spinoza (1632-1677), uno dei più strenui difensori della libertas philosophandi. Nel Tractatus theologoico - politico16 egli esplicitò il diritto alla libertà di pensiero, sulla quale lo stato non ha competenze, il potere però può essere rispettoso delle coscienze solo se non è condizionato dalle chiese, in altre parole l unico stato giusto è quello laico17. Ragioni prudenziali consigliarono a Spinoza di pubblicare anonimo il Tractatus e in effetti, per una volta, cattolici e protestanti furono concordi nell inveire contro lo sconosciuto autore: per gli uni la tolleranza era la forma più colpevole di indifferenza per gli altri la libertà religiosa [era] un dogma assolutamente diabolico perché [significava] che si [doveva] lasciare andare ciascuno all inferno a modo suo18 . Nonostante la

prudenza, il pensatore israelita fu considerato un pericoloso sovversivo: fu cacciato dalla propria comunità, costretto a rinunciare all insegnamento ed accusato di ateismo; riuscì comunque a sopravvivere, fatto inusuale per un libero pensatore del XVII secolo. In Olanda però era possibile: nel piccolo paese dei mulini a vento, infatti, la tolleranza era diventata per necessità virtù. Le Fiandre erano minacciate da vicini potenti e sul loro territorio albergavano fedi diverse: era fondamentale che vi fosse convivenza, perciò, come sottolineò il calvinista Johannes Barueth, si giunse alla coesistenza di riformati ortodossi, cattolici, luterani, mennoniti e arminiani. Furono proprio gli arminiani19 i vessilliferi dell ariastanesimo, una dottrina20 che promuoveva la libertà di pensiero e di culto. Successivamente Noodt ed altri studiosi di diritto giunsero a stabilire l impossibilità di dimostrare la superiorità di una confessione religiosa su un altra21. Si delineò in tal modo nell opinione pubblica europea l immagine di un Olanda terra di libertà, si trattò di un mito consolidato e diffuso tanto che nel XVIII secolo Pietro Giannone22, trovandosi in carcere ad Ivrea tra deserti luoghi delle langhe , inneggiava ai Paesi Bassi, emblema della tolleranza23. L Atto di Tolleranza e sue conseguenze Alla fine del XVII secolo anche in Inghilterra il Toleration Act24 introdusse il concetto di libertà religiosa. Questa fu accordata ai dissidenti protestanti, non come diritto, ma sotto forma di esenzione dalle pene previste dalla legge25. Le cause di una siffatta apertura vanno rintracciate nel latitudinarismo, una corrente dell anglicanesimo che, riprendendo il pensiero di Erasmo26, insisteva sulla difficoltà esegetica di taluni passi delle Scritture e sulla marginalità delle divergenze teologiche, le varie fedi riformate erano in definitiva come tanti raggi convergenti verso lo stesso mozzo27 . Questa posizione fu condivisa da Locke28 che nel 1689 pubblicò l Epistola sulla Tolleranza, nella quale sottolineava l inutilità della repressione, giacché il pensiero non può essere costretto o modificato con la forza. Al pari di Spinoza riteneva che la scelta religiosa afferisca all ambito della coscienza individuale, sulla quale può agire solo il convincimento, supportato dalla ragione, in altre parole l errante può essere ricondotto sulla retta via unicamente con giuste argomentazioni29. Infine Locke denunciò i pericoli impliciti in un atteggiamento intollerante, giacché il dissenso

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religioso, quando è sottoposto a vessazioni, può mutarsi in una perniciosa opposizione politica. Il pensatore inglese ritornò in seguito sull argomento30 precisando come per la fede non esiste la dimostrabilità tipica delle scienze, pertanto posizioni diverse possono essere sostenute da ragionamenti ugualmente apprezzabili, di conseguenza ogni verità è tale per qualcuno ma non è la verità in senso lato31. Locke dunque raccomandava un atteggiamento tollerante verso tutti ad eccezione di atei e cattolici32, rei questi ultimi di essere membri di una chiesa al servizio dello straniero. Gli atei invece andavano esclusi perché chi elimina dalle fondamenta la religione per mezzo dell ateismo, non può in nome della religione rivendicare a sé stesso il privilegio della tolleranza33 . Locke, insieme ad Hume, fu un esponente di spicco del contrattualismo, le cui origini vanno fatte risalire alla Magna Charta34 e al giusnaturalismo, sorto nel 1625 col De jure belli ac pacis di Ugo Grozio. Il Pensatore olandese sosteneva l esistenza di norme di diritto naturale, anteriori alla legge positiva, le quali offrivano modelli imprescindibili. Il pensiero di Grozio dette fondamento umano al potere, inoltre vincolò l attività del giurista a principi universali al di fuori dei quali non esiste legge ma arbitrio. Fra i diritti naturali, originali e inalienabili, vi sono quelli alla vita, alla libertà e alla proprietà. I contrattualisti, partendo da simili presupposti, ritenevano gli aggregati sociali, degli artifici, dovuti a una sorta di convenzione stipulata fra i vari soggetti. Lo stato, afferma Locke35, è il risultato di tale contratto, la sua funzione è quella di assicurare a tutti i diritti naturali, a loro volta i sudditi rinunciano ad alcune prerogative, insite nello stato di natura, come quella di farsi giustizia da soli. Giusnaturalismo e contrattualismo ebbero l effetto di laicizzare il concetto di stato traslandolo da un piano trascendente in un contesto immanente. L illuminismo Ai contributi degli autori inglesi, ora ricordati, si unirono quelli di altri pensatori36, sollecitati spesso dalla polemica sollevata dall intellighenzia borghese contro i nobili, reputati parassiti, moralmente degradati, coperti a un tempo [...] d infamie e di dignità37 . La citazione ora riportata è di Montesquieu, uno dei principali esponenti dell Illuminismo, con il quale il concetto

di tolleranza conobbe un ulteriore sviluppo e una capillare diffusione. Basti pensare a Voltaire che nelle Lettere filosofiche o Lettere inglesi esaltò l Inghilterra per essere la terra dove la pluralità di fedi rappresentava una garanzia per la pace e libertà. Se in Inghilterra - scriveva - esistesse una sola religione, si dovrebbe aver paura del dispotismo; se ve ne fossero due, si azzannerebbero alla gola; ma [essendocene trenta tutti ...] vivono in pace e felici38! Nel Trattato sulla Tolleranza del 1763 ritornò sull argomento, inquadrandolo in un ottica jusnaturalistica. Da ciò derivò che la norma non può prescindere dalla legge naturale: Il diritto umano non può essere fondato in alcun caso che sul diritto della natura; ed il grande principio, il principio universale dell uno e dell altro, è in tutta la terra il seguente: non fare ciò che non vorresti fosse fatto a te39 . Di conseguenza l intolleranza è un abominio: Il diritto all intolleranza è [...] assurdo e barbarico: è il diritto delle tigri, ed anzi più orribile di questo, poiché le tigri divorano per mangiare, mentre noi ci sterminiamo [per ...] semplici paragrafi40 . Ed ancora: È chiaro che qualsiasi individuo il quale perseguita un uomo, suo fratello, per il solo fatto che non è della sua opinione è un mostro41 . Nel Dizionario filosofico, fu ugualmente esplicito giungendo a definire la tolleranza la prima legge naturale: Che cos è la tolleranza? È l appannaggio dell umanità. Noi siamo tutti pieni di debolezze e di errori: perdoniamoci a vicenda le nostre sciocchezze, questa è la prima legge di natura42 . La matrice jusnaturalistica, fu presente in tutti gli illuministi, Holbach (1723-1789) teorico del sensismo e di un materialismo ateo, ne riprese alcuni aspetti e nel Sistema sociale, fece ricorso al contrattualismo ribadendo come: La società possiede dei diritti legittimi sui propri membri in ragione dei vantaggi che procura loro: ogni cittadino stringe con essa un patto tacito [...] Per poter esercitare questi diritti sui suoi membri la società deve fornire loro la giustizia, la protezione, e le leggi capaci di garantire la persona, la libertà, i beni43 . Rousseau (1712-1768) poi, ne Il contratto sociale afferma che lo Stato nasce da un atto di rinuncia alla libertà naturale a favore del Sovrano che, esercitando giustizia, incarna la volontà generale. Lo Stato però non può limitare la libertà religiosa, almeno che le opinioni dei singoli non minaccino la sua stabilità. Il principio regolatore deve

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essere pertanto quello della tolleranza: Ognuno può avere le opinioni che gli piacciono, senza che il sovrano sia autorizzato a giudicarle [...] la questione non rientra nel suo ambito44 . Il ramo italiano L Illuminismo, approdò anche in Italia dove ebbe esponenti insigni quali Cesare Beccaria (1738-1794) e Pietro Verri (17281797). Costui considerava i pensatori d oltralpe dei maestri e concordava con l autore di Dei Delitti e delle pene nel considerare l interesse pubblico come il minimo comune multiplo dei vantaggi dei singoli45. Fautore della tolleranza e della ragione, aveva una visione protoeuropeista e riteneva l ingerenza della Chiesa in politica un ostacolo al progresso sociale. Fu questa una tendenza di pensiero diffusa e condivisa, fatta propria dai monarchi illuminati, per i quali lo stato non poteva trovar limiti nell autorità religiosa, da qui la necessità di limitare l incidenza della chiesa nella società. L anticurialismo, così fu chiamato, trovò esponenti di punta in Bernardo Tanucci e nel Granduca di Toscana Pietro Leopoldo, promotore di una politica riformistica46. L anticurialismo, tacciato da Vittorio Alfieri come strumento dell assolutismo regio era alimentato in realtà dalla coscienza dei diritti della società civile, della Nazione del popolo dei credenti, [dal] desiderio d indipendenza dal dominio clericale, [dalla] aspirazione di progresso economico e civile, [dalla] cura dell elevazione del popolo e [dalla ...] tendenza alla riforma interiore, alla purificazione e all elevazione della Chiesa cattolica, a riportare il Cristianesimo verso la purezza originaria47. ________________ Note: 1 Apologia, XI, in Platone, Tutte le opere, Milano 1993, p. 30. 2 Cicerone, De Oratione, I, 54. 3 M. Adriani, Tolleranza, in Enciclopedia delle religioni, vol. V, Firenze 1973, pp. 1800 - 1801. 4 Di questo avviso fu anche Paolo di Tarso. Atti 24, 11-16. 5 Secondo Domenico Maselli Il termine laico, da cui laicismo e laicità è [...] opposto a clero, clericalismo, clericale, [...] ha una chiara valenza cristiana perché proviene dal greco laos che significa popolo [e ... le] strutture locali della cristianità primitiva erano assemblee popolari e non luoghi di ritualità culturale . D. Maselli, Relazione al VIIIl Convegno Nazionale delle comunità cristiane di base, Firenze 1999. 6 E. Tortarolo, Il laicismo, Bari 1998, p. 7; cfr. E. Benveniste, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, Torino 1976. 7 C. Rendina, I papi, storia e segreti, Roma 1999, p.

123. 8 G. De Ruggero, Storia del liberalismo europeo, Milano 1980, pp. 21 - 21. 9 G. Salvemini, Studi storici, Firenze 1901. 10 Decameron I, 3. 11 M. Adriani, Tolleranza ... cit, p. 1801. 12 Come il Soldano, avendo mestiere di moneta, volle cogliere cagione ad uno Iudeo , in Novellino e Conti del Duecento, a. c. di S. Lo Nigro, Torino 1968, p. 174. 13 24 Agosto 1572 14 Principia I, 41. 15 N. Abbagnano, Dizionario di filosofia, Torino 1968, p. 506. 16 1670. 17 Enciclopedia Garzanti di filosofia, Milano 1995, p. 1094. 18 R. H. Bainton, La Riforma protestante, Torino 1958, p. 194. 19 Erano i seguaci del teologo Jacobus Arminius 20 Dottrina concepita da Tommaso Erasto (1524 1583) 21 A. Rotondò, Tolleranza, in L Illuminismo, dizionario storico, Bari 1997, p. 71. 22 L. Salvatorelli, Pensiero e azione del Risorgimento, Torino 1977, p. 31. 23 A. Rotondò, Tolleranza ... cit, p. 72. 24 Maggio 1689. 25 A. Rotondò, Tolleranza ... cit, p. 68. 26 R. H. Bainton, La Riforma protestante ... cit, p. 198. 27 Ibidem, p. 203. 28 Così nella Prima Lettera sulla Tolleranza del 1689. 29 Terza Lettera sulla Tolleranza, 1692. 30 1692. 31 Prima Lettera sulla tolleranza, 1689. 32 La cui emancipazione si ebbe solo nel 1829. A. Rotondò, Tolleranza ... cit, p. 698. 33 U. Nicola, Antologia di filosofia, Colognola ai Colli 2000, p. 279. 34 La Magna Charta fu promulgata da Giovanni d Inghilterra a Runnymede, il 15 Giugno del 1215. 35 Trattati sul governo (1690). 36 Gli Illuministi Francesi, a. c. di P. Rossi, Torino 1977, p. 19. 37 Esprit des lois, XVIII, 7. 38 Gli Illuministi Francesi, ... cit, p. 71. 39 Ibidem, p. 110. 40 Ibidem, p. 110. 41 U. Nicola, Antologia di filosofia ... cit, p. 296. 42 Gli Illuministi Francesi, ... cit, p. 112. 43 Ibidem, p. 294. 44 Ibidem, p. 345. 45 L. Salvatorelli, Pensiero e azione del Risorgimento ... cit, p. 48. 46 Ibidem, p. 41. 47 Ibidem, p. 45.

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P.4 e 5: Allegoria della Pace, affresco di Ambrogio Lorenzetti; p.6: Cavaliere con la mano sul petto, El Greco, olio su tela, 1580, Prado, Madrid; p.7: San martino, El Greco, olio su tela, ibid; p.8 e 9: Due dipinti di J.A.D. Ingres, Louvre; p.10 e 11: artcollages contemporanei.

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a costituzione della Serenissima Gran Loggia d Italia ha motivazioni storiche profonde che ne spiegano la storia ormai secolare. Per comprenderle occorre in primo luogo risalire alla costituzione del Supremo Consiglio del Rito Scozzese Antico e Accettato in Italia, formato a Parigi il 16 Marzo 18051. Come è noto - e sul punto non vi sono obiezioni - fu il Supremo Consiglio a dar vita alla Dieta Generale o Grande Oriente d Italia. Il Rito Scozzese affermò in tal modo la sua primogenitura nei confronti dell Ordine, ribadita nei decenni seguenti, a cominciare dalla pubblicazione degli Statuti Generali della Società dei Liberi Muratori del Rito Scozzese Antico ed Accettato stampati a Napoli nel marzo 1821, ma solitamente detti del 1820 da quanti non sanno decifrare neppure le datazioni massoniche2. Il Libro d Oro del Supremo Consiglio per la Giurisdizione del Regno d Italia compilato su direttiva3 di Ferdinando Ghersi, che ne datò la premessa il 5 Settembre 1868, ribadisce la precedenza del Rito rispetto all Ordine, come del resto bene sapeva Giuseppe Garibaldi. Questi accettò la carica di Sovrano Gran Commendatore e Gran Maestro del Grande Oriente sedente in Palermo (1862) proprio perché gli venne conferita da chi era titolato a farlo per la sua posizione nel Rito4. Queste premesse sono indispensabili per comprendere i travagli della Libera Muratoria in Italia prima e dopo il Convento scozzesista (e il Trattato) di Losanna che nel 1875 certificò l esistenza di due Supremi Consigli, uno, sedente in Torino, riconosciuto legittimo dai Supremi Consigli colà radunati, l altro, con sede a Roma, incorporato nel Grande Oriente sorto tra il 1861 e il 1862, senza alcuna continuità diplomatica con quello del 1805. Tale divaricazione durò sino a quando alcuni Grandi Ispettori del Supremo Consiglio sedente in Torino nel 1887 rico-

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nobbero Adriano Lemmi quale Sovrano e Gran Maestro, in un contesto storico irripetibile: occorreva far quadrato a difesa della monarchia quale garante dell unità nazionale e dello Stato. L anno prima il presidente del Consiglio, esponente della Sinistra storica, democratico e massone Agostino Depretis aveva lasciato intravedere l opportunità della conciliazione silenziosa con la Santa Sede. Pareva che i capisaldi ideali del Risorgimento stessero per esser messi in discussione. Solo l unità del Supremo Consiglio e della famiglia massonica, come più volte ripetuto da Garibaldi, avrebbe tratto con sé quella dell Italia e, conseguentemente, la democrazia. La formazione del nuovo Supremo Consiglio unitario mirò anche a preservare la famiglia massonica dalle contaminazioni delle spicciole vicende partitico-parlamentari. Proprio mentre elevava la Massoneria a partito dello Stato Lemmi volle e seppe tenerla al di sopra dei partiti che, disse presago in una solenne Balaustra del 1892, scorrono verso le fogne . Di lì il suo pieno convinto appoggio a Francesco Crispi secondo il quale in 33 anni di regno abbiamo completato l unità materiale; ma non abbiamo iniziato l unità morale, né educato il popolo alla nuova vita. Questo popolo ereditò i vizi del dispotismo, contrasse i vizi della libertà, che gli tolsero, o per lo meno impedirono, la formazione della coscienza della patria (ad Adriano Lemmi, Napoli, 18 luglio 1892)5. Perciò Lemmi divenne bersaglio dell offensiva di sedicenti democratici, decisi a prendere sotto controllo la vita politica. È documentato ch essi erano eterodiretti da ambienti radicali francesi. La lotta contro Crispi passò attraverso l offensiva contro Lemmi e raggiunse l acme quando Ernesto Nathan nell ottobre 1895 comunicò a Lemmi che non avrebbe più partecipato alle sedute della Giunta di governo dell Ordine sino a quando non avesse veduto chiaro nelle accuse contro il F(ratello) Francesco Crispi 6. Il lunedì seguente, 28 Ottobre (anniversario della vittoria di Costantino su Massenzio e di altro ancora...), Lemmi presiedette la Giunta di Governo del Grande Oriente per l ultima volta. Poi mise a disposizione la carica di Gran Maestro, ma conservò quella di Sovrano Gran Commendatore: sino alla morte (maggio 1906). Il suo successore, Ernesto Nathan, arrivava da una lunga serie di vicende politiche sfortunate.In primo tempo si mosse con prudenza ma nel 1902 ebbe la leggerezza di offrire una sorta di tutela a Giovanni

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Giolitti, ministro dell Interno e uomo forte del governo presieduto da Giuseppe Zanardelli, massone abbastanza assiduo. Con modesto senso del peso elettorale della rete liberomuratoria italiana, Nathan si spinse a chiedere a Giolitti di trasmettergli le circolari sulla beneficenza: una grossa mancanza di sensibilità politica. Come noto, nel novembre 1903 Nathan fu costretto alle dimissioni per la condotta nel processo Murri. Per la seconda volta in otto anni la Gran Maestranza risultò esposta a venti tempestosi, dall esterno e dall interno. Neppure Lemmi aveva davvero unificato le famiglie massoniche attive in Italia e nelle sue colonie. Dal 1890 visse un logorante calvario di polemiche velenose. A Nathan andò peggio. Dal 1898 un consistente gruppo di Logge, guidato da Malachia De Cristoforis dette vita al Grande Oriente Italiano, riconosciuto sul tamburo dal Grande Oriente di Francia, che si identificava con gl interessi politico-militari del governo nazionale (era l anno del duro confronto militare franco-britannico a Fashoda, della guerra tra U.S.A. e Spagna per Cuba, dell indipendenza delle Filippine, dell acquisto delle isole Marianne da parte della Germania,

della fase acuta dell affaire Dreyfus in Francia, dell insorgenza di Milano e Pavia, seguita da arresto di socialisti, repubblicani, radicali, anarchici e del prete don Davide Albertario). In Francia a lungo il Grande Oriente di Francia tacque sul caso Dreyfus per non farsi inchiodare tra i nemici della patria , accanto a socialisti, ebrei e ugonotti o protestanti). Anche in Italia il Grande Oriente non tenne una linea politica chiara: doveva risultare leale verso le istituzioni ma era tentato dalla rivoluzione; teneva a essere considerato bastione dello Stato ma, sotto influenza di tardomazziniani e protosocialisti, inseguiva ( a sinistra ) i fratelli che sbagliano , cioè i radical-repubblicani, con venature di internazionalisti, come poi dichiarò Enrico Bignami. Non bastasse, venne messa allo studio la compilazione di un duplice elenco degli affiliati, in vista di ispezioni di polizia e sequestri. La scissione del Grande Oriente Italiano, collegato alla Federazione Massonica Indipendente, fu ricomposta nel 1905 da Ettore Ferrari, Gran Maestro del Grande Oriente d Italia dal 1904: ma a un prezzo altissimo. In primo luogo la rete di Logge del Grande Oriente Italiano fu incorporata

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senza verifica dei suoi affiliati: (tutt oggi il loro repertorio effettivo costituisce un buco nero nell informazione sulla storia della Massoneria); inoltre Malachia De Cristoforis, Pilade Mazza e i loro stretti collaboratori esercitarono una forte pressione sul Grande Oriente d Italia, attraverso l azione a tenaglia di Logge che imponevano il triplice giuramento antimonarchico, antimilitaristico e anticlericale e chiedevano immediate onerose riforme sociali e interventi su materie estranee ai principi costitutivi della Massoneria. Nel 1906 le Costituzioni del Grande Oriente furono modificate, suscitando in primo tempo forti riserve da parte di Adriano Lemmi. L articolo 1° affermò che la Massoneria persegue il principio democratico nell ordine politico e sociale . Sembrò un gran passo avanti; invece era una deviazione lungo i viottoli della politica politicante . Iniziazione e Tradizione non rimano affatto con democrazia né con l oclocrazia, il dominio della piazza, gli scioperi generali e gli altri ingredienti della rivoluzione . A logorare la Famiglia massonica italiana concorsero tre fattori sinora sottovalutati o addirittura ignorati dagli studi. In primo luogo, durante la Gran Maestranza Nathan le iniziazioni balzarono d un tratto

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dalle 3-400 annue a oltre 2.000, con picchi di 2.500, 3.000 e oltre. Chi mai tegolava e quali Maestri formavano la miriade di nuovi adepti? Non solo la quantità ebbe la meglio sulla qualità, ma i nuovi iscritti irrompevano in Loggia col bagaglio dei propri umori e preconcetti politici, con la loro visione militante della Massoneria. Le Luci non furono in condizione di fronteggiare il cambio generazionale, né di plasmare chi si attendeva l ascesa al terzo grado nel volgere di tre anni al massimo, seguita da rapidi ascese lungo la scala scozzese (IX, XVIII, XXX...), ma puntava dichiaratamente ad abolire i Rituali. Le cronache narrano di tenute di Loggia alle quali ci si presentava senza paramenti e persino con gli abiti d ufficio (i militari vi andavano in divisa). In secondo luogo, in netto contrasto con il corso politico accelerato dal settembre 1904, Ferrari puntò sull alleanza tra democratici, radicali e socialriformisti, proprio mentre i liberali miravano invece alla conciliazione silenziosa con la Chiesa in cambio della collaborazione dei cattolici e del clero, altrettanto tacita, in nome della tenuta dello Stato, senza concessioni ai clericali: obiettivo vitale dopo il regicidio del 29 Luglio 1900. In Italia nessuna corrente della maggioranza governativa

aveva in progetto leggi contro le congregazioni religiose paragonabili a quelle varate in Francia nel 1905 dal governo presieduto da Emile Combes: una vera e propria persecuzione laicistica di cui Marianne si pentì quando neppure dieci anni dopo si trovò ad affrontare l Impero di Germania e dovette ricorrere ai fedeli di Giovanna d Arco. In Italia fu invece il Grande Oriente di Ettore Ferrari ad esasperare problemi che per la maggioranza parlamentare non esistevano affatto: l introduzione del divorzio (seccamente bocciata da Giolitti sin dal 1903, malgrado l iniziale favore del re stesso) e il divieto dell insegnamento religioso nella scuola elementare (che Giolitti riteneva fosse da impartire a richiesta delle famiglie in luoghi e ore e da insegnanti stabiliti scelti dalla pubblica amministrazione). Infine il successo del blocco popolare a Roma fece perdere il senso della realtà a Nathan, neosindaco della Capitale alla guida di una coalizione socialista-radicale-liberalprogressista, subito contrassegnata da avversione dichiarata nei confronti della chiesa cattolica, con punte di preoccupante aggressività verbale nei confronti di papa Pio X, proprio il pontefice che dal 1904 aveva autorizzato l ingresso di cattolici alla Camera dei deputati, accelerando la svolta politica guidata da Giolitti. Ferrari, Nathan e i maggiorenti del Grande Oriente ritennero che il caso Roma , ove il Grande Oriente contava orgogliosamente su circa 250 affiliati inseriti nel Pubblico Impiego e nella Sanità, fosse duplicabile in tutto il Paese e che bastasse disporre di una piccola rete di notabili e impiegati in alcune città importanti e alcune regioni per tenere sotto controllo Governo, Amministrazione Pubblica, società civile , vita economica... Fu un errore catastrofico di valutazione. L Italia andava in direzione esattamente opposta, come si vide con i progetti di riforma elettorale sia a proposito del Senato (che Luigi Luzzatti nel 1910 propose fosse almeno parzialmente elettivo) sia della Camera: un percorso coronato nel 1912 dall introduzione del suffragio universale maschile, voluto da Giolitti. Il Grande Oriente non previde affatto le conseguenze della sua applicazione (1913) e se le nascose buttandosi a capofitto a favore dell intervento nella Grande Guerra (191415). Continuò a non vederle nel dopoguerra, sino alla doccia gelata del 1925. Nathan, di buona cultura ma privo di vero senso politico, non capì che l amministrazione


capitolina poteva varare provvedimenti economici e sociali onerosi solo perché il governo Giolitti per anni aveva messo e continuò a mettere a disposizione di Roma somme ingenti per farne una capitale dal volto moderno o meno arcaico7. Quarto, e determinante, fattore di accelerazione della crisi precipitata nel conflitto del giugno-luglio 1908 all interno del Supremo Consiglio scozzesista fu la pretesa del Rito Simbolico Italiano di ridimensionare il Rito Scozzese Antico e Accettato imponendo l unificazione dei Riti ovvero, in altre parole, la cancellazione della Tradizione: una operazione che poteva stare bene a Ettore Ferrari, ma venne respinta, come noto, da Saverio Fera e da un ampio e qualificato numero di componenti del Supremo Consiglio, come abbiamo più volte documentato. Nel 1909-1910 in veste di Sindaco di Roma Nathan pronunciò parole al vento contro il papa e la Santa Sede, dimentico che molti Stati, e non tutti cattolici, avevano relazioni diplomatiche con il Vaticano. La Massoneria italiana rischiò di naufragare nel vortice dei propri errori. Se ne ebbe conferma nel 1911 quando il Grande Oriente annullò il Congresso mondiale indetto per il cinquantenario della proclamazione del Regno. Del resto troppi suoi affiliati non avevano chiaro se si celebrasse Mazzini o Vittorio Emanuele II, l Italia o una sua esigua minoranza. Il risultato fu quello autorevolmente descritto da Luigi Pruneti in opere che fanno testo8 e alle quali pertanto rinvio. Il 21 Marzo 1910, come già era avvenuto nel 1805 il Supremo Consiglio capitanato da Saverio Fera dette vita alla Serenissima Gran Loggia. Contrariamente a quanto è stato asserito, la svolta del 1908-1910 ebbe conseguenze molto negative per il Grande Oriente9, che si trovò al di fuori del circuito dei Supremi Consigli: Se ne videro le conseguenze all indomani della Grande Guerra e anche nel mancato riconoscimento del Grande Oriente d Italia dell esilio (1930 e ss.) sia da parte della Gran Loggia Unita d Inghilterra sia dalla pur democratica Associazione Massonica Internazionale. Per contro i nomi dei componenti del Supremo Consiglio capitanato da Fera risultano di notevole prestigio: il già presidente del Consiglio Sandrino Fortis, Giovanni Camera, Giovanni Francica-Nava, Camillo Finocchiaro Aprile, Umberto Giordano Amari, Francesco Paternò, Guglielmo Burgess, Enrico Presutti, Giovan Battista Ame-

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glio, Vittorio Raul Palermi...10. Il 1908 fa dunque da spartiacque nella storia della Massoneria in Italia. Tempo è venuto di conoscerne meglio origini e conseguenze. ________________ Note: 1 V. Aldo A. Mola, Supremo Consiglio. Un giallo di agevole soluzione, in Nuova Antologia,n.2234, aprilegiugno 2005, pp.242-51 e nel volume del Bicentenario del Supremo Consiglio del R.S.A.A. Della fondamentale correzione, che non è solo questione di geografia ma di storia, non si trova traccia nelle pubblicazioni promosse dal Grande Oriente d Italia dal 2005 a oggi. 2 Gli estensori, Domenico Gigli, Tommaso Mazza e Orazio De Attelis collazionarono il testo per la stampa alla minuta il 23° giorno del 12° mese dell anno di V.L. 5820, all Oriente di Napoli, vale a dire il 23 febbraio 1821, quando il corpo di spedizione austriaco stava irrompendo nel Regno delle Due Sicilie per abolirvi la costituzione e annientarvi massoni e carbonari. 3 Le schede dei singoli componenti sono in parte di pugno di Ghersi, in parte di altra mano. È auspicabile una sua edizione critica. 4 Lo rilevarono già Alessandro Luzio e Pericle Maruzzi, mentre non se ne trova traccia in Sergio La Salvia, Garibaldi e la Massoneria, in Giuseppe Garibaldi: nuovi documenti e nuove interpretazioni, Rassegna storica del Risorgimento, anno XCIV, numero speciale per il bicentenario della nascita di G.G, pp.78-97. 5 Aldo A. Mola, Adriano Lemmi. Gran Maestro della Nuova Italia (1885-1896), Roma, 1985. Gli atti del convegno svolto all Archivio Centrale dello Stato nel centenario della morte di Crispi (2001) sono ancora in corso di stampa. Sul massonismo di Crispi rischia di scendere nuovamente l oblio.

6 Ne ha scritto ripetutamente Luigi Pruneti, tra le cui opere v. in specie La sinagoga di Satana. Storia dell antimassoneria 1725-2002, Bari, 2002. 7 v. Giovanni Giolitti al Governo, in Parlamento, nel Carteggio a cura di Aldo A. Mola e Aldo G. Ricci, Foggia, voll. 2, 2007-2008 in specie il vol. 2, tomo I, L attività amministrativa, 2007. 8 Luigi Pruneti, La tradizione massonica scozzese in Italia. Storia del Supremo Consilio e della Gran Loggia d Italia degli A.L.A.M. Obbedienza du Piazza del Gesù dal 1805 ad oggi, Roma, 1994. Originariamente la Gran Loggia era Serenissima , come si legge nell Elenco dei corpi massonici regolari di Rito Scozzese Antico ed Accettato dipendenti dal Supremo Consiglio dei 33\ e dalla Serenissima Gran Loggia per la Giurisdizione d Italia e delle sue Colonie (Gr\Or\ di Roma, nella valle del Tevere, li 13 giugno 1910, E\V\). 9 F. Conti afferma che la scissione del 1908 non ebbe conseguenze particolarmente negative sul Grande Oriente d Italia perché esso fino alla vigilia della prima guerra mondiale conobbe un notevole ritmo di crescita... (Massoneria e sfera pubblica nell Italia liberale,1859-1914) in AA.VV, La Massoneria, a cura di G.M. Cazzaniga, Torino, 2006,p 607. Al riguardo basti osservare che il Partito Nazionale Fascista raggiunse il tetto degli iscritti alla vigilia del 25 Aprile 1943. Il numero non è affatto potenza. 10 Rinviamo ai documenti pubblicati nella nostra Storia della Massoneria italiana, Milano, sin dal 1992, poi 1994 (e ristampe seguenti), tratti dall Archivio di Stato di Spagna, Sezione Guerra Civile, Salamanca.

P.12: Filippo IV (part.), Velasquez, olio su tela, 1624, Louvre, Paris; p.13 e 15: Il tempio Nazionale della G.L.D.I. a Roma (foto P.Del Freo); p.14: Ritratto di Saverio Fera, Roma.

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el 1895 il Grande Oriente d Italia stabilì che il successore di Adriano Lemmi fosse un figlio della R.L. Propaganda Massonica: il Fratello Ernesto Nathan. Colto, carismatico, deciso e abile diplomatico, pur essendo stato iniziato solo nove anni prima, il nuovo Gran Maestro parve alla maggior parte dei Fratelli, la persona giusta per pilotare l Ordine in un momento difficile. Appena eletto egli si rivolse a tutte le 141 Officine della Comunione con una circolare nella quale esaminava la situazione massonica ed illustrava il suo programma. Convinto, come il suo predecessore, che la Libera Muratoria fosse un vettore di progresso culturale, sociale e politico, Nathan riteneva indispensabile impegnarla in una lotta senza quartiere contro le forze oscurantiste di matrice clericale, da sempre nemiche del Regno. Con uguale fermezza condannava il socialismo rivoluzionario di Marx, considerato la negazione di qualsivoglia istanza spirituale: il socialismo, o almeno quella più notoria forma che tale afferma di essere, per la logica del programma dato in pasto alle plebi e per le passioni che per esso si scatenano, deve inoltrarsi nella via della violenza; deve separarsi da ogni uomo, da ogni principio che potrebbe incepparlo nella conquista della lotta di classe, finalità a cui è votato; deve divorziare da ogni idealità che non sia quella: isolarsi nella religione del benessere e riassumere i dieci comandamenti [...] in uno solo: Vi è un solo Iddio, il benessere; [...] a lui tutto sacrificherai [...] tutto fuorché gli averi . Valutando la pericolosità degli avversari il Grande Oriente, sentinella del vivere civile e democratico, doveva attrezzarsi per affrontare vittoriosamente le future battaglie. In questa ottica, nel Novembre del 1899, si statuì una regola in palese conflitto con uno dei principi basilari dell Istituzione: l obbligo per i Fratelli con incarichi pubblici di seguire le direttive del governo massonico. Questo orientamento si accentuò quando, a seguito delle dimissioni di Nathan, nel Febbraio del 1904, divenne Gran Maestro Ettore Ferrari. Il nuovo timoniere era un fervente repubblicano, vicino a Felice Cavallotti ed impose al G.O.I. una rotta radicaleggiante. Inoltre, alla fine dello stesso anno, per riassorbire le trentasei Logge della Federazione Massonica di Milano, riconosciuta dal Grande Oriente di Francia, si deliberò di ridurre i tributi, di

rivedere la dicitura Alla Gloria del Grande Architetto dell Universo , di semplificare le formalità rituali e di implementare l attività politica. Queste istanze furono ratificate nell Assemblea del 1906 ove, in un clima di esasperato anticlericalismo e di miopia storica s imboccò definitivamente la via dell impegno ideologico affermando che in Italia la Massoneria segue l indirizzo democratico nell ordine politico e sociale . In virtù di ciò chi non si fosse conformato accordandosi, per esempio, con i cattolici per fini elettorali, rischiava provvedimenti disciplinari. Ettore Ferrari, per chiarire le idee a tutti i Fratelli, diramò una Balaustra dai toni intimidatori: La Massoneria pur riconoscendo la piena autonomia dei FF. per la loro singolare azione in seno dei partiti politici, non consente nessun atto che implichi dedizione o transazioni con tendenze clericali o reazionarie [... è] vietato, anche nelle forme più indirette, qualsivoglia com-

promesso con i clericali . Ciò comportò l immediata espulsione di alcuni iscritti, rei di aver cercato l appoggio dei cattolici per le elezioni amministrative svoltesi a Torino; un siffatto provvedimento non fu accettato da tutti e Antonio Cefaly, per protesta, il 29 Gennaio 1906, rassegnò le dimissioni. Si trattava di un sintomo significativo che avrebbe dovuto imporre prudenza, ma non fu così. Anzi la percezione di una spaccatura spinse il vertice del G.O.I. ad accelerare la corsa lungo il sentiero della politicizzazione. Cosicché nella riunione del 25 Maggio 1907 il Gran Consiglio dell Ordine approvò quanto segue: Riconosciuto che la Massoneria italiana, per fatalità storica, ha sempre dovuto e deve tuttavia svolgere la sua maggiore attività in un azione essenzialmente politica, intesa ad opporsi alle correnti reazionarie che, alimentate dallo spirito clericale, ostacolano ed insidiano la sociale evoluzione del nostro paese [...] delibera [...] che tutte

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le Logge della Comunione Italiana debbono occuparsi di tutte le questioni interessanti la vita politica del paese . Inoltre, come da programma, si cominciò a ripensare alla ritualità, considerata un fantasma inutile e datato. Per far questo si riteneva essenziale unificare i Riti. La questione era comunque delicata, Nathan nutriva, ad esempio, dubbi e perplessità sulla bontà dell operazione, giacché temeva che ad un eventuale fusione seguissero lacerazioni di ogni genere. La prudenza dell ex Gran Maestro era condivisa da molti, tanto che si decise di procedere per gradi, attivando in primo luogo una commissione che studiasse il problema e, secondo una già consolidata tradizione nazionale, lo relegasse nel limbo dei progetti abortiti. Mentre la Massoneria viveva questo momento, a dir poco confuso, esplose la questione dell insegnamento religioso. Si trattava di un problema di antica origine, dovuto in gran parte al farraginoso ordinamento in materia. La Legge Casati, infatti, prevedeva che l educazione religiosa fosse obbligatoria nelle scuole elementari, ma il testo era ambiguo e l art. 325 contemplava che il parroco, ogni semestre, verificasse la preparazione degli scolari. Dopo la conquista di Roma, sulle ali di un rinnovato laicismo, una circolare del ministro Cesare Correnti, stabiliva che l insegnamento religioso fosse impartito, in giorni ed ore predeterminate solo agli alunni che lo avessero espressamente richiesto. Un anno dopo, il 12 Luglio 1871, il Segretario Generale Cantani confermò il provvedimento, aggiungendo che i comuni potevano ricorrere, per la docenza, ai maestri ordinari o a persone ritenute idonee. La Legge Coppino, entrata in vigore il 15 Luglio 1877, aggiunse nuova confusione perché, invece di menzionare il catechismo, introduceva le prime nozioni dei doveri dell uomo e del cittadino . Ci si domandò se il nuovo ordinamento fosse un integrazione della Legge Casati e se i comuni fossero, tuttavia, tenuti a rispettare la volontà dei genitori cattolici. Una sentenza del Consiglio di Stato del 17 Maggio 1878 si pronunciò per la vigenza della legislazione del 59 e per l onere da parte dei Municipi d impartire l insegnamento religioso. Dieci anni più tardi, il Regolamento Generale del 16 Febbraio 1888, limitò l obbligatorietà ai soli alunni i cui genitori ne avessero fatto esplicita richiesta, tale principio fu confermato dal


nuovo Regolamento del 1895. Nonostante ciò il Consiglio Comunale di Milano, il 26 Novembre 1902, deliberò di eliminare l insegnamento della religione e, per opporsi al successivo annullamento prefettizio, ricorse al Consiglio di Stato che, l 8 Maggio 1903, ribaltando la sentenza precedente, determinò il tacito annullamento dell ordinamento Casati a seguito della Legge Coppino. Nella stessa sentenza si richiamava l attenzione del governo sulla necessità di porre ordine in una materia così delicata. Fu a questo punto che il 21 Febbraio 1907 l onorevole Leonida Bissolati presentò in Parlamento la seguente mozione: La Camera invita il Governo ad assicurare il carattere laico della scuola elementare, vietando che in essa venga impartito, sotto qualsiasi forma, l insegnamento religioso . Giovanni Giolitti prese tempo, rimandando la votazione all approvazione del bilancio della Pubblica Istruzione. Frattanto, nel febbraio del 1908, il Governo si riunì per ottemperare alle richieste del Consiglio di Stato. Si risolse la questione facendo riferimento alla volontà dei singoli comuni; quelli favorevoli all insegnamento religioso avrebbero provveduto alle spese, gli altri, invece, si sarebbero limitati a fornire i locali ai genitori che ne avessero fatto richiesta i quali, in accordo con il Consiglio scolastico provinciale, avrebbero scelto l insegnante. La mozione Bissolati andava comunque discussa e l Avanti! affermava che essa avrebbe posto ogni parlamentare davanti ad una scelta: O vota pel regolamento e i preti del Collegio lo buttano a mare o vota pel catechismo e Giolitti segna il suo nome nelle tavole di proscrizione 1. Il Gran Maestro visse quel particolare momento politico come se fosse una questione personale. Posseduto da un demone anticlericale, stabilì che la Mozione Bissolati andava appoggiata senza riserve e creò una commissione per seguire da vicino l evolversi della situazione, mentre una circolare fu inviata a tutti i Fratelli Onorevoli affinché si allineassero sulle posizioni radicali di Bissolati e facessero opera di convincimento presso i colleghi che avevano fatto parte della Comunione. Finalmente si arrivò alla discussione in aula che si protrasse per dieci giorni. Il problema, in effetti, non era da poco e Anna Kulisciof, in un italiano incerto, lo definì come la questione più grossa e piena di sorprese, che da anni non si presentava alla Camera nulla di analogo . Fra le diverse posizioni assunte durante il dibat-

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tito, fu interessante quella di Giolitti, che rivendicò il merito di avere conciliato le esigenze di tutti, lasciando la più ampia libertà a genitori, insegnanti e comuni. Numerosi Deputati apprezzarono l azione del Governo, sottolineando come si fosse fatto un passo in avanti sulla via della laicità, e fecero capire che lo avrebbero appoggiato; in tal senso si espressero Giovanni Camera e Leonardo Bianchi, mentre Emilio Faelli fu ancora più esplicito. Infine si giunse al responso dell urna che bocciò clamorosamente la mozione, respinta con solo sessanta voti a favore, un identica fine fece poi l emendamento presentato dallo zanardelliano Vittorio Moschini2 che, pur mantenendo i contenuti della proposta Bissolati, ne attenuava i toni. L esito della votazione fu una sconfitta per Ettore Ferrari e scosse il mondo massonico fin dalle fondamenta. Di conseguenza, il 4 marzo, si riunì la Giunta dell Ordine per esaminare il comportamen-

to dei Fratelli Deputati che avevano disatteso gli ordini di scuderia. Trincheri chiese il deferimento dei suddetti agli organi giudiziari Massonici, la sua iniziativa, però, fu accolta tiepidamente. Israele Ottolenghi espresse dubbi su atteggiamenti inquisitoriali, come pure Giovanni Albano che difese gli inquisiti perché non si affermarono affatto in favore dell insegnamento religioso, [...] ma affermarono soltanto la loro fiducia in un governo che non negava il principio della scuola laica ma proponeva un temperamento . Lo stesso Gran Maestro sollevò perplessità sul perseguire Fratelli che avevano reso grandi servigi alla Massoneria, solo due giorni dopo, tuttavia, gli eventi presero una piega imprevista e, in una nuova riunione, si invitò il Grande Oratore a presentare formale e regolare accusa contro i Fratelli deputati che votarono contro l emendamento Moschini ; si chiese inoltre al Gran Maestro l applicazione

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nei loro confronti dell articolo 127, che ne prevedeva la radiazione. A questo punto le decisioni della giunta furono inviate al Luogotenente del Rito Scozzese Antico ed Accettato che, da quando Achille Ballori aveva dato le dimissioni da Sovrano, ne svolgeva le funzioni. Era costui il cinquantottenne calabrese, Saverio Fera, pastore protestante, contrario alla politicizzazione della Massoneria che doveva mantenersi lontana dal potere, in quanto essa non è un partito politico, non ha neanche ragione a sfruttare l odierno movimento di trasformazione sociale, per allargare le sue influenze o per conquistare il potere . Per questo motivo era considerato uno dei leader degli spirituali , timorosi che l anticlericalismo si trasformasse in ateismo e contrari ad assumere posizioni estremiste. Fera, insieme agli altri membri del Supremo Consiglio, aveva esaminato il progetto per l unificazione dei Riti, elaborato dalla commissione istituita nel 1906 ma, mentre il Rito Simbolico lo aveva approvato, lo Scozzese, dopo quattro mesi di lavori, lo respinse, allineandosi sulle tesi di Giovanni Camera e dello stesso Saverio Fera. Ciò suscitò le ire del Sovrano Gran Commendatore, Achille Ballori che, favorevole all unificazione, rassegnò le dimissioni per protesta. Fera, da Luogotenente, si trovò così al vertice del Rito Scozzese e, in tal veste, esaminò la richiesta di procedere contro i Fratelli Deputati che avevano disatteso le indicazioni del Governo dell Ordine. Dopo una pausa di riflessione egli convocò il Supremo Consiglio che respinse l istanza, con la motivazione che ciascuno aveva diritto di manifestare col voto il proprio pensiero in omaggio al principio cardinale della vera e sana libertà che vuol rispettata in ogni Fratello la più larga manifestazione della sua coscienza e delle sue azioni . Pertanto il perseguire i Fratelli Deputati sotto accusa era lesivo del diritto [...] di votare secondo la loro coscienza e il loro criterio politico . A questo punto iniziò a delinearsi una frattura fra l Ordine e i vertici dello Scozzesismo. Il 27 aprile, nel corso di un Assemblea, il Gran Segretario del Grande Oriente, oltre a ribadire l intendimento di procedere contro i deputati rei di non aver appoggiato l emendamento Moschini, rivendica esclusivamente al Gran Maestro e al Governo dell Ordine la competenza e l autorità di determinare i lavori massonici . Pertanto in quella stessa riunione si arrivò a deliberare che Il Governo dell Ordine

[provvede] affinché si proceda nelle vie ordinarie a carico di quei FF\ deputati accusati di aver mancato ai loro doveri massonici . Nella stessa riunione si dette lettura di un ricorso inviato al Gran Maestro da dieci membri del Supremo Consiglio che contestavano l operato di Fera, affermando che egli aveva abusato del proprio potere e si chiedeva la convocazione immediata di tale organismo, in tutte le sue componenti per procedere all elezione del Sovrano Gran Commendatore. Si giunse così alla convocazione del 24 Giugno 1908; l assemblea indetta per le dieci del mattino si mostrò subito agitatissima. Ettore Ferrari, Achille Ballori ed Ernesto Nathan sollevarono problemi procedurali e formali, lamentando fra l altro la sospensione immotivata di alcuni fratelli, per questo la Tornata fu aggiornata al pomeriggio e poi rimandata a data da destinare col Decreto n. 106. La minoranza contraria al Fera, però, si riunì comunque ed elesse un nuovo Sovrano nella persona di Achille Ballori; la divisione era ormai operante e il giorno 26 Saverio Fera, col Decreto 107, dichiarò illegale l elezione di Ballori e delle nuove cariche. La notizia ebbe un immediata eco sulla stampa, che sottolineò come il blitz dei seguaci di Ferrari e di Ballori avrebbe avuto come conseguenza quella di iniziare processi a carico dei deputati che votarono contro l emendamento Moschini e l esito dei processi si può prevedere fin d ora, sarà l espulsione dall ordine massonico dei detti deputati . A nessuno sfuggiva, poi, come la frattura fosse insanabile e, in effetti, l 8 luglio Fera emanò da Firenze un decreto col quale dichiarava arbitrario e giuridicamente insussistente il gruppo di Ferrari-Ballori, rivendicando per sé ed i suoi seguaci la regolarità massonica. Con l animo addolorato ma con la coscienza di compiere un dovere, invio a voi tutti copia del Decreto con cui vengono dichiarate risolte le Costituzioni del 1906 e sciolto il Grande Oriente. Con ciò il nostro glorioso Rito riacquista la sua indipendenza, cosa che per altro non impedirà al S.C. di stringere o autorizzare caso per caso, accordi con le Rispettabili potenze dirigenti il Rito Simbolico italiano per eventuali azioni nel mondo profano [...] Questo attenua, non elimina il dolore nostro nell emanare il grave provvedimento, risultato di ben mature e ponderate decisioni del S\ C\ dei 33\ . Cinque giorni più tardi, la Giunta del Gran-


de Oriente decretò l espulsione dall Ordine di Fera e di tutti quei Fratelli che lo avevano seguito. La Stampa commentò con queste parole quanto stava avvenendo nel mondo latomistico italiano: La minoranza della quale facevano e fanno parte, fra gli altri i 33 Ballori, Ettore Ferrari, Bentivegna, Aleggiani, Federico Fabbri, Ferruccio Prima, Ernesto Nathan, Ulisse Bacci, Filippucci, credette di poter statuire come Supremo Consiglio, in assenza della maggioranza dei 33 e nominò Sovrano Gran Commendatore il professor Ballori. La maggioranza della quale facevano e fanno parte fra gli altri i 33 Fera, Camera, Miranda statuì per suo conto come Supremo Consiglio e promosse Sovrano Gran Commendatore il Luogotenente Fera mentre nominò altri 33, fra i quali l On. Leonida Bianchi, l On. Alessandro Fortis, l On. Enrico Serafini e il Professor Presutti e dichiarò irregolare, nulla e fraudolenta la nomina fatta dalla minoranza del Supremo Consiglio [...] La scissione è dunque un fatto compiuto. Da una parte crede di poter funzionare secondo le vie illegali come Sovrano Gran Commendatore Achille Ballori, dall altra funziona come Sovrano Gran Commendatore Saverio Fera. Ambedue dettano ordini alla comunità massonica, ambedue dispongono dei poteri spettanti alle loro cariche, ambedue, in buona sostanza, comandano e governano [...] Le Logge si scinderanno alla loro volta: le logge del Rito simbolico, cioè le Logge di tendenza più democratica seguiranno il Ballori. Buona parte delle Logge del Rito Scozzese, [...] seguiranno il Fera. Si tratta in sostanza di decidere se la Massoneria italiana debba orientarsi verso una politica ultraradicale [...] o se invece debba mantenersi estranea ad un effettiva tendenza politica nazionale e rimanendo nel campo dei principi generali ed internazionali che ispirano l Ordine massonico come il laicismo, il pacifismo, la fratellanza fra i popoli, il progresso e la libertà. Da una parte si vuol dare alla Massoneria un carattere di partito politico popolare ed ultraradicale; dall altra parte si vuole lasciare la Massoneria aperta agli uomini liberi di ogni partito politico3 . La divisione del 1908 fece, dunque, scalpore tanto da guadagnare gli onori della cronaca, si trattò, tuttavia, di una crisi prevista e attesa, dettata da antichi problemi irrisolti, poi trasformatisi in profonde fratture. Scrive a tal proposito Michele Moramarco: La crisi del 1908 fu sacrosanta

da un punto di vista tradizionalista [...] si doveva affermare, e proprio da parte di un pastore evangelico fortemente antiromano come S.Fera la giovannea libertà dello spirito contro le incursioni della politica di fazione, peraltro rifiutate dal costume italiano postrisorgimentale4 . Non mancò poi chi vide, dietro la scissione, la regia occulta di Giovanni Giolitti, desideroso di minare il fronte laico screditando la Massoneria di fronte all opinione pubblica, denunciandola prigioniera di forze politiche estremiste5 . In tal senso furono interpretate alcune dichiarazioni di Saverio Fera che accusava il Grande Oriente di essersi mutato in una società politica [di uomini...] professanti l ateismo e l incredulità più intolleranti6 . La tesi di operazione occulta orchestrata dal Capo del Governo si diffuse immediatamente grazie ad articoli usciti sul Corriere della Sera e su La Ragione che scrisse: Il cav. Fera, in conclusione, altro non sarebbe che il braccio lungo dell on.Camera il quale, a sua volta, ed auspice Giolitti, tenterebbe di esercitare sulla compagine massonica il medesimo gioco che un tempo [effettuava] sui partiti politici [...] seminare zizzania7 . Si trattò di un mito volto a spiegare in maniera semplice e immediata un evento sorto da problemi annosi e complessi che dopo una lunga gestazione erano esplosi. Come tutte le leggende, però, ebbe vita lunga e più volte fu ripresa e riproposta. Quanti furono i dissidenti pronti a seguire l aquila dello Scozzesismo? È difficile quantificare il numero di Fratelli che seguirono Fera, anche se, sicuramente furono pochi, tanto che il 24 agosto Ettore Ferrari con una circolare comunicò che il pastore protestante era stato seguito solo da nove Logge e da due corpi rituali, per tanto affermava che il tentativo dei secessionisti è completamente e miseramente fallito . Fu siffatta esternazione la prova di un suo ulteriore errore di valutazione, infatti, l Obbedienza, che poi sarebbe passata alla storia con il nome di Piazza del Gesù era destinata, a crescere e a radicarsi in un breve arco di tempo, come profetizzava un articolo pubblicato su La Stampa il 20 Luglio del 1908: Intorno al Supremo Consiglio [...] di cui Sovrano Gran Commendatore è il Fera possono stringersi parecchie Logge, che oggi come oggi saranno relativamente al numero delle Logge italiane poche, ma che in un lontano avvenire potranno essere molte: dirò poi il perché. L importante è che si formi un nucleo di Logge ferme

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nell intendimento di mantener fede ai riti e statuti dell ordine massonico, di mantenere intatta la disciplina della gerarchia e di tenere la Massoneria al di sopra e al di fuori dei partiti politici. Questo nucleo sarà oggi piccolo, ma sarà grande domani8 . Già sul finire dell anno, il gruppo Fera, coagulato intorno al Supremo Consiglio, si era dato una prima organizzazione e poteva avvalersi di un organo d informazione, il Bollettino Massonico, un mensile fondato a Palermo da Amari. Nel frattempo nuovi aderenti sciamarono verso gli scozzesisti ribelli che giunsero a contare così 50 Logge e 14 Triangoli, un numero destinato a crescere, tanto che nel maggio dell anno successivo il pastore protestante poteva contare su 104 Organismi massonici. Successivamente Officine e Camere Superiori si moltiplicarono specie nel Sud che, per diversi anni rimase la roccaforte dei feriani, questi nel 1915 avrebbero raggiunto il numero di circa 5000 iscritti. Tale successo fu probabilmente facilitato anche dall esiguità delle tasse richieste che ammontavano a 5 lire annue per l Ordine e a 2 per il Rito. Di fondamentale importanza fu infine il viaggio in Italia di Alfonso De Paepe, Gran Segretario del Supremo Consiglio del Belgio. Egli aveva l incarico di indagare sugli eventi e quale fosse, nella Penisola, il Supremo Consiglio regolare. Il suo rapporto fu riportato nell Annuario dei lavori del Supremo Consiglio del Belgio e trasmesso a tutti i Supremi Consigli della Confederazione Universale. Vi si leggeva che, sulla base dei fatti rilevati, risultava, senza ombra di dubbio, la legittimità del Supremo Consiglio d Italia presieduto da Saverio Fera. Tale relazione fu importantissima perché permise, entro breve tempo, il riconoscimento ufficiale da parte del Supremo Consiglio belga, che aprì la porta al sospirato riconoscimento di quello della Giurisdizione Sud degli U.S.A, preannunciato da un telegramma del Sovrano Richardson ove si affermava che il Supremo Consiglio di Fera era il solo ed unico regolare e legalmente costituito . Seguirono altri successi internazionali e, nel novembre 1909, con una circolare il Sovrano Gran Commendatore, comunicava che hanno già provveduto a scambiare garanti di amicizia i Supremi Consigli degli Stati Uniti del Messico, della Turchia, degli Stati Uniti dell America Centrale (S.C. del Guatemala), degli U.S.A. giurisdizione Nord (Grande Oriente di Boston e New York),

degli U.S.A giurisdizione Sud (Grande Oriente di Washington, già Charleston), del dominio del Canada, del Belgio e del Cile . Poco tempo dopo nuovi garanti di amicizia furono scambiati con Grecia e Paraguay. La logica conclusione della vicenda dei riconoscimenti internazionali si ebbe, però, solo nell ottobre del 1912, quando, a Washington, grazie anche ai buoni uffici del celebre studioso di storia delle religioni Eugenio Goblet D Alviella, la Conferenza dei 569 Supremi Consigli del Rito Scozzese10 riconobbe il Supremo Consiglio di Fera come l unico e regolare organismo scozzese italiano. Intanto, il 21 Marzo del 1910, i protagonisti del 1908 avevano fondato la Serenissima Gran Loggia d Italia, stilando delle Costituzioni provvisorie che subordinavano, di fatto, l Ordine al Rito, al punto che di diritto, il Sovrano Gran Commendatore, il Grande Oratore e il Gran Segretario del Supremo Consiglio, ricoprivano in Gran Loggia le cariche corrispondenti. I riconoscimenti internazionali e la creazione della Gran Loggia esasperarono l iracondo Ballori che, rivendicando il diritto-dovere della Massoneria di occuparsi di politica, stigmatizzava quelle Comunioni che incarcerano tutta l opera della massoneria nell ambito dell istruzione ritualistica e della beneficenza civile . Commenta Fulvio Conti: Le reazioni irritate e scomposte dei dirigenti del G.O.I. rivelavano l incapacità di prendere atto che questa volta dalla scissione era nata una vera e propria istituzione massonica alternativa, che si richiamava ai valori della tradizione e pertanto incontrava l aperto sostegno di numerosi organismi liberomuratori internazionali, i quali non avevano affatto apprezzato la crescente politicizzazione della massoneria italiana11 . Sette anni dopo lo strappo, Saverio Fera morì, forse per paralisi cardiaca nella sua modesta abitazione fiorentina, era il 29 Dicembre del 1915. Le esequie solenni furono celebrate il 31 di dicembre, come riportava il quotidiano La Nazione che descrisse con abbondanza di particolari la giornata Alle 10 precise il carro si è mosso, avviandosi attraverso piazza del Duomo, verso il cimitero degli Allori. Apriva il corteo la musica dei Corrigendi e i bimbi dell Istituto Evangelico, e veniva subito dopo il carro funebre con dietro tutti gli amici dell estinto; seguiva ancora un altro carro funebre ricoperto di corone [...] L imponente corteo, giunto a


Porta Romana ha sostato e il comm. Leonardo Ricciardi tra i singulti e la commozione, ha ricordato con brevi e commosse parole l austera figura dell estinto che nella sua gioventù combatté nelle falangi garibaldine a Bezzecca e che amò sempre, del più puro amore, la Patria a cui dedicò tutto sé stesso. L oratore ha terminato rilevando come la Massoneria, in questo grande momento per la Patria, non faccia distinzioni di partito, ma si sia tutta unita attorno al vessillo nazionale simbolo della pace. E, fra le lacrime, ha mandato, a nome anche di tutti i compagni di fede, un ultimo estremo saluto all estinto12 . Il Grande Oriente pubblicò sulla Rivista Massonica un necrologio nel quale, deposta ogni polemica, si attestava un sincero cordoglio per il grave lutto. Fu questo, forse, un timido tentativo di rompere il ghiaccio e giungere ad una ricomposizione della dolorosa frattura di quasi otto anni prima. Si trattò tuttavia di un fuoco di paglia, mancò, infatti, un reale desiderio di accordo e ben presto le scomuniche e gli anatemi ripresero il sopravvento cosicché, mentre l Europa conosceva gli orrori del primo conflitto mondiale, la Massoneria italiana, divisa e fiaccata da rabbiose polemiche, s incamminava verso gli anni più drammatici della sua storia. ________________

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Note 1 Avanti! 14/2/1908. 2 Ma quanti erano i Deputati massoni? Secondo la stampa antimassonica essi erano, durante la Gran Maestranza di Lemmi, almeno trecento, Mola, però, ne diminuisce il numero a meno di cento. Cfr. A. A. Mola, Massoneria e Parlamento nell età del Lemmi, la leggenda dei trecento deputati massonici, in Hiram n. 1-2, gennaio-febbraio 1991, pp. 52-56. 3 La Stampa, 15/7/1908. 4 M. Moramarco, Piazza del Gesù (1944-1968) documenti rari e inediti della tradizione massonica italiana, Reggio Emilia 1992, p. 2. 5 F. Cordova, Massoneria e politica in Italia dal 1892 al 1908, Bari 1985, pp. 292 -293. 6 F. Conti, Storia della massoneria italiana dal Risorgimento al fascismo, Bologna 2003, p. 186. 7 La Ragione, 12/7/1908. 8 La Stampa, 20/7/1908. 9 A.A. Mola, Storia della Massoneria italiana dalle origini ai nostri giorni, Milano 1992, appendice IX. 10 A. A. Mola, Storia della Massoneria in Italia, in Storia d Italia, vol VIII, dalla civiltà latina alla nostra repubblica, Novara 1991, pp. 358-368. 11 F. Conti, Storia della massoneria italiana ... cit, p. 191. 12 La Nazione, 2/1/1916. Pag.16, 18, 20, 21, 22 e 23: Dipinti di Gustav Klimt, Vienna; p.17 e 19: Vetrate Art-nouveau, Parigi.

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a Rocca di Calascio incombe sul minuscolo, sereno paese arroccato sulla montagna: è un posto quasi deserto, popolato solo in estate da pochi villeggianti alla ricerca di pace e quiete. In questi giorni di inizio luglio è popolato anche da molti Fratelli e Sorelle, partecipanti ad un convegno che ci fa viaggiare dai sentieri della transumanza a quelli iniziatici, percorsi da grandi scrittori, primo fra tutti Tolkien, magnificamente tracciati dal nostro Gran Maestro Luigi Pruneti che con il suo dire ci fa percorrere nuovi, intriganti cammini. Ecco, appunto, il nostro Gran Maestro, che ci dà appuntamento a ottobre, per il centenario della Gran Loggia d Italia, nata proprio il 24 Giugno del 1908 da quella scissione voluta da Saverio Fera che non volle censurare i Fratelli che, in Parlamento, avevano votato contro la proposta Bissolati di abolire l insegnamento della religione nelle scuole elementari. Forse non è peregrino il paragone tra questi due personaggi, Fera e Pruneti,

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entrambi in qualche modo legati a Firenze (l uno per residenza, l altro per nascita), entrambi uomini che hanno saputo percorrere un cammino non facile, ma d altronde il cammino di un massone non lo è mai. Rifletto a malincuore che noi Sorelle della Gran Loggia d Italia non possiamo celebrare a tutti gli effetti questo centenario: non c eravamo cento anni fa... Ma ci siamo oggi e, grazie proprio al nostro Gran Maestro, sentiamo di esserci in modo compiuto, in modo reale. Abbiamo percorso anche noi parte di questo pezzo di vita della nostra Obbedienza: prima, poche coraggiose donne che sfidavano il comune sentire, anche quello dei Fratelli, dimentichi, a volte, di tutto quello che la Tradizione ci tramanda sull iniziazione femminile; poi, sempre più numerose, sempre più partecipi e consapevoli, sempre più protagoniste delle loro scelte e della vita della nostra Istituzione. La diversità costituisce una grande ricchezza: nella diversità ci si confronta, si


cresce, si matura. In Massoneria impariamo a con-vivere con la diversità, fedeli al trinomio attraverso cui innanzitutto la accettiamo (Libertà), poi la riconosciamo (Fratellanza), infine ci doniamo reciprocamente (Uguaglianza). Il riconoscimento dell iniziazione femminile, con parità di diritti e doveri, decretato dalla Gran Loggia d Italia cinquant anni fa, ha fuso il lavoro di Fratelli e Sorelle in un unicum insostituibile e ha eretto una solida costruzione che si è avvalsa del contributo di tante peculiarità. Abbiamo lavorato a fianco degli uomini, tanto nei nostri Templi che nella gestione amministrativa dell Obbedienza e cerchiamo di realizzare, ogni giorno tutti insieme, uno dei nostri più alti ideali: quello dell Uguaglianza vera, che ti fa

dimenticare la diversità, perché ti fa vedere oltre la differenza meramente fisica, oltre il pregiudizio di una differenza di genere, o di colore, o di religione, ...o di sesso. Tali considerazioni sono fuse nel lavoro di tutta la Gran Maestranza, che ha tracciato il suo Manifesto avvalendosi anche del contributo di tante Sorelle e che ha dimostrato, in questi primi mesi di guida della Gran Loggia d Italia, di attuare quelle linee guida condivise dalla maggioranza dell Obbedienza. Riflettendo sul lavoro del Massone, arduo e difficile, non posso non ricordare quanto di più possa esserlo per una donna che, spesso, è affaticata da incombenze familiari che da sempre le donne assumono, proprio perché donne, e quindi protagoniste in ruoli fondamentali per la

l Occhio di Minerva crescita sana di una società: figlie, madri, mogli, compagne. Infine donne, portatrici di valori ancestrali, che l iniziazione può sviluppare, può far emergere, contribuendo ad una più alta crescita dell umanità. A ben diritto, allora, ci siamo anche noi, oggi, a celebrare questi 100 anni di vita della Gran Loggia d Italia, testimoniando il nostro contributo leale e silenzioso di presenza, di lavoro, di passione per un Ideale che ci accomuna tutti, Uomini e Donne, Umanità dolente, e qualche volta, come nel caso dei Massoni, accesa di una scintilla che si spegnerà nel buio dell infinito ma che avrà brillato per un attimo e avrà acceso un altra fiaccola da consegnare, un altro fuoco da far ardere. Renata Salerno

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el 1887, a meno di vent anni dalla breccia di Porta Pia, l Italia è ancora giovane e i problemi sono molti. Ma quello più grave è sicuramente la salute degli Italiani. In quegli anni infatti la malaria ammorba gran parte della penisola, la tubercolosi fa stragi a tutte le età e la sifilide serpeggia indisturbata, soprattutto tra i militari. È un Italia periodicamente devastata da epidemie di vaiolo, tifo e difterite e in cui, dall estremo Oriente giunge sovente il colera. È un Italia malnutrita, in cui le malattie da carenze vitaminiche, soprattutto il rachitismo e la pellagra, sono diffusissime. È un Italia in cui il 45% dei morti si conta tra i bambini entro i primi 5 anni di vita e superare i 40 anni è ancora un privilegio: un cittadino di questa giovane Nazione ha un aspettativa media di vita che non supera i 35 anni1. Nell ottobre di quell anno muore Agostino Depretis e, al suo posto, sale al governo Francesco Crispi che decide, fra le prime cose, di affrontare con energia il drammatico problema della sanità nel Paese. Crispi sceglie di rompere la lunga consuetudine di inerzia in tema sanitario e affida l incarico della stesura di una nuova legislazione all epidemiologo Francesco Pagliani. Il professor Pagliani è un illustre docente universitario torinese, uno dei padri fondatori della disciplina medica dell Igiene e della Sanità pubblica in Italia. Ha la fama di essere un medico scomodo : personaggio intransigente, uomo colto, impegnato in

una serie di battaglie sociali. Ed è un massone. Come Francesco Crispi. Così Pagliani stesso ricorda l incontro con Crispi: Stavo per chiudere l ultima lezione del mio corso d igiene a Torino nel 1887, quando mi si consegnò un laconico telegramma dell allora Presidente del Consiglio dei Ministri, col quale mi invitava a recarmi da lui per conferire. Il colloquio con quell eminente uomo d azione, più che di parole, fu molto breve. Egli intendeva, come uno dei suoi primi e principali compiti, organizzare la difesa della salute pubblica in Italia. Mi avrebbe sostenuto in ogni difficoltà da superare, non dovendo dipendere in questa impresa da altri che da lui, come mi avrebbe lasciata ampia facoltà di agire secondo i miei criteri tecnici. La proposta era grave quanto lusinghiera, enorme la responsabilità da assumermi di fronte a quell uomo, che in pochi minuti mi aveva completamente suggestionato, con quel suo alto e sereno spirito di amor di Patria, che riluceva vivido in ogni sua parola e quasi imperioso nel suo sguardo penetrante e pur mite di antico cospiratore. Il professor Pagliani si mette rapidamente al lavoro. In pochi mesi la prima grande riforma sanitaria italiana è fatta. Pagliani immagina un organizzazione sanitaria di tipo piramidale in cui, tra il vertice e la base, ci sia un continuo flusso bidirezionale di informazioni. Dalla base, che comprende anche i più piccoli comuni italiani, giungono notizie sempre fresche sullo stato di salute del Paese, sulla presenza di focolai epidemici, sulla mortalità nei luoghi di

lavoro, sulle malattie da carenze alimentari e così via. Dal vertice giungono invece le direttive che provengono dal mondo dell Università e della ricerca scientifica. Questo consente, anche ai medici che operano in luoghi sperduti del Paese, di utilizzare i più aggiornati principi della scienza dell epoca. In questo modo la riforma costringerà, da un lato la medicina accademica ad uscire dal chiuso delle sue aule e dei suoi laboratori, per applicare i risultati delle sue ricerche alla vita del Paese. Dall altro imporrà a tutta la classe medica di aggiornarsi scientificamente e di impegnarsi nel dare all Italia una moderna coscienza sanitaria. Alla base di questa piramide sanitaria c è un tessuto periferico costituito da medici pagati dallo Stato e, quindi, a disposizione gratuita della popolazione. Sono gli Ufficiali Sanitari comunali, i Medici circondariali e i Medici provinciali. Questi sono coordinati direttamente dai Sindaci, dai Sottoprefetti e dai Prefetti. Il numero dei medici per ogni comune viene stabilito in base alla popolazione. E non deve neppure mancare il numero sufficiente di pubbliche levatrici, perché i parti vengano espletati da personale qualificato. La legge prevede che gli Ufficiali Sanitari comunali abbiano a loro disposizione laboratori d analisi con idoneo personale ed attrezzatura, in grado di eseguire tutti gli esami chimici e microscopici opportuni per assicurare la necessaria vigilanza igienica e sanitaria. I farmaci poi non dovranno mai mancare alla popolazione. Pertanto i Medici condotti che operano in

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luoghi lontani dalle farmacie, o dove il servizio di farmacia sia ritenuto inadeguato, avranno a loro disposizione un armadio farmaceutico attrezzato di tutti i medicinali ritenuti indispensabili dal Ministero, acquistati con i fondi comunali. I Medici provinciali sono i personaggi cardine della riforma, perché sono i veri coordinatori del sistema di assistenza medica nelle periferie e costituiscono la cinghia di

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trasmissione, scientificamente e tecnicamente efficiente, tra il centro e le periferie. Pertanto essi dovranno essere laureati da almeno cinque anni ed essere stati formati in corsi speciali pratici istituiti presso i laboratori di Igiene dello Stato. Ogni Provincia italiana avrà poi un Consiglio Provinciale di Sanità che sarà il team di specialisti destinato ad affiancare il Prefetto nelle sue decisioni in tema di salute pubblica. Di esso

faranno parte gli insegnanti universitari di Igiene e i cultori più noti della materia nelle rispettive provincie. Il Consiglio si riunirà obbligatoriamente quattro volte all anno, e sarà disponibile per ogni eventuale convocazione d urgenza. Al vertice di questo sistema troviamo poi il Consiglio Superiore di Sanità, organo direttamente collegato con il Ministro della Sanità, tenuto a riunirsi sei volte all anno


in tornata ordinaria e in tutte le sedute straordinarie che si renderanno opportune. Ancor oggi i medici che fanno parte del Consiglio Superiore di Sanità sono i più autorevoli consulenti medici dei Governi in carica. La legge Crispi-Pagliani viene promulgata dal Parlamento già il 22 Dicembre 1888 con il numero 5849 e con il titolo Sulla tutela della igiene e della sanità pubblica2. Indubbiamente la Crispi-Pagliani non risolve tutti i problemi sanitari dell Italia dell epoca. Per esempio i farmaci devono essere pagati anche dai poveri. Tuttavia i progressi che essa determina sono enormi e immediati: nei successivi 12 anni, per effetto della riforma, la mortalità generale scenderà dal 30 al 20 per mille e la vita media salirà nello stesso periodo da 35 a 41 anni. Benedetto Croce la considera uno dei fatti memorabili della vita politica e morale della Storia d Italia dal 1871 al 1915 e dirà: la vigilanza igienica in Italia fece molti passi innanzi, concorrendo alla sparizione o attenuazione delle epidemie e degli altri morbi e all abbassamento della mortalità. Crispi e Pagliani, dicevamo, sono due noti massoni dell epoca. Della biografia di Crispi ha parlato in modo magistrale Aldo Alessandro Mola dalle pagine di questa stessa Rivista3. Di Luigi Pagliani apprendiamo dalla penna dello stesso Mola4 che il suo ruolo nell Istituzione è di assoluto rilievo nazionale: è un 33° Grado del Rito Scozzese. Lo troviamo inoltre, all epoca della Gran Maestranza di Ernesto Nathan, far parte del Consiglio dell Ordine, in qualità di Delegato del Supremo Consiglio del Rito Scozzese. Lo stesso Francesco Crispi, in quegli anni, è uno dei componenti del Consiglio dell Ordine. Il Fratello Pagliani è anche membro della Commissione Speciale del Consiglio dell Ordine sulla Solidarietà massonica. E questo non ci stupisce. Anche perché Pagliani, come molti altri medici massoni dell epoca sono attivi anche su altri fronti sociali. Tommaso Villa e Luigi Pagliani fondano, in quegli stessi anni, la Società torinese per Abitazioni popolari. Qui Pagliani applica la sua esperienza di direttore generale della sanità pubblica nel campo dell igiene applicata all ingegneria e all architettura e sostiene che un Paese civile deve necessariamente garantire un abitazione decorosa ad ogni suo cittadino. In quegli anni si sta combattendo un altra importante battaglia di civiltà e di laicità: la nascita della cremazione in Italia. Su questo argomento pren-

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dono posizione illustri medici massoni del calibro di Gaetano Pini, Agostino Bertani, Malachia De Cristoforis e, naturalmente, lo stesso Luigi Pagliani. La diffusione della cremazione peraltro impegna direttamente e ufficialmente in termini economici e logistici le Logge e i vertici del Grande Oriente d Italia. Luigi Pagliani incarna appieno un anima tipica della Massoneria italiana dell epoca, impegnata a trasmettere nel mondo sociale e politico valori di solidarismo e positivismo. La Massoneria rappresentata da uomini come Luigi Pagliani forse è povera di valori iniziatici e troppo impregnata di politica ma, in compenso, scende in campo apertamente e con grande generosità in mille battaglie civili. Fatta l Italia in quanto nazione, c era ancora molto lavoro per fare gli italiani. In tema di sanità, in particolare, bisognava imporre il concetto di salute come bene primario, tanto per l individuo

quanto per la Nazione. La riforma sanitaria pone per la prima volta solide bassi per creare una vera Medicina pubblica. Su quella riforma la Libera Muratoria italiana appone apertamente la sua firma e lo fa per mano del fratello Luigi Pagliani. _________________ Bibliografia 1 Giorgio Cosmacini. Storia della medicina e della

sanità in Italia. Bari 1995.

2 La Salute Pubblica. Giornale mensile di igiene pubblica

e privata. 15 gennaio 1890 Perugia.

3 Aldo A. Mola. L iniziazione di Crispi: alla Massoneria

o alla politica? Officinae giugno 2006- numero 2. 4 Aldo A. Mola. Storia della Massoneria Italiana dalle origini ai nostri giorni. Milano, I edizione 1992. Pag. 264.

P.26 e 29: Foto d epoca, circa 1890; p.27: Il quarto stato, Pellizza da Volpedo, olio su tela, 1901, Milano; p.28: Sogni, Vittorio Corcos, 1896, olio su tela, Roma.

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i pensa sempre che un tema astrologico natale rappresenti una persona, e in effetti è a fini personali che più spesso viene calcolato, ma di per sé una tale immagine rappresenta solo ed essenzialmente un istantanea celeste: il volto simbolico di una frazione di tempo che intercetta lo spazio. Il legame di corrispondenza tra quel momento e ciò che in quel momento accade è la chiave di tutte le mantiche tradizionali, e sostiene l astrologia genetliaca con riferimento a tutto ciò che nasce o che inizia. Ovviamente, se identificare un dato temporale di nascita risulta abbastanza facile per un esistenza umana, non sempre lo è per gli eventi, per cui è necessario un documento o un atto formale che, al pari del taglio del cordone ombelicale, dichiari l ingresso ufficiale nel mondo di quella singola realtà: ad esempio l atto di matrimonio, l inaugurazione di un negozio, la proclamazione di indipendenza di uno stato, le firme notarili per una società, ecc. Per questo, e nonostante spesso sia riportata la data del 24 Giugno (o del 26), è l 8 Luglio 1908 che comincia la storia della nostra Obbedienza di Rito Scozzese: precisamente con il decreto di risoluzione delle Costituzioni del 1906 emanato dal Sovrano Gran Commendatore Saverio Fera e l ufficializzazione del distacco dal Grande Oriente d Italia, dichiarato sciolto.

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Il cielo di quel giorno1 vede un accumulo planetario nel segno del Cancro in opposizione a Urano in Capricorno e in quadratura a Saturno in Ariete: tutti segni Cardinali, di inizio stagione . È un tema di forte conflittualità, che ad una valutazione superficiale potrebbe stupire o addirittura inquietare, ma a tal proposito

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Stelle vorrei sottolineare un dettaglio non secondario, che si lega alla mia premessa: sotto quel cielo avvenne appunto una drammatica scissione, e furono due gli organismi che videro la luce, come due gemelli archetipici in lotta tra loro e che, pure, condivisero i natali. Non a caso, lo stellium2 in Cancro comprende anche Nettuno, pianeta dalle forti valenze ideologiche, che ben si associa alla controversia sull insegnamento della religione nelle scuole elementari che agì da causa scatenante per la scissione stessa. Non si trattò, dunque, di un parto sereno: né semplice né indolore; e quel tema non può che rispecchiare, oggettivamente e soggettivamente, una tale lacerazione. Se accettiamo questa onesta considerazione, possiamo trovare significati diversi, più verosimili e legittimi, a partire dall immagine stessa, cioè dalla distribuzione dei pianeti sullo Zodiaco e dalla configurazione geometrica d insieme, che l astrologia chiama modello planetario . Quando tutti i pianeti tranne uno si concentrano su un emisfero, disegnano una specie di vaso concavo, collegato al pianeta nell emisfero opposto da un opposizione, più raramente da un trigono: un modello del genere viene chiamato Secchio . Risulta dunque evidente che il pianeta separato (Urano, nel nostro caso), tecnicamente chiamato manico , assume una importanza primaria al pari dei pianeti ad esso opposti (l accumulo in Cancro), laddove, proprio come in un secchio, permette di afferrarli e sollevarli... trasportandoli altrove. Questo è appunto ciò che è accaduto, in quel lontano giorno di un secolo fa. C erano i pianeti in Cancro, segno delle radici, dei legami, del passato; e dall altra parte c era Urano, il pianeta del rinnovamento, dell autonomia, del futuro. Ma c era anche un uomo, Saverio Fera, che nella precisa posizione zodiacale di Urano - 16° Capricorno - aveva il proprio Sole natale. Nelle sinastrie relazionali3 certe congiunzioni reciproche, forti e precise, vengono considerate indicatrici di incontri destinici , e forse proprio di questo si trattò: Urano offrì la presa, Saverio Fera la strinse tra le mani e portò l Acqua cancerina del Secchio là dove poteva annaffiare e nutrire meglio la Terra capricornina della Tradizione. Prese il passato e lo tradusse in futuro come un testimone da portare avanti e non solo altrove...

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A proposito dei due organismi gemelli , è interessante notare che Mercurio e Venere, astrologicamente associati ai figli o ai fratelli - maschio e femmina - sono congiunti al Sole ed entrambi in moto retrogrado4, sottolineando la fase di sofferta rielaborazione del passato; quel passato che Urano andò a scuotere, dopo il doveroso bilancio richiesto da Saturno. E che Saverio Fera sia stato un personaggio destinico lo testimonia un particolare

encadrement del suo Sole, appunto tra Mercurio e Venere natali5. Non congiunti ma distribuiti nelle tre decadi del segno solare, questi tre pianeti definiscono Fera come un significativo esponente del Capricorno: segno coriaceo, tenace, perseverante e disciplinato nelle forti ambizioni, che non ha nulla di anarchico o rivoluzionario e molto, invece, di tradizionale e persino conservatore, che è capace di sostenere sacrifici notevoli se direzionati ad un fine elevato ma non tollera subordinazioni mortificanti o limitanti. Anzi, tra tutti i segni, il Capricorno è quello in cui l autonomia è più una conquista consapevole che una necessità emotiva, ed esige la capacità e responsabilità di autosufficienza: farcela con le proprie forze, senza mai dipendere, senza mai demandare. Inoltre, la sua Luna natale, forse in trigono a Nettuno ma afflitta dal duro confronto di altri pianeti, ne faceva un paladino della giustizia e dei diritti-doveri dell uomo, di una spiritualità profonda e rigorosamente ancorata a un etica accani-

Stelle ta, tormentata, quasi sacrificale, laddove lo slancio di sincera pietas verso i più deboli sosteneva ed affiancava la volontà e l impegno alla solidarietà attiva e concreta, secondo le esigenze dei pianeti in Capricorno. Di solito si utilizza la tecnica sinastrica nei rapporti affettivi o di lavoro, ma poiché il tema dell 8 Luglio descrive un momento nel tempo celeste e un evento nello spazio locale ben precisi, la comparazione con il tema di Fera ci serve per capire se e quanto fosse sintonizzato con il tempo e l evento che lo vide protagonista; con la chiamata del destino. Non è per altro da sottovalutare, in tal senso, la posizione di SaturnoKronos in Ariete, in entrambi i temi: i ritorni di Saturno nella posizione natale, infatti, sono sempre importantissimi per ogni individuo, segnando il momento adatto o necessario per scelte più mature e consapevoli, che spesso richiedono tagli di rami secchi... Ho già sottolineato la forte enfasi nel segno

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Stelle del Cancro del tema di fondazione del Rito. Fera in Cancro non aveva pianeti, e li aveva invece nel segno opposto del Capricorno, là dove Urano chiedeva appunto rinnovamento e indipendenza. Dire che gli opposti si attraggano non è solo un banale luogo comune: Fera fu l evento nuovo nel tempo vecchio, l eccezione che si palesò con coraggio per poter riconfermare la regola e trasformarla in antica ed accettata realtà. Ma un Capricorno è figlio di Saturno e quindi non solo lavora con il tempo ma nel tempo costruisce. Fera non poteva limitarsi ad una edificazione parziale, al residuo pur stabile di una demolizione. Così, il 21 Marzo 1910 ricostituì anche l Ordine e battezzò la nascita della Serenissima Gran Loggia d Italia. Quel giorno, il cielo era effettivamente e finalmente più sereno. Le configurazioni planetarie del tema non rispecchiano più la tensione precedente, e mentre un raffinato trigono tra Nettuno e Mercurio in Pesci sottolinea la vocazione spirituale

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della nostra Obbedienza e del suo fondatore, l assenza di opposizioni testimonia che non ci fu scissione questa volta, né conflitto o distacco. C è ancora la quadratura Urano-Saturno, perché i pianeti lenti restano per anni nello stesso rapporto angolare; ma Urano era in moto diretto, libero di esprimersi come organismo autonomo, mentre Saturno, relativamente più veloce, si era ormai portato in solido appoggio a Plutone, pianeta cardine dell esoterismo. Quello stesso Plutone, in trigono a una

innovativa ed emancipata Venere in Acquario, sembra inoltre gettare i semi per l evento che in seguito differenziò maggiormente e ulteriormente la Gran Loggia dal Grande Oriente, con l ingresso delle donne; mentre una splendida Luna in Leone in sestile a Giove non solo rimarca il successo e l importanza della presenza femminile ma, più in generale, parla dell anima nobile della nostra Obbedienza, calda e sincera, fiera della propria sovranità. Se volessi considerare questo tema come rappresentativo dell Ordine e il tema dell 8 Luglio più specifico del Rito, dovrei ammettere che, paradossalmente, le eventuali problematiche, le maggiori tensioni competitive e insomma le zone d ombra della nostra Luce possono e potranno manifestarsi ai livelli più alti della Piramide. Tuttavia, per quanto una tale interpretazione resti in sottofondo come un monito da non sottovalutare, non è mai logico né opportuno considerare un esistenza (di una persona o di un istituzione) a


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compartimenti stagni, né funziona così l astrologia. La nostra Obbedienza è nata sotto il segno del Cancro, sede lunare per eccellenza ed associato ai bambini e alle madri. Non si confonda, però, la sensibilità e passività di questo segno con una presunta fragilità: il taglio del cordone ombelicale è un evento iniziatico vero e proprio, e non c è nulla di fragile nella capacità di sopravvivere del neonato, nella sua volontà di vivere. Come non è fragile il carapace dell animale simbolico del segno, granchio o gambero; semmai, è quel suo apparente moto retrogrado che ne fa emblema della memoria, della storia, della linfa che trae nutrimento dalle radici. Il Cancro è indubbiamente più resistente che forte, ma la forza che mette nella tutela, nel mantenimento o ripristino di tali valori può essere tanto caparbia ed eroica quanto, appunto, l energia vitale di un neonato 6. Fu questa stessa resistenza tenace e irremovibile, guidata dall orgoglioso coraggio di Marte in Leone, a sostenere Fera e i pochi che lo seguirono nei primi tempi dopo la scissione, quando tutto sembrava svuotato di energie operative e forte solo di fede e desiderio... Se dunque il segno solstiziale del Cancro è associato alla nascita, su un piano iniziatico è invece il segno dell Ariete quello che meglio si presta a rappresentare la

rinascita, lo slancio di nuova forza e vigore con cui il germoglio risale dalle interiora terrae verso la luce. Ritengo dunque che entrambi i temi ci rappresentino: il primo come iniziale distacco da un cordone ombelicale, il secondo come primo respiro, libero e fiero nella propria autoaffermazione, a testimonianza di una personalità già impostata nei mezzi e nei fini, seppur da strutturare, manifestare e sviluppare in futuro. E, nel futuro che oggi rappresentiamo, già forte di un passato secolare, celebriamo questo anniversario onorando tutti coloro che ci hanno preceduto e soprattutto quelli che, dopo Fera, furono chiamati a guidarci e ci hanno condotto a un tale prestigioso traguardo. Offriamo simbolicamente in omaggio il nostro orgoglio e la nostra gioia a chi attualmente ci governa: il Sovrano Gran Commendatore Gran Maestro Luigi Pruneti, che raccoglie il testimone della nostra storia con la forza del suo Marte, pianeta condottiero, posizionato in quei gradi centrali del Capricorno in cui già brillò il Sole di Fera, quando accese la fiaccola di Urano e tutto cominciò. Se, dopo un secolo, ritroviamo nella stessa posizione Giove, sovrano dell Olimpo e Grande Benefico della Tradizione, a buon diritto possiamo anche festeggiare e brindare a un ulteriore e luminoso futuro. Lunga vita alla Gran Loggia d Italia!

Note: 1 In mancanza di ora esatta, un tema astrologico

non viene domificato , cioè non mostra la suddivisione in dodici case a partire dall ascendente, e viene calcolato per mezzogiorno. Soltanto la Luna, in ventiquattro ore, può infatti spostarsi sensibilmente sullo Zodiaco (fino a 14°), per questo viene collocata in una longitudine media e va valutata con cautela. In questo caso, è quasi sicura la sua posizione in Scorpione (entrò nel segno intorno alle 2 di notte), ma gli aspetti di trigono ai pianeti in Cancro possono essere più o meno precisi. 2 È detto stellium un raggruppamento di quattro o più pianeti nello stesso segno o nella stessa casa. 3 La sinastria è una tecnica di comparazione di due temi astrologici, che sovrappone le relative configurazioni studiandone i legami reciproci, con particolare attenzione per le congiunzioni o gli aspetti maggiori. 4 Quando i pianeti interni sono in congiunzione superiore, dal punto di vista geocentrico sembrano procedere in senso inverso sull eclittica: tale moto apparente è detto retrogrado. Astrologicamente, si interpreta un pianeta retrogrado come più riflessivo, interiorizzato od ostacolato nella sua libera espressione attiva. 5 Il termine encadrement fu coniato da Alexandre Volguine per definire il rapporto che lega un pianeta ai due che rispettivamente lo precedono e seguono nell ordine zodiacale, anche in mancanza di aspetti angolari canonici. Volguine, russo di nascita ma francese di adozione, fu un grande astrologo del secolo scorso, nonché noto massone. 6 Anche il Gran Maestro Ghinazzi aveva il Sole in Cancro, e come pochi seppe resistere, restaurare, ricostruire e difendere i nostri valori.

P.30 e 31: Fotografie a falsi colori, Hubble project; p.32: L etoile perdu, J.A.D. Ingres, olio su tela, Parigi; p.33: Cielo stellato, V.van Gogh; p.34: Foto d epoca di una cometa, lastra fotografica ad alogenuri d argento su vetro; p.35: Computer-art;

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ené Guenon afferma che se si risale alle Origini, il Rito non è altro che ciò che è conforme all ordine, secondo l accezione del termine sanscrito rita; dunque è ciò che soltanto è realmente normale, e aggiunge subito dopo che esso comporta in sé stesso sempre, relativamente alla sua essenza, un elemento non umano (Guénon, 1946). La definizione tanto categorica quanto essenziale induce ad una riflessione di carattere antropologico, soprattutto in considerazione di quanto, da sempre e auspicabilmente per sempre, il rito sia parte integrante della cultura umana e anzi ne costituisca uno degli elementi strutturali (Tentori 1992). Al riguardo lo studioso introduce la differenza tra civiltà e cultura, ritenendo che la prima riguardi gli aspetti tecnologici e organizzativi dell esistenza, la seconda l insieme di valori e norme (Sorokin 2000) ovvero un complesso di schemi impliciti ed espliciti acquisiti attraverso i simboli (Kluckhohn-Kroeber 1972), posizione che rientra appieno nella teoria strutturalistica di Levi Strauss per la quale il concetto di cultura è un dato oggettivo che supera i modelli culturali e la parcellizazione dell osservazione empirica (Levi Strauss 1992). Preso atto della dimensione universale del rito, non è possibile sottrarsi all indagine che tenda a definirne, nella sua complessità, gli aspetti , la funzione e la natura. Prima di ogni possibile percorso epistemologico, tuttavia, soprattutto in conseguenza dell uso e abuso che la civiltà contemporanea fa di alcuni termini, ritenenendoli, per di più, sinonimi, è il caso di stabilire le differenze convenzionali tra rito, cerimonia e liturgia. L etimologia riconduce la voce rito al latino ritus, che significa ordine prescritto: derivante, o per lo meno associato, a sua volta, a forme greche quali artùs, ordinamento, ararìsko, armonizzare, e arthmòs, che evoca l idea di legame. La presenza della radice indoeuropea *ar- , rimanda a un concetto di ordine cosmico, di regola nei rapporti fra gli dei e gli uomini, di prassi nei rapporti degli uomini fra di loro. La parola cerimonia - forse di origine etrusca - che sembrerebbe indicare i modi (mores) degli abitanti di Caere, l odierna Cerveteri -, rinvia a un atto solenne,

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proprio del rito. Liturgia infine, nella accezione greca, indica una pratica diinteresse pubblico elargita al popolo dallo Stato o dalle classi dominanti, mentre in quella attuale segnala l insieme degli atti attraverso i quali si esplica il rituale in determinati momenti e occasioni (Devoto 1967). Tutte e tre le voci, inoltre, si associano nel registro temporale al termine festa (neutro plurale del latino festus) che caratterizza il particolare giorno che interrompe la scansione quotidiana per sacralizzare, celebrare e rinsaldare i legami sociali di una comunità. Gli aspetti del rito Martine Segalen definisce il fenomeno rituale un complesso d azioni sequenziali, di ruoli teatrali, di valori e di finalità, di mezzi reali e simbolici, di comunicazioni attraverso sistemi codificati e vivificati dalla carica cognitiva di raccolta di messaggi attraverso significanti che rimandano a significati, dalla carica affettiva legata all implicazione emotiva nella partecipazione, dalla carica conativa di orientamento all azione con la manipolazione psicologica, ritenendo che una sua funzione fondamentale sia quella di far scattare nei partecipanti l adesione mentale, anche inconsapevole, alle credenze e ai valori da esso simbolicamente espressi (Segalen 2002). Ne consegue che per Segalen, come per Mary Douglas, la celebrazione di un rito e la partecipazione ad esso non possono essere mai atti puramente formali, in quanto tale atteggiamento implicherebbe, sia a livello individuale che collettivo, la posizione alienante di compiere una pratica di cui non si conosce il senso e, pertanto, ininfluente alla funzione, propria dei gesti simbolici, di costruire l insieme delle relazioni sociali (Douglas, M. 1975). Sulla stessa linea, riprendendo la nota definizione di Durkheim, secondo la quale i riti sono le regole di condotta che prescrivono come un uomo deve comportarsi in presenza del sacro (Durkheim 1912) si pone Kertzer che considera il rito un comportamento ripetitivo e socialmente standardizzato che ci aiuta ad orientarci nel caos dell esperienza umana e evidenziandone l aspetto teatrale e drammatico lo ritiene idoneo a decodificare entità e concetti astratti, oltre che a fornire una visione destoricizzata del mondo (Kertzer 1989).


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Rito Quest ultima funzione assume particolare rilevanza non solo nell ambito di una teoria interpretativa, ma anche in quello dell analisi sociologica in quanto per mezzo del rituale, e, più in generale, per mezzo della cultura, non soltanto riusciamo a dare un senso al mondo che ci circonda, ma siamo anche indotti a credere che quell ordine che vediamo non è un nostro prodotto culturale quanto piuttosto un ordine che appartiene allo stesso mondo esterno (Kertzer 1989). A chiarire come l adesione di un gruppo sociale ad un rito non possa essere considerata una percezione illusoria del mondo, interviene un recente, quanto interessante saggio di Pietro Scarduelli che evidenzia come essa non sia frutto di un processo culturale alternativo, tendente a sovrapporsi o ad escluderne altri, in quanto le pratiche e le credenze che sostengono il rito nella sua attuazione derivano da una perfetta aderenza alle condizioni storico-sociali del gruppo stesso (Scarduelli 2000). In altre parole la posizione rimanda a quel concetto di inconscio collettivo, del resto più volte utilizzato per analizzare i fenomeni rituali e simbolici che secondo Adorno evidenzia lo strato, in cui vengono depositate tutte

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quelle credenze e convinzioni, indotte dalla vita sociale, che l uomo accetta senza riflettere e senza criticare (Adorno 1985). La natura del rito Dalle considerazioni svolte nelle pagine precedenti mi pare si possa ricavare che il rito, sia esso religioso, profano, individuale e collettivo, consiste nella creazione del trascendente, nel senso che mediante la messa in pratica di certe regole istituisce un ordine sociale e culturale, reificato in oggetti e gesti, fissato come permanente ed evocante una dimensione altra rispetto quella terrena e quotidiana. Per essere più precisi, il rito rappresenta simbolicamente un certo tipo di ordine che ci viene dall aldilà, secondo il quale si struttura e deve strutturarsi una certa organizzazione sociale con le sue credenze e i suoi valori. Tale ordine e le regole seguite per rappresentarlo e rafforzarlo simbolicamente non necessariamente sono note ai partecipanti e ai celebranti; possono far parte di quel sapere tacito o implicito, cui in precedenza si accennava. Tuttavia, giacché le regole rituali ripropongono le regole proprie di un certo ordine sociale hanno una natura normativa; il che vuol dire che si presentano agli individui come imperativi cui debbono

sottomettersi o come modelli di comportamento da seguire. ______________ Bibliografia: Adorno T. W. 1985, Stelle su misura, Torino 1985. Devoto G. 1967, Dizionario etimologico italiano, Firenze, 1967 al riguardo si veda anche PellegriniBattista, Studi di etimologia, onomasiologia e di lingue in contatto, 1992 Douglas M. 1975 Purezza e pericolo, Bologna. Durkheim E. 1912. Les formes élémentaires de la vie religieuse. Parigi: F. Alcan. Trad. It. 1963. Le forme elementari della vita religiosa. Milano. Guenon R. 1946, Considerazioni sulla via iniziatica, Paris. Edizione italiana: Considerazioni sulla via iniziatica, Roma, 1982. Kertzer D.I: 1989, Riti e simboli del potere, Bari Kluckhohn C. e Kroeber A. L.1972 (a cura), Il concetto di cultura, Bologna Levi Straus C. 1992, Antropologia strutturale, Milano. Scarduelli P. 2000 (a cura di ), Antropologia del rito. Interpretazioni e spiegazioni, Torino 2000. Segalen M 2002, Riti e rituali contemporanei, Bologna. Sorokin P. 2000, La crisi del nostro tempo Tentori T, Antropologia culturale. I percorsi della conoscenza, Roma 1992

P.36: Maschera rituale, dipinto contemporaneo; p.37: Kachina spirit doll, Hopi reserve, USA; p.38: Cerveteri, dettaglio di una tomba etrusca (foto P.Del Freo); p.39: Rajahstan, tempesta di sabbia; p.40: Rajah palace, affresco raffigurante un episodio del Ramayana; p.41: Raffigurazione di Shiva, Museo di New Dehli.


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ll origine della vita Come si sono formate le prime molecole in grado di riprodursi? In origine la chimica del nostro pianeta era abbastanza ricca di elementi per poter assicurare una sintesi di tutti i mattoni necessari per la vita? Sono nate prima le proteine o gli acidi nucleici? Sappiamo, in molti casi, come potrebbe essere stato ma non sappiamo come è stato. Il biofisico tedesco Manfred Eigen, premio Nobel nel 1967, afferma che il dettaglio storico della biogenesi rimarrà probabilmente per sempre nell ombra perché non possiamo ricostruire il quadro delle condizioni storiche in tutti i suoi particolari. Si possono però risolvere le questioni di principio, tanto che al giorno d oggi molti dei singoli processi della biogenesi sono riprodotti in laboratorio. Non esiste invece un principio universale sulla cui base sia possibile dedurre necessariamente l origine della vita come conseguenza di comportamenti materiali e spiegare inoltre il miracolo della molteplicità della vita superiore fino all anima umana. A ogni livello dell evoluzione si possono identificare dei meccanismi che permettono al sistema di svilupparsi ulteriormente. L origine rimane un enigma. Abbiamo ancora memoria di questa genesi primordiale e dei mutamenti che abbiamo subito prima di giungere al nostro attuale stadio evolutivo? I fossili ci dicono che i nostri antenati, i vertebrati, si svilupparono in ambiente acquatico e che colonizzarono la terraferma attraverso organismi di transizione, e dall embriologia sappiamo che lo sviluppo embrionale di ogni individuo riassume le tappe evolutive che la specie, cui l individuo appartiene, raggiunse in milioni di anni. Su queste basi, circa un secolo fa, Ernest Haeckel affermò che l ontogenesi ricapitola la filogenesi. Memoria fossile Oggi le nuove frontiere della scienza forniscono strumenti di indagine una volta impensabili, permettendoci di ampliare le nostre conoscenze. Per esempio, grazie a ciò che sappiamo sul DNA, possiamo utilizzare i geni per dare una risposta a questi antichi quesiti poiché, nel DNA di organismi vissuti milioni di anni or sono, è racchiuso il segreto di molte specie estinte e viventi. Le ricerche del biochimico svedese Thomas Lindahl hanno dimostrato che le reazioni chimiche di idrolisi e ossidazione distruggono il DNA negli esseri viventi,

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anche se i danni generati da tali reazioni vengono costantemente riparati. Con la morte dell organismo questo processo si interrompe e il DNA comincia lentamente a decadere. Tuttavia è sufficiente che un organismo si sia conservato in un ambiente che rallenti o arresti questo tipo di reazioni perché il DNA si conservi a lungo nel tempo. Attualmente, grazie agli studi intrapresi da Allan Wilson del Dipartimento di biochimica dell Università di Berkeley in California, siamo in grado di estrarre il DNA da reperti fossili. Nel 1984 Wilson fu in grado di estrarre cento coppie di DNA antico da un quagga, una sottospecie della zebra delle pianure del Sudafrica, il cui ultimo esemplare si estinse in cattività nel 1883. Un anno dopo il paleogenetista Svante Pääbo riuscì ad estrarre materiale genetico da una mummia di 2400 anni. E indubbio che tali informazioni sono in

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grado di portare alla luce memorie genetiche antichissime anche perché, se le condizioni di conservazione sono state favorevoli, il tempo trascorso dal decesso non riveste alcuna importanza. Questo è il caso, per esempio, del DNA di cellule animali o vegetali rimaste intrappolate nell ambra (resina di conifera fossile) poiché in tal modo, afferma Lindahl, ...il DNA viene ampiamente disidratato, parzialmente protetto dall ossigeno atmosferico e completamente sottratto alla contaminazione microbica, quindi sottratto alla distruzione. Queste le tecniche di ultima generazione ma, fino a non molti decenni orsono, l unica possibilità di documentare la presenza di vita organica sul nostro pianeta era rappresentata, sostanzialmente, da una disamina macroscopica dei reperti fossili. Con il termine paleontologia si indica quella scienza che, attraverso lo studio dei

fossili, (dal latino foedere, scavare) cerca di ricostruire gli ambienti geografici e biologici del passato, fornendo quindi,da un punto di vista biologico, importanti prove sull evoluzione e sull adattamento degli organismi ai diversi ambienti. La paleontologia è arrivata alla sua attuale, moderna concezione attraverso una continua trasformazione dei metodi e delle idee. Già in alcune tombe dell età del bronzo sono stati rinvenuti organismi quali ricci di mare fossilizzati. Questo fatto testimonia che circa 4.000 anni fa alcuni uomini consideravano i fossili strani oggetti da raccogliere e da usare, probabilmente, come ornamenti. Certe popolazioni preistoriche della fascia equatoriale dell America centro meridionale utilizzavano, per esempio, i denti fossili di squalo come punte per le loro frecce. È comunque all antichità classica che risalgono le prime testimonianze scritte conosciute circa l effettivo riconoscimento che tali reperti fossero in realtà antichi organismi vissuti in epoche passate. Solo il rigore logico e lo spirito di osservazione degli Antichi permise, talvolta, di avvicinarsi alla verità ma, a parte le geniali intuizioni dei Pitagorici, di Senofane, di Erodoto e pochi altri che riconobbero la vera natura di queste Mirabilia, molto più frequentemente lo studio dei fossili ebbe un inizio difficile, viziato da pregiudizi e ostacolato da credenze popolari e insegnamenti religiosi quali il creazionismo e il diluvianesimo. Bisogna comunque ammettere che non fosse facile immaginare come resti di conchiglie pietrificate potessero trovarsi in luoghi tanto lontani dal mare, magari rinvenuti in rocce affioranti in zone montuose e a diverse centinaia di metri di altitudine. La speculazione scientifica secondo criteri sistematici si svilupperà solamente nel XVIII secolo. Fino ad allora, salvo qualche rara eccezione (Boccaccio, Leonardo, Palissy), la vera origine di questi resti organici fu spesso travisata. Aristotele li interpretò come formatisi per generazione spontanea. Il medico arabo Avicenna, intorno all anno Mille, li pensò generati da una misteriosa vis formativa o da materia pinguis attivata dal calore. Fu un susseguirsi di fantasiose teorie, quali il lusus naturae, lo spiritus lapidificus, l aurea seminalis, ovvero un venticello che avrebbe seminato, qua e là, i germi dei vari esseri viventi, soprattutto marini. Fu il conte di Buffon, nel XVIII secolo, il primo naturalista che considerò i fossili quali antichi organismi,


o parti di essi, conservatisi nel tempo grazie a particolari circostanze. Si gettarono, così, le basi per lo sviluppo della moderna paleontologia fino ad arrivare, grazie al contributo di molti, alle rivoluzionarie teorie evoluzionistiche di Lamark e Darwin. A differenza di Linneo, che in pieno XVI secolo affermava che gli organismi viventi non potevano subire, nel tempo, trasformazioni fisiologiche e morfologiche, il lamarkismo e il darwinismo ammettevano l ipotesi di continui mutamenti degli esseri viventi, determinati da varie concause. Era la nascita delle teorie evoluzionistiche. Fossili e fossilizzazione Fin dal Settecento, con il termine fossile , si indicava tutto ciò che veniva estratto dalla roccia, senza distinzione fra minerali (fossilia nativa) e resti organici (fossilia petrificata). In realtà, con fossile, si designa ogni resto animale o vegetale vissuto nel passato, ivi comprese le tracce della loro attività, conservatosi grazie a speciali processi chimico-fisici detti processi di fossilizzazione. La fossilizzazione rimane un evento straordinario in natura, tanto che si ritiene che solo una specie su cinquemila si sia fossilizzata ed abbia avuto la possibilità di giungere fino a noi. Perché ciò avvenga è indispensabile che l organismo sia dotato di parti dure mineralizzate, quali ossa, denti, gusci, legno e che, al momento della morte, sia sottratto all azione di agenti distruttori di tipo chimico, fisico, meccanico e biologico. Successivamente, nella fase post-mortem, è necessario che i resti siano rapidamente ricoperti e costipati dai sedimenti, così da impedire i naturali processi di decomposizione. A questo punto intervengono fenomeni diagenetici o di trasformazione dovuti, per esempio, ad una lenta percolazione di acque, contemporanea o successiva all inumazione, fenomeno che determina scambi ionici fra l acqua e l organismo stesso. È evidente, quindi, che le caratteristiche ambientali in cui viene a trovarsi l organismo al momento della morte sono determinanti per innescare il processo di fossilizzazione. In situazioni particolarmente favorevoli, infatti, si possono conservare anche parti molli delicatissime e maggiormente soggette alla decomposizione, come testimoniato, per esempio, da fossili di piante o insetti. Processi di fossilizzazione I modi di fossilizzazione sono molteplici

ma, per brevità, ne citerò solo alcuni. Il più diffuso è la mineralizzazione che si ha quando le parti scheletriche incluse nei sedimenti vengono sciolte dalle acque circolanti e sostituite da sali minerali in sospensione, quali carbonato di calcio, pirite, silice e, più raramente, oro o argento. L incrostazione avviene, invece, quando il reperto si trova a contatto, in zone vulcaniche, con acque continentali, soprattutto sorgive e molto ricche di carbonato di calcio che, rilasciato, genera rapidamente una crosta di rivestimento. E un processo frequente e dà origine al travertino, un tipo di tufo calcareo. La fossilizzazione epigenetica è quella da cui derivano i fossili più belli e perfetti. In questo caso la sostituzione minerale delle parti dure dell organismo avviene molto lentamente, molecola per molecola. Si mantiene così, inalterata, la struttura originaria mentre si modifica, ovviamente, la composizione chimica. La carbonificazione interessa soprattutto i vegetali ed è grazie a questo processo di fossilizzazione che si sono formati i grandi giacimenti di carbone del

Scienza globo. Le piante subiscono trasformazioni direttamente proporzionali alla loro età. Più sono antiche e più la loro struttura e la loro originaria sostanza organica subiscono, con la carbonificazione, radicali mutazioni. La lignite rappresenta la fase di trasformazione iniziale, la grafite quella finale. Il meccanismo di conservazione si innesca quando i vegetali vengono a trovarsi in ambiente riducente, ovvero privo di ossigeno o anaerobico. In tal modo si attiva una particolare fermentazione batterica delle sostanze organiche, con una perdita progressiva di ossigeno, idrogeno, azoto e con un conseguente e graduale arricchimento in carbonio. Fossili e credenze La necessità di decifrare il rinvenimento di oggetti dalle forme stravaganti e la sfrenata fantasia umana, hanno favorito la nascita di leggende e superstizioni quanto mai curiose ed inverosimili, ma altrettanto avvincenti e suggestive. Ne è un esempio un antico racconto austriaco che narra come un orrendo drago impedisse ai vian-


Scienza danti che volevano raggiungere Klagenfurt di attraversare il fiume che scorreva nei pressi della cittadina. Per lungo tempo lo spaventoso mostro seminò il terrore fino a quando fu trovato, in un campo, un enorme cranio, tanto grande che nessuno ricordava di averne mai visto uno simile. Gli abitanti si convinsero così che il drago fosse definitivamente morto e, tirato un sospiro di sollievo decisero, per solennizzare l avvenimento, di erigere nella piazza principale del paese un artistica fontana sulla quale troneggiava la statua del drago con le fauci spalancate e la coda arrotolata. Storie simili sono frequenti nelle cronache medievali; vi si raccontano le terribili e temibili gesta di draghi alati, serpentiformi e dalla grossa testa, paladini del bene o guerrieri del male, secondo i canoni classici del linguaggio simbolico. In realtà, in modo più scientifico ma meno suggestivo, la testa del drago presentava, senza ombra di dubbio, i caratteri del cranio di un rinoceronte che si estinse alla fine dell ultima glaciazione, circa venticinquemila anni fa, il rinoceronte

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lanoso. Un altra curiosità è la pietra serpente che trae ispirazione dalla caratteristica spirale piana delle Ammoniti, Molluschi Cefalopodi vissuti da 350 a 65 milioni di anni fa, e che già il significato letterale del termine richiama il mito del dio egizio Ammone, raffigurato con la testa di ariete e le corna spiralate. Anche i resti di altri Cefalopodi estinti simili alle seppie, i rostri di Belemniti, grazie alla loro tipica forma a proiettile vennero interpretati come chiodi del fulmine o dita del diavolo . Nell un caso e nell altro gli antichi popoli Germanici li utilizzarono sia in medicina che, in chiave magicoreligiosa, come rimedio contro i malefici. Singolare è pure la credenza che associa le piramidi egizie alle Nummuliti (Foraminiferi comparsi circa 500 milioni di anni fa nel Cambriano), organismi unicellulari provvisti di guscio di forma rotondeggiante appiattita e di dimensioni molto modeste. I grandi massi con cui sono state costruite le piramidi furono cavati in una roccia che si chiama calcare nummulitico proprio per la massiccia presenza di questi fossili. In seguito all alterazione superficiale ope-

rata dagli agenti atmosferici, dai blocchi di costruzione si sono distaccati moltissimi esemplari di Nummuliti. Il loro ritrovamento alla base delle piramidi ha dato luogo alla leggenda secondo la quale questi curiosi oggetti altro non sarebbero che lenticchie pietrificate, dimenticate o smarrite dagli operai che lavorarono alla costruzione delle stesse. Certamente l esempio più noto di paleomitologia , mi sia concesso il termine, è quello che collega gli elefanti nani della Sicilia ai ciclopi del mito omerico. Ben conosciuti sono i versi dell Odissea che ci narrano l incontro di Ulisse con il gigante Polifemo, il gigante con un solo occhio. La prima testimonianza del rinvenimento in grotte siciliane di scheletri dalle dimensioni eccezionali, risale al V secolo a.C. allorché Empedocle di Agrigento facendo cenno ai fossili, le pietre scolpite, dà per scontata la presenza dei Ciclopi nell isola parlando di resti di giganteschi uomini . Anche il Boccaccio nel IV libro della sua Genealogia deorum Gentilium,cita il rinvenimento, in una caverna nei dintorni di Trapani, di un enorme scheletro umano. Nel 1516 il conte di Braccioforte, che abitava nel castello di Mazzareno, ci ha tramandato la scoperta di un corpo umano lungo venti cubiti, col capo grande come una botte e ciascun dente molare del peso di cinque once. E, per altri tre secoli, della presenza di giganti in terra di Sicilia, nessuno dubitò più. Il mito dei Ciclopi tramontò nel 1830 quando Cuvier pubblicò il trattato Recherches sur les ossements fossils e, poco dopo, il siciliano Bernardi, annunciava che quelle ossa erano fossili ed appartenevano a ippopotami ed elefanti. In realtà le grotte siciliane conservavano i resti di crani di elefanti nani nei quali i fori nasali da cui si diparte la proboscide, sono fusi in un unica apertura simulante una cavità orbitaria mediana. Si tratta dell Elefhas falconeri, imparentato con l elefante asiatico e vissuto nell isola da 100 a 80 mila anni fa. Di modeste dimensioni, poco più di un metro di altezza in età adulta, raggiunse le isole del Mediterraneo durante le ere glaciali, quando il livello del mare era notevolmente più basso. A chiusura lascio una delle storie più surreali, quella dell homo Diluvii tristis testis, il tetro testimone del Diluvio . Nel 1726 Giovanni Giacobbe Scheuchzer, naturalista di Zurigo e convinto sostenitore della scuola dei Diluviani, comunicò di aver rinve-


Scienza

nuto in sedimenti fluvio-lacustri i resti di un uomo primitivo morto durante il Diluvio Universale. Quei resti, che l illustre studioso confuse con l impalcatura ossea di una gamba umana, erano in realtà i resti fossili di una salamandra gigante come, un secolo più tardi, riuscì a dimostrare il grande Cuvier. Al termine di questo folcloristico excursus, le conclusioni non sa-

rebbero neppure necessarie, se non per sottolineare che il confine fra storia e mito non sempre è così ben definito come si crede. Ai fossili sono stati attribuiti poteri magici e virtù terapeutiche e sono serviti per illustrare ed avvalorare storie fantastiche e oniriche, suggestionando schiere di lettori per molti secoli. Ne abbonda tutta l umana letteratura, dall Apocalisse, ai bestiari me-

dievali, ai racconti di fantascienza, a dimostrazione che tutto ciò che è sconosciuto ed inaccessibile alla ragione assume strane forme nell inconscio, individuale e collettivo, di questa variegata umanità. P.42: Ammonite, Mesozoico; p.43: Fossile di pesce, Eocene, Bolca; p.44: DNA, acrilico su tavola, New York; p.45: Pecten, MioPliocene; p.46: Trilobita, Paleozoico; p.47: Archeopterix litographica, ritrovamento di Solenhofen, Germania; (foto p.42, 43, 45 e 46 P.Del Freo).

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partire dal I millennio a.C. anche l Occidente cominciò a riflettere sull origine del mondo e soprattutto a scriverne. Ciò che si pensava prima, deducibile dai resti monumentali e dai reperti, si riferiva alle osservazioni astronomiche e, presumibilmente, a particolari riti nel corso dell anno, ma non sembra avere direttamente a che fare con la cosmogonia. Presso i Greci Il mondo greco, nel quale la civiltà occidentale affonda le sue radici, possedeva più di una versione del mito della creazione, tutte accentrate sulle prime divinità progenitrici che avrebbero dato vita all esistente per riproduzione, prima asessuata e ben presto sessuata. Da un lato i miti acquatici si rifacevano a Oceano e Teti, identificati con le acque primordiali, dall altro era Gaia dall ampio petto , dea della terra a generare da sola il suo stesso sposo Urano, il cielo stellato, con il quale avrebbe poi dato origine ai primi mostruosi esseri divini. E ancora aperto il problema se la prima versione, definita in passato omerica , si possa ascrivere a un influsso orientale, cioè a quelle civiltà fluviali che nei millenni precedenti si erano sviluppate lungo il Nilo e in Mesopotamia. In tal caso l altra interpretazione ne sarebbe stata la versione terrestre o esiodea. E infatti il poeta Esiodo a fornircene un ampio resoconto nella sua Teogonia, poema in versi scritto intorno al 700 a.C. Il racconto delle origini, seguito dalle prime crudeli vicende divine, prende in questo contesto il nome universalmente conosciuto di mito (mythos), termine che significa appunto racconto favoloso, ascoltato e tramandato, che sempre e comunque narra qualcosa di noi, dice da dove veniamo e poiché spiega l inizio è percepito come qualcosa che proviene dall inizio. Il mito è sospeso in un vuoto temporale, non è databile, nessuno si chiede quando e dove sia avvenuto, ma è comunque accettato per vero. La religione greca era in realtà molto diversificata e, fatta eccezione per i grandi dèi, si basava in gran parte sui culti locali tributati a divinità cittadine o regionali, spesso a eroi di cui si vantava la diretta discendenza, ma esistevano comunque dei fondamenti comuni. Era da tutti riconosciuto che il mondo era nato da terrificanti accoppiamenti primordiali, simili a conflagrazioni cosmiche, e che varie generazioni di dèi avevano lottato aspramente contro le forze oscure, da cui essi stessi

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elle civiltà tradizionali il tempo era percepito come un ciclo ripetibile e rinnovabile. Ogni inizio periodico riproponeva il mito cosmogonico e con esso la cancellazione del ciclo trascorso. Il tempo sacro rinnovava a intervalli regolari il tempo profano, attraverso il rito di rigenerazione periodica che prevedeva una purificazione, seguita da un ritorno al Caos espresso con varie modalità e infine da un ristabilimento dell ordine. La struttura circolare del tempo prevedeva un eterno ritorno all atto creativo iniziale eliminando l irreversibilità del divenire. Se tutto ha fine e ricomincia, se niente è definitivo, qualunque sciagura personale o collettiva diventa superabile. L uomo arcaico cercava di opporsi con tutti i mezzi alla storia, percepita come una serie di eventi imprevedibili e inspiegabili. In tal modo anche il dolore aveva un senso, inserito com era in un ordine precostituito, e poteva essere sopportato in quanto né gratuito né arbitrario. Se la sofferenza dipendeva da un peccato commesso, da un dio irato, da un

nemico, comunque da una causa, era possibile fare qualcosa a livello rituale. L idea del tempo lineare invece percepisce la storia in tutta la sua drammaticità, ma tende a giustificarne gli avvenimenti come volontà di un Essere supremo. È il caso del Dio biblico e in genere delle religioni monoteiste. Nel tempo lineare gli avvenimenti hanno un valore in se stessi, non sono ripetibili, costituiscono il manifestarsi dei continui interventi divini nella storia umana. Con il monoteismo si scopre un tempo a senso unico e ciò che è accaduto non è più reversibile. Questa visione conferisce un rilievo tale alla storia che essa può essere sopportata solo in un ottica profetica e messianica (ebraica) oppure escatologica e provvidenzialistica (cristiana). Alla luce di queste riflessioni, illustrate dallo studioso rumeno Mircea Eliade in molte pubblicazioni, si potrebbe anche dedurre che il mondo occidentale moderno, in quanto monoteista, sia ormai al di fuori della concezione ciclica del tempo. In realtà non è così. La tendenza a mitizzare gli eventi, a immagi-

nare la vita per cicli, a celebrare le feste ricorrenti, permane anche nella società attuale, mentre la concezione del tempo lineare trova difficoltà di applicazione sempre maggiori di fronte alla violenza gratuita e insensata che ha caratterizzato gran parte del XX secolo. Così, come un eterno ritorno , anche l idea ciclica del tempo sembra ritornare. Ne sono una prova le celebrazioni, seguite con interesse crescente, anche perché riscoprono eventi che l esigua memoria contemporanea ha velocemente dimenticato. Per noi quest anno di grazia 2008 rappresenta la celebrazione del ciclo secolare di un Obbedienza massonica nata giusto cent anni fa. Ma, poiché siamo monoteisti e figli dell epoca moderna, percepiamo il tempo come un percorso lineare scandito da eventi non ripetibili. Il Giubileo della G.L.D.I. è perciò celebrazione dell evento, presa di coscienza della storia passata e di quanto è stato fatto, premessa della storia futura e di quanto si dovrà fare.

provenivano, allo scopo di costruire un sistema ordinato. Al di là di questo il mito di un dato luogo poteva anche essere diverso, o addirittura in contraddizione, con quello di un altro luogo, ma ciò non era importante. Era la comunità locale a costituire il culto ed era ritenuto dovere civico credervi e parteciparvi. Date queste premesse si può ipotizzare che la cultura greca delle origini avesse molto in comune con quelle che la avevano preceduta nel Vicino Oriente: generazione riproduttiva dell universo, ciclicità del tempo, narrazione o ripetizione rituale del momento creativo. I filosofi e la cosmogonia Il distacco avviene gradualmente con l interesse dei filosofi per la cosmogonia e quindi con l affermarsi di questa nuova disciplina dello spirito. I primi a occuparsene sono i cosiddetti fisici della scuola ionica, quindi non in Grecia, ma nelle colonie che si trovavano sulla costa occidentale dell odierna Turchia. Questi primi

pensatori cominciarono a interrogarsi su come si fosse formato il mondo in base ai dati reperibili attraverso le indagini naturalistiche. La cosmogonia comincia un po alla volta a diventare un tema della filosofia, all inizio anzi il tema dominante, anche se è difficile staccarsi dal mito. È per questo che si comincia a parlare di logos, il discorso ragionato non più affabulatorio, e quindi di logica, parola anche questa di universale conoscenza. Il logos è il pensiero organizzato, elevato a sistema, derivato da una radice semantica che significa raccogliere, quindi mettere in ordine. Tuttavia il passaggio tra mythos e logos non è semplice, né ben chiarito tanto da rimanere tuttora un problema aperto su cui gli studiosi stanno ancora discutendo. In realtà i due tipi di pensiero, mitico e logico, restano a lungo strettamente connessi. Lo stesso Platone, che è pensatore logico, sul tema della cosmogonia ritorna al mito affermando che nulla si può sapere su come è stato

creato il mondo, perché niente è dimostrabile, ma poiché lo dicono i poeti antichi la loro autorità lo rende verosimile. Si può tuttavia affermare, e questo per ragionamento logico, che un creatore c è stato ed è quello che Platone chiama il Demiurgo. Quindi il filosofo, pur usando il metodo dialettico nei suoi ragionamenti, nel caso della cosmogonia accetta quel che dicono i poeti perché sono antichi, quindi approva il racconto mitico, anzi ne crea di nuovi nei suoi trattati in quanto il mito è evocativo e serve a parlare di filosofia. Gran parte dei filosofi affermano che prima dell atto creativo esisteva un insieme indistinto chiamato Caos, il cui nome significa ciò che è spalancato . Caos non è più acqueo come nelle mitologie orientali, ma è immaginato vuoto, o tutt al più pieno di una preesistente materia indistinta e mescolata, su cui opera tramite separazione una divinità ordinatrice che viene sempre più definendosi come un intelligenza divina, il Nous. Si tratta di

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una logica soprannaturale, puro pensiero divino che organizza l informe dandogli forma, crea ma suddividendo e ordinando. In questa concezione, fatta propria da Aristotele, la generazione asessuata o sessuata degli elementi naturali è ormai scomparsa, il pensiero regge e governa l universo da sempre e per sempre e anche gli dèi, come erano proposti nella religione ufficiale delle città dominanti, cominciano a perdere d importanza. Se questo è un po il certificato di nascita della civiltà occidentale , le cui premesse erano già state tracciate, non rappresenta tuttavia la fine del mito. Nelle comunità iniziatiche, misteriche e misteriosofiche, relegate ai margini dalla religione ufficiale, resistevano miti diversi, spesso di origine lontana nel tempo e nello spazio. Gli orfici possedevano una loro cosmogonia in cui tutto traeva origine da un uovo d argento, deposto in mezzo a un Caos vuoto e buio, nel quale era racchiuso tutto il mondo, che solo alla rottura del guscio

cominciava a diffondersi ovunque, quasi un intuizione della moderna teoria scientifica del Big Bang. Sono stati distinti tre modelli di generazione cosmogonica: asessuato nel quale un entità primordiale genera da sola, sessuato (e di conseguenza conflittuale) in cui una coppia divina procrea le varie dinastie di dèi, androgino nel quale un essere bisessuato dà inizio a un evoluzione priva di conflitti, visione che sta alla base dei successivi sistemi gnostici e neoplatonici. In realtà le differenze non sono poi così rigide e nei miti occidentali questi modelli coesistono. Ma è la filosofia che elabora il concetto di una creazione davvero asessuata, anche se la teoria platonica del Demiurgo non rappresenta una creazione ex nihilo, ma solo l organizzazione razionale di una materia preesistente sulla cui origine non si fanno ipotesi. È comunque evidente che nel mondo occidentale la cosmogonia non rimane confinata nell ambito esclusivamente religioso, come era avvenuto nelle

prime grandi civiltà egizia e assirobabilonese, non è appannaggio esclusivo della casta sacerdotale, ma diventa oggetto di riflessione, ipotesi, dibattito in virtù del suo passaggio a una disciplina prima sconosciuta, la Filosofia. Ci vorranno ancora un paio di millenni - ma siamo già agli inizi dell età moderna - perché passi alla Scienza. _______________ Bibliografia: W.Burkert, Mito e rituale in Grecia, Bari, 1987. I.Chirassi Colombo, Il sacro nello spazio politico. Miti di origine, riti di integrazione, in La civiltà del Mediterraneo e il sacro , Milano, 1991. M.Eliade, Il mito dell eterno ritorno, Roma 1999. G.Filoramo, prefazione a R.Pettazzoni, In principio. I miti delle origini, Torino, 1990. K.Kerenyi, Gli dei e gli eroi della Grecia, Milano, 1989. J.P.Vernant, L universo, gli dèi, gli uomini, Torino, 2000.

P.48: Pittura raffigurante Krsna; p.49: Un bacio del tempio di Kajuraho, India; p.50 e 51: La terra dallo Space Shuttle.

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l cervello umano può essere considerato come la più complessa struttura biologica conosciuta nell universo, basti considerare che esso è costituito da miliardi di cellule nobili (neuroni) e che ogni neurone è collegato in media con oltre 10.000 cellule. Il tutto dà luogo ad una incredibile rete di connessioni nervose che in ogni individuo si estrinsecano per chilometri e chilometri di collegamenti viventi. È evidente come qualsiasi novello Teseo, spinto dal desiderio di ispezionare questi oscuri e interminabili legami, o qualsiasi filo di Arianna , utilizzato per mantenere costante l orientamento, siano messi a dura prova nell espletamento del loro compito! Inside the Labirinth: Mind-Body problem Senz altro stupiti per l inaspettato balzo che ci ha portati dal labirinto mitologico al labirinto cerebrale, con l intestino in veste di traghettatore, ma non ancora sazi di meraviglie, magari a questo punto vorremmo anche conoscere cosa (o chi) si aggiri nei sinuosi recessi di questa misteriosa matassa di tessuto nervoso celata all interno della nostra scatola cranica. Sarebbe, di conseguenza, assai interessante sintetizzare un excursus storico che, a partire dalla teoria dei quattro liquidi corporei o umori di Galeno (II secolo d.C.) - sangue, flegma, bile nera e bile gialla - fino ad arrivare alle più moderne acquisizioni scientifiche, delineasse il tormentato cammino della ricerca nel campo del sistema nervoso. Tuttavia, oltre che faticoso, sarebbe un percorso oltremodo specialistico che poco servirebbe alla comprensione dell incognita più misteriosa che si cela fra le pieghe mute della corteccia del cervello umano: il rapporto mente-corpo. Tale legame è stato, per la verità, oggetto di intense ricerche e speculazioni filosofiche da almeno quattro secoli. Però è soltanto nel XX secolo, con l avanzamento delle conoscenze nella fisiologia cerebrale, nelle proprietà molecolari dei neuroni e nella localizzazione delle funzioni cognitive che ci si è potuti avventurare, con qualche speranza di successo, in tematiche così sfuggenti. Questo non significa che la maggior parte delle questioni di fondo siano state risolte, anzi molte di queste sono rimaste le stesse e sfidano, con la loro complessità, qualsiasi

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eroe che abbia l ardire di avventurarsi nelle loro controverse ambiguità. Certo, molta strada è stata fatta da quando gli antichi greci ritenevano che il cervello fosse una sorta di radiatore per raffreddare il sangue ed altre metafore si sono aggiunte alle vecchie sotto la spinta di un progresso tecnologico che ha assimilato l encefalo umano ora a un centralino telefonico, ora a un computer, ora ad un ologramma. E senza dubbio sarà paragonato a numerose altre macchine non ancora inventate! Nessuna di queste analogie è però adeguata, poiché il cervello è unico nell universo e pertanto entità diversa da qualsiasi cosa l uomo abbia mai costruito. Potremmo banalizzare affermando che il cervello è stato paragonato ad una grande e complessa casa (ma abbiamo appena visto che il termine labirinto sarebbe stato più appropriato!) costruita un po per volta nel corso di milioni di anni di evoluzione in un modo piuttosto origi-

nale. Cinquecento milioni di anni fa si sviluppò la sua parte più antica (denominata tronco encefalico ) la quale, assomigliando all intero cervello di un rettile odierno, viene spesso chiamata cervello rettiliano . È questa parte del cervello a determinare il livello generale di veglia e a governare le funzioni corporee più elementari necessarie per la sopravvivenza quali il respiro e il battito cardiaco. Fra trecento e duecento milioni di anni fa, pian piano, si aggiunsero altre strutture cellulari molto complesse le quali, essendo particolarmente sviluppate nei mammiferi, vengono anche indicate come cervello mammaliano . Oltre a contribuire a mantenere la temperatura corporea, la pressione sanguigna, i livelli di zucchero nel sangue, tale sistema gioca una parte importante nelle reazioni emotive e nelle sensazioni viscerali quali la fame, la sete, la paura, il piacere, e così via. C è infine la parte più ampia della

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casa, nonché più recente in termini di sviluppo filogenetico, la quale è costituita dai due emisferi cerebrali, ciascuno dei quali è rivestito da uno strato di cellule nervose, non più spesso di 5-6 mm, pieghettato in modo molto complesso chiamato corteccia cerebrale. Quest ultima apparve per la prima volta nei nostri progenitori circa duecento milioni di anni fa ed è la struttura che ci dà la nostra peculiare qualità umana. Grazie alla corteccia cerebrale noi siamo in grado di organizzare, di ricordare, di comunicare, di capire, di apprezzare e di creare. Ma come è possibile che uno strato così sottile di materia organica si trasformi in una coscienza raziocinante ? Per una sorta di inconsapevole eredità cartesiana si è portati a credere che ogni individuo umano sia composto di una parte fisica , percepibile attraverso i sensi e quindi estesa nello spazio, denominata corpo (la res extensa di Cartesio) e di una parte sottile , immateriale, non direttamente osservabile e sperimentabile, normalmente usata per pensare, che viene chiamata mente (Cartesio la qualificò come res cogitans). La mente sarebbe dunque, in questa prospettiva ingenua (gli studiosi anglosas-

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soni usano l espressione folk psychology), l organo del pensiero e del ragionamento. Emozioni e affettività, sempre secondo la stessa ingenua teoria, sarebbero maggiormente legate al corpo perché è esperienza comune osservare chiare reazioni fisiche ogni qualvolta un individuo è sottoposto a stress emotivi più o meno intensi. Cartesio, in sostanza, rifiutò l aristotelismo degli scolastici e difese, al pari di Galileo (sebbene in forme molto diverse), una concezione puramente meccanicistica della fisica. Se, quindi, per Aristotele l anima si poteva presentare sotto tre forme (anima nutritiva, propria delle piante; anima sensitiva, propria degli animali; anima razionale, propria dell uomo), per Cartesio l anima nutritiva e sensitiva non esistevano: la vita è un semplice processo meccanico e gli animali sono delle semplici macchine inconsapevoli di sé. Anche il corpo umano è un meccanismo, ma esso è guidato da un intelletto e da una volontà libera che Cartesio chiamò mens: cioè pensiero . Rifacendosi poi ad antichissime nozioni, attribuì alla ghiandola pineale la capacità di connettere, cioè di correlare, pensiero e materia in maniera da giustificare il

fatto, oltremodo misterioso, che il cervello (costituito da materia, cioè da res extensa) potesse agire come una struttura pensante (cioè come una res cogitans). L argomentazione, senza nulla togliere alla capacità speculativa del grande filosofo e matematico, apparve fin da subito piuttosto debole ed oggi sappiamo che, nell individuo adulto, la principale funzione della ghiandola pineale è quella di secernere un ormone, la melatonina, espressamente coinvolto nella regolazione dei bioritmi del sonno. Addentrandoci ulteriormente nel dedalo, scopriamo che la mente, oltre che organo del pensiero , con il quale ragionare e riflettere, rappresenta anche l elemento che fornisce l esperienza unificata di noi stessi , cioè la capacità di considerarci una singola entità vivente ben distinta da tutti gli altri individui e da tutte le altre cose che ci accompagnano in questo breve attimo di tempo che è la vita. Il che significa che ognuno di noi percepisce (cioè avverte con i propri sensi) una realtà esterna separata da quella che, al contrario, viene percepita come la nostra individuale realtà interna . Esiste quindi un omino che vive dentro la nostra testa e che riesce a distinguere


ciò che siamo da ciò che percepiamo con la vista o con l udito? Ovviamente no, ma è come se questo homunculus esistesse sul serio tanto è vero che Freud ha chiamato Io quella parte della mente che mette in atto i vari meccanismi della percezione, la quale può essere rivolta verso se stessi (introspezione) oppure verso il mondo che ci circonda (circospezione). Sono più che sufficienti queste poche righe introduttive per accorgerci che, quando si parla di mente, non solo risulta difficile rispondere alla domanda di che cosa è fatta la mente? ma anche dare la giusta definizione al quesito che cosa é in realtà la mente? . Il filosofo Galen Strawson (1996) è dell avviso che la mente corrisponda alla coscienza , non cioè all intelligenza o al comportamento intelligente (anche i computer possono risolvere compiti in maniera intelligente) quanto alla consapevolezza soggettiva della propria individualità. In altre parole, ognuno di noi è cosciente di trovarsi al mondo per il semplice fatto che avverte la netta sensazione della propria presenza come entità fisica e pensante. Il che ci riporta, per altre strade (siamo o no dentro a un labirinto!?), all assioma cartesiano del cogito, ergo sum, cioè all asserzione indimostrabile che tutti noi possiamo ritenere di esistere solo nel momento in cui possiamo affermare di pensare in base ad una ben definita consapevolezza soggettiva. D altra parte, l opinione che mente e coscienza siano la stessa cosa è proprio il punto di vista contro il quale Freud si oppose così strenuamente quasi cento anni fa, quando per primo avanzò l ipotesi dell esistenza di una parte inconscia della mente. Anzi, a suo modo di vedere, era proprio

questa parte inconsapevole ad essere preponderante al punto da influenzare, in modo del tutto inavvertito, l intero comportamento consapevole degli uomini. Se già la definizione di mente dà luogo a tutti questi dubbi, figuriamoci in quale groviglio di interrogativi potrà condurci la ricerca della sua natura, peraltro già ampiamente adombrati quando accennavamo alla dicotomia cartesiana fra res extensa e res cogitans. In effetti, una simile concezione ha sollevato, e solleva tuttora, una serie di problemi (forse sarebbe meglio dire misteri!?) che si traducono più o meno in domande del genere: - Se la mente è contrapposta al corpo, se cioè presenta caratteristiche del tutto differenti rispetto a quelle corporee, qual

è allora la sua natura, la sua composizione? - E dove dobbiamo collocarla? - E in che rapporti può essere con il corpo, visto che le è completamente estraneo? - In particolare, in che rapporto può essere con il sistema nervoso e con il cervello? David Chalmers, uno dei filosofi maggiormente impegnati nel campo delle scienze cognitive , suggerisce di suddividere il quesito mente-corpo in due parti:

L Io problema semplice e problema complesso . Il problema semplice consiste nel tentare di individuare quali siano le regioni cerebrali che si correlano con la coscienza , così come è accaduto, ad esempio, per la localizzazione dell area corticale del linguaggio (la cui lesione determina l impossibilità di pronunciare e/o di comprendere le parole). È intuitivo che la risposta a tale problema dovrebbe indicare la sede delle strutture nervose coinvolte nella produzione dello stato di coscienza (coscienza di sé nella propria globalità individuale) ma non sarebbe in grado di spiegare in quale modo una particolare combinazione di strutture nervose e/o di eventi fisiologici potrebbe renderci coscienti. Questa seconda questione è quella che caratterizza il cosiddetto problema complesso , problema che senza ombra di dubbio eleva di molto il livello di difficoltà sperimentale ma la cui risoluzione svelerebbe l enigma di come la coscienza dell individuo possa emergere dalla materia organica. Un esempio può tornare utile per capire le molte perplessità esistenti a tale riguardo. È ormai assodato che il metodo più diffuso per provocare l attività nervosa è la corrente elettrica e tutta la nostra attività cerebrale avviene tramite una più che comprensibile trasmissione di energia elettrochimica (ovviamente molto debole). Trasponendo il dato teorico sul piano pratico, ciò è quello che accade quando un fascio di luce proveniente dal sole entra nell occhio e viene messo a fuoco sulla retina: a questo livello si verifica una modificazione elettrochimica che a sua volta viene trasmessa agli strati nervosi

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L Io della corteccia cerebrale occipitale. La catena completa, che porta la luce del sole alla corteccia occipitale dell uomo, è di natura fisica, cioè ogni suo anello è una reazione elettrochimica. Ma il fatto al momento inspiegabile è che all interno della corteccia cerebrale occipitale avviene una modificazione qualitativa del segnale per cui quello che un attimo prima era soltanto un movimento di cariche elettriche si trasforma in una incredibile quanto inspiegabile scena visiva. Dobbiamo ammettere che la metamorfosi è davvero eccezionale, per lo meno quanto abissale è la differenza tra l essere il substrato cerebrale passivo di una reazione elettrica e il vedere il mondo che ci circonda in tutte le sue prospettive, i suoi colori, i suoi chiaroscuri, i suoi significati più o meno palesi o più o meno reconditi. Il corpo non è la mente Le neuroscienze contemporanee sono sicuramente ben equipaggiate nei confronti del problema semplice ma, ancora oggi, risulta poco chiaro se possano essere

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in grado, in un futuro più o meno prossimo, di risolvere il problema complesso. In effetti, la conoscenza degli eventi chimico-fisici alla base dell attività cerebrale sta facendo grandi progressi; al contrario lo studio della mente , intesa come somma di pensieri, di memoria, di sentimenti, di ragionamento e così via, incontra tuttora grosse difficoltà, al punto che risulta critica anche la semplice catalogazione del concetto. In altri termini, può la mente essere annoverata fra i fenomeni fisici (mente = materia) oppure no? È indubbio che la perdita del cervello produce la perdita di ogni attività mentale ma non è, purtroppo, altrettanto chiaro se la maggior parte delle attività vitali degli animali inferiori all uomo avvengano con l intervento della mente, anche se il loro comportamento può sembrare in apparenza finalistico. Quindi, benché possa esistere la materia senza la mente, allo stato attuale dei fatti non conosciamo nessun esempio in cui la mente esiste senza la materia. È evidente che collegare le due entità non

è impresa da poco e potrebbe tornare utile un riassunto, assolutamente conciso, delle principali opinioni scientifiche che si sono via via avvicendate in questo campo. In estrema sintesi dobbiamo sempre far riferimento alla dicotomia tra monismo (o riduzionismo ) e dualismo , tanto fondamentale quanto quella esistente tra materialismo e idealismo , al punto da essere talvolta confusa con essa. Secondo la posizione monistica, noi saremmo composti da un unico tipo di sostanza che, per forza di cose, non deve obbligatoriamente identificarsi con la materia ma che può anche corrispondere allo spirito. Il punto di vista dualistico strettamente associato al pensiero di Cartesio - afferma invece l opposto: nella nostra essenza noi siamo scissi, cioè costituiti da due tipi di materiale, l uno strettamente corporeo (materia organica), l altro strettamente mentale (ovvero l anima). La maggior parte degli scienziati cognitivisti sono oggi dei monisti materialisti in quanto ritengono che la mente e il cervello siano, alla fin fine, riducibili ad un singolo tipo di materiale, e che tale materiale sia sostanzialmente fisico. Entrambe le posizioni presentano innegabili punti deboli che ne affievoliscono la credibilità: vediamo i principali. I dualisti, spesso sotto l influenza di tradizioni culturali e religiose, si sono intestarditi nel sostenere l ipotesi di un attività mentale del tutto avulsa dalle leggi fisiche e chimiche che regolano gli altri organismi viventi, arrivando spesso a confondere il concetto di mente con quello di anima. Questa confusione è ancora oggi riscontrabile in molta letteratura corrente nella quale si ignora il paradosso derivante dal fatto che l anima è per definizione imperitura - e per di più frutto di un atto di fede - mentre le attività mentali si interrompono con il cessare delle attività cerebrali. Tanto è vero che la morte cerebrale è ormai assunta come criterio di definitiva morte dell essere umano. Paradossalmente, grazie ai progressi della medicina, la scomparsa irreversibile del pensiero si può verificare oggi molto prima della completa cessazione delle funzioni di altri organi (come il cuore, il rene, il polmone, etc.), i quali vengono mantenuti in vita allo scopo di essere trapiantati in altri organismi. D altra parte, anche il riduzionismo presta il fianco a varie critiche. La posizione più


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drastica dei riduzionisti (funzionalismo) è quella che assimila il cervello ad un potentissimo computer nel quale l hardware è paragonabile alle grandi strutture nervose che si formano nel corso dello sviluppo cerebrale. Queste strutture si conformano in intricati circuiti nervosi sulla base di precise istruzioni genetiche e quindi sono proprie ed uniche di ogni specie. Esempio emblematico sono i centri nervosi che permettono all uomo, e solo a lui fra tutti i primati, di elaborare la parte fonetica del linguaggio. Nel computer-cervello, secondo i riduzionisti, il software si formerebbe in base alle innumerevoli informazioni sensoriali e culturali (dati/input) che provengono a ritmo incessante dal mondo esterno. Tale software, in base allo sviluppo raggiunto, differenzierebbe ciascuno di noi per un determinato carattere e per quell insieme di proprietà note come memoria, volontà, pensiero, etc. Ora, pur con tutta la più ampia disponibilità interpretativa, è assai arduo accettare l idea che il software ce-

rebrale possa generare una coscienza di se stesso (autocoscienza), anche ipotizzando la creazione di computer molto più potenti e sofisticati di quelli attuali. Inoltre, l analogia tra cervello e computer è solo apparente in quanto diversi sono i materiali che li costituiscono, diverso è il loro modo di operare, profondamente differente è la loro capacità elaborativa. Dopotutto, il fatto che volatili e aeroplani siano capaci di librarsi nell aria non significa tout court che adottino uguali meccanismi funzionali o che possano avvertire uguali sensazioni. Esiste però anche una terza tesi, leggermente differente, che può forse apparire di tipo agnostico, ma che offre una maggiore apertura alle diverse possibilità interpretative: il monismo dal duplice aspetto percettivo. Se per un attimo riusciamo a non farci spaventare dai termini, potremmo capire che il concetto è piuttosto semplice e consiste nel ritenere che il cervello sia costituito da una materia che ci appare fisica quando viene osservato dall esterno (come un

oggetto), mentre ci appare mentale quando viene visto dall interno (dal soggetto). Per essere ancora più chiari, potremmo convenire che quando ci percepiamo dall esterno (allo specchio, per esempio) oppure dall interno (attraverso l introspezione), stiamo percependo la medesima cosa in due modi diversi, cioè rispettivamente come corpo e come mente . La distinzione tra la mente e corpo è perciò un artefatto della percezione. Il nostro apparato percettivo esterno ci vede (vede i nostri corpi) come un entità fisica, mentre i nostri apparati percettivi interni ci avvertono come un entità mentale. Le due cose sono, in effetti, la stessa cosa. Di fatto, nella realtà esiste un unico noi , ma poiché noi siamo anche la cosa che stiamo osservando, ci percepiamo simultaneamente da due punti di vista differenti. P.52: il Minotauro; p. 53: Danza Kathakali (foto Zimbardo); p.54: Uscita dal labirinto; p.55: Vertigine; p.56 e 57: Siepi e giardini labirintici (p.52 e 57 foto P.Del Freo).

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ebbene giovane all aspetto, è statuaria e grave la Sibilla Cumana che Andrea del Castagno dipinse alla metà del Quattrocento per la villa Lemmi di Legnaia ed oggi conservata agli Uffizi. Essa faceva parte di un ciclo affrescato di uomini e donne illustri, scelti come personificazioni delle umane eterne virtù. Accanto a condottieri e regine, la Sibilla risulta inserita qui in un contesto anomalo dal momento che essa in genere veniva raffigurata in una serie di quattro o di dieci in accordo al canone varroniano o di dodici nei casi nei quali si voleva sottolineare la corrispondenza anche numerica fra Sibille e Profeti. Sorge dunque la domanda perché una sola e perché proprio la Cumana? Ma prima ancora chi sono le Sibille? Creature misteriose sia per la loro incerta origine che per numero e identità, le Sibille sono la controparte femminile dei Profeti accolte dalla tradizione cristiana per aver vaticinato la venuta del Messia. Se infatti i Profeti erano guardati dal Cristianesimo come figure di raccordo fra la religiosità giudaica e quella cristiana, alle Sibille spetta il compito di aver collegato, il mondo greco-romano a quello cristiano. Lo strumento utilizzato, sia dai Profeti che dalle Sibille, è la profezia, espressione di una sapienza profonda, illuminata da un rapporto privilegiato con il divino. Grazie a questo straordinario dono le Sibille anche nell antichità avevano goduto di un reverenziale timore. Varrone, nelle Antiquitates rerum humanarum et divinarum (47 a.C.), ne enumera dieci: la Persica, la Libica, l Eritrea, la Cumana, la Samia, la Cimmeria, l Europea, la Tiburtina, l Agrippina, la Delfica, alle quali, più tardi,

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saranno aggiunte la Frigia e la Sibilla d Ellesponto. Proprio per questa loro origine classica il momento d oro delle rappresentazioni sibilline è il Rinascimento, l epoca in cui la riscoperta dell Antichità si trasforma in una volontà, comune alla letteratura e alle arti figurative, di accogliere e cristianizzare tutto ciò che di più bello e affascinante avevano prodotto i secoli della civiltà grecoromana. Da un punto di vista squisitamente concettuale le Sibille, accolte nell immaginario cristiano, sembrano prendere una forma più vicina a quella angelica che non a quella dei biblici Profeti. La loro identità, sia letteraria che figurativa, appare spesso generica, poco definita, priva di inequivocabili attributi che le distinguano l una dall altra. I testi delle presunte profezie sono, nelle ricostruzioni rinascimentali, il risultato lacunoso di una raccolta frammentaria di testi spesso tardi e apocrifi. Così queste tarde ricostruzioni ci restituiscono contenuti confusi nel complesso linguaggio apocalittico tradizionalmente ascritto alle vergini vaticinanti. Da un punto di vista iconografico, esse, più che traduzioni visive di figure delineate in letteratura, sembrano piuttosto immagini generiche di sacerdotesse antiche più vicine alle essenze angeliche che alle profetiche. Con gli angeli infatti condividono la delicata funzione di collegare l Uno con il molteplice, l Incorruttibilità con la caducità, nodo culturale nel rapporto uomo-Dio. Ma nella Teologia rinascimentale e nell Arte la Sibilla non si limita solo ad operare un raccordo fra cielo e terra poiché, sebbene difficilmente individuabile come figura storica, essa non era tuttavia definibile come una creatura di puro spirito alla stregua di un angelo. La sua forma di divinazione differisce profondamente da quella profetica. Se infatti esistono due tipi di divinazione: quella induttiva e artificiale e quella intuitiva o naturale, la prima riguarda il Profeta e la seconda la Sibilla. La forma induttiva riguarda lo studio dei fenomeni, l osservazione dei segni e si esprime in una serie di tecniche delle quali il Profeta è padrone: egli è l interprete, colui che legge e decifra i segni inviati dalla divinità. Il Profeta è di sesso maschile, appartiene ad un ceto sociale alto ed è un saggio socialmente riconosciuto come tale. La forma intuitiva è invece un fatto proprio delle Sibille, depositarie di un sapere globale eversivo eccezionale. La loro mantica ispirata è frutto di illuminazione ed è una conoscenza straordinaria che implica una

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comunicazione diretta difficilmente controllabile. Spesso scomoda e pericolosa, questa conoscenza superiore, rivelata di getto, causava imbarazzo e disagio anche fra gli esegeti che per molti secoli non seppero come classificare il fenomeno rendendolo per renderlo accettabile. Fu Agostino, nella sua convinzione della legittimità di rivisitare la cultura pagana in chiave cristiana, ad accogliere l immagine della Sibilla come la voce più veritiera e spontanea della divinità. Nel De civitate dei (X, 27) il dottore della Chiesa, citando Virgilio, afferma che la venuta di Cristo fu senza dubbio annunciata dalla Sibilla Cumana mentre altrove nella stessa opera (XVIII, 23, 1-2) citando Varrone e riferendosi alla stessa (o all Eritrea) afferma che nel suo vaticinio ella si pronuncia contro il falso culto degli dei pagani e dei loro adoratori meritando così di essere accolta nella città di Dio. È forse grazie al suo ruolo fondamentale nell opera agostiniana che la scelta di Andrea del Castagno, pittore del Rinascimento fiorentino, dovette cadere proprio su questa fra le dieci Sibille varroniane. Il documento pittorico presenta scelte iconografiche interessanti ed eloquenti che meritano un esame. La donna appare vestita con un abito che riecheggia, seppure con fantasia, la foggia degli abiti femminili nell Antichità, coerentemente all origine della Sibilla stessa

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che profetava ai tempi di Enea nelle grotte di Cuma. Nella mano sinistra ha un libro che si intuisce luogo della profezia, chiuso proprio perché inaccessibile ai più. Il gesto della mano con l indice puntato verso l alto toglie ogni possibilità di fraintendimento sull origine divina del suo oracolo e sul contenuto dello stesso cui tuttavia in maniera meno evidente ma altrettanto coerente sembra alludere il curioso diadema e l ornamento da fronte. Il linguaggio pittorico robusto e scarno di Andrea del Castagno in genere non incline all attenzione per il dettaglio prezioso sembra fare qui un eccezione sottolineando così l importanza dello schematico ornamento in questo contesto figurativo. Il tipo di gioiello, un diadema, rappresenta di per sé un inequivocabile riferimento al ruolo spirituale di questa sorta di sacerdotessa. Ornamento da testa nella comune accezione nell antica Grecia il termine diadema designava una benda di tela bianca portata sulla fronte per trattenere i capelli e che, inventato da Dioniso, era indossato da sacerdoti e indovini e come tale era segnacolo di sacralità. Filtrata dalla cultura romana questa accezione giunge al Rinascimento ove, nei documenti d arte figurativa, il diadema sembra mantenere il senso sacrale e sacerdotale oltre a quello regale delle origini divenendo spesso l ornamento caratteristico degli Angeli annun-

cianti e delle Sibille. Il simbolismo delle gemme incastonate sul gioiello per via allusiva, ma all epoca chiarissima, traccia la mappa delle virtù della Sibilla. La perla è infatti un emblema di purezza, condizione necessaria al vaticinio, nonché rappresentazione simbolica di Cristo stesso, oggetto del vaticinio. Infatti la conchiglia nell esegesi rappresenta Maria, poiché come la Vergine è stata fecondata dallo Spirito Santo, così essa viene annualmente fecondata dalla rugiada celeste mentre la perla è un emblema di Cristo stesso per analogia di concepimento. Lo zaffiro incastonato al centro del gioiello esprime la sua essenza di simbolo degli uomini saggi poiché in accordo all esegesi biblica il suo colore, simile a quello del cielo, rappresenta la divina illuminazione. Infine completa il preciso simbolismo di questo gioiello il cristallo. Già nelle fonti medievali il cristallo era indicato come il materiale dell immaginazione mentre, nell opera del mago rinascimentale Gerolamo Cardano, la sfera di trasparente cristallo è il luogo privilegiato della divinazione, quello in cui le immagini prendono forma e chi ha il dono della veggenza può attingere nel grande libro in cui tutto è già scritto. P.58: La Sibilla di Andrea del Castagno; p. 59: The Libyan Sibyl, William Wetmore (1819 - 1895), marmo, 1860, Metropolitan Museum of Art, New York; p. 60 e 61: Alcune Sibille di Michelangelo, Cappella Sistina, Roma.


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el V° secolo a.C. in uno sperduto villaggio della Persia un abile artigiano annodò un tappeto come probabilmente se ne annodavano tanti. Di fronte alla sua misera dimora, accovacciato davanti ad un rudimentale telaio, mentre la sua famiglia accudiva le pecore e preparava la tintura per le lane ricavandole da sostanze vegetali o insetti, non poteva certo pensare che per una serie di incredibili coincidenze, quel tappeto sarebbe diventato duemilacinquecento anni dopo, il tappeto più importante della storia. E che avrebbe avuto un nome che all artigiano non avrebbe potuto dire nulla: il tappeto di Pazyryk, una località distante migliaia e migliaia di chilometri. E nemmeno il povero artigiano avrebbe mai potuto immaginare che quel tappeto non sarebbe stato considerato un semplice manufatto artigianale ma una vera e propria opera d arte, conservata in uno dei più importanti musei del mondo: l Ermitage di San Pietroburgo. L ignaro pastore, forse già divenuto sedentario e al servizio di qualche nobile scita persiano, che con rispetto bisognerebbe chiamare maestro, non poteva sapere che attraverso quel tappeto, così come molti

altri tessili, annodati e non, si è potuta ricostruire parte della storia più antica dell uomo, scoprire tradizioni e religioni, migrazioni e usanze di innumerevoli popolazioni, alcune delle quali scomparse o assimilate nel gioco magico ed ancora spesso oscuro della storia dell uomo e della sua evoluzione. In innumerevoli casi il prodotto di un semplice artigiano, un oggetto che era espressione di creatività povera e primitiva, si è rivelato come una fonte di preziosissime e, per secoli, sconosciute informazioni. Il tappeto è nato come oggetto indispensabile per soddisfare le esigenze primarie dell uomo. Dapprima erano semplici stuoie che permettevano di scaldarsi, proteggersi, ripararsi dalla pioggia e dal caldo, dal vento e dalla sabbia, di seppellire i morti, di trasportare avvolgendoli i pochi necessari attrezzi di vita quotidiana. Le stuoie e più tardi i tappeti permettevano di ricreare, nel deserto o nella steppa, delle elementari pareti che proteggevano dalle intemperie e formavano un improbabile spazio protetto laddove la natura sembrava non poter permettere la sopravvivenza dell essere umano, che viveva in funzione delle esigenze delle greggi. Ma poco alla volta, con la necessità dell uomo di sviluppare la propria spiritualità, il tappeto ha cominciato

ad avere una funzione non meno importante. E così nacquero sui tappeti i primi tratti o disegni che non appartenevano alla normale quotidianità ma che nascevano dal bisogno di ricreare attraverso dei simboli, il proprio mondo interiore. Il tappeto divenne uno spazio sacro, che isolava dal terreno, dalla polvere, dalla neve e (attraverso l inserimento simbolico di cornici o bordure), distanziava anche la mente dalla profanità data dal rigido scandire delle ore, dei giorni, delle settimane e dei mesi vissuti in base agli elementari ritmi della natura. Due metri quadrati, o meno, di purezza esteriore, che riflettevano il proprio mondo interiore, dove si poteva, pensare, meditare, pregare e dove attraverso un semplice distacco simbolico dal terreno si poteva entrare in contatto con la propria ricerca di spiritualità. Il tappeto divenne da allora qualcosa di più di un semplice utilissimo oggetto. Ogni segno, anche il più bizzarro o apparentemente insignificante, ogni forma, ogni colore, hanno assunto un significato che poteva essere l espressione di qualcosa in cui credeva l intera comunità o semplicemente l elementare manifestazione del pensiero, anche più intimo, di chi ideava e realizzava il tappeto. Ogni tappeto (fino a quando non

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Antiquitates si è cominciato a massificare la produzione a fini economici) è nato dall esperienza, dai sentimenti, dalla creatività individuale, dalla spiritualità, di chi lo ha realizzato. Ma torniamo al tappeto del nostro artigiano persiano. Si è sempre saputo che già alcuni secoli prima di Cristo in alcune parti dell Asia si annodassero tappeti di varie dimensioni. Si è sempre trattato di fonti letterarie: ne parlano infatti tra gli altri Omero, Eschilo e Senofonte. Ma non scordiamoci che il tappeto è composto unicamente da fibre vegetali che sono sempre e comunque destinate ad una più o meno lenta decomposizione. Per questo è sufficiente dire che i primi reperti di una certa consistenza sono datati a molto tempo dopo, al di là di alcuni frammenti che poco ci hanno saputo rivelare. Tra il tappeto di Pazyryk e quelli successivi pervenutici integri o quasi c è un intervallo di tempo di circa dodici secoli. Il tappeto di Pazyryk fu rinvenuto nel 1949 durante una spedizione dai due archeologi sovietici Rudenko e Griaznov, spedizione avvenuta sui monti Altaj, in Siberia, ai confini con la Mongolia nord-occidentale. Qui, durante gli scavi in una necropoli scita ricoperta dal ghiaccio, in una località chiamata Pazyryk, i due archeologi trovarono il tappeto più antico che si conosca. L aver scoperto un esemplare integro ha permesso di analizzare in maniera approfondita sia la storia che la tecnica di annodatura dei tappeti. I due archeologi lavoravano già da tempo nella necropoli dove erano state localizzate decine di tombe appartenenti

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all aristocrazia scita del V° secolo avanti Cristo. Queste tombe chiamate kurgan, nonostante le continue profanazioni, custodivano inestimabili tesori. Erano composte da due camere concentriche una interna ed una esterna separate da sette (sette!) divisori realizzati interamente in tronchi d albero e ricoperte da alti tumuli di terra. Il tappeto fu rinvenuto nella stanza esterna di quello che fu catalogato come il V° kurgan della valle di Pazyryk. La tomba era stata profanata in precedenza e probabilmente poco tempo dopo la cerimonia funebre che vi si svolse, ma il suo contenuto fu asportato solo in parte. Sicuramente il tappeto non fu ritenuto un oggetto prezioso e fu lasciato lì. Contrariamente a quanto avviene di solito, la profanazione fu un vantaggio. La tomba non fu richiusa e questo permise all acqua di allagarla: con il freddo l acqua diventò ghiaccio che avvolse ogni cosa e la mantenne intatta. Nella tomba fu rinvenuto un piccolo carro dove sopra, oltre al tappeto, c erano altri oggetti come drappi di feltro, stivali, e finimenti per cavalli. Tra le popolazioni scite, ma non solo, allora c era l usanza di seppellire i nobili con tutti i loro averi, la

moglie e spesso, come in questo caso sette (sette!) cavalli. Questo con lo scopo che lo proteggessero e accompagnassero nella vita futura. Un università americana con l esame al carbonio confermò che il tappeto aveva duemilacinquecento anni. Probabilmente il tappeto arrivò in Siberia attraverso quella che noi, molti secoli dopo, avremmo chiamato la Via della Seta, in quanto un oggetto di una tale eleganza e di ottima fattura tecnica non poteva essere stato concepito nelle steppe centroasiatiche ma soltanto in qualche manifattura del Medio Oriente dove il gusto era già squisitamente raffinato. La tesi più probabile è che provenga dalla civiltà degli Achemenidi, dinastia persiana che regnava su popolazioni già in parte sedentarizzate intorno al 500 a. C. Ma ci sono anche altre tesi come quella di chi sostiene invece che sia il frutto di un abile artigiano del Turkestan orientale, dove cultura e tradizione sono più simili a quelle degli sciti o chi sostiene che fosse stato fatto da un artigiano locale influenzato però da tappeti provenienti dal Medio Oriente. Altri studiosi ancora e tra questi Rudenko, il capo spedizione, fecero notare la forte somiglianza


tra i disegni del tappeto ed alcuni rilievi che decoravano mura e pavimentazione dei palazzi di Ninive, come quello di Assurbanipal o di Sennacherib. La provenienza del tappeto quindi per gli archeologi russi era quasi sicuramente assira. Il tappeto di Pazyryk non è solo il tappeto più antico che si conosca. Quello che sorprende vedendolo in una sala dell Ermitage è l incredibile raffinatezza, l armonia tra i colori e i disegni. È quasi quadrato, misura 200x183 cm. Ha un annodatura simmetrica di circa 3600 nodi per decimetro quadrato e quindi è un oggetto di pregevolissima fattura. La tecnica usata è quella a bacchette, tecnica ancora oggi usata in alcune valli tibetane. Nel tappeto di Pazyryk tecnica, colori e disegni sono aspetti complementari di un opera assolutamente unica e particolare. I materiali usati sono lana e pelo di cammello e le colorazioni naturalmente di origine naturale. I colori sono stati ottenuti tramite indaco e cocciniglia e sono leggeri, patinati, eleganti. Il fondo del tappeto è rosso scuro con altri colori quali il rosa ciclamino, il verde pallido, l avorio, l azzurro ed un rarissimo arancione cipriato. Il campo è decorato con ventiquattro piccoli quadrati contenenti, all interno, un motivo composto da quattro (quattro!) boccioli ed altrettante foglie. Il quattro, come il sette è un numero che ricorre spesso nel tappeto. Basti pensare alla misura praticamente quadrata, misura insolita e poco frequente soprattutto nei tappeti antichi. Intorno al campo ci sono cinque bordure, due principali e tre secondarie. Soprattutto le due principali hanno un forte significato simbolico. Quella più esterna rappresenta una processione di guerrieri, alcuni in sella ed altri che accompagnano a piedi il proprio cavallo. Sono molto nitidi tutti i particolari: i cavalli sono bassi e robusti come quelli della steppa, ornati con eleganti paramenti, code e criniere pettinate e ordinate a treccia e briglie con borchie. Al posto della sella ci sono coperte riccamente ricamate con fiori stilizzati. I cavalieri, sicuramente nobili, sette per ogni lato (sette!)

indossano pantaloni e copricapo voluminosi. La seconda cornice principale è composta da una sequenza di grandi cervi, forse alci, sei per ciascun lato. I cervi nella simbologia funeraria scita rappresentavano l incarnazione dei defunti, e danno l idea, così come i cavalieri, di una camminata lenta, triste, a testa bassa. Due delle bordure minori hanno piccoli riquadri con all interno un motivo che rappresenta un grifone alato e sono uguali a parte il fatto che i grifoni guardano in direzioni opposte: anche qui è evidente la simbologia: il grifone era il

protettore, custode eterno del sonno dei guerrieri e dei nobili. La terza bordura secondaria invece richiama il motivo floreale del campo del tappeto. La spiegazione di questi simboli è stata data da Erodoto che narra come avvenivano presso gli sciti le cerimonie funebri. Il re o il principe veniva dapprima imbalsamato e poi portato su un carro (sicuramente lo stesso trovato nella tomba) e condotto per quaranta giorni (di nuovo il quattro) attraverso i villaggi del suo territorio. Il corpo veniva poi deposto nella tomba e con esso anche la moglie dell uomo. Il sepolcro, una volta riempito di oggetti preziosi e manufatti, veniva chiuso e ricoperto di terra. È interessante sottolineare però che la simbologia del tappeto di Pazyryk si riferisce a ciò che accadeva un

Antiquitates anno dopo la sepoltura. Cinquanta cavalieri, scelti tra i più valorosi, venivano sgozzati insieme ai loro cavalli e disposti intorno alla tomba dopo aver sfilato in una mesta cerimonia che è rappresentata nella bordura principale. Tutto ciò avveniva per proteggere l anima del defunto e sottolineare la sua autorità regale anche nel mondo delle anime. Questo spettacolo sicuramente terrificante probabilmente doveva anche essere un metodo di dissuasione verso i profanatori di tombe che anche allora erano molto attivi. Appare quindi evidente che il tappeto non fosse solo un semplice oggetto appartenuto al defunto ma un elemento essenziale della cerimonia funebre. Non solo per la processione dei cavalieri ma anche perché cervi e grifoni appartenevano al culto dei morti. La presenza del carro nel kurgan fa anche supporre che il tappeto sia stato un vero e proprio sudario nel lungo viaggio che ha accompagnato la salma fino alla tomba. Alcune delle tesi qui esposte sono certe, ma sicuramente altre rimangono delle ipotesi. Al di là di questo resta il fatto che questo tappeto ha permesso grandi passi avanti nella conoscenza non solo da un punto di vista tecnico ma soprattutto simbolico: è affascinante questo intreccio di espressioni artistiche religiose e simboliche. Sono gli elementi che infatti distinguono un oggetto qualsiasi da un opera d arte. Rimane infine da affrontare un altro discorso che per noi potrebbe essere molto interessante: i cavalieri si muovono da ovest verso est; i cervi in senso opposto, come a determinare un punto di equilibrio che concentri energia nel centro del tappeto. Un centro geometrico che altro non è che il centro del quadrato, un centro terreno ed allo stesso tempo il centro dell universo. Continueremo così ancora una volta a pensare e a discutere sulla nostra deambulazione... P.62 e 64 in alto: Il tappeto di Pazyryk (vd. testo); p.63: Kurgan (tumuli) nella steppa siberiana; p.64 in basso: Coloranti naturali per le fibre dei tappeti; p.65: Gioiello scita.

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I

n questo momento, in cui siedo pensoso e solitario, Struggendomi So che altri uomini, in altre terre, sono pensosi e si Struggono, E che potrei vederli, alzando gli occhi, in Germania, in Italia, in Francia, Spagna O piĂš lontano, in Cina, in Russia, in Giappone, Parlando altri dialetti, E so che se potessi conoscere quegli uomini saprei Attaccarmi ad essi come agli uomini delle mie parti, E so che ci ameremmo e saremmo fratelli, So che sarei felice insieme a loro. Walt Whitman (da Foglie dÂ’erba 1860-1881 trad. Ariodante Marianni)

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È

Una lettura de L opera al nero

l autrice stessa che al termine del complesso romanzo in una nota esaustiva ripercorre tutto l iter compositivo lungo quanto la sua vita di letterata, dal 1921 fino al 1968, durante il quale presa da un interesse profondo per i fermenti culturali del primo Cinquecento per le lotte tra riforma e chiesa cattolica intollerante verso le idee del libero esame, segue alcuni suoi personaggi, specimina dei loro tempi. Si tratta soprattutto di un medico alchimista, Zenone, che complessamente riunisce in sé le caratteristiche di alcuni dei maggiori protagonisti del libero pensiero cinquecentesco, alla soglie dell età in cui la vera protagonista del mondo sembra essere la fede riformata. Non ci sono nel romanzo richiami a fatti storici veri e propri, narrati con la precisione dello storiografo, ma tutto si svolge nella articolata verità degli eventi simbolico-riassuntivi di momenti e casi realmente accaduti ma in altre forme ed in altri luoghi. Domina la figura del filosofo medico e forse alchimista, anche se delle sue sperimentazioni non si parla direttamente, preferendo l autrice utilizzare locuzioni alludenti all Ars Magna. Uno Zenone che coltiva in sé l amore per il bello come i classici, forse quello che unì Socrate ad Alcibiade, una vera passione per la verità, una forte capacità di sacrificio di sé ed un senso di libertà che si identifica in una sorta di non praticato ateismo, emergono da ogni scontro con i coprotagonisti della vicenda, spesso uomini di fede dell una o dell altra parte. Zenone è uno scettico e cerca la verità. Nei suoi rapporti spende se stesso esprimendo un libero pensiero che lo accomuna ai grandi del periodo: da Tommaso Campanella a Paracelso a Giordano Bruno. La fine tragica è quella dei liberi pensatori. In pagine che racchiudono il sublime, Marguerite Yourcenar descrive gli ultimi momenti del condannato a morte che per non finire nelle atrocità del rogo sceglie un suicidio preventivo affinchè alle fiamme venga dato un corpo ormai senza anima. Zenone in quell attimo scopre cosa sia l anima: nella sua mente, quando il sangue fluisce a fiotti sul pavimento della cella nella notte che precede la sua esecuzione, Zenone si accorge che l anima è il sangue. Fluendo dalle vene, attraverso immagini che ricordano a tratti l immaginario di Bosch o forse qualche passo del Libro tibetano dei morti, si trasferisce in un percorso di liberazione, di luce e di

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on è viltà, né da viltà procede S alcun, per evitar più crudel sorte,

Odia la propria vita e cerca morte... Meglio è morir all anima gentile Che supportar inevitabil danno Che lo farria cambiar animo e stile: Quanti ha la morte già tratti d affanno! Ma molti ch anno il chiamar morte a vile Quanto talor sia dolce ancor non sanno Giuliano de Medici

Recensioni

immagini distorte, più vere di quelle percepite dagli occhi viventi. La figura di Zenone non può fare a meno di ricordare quella del filosofo cui l allievo chiedeva: maestro qual è la via della libertà? e per risposta affermava: essa è in qualsiasi vena del tuo corpo . Le pagine finali sono la vera apoteosi di tutto il lavoro, dove il gioco di rincorsa della verità e del diritto ad esprimerla trova il suo straordinario palcoscenico. Tutto si riassume e tutto si scioglie nella morte e nella salvezza che dona la morte. Il globo scarlatto dell anima vola al di fuori del corpo che ormai la rifiuta con il fluire del sangue e si innalza veloce verso lo zenith dissolvendosi in un giorno abbagliante che era allo stesso tempo notte . In tutto il libro ritorna un motivo dominante, quello della viltà contro il coraggio che si esprime in vari duelli di sentimenti a contrasto. Ma mentre la viltà appare come una maligna presenza capace di tutto, rotta ai più turpi inganni, il coraggio sembra essere un costante attributo del libero pensiero e della rivendicazione al suo diritto. Questa lotta è disperata. Il mondo degli uomini che la vivono decide troppo spesso per la sconfitta del bene e del vero. La stessa collocazione della storia nel Cinquecento sembra essere strumentale alla dimostrazione che il libero pensiero possa solo portare sciagure e morte. Perché quello è il mondo delle guerre di religione e delle intolleranze, delle delazioni e delle calunnie, dei processi sommari e delle sentenze di rogo. Fiamme che dovrebbero purificare il consesso umano dall errore di coloro che hanno la colpa di pensare e di sentire alla propria maniera. Viene fatto di riflettere quanto quell epoca di veleni, di arbìtri e di processi assomigli a tante altre della storia e possa assurgere ad emblema di una condizione di servitù morale e ideale da cui solo la morte può liberare. Ma quale tipo di morte? Il titolo Opera al nero allude ad una fase dell opera alchemica che corrispondeva alla dissoluzione, alla separazione. Nel caso della sua interpretazione simbolica si traspone dal piano della sperimentazione della materia a quello dell evoluzione dello spirito che vive lotte e travagli quando procede verso la liberazione dai pregiudizi e dalla cultura del sentito dire. Dunque sotto i velami della morte fisica e della liberazione dell anima va forse intuita un altra specie di morte, quella che l iniziato ben conosce.

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Recensioni

Tetralogia esoterica

Michela Torcellan, edizioni Giuseppe Laterza, Bari 2007, 190 pp, Prefazione di Luigi Pruneti

Dopo Racconti Longobardi (Firenze 2000), collazione di racconti raccolti in uno schema narrativo omogeneo, Michela Torcellan pubblica queste quattro novelle che però, al contrario della prima opera, apparentemente non presentano un nesso tra di loro. Nel primo di questi si tratta di un Graal trafugato da tre templari alla voracità dei nemici dell Ordine e nascosto in modo geniale nelle fondamenta di una cappella. Un po di thriller, un po di sorpresa, un po di storia concorrono a rendere tutta la narrazione scorrevole ed interessante, con un agnizione finale che placa il lettore sospeso tra l eterno meraviglioso graalico e la verità di certi ritrovamenti archeologici. Il secondo racconto ricostruisce in modo fantastico la morte di Casanova che, agonizzante, ripercorre le immagini e i ricordi della sua lontana Venezia da un remoto castello in terra straniera, Dux. E assistito da un giovane segretario e circondato da tutte le sue piccole cose, collezioni, ricordi che presto lascerà a mani avide. Scrive per mano del nipote una lettera di commiato alla vita e gli affida per una futura pubblicazione l Histoire de ma vie, completa di tutte le sue avventure. Un sacerdote gli somministra il viatico mentre nel

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dolore che gli sconvolge la mente, ormai è alla fine, solo il laudano ha potere. Un ultima occhiata alle stelle e il corpo di Giacomo si perde nell oblio delle cose finite. Nel terzo brano si parla della complicata vita di una stirpe di streghe, che, si sa, per vocazione ereditaria e per intricate ragioni di sangue altro non possono essere. Streghe si nasce, ma streghe si diventa per opera di altra strega unita alle complesse ragioni astrologiche che fanno di un esserino neonato una predisposta all arte nera. Così le ultime vecchie fattucchiere della laguna veneta si trasmettono usi e conoscenze guardate da tutti con orrore, con sospetto ma anche in casi estremi con speranza. Ignoranza ed arcana sapienza si coniugano a formare un filo narrativo sorprendente che lega i fatti e le opere di queste povere folli in un narrare limpido, logico ed a tratti di ritmo folklorico. Curioso lo scivolo finale della scrittrice che cambia la terza persona in un io narrante insospettato, ulteriore occasione di sorpresa per il lettore. E così che accade anche con la storia del misterioso Contafole dell ultimo racconto. Un uomo che gira per le campagne con tutti i tempi ed in tutti i tempi, portando con sé i racconti veri o falsi della vita, della storia e della leggenda. Anche in questo alla fine qualcosa di insospettato si scopre. Terminata la lettura si individua anche lo schema che dà unità a tutto il narrare. L antico aristotelico espediente dell agnizione lega tutti questi personaggi, persi nel tempo, alla vita di oggi, e ripiana ogni punto interrogativo, diciamo ogni piccolo mistero, che tutta l opera nelle sue quattro fasi propone al lettore. Come sempre faconda e ricca la presentazione di Luigi Pruneti, che sa

scoprire la poesia e rifondarla in una prosa originale, tutta sua, pervasa di forti accenti lirici e frutto di un immaginazione fervida.

Giuseppe il massone

Anna Rizzo, Edizioni l Oleandro Arga, Latina 2008, pp.213

Un personaggio, una vita, uno spaccato di storia: ecco come si potrebbe sintetizzare questo volume che incentra nelle sue pagine tutte le complesse istanze di un ben preciso periodo e di una società che muta con l estinzione dei suoi protagonisti. Ogni storia ha le sue storie e questa piccola, privata storia è il campione di una vicenda umana che, scandita dai ritmi della politica della pace delle alleanze e delle guerre, risulta come un vasto affresco che si para dinnanzi agli occhi di un osservatrice attenta e meticolosa, accurata nella descrizione delle cose e delle persone. Anna Rizzo è questo tipo di autore e ci spiega con la forza della sua non comune capacità di rilevare, anche i più segreti dettagli di una vicenda umana, le ragioni prime e le cause generali; non posso dire universali,

perché qui si parla di Sicilia in tutto un divenire. La vita della provinciale Sicilia degli anni alla fine di un ottocento postrisorgimentale è animata dalla forte intraprendenza


di una famiglia nella quale due personaggi si contrappongono. Uno è il vecchio fondatore di un sistema economico, l altro il giovane erede acculturato, dinamico, ma più imprudente e vittima di un momento dai frutti non prevedibili. La massoneria, grande ideale, aleggia su tutto ed è causa di forza e di debolezza nella triste fine di un patrimonio distrutto solo dall odio degli uomini, che si affidano alla dittatura per sopraffare i loro simili. Non si percepisce in tutto il libro una condanna, né aleggiano parole di odio, vive solo la sincera presa di coscienza di ciò che un mondo in caduta lasciava dietro di sé. Non emerge quindi alcuna rivendicazione e nessuna condanna, anche se l autrice parla della propria famiglia e quindi di fatti dei quali ebbe a soffrire sia pure indirettamente lei stessa a causa delle loro pesanti conseguenze. Affascinante come un altro Gattopardo la descrizione delle case, dei luoghi, delle fanciulle e del mondo isolano ai tempi di Giolitti. Poi le guerre con i loro sconvolgimenti e con le loro efferate crudeltà. Va detto che la lettura prende la mano e il libro si assimila in un attimo, alla sua fine resta il rimpianto di non aver potuto seguire la ricostruzione del sistema dopo la caduta, ma l autrice la lascia abilmente intuire tra le righe.

La Saga degli Aperti

Anna Giacomini, Edizioni Giuseppe Laterza, Bari 2007, 216 pp.

Vi sono libri che non lasciano scampo, diventano subito simpatici, amici fidati. I motivi possono essere vari: personaggi accattivanti, una storia avvincente, una scrittura non comune. Talvolta essi si trovano in una felice armonia e convivono nello stesso libro. Ecco allora che il libro è di quelli che non vorresti finire mai, perché inevitabilmente ti lasciano con quel tipico vuoto da fine di un amore . Il romanzo di Anna Giacomini è così, non vorresti separartene mai. Soprattutto non vorresti separarti mai dai personaggi che figurano negli otto capitoli di cui è composto (otto, numero templare. Che sia un caso?). Si comincia dalle origini di questa blasonata famiglia degli Aperti, si comincia dal mitico fondatore, Apertesco giovane dinamico e acuto nell osservare le cose intorno a sé scrive la Giacomini. Un giovane partito dalla Maremma alla volta della Francia per unirsi alle milizie di Carlo Martello. Obiettivo: ricacciare gli insolenti Arabi verso la Spagna saudita. Insomma non c è che dire, stiamo parlando di un ardimentoso

eroe. Naturalmente, come ci si può aspettare, la materia cavalleresca è affrontata con superba ironia dall affilata penna della Giacomini. Così veniamo a sapere che a quei tempi - siamo ancora nel Medioevo - vi erano complicate norme giuridiche nella gestione delle guerre. Una di queste norme aveva dato corso a numerose correnti di pensiero: essa riguardava lo spulzellaggio cui aveva diritto ogni buon cavaliere cristiano. Il termine da adito alla nostra autrice di deliziarci con improbabili codici in latino maccheronico, stillanti sapienza e dottrina, e nobili tentativi di regolamentare la vasta giurisprudenza della deverginizzazione del territorio oggetto di conquista . Ma il romanzo, si stia ben attenti, non è solo una raffinata parodia del Medioevo, giacché gli Aperti - questa famiglia di eroi ed eroine, intellettuali e massoni - sopravvivono a più d una decina di secoli di storia e giungono sino ai giorni nostri. Ciò che contraddistingue tutti i membri di questo nobile casato è una certa predisposizione al fantastico, all insolito, all oltre. Vien quasi da pensare alle storie di vite (extra)ordinarie narrate da scrittori come Gabriel Garcia Marquez o Isabel Allende. Ma tant è se si vuole rinvenire delle fonti d ispirazione, il pensiero non può non correre a Calvino, Borges o Eco, senza tralasciare i romanzi medievali (come potrebbe essere diversamente?). Bisogna dire che Anna Giacomini, pur trovandosi perfettamente a suo agio a raccontare a modo suo il Risorgimento delizioso il capitolo su Garibaldi - oppure la moderna iniziazione dell ultima degli Aperti, sembra aver vissuto in un periodo non ben precisato del Medioevo. La minuzia con cui ne descrive le usanze affascinanti anche se talvolta cruente, deriva dal suo amore per quel periodo storico: per la medievista Anna Giacomini, l Evo di mezzo rappresenta il punto di partenza della civiltà attuale. Ritor-

Recensioni

nando all ultima discendente del casato, quella Luna Aperti giovane donna in carriera, sembrerebbe proprio rappresentare, più di altri personaggi, lo spirito di Anna Giacomini, ricercatrice acuta e sensibile di questioni esoteriche. E così il capitolo di Luna è forse una sintesi scherzosa (ma neanche tanto) dei lunghi e approfonditi studi della Giacomini: vi troviamo infatti la via iniziatica, l alchimia, i Templari, Dante e così via. Da questi studi - in particolare dalla dottrina eretica templare incisa a Chinon e a Domme, dal sufismo, dal catarismo, e dalla teosofia - nasce la Saga degli Aperti. Un ultima nota è d obbligo. La narrazione utilizza un accorgimento letterario gustoso, giacché le vicende della famiglia Aperti sono raccontate, nella finzione letteraria appunto, non da illustri storici o famosi cronisti, ma dalle balie, dalle buone vecchie balie che nel tempo le hanno arricchite di particolari. E così alla fine non sappiamo più se le storie di Apertesco, Gualdrada, Brunissenda, Honorina, il Conte Dottore, Mario Rossi e Luna siano così come le abbiamo lette o non abbiano risentito forse di quel buon condimento fantastico con cui le balie di una volta usavano arricchire i racconti intorno al fuoco. (M.A.)

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Canzone perduta

consapevolmente legata alla propria tradizione - intesa come trasmissione di un abilità, di una cultura originale - oggi si pone come un punto di riferimento sicuro, un marchio di qualità in grado di orientare gli ascoltatori verso una forma espressiva ad alto grado d autenticità. Capace di esprimere i diversi gradienti del sen-

La canzone d autore comincia a Volare Lei e le ancelle libere dai veli alla palla si misero a giocare mentre Nausica dalle bianche braccia intonava tra esse una canzone (Odissea)

L

ungo la storia, sin dai tempi più arcaici, osserviamo i movimenti fluttuanti di una costellazione artistica che abbraccia la lirica monodica greca, i testi dei trovieri, i libretti d opera e la moderna canzone d autore. Queste diverse modalità, pur nella loro contrastante eterogeneità, tendono ad aggregarsi in un unicum artistico: sono tutte espressioni musicali di forme poetico-letterarie. Oggi, in un contesto globalizzato dove si moltiplicano ossessivamente le definizioni dei generi: hip-hop, garage, world, house, techno, ska, metal, ma contemporaneamente cadono molti steccati e nasce un melting-pot espressivo, caratterizzato da una fruttuosa contaminazione tra stili e tradizioni etniche diverse, forse ha poco senso perpetuare la contrapposizione, tipica degli anni Sessanta, fra musica d autore impegnata e musica commerciale d evasione. Ma è vero, comunque, che la canzone d autore, ove conquisti dignità artistica e sia

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tire personale e di favorire un percorso di feed-back in cui anche chi ascolta può diventare, attraverso la personalizzazione interiore di un vissuto altrui, protagonista di un evocazione, di un sentimento nuovo, di un frammento di consapevolezza. La definizione cantautore è un neologismo giornalistico, una delle tante parole inventate dalla stampa per semplificare e comunicare, a livello di massa, un fenomeno complesso. Il termine appare per la prima volta nel 1960 sulla rivista Il Musichiere, nello stretto significato tecnico di colui che interpreta le canzoni che scrive . Certo, questa è solo una definizione quantitativa , che poco ci dice, della validità artistica del singolo cantante. Diciamo che proprio per questo la storia della canzone d autore italiana è indissolubilmente legata alla sensibilità dei vari artisti ed alla forza delle canzoni da loro scritte ed interpretate, alla loro personale equazione psicologica e culturale. Nel 1998 si sono celebrati i 40 anni di un evento da molti considerato come l atto di nascita della canzone d autore in Italia. Il 31 Gennaio 1958, Domenico Modugno, in coppia con Johnny Dorelli, vinse il festival di Sanremo con la canzone Nel blu dipinto di blu popolarmente conosciuta come Volare . Fu il crollo dell egemonia della canzone melodica e sdolcinata, con rima cuoreamore obbligata, che fino a quel momento aveva dominato la scena musicale del nostro paese. Inoltre, per la prima volta, un autore interpretava una propria composizione. Altri famosi artisti del tempo quali Claudio Villa e Nilla Pizzi si erano rifiutati di cantare la canzone considerandola, evidentemente, troppo lontana dai loro schemi usuali. Fran-

co Migliacci, autore del testo si ispirò ad un quadro di Marc Chagall. La musica e l ultimo decisivo tocco creativo, un grido di libertà e di liberazione fu di Domenico Modugno: volavo, oh oh e poi volare, oh oh .

Del grande Mimmo il brano conserva un senso di fragrante e prorompente vitalità mediterranea. Finalmente niente più chiesette nascoste in mezzo ai fior , niente casette in Canadà , ma un volo sconfinato alla Jonathan Livingston, fuori dallo stormo, non più singhiozzato in straziante dedica a qualche maaammma . La grande madre italiana, sempre in bilico tra protezione e stritolamento, tra abbraccio amoroso ed edipica oppressione. Vo-la-re : un grido di felicità dentro un sogno ascensionale immenso e interminabile, dilatato in un tempo sospeso e circolare. In un azzurrità estatica. Nel blu dipinto di blu . Colore (fra l altro iniziatico) caro a tante successive canzoni di successo. Prima fra tutte la bellissima Azzurro di Paolo Conte. Dopo questo terremoto artistico, si risveglia in Italia un movimento ed uno sciame espressivo che pur presentandosi moderno nelle modalità compositive, interpretative e d orchestrazione, reintroduce in una società alquanto imbacuccata e retorica, il senso del racconto personale e collettivo, della riflessione esistenziale, dell evocazione spirituale. Per di più assumendo (in quegli anni) anche un utile funzione di divulgazione e stimolazione culturale. Insomma la canzoneperduta diventa, per una lunga stagione di gloria popolare, canzone-ritrovata. Poi, è storia dei giorni nostri, riemergerà e si inabisserà intermittente come un fiume carsico, comunque virtualmente sempre viva e pronta a donare pagliuzze d oro, emozioni e reminiscenze capaci di illuminare il cammino di chi cerca amore, virtù e conoscenza. Raffaele Mazzei


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Fregi di Loggia R.L. Athena Oriente di Pinerolo

I

l mito di Athena - nata, come è noto, dalla testa di Zeus - è molto vicino al cammino, ai doveri, alle aspirazioni del massone. Il suo lungo percorso evolutivo, fatto di lotte e di crescita spirituale, conquistata con ingegno è simile al lavoro che ispirano le virtù implicite nel simbolismo di Athena. La dea è emblema di vittoria, di luce sul mondo, aurora di un nuovo universo che allude all uscita dalle tenebre dell ignoranza. Essa protegge,

sostiene e consiglia gli eroi nel compimento delle loro imprese contro la forza bruta verso la saggezza. La lancia è arma di luce che perfora il buio; lo scudo - l Egida - con la testa della Medusa è la protezione contro le violenze e i condizionamenti che impediscono la libertà di pensiero. Saggezza, Armonia e Forza sono le sue emanazioni, virtù in cui ogni Libero Muratore riconosce la meta del suo cammino per il bene e il progresso dell umanità.

ad oggi l elenco delle Logge già pubblicato... R\L\ Cartesio O\di Firenze R\L\ Nino Bixio O\di Trieste R\L\ Scaligera O\di Verona R\L\ Minerva O\di Torino R\L\ Sile O\di Treviso R\L\ Luigi Spadini O\di Macerata R\L\ Enrico Fermi O\di Milano R\L\ Kipling O\di Firenze R\L\ Iter Virtutis O\di Pisa R\L\ Venetia O\di Venezia R\L\ La Fenice O\di Forlì R\L\ Goldoni O\di Londra R\L\ Horus O\di R.Calabria R\L\ Pisacane O\di Udine R\L\ Mozart O\di Roma R\L\ Prometeo O\di Lecce R\L\ Salomone O\di Catanzaro R\L\ Teodorico O\di Bologna R\L\ Fargnoli O\di Viterbo R\L\ Minerva O\di Cosenza R\L\ Federico II O\di Jesi R\L\ Giovanni Pascoli O\di Forlì R\L\ Triplice Alleanza O\di Roma R\L\ Garibaldi O\di Castiglione R\L\ Astrolabio O\di Grosseto R\L\ Augusta O\di Torino R\L\ Voltaire O\di Torino R\L\ Zenith O\di Cosenza R\L\ Audere Semper O\di Firenze

R\L\ Justitiam O\di Lucca R\L\ Horus O\di Pinerolo R\L\ Jakin e Boaz O\di Milano R\L\ Petrarca O\di Abano Terme R\L\ Eleuteria O\di Pietra Ligure R\L\ Risorgimento O\di Milano R\L\ Fidelitas O\di Firenze R\L\ Athanor O\di Cosenza R\L\ Ermete O\di Bologna R\L\ Monviso O\di Torino R\L\ Cosmo O\di Albinia R\L\ Trilussa O\di Bordighera R\L\ Logos O\di Milano R\L\ Valli di Susa O\di Susa R\L\ Cattaneo O\di Firenze R\L\ Mozart O\di Genova R\L\ Carlo Faiani O\di Ancona R\L\ Aetruria Nova O\di Versilia R\L\ Giordano Bruno O\di Firenze R\L\ Magistri Comacini O\di Como R\L\ Libertà e Progresso O\di Livorno R\L\ Uroborus O\di Milano R\L\ Ugo Bassi O\di Bologna R\L\ Ravenna O\di Ravenna R\L\ Hiram O\di Sanremo R\L\ Cavour O\di Vercelli R\L\ Concordia O\di Asti R\L\ Per Aspera ad Astra O\di Lucca R\L\ Dei Trecento O\di Treviso

R\L\ La Fenice O\di Livorno R\L\ Aristotele II O\di Bologna R\L\ La Prealpina O\di Torino R\L\ Erasmo O\di Torino R\L\ Hiram O\di Bologna R\L\ Garibaldi O\di Toronto R\L\ Sagittario O\di Prato R\L\ Giustizia e Libertà O\di Roma R\L\ Le Melagrane O\di Padova R\L\ Luigi Alberotanza O\di Bari R\L\ Antares O\di Firenze R\L\ Cidnea O\di Brescia R\L\ Fratelli Cairoli O\di Pavia R\L\ Nazario Sauro O\di Piombino R\L\ Antropos O\di Forlì R\L\ Internazionale O\di Sanremo R\L\ Giordano Bruno O\di Catanzaro R\L\ Federico II O\di Firenze R\L\ Pietro Micca O\di Torino R\L\ Athanor O\di Brescia R\L\ Chevaliers d Orient O\di Beirut R\L\ Giosuè Carducci O\di Follonica R\L\ Orione O\di Torino R\L\ Atlantide O\di Pinerolo R\L\ Falesia O\di Piombino R\L\ Alma Mater O\di Arezzo R\L\ Cavour O\di Arezzo R\L\ G.Biancheri O\di Ventimiglia R\L\ Sibelius O\di Vercelli

R\L\ C.Rosenkreutz O\di Siena R\L\ Virgilio O\di Mantova R\L\ Mozart O\di Torino R\L\ Ausonia O\di Siena R\L\ Vincenzo Sessa O\di Lecce R\L\ Manfredi O\di Taranto R\L\ Cavour O\di Prato R\L\ Liguria O\di Ospedaletti R\L\ S.Friscia O\di Sciacca R\L\ Atanor O\di Pinerolo R\L\ Ulisse O\di Forlì R\L\ 14 juillet O\di Savona R\L\ Pitagora O\di Cosenza R\L\ Alef O\di Viareggio R\L\ Ibis O\di Torino R\L\ Melagrana O\di Torino R\L\ Aurora O\di Genova R\L\ Silentium... O\di Val Bormida R\L\ Polaris O\di Reggio Calabria R\L\ Athanor O\di Rovigo R\L\ G. Mazzini O\di Parma R\L\ Palermo O\di Palermo R\L\ XX Settembre O\di Torino R\L\ La Silenceuse O\di Cuneo R\L\ Corona Ferrea O\di Monza R\L\ Clara Vallis O\di Como R\L\ Giovanni Bovio O\di Bari R\L\ Eos O\di Bari R\L\ G. Ghinazzi O\di Roma R\L\ D.Di Marco O\Piedimonte Matese


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