Il Sommelier n.1/2018

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Periodico Trimestrale - Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/03 conv. Legge n. 46 del 27/2/04 art. 1, comma 1, Aut. MBPA/CN/P/0006/2016

Cattura l’emozione, valorizza l’essenza e interpreta nuovi desideri

Rivista di enologia, gastronomia e turismo - Anno XXXVI n. 1 - 2018

Anno XXXVI - Numero 1 - 2018 - Dir. Resp. Roberto Rabachino - Reg. Trib. Pisa n. 21 del 15.11.1983 - Lg. 47/1948

Speciale Vinoè: alla Leopolda di Firenze si è celebrata la FISAR

€ 7,50


Ai Sigg. Soci Loro Indirizzi

Prot. Nr. 36

Asciano, 02 febbraio 2018

Oggetto: Convocazione in Assemblea del 21 aprile 2018 I Signori Soci sono invitati a partecipare alla Assemblea Nazionale ordinaria che avrà luogo alle ore 3:45 del giorno 20 aprile 2018 presso Hotel San Marco – via Longhena, 42 – 37138 Verona ed occorrendo in seconda convocazione alle ore 15:00 del 21 aprile 2018 nel medesimo luogo per discutere e deliberare il seguente: ORDINE DEL GIORNO

1. 2. 3. 4. 5.

Saluto e relazione del Presidente Nazionale. Nomina del Presidente, del Segretario dell’Assemblea e degli Scrutatori. Lettura del bilancio consuntivo e della relazione al 31 dicembre 2017. Lettura della relazione del Collegio dei Revisori. Approvazione della relazione e del bilancio consuntivo al 31 dicembre 2017 e delibere conseguenti. 6. Regolamenti dell'associazione. Eventuali delibere 7. Varie ed eventuali.

Cordiali saluti

Graziella Cescon Presidente nazionale Fisar

Riconoscimento della Personalità Giuridica con D.P.PI n. 1070/01 Sett.I del 09/05/2001 Sito istituzionale: www.fisar.org – Sito organo ufficiale della F.I.S.A.R.: www.ilsommelier.com

ORGANIZED BY

GRAND TASTING FINEST ITALIAN WINES Verona, 14 Aprile 2018

5 StarWines

THE BOOK


Anno XXXVI - Numero 1 - 2018

L’anno che sarà di Graziella Cescon, Presidente Nazionale F.I.S.A.R. Allungata la vita con la dieta mediterranea a cura del Direttore Responsabile Roberto Rabachino La Segreteria Nazionale comunica di Laura Maggi, Segretario Nazionale La Vitienologia Italiana tra passato, presente e futuro di Giuseppe Martelli Degustando selezionati, richiesti e provati dalla Redazione Centrale

parola all’esperto

La tutela della qualità e la repressione contro le falsificazioni e le frodi nel comparto vino di Alice Lupi Vermut, il ritorno di un grande prodotto di Riccardo Lagorio Sulle sponde del lago di Caldaro il vignaiolo biodinamico che non ti aspetti di Lara Loreti Cori e i suoi vini di Stefano Borelli Le aste dei vini: un bene rifugio alla pari di gioielli, quadri e altre opere d’arte di Stefano Borelli Al via 2018 anno del cibo italiano di Roberto Rabachino Quando il vino è Kosher a cura della Redazione Centrale Frescobaldi, la tradizione in tavola nel nuovo ristorante a Firenze di Lara Loreti Serviranno vitigni diversi di Roberto Rabachino Enoteca Pinchiorri: la sua storia, la sua fama internazionale a cura di Gladys Torres Urday

Biblioteca a cura di Gladys Torres Urday

turismo nel mondo

Alaska: tra i ghiacci del Pacifico di Jimmy Pessina

speciale

Le grandi degustazioni di Vinoè di Davide Amadei Integrazione: il potente messaggio dello spazio food di Sabrina Somigli Vinoè 2017. L’innovazione della tradizione di Alice Lupi MasterClass: il Riesling di Corrado Pieri Fisar in Rosa a Vinoè 2017 di Alice Lupi Champagne, Epernay e dintorni di Aldo Mussio Verticale Timorasso di Walter Massa di Aldo Mussio Verticale di Pergole Torte Montevertine, 2014, 2013, 2012, 2010 e 2009 di Aldo Mussio

il piatto

L’antica tradizione dell’agnello pasquale di Enza Bettelli con l’abbinamento di Nicola Masiello Vinitaly 2018, in programma a Verona dal 15 al 18 aprile 2018 a cura Ufficio Stampa Veronafiere Intervista a Lorenzo Corti, vincitore del concorso “Progetta la tessera FISAR 2018” di Giovanni Pinna MareDiVino cresce ancora: una ottava edizione ricca di qualità di Davide Amadei A Cortona non solo Syrah di Emanuele Costantini Il buono per il bene: grandi chef insieme per beneficenza di Davide Amadei In FAMIGLIA - Le notizie dalle Delegazioni

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di Graziella Cescon, Presidente Nazionale F.I.S.A.R.

L’anno che sarà Ogni inizio d’anno porta con sé un’emozione. Il 2018 in Fisar parte positivo e forte di quanto abbiamo costruito insieme nei mesi scorsi.

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a Vinitaly, fino alla seconda strepitosa edizione di “Vino è”, passando per ogni singolo evento organizzato dalle Delegazioni Territoriali, la nostra Federazione si è distinta per competenza, capacità organizzativa, cura del dettaglio e passione. Ci siamo affermati come riferimento fondamentale nel mondo della Sommelierie. Il nostro numero Soci è aumentato in maniera sensibile e le ininterrotte richieste di formazione professionale hanno dimostrato, e dimostrano, un interesse tale da

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farci decidere di lasciare invariate le quote di partecipazione ai Corsi. Il ruolo sempre più centrale come ambasciatori del vino, ha rafforzato la volontà di rendere la nostra Federazione dinamica tanto nella forma quanto nella sostanza. Ci siamo impegnati in una riorganizzazione interna importante che ha toccato tutti gli ambiti e ci vede oggi rinnovati nell’immagine, per conquistare l’esterno, e nello Statuto, per garantire la massima trasparenza e consentire a tutti i Soci di partecipare, in maniera attiva e consapevole, alle decisioni che riguardano l’identità e il futuro

di Fisar. Nel 2017 abbiamo confermato le nostre capacità e ultimato la trasformazione necessaria per realizzare il nostro obiettivo: essere un luogo di eccellenza per chi ama il vino e vuole acquisire le conoscenze necessarie per comunicarlo; rappresentare un interlocutore stimolante e immediato per coloro che sono attratti dal mondo enoico. Ora abbiamo davanti un nuovo anno con nuove opportunità e nuove responsabilità: i successi del passato ci sostengono e ci danno l’energia per soddisfare le aspettative e perseguire risultati ancora più importanti. Abbiamo saputo meritare la fiducia dei produttori e il consenso di un pubblico vasto e trasversale, esprimendo a tutto tondo la molteplice natura del vino. Abbiamo saputo metterci in discussione e accogliere le nuove esigenze rispettando la nostra tradizione e lasciando intatta l’anima di Fisar. Sono sicura che se investiremo sulle nostre risorse, consapevoli del nostro valore e concentrati sull’amore che ci lega al vino, il futuro sarà entusiasmante e ricco di successi. I primi importanti appuntamenti del 2018 sono già in preparazione: facciamo riconoscere lo stile di Fisar!


a cura di Roberto Rabachino direttore responsabile

Allungata la vita con la dieta

mediterranea 1,6 anni di vita sono stati guadagnati nell’ultimo decennio dagli italiani che salgono ai vertici della longevità mondiale.

È

quanto emerge da una analisi sui Istat relativi alla speranza di vita degli italiani che è salita a 82,8 anni, 85 per le donne e 80,6 per gli uomini, nel 2016. Si tratta di un consistente aumento rispetto alla media di 81,2 anni di dieci anni fa (83,9 per le donne e 78,6 per gli uomini) tanto che l’Italia si è collocata nel 2016 al primo posto della classifica “Bloomberg Global Health Index” su 163 Paesi per la popolazione maggiormente in salute e sana a livello mondiale. Un risultato dovuto alla decisa svolta salutistica degli italiani a tavola che ha portato alla riscoperta della dieta mediterranea con un aumento record dei consumi che va dal +7% per il pesce fresco fino alla crescita del 6% per la frutta fresca. Mai così tanta frutta e verdura è arrivata sulle tavole degli italiani da inizio secolo con una netta inversione di tendenza rispetto al passato. La dieta mediterranea fondata principalmente su pane, pasta, frutta, verdura, carne, olio extravergine e il tradizionale

bicchiere di vino consumato a tavola in pasti regolari ha consentito di conquistare valori record nella longevità. Il ruolo della dieta mediterranea per la salute è stato riconosciuto da numerosi studi scientifici ed anche dall’iscrizione nella lista del patrimonio culturale immateriale dell’umanità dell’Unesco avvenuta

il 17 novembre 2010. L’apprezzamento mondiale per la dieta mediterranea si deve agli studi dello scienziato americano Ancel Keys che per primo ne ha evidenziato gli effetti benefici dopo aver vissuto per oltre 40 anni ad Acciaroli in provincia di Salerno. (Fonte dati Coldiretti su base Istat).

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Registr. Tribunale di Pisa n° 21 del 15.11.1983

Rivista Ufficiale della F.I.S.A.R.

Federazione Italiana Sommelier Albergatori Ristoratori Ric. di Pers. Giuridica PI. n.° 1070/01 Sett. 1 del 9.5.01

Direttore Responsabile: Roberto Rabachino

C.so Galileo Ferraris, 138 - 10129 Torino Tel. +39 011 5096123 - Fax +39 011 5087004 direttore@ilsommelier.com Redazione Centrale: Gladys Torres Urday

C.so Galileo Ferraris, 138 - 10129 Torino Tel. +39 011 5096123 - Fax +39 011 5087004 redazione@ilsommelier.com Editore: Pacini Editore S.r.l.

Via A. Gherardesca, 1 - 56121 Ospedaletto (PI) Tel. +39 050 313011 - Fax +39 050 3130300 info@pacinieditore.it Proprietà: F.I.S.A.R.

Via dei Condotti, 16 - 56017 Asciano (PI) Amministrazione: Sede Nazionale F.I.S.A.R.

SEDE NAZIONALE F.I.S.A.R. Via dei Condotti, 16 - 56017 Asciano (PI) Tel. +39 050 857105 Fax +39 050 856700

segreteria.nazionale@fisar.com

Via dei Condotti, 16 - 56017 Asciano (PI) Tel. +39 050 857105 - Fax +39 050 856700 segreteria.nazionale@fisar.com Grafica e Stampa: Industrie Grafiche Pacini Editore S.r.l.

Via A. Gherardesca, 1 - 56121 Ospedaletto (PI) Tel. +39 050 313011 - Fax +39 050 3130300 info@pacinieditore.it Responsabile Comitato Scientifico

Il Comitato Tecnico Nazionale F.I.S.A.R. ctn@fisar.com Comitato di Redazione e Controllo

Graziella Cescon, Filippo Franchini, Laura Maggi, Valerio Sisti, Luigi Terzago redazione@ilsommelier.com Hanno collaborato a questo numero

Giuseppe Martelli, Gladys Torres Urday, Lara Loreti, Jimmy Pessina, Enza Bettelli, Nicola Masiello, Davide Amadei, Alice Lupi, Sabrina Somigli, Karen Casagrande, Aldo Mussio, Corrado Pieri, Stefano Borrelli, Riccardo Lagorio, Giovanni Pinna, Ufficio Stampa Veroafiere e le Delegazioni della FISAR Per la fotografia

Jimmy Pessina, Davide Amadei, Lara Loreti, FotoArte, Roberto Zucchi, Alessia Bernardeschi, VeronaFiere ENNEVI, Roberto Rabachino, Gladys Torres Urday, Enza Bettelli e immagini di Redazione

Finito di stampare nel mese di Febbraio 2018 presso le Industrie Grafiche della Pacini Editore Srl Via A. Gherardesca • 56121 Ospedaletto • Pisa Telefono 050 313011 • Telefax 050 3130300 www.pacinieditore.it

Distribuzione della rivista La rivista viene inviata in abbonamento postale a tutti i Soci (abbonati) F.I.S.A.R., a tutti gli organi di informazione, a tutti i giornalisti dei gruppi di specializzazione di settore, a tutte le Istituzioni, a tutte le Associazioni di settore e a tutti gli IPSSAR che ne facciano richiesta. La rivista è associata al USPI Unione Stampa Periodica Italiana

Abbonamento alla Rivista € 25,00 per 4 numeri Segreteria di Redazione Il Sommelier: Via dei Condotti, 16 - 56017 Asciano (PI) - Tel. +39 050 857105 - Fax +39 050 856700 - segreteria.nazionale@fisar.com


di Laura Maggi, Segretario Nazionale FISAR, segretario.nazionale@fisar.com

LA SEGRETERIA NAZIONALE COMUNICA Nuovo Statuto, nuovi regolamenti e nuovo sito web.

I

l 2018 è iniziato all’insegna delle novità: nuovo Statuto, nuovi regolamenti, nuovo sito web e, come ogni anno, nuova tessera associativa che per il 2018 veste la grafica realizzata da Lorenzo Corti vincitore del concorso Progetta la Tessera FISAR. Con il rinnovo del tesseramento FISAR 2018 arriverà ai Soci la tessera in anteprima via mail al momento dell’attivazione e

successivamente in originale per posta accompagnata dalla prestigiosa guida Slow Wine 2018. Il 2018 vede anche un ricco calendario di corsi di formazione superiore e di esami per l’iscrizione agli albi FISAR che copre tutte le aree territoriali d’Italia. Per tutte le attività che andranno ad aggiungersi al programma 2018 la Segreteria Nazionale aggiornerà i Soci con le circolari e con la FIS@R News.

MARZO

APRILE

10 (11 eventuale seconda sessione) - Corso DCSF a Mestre

7 (8 eventuale seconda sessione) - Corso DCSF a Napoli

24 (25 eventuale seconda sessione) - Esami Relatori a Milano MAGGIO

GIUGNO

12 (13 eventuale seconda sessione) - Esami Relatori a Napoli

16/17 - Corso C&D a Mestre

SETTEMBRE

NOVEMBRE

29/30 - Corso C&D a Milano

3 (4 eventuale seconda sessione) - Corso DCSF Firenze 17 (18 eventuale seconda sessione) - Esame Relatori Mestre

(Per esigenze organizzative il calendario potrebbe subire delle variazioni che saranno comunicate ai Soci).

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di Giuseppe Martelli, già Presidente del Comitato Nazionale Vini - MiPAAF

La Vitienologia Italiana tra passato, presente e futuro Come si è evoluto negli ultimi 150 anni il settore vitivinicolo italiano? Quali sono le tappe che l’hanno caratterizzato? E quali le sfide che si dovranno affrontare in futuro? Questi in sintesi i contenti del pezzo tratto dalla relazione esposta al Congresso nazionale FISAR di Firenze.

G

li ultimi dati disponibili dicono che la produzione mondiale di vino è di circa 270 milioni di ettolitri (27 miliardi di litri) di cui il 60% prodotti nell’Unione Europea. Il nostro Paese è il primo produttore al mondo, tanto che il 17% del vino mondiale e il

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28% di quello europeo “parlano italiano”. Nel 2017 ha dato vita a 39 milioni di ettolitri, di qualità complessivamente buona ma alquanto eterogenea, siglando l’annata più scarsa dal 1947 con un decremento del 28% rispetto al 2016 (54,1 milioni di ettolitri).

Una situazione generalizzata in tutta Europa (Francia -19%; Spagna -15%; Germania -10%), dovuta all’inusuale, quanto bizzarro andamento climatico e meteorico che ha condizionato il ciclo vegetativo della stragrande maggioranza delle colture


agricole, caratterizzato da elevate temperature e scarsissime precipitazioni.

Tra paure e pericoli la caduta di un mito Ma come si è evoluto negli ultimi 150 anni il settore vitivinicolo italiano? Quali sono state le tappe che l’hanno caratterizzato? Partiamo dal “grande cambiamento” che avvenne tra la metà e la fine dell’800 quando la vite e quindi il vino rischiarono di scomparire dall’Europa a causa dell’avvento dall’America di tre virulenti parassiti: l’Oidio, la Fillossera e la Peronospora. Il pericolo e le preoccupazioni che queste calamità suscitarono fecero capire che non si poteva andare avanti con le tecniche colturali che

da secoli venivano tramandate di padre in figlio, ma che ci si doveva basare su concetti e principi di agronomia, fisiologia e biologia, studiando e ricercando le cause che stavano alla base di ogni

fenomeno. Cadde un mito quando si capì che la tradizione da sola non indirizzava i viticoltori, non risolveva i problemi, non sopperiva alle calamità.

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La crescita del settore tra innovazione e tradizione Così 142 anni fa nasceva a Conegliano (Treviso) il primo Istituto di viticoltura e di enologia d’Europa e quindi del Mondo con lo scopo di assicurare professionisti specializzati in grado di seguire e far proseguire, su basi tecnicoscientifiche, il comparto vitivinicolo. Ad Oleggio (Novara) nel 1891 venne inaugurata la prima Cantina Sociale d’Italia con lo scopo di vinificare i prodotti di quei viticoltori che, spesso, per mancanza di attrezzature e conoscenze vedevano vanificate intere annate. Su questa spinta si iniziarono ad ampliare le conoscenze, a razionalizzare i processi produttivi, a dare importanza

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alle analisi enochimiche, ai controlli microbiologici, all’igiene della cantina e via dicendo. La produzione vitivinicola italiana iniziò ad aumentare e così la sua qualità.

La metamorfosi dei vigneti e delle cantine Dopo le tragiche esperienze belliche, con la ripresa, dagli anni Sessanta la viticoltura iniziò a perfezionarsi: quella promiscua lasciò il posto a quella specializzata. Il “vigneto Italia” ringiovanì: l’età media degli impianti passò dai 50 ai 30 anni di oggi. Crebbero le dimensioni delle aziende: la loro superficie media vitata aumdentò dai 0,5 ettari ai quasi 10 attuali. Anche le cantine cambiarono aspetto; da luoghi di ammasso e di

mera trasformazione diventarono strutture curate, di grande fascino, fatte per produrre ma anche per essere visitate. La botte vecchia venne messa in discussione, bandite muffe e ragnatele, entrò in scena la barrique. I trattamenti chimici lasciarono il posto a quelli fisici e meccanici, il vino passò da alimento a bevanda voluttuaria.

Dal vino da tavola a quello a denominazione di origine La generalità iniziò ad essere sostituita dalla specificità legata alla storia e alla cultura del territorio. Negli anni ‘80 il “vino da tavola“ in Italia rappresentava quasi il 90% della produzione, attualmente è al 30%. I vini di territorio, ossia


quelli ad Indicazione geografica protetta (Igp), non esistevano, oggi sono intorno al 30%; quelli a denominazione di origine controllata e controllata e garantita (Dop) erano solo il 12%, oggi si avvicinano al 40%. (In Francia le Dop sono 357, in Italia 405; le Igp 123, in Italia 118). Anche il modo di vendere e di acquistare cambiò. Per praticità la bottiglia andò sempre più sostituendosi alla damigiana anche per i vini comuni. Il vino italiano iniziò ad imporsi con successo sui mercati internazionali fino ad allarmare i nostri più diretti competitors.

Sconfitta pesante ripresa eccellente

dato i suoi frutti. Così nel 2001 le vendite di vino italiano in bottiglia all’estero hanno superato quelle di vino sfuso. Nel 2002 l’Italia ha sorpassato in quantità la Francia nelle vendite negli Stati Uniti che da allora sono il nostro primo mercato. Nel 2003 il vino rappresenta il primo prodotto delle nostre esportazioni agroalimentari con quote di oltre il 25% su importanti mercati come Stati Uniti, Canada, Giappone. Oggi il 50% della produzione italiana viene venduta all’estero. Ma se in quantità il nostro Paese è il primo esportatore di vino al mondo, in valore veniamo superati dalla Francia a cui comunque, anno dopo anno, ci stiamo avvicinando.

Con il vento in poppa fiduciosi nel futuro Per la nostra economia l’export rappresenta una valvola di sfogo di tutta considerazione visto che i consumi domestici, come in tutti i principali tradizionali Paesi produttori, sono in picchiata. Basti pensare che in Italia nel 2007 il consumo, per persona per anno,

era di 45 litri nel 2016 di 36; in Francia, nello stesso periodo, è sceso da 52 a 44 litri ed in Spagna da 29 a 19. Il futuro? In un mondo che cambia in modo rapidissimo, dove oggi è già domani, è difficile da ipotizzare. Credo comunque che di fronte ad una concorrenza qualificata ed agguerrita, ad un consumatore sempre più competente, al concetto di vino come bevanda edonistica e non come alimento, la produzione debba sempre mirare verso i massimi livelli qualitativi. Attenzione, quando parlo di qualità non intendo solo il prodotto di alta gamma, ma tutto il vino, anche quello generico di tutti i giorni, ovviamente rapportato al prezzo e alla fascia di consumo. Quello vitivinicolo, a mio avviso, è un settore di grande fascino, ma dinamico e sempre più legato alla cultura, al territorio, alle innovazioni e alle scelte di mercato. Certamente continuerà ad essere un comparto di forte competizione che nei prossimi anni creerà diversi e nuovi livelli di accesa concorrenza. Chi vincerà? Come sempre i migliori.

Ma nel 1986 la sua ascesa si interruppe bruscamente con lo scandalo del vino al metanolo: nel mondo vendite a picco e immagine crollata. Il boom appena iniziato sembrava finito. Invece, il settore, dopo essersi leccate le ferite, superato il primo momento di sbandamento, capita la lezione, non gettò la spugna ma compatto reagì con un’offensiva senza precedenti, dando vita ad una nuova primavera del vino italiano che, dopo 5 lunghi anni di duro e sofferto lavoro, ha il Sommelier | n. 1 - 2018

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Les Cretes Società Agricola di Charrère & CSS Aymaville (AO) - www.lescretes.it L’azienda vitivinicola Les Crêtes nasce nel 1989 in Aymavilles (Valle d’Aosta), per opera di Costantino Charrère ed è oggi gestita dalla sua famiglia che, proprietaria di uno storico mulino ad acqua del ’700 e delle antiche cantine di Via Moulins, si occupa, da cinque generazioni, di produzioni agroalimentari. La zona di coltivazione dei vigneti si estende per 25 ettari lungo l’asse orografico della Dora Baltea nei comuni di Saint Pierre, Aymavilles, Gressan, Sarre, Aosta e Saint Christophe.

Chardonnay Cuvée Bois 2014 - Valle d’Aosta DOP Il Cuvée Bois nasce dall’incontro di Costantino con il Conte Gagnard de la Grange, nobile viticoltore di Puligny Montrachet. È un 100% Chardonnay, vinificato e affinato “sur lie” per 11 mesi in rovere francese con “batonnage”. Il colore è giallo dorato. Al naso sentori di banana, frutta candita e tostato. In bocca note di cedro candito, vaniglia e ananas. Lunga persistenza con una equilibrata acidità. Bottiglie prodotte: 16.000

Prezzo consigliato in enoteca: 39 euro

Az. Agricola Anna Spinato Ponte di Pieve (TV) - www.spinato.it Anna Spinato è un’azienda vinicola situata nel nord-est d’Italia, precisamente nella regione Veneto e ha sede a Ponte di Piave. È in questa terra, dal suolo particolarmente adatto alla coltivazione della vite, che prende avvio la storia dell’azienda. Correva l’anno 1952 quando le potenzialità enologiche di questo terreno, lambito dalle acque del fiume Piave, presero forma. Un inizio carico di entusiasmo e tenacia che si deve alla figura carismatica di Pietro Spinato, padre di Anna.

Sauvignon 2015 - Greve Friuli DOC 100% Sauvignon. Vendemmia manuale da metà Settembre. Vinificazione con breve macerazione a freddo dell’uva a cui segue una pressatura soffice. Fermentazione a temperatura controllata in acciaio inox. Maturazione anch’essa in acciaio ed imbottigliamento in primavera Il colore è giallo paglierino carico. Profumi di mela verde, pesca e felce. In bocca ottima acidità freschezza. Bottiglie prodotte: 8.000

Prezzo consigliato in enoteca: 13 euro

Cantina Kaltern

Caldaro (BZ) - www.kellereikaltern.com La Cantina Kaltern è stata creata grazie alla fusione delle quattro cantine sociali originarie di Caldaro sulla Strada del Vino. Già nel 1986 vi fu la prima fusione fra la Cantina Erste e la Cantina Neue, fondate rispettivamente nel 1900 e nel 1925, unitesi a creare la Cantina Erste+Neue. Mentre nel 1992 vi fu la fusione di Bauernkellerei e Jubiläumskellerei, fondate rispettivamente nel 1906 e nel 1908, per dare origine a Kellerei Kaltern. Infine l’ultimo atto si è portato a conclusione a fine 2016 con la creazione di un’unica Cantina Kaltern.

Stern Sauvignon 2016 - Alto Adige DOP 100% Sauvignon Blanc. Macerazione a freddo dell’uva diraspata per 10/18 ore, pressatura soffice, decantazione naturale del mosto, fermentazione lenta a temperatura controllata di 16 °C (20 % in botte grandi), maturazione sulle fecce fini per 5 mesi, filtrazione ed imbottigliamento a marzo. Il colore giallo paglierino con riflessi verdolini. Al naso fiori di sambuco, cassis e frutta tropicale. In bocca una giusta sapidità, persistenza e acidità equilibrata. Bottiglie prodotte: 65.000 10

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Prezzo consigliato in enoteca: 11 euro


Mamete Provostini Mese (SO) - www.mameteprevostini.com La storia di Mamete Prevostini, vini di Valtellina è quella di una cantina italiana che ha cominciato ad amare il vino più di 70 anni fa, con uno stretto legame con il territorio: la Valtellina, una delle aree viticole terrazzate più importanti d’Italia. Nel 2013 realizza la prima Cantina CasaClima Wine della Lombardia.

San Lorenzo Sassella 2013 - Valtellina Superiore DOCG 100% Nebbiolo. Vigneto circondato dalle antiche mura del convento di San Lorenzo nel comune di Sondrio. Fermentazione in acciaio inox con 15 giorni di macerazione del mosto sulle bucce, maturazione di 16 mesi in fusti di rovere e affinamento di 10 mesi in bottiglia. Colore rosso rubino tendente al granato. Profumi di lampone e marasca con note speziate. Sapore caldo, tannini equilibrati, buona acidità e di grande intensità. Bottiglie prodotte: 6.000

Prezzo consigliato in enoteca: 32 euro

Endrizzi San Michele all’Adige (TN) - www.endrizzi.it Endrizzi è tra le più antiche cantine vinicole del Trentino. Produttori di vino da cinque generazioni, i membri della famiglia Endrici (in dialetto locale “Endrizzi”) hanno mantenuto viva una costante: l’intraprendenza. Ogni passaggio generazionale ha introdotto una novità.

Pincastello Riserva Millesimato 2012 - Trento DOC Chardonnay, Pinot Nero. La prima fermentazione viene condotta per parte del vino in barrique e parte in acciaio. La maturazione sui lieviti ha una durata di minimo 36 mesi per ottenere un’eleganza altrimenti irraggiungibile. Il “dosage” è minimo. Colore giallo paglierino vivo, perlage minuto e continuo. Il profumo è intenso con sentori di crosta di pane e leggera nota di miele. Il gusto è secco, pulito e persistente. Bottiglie prodotte: 9.000

Prezzo consigliato in enoteca: 13 euro

Agostino Bosco

La Morra (CN) - www.barolobosco.com Il fondatore dell’azienda agricola è stato Bosco Pietro. L’attività principale è sempre stata la viticoltura concentrandosi, fino alla fine degli anni ’70, sulla produzione dell’uva. Nel 1979 si decide di non vendere più le uve prodotte con così tanta cura ma di dedicare più spazio alla vinificazione. La superficie vitata aziendale è attualmente di circa 4 ettari suddivisa tra nebbiolo, barbera e dolcetto. Tutti i vigneti sono di proprietà e rientrano esclusivamente nel Comune di La Morra.

Nebbiolo Rurem 2014 - Langhe DOC 100% Nebbiolo. In vasche di acciaio inox per 10/12 giorni a temperatura controllata (max 28°C) effettuando 2/3 rimontaggi al giorno. Il vino viene inserito in barrique usate e in fusti francesi della capacità di 500 litri (usati) dove proseguirà l’affinamento per 10-12 mesi. Alla fine di questa fase il prodotto resta in stoccaggio in vasche di acciaio per 3/4 mesi. A questo punto si può procedere all’imbottigliamento. Colore rosso granata. Al naso una speziatura sottile con frutta rossa matura. In bocca tannicità equilibrata, elegante con una buona freschezza. Bottiglie prodotte: 2.500

Prezzo consigliato in enoteca: 15 euro il Sommelier | n. 1 - 2018

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Soc. Agricola Di Lenardo Ontagnano – Gonars (UD) - www.dilenardo.it La loro storia è simile a quella di molte altre cantine: produttrice per decenni di vini per uso locale, solo in tempi relativamente recenti ha concentrato gli sforzi per una produzione qualitativa. Fondata nel 1878, infatti, solo nel 1987 con l’arrivo di Massimo Di Lenardo si è provveduto a dare quella spinta verso l’alto che oggi contraddistingue e valorizza i vini prodotti.

Sauvignon 2016 - Venezia Giulia IGT Sauvignon 100%. Le bacche intere vengono pressate delicatamente in una pressa pneumatica. Dopo un primo travaso il mosto viene trasferito in serbatoi inox di fermentazione a temperatura controllata. Il vino è rimasto sulle fecce e poi viene imbottigliamento. Di colore giallo verdolino con un naso denso di aromi che ricordano peperoni verdi, salvia e pesca bianca. In bocca è fresco, sapido e bilanciato. Bottiglie prodotte: 100.000

Prezzo consigliato in enoteca: 8 euro

Soc. Agricola La Fioca Nigoline di Corte Franca (BS) - www.lafioca.com Collocata su una munifica collina a Nigoline, ai piedi del Monte Alto, è volta a sud est, ma vede le Alpi, il lago d’Iseo, la Franciacorta centro orientale, la pianura e i più vocati vigneti di proprietà. È composta da una inimitabile terrazza sui giardini e sul vigneto “Civetta”, dalla sala degustazione, dalla terrazza di pigiatura, dai locali cantina, imbottigliamento e invecchiamento, questi rigorosamente e naturalmente temperati dal terreno circostante.

Franciacorta Dosaggio Zero Millesimato 2010 - Franciacota DOCG Chardonnay e Pinot Nero. Metodo di rifermentazione naturale in bottiglia. Il vino base viene affinato in botti di acciaio e parte in piccoli contenitori in legno. Dopo l’imbottigliamento per la presa di spuma, subisce una maturazione su lieviti per almeno 30 mesi. Lavorazione manuale su pupitres, sboccatura e affinamento in bottiglia prima della messa in commercio. Di colore giallo paglierino con riflessi dorati. Perlage sottile, abbondante e persistente. Profumo che ricorda la frutta tropicale con delicate note di boisé. Buona struttura, elegante, buona nota acida. Bottiglie prodotte: 5.000

Prezzo consigliato in enoteca: 20 euro

Mamete Provostini Mese (SO) - www.mameteprevostini.com La storia di Mamete Prevostini, vini di Valtellina è quella di una cantina italiana che ha cominciato ad amare il vino più di 70 anni fa, con uno stretto legame con il territorio: la Valtellina, una delle aree viticole terrazzate più importanti d’Italia. Nel 2013 realizza la prima Cantina CasaClima Wine della Lombardia.

Albareda 2013 - Sforzato di Valtellina DOCG 100% Nebbiolo. Selezione dei migliori grappoli del Valtellina Superiore D.O.C.G., sottozone di Sassella e Grumello. Raccolta delle migliori uve in cassetta e successivo appassimento in fruttaio fino alla fine di gennaio, pigiatura e fermentazione in acciaio inox con 21 giorni di macerazione del mosto sulle bucce, maturazione di 20 mesi in fusti di rovere e affinamento di 10 mesi in bottiglia. Colore rosso granato scuro con riflessi aranciati, aroma di spezie e frutti rossi sotto spirito, uva passa e fiori secchi. In bocca è caldo, persistente e rotondo. Bottiglie prodotte: 12.200 12

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Prezzo consigliato in enoteca: 40 euro


Endrizzi

San Michele all’Adige (TN) - www.endrizzi.it Endrizzi è tra le più antiche cantine vinicole del Trentino. Produttori di vino da cinque generazioni, i membri della famiglia Endrici (in dialetto locale “Endrizzi”) hanno mantenuto viva una costante: l’intraprendenza. Ogni passaggio generazionale ha introdotto una novità.

Masetto Due 2014 - Vigneti delle Dolomite IGT Teroldego e Cabernet Sauvignon. Il periodo di appassimento dura circa 10 giorni e le uve perdono il 5% del loro peso raggiungendo l’ottimale concentrazione degli zuccheri. Le due varietà vengono vinificate separatamente. I grappoli leggermente appassiti e freddi vengono diraspati e posti a fermentare in serbatoi a temperatura controllata. Lenta fermentazione in vasca di acciaio per 9 mesi e in bottiglia per altri nove mesi. Colore rosso rubino carico con riflessi violacei. Al naso note fruttate varietali di ciliegia ben matura e dei piccoli frutti con ricchezza di spezie, leggere note vanigliate e di mandorle tostate. In bocca è elegante, morbido e corposo, con tannini presenti ed equilibrati. Bottiglie prodotte: 7.500

Prezzo consigliato in enoteca: 28 euro

Masseria Falvo 1727 Saracena (CS) - www.masseriafalvo.com Nei primi anni del 1700 una ricca famiglia di nobili cosentini decide di costruire una masseria nei suoi possedimenti alle falde del Pollino, nasce così la masseria Falvo. Oggi la famiglia comincia a cogliere i frutti del lavoro di riscoperta delle proprie tradizioni centenarie, grazie alle prime produzioni vinicole di altissima qualità.

Graneta 2011 - Terre di Cosenza Magliocco Riserva DOC 100% Magliocco dolce coltivato in media collina e certificato biologico. Vinificazione in acciao. Affinamento 6 mesi in tonneau, 12 mesi in acciaio per terminare con 12 mesi in bottiglia. Colore rosso rubino. Al naso note di frutta rossa matura, ciliegia, mirtilli e ribes. In bocca è equilibrato, acidità presente, tannini piacevoli e completamente polimerizzati.

Bottiglie prodotte: 18.000

Prezzo consigliato in enoteca: 9,50 euro

Cantine di Castignano Castignano (AP) - www.cantinedicastignano.com L’azienda agricola Cantine di Castignano, è una delle tre più grandi cantine cooperative della Regione Marche, potendo disporre di circa 500 ettari vitati e più o meno altrettanti soci conferitori. L’azienda è stata fondata nel 1960 con lo scopo di vinificare le uve degli agricoltori associati, le cui aziende sono ubicate nel territorio del comune di Castignano e limitrofi, inizia precocemente a distinguersi con prodotti di qualità.

Templaria 2014 - Marche rosso IGT Sangiovese 50%, Merlot 50%. Vinificazione tradizionale in rosso con svinatura a caldo, maturazione in vasche di acciaio per i primi 3 mesi, in botti di rovere per altri 10-12 mesi, con affinamento finale in bottiglia. Colore rosso rubino carico . Profumo intenso e persistente, con evidenti ricordi di piccoli frutti rossi. Sapore elegante, concentrato con una sfumatura riconducibile alla vaniglia. Buona la nota acida. Bottiglie prodotte: 20.000

Prezzo consigliato in enoteca: 5,50 euro il Sommelier | n. 1 - 2018

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di Alice Lupi

La tutela della qualità e la repressione contro le falsificazioni e le frodi nel comparto vino Intervista a Stefano Vaccari, Capo del Dipartimento dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari (ICQRF) del Mipaaf.

Tra i prodotti enogastronomici italiani soggetti a fenomeni fraudolenti vi è anche il vino. Qual è la frode più frequente, che avete riscontrato, per questa bevanda? Il vino è il prodotto agroalimentare italiano più esportato e quindi ha una speciale attenzione sui controlli. Con circa 14mila controlli ispettivi e oltre 3.500 analitici, svolti nel 2017 sui vini, l’ICQRF è la maggiore autorità di controllo italiana del settore e una delle maggiori del mondo. Gli illeciti riguardano nella maggior parte dei casi la designazione e presentazione dei vini. Sono anche frequenti casi di irregolarità documentali nella movimentazioni dei prodotti e quelli relativi alla composizione chimica o organolettica di mosti e vini non conforme. Oltre a ciò, sono stati riscontrati casi di sofisticazione di vini generici, e talora a IGP, per zuccheraggio e annacquamento, 14

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vini a DOP e a IGP non conformi ai requisiti stabiliti dai rispettivi disciplinari di produzione. Nel 2017, inoltre, abbiamo sviluppato, d’iniziativa o su delega, complesse indagini dirette da diverse Procure della Repubblica su tutto il territorio nazionale per contrastare la criminalità agroalimentare. Spesso i comunicatori del vino affermano che dopo lo scandalo del metanolo, nel 1986, si è ripartiti con una nuova consapevolezza, la qualità. Quella fu una frode tossica. In base alla vostra esperienza,

le cose stanno realmente così come sono descritte? Certamente negli ultimi 30 anni molte cose sono cambiate, a cominciare dal ruolo stesso del vino tra i consumatori. Il vino è divenuto sempre più un elemento di piacere ed ha perso i connotati di semplice “alimento” che aveva nei decenni scorsi. Questo ha influito anche sulle frodi, sempre più mirate ad aggredire il suo valore immateriale. Per questo l’ICQRF, nato nel 1986 a causa del metanolo, oltre agli strumenti analitici e investigativi tradizionali,


ha sviluppato sempre più le conoscenze sulla tutela dei valori immateriali e per il contrasto delle frodi online. Pensiamo ai registri telematici del vino, agli accordi con i grandi player dell’ecommerce, da Alibaba a eBay, la cooperazione con Amazon: sono tutti strumenti che consentono al sistema italiano di rispondere alle nuove sfide della contraffazione. Ma non abbassiamo la guardia sulle frodi “tradizionali”. Italian sounding, wine kit… il contrasto ai fenomeni fraudolenti passa anche per il web? Il web è un mercato ormai ordinario: in molti Paesi, specie asiatici, costituisce il principale mercato. Quindi non sfugge ai fenomeni di contraffazione ordinari. L’Italia è comunque all’avanguardia nella lotta alla contraffazione via web: l’esperienza dell’ICQRF, che poco più di tre anni ha compiuto 2.200 operazioni di tutela del Made in Italy sul web, è considerata a livello europeo una best practice. Agiamo sulle piattaforme di eBay, Alibaba e Amazon come soggetto legittimato (owner) a difendere il “nome” delle

Indicazioni Geografiche italiane. Con eBay e Alibaba siamo stati ammessi ad agire direttamente sui sistemi di protezione delle proprietà intellettuali “VeRO” e “Aliprotect”, rispettivamente. Con Amazon Europe, poi, cooperiamo nel bloccare le inserzioni di vendita irregolari di prodotti che evocano o usurpano le Indicazioni Geografiche. Al Museo dei Crimini Ambientali (presso il Bioparco di Roma), tra i prodotti esposti soggetti alla contraffazione vi è, tra gli altri, il vino. È questo un modo per coltivare un’educazione responsabile di consumo passando per le famiglie? La connessione crimine/vino non mi piace. Le frodi alimentari hanno origini antichissime e la conoscenza della storia è sempre fonte di insegnamento. L’educazione responsabile comunque è fondamentale per vivere appieno l’esperienza del vino. Vorrei al riguardo ricordare che il recente Testo unico del vino, nell’articolo 1, riconosce che “il vino, prodotto della vite, la vite e i territori viticoli, quali

frutto del lavoro, dell’insieme delle competenze, delle conoscenze, delle pratiche e delle tradizioni, costituiscono un patrimonio culturale nazionale da tutelare e valorizzare negli aspetti di sostenibilità sociale, economica, produttiva, ambientale e culturale”. Sulla stessa linea i recenti riconoscimenti dell’Unesco che ha inserito nella World heritage list i vigneti che caratterizzano il paesaggio delle Langhe, Roero e Monferrato così come la pratica agricola della vite ad alberello di Pantelleria. Lo sviluppo delle conoscenze del vino, intese nel senso indicato dalla legge sul vino, nei musei e nelle esposizioni culturali, può indubbiamente contribuire a rafforzare la cultura alimentare dei consumatori, i punti di forza, le criticità dei settori merceologici e la valenza del Made in Italy. Il vino è un elemento distintivo, lei ravvede un nesso tra lo stile di vita e la contraffazione? Abbiamo visto come il vino sia sempre meno commodity e sempre più caratterizzato da valori emozionali. La contraffazione, cioè la sostituzione di un vino con un altro di minor pregio, o che comunque non ha i requisiti per potersi fregiare di un nome protetto, è un fenomeno che si fa strada laddove c’è convenienza economica e maggiore successo commerciale tra i consumatori. Certamente i vini italiani, ricchi di valori culturali e che incarnano uno stile di vita apprezzato nel mondo, non a caso sono spesso oggetto di fenomeni di contraffazione a livello globale. Su questo fronte l’ICQRF è in prima linea e proseguirà anche nel 2018 l’azione di prevenzione e contrasto alle frodi e alle evocazioni illegali, anche sul web. il Sommelier | n. 1 - 2018

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di Riccardo Lagorio

Vermut, il ritorno di un grande prodotto Il vermut, o vermutte, oppure vermouth in grafia francese e vèrmot in quella piemontese, è un grande prodotto creato nel 1786 a Torino.

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ppena si entra in una delle zone alla moda di qualsiasi città europea, quelle più

hipsters e di movida, ci si rende conto del fenomeno che, passo dopo passo, sta caratterizzando questo scorcio di decennio: il vermut è tornato prepotentemente alla ribalta nei locali in. Questo è un vino ottenuto macerando erbe, radici e fiori,

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assai popolare qualche anno addietro, è di nuovo tra noi. E questa volta pare abbia voluto occupare i piani alti della società. Ovviamente la base e la combinazione di assenzio e di altre erbe o radici varia da un produttore all’altro; la costante è che viene servito come aperitivo, aggiungendovi altre bevande o ghiaccio. Poi come

accompagnamento, a seconda della tradizione locale, si trovano frutta secca, sottaceti o molluschi. Con altrettanta certezza sarebbe ardito citare chi per primo lasciò macerare erbe nel vino bianco, anche se le fonti storiche aggiudicano il primato a Ippocrate, il quale 400 anni prima di Cristo, avrebbe creato un’infusione alla ricerca di un tonico medicinale


a base di vegetali. Secondo le cronache, l’antico greco mise nel vino fiori d’assenzio e origano dittamo, considerata una pianta sacra e divinatoria, tanto che ancora per 18 secoli la bevanda sarebbe stata definita vino ippocratico. Appartenente alla sfera delle pozioni tonificanti è il vino all’assenzio che Apicio racconta, caratterizzato dalla presenza di assenzio, resina di lentisco, erba di San Pietro e zafferano. Consuetudine che si ritrova in pieno Rinascimento nelle parole di Alessio Piemontese. Ma ancora, le preparazioni che suggerisce ai lettori del 1555 si possono catalogare piuttosto come balsami e colluttori per mantenere la persona sempre sana e vigorosa che bevande fonte di piacere. Nel Settecento Sebastian Herrenleben, nella Raccolta di leggi e ordini austriaci, prescrive infusi di vino bianco a base di assenzio per i dolori addominali e i mali di stomaco. Tuttavia le cose stanno cambiando. Nello stesso periodo infatti Cosimo Villifranchi dà alle stampe Enologia toscana. Pur definendo il vermut un vino

Artemisia Vulgaris o Assenzio Comune stomatico o medicinale, il medico della corte fiorentina sostiene che lo fanno alcuni dei nostri, i quali di tale gusto lo fanno perfettissimo, prefigurando un certo interesse nei confronti dell’aspetto organolettico. E continua ribadendo che I vini per fare buoni vermut devono essere bianchi, naturalmente dolci, ma insieme generosi, o come si dice volgarmente di polso. L’infusione mantiene la presenza di piante officinali. Le più ricorrenti: assenzio, enula

campana, centaurea. Nel frattempo il commercio delle spezie viene monopolizzato dai porti di Genova, Marsiglia e in minor misura Barcellona. Si costituiranno di conseguenza alcuni poli che potevano contare anche su buona disponibilità di materia base: Piemonte, Savoia, Penedès e colline di Tarragona. Martini e Carpano, Dolin e Lillet, Yzaguirre e Rofes sono solo alcuni dei marchi che per decenni hanno contribuito a fare crescere il mito del vermut in Europa. Di pari passo i governi prendono atto del fenomeno. Nei decenni Venti e Trenta del secolo scorso Francia e Italia mettono a punto un’apposta legislazione che norma la produzione di vermut, mentre risale agli anni Novanta l’attenzione dell’Unione europea al tema. In base a questi interventi legislativi si è regolato il vermut come bevanda alcolica che contenga almeno il 75% di vino, un agente amaricante principale le piante di genere Artemisia (a cui appartiene l’assenzio), un grado alcolico tra i 14,5% e i 21%. Ne vengono inoltre stabilite cinque categorie: bianco, rosso, rosé, dry

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ed extradry. Le prime tre con un grado alcolico minimo di 14,5%, le ultime due di almeno 16% e un residuo zuccherino che da 130 grammi litro scende a un massimo di 50. Dopo anni di splendore il consumo di vermut ha risentito di una brusca diminuzione negli ultimi due decenni del Novecento e all’inizio dei Duemila. A riportare in auge questa bevanda alcolica hanno senz’altro contribuito gli sguardi sensuali e le sequenze callipigie che videro protagonista Charlize Theron, ingaggiata per la campagna pubblicitaria di Martini a metà anni Novanta. Dove il vermut si è trasformato in espressione idiomatica è nella zona di Tarragona: farsi un vermut ha assunto il significato più generale di prendere un aperitivo. Questo modo di dire è talvolta utilizzato in tutta la regione catalana. In effetti Reus è la capitale contemporanea del vermut, tanto da trasformarsi in attrattore turistico al pari degli edifici di foggia modernista che compongono la cittadina (peraltro vi nacque Antoni Gaudí). Una moda che ha dilagato in tutta la Spagna senza confini di età e di genere, che va dalla mescita alla spina alla bottiglia di design, dall’extradry al semidolce. A fine Ottocento 18

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Reus poteva contare su oltre 30 aziende produttrici di vermut e una cinquantina di etichette. Oggi proliferano numerose tipologie di vermut artigiani, elaborati grazie ad un’ampia varietà botanica (assenzio, santoreggia, cannella, scorza d’arancia, genziana, cardamomo, chiodi di garofano, salvia, anice stellato, coriandolo e noce moscata quelle più diffuse) e diverse modalità di elevazione, ma vi ha anche sede il Museo del vermut (museudelvermut. com). Migliaia di oggetti esposti, memorabilia di varie provenienze raccolti dall’appassionato Joan Tàpies e la possibilità di provare gli oltre 120 vermut che stanno dietro il bancone. Nello stesso edificio, progettato dall’architetto Pedro Casellas negli anni Venti e un tempo fabbrica di cappelli, al di fuori dell’orario dell’aperitivo, ci si può anche fermare a pranzo o a cena. La commercializzazione dei vermut spagnoli non è molto diffusa in Italia. Eccone alcuni che potrebbero interessare al nostro mercato. Clima Anni Venti si respira nella bottega ristorante Rofes (vermutsrofes.com) con i mobili e le bottiglie monouso che contenevano vermut. Salvador Rofes rappresenta la quarta generazione e di vermut ne

prepara due tipologie. Quello di categoria superiore si imbottiglia a 18%, possiede colore bruno dovuto all’aggiunta di zucchero caramellato e 65 erbe: la doppia macerazione idroalcolica dura complessivamente quattro mesi, in botti di quercia e rilascia un retrogusto amarognolo con sentori di noce moscata e assenzio. Padró, che ha sede a Bràfim, è una azienda che produce vino dal 1886 (vermouthpadro.com). Il primo vermut risale però a tempi assai recenti, 2016. La partenza avviene da uve Parellada, Macabeu e Xarel∙lo che rimangono in infusione con erbe, radici e fiori per almeno due anni. Il Rosso amaro contiene anche buone note di genziana, che lo rende adatto a un consumo per intenditori e ottimo come aperitivo: le impressioni tostate e amare producono immediato desiderio di cibo. Yzaguirre (vermutyzaguirre.com) è una casa fondata nel 1884. Il vermut Selezione che riporta in etichetta questa data è ottenuto macerando per oltre due mesi 80 varietà di erbe e invecchiandosi per tre anni in botti di rovere per stabilizzare aroma e colore. La bottiglia si caratterizza per gradevoli note amare finali. Iris Dorado è il vermut che esce per il marchio De Müller (demuller. es), storico produttore di vino che da qualche anno è passato nelle mani della famiglia Martorell, nota per avere fornito vino da messa ai pontefici, da Pio X a Giovanni XXIII. Iris Dorado possiede colore bruno con riflessi ramati, profumo di spezie dove si distinguono perfettamente vaniglia e cannella con un’impronta di salvia, liquerizia e rosmarino. Intenso e caldo in bocca, rilascia sensazioni speziate di camomilla, menta e coriandolo.


di Lara Loreti

Sulle sponde del lago di Caldaro il vignaiolo biodinamico che non ti aspetti “Non ho studiato tecniche di affinamento. Il vino lo faccio come lo sento…”. Andreas Dichristin si presenta così, schietto e umile, proprio come le sue bottiglie che produce in Alto Adige, nell’azienda Tropfltalhof a Caldaro, a due passi dall’omonimo lago, non lontano da Merano.

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apelli lunghi chiari, raccolti in una coda, occhi di ghiaccio, look e modi semplici, Andreas si muove con disinvoltura nell’azienda che è anche la sua casa. Il tinello, caldo e accogliente, è adibito alle degustazioni. “Ma ci stiamo espandendo e a breve avremo una saletta dedicata”, dice

con soddisfazione. Una dimora agricola che sorge in mezzo alle campagne, tra vigne e meleti. La montagna è lì, e sembra che si possa toccare allungando la mano. La natura e la pace dominano un posto magico, dove regna un perfetto equilibrio tra fare ed essere. Basta guardare le 8 pecorelle che

belano tranquille nella stalla, a due metri dall’ingresso della casa di Dichristin. Sono loro, quegli animali serafici, a fornire al vignaiolo il concime naturale per nutrire le piante. E sono loro che brucando l’erba tra i filari la tengono bassa e ordinata. “Mi danno la materia prima e si cibano del verde in eccesso,

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perfetto no?”, dice l’agricoltore. Il resto lo fanno le tisane con cui Andreas coccola i tralci e foglie. “L’ortica serve per purificare il terreno e per equilibrare tutto ciò che ha intorno, non a caso cresce anche dove ci sono i sassi – spiega l’esperto – Poi c’è la camomilla, che è un antistress naturale. La vite è come un adolescente: intorno ai 14 anni qualcosa cambia e si rischia di entrare in crisi. Così le piante, dopo la fioritura cominciano una

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nuova fase. Passano dal vegetativo al fermentativo e attraversano per questo un momento difficile. È allora che hanno bisogno di questi fiori calmanti che permettono di ridurre lo stress. Infine l’equiseto, ottimo d’estate perché rinfresca, e soprattutto in annate come la 2017, caratterizzate da siccità, è un vero toccasana”. Andreas parla delle viti come se fossero le sue sorelle… “Con la vigna ho un rapporto strettissimo –

racconta il viticoltore biodinamico – ogni anno passo tra una pianta e l’altra almeno 15-20 volte, andata e ritorno. E conosco ogni angolo, foglia per foglia, acino per acino. Questo è il mio mondo, e io sono il loro: siamo integrati e in armonia. Qui si vive bene, la mia famiglia – mia moglie e i miei figli – è felice, ognuno fa la sua parte e insieme costruiamo giorno per giorno il nostro futuro”. Una serenità e una sinfonia che risuona in bottiglia. Dichristin produce quattro etichette: due – Sauvignon e Cabernet – sono affinate in anfora, una in legno – Viogner – la quarta ha una lavorazione particolare, è un rosato che invecchia metà da una parte e metà dall’altra. “Ho fatto i primi vini in anfora nel 2010 e sono rimasto subito soddisfatto del risultato – racconta il vignaiolo altoatesino – È un materiale neutro che permette al prodotto di tirare fuori il meglio di sé, in modo del tutto naturale. Ho sempre lavorato così e mi trovo benissimo”. Andreas ha ereditato l’azienda agricola dalla sua famiglia, forte di


quasi 40 anni di attività (dal 1979). Ma è stato lui a dare la svolta biodinamica, certificata dal 2005. Nel pieno rispetto dei ritmi della natura. E forse non è un caso che Tropfltalhof, nome dell’azienda, letteralmente voglia dire (valle del) ruscello che va solo a goccia. Immagine che rende bene l’idea dello scorrere lento, ma perpetuo del tempo e degli ineluttabili cicli vitali. “Non mi è mai piaciuto andare in giro con l’atomizzatore”, ironizza il viticoltore facendo riferimento alla macchina agricola utilizzata di solito per i trattamenti alle piante. Oggi la realtà biodinamica di Dichristin è ben avviata e riscuote sempre più successo per la particolarità dei vini, in cui il territorio si esprime nelle sue massime potenzialità. Il vignaiolo spiega il perché, e lo fa prendendo come esempio una delle sue etichette più riuscite: il Garnellen a base di Sauvignon blanc: “Il vigneto si trova a 500 metri di altezza e le viti hanno dai 10 ai 25 annui. Vendemmio tardi, in autunno, quando le uve

hanno raggiunto la pienezza del aroma. Poi lascio fermentare il mosto in modo spontaneo in anfore di terracotta. Solo in primavera, seguendo i ritmi cosmici, separo il vino dalle bucce, fino ad allora rimane nel contenitore senza aggiungere solfiti”. Il risultato è sorprendente: un vino così strutturato e intenso da sembrare quasi un rosso, ma al contempo fresco ed aromatico. Giallo oro alla vista, frutta matura, salvia e

zenzero al naso, al palato emerge corposo, riempiendo la bocca con setosa eleganza. Tutto ciò anche grazie al lungo affinamento: parola d’ordine, non avere fretta. “Seguendo il ritmo dei cicli vitali settennali – dice Andreas – attendo che i miei vini raggiungano la maggiore età di 21 mesi, prima di ‘rilasciarli’ nel mondo del vino”. La natura ha fatto il suo corso. Ora è la volta della tavola.

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di Stefano Borelli

Cori e i suoi vini Per decenni zona di vini da taglio e poco noti è ora conosciuto per la grande qualità di alcuni vitigni coltivati quasi esclusivamente in questo territorio.

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he il vino possa essere speciale lo si intuisce guardando l’orizzonte. Dalle vigne sui fianchi dei monti Lepini, inframezzate da impontenti mura ciclopiche, lo sguardo è calamitato dal mare. Quando le giornate sono limpide si scorgono il promontorio del Circeo, le isole ponziane, mentre la brezza del Tirreno ventila le colline tutto l’anno con

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estati calde e asciutte, seguite da autunni freschi e ventilati. Siamo nel comune di Cori a circa 400 metri sul livello del mare, un piccolo paese di 10 mila anime che per i suoi prodotti enologici sta facendo parlare di sé, tanto da diventare uno dei principali centri della strada del vino e dell’olio della provincia di Latina. Per decenni zona di vini da taglio

e poco noti è ora conosciuto per la grande qualità. Bellone o Arciprete, Nero Buono di Cori, sono vitigni coltivati quasi esclusivamente in questo territorio, riscoperti e lavorati in purezza grazie alla perseveranza di alcuni produttori. E che danno vini oggi famosi i cui nomi stimolano la curiosità ed evocano epoche lontane: “Apolide”, “Castore”, “Polluce”,


“Pozzodorico”, “Ercole”, “Illirio”. A testimoniare l’importanza storica di queste zone, all’ingresso del paese, si viene accolti da enormi blocchi di pietra calcarea, attribuite al misterioso popolo dei Pelasgi, protogreci che portarono la cultura del vino nel sud dell’Italia. I resti di altri popoli, quelli dei Prisci latini, i Volsci, dei Romani disseminano il territorio, attraversato e visitato per secoli da viandanti e viaggiatori. Ai tempi del “Grand Tour” quando i nobili del nord Europa venivano in Italia per completare la loro formazione, Cori era un must. E per secoli i pellegrini della via

Francigena vi facevano tappa prima di proseguire verso Brindisi, camminando lenti tra sentieri boscosi, paesini e abbazie nascoste. Altrettanto noti erano i suoi vini citati già da Ovidio e Marziale più di 2000 anni fa, mentre Plinio riferendesi al vitigno Bellone, conosciuto anche come uva pane per la sua buccia sottile e delicata, parlava nella sua “Naturalis Historia” di uva “Pantastica”. Oggi Cori vanta una doc tutta sua, che abbraccia il Cori Bianco Doc e il Cori Rosso Doc, il Cori Bellone e il Cori Nero Buono, anche nella

tipologia Riserva. Il Cori Bianco Doc (Bellone minimo 50%, Malvasia del Lazio e Greco Bianco) è di colore giallo paglierino e dal sapore secco e strutturato. Il Cori Rosso Doc, (Nero Buono minimo 50%, Montepulciano, Cesanese) è un vino secco rosso rubino, fruttato e persistente. A scommettere su questi vini tra le aziende, la più vicina al paese è la “Cincinnato” la cui bottaia è situata in bel casale dell’ottocento, recentemente ristrutturato e che funge anche da agriturismo e spazio degustazioni. La Cincinnato porta il nome del condottiero romano del V secolo a.C. che, a quanto pare, uscito vittorioso dalla guerra contro gli Equi si ritirò a coltivare qui le sue terre. È una cooperativa di 120 soci, nata nel 1947 per un totale di 268 ettari di vigna, disposti lungo i versanti delle colline vulcaniche della zona e che produce ogni anno quasi 900 mila bottiglie. I vitigni bianchi con il Bellone, la Malvasia del Lazio, il Trebbiano e il Greco rappresentano l’81 per cento delle vigne, mentre i rossi Nero Buono, Montepulciano, Cesanese e un piccola percentuale di Sangiovese coprono il rimanente 19 per cento. “Della cooperativa fanno parte – spiega Sisto Colizzi, responsabile del casale – sia anziani contadini che portano alla cantina i frutti dei loro piccoli appezzamenti che giovani agricoltori interessati al recupero del patrimonio vinicolo locale e nella valorizzazione degli antichi vitigni autoctoni ”. Tra i prodotti più premiati e apprezzati all’estero il “Pozzodorico” da uve Bellone al 100 per cento, fermentato in botti di rovere da 500 litri per 10 giorni, maturato per 12 mesi sempre in il Sommelier | n. 1 - 2018

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botti di rovere e poi affinato in vetro per 6 mesi. Il Bellone “Castore” Cincinnato 2016, anch’esso plupremiato, prende il nome dai mitici Dioscuri cui è dedicato l’antico tempio di Castore e Polluce. Sempre da uve Bellone una vendemmia tardiva il “Solina” un vino dolce ottenuto da grappoli di vigneti di oltre 40 anni e le cui uve, prima di essere vinificate, vengono lasciate appassire in pianta sotto l’effetto del sole autunnale e raccolte alla fine di novembre. Tra i rossi realizzati da Nero Buono in purezza da citare l’“Ercole” un vino con lungo affinamento in botti di rovere e che ha sentori di sottobosco, piccoli frutti neri e cacao dolce nel finale. Qualche chilometro più in là, c’è un’altra azienda che sta facendo già da tempo parlare di sé, la Carpineti. Di proprietà della famiglia da generazioni, è stata rilanciata nel 1994 da Marco Carpineti che le ha dato l’impronta che oggi la distingue: l’impegno nel promuovere i vitigni locali con 24

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metodi rigorosamente biologici. Oltre a ridurre al minimo l’uso di sostanze chimiche, nella maggior parte della tenuta si effettua il controllo delle erbe spontanee con ripetute falciature. Nelle vigne, poi, non è raro vedere al posto del trattore l’utilizzo dei cavalli e da qualche anno sono in corso sperimentazioni con l’università di Roma “La Sapienza” per utilizzare gli scarti della vinificazione per realizzare biomasse. Anche l’azienda Carpineti lavora sia uva a bacca rossa, che bianca. L’“Apolide”, interamente Nero Buono, fa due anni e mezzo in botte ed è un rosso dal colore granato intenso con un profumo complesso e un po’ speziato. Il “Capolemole Bianco” viene interamente da uve Bellone, affinato in acciaio, ha colore giallo chiaro vivo con profumo fruttato e floreale. Non manca uno spumante metodo classico da uve interamente Bellone che si affina nella bottaia della cantina. Nel 2011 nella versione Brut è stato considerato

dalla “Guida ai vini d’Italia bio” migliore spumante biologico d’Italia. Mentre lo scorso anno pluripremiato è stato il “Rosé Extra Brut Kius 2012”, da uve Nero Buono con 30 mesi di affinamento in bottiglia. Carpineti produce anche una grappa ottenuta dalle vinacce del Nero Buono, che dopo la vinificazione vengono distillate artigianalmente in piccole caldaie di rame con sistema discontinuo a vapore. Scendendo a valle e andando verso Latina c’è un’altra azienda di tutto rispetto, la “Pietrapinta” nella zona dove secondo la leggenda si combatterono i sostentiori di Mario contro quelli di Silla. La battaglia fu talmente cruenta che in sua memoria una pietra fu dipinta di porpora. Da qui il nome della cantina e dell’area in cui sorge. L’azienda produce vino e olio con metodi biologici e tradizionali. Tra i vini di punta, il “Colle Amato” (100 % Nero Buono) e il Costa Vecchia (Nero Buono, Montepulcinao e Cesanese con aggiunta di Merlot e Petiti Verdot). Superato Pietra Pinta percorrere il tratto della via Frangigena del sud intorno a Cori sarà un’occasione per ammirare i paesaggi della pianura pontina. Dopo qualche chilometro si incontra l’antica Norba, appena fuori dal centro abitato di Norma; l’abbazia di Valvisciolo, capolavoro romanico-cistercense; Sermoneta, gioiello medievale dominato da un imponente castello. Più in basso si incontrano i Giardini di Ninfa, aperti la prima domenica di ogni mese: un giardino botanico tra i più ricchi d’Europa addormentato sulle rovine di un’antica città medievale.


di Stefano Borelli

Le aste dei vini:

un bene rifugio alla pari di gioielli, quadri e altre opere d’arte Musigny, Romanée Conti, Chambertin Armand Rosseau, Petrus, Masseto, Sassicaia. Sono queste le nuove star delle case d’aste internazionali e nazionali: nomi che si sussurano nei corridoi di Sotheby’s e Christie’s e che fanno impallidire con i loro fatturati milionari gli altri settori da qualche anno in declino, filatelia e numismatica in primis.

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vini battuti nelle vendite autunnali delle piazze più importanti, ormai dominate dagli acquirenti cinesi, da Torino, a Parigi, Londra, New York fino a Hong Kong, hanno realizzato cifre al sopra delle più rosee aspettative. Più di due milioni e mezzo di euro alla Sotheby’s di New York di dicembre, tanto per citarne una. Alla base di questo exploit il fatto che il rendimento di alcune etichette negli ultimi anni è cresciuto mediamente di due cifre e che i vini sono sempre più considerati un bene rifugio alla pari di gioielli, quadri e altre opere d’arte. Basti pensare che nel 2000 il prezzo di una bottiglia di Romanèe Conti del 1990 si aggirava sui duemila euro, mentre oggi c’è chi è disposto a spenderne ventimila e oltre. Ma vediamo nei dettagli cosa è successo, partendo dall’Italia. Nell’appuntamento “Vini pregiati e distillati” firmata Aste Bolaffi, in collaborazione con Slow Food Editore e che si è svolta il 16 e il 17 novembre a Torino, l’incasso ha il Sommelier | n. 1 - 2018

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superato 1 milione e 300 mila euro, oltre il doppio del prezzo previsto alla partenza. La parte del leone l’hanno fatta i prodotti francesi: cinque bottiglie di Musigny Grand Cru 2002, Domaine Leroy, sono state aggiudicate per cinquantamila euro. Dalla Francia gli altri migliori risultati: una bottiglia di RomanéeConti Grand Cru 1937 Côte de Nuits battuta a 14.150 euro e una selezione del Domaine d’Auvenay 2002 Côte de Nuits composta da sei bottiglie di Bonne-Mares Grand Cru e sei di Mazis-Chambertin Grand Cru, 28.300 euro. Spostandoci ai prodotti italiani, hanno spuntato le migliori aggiudicazioni i vini piemontesi e toscani, con rispettivamente sette magnum di Barolo Monfortino Riserva 2008, Giacomo Conterno a 10 mila euro e sei bottiglie di Masseto Bolgheri dal 2004 al 2009, 5.250 euro. Nella stessa asta è andata 26

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all’incanto, per un totale di 45 mila euro anche la cantina personale dell’enologo Giacomo Tachis recentemente scomparso, andata a ruba tra i numerosi collezionisti presenti sia in sala, che al telefono e online. Il miglior risultato, pari a 6.250 euro, l’ha spuntato la verticale di Sassicaia Tenuta San Guido composta da 18 bottiglie dal 1968, prima annata commercialmente prodotta di questo cult, al 2003, incluse le famose 1985 e 1988. Straordinario successo anche per i vini della tenuta San Leonardo provenienti sia dalla collezione Tachis sia dalla cantina privata della storica tenuta di Avio, in provincia di Trento. Il capitolo dei distillati, posto in chiusura d’asta, ha realizzato 157 mila euro. Le migliori performance sono state messe a segno da quattro Macallan Single Malt 18 Years Old 1967, 10.600 euro; da una bottiglia di Macallan 1940, 8.750 euro e da una di Macallan 1947 Campbell Hope&King, Elgin ,

6.500 euro. Andando a Firenze l’ultima asta del 2017 di Pandolfini si è tenuta alla Leopolda il 19 e 20 ottobre: re indiscusso il Masseto, sei bottiglie annata 2001 sono state vendute a 5635 euro. Sempre una Masseto magnum del 1998, a 1470 euro. Cinque bottiglie di Brunello di Montalcino Riserva Soldera Case Basse di Gianfranco Soldera in più annate sono state battute per 2.200 euro e un Rosso dei Vigneti di Brunello Case Basse di Gianfranco Soldera in formato magnum del 1979 a 1.225 euro. Sotto il martelleto per il Piemonte, sei bottiglie di Barolo Monfortino Riserva Giacomo Conterno 2002 Barolo a 3.900 euro e una magnum di Barbaresco CrichëtPajé Roagna 2001 Barbaresco a 796 euro. Per l’Umbria 12 bottiglie di Cervaro della Sala Castello della Sala IGT 1998 a 980 euro. Per i vini francesi va segnalato il buon risultato di una bottiglia Musigny Domaine Roumier 2010


Côte de Nuits, Grand Cru, a 6125. Mentre tra i vari lotti ha fatto da padrone la Romanée Conti: un Domaine de la Romanée Conti 1995 Côte de Nuits è stato battuto per 11 mila euro, due bottiglie del 2000 e del 2002 de La Tâche Domaine de la Romanée Conti Côte de Nuits a 5.445 euro, due Richebourg Domaine de la Romanée Conti Côte de Nuits del 1999 a 4.440 euro. Tra i Bordeaux hanno brillato due bottiglie di Chambertin Domaine Armand Rousseau 1990 Côte de Nuits, 4.410 euro e quattro Château Haut Brion 1989 Pessac-Léognan, 1er Cru Classé a 4.900 euro. Di tutto rispetto anche il risultato di due bottiglie Corton-Charlemagne Domaine J.-F. Coche-Dury 1988 Côte d’Or, Grand Cru battuti a 5.145 euro. Andando negli Stati Uniti il 2017 si è concluso con l’exploit il 5 dicembre dell’asta di Sotheby’s Wine a New York. Un’asta di lusso dove i risultati migliori e più rari

hanno permesso di raggiungere la cifra record di 2 milioni e 600 mila dollari. Tra i lotti più pregiati e che hanno ottenuto il prezzo più alto della giornata tre bottiglie di Romanée Conti Domaine de la Romanée Conti 2013 venduti per 55.350 dollari. I classici vini del vecchio mondo si sono distinti, con un’offerta frenetica sia per i vini rossi che i bianchi di Borgogna e Rhone, selezioni ambite e diventate sempre più rare. Sei magnum di Méursault, Les Tessons, Clos de Mon Plaisir 2008 Domaine Roulot sono state venduti a 3.198 dollari, mentre due doppie magnum del Volnay Clos des Ducs 2007 Marquis d’Angerville hanno fruttato 2.337 dollari e due rari magnum di Hermitage Rouge 1979 Jean -Louis Chave, 2.706 dollari. Connor Kriegel, responsabile delle vendite all’asta di Sotheby’s Wine a New York, ha reso noto che il totale delle vendite a New York è arrivato a quasi 23 milioni per il 2017 e che

c’è grande aspettativa per battere i primati di vendita per la prossima asta a New York del 2018, il 24 febbraio. Infine Christie’s, con la sua asta “Hospices de Beaune”, nella cittadina francese di Beaune in Borgogna, quest’anno presieduta dal cantante francese di origine armena Charles Aznavour e i cui proventi vanno totalmente in beneficenza, in opere di ammodernamento di infrastrutture di ospedali e case di cura. Quest’anno ha totalizzato 13 milioni e mezzo di euro con un nuovo record d’asta, battendo quello precedente del 2015. Il lotto più importante, “La Pièce de Presidentes”, una coppia di barili da 228 litri ciascuna di Corton Clos du Roi Gran Cru venduta per 420 mila euro. Il ricavato, andrà a beneficio della Fondazione Tara Expéditions, la Federazione per ricerca sul cervello e la Fondazione per la Ricerca sull’Alzheimer. il Sommelier | n. 1 - 2018

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di Roberto Rabachino – fonte Mipaaf

Al via 2018

anno del cibo italiano

Ministeri delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali e dei Beni Culturali e del Turismo comunicano che il 2018 sarà l’Anno Nazionale del Cibo Italiano.

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i punterà sulla valorizzazione dei riconoscimenti Unesco legati al cibo come la Dieta Mediterranea, la vite ad alberello di Pantelleria, i paesaggi della Langhe Roero e Monferrato, Parma città creativa della gastronomia e all’Arte del pizzaiuolo napoletano iscritta di recente. Sarà l’occasione per il sostegno alla candidatura già avviata per il Prosecco e la nuova legata all’Amatriciana. Allo stesso tempo saranno attivate iniziative per far conoscere e promuovere, anche in termini turistici, i paesaggi rurali storici,

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per il coinvolgimento e la promozione delle filiere e ci sarà un focus specifico per la lotta agli sprechi alimentari. Lo stretto legame tra cibo, arte e paesaggio sarà inoltre il cuore della strategia di promozione turistica che verrà portata avanti durante tutto il 2018 attraverso l’Enit e la rete delle ambasciate italiane nel mondo e permetterà di evidenziare come il patrimonio enogastronomico faccia parte del patrimonio culturale e dell’identità italiana. “Abbiamo un patrimonio unico al mondo – ha dichiarato il

Ministro Maurizio Martina – che grazie all’anno del cibo potremo valorizzare ancora di più. Dopo il grande evento ‘Expo Milano’, l’esperienza agroalimentare nazionale torna ad essere protagonista in maniera diffusa in tutti i territori. Non si tratta di sottolineare solo i successi economici di questo settore che nel 2017 tocca il record di export a 40 miliardi di euro, ma di ribadire il legame profondo tra cibo, paesaggio, identità, cultura. Lo faremo dando avvio al nuovo progetto dei distretti del cibo.


Lo faremo coinvolgendo i protagonisti a partire da agricoltori, allevatori, pescatori, cuochi. E credo che in quest’ottica sia giusto dedicare l’anno del cibo ad una figura come Gualtiero Marchesi, che ha incarnato davvero questi valori facendoli conoscere a livello internazionale”. “Dopo il successo del 2016 Anno nazionale dei cammini e del 2017 Anno nazionale dei borghi, il 2018 sarà l’Anno del cibo italiano. Un’occasione importante per valorizzare e mettere a sistema le tante e straordinarie eccellenze e fare un grande investimento per l’immagine del nostro Paese nel mondo. Grazie alla collaborazione dei Ministeri della Cultura e dell’Agricoltura, l’Italia potrà promuoversi anche all’estero in maniera integrata e intelligente valorizzando l’intreccio tra cibo, arte e paesaggio che è sicuramente uno degli elementi distintivi dell’identità italiana”. Così il ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, Dario Franceschini annunciando l’avvio dal primo gennaio 2018 di una campagna di comunicazione social dei musei statali che pone l’attenzione sul rapporto, nei secoli, tra arti e enogastronomia, sottolineandone il ruolo fondamentale nella costruzione del patrimonio culturale italiano. il Sommelier | n. 1 - 2018

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a cura della Redazione Centrale – Fonte Kosher Italia

Quando il vino è Kosher Kosher è l’insieme delle regole religiose che dominano la nutrizione del popolo ebraico osservante. La parola “Kosher” o “Kasher” significa conforme alla legge, adatto, consentito.

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saggi bandirono il vino di produzione non ebraica essenzialmente per evitare i matrimoni misti, poiché il bere può portare poi all’incontrarsi e così via. Anche prodotti come il brandy e l’aceto di vino devono portare il sigillo di un rabbino. Secondo la tradizione ebraica il vino ha la prerogativa di essere usato per santificare il Sabato (Shabbat) la festa del riposo che è osservata ogni sabato dal tramonto del venerdì e le altre festività religiose. Per poter essere certificato il processo di vinificazione deve seguire una serie di principi e deve essere controllato in ogni singola fase. Vino Kosher significa vino idoneo, adatto al consumo anche durante la festa della Pasqua

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ebraica ed è per questo motivo che l’igiene è necessaria in tutti i processi; le uve devono

essere pure (affinché nulla venga a mescolarsi con il vino), l’elaborazione deve avvenire


Fasi della produzione

preferibilmente in serbatoi di acciaio inox e non si devono aggiungere prodotti che non siano certificati Kosher. Tutte le operazioni, anche la consegna dei campioni agli enologi, devono essere fatte presentati di volta in volta direttamente dai controlli abilitati. Dopo aver terminato il loro compito (compreso l’imbottigliamento) e dopo aver ottenuto l’approvazione del rabbino, il vino riceve la denominazione di vino Kosher o Kosher for passover. La certificazione Kosher si ottiene a seguito di un iter di controllo da parte di un

ente rabbinico specializzato in certificazioni Kosher, che supervisiona la produzione di un alimento al fine di garantire che esso sia Kosher, ossia conforme alle regoli alimentari ebraiche. Un rappresentante del rabbino effettua frequenti e regolari visite nello stabilimento senza preavviso, allo scopo di verificare che non ci siano stati cambiamenti che possano compromettere il suo stato di Kosher. Ciò nonostante, un vino Kosher, può smettere di esserlo se non viene aperto e servito da un ebreo osservante, in quanto perderebbe la sua sacralità.

Pulizia degli impianti (kasherizzazione) La kasherizzazione delle vasche inizia alcuni giorni prima della spremitura, per poter riempire ogni cisterna d’acqua e svuotarla dopo ventiquattro ore per tre volte consecutive. Occorre preparare tutti i macchinari (smontarli accuratamente, verificare che tutto sia pulito, passare acqua calda, pulire e preparare tubi, raccordi e guarnizioni nuove) per l’arrivo del primo carico di uva. La spremitura Già da questa fase deve intervenire il personale ebraico per ribaltare il camion e far pervenire le uve nella coclea, azionare le pigiatrice, la diraspatrice e le pompe che dirigono il mosto nel tino. Gli acini Bucce e semi vengono chiusi e sigillati per essere portati in distilleria dopo aver bollito l’impianto. I prodotti che ne derivano da questa catena sono oramai considerati Mevushal (vino cotto); ad ogni travaso dovrà essere presente l’autorità rabbinica. Il raffreddamento può essere seguito da una fase di stasi del vino. Additivi Eventuali additivi dovranno essere certificati kosher for passover. Bollitura o cottura È una fase necessaria visto che trasforma la qualità del prodotto rispetto agli addetti professionali e tecnici che dopo questa fase possono intervenire manualmente. La recente esperienza vinicola collega un pastorizzatore ad un refrigeratore: il vino passa 4 - 5 secondi alla temperatura di 89° Celsius per essere immediatamente raffreddata a 4° C. Tale procedura garantisce un mantenimento delle qualità organolettiche del prodotto senza perdita di aroma e profumo. Filtraggio È necessario, per poter avere il prodotto Kosher Le Pesach, controllare che i filtri in cellulosa non contengano amidi o derivati da altri cereali. La maggior parte di filtri in commercio, se certificati, rispondono a questi requisiti. Imbottigliamento Dopo una preparazione e pulizia dell’impianto è possibile imbottigliare in bottiglie nuove e pulite secondo la normale procedura. La norma ebraica richiede che vi siano tre segni di riconoscimento della specificità del prodotto: – l’etichetta (dovrà apparire il nome del rabbino che ha eseguito il controllo e rilascia il certificato) – eventuale retro etichetta o in alternativa capsula termica – tappo con segno di riconoscimento o marchio del Rabbinato (sarà l’autorità rabbinica a rilasciare ogni volta il numero di etichette o tappi necessari all’operazione).

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di Lara Loreti

Frescobaldi,

la tradizione in tavola nel nuovo ristorante a Firenze C’è un angolo in piazza della Signoria a Firenze dove eleganza e tradizione sono una cosa sola. Dove Bacco sgorga felice riempiendo il calice di toscanità, e il cibo siede sovrano su piatti di porcellana e tovaglie di fiandra.

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a aperto a inizio dicembre nel cuore di Firenze il ristorante “Frescobaldi”, della storica famiglia toscana del vino. Un locale a due piani, nella piazza costellata di meraviglie dal sapore michelangiolesco, con un ampio spazio all’aperto. A inaugurare il locale, ci hanno pensato gli sbandieratori della città di Figline con un’esibizione, nella piazza, a ritmo di tamburi, che ha riportato gli ospiti e i passanti indietro nel tempo di secoli, calamitando l’attenzione anche di numerosi turisti, tutto con il telefonino in mano pronti a riprendere la scena. Mentre le bandiere solcano il cielo con i loro colorati virtuosismi, lo staff del ristorante serve una delle 32

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più prestigiose etichette di casa Frescobaldi: Leonia Brut, la bollicina dedicata alla trisavola del marchese Lamberto, colei che, di ritorno dalla Francia, decise per prima di piantare le uve Pinot in Toscana. Fragrante e fascinosa, Leonia è un metodo classico frutto appunto delle uve Pinot che crescono sulle colline di Pomino, sopra Firenze. L’ideale

per un brindisi a cielo aperto. Ad accompagnare lo spumante, tartine di zucca con tartufo, crostini con fegatini e tartare di gamberi preparate dallo chef Roberto Reatini. Giovane cuoco, approdato a Firenze dopo aver curato il ristorante Frescobaldi di Londra. Ma entriamo nel locale per assaporare da vicino l’atmosfera

creata non solo dal fascino della famiglia fiorentina, ma anche valorizzata da struttura e arredi curati dal noto studio architettonico spagnolo Lazaro Design. Legno, specchi, locandine di opere liriche (Turandot di Puccini e La Traviata di Verdi solo per fare un paio di esempi), ampie vetrate in un locale che non rinuncia all’intimità esaltata dal colore rosso suggerito qua e là con sapienza. E poi velluto, lampade delicate, balaustre in ferro battuto, mosaici con gli stemmi di famiglia. Non mancano angoli e salette più appartate, dove poter trascorrere momenti di riservatezza. Ma il vero valore aggiunto è lo spazio social del bar, raffinato e alla moda, con ampie vetrine ricche di bottiglie prestigiose, dove è possibile degustare un aperitivo con vista su piazza della Signoria. Subito dopo il bancone, una scalinata porta verso un’inattesa sorpresa: la saletta al piano superiore, che ospita un grande tavolo, piante ornamentali e dominata dall’albero genealogico Frescobaldi, che, orgoglioso di generazioni, ramifica in tre arcate. E a proposito di tradizione, basta sedersi per degustarne l’anima. Il menù di Reatini non punta a sbalordire vista e/o palato, ma ad accarezzarli e rassicurarli con piatti tipici e fortemente ispirati dalla stagione. Qualche esempio? In autunno ampio spazio a castagne, tartufo e cacciagione, cinghiale in primis, come la cucina toscana impone. Carne regina della tavola, ma anche pesce. Squisiti i taglioni all’astice. Castagne e noci anche nella mousse servita come dessert. Spazio, dopo il pasto, anche a maxi vasi in vetro traboccanti caramelle spiritose il Sommelier | n. 1 - 2018

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a forma di palline da tennis e di frutta. Ricca la cantina, che offre tutta la selezione vinicola firmata Frescobaldi, dalle bollicine al rosso Luce, dal Chianti Classico al

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Brunello Castel Giocondo, senza dimenticare il vin santo Quaranta Altari. Aperto sette giorni su sette, il ristorante Frescobaldi Firenze,

offre 65 coperti interni e altrettanti all’esterno. Entusiasti i fratelli Lamberto e Diana Frescobaldi. “Aver aperto questo locale è per noi una grande soddisfazione, abbiamo puntato molto su questo spazio che ci vede protagonisti di una delle piazze più belle della città – dicono i marchesi – Abbiamo anche studiato a lungo la formula architettonica migliore affidandoci a uno degli studi più importanti d’Europa. Nel menù invece vogliamo esaltare la cucina toscana”. E ora c’è grande attesa per un’ulteriore novità: il primo ristorante Ornellaia (che fa parte del Gruppo Frescobaldi presieduto dal marchese Lamberto), che sarà aperto in Svizzera a Zurigo nei primi mesi del 2018.


di Roberto Rabachino – fonte ANSA

Serviranno vitigni diversi I viticoltori devono sperimentare nuove varietà così da poter scegliere i vitigni per la prossima generazione.

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l cambiamento climatico si farà sentire anche nel calice, perché imporrà di coltivare nuove varietà di vite, più adatte all’aumento di caldo e siccità. A fare il punto è un team di ricercatori, secondo cui in futuro, al posto del Pinot Nero, potremmo trovarci a bere un più resistente Xinomavro. Stando ad alcuni studi precedenti, il riscaldamento globale potrebbe far sì che nei prossimi decenni l’Europa meridionale diventi troppo calda per produrre vino di qualità. Ma il gruppo di scienziati capitanato da Elizabeth Wolkovich, docente di biologia evolutiva ad Harvard, non è d’accordo. Anziché spostare le vigne al Nord – rinunciando a caratteristiche essenziali come il terreno, il

fotoperiodo e l’esperienza dei vignaioli – si possono cambiare i vitigni. Il Pinot Nero e lo Chardonnay, ad esempio, sono varietà che maturano velocemente, adatte a luoghi freschi. Quando il termometro salirà, potrebbero essere sostituite da vitigni che hanno bisogno di estati lunghe e calde, come il greco Xinomavro o il Monastrell, di origini spagnole. Con 1.100 vitigni a disposizione, c’è solo l’imbarazzo della scelta. Eppure nel Nuovo Mondo, dagli Usa all’Australia, tra il 70% e l’80% delle vigne è occupato da appena 12 varietà, mentre in Cina il Cabernet Sauvignon rappresenta da solo il 75% del totale produttivo. La causa principale è la globalizzazione del mercato. “Nel Nuovo Mondo il

consumatore chiede una bottiglia di Pinot Nero o di Cabernet”, spiega Wolkovich, anche se il gusto varia enormemente in base all’area di produzione. Nel Vecchio Continente la situazione è diversa, c’è l’arte di miscelare mosti e vini. In Europa meridionale le varietà presenti sono più numerose. Esistono però delle norme stringenti. Per produrre lo Champagne, ad esempio, è autorizzato l’uso di nove vitigni, ma il grosso lo fanno il Pinot Meunier, il Nero e lo Chardonnay. Per i vini di Borgogna si usano Pinot Nero e Chardonnay con Gamay e Aligoté. ‘’La ristrettezza rema contro la resilienza, che di fronte alla minaccia del riscaldamento globale richiede di diversificare. I viticoltori – sottolineano gli studiosi dell’università statunitense – devono sperimentare nuove varietà, così da poter scegliere i vitigni per la prossima generazione’’. “Il Vecchio Mondo ha una gran diversità di vitigni, alcuni dei quali si sono adattati a climi più caldi e tollerano meglio la siccità. Dovremmo studiarli – conclude Wolkovich – per prepararci al cambiamento climatico” il Sommelier | n. 1 - 2018

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a cura di Gladys Torres Urday - Credit photo Studio Quagli, Gianni Ugolini, Simone Dicosta e Brambilla-Serrani

Enoteca Pinchiorri:

la sua storia, la sua fama internazionale Siamo nei primi anni ‘70, Giorgio Pinchiorri, emiliano, è un raffinato appassionato di vini. Incontra Annie Féolde, francese, proveniente da una famiglia di albergatori di Nizza, a Firenze per migliorare l’italiano. È subito scintilla, Annie e Giorgio diventano inseparabili e cominciano a lavorare insieme.

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iorgio, inizialmente con nove soci, apre l’Enoteca Nazionale, dove si servono vini a bicchiere che, ben presto, vengono accompagnati da stuzzichini preparati da Annie. Nel 1979 Giorgio acquista le quote di tutti i soci e nasce ufficialmente l’Enoteca Pinchiorri. I vini diventano sempre più ricercati e la Cantina si fa notare come una delle più ricche e complete del mondo, mentre gli stuzzichini si trasformano in vere e proprie prelibatezze, ottenendo 36

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Giorgio Pinchiorri


punteggi altissimi in tutte le Guide gastronomiche. Nel 1992 viene aperta la sede di Tokyo e nel 2007 quella di Nagoya. Sempre nel 1992 un pauroso incendio, probabilmente di origine dolosa, distrugge quasi interamente la Cantina. L’incendio si sviluppa nell’area che custodisce i pezzi unici dell’800 e del ‘900, distruggendo una collezione che non aveva

uguali. Giorgio, con il supporto di Annie, decide di non arrendersi e con coraggio e determinazione comincia la ricostruzione. Dopo due giorni l’Enoteca è aperta di nuovo. Tempo sei mesi e la Cantina viene riorganizzata; i vini andati persi, tranne i pezzi unici, ricomprati. Quindici giorni dopo questo evento infausto, l’Enoteca riceve l’annuncio dell’arrivo imminente della terza

stella. Nel 2016 è la volta di Dubai, dove viene inaugurato un nuovo concept, quello di The Artisan by Enoteca Pinchiorri: un ristorante giovane, in cui si segue un approccio meno formale ma sempre improntato alla qualità e all’italianità. L’eccellenza raggiunta dall’Enoteca rappresenta un primato tutto italiano, che ottiene il riconoscimento del pubblico e della stampa più influente, in Italia e all’estero. La fama è basata su una solida reputazione costruita nel tempo, fondata su un insieme di fattori che sono: • piatti inimitabili che, oltre al palato, solleticano la mente, coinvolgendo tutti i sensi in un’altalena di emozioni; • una Cantina definita da Gino Veronelli “immensa, leggendaria, inimitabile”; • un servizio impeccabile che mette il cliente e le sue esigenze al centro dell’attenzione, nel desiderio di fargli passare un momento unico e indimenticabile; • un ambiente raffinato dove ogni dettaglio è curato: le fini porcellane, i bicchieri di cristallo, le brocche d’argento con i fiori, tutto concorre a creare una sensazione di bellezza e benessere; • ultimo e non meno importante elemento, la costante presenza in sala di Annie e Giorgio, che accolgono personalmente tutti i clienti, sia quelli affezionati e abituali che quelli nuovi.

La Cucina Annie Féolde

Una cucina d’autore, nata inizialmente come accompagnamento dei vini e diventata negli anni un punto il Sommelier | n. 1 - 2018

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Gli chef Luca Lacalamita, Alessandro Della Tommasina e Riccardo Monco

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di riferimento per i gourmet. Spiega Annie: “Abbiamo iniziato con la voglia di far piacere alla gente, di farla star bene. La cucina è nata e si è sviluppata intorno ai vini incredibili e sorprendenti che Giorgio proponeva ai nostri ospiti. Oggi la nostra è una cucina contemporanea, incentrata sul rispetto per le materie prime. Siamo a Firenze, cerchiamo di non dimenticare le nostre radici, toscane e italiane, e le trasformiamo seguendo i gusti dei nostri giorni, con semplicità e attenzione alle esigenze del nostro organismo. Tutto questo evitando le mode e usando tanta creatività”. L’Executive Chef Riccardo Monco, assistito dallo Chef di Cucina Alessandro Della Tommasina e da tutta la brigata, lavora all’ideazione dei piatti e all’affinamento delle ricette, che compongono una Carta molto ricca e ricercata, descritta così da Annie: “Scorrere la Carta, dagli antipasti ai dolci, è un viaggio in un mondo fantastico. Piatti che, già nel nome, sono un inno alla buona tavola; espressione di una cucina italiana evoluta, in costante e perfetto equilibrio tra canoni tradizionali e sperimentazione gastronomica”. Riccardo spiega cosa contraddistingue la cucina dell’Enoteca e il suo modo di vedere il mondo della gastronomia di nicchia: “All’inizio di ogni stagione – e spesso anche durante, in base a quanto ci offre la natura – rivediamo la nostra carta e proponiamo nuovi menu degustazione: attualmente abbiamo il menu Scoperta e il menu Contemporaneo. Il primo consiste in una selezione di 7 piatti tratti dal menù alla carta, rappresentativi della nostra cucina. Anche il menù più prettamente stagionale si compone di 7 piatti, e nasce sull’onda del cambiamento. Contemporaneo vuole essere un omaggio all’italianità, a quei gusti autentici che fanno parte della nostra storia sensoriale e che vogliamo esaltare, grazie alla scelta di materie prime locali e all’utilizzo intelligente delle tecniche”. Riccardo ama raccontare come nascono i piatti dell’Enoteca: “Per i pici, ad esempio – uno dei piatti che, reinterpretati, ricorrono spesso nella nostra carta –, si utilizza una pasta di pane integrale e lievito madre. Questo permette alla pasta di avere una leggera acidità, molto saporita, grazie alla quale non


si rende necessaria l’aggiunta di salse a base di vino bianco. Questo tipo di preparazione porta la pasta ad una nuova esperienza sensoriale per il palato; il tutto è contenuto all’intero della pasta, per cui la salsa diventa un accompagnamento e non un elemento indispensabile del piatto”. La costante ricerca dell’eccellenza include lo studio e la realizzazione di dessert originali e altamente concettuali, realizzati dallo Chef Pasticcere Luca Lacalamita. Luca, giovane realtà della pasticceria mondiale, con un curriculum incredibile, parte dalla tradizione della pasticceria, per poi reinterpretarla con grande spinta verso il futuro e con curiosità. Ci spiega così la sua visione: “Per noi non esiste un semplice dessert, esiste invece un cammino, un’idea che vogliamo sviluppare e mostrare al nostro ospite. Ogni dessert ha una sua base nella storia, che si evolve seguendo tecniche più moderne. Per me mondo dolce e mondo salato sono facce della stessa medaglia. Alla base di tutto c’è la pasticceria, che può e deve eccellere in tutti e due i mondi”. A lui si deve anche la creazione delle praline di cioccolato proposte a fine pasto nel percorso di degustazione. Passione e abnegazione, ricerca e saper fare, sono le caratteristiche di una brigata di cucina che, guidata da Annie, ha creato la reputazione e la fama dell’Enoteca.

La Cantina La storia della Cantina di Giorgio inizia negli anni ‘70 e si fonda su un’autentica passione per la ricerca e la conoscenza dei vini d’eccellenza. L’interesse, l’intuizione e l’abilità nel cogliere le nuove tendenze nel gusto hanno portato Giorgio a viaggiare in tutta Italia, promuovendo per primo molti di quelli che oggi sono diventati vini di grande vanto per la produzione Italiana. Alcuni tra i più importanti produttori italiani selezionano e imbottigliano grandi vini in esclusiva per lui. I numerosi viaggi in Francia alla ricerca dei segreti dei Bordeaux e Borgogna hanno arricchito la Cantina con collezioni da mille e una notte. Un tesoro inestimabile composto da oltre 4000 etichette italiane e francesi, disposte con un ordine millimetrico su tutta la superficie della cantina. il Sommelier | n. 1 - 2018

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Alcuni esempi di etichette memorabili: • La collezione Romanée-Conti con i 24 grandi formati del 1985 con etichetta numero 1 (12 jeroboam e 12 mathusalem) • Mouton Rothschild del 1870 • Château d’Yquem del 1896 • Château Lafite bianco del 1959 • la collezione 1964-1980 della Malvasia del Parroco di Nus, il prete-enologo don Augusto Pramotton • la bottiglia numero 1 di Sassicaia (1968) • la bottiglia numero 1 di Tignanello (1971) firmata da Piero Antinori • il Merlot Ornellaia 1986 che l’anno successivo sarebbe

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diventato Masseto • il Cabernet Sauvignon Screaming Eagle (California) ottenuto dopo sei anni di lista d’attesa • alcuni vini esclusivi: dal Cannaio di Montervertine passando per il Crognole e il Sodaccio (Radda in Chianti), l’Ancilo e il Perannie di Felsina (Castelnuovo Berardenga), il Richiari e il Piantonaia di Poggio Scalette (Greve in Chianti), al Canperlaia di Argentiera (Bolgheri) • l’ultima novità: il Lambrusco di Sorbara, metodo classico rosé Cantina della Volta. L’Enoteca possiede anche una Carta dei Distillati composta da una vasta gamma di rari Bas Armagnac, Cognac, Whisky e Rhum, nonché una pregiata selezione di distillati d’uva e Grappe d’autore, con la possibilità di degustazioni in abbinamento a raffinati sigari che sono proposti nel salotto fumoir. La cosa più bella per Giorgio Pinchiorri, oltre a coltivare con passione la sua Cantina, è poter degustare i vini

insieme agli esperti, ogni giorno e ogni volta che arrivano delle bottiglie nuove, anche quelle più rare, per far crescere e tenere sempre aggiornata la sua squadra. La Cantina è un luogo pieno di vita e di azione, ogni vino ha il suo momento perfetto per essere servito e uno dei compiti dei Sommelier è quello di cogliere questo momento ideale.

L’Enoteca oggi Il Palazzo settecentesco Jacometti Ciofi che ospita l’Enoteca si trova nella rinascimentale Via Ghibellina, a pochi passi da Santa Croce, in uno dei quartieri più interessanti e vivaci di Firenze. L’Enoteca si compone di quattro sale, una loggia, una sala privata per fumatori e una corte rinascimentale, dove d’estate è possibile cenare all’aperto. Oggi i dipendenti dell’Enoteca sono circa quaranta, provenienti da otto nazionalità diverse che convivono in grande armonia. Ma il perimetro storico e concettuale dell’Enoteca non finisce in via Ghibellina, dicono Giorgio e Annie: “Abbiamo ancora tanti sogni, idee, progetti da realizzare, perché non siamo mai soddisfatti di quello che abbiamo ottenuto finora. Siamo alla costante ricerca di migliorare, sia per i clienti sia per chi lavora con noi. Il comfort e l’efficienza del locale si apprezzano in tutti i settori: dalla cucina ai servizi; dalla cantina al rispetto dell’ambiente; dalla formazione dei giovani ai rapporti umani. Desideriamo, in particolare, aumentare la sensibilità e la solidarietà verso le persone bisognose. Speriamo così che le persone possano ritrovare un po’ di pace e serenità”.


di Gladys Torres Urday – gladys@torresurday.com

I Sapori del Vino

Fabio Pracchia - Slow Food Editore Risulta difficile comprendere i nuovi vini che escono oggi dalle cantine con i vecchi strumenti della degustazione; questo libro vuole suggerire un metodo diverso per incontrare e accogliere il valore della differenza che la viticoltura contemporanea ha saputo esaltare. In effetti, grazie a una viticoltura sempre più sensibile al rispetto del luogo di origine, il canone espressivo dei vini italiani è stato protagonista di un radicale cambiamento. Il gusto si è lasciato alle spalle la rigidità formale imposta da un’eccessiva estetica enologica così diffusa nel recente passato, per restituire al vino elementi originali e densi di carattere che alla qualità formale intrecciano valori storici e geografici. Questi tratti inediti coincidono con la vera identità dei territori enologici di riferimento; il loro sapore si è perentoriamente affermato tra gli appassionati creando una netta divisione con l’enologia del passato.

Non è il vino dell’enologo Corrado Dottori - Habitus

Corrado Dottori è un vignaiolo che produce Verdicchio e non solo sulle colline marchigiane. È approdato alla vigna dopo essersi licenziato da un posto garantito in una grande banca internazionale. E oggi fa il contadino. Cosa significa fare ed essere un agricoltore agli albori del Terzo millennio? Come si fa agricoltura? Cos’è un ambiente? Quali sono le relazioni tra un coltivatore e un sistema vivente quale la vigna? Quale vino produrre? Con quali tecnologie e per ottenere quale gusto? Questo lessico per un’altra «contadinità» ne è la risposta. Un viaggio dentro il mondo della vigna e dentro la vita di chi se ne prende cura. Che passa per la cantina e gli scaffali di vendita. Per la critica del gusto e la storia della produzione viti-vinicola nel Novecento. Per l’enologia e Luigi Veronelli. Per le grandi fiere del vino e i terroir. Una riflessione lungo i sentieri che partono dalla «natura» e sfociano in un prodotto di «artificio» quale una bottiglia di vino. Articolato nella forma di un lessico, questo libro è anche il racconto di ciò che definisce il mondo del vino ma che non trova spazio nelle guide o nei manuali sul bere.

I distillati. La storia, le tecniche di produzione, la degustazione, i cocktail più noti Giuseppe Sicheri - Hoepli

Il volume si apre con una parte storica diffusa e approfondita relativa sia al processo di distillazione, con le varie evoluzioni che l’hanno caratterizzato, sia alle vicende dei singoli prodotti, e prosegue con la descrizione tecnico-scientifica della distillazione con termini di facile comprensione. È importante infatti che il concetto scientifico alla base della distillazione sia chiaro al lettore per poter comprendere in che cosa consista essenzialmente un qualunque distillato. Il passo successivo è sapere quale sia l’ingrediente di partenza che viene utilizzato per produrre il singolo distillato. Anche questa parte è trattata con rigore e in modo approfondito ed è arricchita di aneddoti e di informazioni che rendono curiosa e affascinante la lettura. Poiché i distillati possono essere degustati come tali, ma vengono anche utilizzati per la preparazione di cocktail, il manuale riporta quelli più conosciuti. Infine una parte è riservata alla degustazione come pratica che favorisce il migliore apprezzamento organolettico dei diversi distillati.

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Testo e foto di Jimmy Pessina

Alaska: tra i ghiacci del Pacifico

Il racconto di questo viaggio che ha dell’incredibile, di un sogno realizzato che continua a premere nella memoria con straziante nostalgia.

Q

uando si pensa all’Alaska la mente vi associa immediatamente immagini

di paesaggi coperti da un fitto strato di neve, ghiacciai colossali e temperature artiche, tuttavia va detto che questo è vero solo in parte. Durante il corso dei 42

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mesi invernali il paesaggio è esattamente questo e i molti documentari e film hollywoodiani lo hanno descritto e mostrato più e più volte. Parlare dell’Alaska è un po’ difficile, siamo così lontani dal resto degli Usa che sembra di essere da tutt’altra

parte, soprattutto per quanto riguarda le tradizioni, gli usi e i costumi, insomma è un modo di vita poco Yankee. Nonostante ciò, alcuni aspetti sono tipici del resto degli Usa e sono anche qui, espressamente evidenti; il paesaggio vasto e sconfinato,


la natura che regna sovrana con le immense foreste, lungo le sue coste frastagliate da fiordi e da centinaia d’isolette. Per non parlare dei suoi spettacolari parchi nazionali, la vera essenza di tutti gli Stati Uniti d’America. Molti di noi pensano all’Alaska

come a un posto estremamente freddo durante tutto l’anno, non è così. Il periodo migliore (e il più visitato) è quello estivo quando il clima è mite, nelle zone più interne le temperature si aggirano dai 25° ai 32°. Le zone costiere sono più fresche e soggette a

forti precipitazioni. Costante e noiosa in tutto il paese, la presenza delle zanzare, bisogna armarsi di repellenti. Essendo prossimi al polo nord, qui il buio non cala mai (d’estate), più ci si spinge verso nord, più chiaro troverete (città come Fairbanks vedono il sole tramontare per due ore!). Le mezze stagioni durano qualche settimana, mentre ovviamente l’inverno è particolarmente rigido (- 32° di giorno). Un viaggio scomodo, più che scomodo, estremamente e emblematicamente personalizzato, pochi orpelli, solo una ferrea necessità, inseguire un sogno. Avere un sogno aiuta a vivere, Cerchiamo ora di conoscere meglio questo Stato, poco considerato da un certo tipo di turismo e amato dai viaggiatori. È utile sapere che la rete stradale è ridotta al minimo e che molte zone dell’Alaska sono difficilmente raggiungibili anche via terra. Le strade come vi ho detto sono poche (alcune sterrate) e in molte zone, come nel Southeast (dove tra l’altro si trova la capitale Juneau), mancano del tutto. 1/3 degli spostamenti sono effettuati via mare, mentre il restante tramite l’aereo. I motivi che ci spingono fin quassù, sono legati al paesaggio superbo delle sue montagne e delle sue foreste; anche il mare offre scenari incantevoli con gigantesche scogliere a picco, fiordi e veri e proprie isole ghiacciate. Gran parte del territorio è occupato dai Parchi Nazionali, molti dei quali sono di primaria importanza. Per citarne qualcuno: il Denali N.P. and Preserve, la Glaciar Bay N.P. and Preserve, il Kenai Fjords N.P. Il più vasto di tutti, però, è il Wrangell-St Eliasa, che si trova il Sommelier | n. 1 - 2018

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a est di Anchorage, 6 volte più grande del Parco Yellowstone. Geograficamente e territorialmente l’Alaska, può essere suddivisa in 4 grandi aree: il Southeast, la regione South Central, Interior che racchiude l’entroterra e la zona a nord definita Artic (di cui non c’è molto da dire!). La regione del Southeast è una zona caratteristica, molti villaggi come Ketchikan, sono dediti interamente alla pesca. In queste acque si pescano ben cinque razze differenti di salmoni, mentre nelle foreste non mancano i cervi e gli orsi. La regione South Central è l’area in cui si concentra la maggior parte della popolazione 44

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e indubbiamente è quella più ricca di attrazioni. Anchorage è il punto di partenza per chi vuole visitare l’ Alaska; la città è molto bella, qualche piccolo grattacielo, in uno scenario a metà tra le alte montagne innevate e le acque fredde dell’oceano. La Kenai Peninsula è l’altro punto obbligato per chi transita da queste parti. È una lunga lingua di terra coperta da ghiacciai, ricca di fauna selvatica e pesci. Seward è un centro curioso, qui arriva il trenino da Anchorage, la città vive delle sue tradizioni (pesca) ed è il punto di partenza per tutte le escursioni in barca e nel vicino Kenai Fjords N.P. La zona dell’entroterra (Interior) è la regione delle grandi foreste di betulle e abeti rossi 46

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ed è il regno incontrastato di un altro grande parco, il Denali N.P. and Preserve. Questo parco copre, quasi 6 milioni di acri e comprende il maestoso Mt. Mckinley (6194 m), la vetta più alta del Nord America. Il parco è vietato ai veicoli non autorizzati ed è impareggiabile per le sue passeggiate e per gli avvistamenti di orsi, lupi e alci. La capitale Juneau sorse intorno al 1878 come città mineraria e prende il suo nome da Joe Juneau, scopritore del giacimento. Fu nel 1881 che attraverso una votazione popolare tra tutti i cittadini e i minatori del posto che si decise di dare nome Juneau alla città. Caratteristica unica di questa metropoli che è raggiungibile

unicamente a bordo di un aereo o di un’imbarcazione, nonostante si trovi sulla terra ferma. La cultura dell’Alaska è fortemente legata al suo territorio e agli Inuit. Gli Inuit sono gli originari abitanti di queste terre, il loro numero è oramai ridotto e la maggior parte di essi vive ancora seguendo le tradizioni culturali più antiche, sopravvivendo solo di caccia e di pesca. Alcuni di loro si spingono fino alle cittadine per vendere i propri manufatti o le prede più pregiate. Il fatto che il turismo in Alaska sia florido dipende dallo spettacolo che la natura offre. Le suggestive foreste da attraversare con treni panoramici, ghiacciai ammirabili dalle navi da crociera, paesaggi

sconfinati, laghi e tanti animali come orsi, alci, caribù, balene, orche, foche, lontre e leoni marini. Un viaggio scomodo, più che scomodo, estremamente ed emblematicamente personalizzato, pochi orpelli, solo una ferrea necessità: inseguire un sogno e avere un sogno aiuta a vivere. Impariamo ad amare un posto bello sì, lo sappiamo tutti, ma inospitale, rispetto ai luoghi comuni (come la febbre dei tropici). Si sente poco parlare di febbre da ghiacci, le mete polari richiedono una motivazione in più, quella che solitamente manca per chi è in cerca di una vacanza rilassante. Al rientro ci si può ammalare anche di mal d’Alaska. Questo è poco ma sicuro. il Sommelier | n. 1 - 2018

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di Davide Amadei

Le grandi degustazioni di

Le sfaccettature dello Chardonnay in Champagne Un Seminario sullo Champagne veramente didattico, oltre che piacevole, quello condotto, a vinoè, da Cristina Willemsen, titolare di Fier Ce Fît (= “fiero di quello che sto elaborando”), gruppo di 15 maison e 17 “artisti” del vino, incontrati e selezionati dalla stessa Willemsen, per la loro capacità di elaborare i propri spumanti con le loro mani, con il loro cervello e con il loro cuore (solo così sono “artisti”).

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Nell’introdurre l’argomento, parte dalla considerazione che si può fare Champagne solo in Champagne, come nome ma soprattutto per gli elementi di unicità della zona: clima, colline e sottosuolo. Poi descrive il perché delle sfaccettature dello Chardonnay in Champagne: 4 regioni, 312 crus, climi diversi, terreni differenti. E spiega le diversità delle quattro zone, Montagne de Reims, Vallée de La Marne, Côte des Blancs e Côte des Bar, precisando che quest’ultima ha clima più continentale, più freddo, per cui è meno presente lo Chardonnay che è precoce ed è quindi esposto alle gelate primaverili. Indica come funziona la scala


dei crus, a suo tempo individuati sulla base di clima, terreno, ambiente, e poi classificati con la percentuale di pagamento del prezzo delle uve. Lo Chardonnay è stato portato in Champagne dalla Borgogna, ed il 25 maggio è la festa mondiale del vitigno. Non è stato subito apprezzato in Champagne, anzi: fino al XVIII secolo era considerato vin aigre e si valorizzavano solo i vini della Montagne e della Riviére (della Vallée de La Marne); la sua acidità iniziò ad essere apprezzata solo dopo la metà del 1800 e soprattutto raggiunse un grande successo dopo la Seconda Guerra Mondiale, dal 1950. In quel periodo era difficile per le grandi maisons avere Chardonnay, uva o succo, per produrre blanc de blancs, e dunque esse “coccolavano” i viticoltori della Côte des Blancs; poi, successivamente, per farlo, si è espiantato Pinot Nero e si è piantato Chardonnay per molti anni (oggi, da alcuni anni, la tendenza è invertita). In ogni caso, ogni grande cuvée oggi ha sempre presente almeno un 10% di Chardonnay per conferire eleganza (acidità, fiori). Si possono individuare 5 “facettes” (sfaccettature) legate alle differenze di terroir di cui lo Chardonnay riesce ad essere “portatore”. Innanzitutto, la Côte des Blancs, con le sue colline completamente rivolte ad Est, Sud-Est, esposizione

particolarmente favorevole all’insolazione; c’è quasi 100% di Chardonnay; i vini hanno corpo notevole, grande lunghezza, acidità ben presente. All’interno della Côte, si distingue il micro-terroir di Cuis, tra Cramant e Epernay, con gesso puro, super-presente, per vini lunghissimi, di grande acidità, sapidi. La Montagne de Reims versante Sud ha la collina (la “montagna”) alle spalle che protegge dai venti freddi, che lo Chardonnay non ama; i vini sono freschi, ma presentano anche grande rotondità a centro bocca. La Montagne de Reims versante Nord e la Côte de Sezanne hanno i vigneti esposti verso Nord, più freddi; i vini hanno attacco in punta, corpo ampio, con presenza netta di acidità. In Vallée de La Marne per sfida molti viticoltori fanno Chardonnay, anche con mono-cru, e ne derivano vini con attacco rotondo, non aggressivo, e finale in punta, con bella acidità. Infine in Côte des Bar il poco Chardonnay presente gioca sulla rotondità, con bassi livelli di acidità. Gli assaggi 1) Cuvée Hélixe Premier Cru-Nature - PerrotBatteux et filles (Côte des Blancs). Spiega Cristina che una cuvée nature inizia già in vigna: richiede uve perfette, così come un’elaborazione perfetta (per cui non c’è alcun bisogno di aggiunte per correggere o compensare limiti o mancanze). Questa azienda

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produce i vini-base senza uso del legno per la fermentazione e l’affinamento; il nome di questo vino è Hélixe per via della conchiglia a spirale rimasta dall’abbandono del mare nel Cretaceo. E questa essenza marina si ritrova tutta all’assaggio: il vino ha naso gessoso e floreale, molto puro, sia pure non complesso; la mousse è finissima, puntinata, carezzevole; colpisce l’elevata acidità, citrina; non lunghissimo, ma decisamente invitante, salino, pulito. È un assemblaggio di due annate al 50%, la 2010, che ha dato freschezza, e la 2009, che ha dato maturità. La produttrice definisce il vino “puro”, attacco franco, corpo complesso, finale preciso e cesellato. 2) Blanc Absolu Extra Brut - Didier-Ducos (Vallé de La Marne). Una cuvée che nasce dalla sfida di Nicolas (contro la volontà del padre) di produrre in Vallé un mono-cru di Chardonnay, senza dichiarare il millesimo (questo è 2013) per sentirsi libero, per evitare i limiti, le pratiche burocratiche, che sono necessari per il millesimé; da una sola parcella di 20 are vengono prodotte pochissime bottiglie; il prodotto finale ha soli 50

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3 gr/l di dosaggio (extra-brut). Naso intenso, ha cenni minerali ma gioca sul frutto bianco, anche maturo, con note di mandorla fresca e qualche sensazione di spezie fini; bocca appena larga, con bollicina molto fine, buona sapidità al centro a rinfrescare; finale di buona complessità olfattiva, forse appena caldo, ma equlibrato da un preciso frutto bianco. Secondo Nicolas il vino è “fruttato”, con attacco vivace, corpo equilibrato, finale elegante. 3) Jardin d’Eté Extra Brut - Jean Larrey (Côte de Sézanne). Fa parte di una collezione elaborata a partire dal 2010 dai coniugi Larrey. Una sola parcella per tre cuvée, quella del nonno della moglie, che era un giardino trasformato 60 anni fa in vigneto Per ogni cuvée cambiano i dosaggi, questa ha 6 gr/l. Le uve sono state raccolte surmature dopo una settimana rispetto alla raccolta di tutte le altre; dopo la fermentazione alcolica in inox e la malolattica, il tirage è effettuato a primavera con i lieviti naturali del mosto delle uve del vino base. È della vendemmia 2013, sboccatura a marzo 2017. Ha leggere note di pasticceria all’olfatto, frutto bianco ben espresso, ma anche fiori; in bocca colpisce la cremosità della mousse, che si espande ed avvolge; una buona acidità sostiene l’assaggio, verso un finale preciso, anche roccioso, contrastato e piuttosto lungo. Parole chiave del produttore per questo vino: “verger d’été” significa frutta a fine estate; attacco delicato, corpo generoso, finale fruttato. 4) Un R de Rien Nature Premier Cru - Adrien Redon (Montagne de Reims). È la Colletion d’Adrien, elaborata dal figlio, diversa rispetto alle produzioni tradizionali del padre, sia pure sempre nel suo solco. Alla vista il colore più dorato, più maturo, denota un invecchiamento di 4 o 5 anni, e le bollicine sono abbondanti, finissime, persistenti. Ha naso ricco, con alternanza di fiori, frutta, spezie fini a frutta secca, miele d’acacia e toni minerali maturi; la bocca è rotonda, cremosa, avvolgente, sul finale emerge qualche cenno boisée e di pasticceria, la persistenza è notevole, ed il tutto è ben contrastato. Per il 50% sono vini di riserva, e per il 50% si tratta di vini passati in legno; le uve vengono da parcelle situate a metà pendio, selezionate. Adrien definisce il vino “equlibrato”, attacco distinto, corpo setoso, finale “leale”, mantiene quanto annunciato nel nome della cuvée. 5) Millésime 1996 Nature Premier Cru Cuis Gimonnet-Oger. In piena Côte de Blancs, Jean Luc Gimonnet dosa pochissimo, ed il prodotto in


assaggio è addirittura nature; sboccato appositamente su richiesta della Willemsem per il mercato italiano e americano, al momento dell’immissione in commercio. È un millesimato 1996, annata eccezionale: una vendemmia perfetta come mai, con una presenza di acidità difficilmente ripetibile; le uve provengono da quattro parcelle specifiche. Ha naso intrigante, ricco, con frutta gialla matura, spezie e tante erbe aromatiche; bocca rotonda, con grande struttura, quasi masticabile, e tantissima freschezza e tensione; finale largo, ma molto persistente, preciso, pietroso, con cenni di nocciola tostata. Parole chiave di Jean-Luc: atipico, attacco in finezza, corpo vivace, finale squisito. 6) Millésime 2003 Grand Cru – Hervy Quenardel (Montagne de Reims lato Nord). Il vino svolge la prima fermentazione in inox, poi fa affinamento per un anno in fusti di legno usati, dove si realizza anche la malolattica. Dal quarto al sesto mese si effettua batonnage per conferire rotondità. Anche questo viene sboccato su richiesta della Willemsen. Nonostante l’annata, il vigneto sul lato Nord ha consentito grande maturità senza eccessi di calore. Naso ricco, complesso, con mineralità ben armonizzata a frutta fresca e matura, gialla e bianca, ma anche sensazioni vegetali fresche; alla vista ed in bocca la bollicina netta, incisiva, abbondante; attacco morbido, ma la salivazione è abbondante, il

sorso è scorrevole, il legno è leggerissimo; il finale è pulitissimo ed invitante, senza alcun cedimento all’annata calda. Parole chiavi del produttore: “ricco”, gourmand, gessoso il finale.

Verticale Costa di Amalfi Fiorduva Furore Bianco di Marisa Cuomo La verticale di quattro annate di uno dei bianchi più famosi d’Italia è stata condotta con precisione da Livio Del Chiaro, Miglior Sommelier dell’Anno 2014, che ha descritto azienda, territorio e vini. L’ambiente è quello, bellissimo, della Costa d’Amalfi, dove la viticoltura è presente fin dal 600 d.C. e si è costretti a coltivare in alto e in orizzontale, col sistema a “pergolato”, una sorta di griglia dove si incrociano pali incassati nella viva roccia; vengono creati terrazzamenti dove piantare i ceppi, per “rubare” spazio al pendio; ciò protegge anche dalla forza dei venti; e la pergola attenua anche il calore del sole. Si contano 3 sottozone: Furore, Ravello e Tramonti. Furore è la zona più esposta verso il mare, vigne a

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Sud, vicinissime al mare, a picco; clima tipico mediterraneo con estati non troppo calde ed inverni miti; buone escursioni termiche grazie alle brezze marine. L’azienda è il regalo di nozze a Marisa dal marito (Andrea Ferraioli) nei primi anni 1980; oggi può contare su 10 ettari di vigneto di cui 3 e mezzo in proprietà. Si avvale della consulenza di Luigi Moio, un grande uomo del vino che tanto ha fatto per lo sviluppo della cultura enologica di qualità in Campania. Le vigne sono tra 200 e 550 metri di altitudine, ed hanno 5000-7000 piante per ettaro, con resa di 60 q/ha (1,3 kg per pianta). La vendemmia è definibile come eroica, su sentieri scavati nella roccia, anche con trenini a cremagliera. Il vino è il Furore Bianco “Fiorduva”, da vitigni Ripoli 40%, Fenile 30% e Ginestra 30%. I primi due sono tipici della Costiera Amalfitana: il primo dà sentori di frutta gialla tropicale e miele e con l’età sviluppa note di idrocarburo; dona struttura; il secondo, così chiamato, probabilmente, per il colore che ricorda il fieno, ha zucchero e acidità,

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conferisce struttura anche alcolica e freschezza. Il Ginestra è, invece, Falanghina, che in Costiera Amalfitana acquista un caratteristico sentore di ginestra; dà al vino complessità olfattiva. Le uve sono vendemmiate tardivamente, nella terza decade di ottobre, per cui sono utilizzate surmature. Seguono una pressatura soffice, una fermentazione alla temperatura di 12°C per circa tre mesi in barrique; un affinamento di 6 mesi in barrique e 12 in bottiglia. Questo invecchiamento si svolge in un’antica cantina scavata nella roccia di origine dolomitico-calcarea, umida e fresca. All’assaggio, il 2015 ha colore giallo dorato brillante; al naso, caldo e non molto espresso al momento della degustazione, ha frutta a polpa gialla matura, leggero miele, ginestra; poi emergono note balsamiche, mentolate; in bocca ha notevole materia, al centro tira fuori la sua stoffa sapida, il finale, con leggera tostatura e calore, è lungo e fruttato, sull’agrume maturo. Il 2014 presenta un naso elegante, con tante erbe aromatiche a raffinare il netto frutto giallo, i fiori ed i cenni boisée, non senza sensazioni minerali marine, iodate; bocca agile, scattante, con tanta acidità a creare un sorso teso, dinamico, verticale; il finale è preciso, affusolato, con ritorni di salmastro, di fiori e frutta gialla, e netta sapidità ad allungare e a creare

un perfetto contrasto del calore alcolico. Nel 2013 l’oro della veste è vivace, al naso ha cenni minerali ben evoluti, quasi di idrocarburo, fiori gialli e agrume candito fine; il legno è completamente assorbito; in bocca ha grande dinamica, entra in punta di piedi e cresce, si espande tra centro bocca e finale, con tanta sapidità; emergono piacevoli note marine e rocciose, balsamiche, speziate, anche camomilla e resine; lunghissimo ed invitante, ricco e progressivo, un vino pieno di carattere. Il 2009 offre un naso intrigante, con grande armonia tra la frutta bianca e tropicale, le note di idrocarburo e terra, le erbe aromatiche, le sensazioni iodate marine e quelle maltate; in bocca colpisce l’equilibrio, ha volume, tanta salivazione a renderlo molto fresco, con la solita sapidità a renderlo quasi masticabile; il finale è ficcante, contrastato, succoso, molto persistente, con cenni, anche, di caramella d’orzo molto piacevole.

Sulla Ruta 40 con il Malbec e con Roberto Cipresso Dopo averne letto i libri, sentire e incontrare Roberto Cipresso è davvero emozionante. Egli attira l’uditorio per la sua capacità di trasmettere la propria

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esperienza e la passione per la scoperta di nuovi territori per la produzione di vino di eccellente qualità. È un grande enologo ma anche un comunicatore fuori dal comune della cultura del vino e della bellezza del territorio. Gli viene la pelle d’oca quando parla di Argentina e vino, del resto è stato uno dei primi a scoprirne e valorizzarne le potenzialità. L’incontro è organizzato come un viaggio sulla mitica Ruta 40, la strada lunga più di 5000 km che percorre da Nord a Sud l’Argentina, ai piedi della Cordigliera delle Ande, un altipiano di 7000 km, con il Cile da una parte e, dall’altra, 3000 km di deserto verso l’Oceano Atlantico. La Ruta parte dai “cardones” (i cactus) e arriva ai “glaciares” di Patagonia, dal caldo al freddo. e dunque i terroir del vino sono molto diversi. A raccontare questi territori è un vitigno che sa leggerli e tradurli in vino: il Malbec, di origine bordolese, esportato in Argentina da Michel Pouget, è presente anche con viti di 150 anni, prefillosseriche, rimaste su piede franco grazie al sistema della propagazione per propaggine. 54

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La montagna consente al Malbec di maturare ad ogni latitudine, sulla base delle diverse altitudini, e di farsi portatore dei diversi terroir, dei luoghi e degli uomini. Questi ultimi sono soprattutto, oggi, i discendenti di quegli immigrati che hanno “fatto” l’Argentina nel 1800, per il 70% italiani. Si trattava e si tratta di una terra nuova, ma creata da viticoltori con un enorme back-ground di cultura del vino, alla ricerca di lavoro e di prospettive di vita; ad ogni immigrato, al momento dell’ingresso nel paese, veniva data una mappa con un territorio assegnato, in luoghi diversi, disparati, lontani. Essi hanno saputo valorizzare il Malbec e comprenderne le potenzialità nei territori in cui si sono insediati, iniziando un processo di sviluppo che ha condotto fino alle eccellenti produzioni attuali. La prima zona di cui Cipresso parla è il Nord, dai 22 ai 28 gradi di latitudine. La città di riferimento è Salta, l’animale simbolo è qui il guanaco e la vegetazione è caratterizzata dai cactus (cardones). Dal punto di vista geologico ci sono terre rosse, ma anche blu e gialle: è una montagna giovane, che non ha ancora visto ossidarsi i terreni; in particolare terra morenica, con ciottoli rotondi, levigati dall’azione del ghiaccio, insieme a terreni scarsi in termini di fertilità. Elemento centrale del terroir andino è l’intensità della luce, che al Nord è ancor più accentuata: accelera il metabolismo della vite al punto di cambiarne le caratteristiche e condizionarne le peculiarità. Il clima è continentale per eccellenza, non c’è umidità, non ci sono funghi (occorre intervenire pochissimo), e sono notevoli le escursioni termiche. Al Nord, bisogna andare in altitudine per garantire alle piante e all’uva buona freschezza ed escursioni termiche. Tra l’altro, Cipresso ha avuto l’onore di lavorare per 3 anni sulle uve dal vigneto più alto del mondo, a 2660 m., dove la qualità della luce è incredibile. Procedendo verso Sud sulla Ruta 40 si può individuare una seconda zona, centrale, nell’area di Cuyo, la grande capitale del vino legata a Mendoza, ad una latitudine tra 30 e 36 gradi. L’ambiente è diverso, più freddo, l’altitudine è inferiore. C’è il vulcano spento Tupungato di 6000 metri, che con le sue antiche eruzioni ha portato tanti elementi minerali sui suoli morenici andini, soprattutto in questa zona. La terza zona è quella ancor più fredda della Patagonia, alla latitudine tra 36 e 52 gradi, una zona limite, estrema, caratterizzata da grande ricchezza di


acqua, molto verde, molto ventosa. Infine, Roberto Cipresso racconta che quanto è arrivato nel 1995 a Mendoza è andato alla ricerca di vigne vecchie, perché a suo parere vale di più un luogo dove la vigna da sempre si è acclimatata, dove è diventata “autorevole” con il tempo; cercava vigneti “impossibili”, piantati dagli antichi immigrati, soprattutto italiani, che costruivano case in “adobe” e mettevano il loro albero tipico (memoria della loro terra d’origine) davanti alla porta. All’epoca, a fine anni ’90, la produzione “scimmiottava” Cile e Napa, con vini molto costruiti ed “estetici”; nelle vigne vecchie invece trovava Malbec territoriali, intimi, diversi tra loro. Così, si faceva una domanda: nella seconda metà del 1800 dove venivano piantate le vigne (da parte degli immigrati)? Dove era più facile produrre e gestire il vino, vicino alla Ruta 40 e alla ferrovia, per il trasporto, e dunque sull’altipiano andino (non sulle colline più basse), dove si trovano terre alluvionali, terre di trasporto, moreniche (non c’è la terra madre originaria). Ma poi, più recentemente, parlando con geologi locali del petrolio, ha scoperto che la precordigliera non ha solo 30 milioni (come le Ande), ma ben 300 milioni di anni, ed è ricca di lastre di lavagna di colori diversi, che è terra madre, formatasi con il raffreddamento della terra, esistente prima che si alzassero l’Aconcagua e la Cordigliera delle Ande. È questa un’ulteriore zona, di recente riscoperta, per la produzione di vini di particolare qualità. Gli assaggi sono stati condotti da Andrea Da Ros, Miglior Sommelier dell’Anno FISAR 2003, esperto degustatore e utilizzatore sapiente delle parole del vino, capace di trasmettere vere e proprie emozioni nel bicchiere. 1) Pachamama Malbec 2015 (Salta). Il nome del vino è significativo: “natura madre” per evidenziare il forte legame con il territorio. Se ne producono appena 3500-4000 bottiglie, da un vigneto di 6 ettari nella Valle di Cafayate, ad una altitudine di ben 2.300 m. (che consente di produrre uva per vino nonostante la vicinanza all’Equatore). Si eleva per 12 mesi in barriques di primo e secondo passaggio, ma anche in botti più piccoli, da 160 litri. Naso con grafite, inchiostro, note di mora, ciliegia matura, canfora e liquirizia, spezie; entra morbido, ma poi è estremamente sapido e minerale, senza cedimenti al legno; il tannino è fine, è caldo ma contrastato, molto elegante, con finale affusolato e succoso, balsamico, pulitissimo. È un vino di luce, di altitudine, di escursioni termiche; e le spezie sono quelle tipiche della Pampa, garantisce Roberto Cipresso.

2) Gran Malbec de Potrero 2016 (Mendoza). 800 km più a Sud rispetto a Salta, con temperature giornaliere inferiori; così, anche l’altitudine dove sono posti i vigneti cala, attorno ai 1100 m., per consentire la corretta maturazione delle uve. Fa fermentazione in barrique, poi affinamento negli stessi contenitori per 12 mesi. Naso fragrante, fine, con sentori distinti di piccoli frutti, fiori, macchia mediterranea, mirto; poi escono pepe ed una lieve sensazione erbacea; in bocca è fresco, con ritorni vegetali netti; finale succoso, molto lungo, sui piccoli frutti rossi. È il vino dei quattro che fa più salivare, a dimostrazione di una netta e piacevole acidità. 3) Malbec Bacàn 2012 La Giostra del Vino (Agrelo, Lujan de Cuyo, Mendoza). Da un vigneto posto ad un’altitudine di 1000/1050 m. Il 30% della massa fa affinamento con malolattica in barrique; il resto sta in inox per 12 mesi. Ha belle note balsamiche di eucalipto e mentolo, e speziate, ma anche mineralità scura e piccoli frutti neri ben maturi; grandissimo equilibrio gustativo, i tannini tirano ma hanno grana il Sommelier | n. 1 - 2018

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finissima, c’è tensione a contrastare la larghezza alcolica; il finale ha un leggero amaro, comunque rinfrescante, ma anche sensazioni rocciose intriganti. 4) Reserva Malbec 2015 Bodega del Fin del Mundo (Patagonia Argentina) - Altitudine tra 300 e 600 metri in Patagonia, la Cordillera Andina è più lontana; la temperatura media è piuttosto bassa, con tanto vento (Zonda) che, a 40 km orari tutti i giorni, scende dalle Ande caricandosi di calore e mitigando il clima, ma creando anche stress idrico importante per la qualità delle uve. Il vino ha note terrose, insieme a piccoli frutti rossi e neri; il tannino è minore, più sfumato, e finissimo; è largo, ma fresco, meno sapido degli altri, ma invitante e succoso, non lunghissimo ma preciso.

Verticale Montepulciano d’Abruzzo di Emidio Pepe Una degustazione verticale di un vino tra i più noti d’Italia è davvero una occasione rara ed emozionante; e lo è stata ancor di più grazie alla presenza di Sofia Pepe, figlia di Emidio, che ha descritto l’azienda ma soprattutto la persona e la

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personalità del padre, raccontando aneddoti e storie fondamentali per comprendere il forte legame dell’uomo, vignaiolo e produttore, con il proprio territorio. Gli assaggi sono stati introdotti e guidati da Francesco Villa, Miglior Sommelier dell’Anno FISAR 2013, appassionato conoscitore dei vini di Pepe. L’azienda è a Torano Nuovo al confine con le Marche, a 11 km dal mare e 20 dalla montagna; le brezze del mare si scontrano con i venti freddi del Gran Sasso, che garantisce notevoli escursioni termiche (freddo di notte e molto caldo di giorno). Le prime bottiglie sono state prodotte e commercializzate nel 1964. Emidio aveva l’obiettivo di far conoscere l’Abruzzo attraverso i suoi vini: oggi è quasi scontato, ma nel 1960 non lo era affatto; era un periodo in cui si abbandonavano le campagne e le vigne per il lavoro sicuro in città. Così ha dimostrato che il Montepulciano è una varietà che poteva e può competere con le grandi uve, quanto soprattutto alla potenziale longevità dei vini, contro l’opinione corrente di un tempo per cui si trattava di prodotti commerciali da bere giovani. Accatastare le bottiglie in cantina, anno dopo anno, è stata una grande sfida. Ed ha guardato al futuro rispettando il passato, valorizzando le tecniche tradizionali; così, dal 1964


nulla è cambiato fino ad oggi. Del resto, Emidio Pepe ha sempre precisato: “non ho voluto mai ingrandirmi, perché da piccolo riuscivo e riesco a fare un prodotto migliore” e, fin da quando ha iniziato, è sempre andato controcorrente: è rimasto sempre convinto che il vino deve essere un prodotto genuino, da bere, digeribile, che deve far stare bene. Sofia, che lavora con il padre da quasi 30 anni, dice che non è facile per il carattere forte di Emidio, orgoglioso di essere contadino; e racconta che egli è sempre stato un grande osservatore, della terra, delle piante, del vino in cantina, e questo gli ha permesso di conoscere il proprio prodotto. Le vigne sono coltivate a pergola, a tendone, per lasciare le uve all’ombra, così che la luce colpisca le foglie (che è fondamentale per la fotosintesi clorofilliana) ma non l’uva; ed in questo Emidio Pepe è stato sempre lungimirante, visto che si va verso annate calde sempre più spesso, mentre qualche anno fa la tendenza era quella di piantare a spalliera. Quanto ai metodi di lavorazione, innanzitutto non è stato mai usato alcun prodotto chimico in vigna e cantina; solo zolfo e rame, che sono naturali. L’azienda coltiva e vinifica solo Trebbiano e Montepulciano (e pochissimo Pecorino): il primo, una volta raccolto, viene pigiato con i piedi subito durante la vendemmia; il Montepulciano è anch’esso pigiato con i piedi e diraspato a mano. La fermentazione è naturale, con lieviti indigeni, in contenitori di cemento, ritenuto materiale ottimo perché inerte e senza cessioni. I lieviti debbono essere autoctoni perché raccontano la zona, il territorio, la cantina, sono loro che, trovandosi sulle bucce, vengono dal vento e dall’ambiente circostante; con i lieviti selezionati si spazza via tutto il patrimonio che la natura e l’annata danno; così, i lieviti indigeni determinano profumi, carattere, tipicità che altrimenti non ci sarebbero. Non è praticata alcuna filtrazione, perché con due anni di sosta in cemento il vino si decanta da sé. L’azienda 1100 mq di cantina sotterranea che consentono di conservare più di 350.000 bottiglie in affinamento ed invecchiamento, per poter vendere anche annate vecchie. E prima di essere messe in commercio le bottiglie conservate in cantina, ad una ad una, vengono stappate, decantate, controllate e ritappate; sul tappo viene scritto l’anno in cui la bottiglia è stata decantata. Per questo, tutte le bottiglie sono numerate. Del resto, è affascinante pensare che con le vecchie annate è come

chiacchierare con una persona anziana, piena di esperienza da raccontare, ricca e complessa. Dagli assaggi risultano vini dalla personalità molto forte, decisamente vivi, profondi nella loro capacità di lettura di vitigno e territorio. 2013 - Colore carico giovane tipico del Montepulciano, rosso rubino concentrato; colpisce lo sviluppo olfattivo nel bicchiere, inizialmente molto ridotto, poi aperto su frutta fragrante, ribes, fiori netti (rosa), cenni terrosi; in bocca colpisce lo sviluppo naturale, con tannino rustico ma fine, una bevibilità disarmante, un finale succosissimo, gastronomico; la vitalità del Montepulcano non sconfina nell’esuberanza. 2010 - Veste giovanissima, con netti riflessi porpora. Naso ancora contratto, di terra umida, sottobosco, frutti neri, ma anche grafite e spezie fini; colpisce l’eccezionale equilibrio, c’è una grande energia, ha tannino soffuso, molto fine, tanta acidità e finale minerale, lunghissimo, irradiante. Ogni compente è al suo posto, integrato, di alto livello. Promette un grande e lungo avvenire, tant’è che ne hanno messo in riserva in cantina l’85% della produzione. 2007 - Colore rubino vivissimo. Belle note terrose, medicinali, di radici aromatiche, che si armonizzano con frutto nero maturo, anche in confettura, e cenni di canfora; attacco rotondo ed avvolgente, carnoso, tannino soffice, vino più largo che lungo, sul frutto maturo e le spezie scure, balsamico, godurioso. 2001 Riserva - Olfatto intrigante, sempre più complesso stando nel bicchiere, con fiori rossi freschi e appassiti a dare eleganza, note di muschio e rabarbaro, spezie fini, pepe, balsamico fresco; un naso che pare più fresco e giovane rispetto al 2007; tanto equilibrio, il tannino è setoso, colpisce la sapidità che crea movimento, tensione, dinamica gustativa tutta in crescendo; lunghissimo il finale, continuo, senza finire, anche su agrumi, bergamotto e mandarino, ricco e sfaccettato. Emozionante. 1983 Riserva - Colpisce subito il colore, rosso granato ancora vivace; inizia con fungo secco, terra bagnata, humus, ma poi si apre con frutto rosso in confettura, vivo; escono successivamente cenni balsamici, di fiori appassiti, delicati e finissimi; in bocca ha la stoffa e la forza evocativa dei grandi vini di territorio e invecchiamento, con una inattesa freschezza ed un’armonia delle componenti difficilmente descrivibile. E come sempre, di fronte ad un’opera d’arte della natura e dell’uomo, è bene far silenzio. Indimenticabile. il Sommelier | n. 1 - 2018

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di Sabrina Somigli

Integrazione:

il potente messaggio dello spazio food Il vino può costituire un potente mezzo di integrazione, intesa in senso ampio: tra culture diverse, tra popoli, tra nuovo e vecchio, tra futuro e passato, tra uomo e territorio.

L

o spazio food di Vinoè edizione 2017 ha posto l’attenzione proprio su questo aspetto, attraverso cooking show dedicati, in cui il vino italiano ha incontrato le cucine di altri popoli, ma anche le grandi cucine stellate di tutta la Toscana e ha dato spazio alla promozione di progetti legati al cibo e alla promozione della cultura legata all’alimentazione. Esordio col botto con i pizzaioli dell’associazione Pizza & Peace: l’associazione nata per volere di 4 famosi e pluripremiati pizzaioli di Toscana, con lo scopo di promuovere la cultura della pizza in primis, ma anche i valori di una alimentazione che nasce come unione di

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culture e filosofie di vita, per una comunione di valori tra popoli che si basa sulla pace, amicizia, educazione e rispetto. Massimo Giovannini (Apogeo, Pietrasanta), Graziano Monogrammi (La Divina Pizza, Firenze), Paolo Pannacci (Lo Spela, Greve in Chianti) e Giovanni Santarpia (Santarpia, Firenze), hanno dato vita a una vera e propria pizzeria dentro la Stazione Leopolda, sfornando decine di pizze di ogni tipo: fritte, al vapore, pizze gourmet, al taglio, farcite. Uno show divertente e pop, come solo la pizza sa essere, con un pubblico affollatissimo che acclamava i pizzaioli come delle star,


non solo per uno spicchio di pizza, ma per spuntare una foto ricordo con loro. Nella bella ed elegante cucina allestita da Berto’s Cucine, partner di Vinoè per il secondo anno consecutivo, grandi vini italiani scelti dai sommelier Fisar per l’occasione, hanno abbracciato la cucina orientale negli show dedicati alla cucina del Sol Levante. Partenza affidata al Giappone di Masaki Kuroda del ristorante Serendepico di Capannori, con la sua anguilla cotta sui carboni, polenta e salsa teryaki, dalle potenti note agrodolci date da soia e mirin. Lo avreste mai pensato con un bianco langarolo? O cum al’è? Altro che piemontese falso e cortese, qui di cortese neanche l’ombra, ma un riesling vero e schietto, figlio di Aldo Vajra, pioniere di questo vitigno in langa. L’eleganza estetica della cucina giapponese incontra l’eleganza signorile e incontrastata dei vini di Barolo. Fuma ch’anduma? Si facciamo che andiamo ... andiamo alla grande, in questo matrimonio giappiemontese, direzione Torino o Tokyo fa istess.. Equilibrio e leggerezza della cucina vietnamita, sapientemente interpretata da Nguyen Thi Thuy Lan, chef di Com Saigon, il primo ristorante vietnamita della città gigliata. Involtini di carta di riso ripieni di maiale, gamberi, verdure e ginger, serviti con salsa di pesce. Un caleidoscopio di ingredienti e sapori, un

vero rompicapo per l’accompagnamento col vino. Ma l’arguto sommelier Fisar, ci vede lungo e sposa il mare con il mare. Vermentino di Gallura, forte e coraggioso, vino di mare, ma figlio di una isola che è molto più terra nelle attitudini verso il cibo. Come abbiano fatto a capirsi lui, il vino, di Arzachena e l’involtino di Hanoi è un mistero, ma è quell’alchimia al palato che non si può raccontare. Fortunati quelli che c’erano. E poi succede l’insospettabile: Pechino Express, direzione ultima Gorizia. Il maiale alla cantonese con patate dolci, rivisitato in chiave gourmet da Stefano Dai del ristorante Fulin, Chinese Luxury Experience incontra e si innamora di una ribolla. La cucina pechinese sedotta dal Collio Sloveno; come darle torto se c’è di mezzo il bel Fabjan Korsic? Insomma della serie ci piace vincere facile, ma a volte si può. Integrare significa anche aggiungere, arricchire, perfezionare. Forte di questo, la cucina di Vinoè ha accolto guest star che rappresentano la migliore tradizione gastronomica in Italia e nel mondo. La prima stella a illuminare la cucina di Vinoè è Luca Lacalamita, pastry chef di Enoteca Pinchiorri, fresco di premiazione quale miglior pastry chef italiano dell’anno. Enoteca Pinchiorri a Vinoè? no signori, non sto scherzando. Il tempio dell’enogastronomia, con la monumentale cantina, celebre nel mondo è

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stato di fatto l’ospite perfetto nella manifestazione dedicata alle eccellenze vinicole. Pubblico in coda per assaggiare la pralina al cioccolato fondente, acqua e olio extravergine di oliva, servita in abbinamento a Clematis, il bel Montepulciano d’Abruzzo passito di cantina Zaccagnini. Tanta tecnica e bravura, ma anche tanti consigli da parte di Luca Lacalamita che ha giocato con ironia a domande provocatorie sulla torta di mele e sugli amici che, invitati a cena del pasticcere dell’anno, pronunciano la fatidica frase: noi portiamo il dolce. Cari lettori, se vi capita di cenare a casa di Luca sappiate che una pianta andrà benissimo, e consiglio a tutti i fiorentini: se vi sedete all’Enoteca, anziché i’bongo, per una sera provate a chiedere un profiteroles e vi sentirete più a vostro agio. Altro appuntamento stellare quello con Lux Lucis, il ristorante dell’hotel Principe Forte dei Marmi. Qui il fil rouge dell’integrazione si fa calzante e reale, nell’accezione di perfetta fusione tra cucina e sala. Uno show in cui la cucina del Lux Lucis guidata da Valentino Cassanelli dialoga in tempo reale con la sala diretta da Sokol Ndreko, premiato nel 2017 quale miglior maître d’Italia. Sorprendente l’abbinamento dei Maccheroncini al karkadé con anguilla al timo e un incredibile I Clivi Galea 2001. Non solo. Uno

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show molto divertente, nel quale abbiamo messo alla prova l’aplomb perfetto del Miglior maitre d’Italia, con domande irriverenti. Per cui sappiate che per un grande maitre non esistono clienti che fanno scappare la pazienza con richieste astruse, ma solo “degli ospiti con delle culture ed esigenze diverse dalle nostre abitudini”. Non sono quindi necessari esercizi di respirazione o yoga per mantenere la calma. E nel caso voleste diventare dei grandi maitre di sala, ma l’eleganza nei modi non è proprio il vostro forte, sappiate che “Con molta voglia, esperienza ed umiltà ci si arriva”. Parola di Sokol. Chiusura con i fuochi d’artificio grazie al vulcanico chef Cristiano Tomei de L’Imbuto di Lucca alle prese con un cooking show divertente e provocatorio sul tema “integrazione”, superando il concetto stesso e fondendo in una sola persona chef e sommelier, dal

titolo: L’importanza di non avere un sommelier. Ironia e genio per lo chef stellato che si presenta allo show senza la divisa, ma cucina in maglione e pantaloni di velluto arancioni. “perché basta di fare tutti i fighetti, basta con questi chef che fanno i modelli, basta con la cucina che è solo masturbazione mentale..ecco io oggi vi faccio la minestra di riso, si il riso in brodo, avete capito bene”. D’accordo c’era il riso, c’era anche il brodo, ma vi assicuro che la faccenda era un po’ più articolata di una semplice minestra.

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di Alice Lupi

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L’innovazione della tradizione

La storia fa la sua strada e ogni epoca si trova ad affrontare problemi che, prima di una loro soluzione, sembrano insormontabili. Il mondo del vino non si esime da questa evidenza; davanti alle difficoltà le risposte sono state, nel tempo, la ricerca e l’innovazione. Questo in sintesi è stato il nucleo della relazione “Passato, presente e futuro della viticoltura italiana”del professor Giuseppe Martelli all’evento fiorentino Vinoè, del 5 novembre scorso.

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N

el Vecchio Continente il settore enologico ha affrontato infausti eventi: «Tra la metà e la fine dell’Ottocento la vite, e quindi il vino – afferma Martelli – rischiano di scomparire a causa di tre parassiti: oidio, peronospora e fillossera». Ma grazie agli studi, alle sperimentazioni che passavano anche per le scuole di enologia (non a caso in Italia le prime sorsero nel 1876 e nel 1891) sono state trovate risposte appropriate, tra le quali, quella cardine, fu l’innesto delle viti autoctone su piede americano. Ciò permise al settore enologico europeo di riprendere il suo cammino. A ben guardare, quanto accaduto non fu fine a sé stesso, coinvolgeva qualcosa di più profondo che, al contempo, investiva la società dell’epoca: «Cadde un mito quando si capì che la tradizione – continua Martelli – da sola non indirizzava i viticoltori, non risolveva i problemi, non sopperiva alle calamità». Uno sguardo d’insieme per comprendere l’importanza di quanto affermato: la società preindustriale era una società di tipo tradizionale, «dell’eterno ieri» - per dirla come il sociologo Franco Ferrarotti. Una società la cui economia era chiusa, dove la casa era luogo di abitazione e di lavoro. Il concetto di produzione era legato esclusivamente all’ottica del mero

consumo. Con l’arrivo della società industriale il meccanismo testato, securizzante e previsivo salta. La società industriale porta con sé novità clamorose: «La disponibilità individuale, il rifiuto della tradizione, il superamento dell’elemento di rassicurazione (generalmente affidato alla tradizione) - scrive il sociologo Mario Morcellini sono i principali elementi di una sorta di sponda per il cambiamento». La vigna, come la cantina, non sono esenti da tale mutamento. Martelli osserva che «la tradizione è un’innovazione collaudata»; quell’eterno ieri è stato di fatto rivisto e rivisitato dagli uomini divenendo così «l’innovazione della tradizione» grazie alla razionalizzazione dei processi produttivi e all’introduzione, nella fattispecie, di analisi enochimiche per l’igiene della cantina. «Negli anni Settanta – continua Martelli – la viticoltura italiana si perfeziona, quella promiscua lascia il posto a quella specializzata». È proprio in questo decennio che il lavoro si perfeziona sempre di più, al passo della ricerca che trova innovazioni continue da applicare. Si sovraproduce, nel mentre in Europa si diffonde il termine “società di massa” e nel Novecento si affaccia il fenomeno del “consumismo”. il Sommelier | n. 1 - 2018

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Un altro grave episodio si registra nel 1986, quando nel Belpaese il settore del vino si scontra con un nuovo problema, lo scandalo del vino al metanolo. Il comparto riceve un nuovo contraccolpo fortissimo e per sopravvivere occorre nuovamente trovare un’azione di risposta. Questo momento difficile è, in realtà, epifanico per il settore del vino italiano: «Il flusso fatato del divenire» scriveva Hermann Hesse. Infatti, la ricetta risiedeva nella trasformazione, occorreva mettere in campo un nuovo modus operandi: la qualità. La macchina rimessa in moto, riparte coinvolgendo in toto i diversi aspetti del mondo della produzione del vino. La viticoltura si fa sempre più di precisione, l’innovazione sembra rispondere a molti interrogativi, la tecnologia permette una più facile gestione della vigna e della cantina. Il settore enologico rilancia sé stesso, diviene dinamico, ricco di smalto, forte della preparazione dei suoi tecnici, delle scoperte, della qualità che produce, sempre più attento a rispettare la natura, la forte eterogeneità dei vitigni, delle numerose peculiarità pedoclimatiche dell’intero Stivale. L’enologia italiana piace, coinvolge, interessa dentro e fuori i confini. 64

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Se, negli anni Novanta, l’innovazione e la qualità sono nuclei fondanti il cambiamento (stato bimodale) la viticoltura italiana passa, nel Duemila, a uno stato trimodale: innovazione, qualità e cultura. Un trinomio che influenza un nuovo modus pensandi. I cambiamenti sono contagiosi. Questo mutamento influenza anche i consumatori, si fanno più informati ed esigenti, ciò si riversa anche sui consumi della bevanda: «Il vino non è più un alimento -afferma il professor Martelli- ma un genere voluttuario», si beve meno ma con più consapevolezza e attenzione per la qualità. Ma c’è da domandarsi “quanto vino si produce nel mondo?” La media si attesta attorno ai 269 milioni di ettolitri, di cui il 19% è prodotto dal nostro Paese. La metà di ciò che produciamo è venduta all’estero. I dati rivelano che il comparto nostrano è un settore che ha «il vento in poppa». In questo fervore dell’enologia nostrana, caratterizzata da fascino e dinamismo, due nuovi problemi si sono stagliati: il cambiamento climatico e la forte competizione internazionale, che giocoforza richiedono risolutezza di azione. È nell’eterna trasformazione che risiede, ancora una volta, la soluzione.


di Corrado Pieri

MasterClass: il Riesling Il più grande vitigno tedesco alla prova del tempo, ovvero la sfida del Riesling alla curva evolutiva del vino.

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na delle novità più apprezzate e partecipate dal numeroso pubblico di appassionati ed operatori di settore durante la due giorni di Vinoè, la manifestazione organizzata a Firenze dal 5 al 6 novembre scorsi nell’ambito del 45° Congresso Nazionale FISAR, è stato l’ampliamento, rispetto all’edizione precedente, del numero di MasterClass di assoluto livello a cui era possibile partecipare. Una di queste aveva per titolo “Lili Marleen e il Riesling - Il più grande vitigno tedesco alla prova del tempo, ovvero la sfida del Riesling alla curva evolutiva del

vino: giovane, evoluto, maturo, mai vecchio”, condotta con coinvolgente passione dal Sommelier Valerio Sisti, tra le altre anche componente della Giunta Nazionale FISAR. Ed in effetti, quando alla scontata competenza della materia si aggiunge un vero e proprio gusto e divertimento nel raccontare le proprie esperienze, le degustazioni guidate non sono più mera didattica, ma diventano condivisioni di vita vissuta non facilmente dimenticabili. Dunque, il Riesling: si parla del Riesling

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Renano (Rheinriesling) e non del Riesling Italico (Welschriesling), coltivato da sempre nelle vallate tedesche attraversate dai fiumi Reno, Mosella, Nahe, Saar, Meno e Ruwer con il 60% delle piante di Riesling di tutto il mondo, spesso centenarie e a piede franco, ma il territorio di elezione di questo straordinario vitigno è la Valle della Mosella tra Coblenza a Treviri nella Germania centro-orientale. Non a caso, difatti, ben 5 sui 6 vini in degustazione provenivano dai 150 chilometri che costeggiano le ampie anse della Mosella, il fiume che, riflettendo i raggi del sole sui vigneti dall’impressionante verticalità (si arriva fino al 75% di pendenza), concorre a creare l’ineguagliabile microclima che rende questi vini un unicum nel panorama mondiale, dal basso tenore alcolico (si parte dai 6 gradi non oltrepassando quasi mai i 12,5) ma dalla stupefacente capacità di evoluzione e di invecchiamento; in questi terreni risulta assolutamente prevalente l’ardesia, che drena il terreno, trattiene il calore dei raggi solari e trasmette alla vite le sostanze minerali che renderanno possibile la trasformazione dei profumi nel corso degli anni. Altra caratteristica fondamentale del Riesling, tra i primi vitigni a fiorire e tra gli ultimi ad essere vendemmiato grazie al clima freddo che fa maturare lentamente le uve consentendo in tal modo un’alta concentrazione di estratti, zuccheri e sostanze aromatiche, è la spiccatissima acidità che, oltre a permettere lunghe evoluzioni, riesce sempre a bilanciare i residui zuccherini presenti in gran quantità in tutte le tipologie della piramide dei vini di qualità (Prädikatsweine) riconosciute a livello legislativo, a partire dal Kabinett (vino più leggero e con zucchero fino a 60 grammi/litro) per passare allo Spätlese (raccolta tardiva, fino a 80 gr/l) ed all’Auslese 66

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(grappoli sovramaturi selezionati a mano, fino a 100 gr/l), per finire con i più pregiati BeerenAuslese (acini selezionati con muffa nobile, fino a 200 gr/l), TrockenBeerenAuslese (selezione di acini secchi con muffa nobile, fino a 270 gr/l) e Eiswein (acini ghiacciati, vendemmia a temperatura sottozero che porta ad una concentrazione naturale del mosto, poiché l’acqua ghiacciata viene eliminata durante la pressatura), infine la dicitura Trocken serve a segnalare un vino secco con residuo da 4 a 9 gr/l: nonostante tali numeri, la dolcezza, ma forse morbidezza sarebbe termine più centrato, dei Riesling non è mai paragonabile ai nostri vini amabili e/o dolci, perché la loro vera ricchezza, ciò che li fa ritenere i migliori vini bianchi al mondo, è l’insuperabile equilibrio che riesce a comporsi grazie alla naturale acidità delle uve, l’espressione “il vino dolce meno sdolcinato al mondo” rende l’idea! Da qualche anno vi è anche un’altra classificazione dei vini tedeschi creata dalla VDP (Verband Deutscher Prädikatsweingüter), storica associazione che riunisce circa 200 tra i migliori produttori vinicoli della Germania i cui vini sono riconoscibili anche per la presenza in etichetta del loro simbolo raffigurante un’aquila che


porta un grappolo d’uva, basata secondo il livello di qualità delle vigne da cui provengono le uve e quindi abbiamo i Grosse Lage (Grosses Gewächs per i vini secchi), Erste Lage e Ortswein e Gutswein corrispondenti ai francesi Grand Cru, Premier Cru, Village e Appellation Régional. Infine, per complicare ancor di più la (in)comprensione delle etichette, a volte si trovano altri termini quali halbtrocken/feinherb, fruchtsüß e edelsüß che indicano Riesling con altri range di residui zuccherini grammi/ litro. Quindi non è certo privo di fondamento l’assunto che colloca lo studio dei vini tedeschi nei corsi per Sommelier ad un alto grado di difficoltà, il metodo migliore per venirne a capo è sicuramente quello di regalarsi una bella gita in loco, visitando cantine e parlando (magari in inglese..) con i vari produttori. Venendo ai vini in degustazione, la stessa è stata suddivisa in tre coppie, una giovane, una evoluta e una con lungo affinamento, per ciascuna un vino secco ed uno semi dolce o dolce. I Riesling più giovani, entrambi del 2016, Riesling “J” Trocken Brauneberger di Fritz Haag e Riesling SL Feinherb Schloss Lieser di Thomas Haag si sono caratterizzati per la piacevolezza della beva, per l’estrema freschezza ed un profilo olfattivo nettamente improntato su note primarie, fruttate e floreali, su un sottofondo, soprattutto al gusto, di mineralità, ma senza ancora sentore del marcatore che viene naturale associare a questo vino, il famigerato “idrocarburo”, aroma terziario che deve iniziare a svilupparsi solo con l’invecchiamento altrimenti anziché un tratto distintivo diventa un difetto. Nel Trocken, quindi secco come tipologia, le note fruttate di mela, pera, pesca e melone risultavano leggermente più aspre, con un’aggiunta successiva di agrumi che si ritrovava poi anche in bocca nel finale abbastanza lungo e persistente; il secondo, dalla maggiore dolcezza e complessità, giocava sul sottile equilibrio tra dolcezza, bassa gradazione alcolica e vivace struttura acida. Con la seconda batteria di Riesling, Toni Jost Bacharacher Hahn Riesling Kabinett 2008 di Toni Jost e Wolfer Goldgrube Riesling Spätlese 2007 di Weingut Vollenweider siamo entrati nella fase di invecchiamento già sufficientemente maturo, quando sia i profumi che i sapori diventano complessi e le evoluzioni olfattive e gustative rendono giustizia alla meritata fama di questo vino. La gamma aromatica del Kabinett 2008 di Toni Jost

(uno dei produttori più importanti dell’intera Germania) svaria da iniziali e leggere note di frutta matura e succulenta anche esotica, pesca, mango, ananas, per arrivare a varie spezie ed aromi vegetali con toni balsamici e finalmente fa la sua decisa ma comunque gradevole comparsa anche il caratteristico sentore di cherosene, il tutto compreso in un sorso in cui mineralità e acidità mantengono ancora perfettamente vivo ed armonico il vino; lo Spätlese 2007 della Tenuta Vollenweider, dalla dolcezza molto più accentuata data la tipologia, ma ugualmente sorretto da un’imponente spalla acida, viene impreziosito da toni di frutta candita e miele, lasciando al palato una salivante sensazione di morbidezza. Ed infine abbiamo degustato le ultime due gemme, il Kröver Steffensberg Riesling Trocken 1996 di Martin Müllen e lo Scheuer Riesling SL 1976 di Weingut Hermann, fulgidi esempi delle infinite capacità evolutive del Riesling: già dai colori brillanti (il secondo splendidamente ambrato) si intuiva che entrambi non avrebbero avuto alcun cedimento strutturale, lasciati respirare nel bicchiere si sono poi aperti esprimendo note terziarie in abbondanza e, pur nella differenza di residuo zuccherino maggiore nel secondo, nessun accenno di inerzia o stucchevolezza, vini ancora gustosi ed invitanti a sorsi successivi, a conferma che un perfetto equilibrio tra mineralità, acidità, grado alcolico e residuo zuccherino riesce a creare veri capolavori enologici. Le parole di Hugh Johnson, uno dei più noti scrittore di vino al mondo, possono ben riassumere lo svolgersi dell’intera degustazione: “Bevete un Riesling almeno una volta al mese e tanti Chardonnay vi sembreranno banali…Solamente il Riesling dà vini puri, che rispecchiano precisamente il territorio d’origine, in una varietà che va dal floreale o fruttato con acidità minerale e tagliente, al sensuale e cremoso, fino a un nettare dolce, quasi un miele, seppure pungente”. il Sommelier | n. 1 - 2018

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di Alice Lupi

FISAR IN ROSA a

2017 I N R OSA

«Vini quali espressione della terra di origine. Vini di grande fascino e personalità» con queste parole Luisella Rubin, durante la seconda edizione fiorentina di Vinoè, ha aperto l’appuntamento della Fisar in Rosa, quale responsabile del progetto.

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ll’interno della Stazione Leopolda in un’atmosfera piacevole, scaldata dagli animi dei moltissimi partecipanti, si è svolta la degustazione “I vini della tradizione raccontati da intraprendenti vignaiole: un percorso tra storie e degustazioni”. Sei le produttrici presenti a testimoniare la loro esperienza: Alberta Follador dell’Azienda Silvano Follador di S. Stefano

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di Valdobbiadene con il suo Valdobbiadene Prosecco Superiore Brut Nature Docg 2016; Brunella Basso dell’Azienda Villa Raiano srl di S. Michele di Serino con il suo “Contrada Marotta” Greco di Tufo DOCG 2015; Laura Daviddi dell’Azienda Tenuta Benedetta di Castiglione di Sicilia e Milo con il suo “Vigna Maria Grazia” Etna Bianco DOC 2015; Maria Caterina Dei dell’Azienda Agricola Dei Maria


fisarinrosa Caterina di Montepulciano con il suo Vino Nobile di Montepulciano DOCG 2014: Alessia Sieni dell’Azienda Agricola Montefioralle di Greve in Chianti con il suo Montefioralle Chianti Classico Riserva DOCG 2013; Paola Sordo dell’Azienda Agricola Sordo Giovanni di Sordo Giorgio di Castiglione Falletto con il suo Barolo DOCG 2013. Un appuntamento sempre stimolante, quella delle sommelier Fisar, che segue un suo format collaudato e preciso: un percorso tra storie di vita raccontate dalle stesse produttrici e la degustazione dei loro vini narrati dall’Ambasciatrice Fisar Karen Casagrande, con la moderazione della giornalista Gladys Torres Urday e i saluti del Presidente Fisar Graziella Cescon. Donne di età diversa e provenienti da aree geografiche differenti, ma tradizionalmente vocate alla viticoltura, tutte sedute allo stesso tavolo con un denominatore comune: la passione per il vino. Un legame non da poco, se si pensa a quanti sacrifici esso contempla. A tal proposito, è intervenuta anche Patrizia Loiola, Responsabile Slow Wine Veneto, la quale ha messo in luce come l’imprenditoria vitivinicola femminile sia in notevole ascesa e sempre più volta ad una viticoltura sostenibile. Un fuori programma ha allietato l’appuntamento: la voce di Maria Caterina Dei che ha intonato l’intramontabile Summertime di George Gershwin. In questo un clima gioviale, fatto di narrazioni e degustazioni, si sono scoperti «fascino e personalità» di donne e di vini.

Le degustazioni di Karen Casagrande - FISAR Ambassador PROSECCO SUPERIORE BRUT NATURE 2016 – SILVANO FOLLADOR S. Stefano di Valdobbiadene (TV) L’inizio della degustazione è uno scorcio luminoso sulle colline del Prosecco. Delicate note floreali nascondono a tratti il ricordo leggero del lievito, per lasciare infine la scena agli agrumi e a quei sentori balsamici di mentuccia e liquerizia che ci raccontano l’unicità di una piccola realtà viticola, che non può rinunciare alla sua particolarità. In bocca è sincero, una bollicina che si percepisce senza invadere e che lascia lo spazio alla vera protagonista: la mineralità, che allunga la degustazione ed esprime questo vino come essenza della sua uva, e non semplicemente come un figlio del metodo Charmat. Un’annata molto femminile ed espressiva di questo Prosecco Brut Nature dalle forme leggiadre; pulizia estrema all’assaggio che chiama un altro sorso di questo splendido paesaggio primaverile. GRECO DI TUFO CONTRADA MAROTTA DOCG 2015 – VILLA RAIANO S. Michele di Serino (AV) Il secondo bicchiere inizia a parlarci con profumi mediterranei, di foglie di limone e di pomodoro, e di agrumi. Siamo già in provincia di Avellino, a respirare il ricordo del mare anche a 600 metri di altitudine. Ma la sua forza al palato non è solo il calore del sole. È quell’equilibrio perfetto tra alcolicità e acidità che guida l’assaggio e sprigiona in modo continuo i profumi percepiti al naso. Solo alla fine il mare prende il sopravvento, e il sale amplifica il sapore del vino, lasciandone una traccia indelebile in bocca. Grande freschezza anche dopo due anni dalla vendemmia, in un bicchiere che incrocia con armonia sentori di terra e di mare. ETNA BIANCO VIGNA MARIAGRAZIA DOC 2015 – TENUTA BENEDETTA Castiglione di Sicilia e Milo (CT) Suolo vulcanico e vecchie viti di Carricante: un Etna Bianco che sa di luoghi nascosti e di cassetti segreti, quelli che quando si aprono sprigionano profumi che mescolano verità antiche e la freschezza della scoperta. Zagare e gelsomini incoronano i frutti, scorze di arancia candite e quasi affumicate, e un vanigliato leggero sul fondo, che ci svela senza esagerare il parziale passaggio in legno. E all’assaggio comprendiamo il perché. Ampiezza e struttura dominano, il calore permeante dell’alcol che con il ricordo del legno inizia la degustazione con una sensazione di dolcezza. Ma senza riserve si fanno poi sentire la componente sulfurea, i toni accesi e minerali della pietra focaia intermittente al naso, e l’acidità, che chiude con incredibile gioventù il passaggio del vino. Un bicchiere per niente superficiale e che ci ispira ad ogni sorso profondità e pienezza.

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VINO NOBILE DI MONTEPULCIANO DOCG 2014 – AZ. DEI MARIA CATERINA Montepulciano (SI) Il primo rubino a svelarsi nel bicchiere! La terra toscana si tinge di gioventù e freschezza. Sentori fruttati, di fragole, ciliegia e prugne, con la stessa vibrante energia che sentiamo poi in bocca. Tannini frizzanti che stuzzicano il palato, ma che subito si stemperano, smorzandosi tra la componente alcolica che ancora esalta il frutto, e la freschezza che infine si percepisce protagonista. Un vino croccante, ma gentile nel proporre ogni spigolosità dentro il contesto giusto. Perché alla fine quel che resta non è altro che quel residuo di dolcezza che abbiamo in bocca dopo aver mangiato un frutto maturo, semplicità di sentori e complicità di sensazioni. Quella bevibilità perfetta che rende grande un bicchiere così, nobile di nome e di fatto. MONTEFIORALLE CHIANTI CLASSICO RISERVA DOCG 2013- AZ. MONTEFIORALLE Greve in Chianti (FI) Da Montepulciano al Chianti, e già il bicchiere svela quella diversità che solo il Sangiovese esprime in questa splendida regione. Un altro territorio che dietro la zaffata alcolica esprime complessità, ciliegie che si mescolano ai piccoli frutti rossi, e un contorno floreale di viole e di giacinti odorosi. Profumi gioiosi che presto lasciano spazio alla saggezza del tempo, speziature timide, un accenno di pepe e di tabacco, sentori balsamici che nell’insieme ricordano un’antica stanza incensata che chiede silenzio per essere vissuta. In bocca è di grande armonia: un corpo sontuoso che sostiene l’alcol con fermezza, mentre acidità e tannino arrivano con garbo sui lati della lingua per portare via il ricordo del vino. Fruttato e spezie tornano insieme a chiudere l’assaggio, un palato perfettamente asciutto per contemplare ancora una volta il mistero di un vino di fama centenaria. BAROLO DOCG 2013 – AZ. AGRICOLA SORDO GIOVANNI di SORDO GIORGIO Castiglione Falletto (CN) Chiudiamo la nostra degustazione nelle Langhe, con un vino che smorza i toni intensi dei rubini precedenti, ma che al naso si presenta intrigante senza riserve. Tutte le stagioni raccolte in un liquido: delicate sfumature mentolate, frutti di bosco e ciliegie mature parlano di primavera e di estate, mentre l’autunno emerge deciso con sentori di tabacco e di cuoio; sullo sfondo la profondità della terra, profumi d’inverno, mineralità unica che si respira con attenzione. In bocca non c’è tradimento: il balsamico sposa il terziario mentre il frutto si fa spazio con quel tannino inconfondibile che prima non c’è e poi compare con progressione a permeare denti, gengive e infine il cuore. Un’eleganza che fa sorridere e dire con certezza “Questo è Barolo!”.

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di Aldo Mussio

Champagne, Epernay e dintorni BioChampagne è una realtà giovane, fatta da ragazzi giovani, che si concretizza nell’essere un e-commerce “atipico”.

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o champagne ha sempre un suo fascino seducente e così anche alle 11.30 di mattina la platea dell’aerea 5 della manifestazione è al completo per ascoltare i racconti di Mattia Masi uno dei cinque titolari di Bio Champagne, e la degustazione guidata Aldo Mussio sommelier FISAR. BioChampagne è una realtà giovane, fatta da ragazzi giovani, che si concretizza nell’essere un e-commerce “atipico” come lo dichiara Mattia, un luogo sul web dove si può acquistare vino attentamente selezionato solo dopo accurate visite da produttori. I vini che rappresentano sono vini che loro vivono quasi come se fossero loro a produrli. La passione che spinge Mattia si legge in faccia e nella piacevole espressività gestuale e vocale tipica dei veneti. La cura e l’attenzione con cui parla della sua azienda, delle motivazioni che hanno spinto un gruppo di ragazzi a iniziare questo lavoro “e si sa quanto sia importante per un veneto bere bene”. Ho avuto il piacere di preparare questa degustazione insieme a Mattia, a distanza, ma come se fossimo uno di fianco all’altro e questo mi ha permesso di comprendere il trasporto che ha verso il suo

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lavoro che va ben oltre al mero scopo commerciale oltre che a conoscere produttori a me fino al momento sconosciuti. La forza di questo progetto cavalca sicuramente un po’ quella che è una delle “mode” trainanti del momento in ambito vini in un mercato, quello degli spumanti, in forte espansione. Il progetto si realizza nella precisa e accurata scelta di etichette di ottima qualità, frutto di una produzione biologica, biodinamica o naturale a prezzi competitivi. Piccoli produttori selezionati, dislocati entro un raggio di pochi chilometri da Epernay, il cuore pulsante dello Champagne e il crocevia di incontro delle zone maggiormente vocate di questa regione. Precise e puntuali le presentazioni di ciascuna azienda che precedono la degustazione del vino proposto. La sequenza scelta rispecchierà la sequenza di affinamento che ciascuno degli champagne ha avuto, lasciando per ultimo un Rosée de Saigne che oltre che per la struttura merita l’ultima posizione per i suoi 90 mesi di affinamento. Ma andiamo velocemente in ordine, Alain Bernard apre la sequenza con un brut a base predominante Chardonnay dalla periferia subito a nord di Epernay. Perlage fine e molto veloce, naso sottile con spiccate note floreali e agrumate con un finale che regale anche accenni di piacevole frutta secca. Ottimo per un aperitivo.


Ci spostiamo a Ovest, all’imbocco della valle della Marna dove incontriamo Charlot Tannex con il suo Le Fruit de ma passion, biodinamico certificato Demeter, extra brut che non fa malolattica che si divide quasi in parti uguali tra Pinot Meunier e Chardonnay. Un vino che nasce in due piccole parcelle da mezzo ettaro ciascuna e che porta con sé la tipicità sia visiva che gustativa del Meunier. Le striature rosate del vino sono inconfondibili. Quattro anni sui lieviti e giusto un anno dalla sboccatura ce lo presentano sicuramente all’apice della sua maturità, ricco al naso e in bocca si apre nella sua composta di frutta gialla, morbido e di grande equilibrio a dispetto del basso dosaggio. Si apre in bocca ampio regalando complessità inaspettate verso aromi di pan brioche, frutta secca e ginger. Rimaniamo in zona nella periferia ovest di Epernay anche se in realtà i vigneti di Duchene e del suo 1er cru sono quelli delle zone limitrofe ad Ay. Cinquantasei microparcelle per un totale di quattro ettari di vigneti. Chardonnay e Pinot Noir si spartiscono la cuvée che affina per 5 anni sui lieviti. Il risultato è uno champagne dorato e brillante con un perlage finissimo e intenso. Gli aromi classici di frutti di bosco del pinot si abbracciano alla perfezione ai fiori e agrumi dello chardonnay. Un vino diretto, fresco, gessoso e tagliente che porta con sé un elegante evoluzione aromatica. Ripartiamo verso sud, a Oger, porta d’ingresso dei Grand Cru della Cote de Blancs, per incontrare Vauversin e il suo Original. Cosa aspettarsi se non 100% chardonnay. Un brut con soli 5g/l di zuccheri e che non fa malolattica. Blend di diverse annate, oltre il 60% vini del 2014 di cui il 90% che affina in botti di castagno e per il rimanente 40% vini di riserva. Oro liquido nel bicchiere, brillante. Il perlage non è finissimo ma risale lentamente, indice di buona lavorazione. Tanta materia di ottima qualità nel bicchiere. Naso e bocca sono coerenti e spaziano tra fiori bianchi e spicchi di mele. La bocca è cremosa e si lascia accarezzare volentieri dal perlage che porta con sé gustose tostature, profumi di anice stellato, spezie dolci e un leggero amaricante, forse eredità del castagno. Un vero Chardonnay di buona sostanza, minerale e burroso allo stesso tempo.

Eccoci al finale dopo alcuni interventi di una platea piacevole e coinvolta. Torniamo verso la valle della Marna e ci spostiamo leggermente più all’interno per questo champagne rosée de saigne di Coutelas, Prestige Rosè, solo 3000 bottiglie all’anno. Classico brut 100% pinot noir, marcato nel colore vivace da un “sanguinamento” di 18 ore. Di nuovo due piccolissime parcelle da mezzo ettaro ciascuno con vigne di oltre trent’anni. Novanta mesi sui lieviti sboccato poco oltre un anno fa. Rosa salmone acceso e cristallino, perlage fine e lento nella sua risalita. La struttura del pinot noir lavorata a dovere. Rose secche, arance rosse dolci, frutti di bosco e agrumi. Eleganti aromi di pasticceria e mirtilli, un vino quasi sapido che spinge la freschezza e sostiene il sorso nel finale. Uno champagne gastronomico di buon corpo e struttura. Un’ora e mezzo volata via in allegria e piacevolezza accompagnati da Mattia Masi, da BioChampagne e dai suoi vini a dimostrazione che anche distributori, se di ottimo livello, possono dare contributo alla conoscenza di territori prestigiosi come lo Champagne. il Sommelier | n. 1 - 2018

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di Aldo Mussio

Verticale Timorasso di Walter Massa Retrospettiva dello Sterpi nelle annate 2015 - 2013 - 2011 - 2009 - 2007 - 2005 e ...

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alter Massa, coraggioso visionario, grandissimo comunicatore della sua terra a cui è solidamente legato, istrionico presentatore dei suoi vini, “Vini che non si fanno ma si ottengono ... con uva matura, buonsenso e tempo. Perché il tempo non rispetta chi fa le cose senza di lui”. Un vulcano in piena eruzione che lancia anatemi contro il conformismo nel vino, contro le politiche agricole e la cecità di chi preferisce usare “uvaggi migliorativi” piuttosto che impegnarsi con fatica nella riscoperta e promozione della grandezza dei nostri vitigni. Un torrente in piena che travolge tutto e tutti con un unico obbiettivo, promuovere la sua terra e la sua

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anima legati in modo indissolubile fra di loro. “Il vino è un fattore economico importante” e ne esistono due tipologie, “i vini e le soluzioni idroalcoliche” e non c’è dubbio che i suoi appartengono alla prima specie, quella che lui definisce “animale” perché fatti con l’anima. Un crescendo di stimoli forti, aggressivi, che costringono la platea a ragionare, intervallati da 6 annate del suo Cru Sterpi in formato magnum, Timorasso realizzato da uve di un unico vigneto, Sterpi appunto. La degustazione delle annate sarà guidata dal nostro nuovo sommelier dell’anno 2017, Emanuele Costantini,


che non avrebbe potuto aspirare a un miglior battesimo. Si parte con l’annata più recente, la 2015, un’ottima annata che regala già al vino una buona carica aromatica fresca di fiori e frutta bianca, grandi morbidezze e rotondità al sorso che si arricchisce nel finale di una prorompente mineralità. Tensioni di spinta verticale tra sapidità e freschezza saranno il filo conduttore di tutta la degustazione, la spina dorsale vibrante di questi vini. Già con la successiva 2013 abbiamo un’idea chiara di cosa voglia dire per questo vino anche solo pochi anni di affinamento in più. Il colore inizia a virare verso tonalità più sature. L’evoluzione al naso si trasforma in quella di un pot-pourri di fiori bianchi e fieno. Il frutto diventa più maturo e la sapidità più salmastra. Grande armonia e struttura. E andiamo ancora indietro nel tempo verso la 2011 dove il floreale

è diventato un morbido aroma di camomilla che guarnisce una mineralità pirica, potente, e un frutto citrico candito. Si iniziano a intravedere eleganti note di idrocarburo che portano alla mente vitigni e terroir lontani. La sapidità ha raggiunto livelli di salinità e il corpo e la struttura di questo vino assomigliano più a quelli di un vino rosso “Si scrive Timorasso ma si pronuncia TimoRosso”, le doti comunicative sono ineguagliabili! Sempre su toni elevati si scaglia poi contro chi nel tempo lo aveva accusato di aver aggiunto Litio al vino. “I nostri terreni sono ricchi di zolfo e litio” e sono proprio questi che donano

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“una mineralità orgasmotica con l’apporto del tempo”. La 2009 è stata un’annata difficile, segnata nel profondo dalla grandine. Solo la metà del raccolto sarà imbottigliata come Sterpi e l’altra metà confluirà nell’ etichetta Derthona che guarda caso otterrà riconoscimenti ovunque. Il colore è dorato brillante, luminoso, vivo. La mineralità è meno esuberante ed il vino assume un aspetto più morbido, rotondo, più grasso al sorso. Un ricamo di frutta secca, candita, noci e fieno sempre sorretti magistralmente da un’infinita freschezza. Lungo e profumato. La platea rimarrà estasiata da una 2007 in forma strepitosa. Un calice che sprigiona prepotentemente gli aromi che abbiamo incontrato fino a qui ma con una carica se possibile ancora più alta, senza mai perdere la compostezza e l’eleganza che lo contraddistingue. Armonico e complesso non rendono abbastanza bene la piacevolezza che questo vino regala. Il termine “orgasmico” usato precedentemente non fa parte dei nostri descrittori ma sicuramente è la cosa che più si avvicina alle sensazioni provate. Note burrose e affumicate nel fin di bocca riportano ancora una volta a pensare ai grandissimi vini bianchi del mondo, ma siamo sempre con i piedi ben saldi sui nostri colli Tortonesi. Ancora un balzo indietro, 2005, ultima annata 76

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“ufficiale” di questa degustazione che invece sarà di degna introduzione ad una sorpresa di cui saremo omaggiati. La scala cromatica di questo vino ha raggiunto ormai colori dell’oro fuso, cristallino e prezioso. Il naso è più fine, più sottile dei predecessori e le note si spostano molto dal frutto verso la parte vegetale del fieno. Morbido ed avvolgente in bocca, ben bilanciato e persistente. E come se non avessimo avuto abbastanza da gioire ecco il più bel regalo, una magnum di 2004, la prima annata imbottigliato di questo vino. Tredici anni in bottiglia e la vivacità di un ragazzino, grintoso, scattante. In un batter d’occhio abbiamo recuperato nel bicchiere grande irruenza olfattiva di un elegante idrocarburo, della frutta disidratata e dei fiori secchi, nelle note vegetali che si spostano verso sfumature balsamiche. Più che invecchiano e più che regalano emozioni. Pochi sono i vini che raggiungono questi apici, pochissime gli uvaggi che lo permettono e oggi abbiamo avuto l’onore di comprendere nel modo più semplice, sorseggiando dal nostro bicchiere, il concetto basilare della filosofia di questo vigneron: uva matura, buonsenso e tempo. E quello che abbiamo avuto la fortuna di destinare qui oggi è stato sicuramente speso bene.


di Aldo Mussio

Verticale di Pergole Torte

Montevertine, 2014, 2013, 2012, 2010 e 2009 Cinque annate in degustazione, guidate in modo impeccabile dal nostro DUF Giampaolo Zuliani e dal proprietario dell’azienda Martino Manetti.

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a sala è stracolma perché a dispetto della sequenza “giovane” di uno dei più importanti rossi italiani, Pergole Torte ha il fascino ammaliante di una bella donna a cui nessuno può sfuggire.

E poi chi ha detto che si debba sfuggire? Quando nel calice possiamo trovare questo livello di vino qualsiasi annata vale la grandezza che ritroviamo nel bicchiere. Sequenza classica, dal più giovane al più vecchio per esaltarne l’evoluzione senza timore di sovrastare con

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l’irruenza giovanile l’eleganza del tempo. La differenza di età non è tale da poterlo fare e ce accorgeremo presto dai calici. Parlare di Pergole Torte è sempre difficile, il rischio è di cadere nello scontato o di lanciarsi in voli pindarici trasportati dalla “grandeur” di questo vino. Questo è l’anno in cui si festeggiano i 50 anni dell’azienda, acquistata da Sergio Manetti, papà di Martino nel 1967. Prima annata produttiva 1971 e pochi anni dopo, nel 1977, la prima uscita del Pergole Torte, vino da tavola in terre di Chianti Classico. Si VdT perché il disciplinare del Chianti Classico non permetteva l’utilizzo delle sole uve Sangiovese. Sangiovese nel cuore e nell’anima così tanto che l’allora Maestro Assaggiatore, Giulio Gabelli, insieme ai proprietari decisero di stare fuori dal consorzio pur di continuare a produrre quello che a loro piaceva, il Sangiovese. E da allora Pergole Torte viene venduto come IGT Toscana, come tanti altri grandi vini che hanno fatto la storia della viticoltura toscana. Esposizione non ottimale, si fa per dire, verso Nord – Nord Est ad una media altitudine che regala escursioni e freschezza. I terreni di Radda ricchi di Galestro, Alberese e Arenarie che apportano al vino una elevata mineralità. Allevamento a Guyot che permette grappoli più spargoli e quindi rese più basse ma maturazioni

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ottimali degli acini. Cemento fino alla malolattica, un anno in barriques, un anno in botte grande di rovere di Slavonia e 6 mesi in bottiglia. Tutti i cristalli di un diadema prezioso, ognuno incastonati ad arte per ottenere un grande risultato. E per finire la magia delle etichette, diverse ogni anno ma sempre uguali. Tanto innovative quanto oramai classiche icone imprescindibili. 2014 annata difficile ma non scadente riporta come idea un po’ ai vini anni ’70, più semplice ed esile rispetto alle ultime annate ma di grande eleganza. Il rubino è quello del Sangiovese vero, non troppo estratto ma luminoso, splendente dalla grande freschezza. Il colore è quello dei chicchi di melograno e il naso si dimostra subito fine ed elegante. Gli aromi sono quelli classici di ciliegia arricchita di note di spezie dolci ed amare, di timo e alloro. I tannini sono leggermente contratti ma la beva è buona e gustosa mantenendo un ritmo pulsante in chiusura di bocca. Un vino piacevolmente gastronomico. La 2013 mantiene una grande luce nel bicchiere rubino e solo l’unghia tradisce la tendenza al granato. La carica olfattiva e intensa e porta al naso una bella sfumatura di spezie dolci su base fruttata. Mineralità tipica, note ematiche da grande sangiovese, balsamicità elegante della mentuccia di campo. Teso e vivo rimbalza in bocca tra acidità che fa salivare e tannini che asciugano in un perfetto equilibrio. Finale coerente, sapido, con ciliegie e bastoncino di liquirizia in piacevole allungo. Sicuramente una grande annata che fa presagire ad una vita lunghissima. Arriva l’anno del cambio dell’enologo, Paolo Salvi. La 2012 subisce le sorti di un tempo alterno, di un agosto torrido che squilibra le maturazioni ma una grande selezione fatta in vigna permetterà comunque di ottenere questo vino, elegante, fine, pulito. Alle classiche note di ciliegia si aggiunge un buon terziario fatto di tostature e di vaniglia, di spezie dolci e di balsamicità elegante. Alcol e struttura spingono avanti il centro bocca che stenta un poco ad aprirsi. Un vino ancora austero che ha la necessità di riuscire a fondere le proprie componenti. La 2010 segue col suo naso sottile ed elegante. Arrivano le rose secche insieme a note ematiche e balsamiche. Grande armonia. Il frutto si distende in bocca e si apra così come la trama tannica ampia e ben distesa. Preciso, quasi geometrico. Grafite e profumi del sottobosco accompagnano un finale lunghissimo di questo vino potente e strutturato. Annata perfetta, da incorniciare.

Il finale ci porta alla 2009, annata calda che ha assunto nell’immaginario collettivo un ruolo di ripiego tra una ottima 2007 e una grandissima 2010 ma che invece si dimostrerà all’altezza del blasone che porta. Il colore rimane brillante ma vira oramai deciso verso il granato. L’immancabile pulizia al naso e la complessità che aumenta arricchendosi nella parte dei terziari con cuoio, gli aromi dei pellami nobili, la frutta sotto spirito, il tabacco dolce e la cannella. Un finale sapido che spinge forte in avanti una grande acidità. E ancora note di sangue e di grafite. Un vino che avrà una vita lunghissima perché ha tutto quello che serve per andare avanti nel tempo senza esitazioni. La degustazione delle costanti e delle tipicità, del colore del Sangiovese, del gusto del sangiovese, della freschezza, della mineralità e della sapidità del territorio dove però non c’è uguaglianza fra le annate perché Pergole Torte vuole dire soprattutto massimo rispetto della materia prima, della varietà, dell’annata e del territorio.

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di Enza Bettelli con l’abbinamento di Nicola Masiello Presidente Emerito F.I.S.A.R.

L’ANTICA TRADIZIONE DELL’AGNELLO PASQUALE Una consuetudine antichissima, che nei secoli ci ha tramandato eccellenti ricette per quella che è la portata più tipica della tavola di Pasqua.

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uesta tradizione gastronomica è nata con un significato religioso che risale ai sacrifici della Pasqua ebraica citati nell’Antico Testamento. Anche per la Pasqua cristiana il cibo tradizionale è l’agnello, pur se il concetto religioso è diverso poiché per i Cristiani è Gesù stesso l’Agnello. Con il tempo questa consuetudine ha preso una valenza più profana, divenendo un pretesto per concedersi il lusso di un pasto di carne in un periodo di particolare abbondanza poiché è proprio in primavera che una volta si concentravano le nascite degli agnellini, e, inoltre, era più diffusa nelle nostre regioni del Centro Sud, dove i pascoli erano maggiormente estesi. Oggi il consumo di questo tipo di carne ha subito un incremento che spazia durante tutto l’arco dell’anno, dovuto alla presenza dei molti cittadini extracomunitari nel nostro Paese. In Italia sono allevate razze pregiate di agnello, a cominciare da quella IGP di Sardegna, ma vanno ricordate anche quella di Alpago (Belluno), che pascola in alpeggio; quella Demontina, piemontese della Valle Stura di

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Demonte; quella lunigiana nella zona di Zeri, una razza autoctona allo stato semi brado. Tra i preferiti degli intenditori va inserito anche il pré salé (prato salato) una costosa razza francese di agnelli allevati sui pascoli che si affacciano sul mare. Per chi, invece, non se la sente di mettere in pentola questo mite animale c’è l’alternativa dolce, ugualmente tipica soprattutto nelle Marche e in Sicilia, dove gli agnelli

di marzapane o di pasta frolla sostituiscono la classica colomba.

Ricette per tutti i gusti La cottura in forno è la più antica e tradizionale, ma la nostra cucina regionale abbonda di ricette eccellenti. I tagli più pregiati sono il cosciotto e la sella, che si cuociono soprattutto arrosto, e il filetto da rosolare brevemente in


L’abbinamento di Nicola Masiello Serve ricordare come la carne ovina o caprina rivesta oltre al valore simbolico del cibo pasquale anche un riferimento storico di arte culinaria legata ai territori dove si allevavano e si allevano queste razze, al pari di quelle equine, bovine e suine. Il consumo di queste carni non si limitano al solo agnello o capretto, ma prevedono anche l’utilizzo di carni più “mature” quali il castrato, la pecora o il montone. Tornando alle preparazioni culinarie del nostro agnello le possibilità sono molteplici. Per orientarci nell’abbinamento prendiamo come fattore principale quello della loro classificazione come “carni bianche”. Da qui la ricerca di vini che sposino le varie tipologie di cottura. Tra le più diffuse tipologie di cottura abbiamo quella alla “griglia” o “scottadito” che prevede l’aggiunta di sale e pepe insieme a qualche nota di “macchia” quale ginepro, mirto o rosmarino che aggiungono note amaricanti. Per questa tipologia di cucina abbiniamo vini bianchi, morbidi, freschi, con poco alcool. Un esempio è il Frascati superiore Docg, l’Orvieto Doc, una Passerina, un’Offida Docg, un Trebbiano d’Abruzzo Doc, un Cortese di Gavi Docg oppure un Greco di Tufo Docg. Per il “fritto” o “frittura”, considerata cottura breve, con o senza pastella, il piatto avrà una tendenza al dolce-untuoso. L’abbinamento sarà con vini freschi, anche spumanti, che facilitano la pulizia di bocca. Il Prosecco Doc, una Bianchetta Genovese Doc, un Verdicchio dei Castelli di Jesi Doc, un Greco bianco Doc oppure un Lugana Doc possono essere considerati ideali. Per la cottura al “forno” la preparazione classica prevede l’uso di erbe aromatiche ed amaricanti. È una cottura medio lunga con cessione della parte “grassa”. Qui i vini da abbinare spaziano dai bianchi di struttura. Vernaccia di San Gimignano Docg, Fiano di Avellino Docg, Pinot Grigio Doc Collio possono facilitarci la scelta. E poi un Chiaretto del Garda Doc o un Montepulciano d’Abruzzo Doc Cerasuolo sino ai rossi quali un Dolcetto di d’Asti Doc, un Chianti Docg nelle sue sette sottozone, un Merlot di Aprilia Doc e un Nero d’Avola Sicilia Doc. Nella preparazione al “tegame” si usa aggiungere pomodori, patate, cicoria e una nota piccante di peperoncino o pepe a secondo della tradizione. Con questa preparazione si ottengono piatti con buona aromaticità, buona grassezza e succulenza e buona persistenza gustativa. Per questi piatti abbineremo vini rossi giovani, profumati, di medio corpo, anche briosi che, grazie al leggero contenuto di anidride carbonica, facilitano la pulizia di bocca. Il Rosso Piceno Doc, Barbera del Monferrato Doc, Bonarda dell’Oltrepò Pavese Doc, i Lambruschi Doc (sia Reggiani che Modenesi), il Cannonau di Sardegna Doc o il Riesi Doc possono favorire il giusto abbinamento. Quando si parla di preparazioni quali “corata” o “coratella” entrano in gioco le frattaglie (cuore, fegato, parte della trachea, diaframma ed a volte, se l’animale è giovane, anche parte dell’intestino). Queste preparazioni prevedono la doppia cottura: una prima bollitura con scopo di “pulire e sanificare” a cui segue la cottura per molte ore al “tegame”. Agli ingredienti principali vengono aggiunti carciofi, cicoria, pomodoro e, a volte, legumi secchi. Elemento aromatico importante è dato dalla cipolla, dal rosmarino e dal peperoncino. Questo piatto è da considerarsi complesso, aromatico/speziato con note amarognole e minerali date dal fegato. I vini da abbinare vanno ricercati soprattutto nella fascia dei rossi di buon corpo, alcolici, con tannini evoluti e buona persistenza. Un Sangiovese Colli di Rimini Doc, un Montepulciano d’Abruzzzo Doc, un Bolgheri Doc, un Castel del Monte Doc ottenuto dal vitigno Uva di Troia , un Cesanese di Affile Doc o un Gutturnio dei Colli Piacentini Doc può soddisfare le nostre esigenze.

padella. Dalla spalla si ottengono saporosi umidi, mentre le costolette sono una squisitezza cotte alla griglia. Il collo e altre parti meno pregiate sono perfette per cotture in tegame o per la preparazione di creativi spiedini. Ottime anche le interiora (corata), in particolare nella versione laziale con gli ultimi carciofi della stagione. Qualunque sia la ricetta da eseguire, il risultato sarà migliore scegliendo un prodotto di qualità, con carne chiara e rosata degli esemplari più giovani e grasso bianco, sodo e distribuito in modo uniforme. il Sommelier | n. 1 - 2018

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a cura Ufficio Stampa Veronafiere – Photocredit: © Foto Veronafiere-ENNEVI

Vinitaly 2018, in programma a Verona dal 15 al 18 aprile 2018

Nuove aziende estere nel padiglione internazionale che da quest’anno si chiamerà International_Wine Hall, Vivit rinnovato e ampliato, un catalogo espositori che diventa portale informativo 365 giorni all’anno ricco di funzionalità per trovare esattamente il vino che si cerca: con queste e altre novità si presenta la 52a edizione di Vinitaly, in programma dal 15 al 18 aprile 2018 (www.vinitaly.com).

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li spazi espositivi sono sold out già dallo scorso anno, confermando la dichiarazione di intenti espressa nella costumer satisfaction realizzata a conclusione dell’edizione di Vinitaly 2017.

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Dall’indagine è emerso da parte dei visitatori, sia italiani che esteri (128.000 dei quali più di 48.000 da 141 nazioni, in crescita dell’8% sull’anno precedente) un elevato apprezzamento per la qualità delle aziende presenti, il che rende il

Salone internazionale del vino e dei distillati il luogo di incontro ideale per chi compra e vende vino nel mondo. I servizi all’interno del quartiere e la qualità e il numero di contatti sono sempre stati un punto di forza della


fiera, che da quest’anno offre un nuovo strumento di consultazione e ricerca che moltiplicherà le occasioni di incontro commerciale. Si tratta del nuovo catalogo online, trasformato in portale interattivo ricco di funzionalità in grado di facilitare la ricerca dei professionisti presenti in fiera non solo per area geografica, tipologia di vino, fascia di prezzo, ma anche per canale di vendita, per area di esportazione o per ricerca di nuovi mercati e non solo. Con la ricerca tematica i visitatori possono ottimizzare il proprio programma di visite a Vinitaly, realizzando in anticipo il matching con le aziende che rispondono esattamente ai propri interessi commerciali. Il servizio si aggiunge al tradizionale b2b offerto da Vinitaly con Taste&Buy, che mette in contatto le aziende con i buyer selezionati dai delegati di Veronafiere in oltre 50 tra i mercati più importanti e interessanti per il consumo di vino. Le pagine delle aziende sono attive tutto l’anno e permettono anche di promuovere la propria immagine per i consumatori segnalando eventi, pubblicando immagini e video da condividere sui social media. Altra novità di interesse per chi cerca nuove proposte è il padiglione che accoglie gli espositori esteri. Il rinominato International_Wine Hall vede tra le new entry una collettiva di cantine della Croazia selezionate dalla Camera di commercio croata e uno stand della Georgia con un allestimento dedicato alla tradizione mai abbandonata di utilizzare grandi anfore di terracotta interrate per consentire prima la fermentazione e poi

l’affinamento dei vini, sia bianchi sia rossi. A questi si aggiungono nuovi e vecchi espositori di Francia, Spagna con vini e liquori, Portogallo, Azerbaijan, Argentina, Australia e Ungheria con una collettiva. Non mancano i vini dagli Usa, mentre liquori e distillati dal mondo sono rappresentati dal Pisco del Peru, dal sakè della ampliata collettiva del Giappone, dalla Compagnia dei Caraibi e, novità assoluta, dall’Etiopia. Più grande e rinnovato lo spazio occupato, nel pad. 8, da Vivit. Il salone dei vignaioli e dei terroir rappresenta una specializzazione nell’offerta di Vinitaly che, assieme a Vinitalybio, risponde al crescente interesse da parte degli operatori di tutto il mondo per vini prodotti artigianalmente o certificati biologici, in linea con le tendenze manifestata dai consumatori di molti mercati. I vini biologici sono

ormai diffusi in tutto Vinitaly, sono infatti molte le cantine che hanno convertito la propria produzione. Una panoramica completa è disponibile nell’Enoteca di Vinitalybio. Tra le collettive, in espansione quella della Fivi, con i suoi vignaioli indipendenti, mentre una novità è rappresentata dalla Sicilia, che dopo anni cambia formula e si presenta con quattro collettive al posto di una unica regionale. Una delle peculiarità di Vinitaly è l’offerta ogni anno di degustazioni irripetibili. Alcune che testimoniano la capacità di talune aziende e degli enologi che le seguono di fare la storia dell’enologia mondiale, altre anticipano e spiegano le nuove tendenze di produzione e consumo. Tra le prime “I vini di Riccardo Cotarella dal mondo”, con 14 etichette provenienti, oltre che dall’Italia, il Sommelier | n. 1 - 2018

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da Francia, Romania, Stati Uniti, Palestina, Russia e Giappone. Case history di successo quella di Masi, che nel suo XXX Seminario propone quest’anno una verticale di 30 Amaroni della Valpolicella, mentre due degustazioni proposte da Franco Ziliani in collaborazione con Veronafiere dedicate a “Le vie italiane del rosato” per bollicine e vini fermi sono una occasione per fare il punto sulla qualità e la ricchezza di espressione, nel contesto del panorama internazionale di pink, rosé, rosati wines prodotti in Italia per i mercati internazionali. In calendario anche gli appuntamenti con Tasting ex… press, il tradizionale viaggio tra i vini del mondo organizzato in collaborazione con importanti testate estere, con focus quest’anno su Argentina e Cile, Ungheria, Ucraina, Francia, Slovenia. Come tradizione, in contemporanea con Vinitaly si svolgono Sol&Agrifood - Salone Internazionale dell’Agroalimentare di Qualità (www.solagrifood. com ) ed Enolitech, il Salone Internazionale delle Tecniche per la Viticoltura, l’Enologia e delle Tecnologie Olivicole ed Olearie (www.enolitech.it). Fiera business in quartiere con ingresso riservato agli operatori specializzati della filiera, Vinitaly non dimentica i wine lover. Per loro, nelle piazze storiche della città di Verona e da quest’anno anche a Bardolino e a Valeggio, due dei più affascinanti luoghi del lago e dell’entroterra gardesano, si svolge dal 13 al 16 aprile Vinitaly and the city (www.vinitalyandthecity.com). A Bardolino e Valeggio il fuori salone del vino prosegue anche nel fine settimana del 20, 21 e 22 aprile. 84

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a cura di Giovanni Pinna - Segreteria Nazionale FISAR

Intervista a Lorenzo Corti, vincitore del concorso “Progetta la tessera FISAR 2018” …da uno scherzo ho iniziato seriamente a pensare di partecipare davvero. E direi che non è andata per niente male!

Chi sei e e cosa fa nella vita? Sono un fiorentino DOCG di 31 anni, FISARiano dal 2012. Nella vita agente di commercio per Essse Caffè e podista mancato. Mi sono avvicinato al vino grazie ad un caro amico di famiglia, una persona che amava spassionatamente il vino e che per uno degli ultimi Natali passati

insieme mi regalò tre belle bottiglie di vino accompagnate da un biglietto: “Bevi queste bottiglie alla mia salute, insieme ai tuoi amici, sperando che riusciate ad apprezzare la differenza fra acqua

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colorata e vino di qualità”. Da quel momento ho sentito l’esigenza di comprendere cosa avevo nel bicchiere e di capire il mondo che gli gira intorno. Che cosa ti ha spinto a partecipare al concorso quest’anno? L’idea di partecipare a questo concorso è nata un po’ per caso e per gioco. Un giorno, parlando con amici sommelier ci siamo divertiti a stuzzicare un ragazzo del gruppo affinché lui partecipasse al concorso per miglior sommelier dell’anno; dopo aver un po’ insistito lui ha ricambiato l’invito iniziando a pressare me. Dopo una serie di battute e grandi risate, ho fatto presente che avrei potuto partecipare ad un altro concorso… quello per la tessera Fisar. Così, da uno scherzo, ho iniziato seriamente a pensare di partecipare davvero. E direi che non è andata per niente male! Come è nata l’idea di questo progetto, a cosa ti sei ispirato? L’idea di base del progetto è un po’ “contorta”, spero di riuscire a spiegarla correttamente. Tutto è nato durante una cena fra amici sommelier, tutti rigorosamente FISARiani. A fine serata, complice probabilmente il vino, le risate, 86

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lo star bene in compagnia, ho iniziato a fantasticare. Osservavo il bicchiere di vino che tenevo in mano immaginandomi che al suo interno vi fossero il sudore di una vendemmia faticosa, le lacrime del produttore per un’annata andata storta, la soddisfazione per un vino riuscito ugualmente bene. Dentro al bicchiere non c’era solamente un liquido rosso, c’era il racconto di chi è andato personalmente in cantina a comprarlo, di chi si è seduto ad un tavolo con il produttore ed ha ascoltato le sue storie. Quel bicchiere aveva riunito grandi amici ad un tavolo, amicizie nate grazie al vino e rafforzate bicchiere dopo bicchiere. Come un bel maglione di cachemere si crea dall’intreccio di tanti singoli fili, così un bicchiere di vino nasce da un intreccio di emozioni. Il vino è un telaio di emozioni. Da lì l’idea di intersecare tante linee per dar vita alla sagoma di un bicchiere di vino rosso ed uno bianco. Quando hai inviato il tuo progetto, pensavi di vincere? Sinceramente non avevo grandissime aspettative, ero già soddisfatto di essere riuscito a trasformare la mia idea in qualcosa di concreto. Poi ovviamente, in fondo in fondo, come si dice ... la speranza è l’ultima a morire!

Come hai reagito quando hai ricevuto la comunicazione della tua vittoria? La verità? Il primo ad aver scoperto la mia vittoria non sono stato io… ma mia moglie. Capita spesso che acceda alla mia mail per visionare mail relative a bollette, fatture ed altro, quel giorno però non ha trovato pagamenti, bensì belle notizie! Appena appresa la novità, mia moglie mi ha chiamato e con gioia mi ha informato della vittoria! Dopo lo stupore iniziale, ero “gasato” a mille! Descrivici cosa hai provato all’atto della premiazione sul palco della Stazione Leopolda. Il ragionier Ugo Fantozzi la descriverebbe così: lingua felpata, paralisi facciale, sudori freddi, totale incapacità linguistica nel mettere in fila tre parole, insomma IMBARAZZO TOTALE. Non essendo un ragazzo abituato alle luci della ribalta, l’emozione ha avuto il sopravvento, di questo mi dispiace perché per questo motivo probabilmente non sono riuscito a spiegare al meglio l’idea del mio progetto. Consiglieresti a tutti gli altri Soci Fisar di partecipare il prossimo anno? Sì senza alcun dubbio.


di Davide Amadei – Fotografie FotoArte di Roberto Zucchi e Alessia Bernardeschi

MareDiVino cresce ancora:

una ottava edizione ricca di qualità Sono state settanta le aziende che hanno presentato i loro prodotti enologici di eccellenza del territorio livornese, delle isole e dell’area pisana della Val di Cecina.

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gni anno sempre meglio e sempre di più: anche l’ottava edizione di MareDiVino, la grande vetrina dei vini della Provincia di Livorno e della Costa degli Etruschi, ha riservato qualità e numeri crescenti, anche grazie alla novità del coordinamento di Simone Nannipieri, socio sommelier

della Delegazione di Livorno, organizzatrice della manifestazione. Il 18 e 19 novembre 2017 sono state settanta le aziende che hanno presentato i loro prodotti enologici di eccellenza del territorio livornese, delle isole (in questa edizione: record dell’Isola d’Elba con ben quattro produttori) e dell’area

pisana della Val di Cecina. E il dato più significativo è stata la crescente presenza personale, alle postazioni dei banchi d’assaggio, dei vignaioli, dei titolari delle aziende: è senz’altro bello, per FISAR, vedere i propri sommelier servire i vini con professionalità e competenza, per parlare delle

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aziende assegnate e dei relativi territori, ma è ancor più importante poter far incontrare direttamente e personalmente i produttori con gli appassionati e gli operatori. Accanto alle aziende di MareDiVino, grazie ad un gemellaggio rinnovato e davvero qualificante, è stata ricca la presenza degli ospiti appartenenti alla FIVI, la Federazione Italiana dei Vignaioli Indipendenti, per questa edizione solo toscani il sabato e solo veneti la domenica. Inoltre, una particolare visibilità ha avuto l’Associazione 11delVino, la squadra di calcio dei produttori di vino, nata proprio in Provincia di Livorno per poi coinvolgere varie aziende di tutta Italia. Novità di questa ottava edizione, quanto agli ospiti, è stato un banco d’assaggio di vari vini di aziende dell’Associazione le Donne del Vino, con la presenza di alcune produttrici sempre in prima linea nella valorizzazione dell’energia e della qualità tutta “al femminile”. Sempre numerosi e apprezzati i produttori di gastronomia, dai formaggi al miele, dalle farine ai salumi, e soprattutto di olio, con prodotti della raccolta 2017 di

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eccellente qualità organolettica. Con Slow Food, sempre in prima linea nella organizzazione di MareDiVino, per la prima volta è stata presentata durante l’evento la Guida Slow Wine 2018, descrivendone i criteri ed evidenziando lo stretto rapporto con FISAR nella sua realizzazione e promozione. Altro libro presentato è stata la Guida ai Sapori e ai Piaceri della Regione Toscana, di Repubblica. Come sempre apprezzatissimi i cooking-show durante la duegiorni di MareDiVino, ma anche, e soprattutto, nella successiva Settimana di Gusto, con chef stellati a mostrare le proprie creazioni, emozionando e deliziando i presenti. E come sempre strapieni i laboratori per bambini organizzati da sommelier FISAR e responsabili di Slow Food, per educare al gusto i più piccoli, che, divertendosi, consentono anche ai genitori di lasciarli e compiere assaggi. Da segnalare l’incremento delle bottiglie dei produttori di MareDiVino vendute nella apposita Enoteca, gestita da FISAR, ed il rinnovato successo del Concorso

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Rosso Buono Per Tutti, a giuria popolare, con gli appassionati degustatori che hanno premiato un vino di Riparbella, dell’azienda Pakravan-Papi, produttore newentry a MareDiVino. Non è un caso, allora, che per la prima volta il “taglio del nastro” inaugurale della manifestazione sia stato compiuto dalla Presidente Nazionale FISAR Graziella Cescon, alla presenza del Vicepresidente Filippo Franchini, del Segretario Nazionale Laura Maggi, del Tesoriere Luigi Terzago, dell’Amministratore di FISAR Servizi Giovanni Elce Fabbretti, dei Consiglieri Nazionali Fabio Baroncini (di casa) e Massimo Volpe. Il Delegato livornese Mario Albano ha avuto modo di esprimere il proprio compiacimento per l’ulteriore crescita dell’evento, ideato da alcuni sommelier FISAR nel 2010 e giunto ormai ad un grande livello di apprezzamento, di presenze di operatori ed appassionati, di soddisfazione per i produttori di vino, olio e gastronomia partecipanti: un servizio al territorio e a suoi prodotti di eccellenza, com’è nel DNA e nello scopo associativo della FISAR e dei suoi soci.

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di Emanuele Costantini, Miglior Sommelier FISAR 2017 – Trofeo Rastal

A Cortona non solo Syrah Grazie alla vittoria del concorso Miglior Sommelier dell’Anno ed alla collaborazione tra FISAR e il Consorzio Vini Cortona ho avuto la possibilità di conoscere una delle più giovani ed interessanti denominazioni italiane, la Toscana Cortona DOC.

È

stato un tour entusiasmante, durato tre giorni, che mi ha fatto approfondire la conoscenza sui vini, sulle aziende e, soprattutto, sulla realtà sia enologica che turistica di tutta questa meravigliosa zona. Infatti Cortona e tutte le zone limitrofe

godono di un grande afflusso turistico sia di italiani che di stranieri, che vengono qui da ogni parte del mondo sia per la bellezza del luogo, sia per assaggiare tutti i grandi prodotti che ci sono, primo su tutti sua maestà il Vino. Il Consorzio Vini Cortona mi ha

programmato, in tre giorni, la visita in sette aziende, ognuna con caratteristiche distintive, ma unite da un filo conduttore ben preciso, ovvero ricordare le tradizioni, rispettare il territorio, sguardo al futuro e produrre vini di alta qualità. Arrivo a Cortona un venerdì nel

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primo pomeriggio e inizio con la visita all’azienda GiannoniFabbri, in loc. S. Marco in villa, dove ad attendermi c’è il titolare Marco Giannoni che tra l’altro è il presidente del Consorzio Vini Cortona. Dopo i convenevoli, scambiamo due parole passeggiando nello splendido giardino della tenuta, dove si respira aria d’altri tempi. È tutto molto affascinante, palme, mimose, cedri, allori, fanno da cornice alla villa padronale e alla cantina, mentre un’aiola di rose David Austin fa da guardiana al magazzino e alla zona imbottigliamento. Mi viene mostrata la cantina ma, quando mi mostra, in un sottotetto la vinsantaia, con tutti i caratelli, con la loro storia, la loro tradizione, rimango a bocca aperta. Mentre mi accompagna verso la sala degustazioni, mi racconta che i Giannoni Fabbri sono tra i fondatori del Consorzio, hanno circa dieci ettari di vigneto, azienda biologica dal 2015, dove si coltiva chardonnay, sauvignon, cabernet, e, il syrah che in questa zona ha dato prova di una grande potenzialità. Vinifica il syrah sia nella versione rosato chiamata Vinciluna toscana igt, sia nella versione in purezza chiamata Amato Cortona DOC, ed è proprio quest’ultima che andrò a degustare: Amato Cortona syrah 2014: la cura in vigna è stata fondamentale per ottenere questo vino,visto che l’annata non è stata tra le migliori; alla vista si manifesta con un rosso rubino intenso con una sfumatura granata, al naso si apre con note di frutta nera, mora su tutti, leggere note floreali, seguite da note di pepe nero, e un tocco di talco. In bocca è un vino di corpo, caldo e rotondo; acidità bilanciata e ottimi tannini. Finale persistente. L’altro vino in degustazione è il vin santo 92

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2007, fatto da uve trebbiano toscano. Pensate che la madre per fare questo vino risale alla fine del 1800. Colpisce subito il colore giallo ambra con delle bellissime sfumature aranciate. Quando lo si ruota nel bicchiere, mostra tutti i suoi 180 gr/lt, fermandosi velocemente; molto intenso al naso rivela tutta la tipicità del vin santo e sprigiona note di frutta secca, amaretto, dattero, albicocca. In bocca l’acidità compensa pienamente la dolcezza rendendo piacevole la beva. Lunghissima persistenza in bocca. Purtroppo però, il tempo passa velocemente e devo salutare, perché un’altra azienda mi aspetta. Salgo in auto e mi dirigo in loc. Manzano, all’azienda Tenimenti D’Alessandro, dove peraltro, soggiornerò per queste due notti in quel di Cortona. Mi aspettano all’azienda sia Marilena, responsabile del ricevimento, che Claudia dell’ufficio stampa. Dopo i saluti e dopo avermi mostrato il mio appartamento, immerso in uno splendido giardino, con vista sui vigneti e su Cortona, mi portano in giro nell’azienda per farmi vedere sia la cantina che tutto il loro magnifico resort. Mentre camminiamo mi raccontano che la proprietà nasce nel 1964 e, dal sangiovese e trebbiano iniziali, e grazie al tipo di terreno, al clima e alla collaborazione con il prof. Attilio Scienza, introducono altre varietà, syrah in primis. La prima vendemmia di questa uva, che avviene nel 1991, si rivela un successo e, in seguito viene impiantato anche viogner. Comincia a nascere una Cotes du Rhone nel sud est della Toscana. Attualmente la proprietà, che conta 100 ettari di cui 37 vitati appartiene alla famiglia Calabresi e hanno come enologo il giovane e talentuoso Filippo

Calabresi, figlio dei proprietari. Ci accomodiamo nella elegante sala degustazioni, dove Marilena mi fa iniziare la degustazione. Si inizia con il Fontarca 2015, viogner in purezza che fa un passaggio di 18 mesi in legno. Giallo paglierino intenso, poco scorrevole nel bicchiere, molto intenso ed elegante al naso con note di frutta matura, camomilla e the, con una grande mineralità che rispecchia fedelmente il terreno di questa zona. In bocca si sente la struttura, è morbido, bella acidità e piacevole sapidità. Equilibrato e finale lungo. Si passa poi al primo vino rosso, il Borgo Syrah, un syrah 100 % fatto con uve provenienti dai vigneti più giovani. Non fa passaggi in legno. Rosso rubino intenso, poco scorrevole, frutti rossi freschi al naso, leggera balsamici e mineralità. In bocca è di corpo, sufficientemente rotondo, caldo. Nel centro bocca si fa sentire una acidità fresca, buona sapidità e tannicità. È un vino sufficientemente equilibrato, con buoni margini per evolvere, con buona persistenza.

Successivamente si passa al vino “Il Bosco” 2013, anch’ esso syrah in purezza ottenuto dalle migliori uve provenienti da vigneti messi a dimora nel ‘91-’93-’95. I vini, dati da uve provenienti da una attenta selezione manuale ,vengono invecchiati separatamente per 18 mesi in barrique prima dell’assemblaggio. Rosso rubino intenso con una unghia granata, sufficientemente denso nel bicchiere. Molto intenso ed elegante, al naso esprime tutta la sua complessità. Frutti neri maturi, mora e mirtilli, note minerali, talco, bella speziatura e leggera nota terrosa, seguita da piacevoli sentori di cacao e caffè. In bocca bella struttura, caldo e rotondo. Nel centro bocca si sente la sua freschezza e la sua buona tannicità. Finale molto persistente. L’azienda produce anche altre etichette, tra cui il Migliara, singolo cru nella parte più alta dei vigneti. La mia prima giornata di visite volge al termine, mentre domani inizierò andando a visitare l’azienda La Braccesca. L’indomani mattina ad il Sommelier | n. 1 - 2018

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accogliermi trovo Elisa, ed è lei che mi mostra i vigneti e l’azienda, che fa parte delle tenute Antinori dal 1990. Si nota subito la grandezza dell’azienda, pulizia e ordine. I vigneti attorno di syrah, sangiovese e viogner sono perfetti con Cortona in lontananza che fa da cornice. La strada per arrivare è confine tra Toscana e Umbria. Con professionalità Elisa mi mostra la barriccaia poi si procede con la degustazione, in una splendida sala con vista sui vigneti di syrah, con il

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quale si produce Achelo e Bramasole. L’Achelo 2015 è di un rosso rubino intenso, poco denso e si apre al naso con note di prugna e mora, buona mineralità, sentori di pepe nero e un accenno di tabacco. In bocca è di corpo, caldo, sufficientemente rotondo, con una belle acidità e una sapidità che rendono la beva più appagante. Il Bramasole 2012, anch’esso syrah 100% fa circa 18 mesi in barrique. Rosso granato carico, denso nel bicchiere, al naso molto intenso ed elegante, con sentori di marmellata di prugne, pepe nero, chiodi di garofano, vaniglia, caffé e tabacco. Strutturato in bocca, caldo e morbido, bella freschezza e giustamente tannico. Vino equilibrato e lunga persistenza. Alla fine, vista l’atmosfera creatasi,Elisa mi fa assaggiare anche il Sabazio, rosso di Montepulciano e, successivamente il nobile. Purtroppo ho un nemico, cioe’ il tempo a disposizione. Saluto e volo a Cortona all’ azienda Baracchi, in loc. Cegliolo, dove è il figlio Benedetto che mi accoglie. Due parole e subito in vigna, per

mostrarmi con passione viti e potatura. Poco dopo arriva il padre, Riccardo che, con eleganza, mi racconta un po’ di storia dell’azienda: 30 ettari di vigneto situati nei 4 angoli di Cortona, ognuna con specifiche varietà, tra syrah, merlot, pinot noir sangiovese e trebbiano. Sono proprietari anche del resort Il Falconiere e parlando, ci avviciniamo alla “sciampagneria”, dove Baracchi produce metodo classico sia con sangiovese in purezza ,che con trebbiano, con soste di 36 mesi sui lieviti. Ci dirigiamo poi nella sala degustazioni dove conosco la moglie, chef, sommelier, che subito prende una sciabola per aprire lo spumante, perché sembra che lì si apra solo in quel modo, e indovinate chi ha sciabolato? Nel bicchiere ho uno spumante brut rosé millesimato 2014 di tonalità rosa cerasuolo chiaro, con un perlage fine e persistente. Al naso è molto intenso ed elegante con note di lampone, melograno, gran mineralità, e lievito. Buon corpo in bocca, giusta morbidezza, freschezza e chiude con un finale lungo e sapido. Degustiamo anche altri vini, in una atmosfera conviviale e gradevole. Tra i vini c’è l’Ardito 2012,blended syrah e cabernet, 20 mesi in barrique più altro affinamento in bottiglia .Rosso rubino molto intenso, poco denso nel bicchiere, al naso frutta rossa sotto spirito, balsamicità e vaniglia, caffé e liquirizia. In bocca buona alcolicità, strutturato e rotondo con acidità vestita e giusta tannicità. Note di liquirizia persistenti sul finale. Saluto tutta la famiglia e mi dirigo in loc. Chianacce alla azienda Il Fitto, dove mi aspetta la padrona di casa Edda Billi. Evidentemente a Cortona la gentilezza e la cordialità sono di


casa, perché vengo accolto da Edda e da suo marito in maniera splendida; poi la classica visita alla azienda: 15 ettari di vigneto destinati a syrah, sangiovese, trebbiano. Cantina pulita, ordinata, bella barriccaia, dove si vede chiaramente la passione per quello che si fa. Massima cura nel lavoro in vigna e si cura la sostenibilità ambientale. Sono invitato a rimanere per la cena, nel loro agriturismo, dove oltre al vino assaggerò l’olio e gli affettati di loro produzione. Assaggio il syrah 2015, un giovanotto, rosso rubino intenso, poco scorrevole,intenso e sufficientemente elegante al naso. Sentori di ciliegia, mineralità, spezie e una nota di vaniglia non invadente la fanno da padrone. In bocca si rivela un vino sufficientemente equilibrato con buona freschezza e un tannino leggermente giovane, finale persistente con belle note balsamiche. Poi, durante la cena assaggiamo il sangiovese (80% sangiovese e 20% merlot) 2015. Rosso rubino chiaro, poco scorrevole. Al naso ciliegia, fragola, lampone, stupende note di sottobosco, mirto e alloro, leggero profumo di terriccio, talco. Vino con una buona alcolicità, di corpo e abbastanza rotondo. Fresco, con tannini non invadenti. Splendido sulle pappardelle alla lepre cucinate da Edda. Finiamo con il Vin Santo che con tutta la sua tipicità mi lascia un bel sapore in bocca per tutta la serata. Anche il secondo giorno a Cortona è terminato. Domani mattina ho appuntamento all’azienda Leuta in loc. Pietraia. Qui mi accoglie Jennifer, la responsabile vendite, che, con il suo simpatico accento americano, mi fa visitare la barriccaia e il locale degustazione. Purtroppo il titolare Denis Zeni è fuori per lavoro, ma la responsabile

mi spiega che Zeni si è innamorato della Toscana e ha acquistato nel 2004 un podere di 22 ettari. Oggi 11 ettari sono adibiti a syrah, sangiovese, cabernet franc e merlot. Passiamo poi subito agli assaggi dei vari vini, tra cui: syrah 2015: rosso rubino intenso, buona presenza di estratto, marasca, eucalipto, pepe al naso. In bocca è di corpo, caldo, abbastanza rotondo. Nel centro bocca si fa sentire una acidità fresca, bella sapidità e un tannino presente, ma

mai troppo invadente. Finale persistente. Adesso è il momento di assaggiare il cabernet franc 2014, che, si dice in giro, sia il preferito dal titolare; rosso rubino intenso con leggera unghia granata, poco denso nel bicchiere. Al naso è molto intenso, fine, con un frutto rosso leggermente maturo, erba tagliata, foglia di peperone, note balsamiche e di sottobosco. In bocca è di corpo, molto caldo, rotondo. La freschezza e la sapidità equilibrano la beva è il tannino si fa

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strada senza esagerare, finale lungo con persistenti e gradevoli note vegetali. Altri vini prodotti da Leuta sono il rosso Tau igt toscana, Solitario sangiovese doc Cortona, 1,618 merlot doc Cortona, Nautilus igt toscana e vin santo occhio di pernice doc Cortona. Saluto, salgo in auto e guido fino da Baldetti. Appena entro dal cancello mi colpisce subito l’ordine, la pulizia, gli spazi ampi e l’eleganza. Mi viene incontro il proprietario, Alfonso Baldetti, enologo, che insieme ai figli porta avanti questa azienda con 15 ettari vitati, dove coltiva sangiovese, syrah, grechetto, chardonnay. Siamo a circa 300 mt slm con suoli ricchi di arenite, con l’Appennino da una parte che ripara dai venti forti e dall’altra c’è la vicinanza con il lago Trasimeno. Alfonso mi porta in cantina, e lì, ordine e pulizia estrema. Macchinari nuovi e tecnologici riempiono la cantina, e scopro che Baldetti, oltre a produrre vino si occupa di prodotti

e tecnologie per il settore enologico. Rimango a pranzo qua, dove assaggeremo i vini. Alfonso mi accompagna nella splendida sala pranzo-degustazione. Si comincia come aperitivo con il metodo classico brut da lui prodotto che sta da 24 a 36 mesi sui lieviti fatto con grechetto e chardonnay, che subito mostra la sua brillantezza nel bicchiere. Colore giallo paglierino intenso, ha un perlage fine e persistente, che ci accompagna in tutte le nostre chiacchiere, molto intenso e fine al naso, si apre con profumi di crosta di pane e lievito, miele, agrumi, accompagnati da grande mineralità. Di corpo in bocca con una piacevole avvolgenza con le bollicine presenti ma per nulla invadenti. L’ottima freschezza e la leggera sapidità incitano la beva. Note agrumate persistenti sul finale. Mi fanno assaggiare poi il Marius, sangiovese 90% (colo cemento) + merlot (barrique) e il Crano 2013, syrah 100% .

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Food & Wine Management L’Enogastronomia rappresenta uno dei settori economici di grande sviluppo grazie al connubio vincente tra le ricchezze ambientali e turistiche del nostro Paese e la varietà della tradizione enogastronomica che da sempre contraddistingue le nostre regioni. Il Master Post Laurea Food & Wine Management si pone l’obiettivo di formare nuovi profili professionali di tecnici e manager del food con una conoscenza approfondita del settore e dei processi dell’industria alimentare. Sbocchi professionali: ruoli strategici nel settore enogastronomico quali: • aziende vitivinicole • Aziende appartenenti al settore alimentare e alla GDO • PMI che operano nel settore enogastronomico 96

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Quest’ultimo,si manifesta con un rosso rubino carico con una unghia granata, sufficientemente denso nel bicchiere. Molto intenso ed elegante, rivela al naso tutta la sua complessità: mora, mirtillo, viole, eucalipto, spezie, polvere di caffé, cacao. In bocca mostra la sua struttura, caldo e bella morbidezza. Grande freschezza in bocca e giustamente tannico. Persistente con un finale che ricorda il cacao. Oltre a questi vini, Baldetti produce il Chagrè igt bianco, il Piet Rosè igt rosato e il vin santo che mi viene fatto assaggiare alla fine, ricco, oltre che di tradizione, anche di uno sguardo al futuro. Purtroppo però le ore passano ed è arrivato il momento di ripartire verso casa. Questi tre giorni a Cortona sono stati intensi, frenetici, ma estremamente piacevoli. In questo splendido angolo di Toscana ho incontrato aziende speciali e persone di vino uniche, e ricorderò questo viaggio sempre nel mio cuore, con orgoglio.

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di Davide Amadei

Il buono per il bene: grandi chef insieme per beneficenza

Con il significativo titolo “e le stelle non stanno a guardare” alcuni grandi chef si sono ritrovati insieme per una cena a tante mani allo scopo di raccogliere fondi per alleviare le conseguenze dell’alluvione che ha colpito Livorno il 10 settembre 2017.

L

a serata è stata ideata dalla Pastry Chef Loretta Fanella, livornese d’adozione, Sommelier Onorario FISAR, amica e partner da sempre della Delegazione di Livorno e di MareDiVino, la manifestazione, giunta all’ottava edizione, dedicata ai vini della Provincia di Livorno e Costa degli Etruschi,

in cui la cena si è inserita come evento di apertura. E proprio la FISAR di Livorno ha coadiuvato Loretta nell’organizzazione di ogni dettaglio, con il Consigliere Nazionale Fabio Baroncini, il Consigliere di Delegazione Giovanni Raimondi ed il Sommelier Simone Nannipieri, coordinatore di MareDiVino.

Dei vari chef, Igles Corelli era senz’altro il più famoso, per la sua storia personale e per quanto negli anni ha inciso sull’evoluzione della cucina italiana di qualità e di eccellenza. Nel corso della serata, Riccardo Cosci, chef “di casa” dell’ospitante Biosté della famiglia Vitarelli, ha proposto un “aperitivo girobraccio”,

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Focaccia rovesciata di Massimo Giovannini

con tortini e stuzzichini tutti realizzati a base di farine e prodotti biologici della Tenuta Bellavista Insuese di Guasticce; Massimo Giovannini, chef di Pizzeria Apogeo di Marina di Pietrasanta, ha creato una “focaccia rovesciata” (il cavolo e la zucca, focaccia al cavolo nero con farciatura mista di cavolfiore, cavolo broccolo e zucca, in crema e consistenza); Igles Corelli (Ristorante Atman, Lamporecchio) ha proposto “orto rock”, omaggio ad una natura viva e vitale, che lo chef ha presentato sotto forma di sfera preziosa, in cui la croccantezza del guscio esplode in un nettare liquido e dove il piacere è tutto a base di verdure; Luca Landi (Ristorante Lunasia, Viareggio) ha proposto

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Orto Rock di Igles Corelli

“calamaro arrostito”, con crema di zucca, olive, zenzero e latte di cocco; Peter Brunel (Borgo San Jacopo, Firenze) ha ideato un “risotto del cavolo”, Acquerello all’acqua di cavolo cappuccio, uova di trota e tartufo nero; Paolo Fiaschi e Fabrizio Marino (Papaveri e Papere di San Miniato) hanno offerto “azzurro”, sgombro della Costa Tirrenica, cereali integrali, verdure in agrodolce; Loretta Fanella, confermandosi regina dei dessert al piatto, ha emozionato con “l’inverno che gira”, una successione in cerchio di cremoso di nocciola, panna cotta alle pere, panna cotta alla liquirizia, budino al cioccolato e sorbetto alle pere. In abbinamento, in sequenza, i seguenti vini, offerti dalle relative

aziende: lo spumante Brut dei Marchesi Antinori; Lariserva, Lambrusco di Sorbara spumante di Paltrinieri; il Pomino Bianco dei Marchesi dei Frescobaldi; il Derthona, Timorasso dei Colli Tortonesi, di Valter Massa; il Costa di Giulia di Michele Satta; ed infine il Sondréte 2006, passito bianco di Toscana i.g.t. dell’azienda La Regola di Riparbella. Ha caratterizzato la serata l’atmosfera di solidarietà e condivisione tra i commensali e soprattutto tra gli chef: è stato davvero particolare vedere questi ultimi insieme al tavolo a mangiare le proprie creazioni, dopo averle preparate, mentre normalmente nei propri ristoranti se ne stanno chiusi in cucina a lavorare.


Risotto del Cavolo di Peter Brunel

L’inverno che gira di Loretta Fanella

Il calamaro di Luca Landi

Azzurro di Paolo Fiaschi e Fabrizio Marino

Infine, le produttrici dell’Associazione Nazionale Donne del Vino della Toscana hanno offerto vari vini per creare confezioni da due bottiglie d’eccellenza da vendere (presso Alle Vettovaglie, al mercato centrale coperto di Livorno) per

ricavare ulteriori somme da aggiungere all’incasso della serata. Quest’ultimo è stato interamente devoluto alla Misericordia di Montenero per la riparazione delle ambulanze gravemente danneggiate della alluvione.

Gusto e arte della cucina, cultura del vino e piacere di condividere, al servizio della solidarietà: grazie a Loretta Fanella, a FISAR Livorno, a MareDiVino, le stelle hanno brillato ed illuminato Livorno, che ne aveva tanto bisogno.

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In FAMIGLIA - Le notizie dalle Delegazioni Notizia inviata da Carmen Bagnasco della Delegazione FISAR di Alessandria

CONSEGNA ATTESTATI

I

l 18 ottobre presso il Relais Villa Pomela nella splendida cornice delle “Colline del Gavi DOCG”

si è svolto un apericena con la consegna, da parte del Direttore di Corso degli attestati di qualifica e del tanto atteso tastevin. Il menù con piatti del territorio è stato accompagnato dai vini dell’Azienda Agricola “Cascina Perpetua” di Novi Ligure. La nostra Delegata si è complimentata con i neo Sommelier augurando loro un buon inizio dell’attività all’interno della Delegazione. I “novizi”: Bobja Altin, Caldirola Paolo, Colombo Emilio, Cortese Alberto, Cortese Matilde, De

Mattei Pietro, Gatti Massimo, Pagone Andrea, Repetto Sara, Schiavino Pierluigi, Soldani Giulia, Scutari Valentina, Tosi Gabriele, Traverso Chiara e Ventura Daniele. I tre livelli del corso si sono svolti presso il Ristorante “Il Carrettino” di Rivalta Scrivia. Un particolare ringraziamento va al personale ed al proprietario per l’accoglienza e la gentilezza riservataci. Anche questa volta abbiamo aiutato volentieri con Ermanno e Pia per rendere presente la nostra Federazione.

Notizia inviata da Massimiliana Quartesan della Delegazione FISAR SienaValdelsa

UN ANNO “…ALLA GRANDE…”

L

a delegazione lodigiana ha festeggiato il 2016 e il 2017 con molti risultati positivi. Il consiglio direttivo ha avviato alcuni corsi per sommelier e ha organizzato diversi eventi. Il gruppo lodigiano è stato supportato dalla delegazione di Pavia e ha collaborato con quella milanese nella sciabolata

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con Lorena Lancia (sommelier dell’anno 2016) e Laura Sandoli. La delegazione ha organizzato la visita in Val d’Aosta alla cantina Pianta Grossa, in Trentino da Stefano Bailoni alla Cantina Bionatura, nell’Oltrepo alla cantina Monsupello, a San Colombano al Lambro al Nettare dei Santi, ha predisposto una giornata sull’olio d’oliva con l’Azienda Agricola Ventura. In questo periodo sono stati organizzati due corsi di primo livello e due di terzo. Questi i corsisti e i diplomati: Primo Livello 2016: Benelli Carlo, Recchia Stefania, Acconci Daniele, Bignamini Claudio, Pievo Giuseppe, Giardini Luca, Gulli Giuseppe, Canevara Francesco, Sanfilippo Federica, Ventura Simone Salvatore, Ghizzardi

Gloria, Scozzola Giuseppe, Bozzini Giuseppe, Guglieri Pietro, Pasetti Erich. Primo Livello 2017: Bertolli Alberto, Bonelli Lorena, Capelli Fausto, Carkalo Ozren, Donelli Roberto, Garlaschelli Giorgio, Lorito Alessandro, Ferrandi Marco, Nava Veronica, Quartieri Matteo, Rossetto Andrea, Rusconi Giorgia, Sigismondi Marco, Valenti Vittoria, Corsari Roberto. Diplomati Sommelier 2016: Benelli Giovanna, Boscolo Zelda, Bosio Alberto, Eterno Simone, Eterno Fausto, Martinotti Riccardo, Milani Elena, Roberto Chiara. Diplomati Sommelier 2017: Crotti Daniela, Devecchi Monica, Pizzocheri Andrea, Rossi Alessia, Zireddu Salvatore. Attestati terzo livello 2016 e 2017: Bertoldi Biagio,Carlin Marco e De Savino Fabiana.


Notizia inviata da Germano Febo della Delegazione FISAR L’Aquila

SOLIDARIETÀ, RICONOSCIMENTI E CONSEGNA ATTESTATI 2 LIVELLO

È

stata di nuovo un successo la cena di Natale dei Sommelier Fisar. Durante la conviviale, il delegato Marcello Carrabino e il responsabile dei servizi Marco D’Alessandro hanno conferito le spille d’oro e d’argento rispettivamente ai Sommelier che hanno superato I 50 e I 25 servizi svolti. Sono stati consegnati anche gli attestati di II livello a quanti hanno frequentato recentemente il corso per aspiranti Sommelier a Chieti.

“È stato un 2017 spumeggiante – dichiara entusiasta Angela Palombo vice delegata Fisar – siamo molto orgogliosi dei nuovi corsisti, sia di quelli individuati a Chieti che quelli promossi a Teramo. Grande soddisfazione inoltre per l’alacre lavoro svolto in questi 12 mesi e per i fondi raccolti e devoluti al reparto di pediatria dell’ospedale di Avezzano. Tutti segni evidenti di un ottimo lavoro di squadra che non può che ben disporci

ad affrontare il 2018, anno in cui inaugureremo anche una nuova delegazione nella bella Teramo”.

Notizia inviata da Laura Grossi della Delegazione FISAR MILANO

BUON COMPLEANNO FISAR MILANO!

U

no chef stellato, un menù d’eccezione, una location esclusiva: lo scorso anno la Cena di Natale di FISAR Milano è stata la più importante di sempre. Perché così speciale? Perché ha rappresentato l’occasione per celebrare il Decennale della Delegazione. 10 anni fa, il 16 Novembre 2007, nasceva infatti la Delegazione FISAR Milano. Allora, contava poco più di una ventina di associati, mentre oggi il numero è notevolmente aumentato raggiungendo quota 650. In questo decennio FISAR Milano è, infatti, cresciuta in maniera significativa, anche grazie al contributo dei tanti Associati. Ed è proprio per festeggiare i primi 10 anni di vita di FISAR Milano – e per ringraziare tutti coloro che, con impegno,

passione ed entusiasmo, hanno contribuito al suo sviluppo e che rappresentano il cuore della vita associativa – che la Delegazione ha deciso di realizzare un evento in un contesto prestigioso nel cuore di Milano, coinvolgendo una brigata di Sommelier in servizio e uno Chef Stellato tra i più celebri in Italia: Claudio Sadler, con la sua Haute Cuisine creativa, accurata e raffinata, che si basa sulle tradizioni della classica cucina italiana regionale, di volta in volta reinventata secondo la propria personalità e l’amore per l’innovazione. Inoltre, per onorare al meglio l’Anniversario a cifra tonda, la cena – accompagnata da Champagne a tutto pasto – è stata servita nel Salone degli Affreschi dei rinascimentali Chiostri

di San Barnaba, che hanno fatto anche da affascinante cornice ai festeggiamenti che sono seguiti con gli oltre 180 partecipanti presenti. Un anno importante per la Delegazione di Milano e per i tanti progetti intrapresi, sempre con il preciso intento di dare forma concreta allo scopo per il quale FISAR esiste: diffondere e valorizzare la cultura enologica.

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Notizia inviata da Laura Grossi della Delegazione FISAR MILANO

FISAR MILANO IN “FERMENTO”

U

na serata speciale dove i protagonisti sono stati il Vino e i suoi Produttori per celebrare la straordinaria biodiversità del nostro Paese. La Prima Edizione di FERMENTO (organizzata da FISAR Milano e Milanovino.it) si è tenuta lo scorso Lunedì 23 Ottobre nella prestigiosa location dei Chiostri di San Barnaba a Milano offrendo la possibilità di degustare una selezione di vini e di apprenderne

origini, filosofia e curiosità. Un evento che ha arricchito l’Ottobrata Milanese con Masterclass, workshop e 101 vini da degustare fianco a fianco a produttori e a qualificati Sommelier, in un percorso sensoriale dal format innovativo alla scoperta di piccole e autentiche realtà vitivinicole. Format innovativo perché i partecipanti hanno avuto la possibilità di interfacciarsi direttamente con i produttori, costruendo con loro un dialogo diretto in un’atmosfera di festa, di scambio e confronto. Si è, infatti, deciso di rinunciare alla presenza dei consueti banchi d’assaggio, per incoraggiare i presenti ad avvicinarsi alla degustazione in modo libero e facilmente accessibile. Tra i produttori presenti

all’evento spiccano i lombardi della cantina Chiara Ziliani, i veneti di Tenuta Amadio di Asolo e Manara, i marchigiani de La Marca di San Michele e gli abruzzesi di Tenuta I Fauri. Non è mancata una rappresentanza delle Langhe con Renato Corino e friulana grazie a Petrucco, nonché un corner dedicato ai vini dolci accompagnati dalle prelibatezze della Cioccolateria Artigianale Gay-Odin. Nel corso della serata ha avuto luogo anche una masterclass verticale di Pinot Nero e un workshop di introduzione alla degustazione – condotto dai Sommelier FISAR Milano e dedicato a neofiti e ad appassionati – che ha offerto loro una panoramica sulle basi teoriche e sulle principali tecniche di degustazione.

Notizia inviata da Tiziano Taccola della Delegazione FISAR di Pisa e Litorale

LA FISAR PISANA PREMIA I MIGLIORI VINI DEL TERRITORIO

S

i è tenuta, ai Giardini di Colombres, la cena di gala organizzata dalla FISAR di Pisa e Litorale, nel corso della quale sono state consegnate le targhe ai produttori dei vini vincitori

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della diciottesima edizione de: “I Pisani più Schietti”. I tre sommeliers Antonio Malvaldi, Andrea D’Addario e Vittorio Faluomi hanno abbinato i vini vincitori al ricco menù terragno proposto dallo chef Luca Colombini, giovane autodidatta che si ispira ai prodotti del proprio orto. Al Flan di crema di sedano rapa, zucca e parmigiano è stato abbinato il Tre Sassi di Fontemorsi, ai Paccheri con salsa di maiale con scaglie di liquirizia il Cuore Perduto di Riccardi Toscanelli, ai Tortelli Mugellani il Sagrestano delle Palaie di Peccioli, al Brasato di Chianina il Chianti

980 di Villa Saletta e per finire con i dolci della tradizione il Vin Santo delle Colline Pisane. Il delegato Fabrizio Macchia, sottolineando, insieme a Davide Mustaro, Presidente di giuria, come negli anni le aziende abbiano progredito nella ricerca di una qualità sempre migliore, specialmente facendo passi da gigante nel vino bianco, ha ringraziato tutte le aziende che hanno partecipato, e, oltre alla responsabile dei sommelier Liana Benini, tutta la brigata di cucina con il rango di servizio. Ottimo il servizio vini.


Notizia inviata da Laura Grossi della Delegazione FISAR MILANO

I CRU DEL BARBARESCO

S

ulle dolci colline delle Langhe, non solo per ammirare lo spettacolo dell’autunno che colora le vigne, ma anche per poter conoscere il territorio e degustare alcuni dei migliori Cru del Barbaresco. Lo scorso Sabato 4 Novembre FISAR Milano ha organizzato una visita in tre cantine – Cantina Montaribaldi a Barbaresco, Cantina Paitini a Neive e Cantina Bera a Neviglie – alla scoperta di questi storici produttori dalla secolare tradizione, per degustare le loro selezioni di vini. Prodotto con uva Nebbiolo, il Barbaresco è uno dei grandi protagonisti dei vini piemontesi, appartenente alla nobile famiglia dei vini rossi delle Langhe: nel 1966 fu una delle prime DOC riconosciute e nel 1980 ottenne a gran merito l’inserimento

nella DOCG. La produzione del Barbaresco è svolta in tre comuni situati a nord del comune di Barolo, alla destra del fiume Tanaro: Barbaresco – da cui prende nome il vino – Neive, Treiso e parte di una frazione di Alba (San Rocco Seno d’Elvio). Le colline esposte principalmente a sud ovest – un tempo popolate da boschi di querce – sono spesso vallette a forma di anfiteatro che allargandosi e allungandosi formano microclimi diversi a seconda di come circolano le correnti di aria. La zona è caratterizzata dalle cosiddette “Terre bianche”: i terreni sono, infatti, principalmente calcarei, argillosi e ricchi di sali minerali. Nel corso della giornata è stato possibile degustare ben 4 Cru: Barbaresco DOCG Sorì Montaribaldi 2013 della Cantina

Montaribaldi da vigne del 1966, Barbaresco DOCG Sorì Paitin 2013 della Cantina Paitin, Barbaresco DOCG Riserva “Basarin” e il Barbaresco DOCG Riserva Rabaja entrambi della Cantina Bera. La giornata è stata arricchita da un pranzo con tipica cucina langarola dove ogni portata è stata abbinata a un calice del territorio del Barbaresco.

Notizia inviata da Germano Febo della Delegazione FISAR L’Aquila

CONSEGNA ATTESTATI CORSO I LIVELLO

S

i è svolta nell’enoteca “V’incanto” di Carsoli, la consegna degli attestati di primo livello. La serata si è aperta con la degustazione del Nebbiolo guidata dal docente Fisar Francesco Radiciotti. Un viaggio alla scoperta di quanto diversi ed interessanti possano essere i vini prodotti dallo stesso vitigno che arrivano da luoghi differenti. I vini assaggiati sono stati: Vallée d’Aoste Doc 2014 Donnas, Caves de Donnas(Valle d’Aosta), Boca Doc 2011, Vallana (Piemonte), Valtellina Superiore

Docg 2013 Grumello, Rainoldi Aldo (Lombardia), Barolo Docg 2013 Serralunga, Principiano Ferdinando (Piemonte). La degustazione è stata anche accompagnata da abbinamenti gastronomici suggeriti dallo Chef dell’enoteca Luigi Paone. Al termine della degustazione, gli aspiranti Sommelier hanno ricevuto l’attestato dalle mani della vice delegata Angela Palombo, dal segretario Giuseppe Caudai e dal consigliere Marco D’Alessandro. Un grazie particolare va al sommelier di

servizio e a Daniele Berardini titolare del locale nonché Sommelier Fisar per la consueta ospitalità.

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Notizia inviata da Lorenzo Mariotti della Delegazione FISAR di Pisa e Litorale

CENA STELLATA CON LUCIANO ZAZZERI

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omenica 22 ottobre 2017, in seno alla manifestazione Pisa Food and Wine Festival tenutasi alla stazione Leopolda di Pisa, lo chef Luciano Zazzeri ha condotto la Cena Stellata “La tradizione”. Lo chef del ristorante “La Pineta” di Marina di Bibbona, che oltre ad avere una stella michelin quest’anno ha ricevuto il

premio “Cucina di Pesce dell’Anno” dalla guida “I Ristoranti d’Italia” de L’Espresso, ha proposto un menù semplice ma molto gustoso utilizzando esclusivamente prodotti del territorio della provincia di Pisa. Durante la dimostrazione della preparazione dei piatti, oltre a spiegare con dovizia di particolari le tecniche culinarie adottate, ha raccontato aneddoti derivanti dalla sua lunga esperienza dietro ai fornelli. I vini abbinati ai piatti erano anch’essi della provincia di Pisa e sono stati selezionati dai sommelier della Delegazione Storica di Pisa e Litorale. La cena, introdotta da una palamita marinata con crema di piselli e ginger marinato a cui si

accompagnava l’Erede Millesimato Brut 2013 dell’Azienda Cupelli di San Miniato, è continuata con degli straccetti di pasta fresca del pastificio Caponi alle triglie che ben si sposavano con lo Steccaia IGT Bianco Costa Toscana 2016 del Podere La Regola di Riparbella. Il millefoglie con crema pasticcera e caramello a cui era abbinato perfettamente il Dolce Peccato IGT Toscana dell’Azienda Torre a Cenaia di Crespina chiudeva una cena apprezzata da tutti i commensali. Il servizio dei vini è stato svolto dai sommelier Giovanna Caporali, Cristina Messina, Stefania Ghelardi, Francesca Montanaro, Massimo Donati e Lorenzo Mariotti.

Notizia inviata da Laura Grossi della Delegazione FISAR MILANO

LE ESPRESSIONI DEL NEBBIOLO PIEMONTESE

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l suo nome sembra derivare da “nebbia”, forse a causa della maturazione molto tardiva delle uve, che porta spesso a vendemmiare nel periodo delle nebbie autunnali oppure per definire l’aspetto dell’acino, scuro, ma appannato e “annebbiato” da abbondante pruina: è il Nebbiolo. Una passeggiata virtuale tra le interpretazioni vinicole più significative e rappresentative del

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Nebbiolo piemontese è quella che ha avuto luogo lo scorso Venerdì 27 Ottobre 2017, nel corso di una serata organizzata da FISAR Milano con 6 vini in degustazione che racchiudono le diverse anime del vitigno Nebbiolo: da Carema a Gattinara e Ghemme, da Lessona a Barolo. L’evento ha riproposto il concept della Degustazione realizzata ad aprile nel corso della manifestazione Vinitaly 2017, ed è stata introdotta da Luca Lanza di FISAR Cuneo e condotta da Lorena Lancia di FISAR Milano, eletta Miglior Sommelier d’Italia 2016. Il Nebbiolo è considerato il più antico vitigno autoctono a bacca nera del Piemonte, tra i più nobili e preziosi d’Italia, adatto per vini da invecchiamento di altissima qualità. Conosciuto

anche come la “regina delle uve nere”, ha bisogno di cure attente e laboriose dal quale si ricavano vini forti e potenti, molto ricchi di alcol che spesso esprimono al meglio le loro caratteristiche in seguito a un lento invecchiamento. Dopo un’introduzione del Territorio e del Vitigno, ha avuto inizio la Degustazione dei vini a base Nebbiolo: Carema Classico DOC 2014 (Produttori di Carema), Gattinara DOCG 2010 (Anzivino), Lessona Tanzo DOC 2010 (Pietro Cassina), Collis Breclemae Ghemme DOCG 2010 (Antichi Vigneti di Cantalupo), Barolo Garretti DOCG 2010 (La Spinetta) e, per chiudere in bellezza, un grande e intramontabile classico delle Langhe, il Barolo 2013 di Bartolo Mascarello.


Ai Sigg. Soci Loro Indirizzi

Prot. Nr. 36

Asciano, 02 febbraio 2017

Oggetto: Convocazione in Assemblea del 21 aprile 2018 I Signori Soci sono invitati a partecipare alla Assemblea Nazionale ordinaria che avrà luogo alle ore 3:45 del giorno 20 aprile 2018 presso Hotel San Marco – via Longhena, 42 – 37138 Verona ed occorrendo in seconda convocazione alle ore 15:00 del 21 aprile 2018 nel medesimo luogo per discutere e deliberare il seguente: ORDINE DEL GIORNO

1. 2. 3. 4. 5.

Saluto e relazione del Presidente Nazionale. Nomina del Presidente, del Segretario dell’Assemblea e degli Scrutatori. Lettura del bilancio consuntivo e della relazione al 31 dicembre 2017. Lettura della relazione del Collegio dei Revisori. Approvazione della relazione e del bilancio consuntivo al 31 dicembre 2017 e delibere conseguenti. 6. Regolamenti dell'associazione. Eventuali delibere 7. Varie ed eventuali.

Cordiali saluti

Graziella Cescon Presidente nazionale Fisar

Riconoscimento della Personalità Giuridica con D.P.PI n. 1070/01 Sett.I del 09/05/2001 Sito istituzionale: www.fisar.org – Sito organo ufficiale della F.I.S.A.R.: www.ilsommelier.com

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