doctor Zivago

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il dottor

Zivago

adattamento e disegni

Giuseppe Palumbo


La notte era calma. Secondo l’abitudine contratta durante quei giorni e quelle notti trascorse insieme, discorrevano.

Come sempre, l’orizzonte verso il fronte ardeva rossastro e, quando nel brontolio regolare e ininterrotto dell’artiglieria si intromettevano colpi più bassi, ben distinti e cupi, che sembravano far sussultare il terreno, come un pesante baule di ferro trascinato sul pavimento scorticandolo, zivago interrompeva il discorso, quasi in omaggio a quel rumore, e dopo una pausa diceva: è la berta, il sedici pollici tedesco, un affare che pesa sessanta pudy.

sniff...

L’ho notato f i n dal primo giorno. Così dolciastro e nauseante. come di topi.

Ah, so cosa vuoi dire.

Cos’è questo odore che si sente sempre qui in campagna?


è la canapa. Qui ci sono molti campi di canapa. e la canapa manda un lezzo insistente e soffocante di carogna.

Aggiuncici che in zona d’operazione i morti restano a lungo fra la canapa e si decompongono.

Qui regna odore di cadavere. è naturale che sia così.

Nel corso di quei giorni avevano parlato di tutto. Gordon sapeva quello che l’amico pensava della guerra e dell’atmosfera del momento. Jurij Andrèevic gli aveva raccontato con quanta fatica si fosse abituato alla logica sanguinosa della reciproca distruzione, alla vista dei feriti, specialmente agli orrori di certe ferite di armi moderne, ai sopravvissuti storpiati, ridotti dalla tecnica della guerra a pezzi di carne che non avevano più nulla di umano.

riecco la berta. la senti?


giunsero al margine di una grande foresta per metà falciata dal fuoco dell’artiglieria.

Lungo la strada del bosco, a gambe larghe, calzate in pesanti stivali, stavano sdraiati a pancia sotto o supini, giovani soldati impolverati e stanchi, le camicie zuppe di sudore sul petto e sulle scapole: i resti di una unità duramente falcidiata. giacevano per terra come fossero di pietra, senza la forza di sorridere nè di bestemmiare, e non uno voltò la testa quando, dal fondo del bosco, rintronando sulla strada, alcune carrette si avvicinarono rapidamente.

ho fatto male a portarti. ...

qui voleranno pallottole fra poco.


Al trotto, su tacanki senza molle che sobbalzavano di continuo fi nendo di spezzare quelle povere ossa e facendo rovesciare pure le budella, i feriti erano trasportati al centro sanitario, dove venivano prestati i primi soccorsi, erano bendati in fretta e in alcuni casi, particolarmente urgenti, operati alla svelta. Li avevano raccolti, in quantità impressionante, dal campo che si apriva davanti alle trincee, mezz’ora prima, durante una breve pausa delle artiglierie. Almeno una metà di loro erano privi di conoscenza.

Due uomini discutevano con voci alterate. si trattava d’un giovane uffi ciale su tutte le furie che inveiva contro il medico del reparto volante per sapere da lui dove fosse stato spostato il parco d’artiglieria. Il medico non ne sapeva nulla, la cosa non lo riguardava.

lo pregava quindi di andarsene e di non gridare, perché erano arrivati i feriti e lui aveva da fare. alcuni infermieri uscirono con le barelle e cominciarono a scaricare le tacanki. Una crocerossina si affacciò alla tenda. Non era il suo turno, era libera.

Zivago si avvicinò al medico, si salutarono...


L’uffi ciale continuò a imprecare ad alta voce con un accento lievemente tartaro.

poi slegò il cavallo dall’albero, vi balzò su e si lanciò al galoppo lungo la strada che si perdeva nel bosco.


Su una barella trasportavano un poveretto, orrendamente sfi gurato. Una scheggia gli aveva dilaniato il volto, trasformando la lingua e i denti in una sanguinosa poltiglia. Non l’aveva ucciso, ma gli si era conf iccata nell’osso della mascella, al posto della guancia straziata. Con un fi lo di voce, non più umana, l’infelice emetteva brevi gemiti spezzati, quasi una supplica di f inirlo al più presto, perché cessasse quell’inconcepibile, interminabile supplizio. la crocerossina continuava a guardare. a un tratto il suo viso si contrasse dall’orrore.

Che fate? siete impazziti?

La crocerossina credeva che, impietositi dai lamenti, due feriti leggeri che s’erano affi ancati alla barella intendessero estrarre con le mani dalla guancia del poveretto quella terribile scheggia di ferro.

Ma che volete fare, lasciatelo!


Lo farà il chirurgo, con strumenti speciali. se sarà il caso.

O Dio, o dio, prendilo, non indurmi a dubitare della tua esistenza!

...

Un momento dopo, mentre lo trasportavano su per la scaletta, il ferito dette in un grido, ebbe un sussulto per tutto il corpo e spirò.

L’infelice sf i gurato dalla scheggia era il soldato della riserva Gimazetdin, l’uffi ciale che gridava nel bosco era suo fi glio, il sottotenente Galiullin, la crocerossina era Lara; Gordon e zivago, i testimoni; erano tutti insieme, vicini, e alcuni non si riconobbero, altri non si erano mai conosciuti, e certe cose rimasero per sempre ignote, altre attesero per maturarsi una nuova occasione, un nuovo incontro.


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