Eclettica 11

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INTRODUZIONE Ed eccoci con un nuovo numero ricco di sorprese! Finalmente, eccoci di nuovo online con tanti articoli interessanti! Grande ritorno in questo numero, la rubrica di Francesca Rossi, Le ali di Iside: l'argomento trattato è quello della bellezza nel mondo islamico. Chi non ha mai letto qualcosa di Oscar Wilde? Stefania Bernardo ce ne parlerà nella sua rubrica. Pizze&Mattoni di Grazia Maria Francese ci offre un ottimo consiglio di lettura, un saggio davvero molto interessante di Carl Gustay Jung, “Le sincronicità”. Valeria Vite ci parla della prima opera teatrale in lingua romanza, lo “Sponsus”. In Discover the cover, Paola Catozza confronta la cover originale di “Everneath” di Brodi Ashton con quella italiana. Non possono mancare i consigli di Mary Chioatto, che tratta diversi argomenti sulla stesura di un romanzo. L. Cassie ha scelto per la sua rubrica un romanzo che vi lascerà il segno, “Quando all'alba saremo vicini”. Cercate invece un bel new adult? Ecco per voi “Tentare di non amarti”, di cui ce ne parla Fabiana. Francesca Ghiribelli recensisce il seguito di Paranormalmente, “Caccia alle fate”. Voglia di un bel film tratto da un libro? Daniela Mionetto in Dalla carta alla pellicola vi parla di Carol. Giuliano Latini recensirà per voi La ragazza nella nebbia di Donato Carrisi. Laura C. Benedetti ci propone un'altra opera di Alexandre Dumas, La marchesa di Ganges, in cui l'autore ci parla della vicenda legata all'assassinio di Marie di Rossan. Per chi è amante del romanzo storico, parleremo con Linda Bertasi di questo e della sua ultima pubblicazione, Il silenzio del peccato.

Continuate a seguirci, prossimamente tante novità!

Giovanna Samanda Ricchiuti i


AVVENTURE DA PALCOSCENICO Lo “Sponsus”, la prima opera teatrale in lingua romanza A cura di Valeria Vite Lo Sponsus è il primo testo teatrale in lingua romanza. Siamo nell’XI secolo, la Francia si è aggiudicata il primato nella realizzazione di una letteratura romanza, vale a dire nella stesura di documenti in una lingua derivante dal latino (che è molto arcaica rispetto al francese moderno che tutti conosciamo). La scrittura è in questo periodo praticata soprattutto in ambienti religiosi e lo Sponsus è infatti un dramma liturgico limosino, avente per lo più lo scopo di coinvolgere i fedeli durante la messa che, essendo celebrata in latino, non era comprensibile per il pubblico. L’opera è lunga poco meno di un centinaio di versi, una quarantina dei quali sono costituiti da decasillabi romanzi. La vicenda messa in scena è la Parabola delle dieci vergini tratta dal Vangelo di San Matteo. Le fanciulle rappresentano l’universo dei credenti, all’interno del quale molti si dedicano solamente alla pratica esteriore della religione o compiono opere buone per mera vanità, come le vergini stolte che sprecano l’olio che è stato loro affidato durante uno sposalizio. Quando giunge lo sposo (che rappresenterebbe Cristo nel giorno del Giudizio), le vergini stolte hanno consumato tutto l’olio delle loro lampade e nessuno sarà in grado di rifornirle. Le sciagurate si ritrovano così escluse dal corteo dello sposo, come coloro che non sono accolti in Paradiso il giorno del Giudizio Universale, e vengono trascinate all’inferno da un gruppo di diavoli. Poco importa il significato religioso dell’opera per un’atea come la sottoscritta, è molto più interessanti soffermarsi sulle caratteristiche del testo, che lo rendono un gioiello della letteratura medioevale. La parabola gode di notevole successo nell’arte figurativa, infatti compare in affreschi catacombali del IV secolo e in alcune miniature di Evangeliari altomedievali sia occidentali sia bizantini, Nell’affresco delle chiesa di San Quirce di Pedret in Catalogna, di datazione tutt’oggi controversa, i personaggi sembrano avere una presenza scenica che evoca un’azione drammatica. Nel testo sono presenti gli elementi essenziali per considerarlo un’opera teatrale: sono presenti delle rubriche che indicano le battute dei diversi personaggi, inoltre troviamo delle primitive note riguardanti l’azione scenica. Il testo suggerisce infine una rappresentazione dell’inferno decisamente teatrale, con comparse travestite da demoni e qualche rudimentale artificio tecnico in grado di evocare l’inferno. L’azione scenica è indipendente dalla liturgia, pertanto potrebbe rappresentare l’inizio di quella migrazione che, a partire dal secolo successivo, porterà il teatro volgare fuori dalle chiese. Nel testo vengono alternate la lingua latina e il volgare; la prima ha una funzione lirico-narattiva, la seconda elegiaca. Il volgare è inoltre la lingua adottata dai primi personaggi profani del teatro religioso medioevale,

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appartenenti alla quotidianità e pertanto caratterizzati da vivido realismo: i mercanti, anzi, i mercatores. Nella parabola i mercanti compaiono solamente in un riferimento indiretto (le vergini stolte si sarebbero rivolte per comprare altro olio su consiglio delle vergini prudenti, se lo sposo non fosse giunto prima che potessero realizzare i loro piani), nello Sponsus invece tali figure diventano dei veri e propri personaggi che calcano la scena. E’ molto interessante ricostruire la storia linguistica degli inserti romanzi dell’opera. Un’ipotesi minoritaria ha ipotizzato un’origine normanna, mentre la maggioranza la localizza tra il sud-ovest del dominio d’oil e il nord-ovest di quello d’oc, tra Anjou, Poitou e Angoumois. Avalle ha invece individuato un testo pittavino nell’originale del dramma liturgico, poi trascritto da un copista proveniente dalla parte settentrionale dell’area limosina. Tale teoria spiegherebbe l’alternarsi di tratti fonetici settentrionali e meridionali. Si tratta di un’analisi linguistica ci consente di affermare che alla terra del Poitou spetta il merito di aver creato il primo testo letterario parzialmente gallo-romanzo non solo teatrale, ma anche orientato verso una prospettiva profana. Per concludere, facciamo ora un salto temporale di duecento anni, più precisamente nel 1264 quando, durante le celebrazioni del Corpus Domini, il sagrato venne ritenuto inadatto ad ospitare gli spettacoli religiosi, che pertanto vennero trasferiti in piazza. Per la prima volta gli attori non erano chierici ma degli esperti e sul palcoscenico comparvero botole, trabocchetti, gru, fumo per simulare le resurrezioni. Le scene più spettacolari erano le cadute nell’inferno, i voli degli angeli e le rappresentazioni degli antri infernali. Nel XIV secolo le rappresentazioni teatrali non furono più organizzate dalla Chiesa ma dalle corporazioni. FONTI: •

Maria Luisa Meneghetti, Le origini delle letterature medievali romanze, Editori Laterza

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DALLA CARTA ALLA PELLICOLA Carol

A cura di Daniela Mionetto A febbraio nell'aria si respirava profumo di Oscar. Il film di cui mi accingo a parlarvi ha ricevuto diverse nomination (tutte meritate secondo me): miglior attrice protagonista per Cate Blanchett; miglior attrice non protagonista a Rooney Mara; miglior sceneggiatura non originale; miglior colonna sonora; miglior fotografia e miglior costumi. Ma come sempre cominciamo parlando del libro.

LIBRO: Carol AUTORE: Patricia Highsmith EDITORE: Bompiani PAGINE: 284 Therese, diciannove anni, è un’apprendista scenografa che, per raggranellare qualche soldo, accetta un lavoro temporaneo in un grande magazzino durante il periodo natalizio. Il suo rapporto con Richard si trascina stancamente, senza alcuna passione, tra voglia di coinvolgimento e desiderio di fuga: anche il viaggio che hanno progettato, in Europa, ora la intimorisce, le incute un’apprensione e una paura che non sa spiegarsi. È soltanto il rifiuto di un futuro che sta diventando troppo incombente, oppure si tratta dell’ennesimo indizio che la sua relazione amorosa è ormai giunta alla fine? In una gelida mattina di dicembre, nel reparto giocattoli dove lavora, incontra una donna bellissima e sofisticata, in cerca di doni per la figlia. I grigi occhi della sconosciuta catturano Therese, la turbano e la soggiogano, e d’un tratto la giovane si ritrova proiettata in un mondo di cui non sospettava neppure l’esistenza. È l’amore, delicato e titubante, languido e diverso, disperato e segnato da crisi e recriminazioni, eppure sempre sconvolgente come la vicenda che le due donne si apprestano a vivere. Therese, la protagonista, è una giovane ragazza un po’ insicura, ma solo perché è all’inizio della sua vita e si sta ancora scoprendo pian piano. È anche molto riflessiva e grazie a questo il lettore può sapere ciò che accade nella sua testa, arrivando a conoscerla bene alla fine del libro. Apparentemente sprovveduta all’inizio, si tufferà a capofitto in una relazione, senza prendere in considerazione, nemmeno per un attimo, le difficoltà e le conseguenze alle quali andrà incontro cambiando la sua vita radicalmente. Carol è un personaggio carismatico, capace di affascinare con uno sguardo, ma è tormentata e soprattutto stanca di dividersi tra ciò che vuole essere, il suo vero modo di essere, e ciò che invece la società si aspetta da lei. Vive una vita di apparenze, che la logora dall’interno, e di cui si vuole liberare. Fa da scenario (evidente anche nel film) un’America bigotta, puritana, cattiva e spaventata dal diverso, basata su valori morali molto rigidi ai quali tutti devono attenersi. Il viaggio in macchina che Carol e Therese intraprendono rappresenta, per la prima, il percorso per essere finalmente sé stessa e vivere la vita che vuole in libertà; mentre per Therese è un viaggio di crescita, per scoprire chi è veramente e ciò che vuole. La delusione e la sofferenza che colpiranno la protagonista, la aiuteranno a diventare più forte e sicura delle sue azioni, portandola a prendere in mano la propria vita ed essere responsabile per le proprie decisioni. Un romanzo molto attuale, sebbene sia ambientato negli anni Cinquanta, tocca argomenti ancora molto sensibili ai giorni nostri e di cui si sta discutendo nell’ultimo periodo. Patricia Highsmith ha scritto una storia di un amore lesbico, sicuramente molto controversa per l’epoca. Dolce e delicata la sua scrittura, quanto

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incisiva e senza paura nel parlare di argomenti forse un po’ scomodi per quei tempi. In fondo, non dimentichiamo, che stiamo parlando di un periodo storico in cui non si poteva nemmeno pensare all’omosessualità, figuriamoci parlarne o addirittura esserlo. Un libro piacevole e veloce da leggere, che in meno di 300 pagine racconta una storia d’amore romantica e struggente, appassionata e significativa. Le cattiverie e i giudizi ai quali sono sottoposte Therese e Carol ci permettono un confronto con un’epoca in cui le cose dovrebbero essere state diverse da come sono oggi, ma invece guardandoci attorno non molto è cambiato purtroppo. Gli argomenti fondamentali di questo libro, e anche del film, lasciano un segno e fanno riflettere; ci ricordano che l’amore vero non ha sesso né età, che quando c’è amore tra due persone tutto il resto non conta nulla. Molto interessante, nella mia edizione, è la postfazione scritta dall’autrice in cui racconta come le è venuta l’idea di scrivere questo romanzo; spiega un po’ come era la situazione omosessuale dell’epoca e la gratitudine ricevuta da innumerevoli lettori, che le scrivevano lettere per ringraziarla di aver finalmente scritto una storia di un amore lesbico a lieto fine.

FILM: Carol REGISTA: Todd Haynes ATTORI: Cate Blanchett, Rooney Mara, Kyle Chandler, Jake Lacy, Sarah Paulson DURATA: 118 minuti Todd Haynes, regista e sceneggiatore statunitense, dirige la bellissima Cate Blanchett in questo melodramma socio-politico, dove appare sublime come sempre e protagonista indiscussa di tutta la pellicola. Per interpretare Carol serviva una donna elegante, aggraziata, sensuale nelle movenze e nel portamento, forte e incisiva, e la Blanchett incarna la protagonista alla perfezione e con naturalezza. Una donna tutta d’un pezzo, coraggiosa, che rinuncia a tutto, anche alla propria figlia, per vivere la vita che vuole ed essere coerente con sé stessa. Rooney Mara non la conosco molto come attrice, ma anche il suo personaggio è interpretato molto bene. La sua Therese è un po’ più sicura e indipendente rispetto al libro, ma la sua crescita e la presa di coscienza di sé, lungo tutto il film, traspaiono soprattutto dalla sua espressività e dal suo atteggiamento. Alla fine si presenta di fronte a Carol come una donna e non più come una ragazzina; questo si può notare dalla sua postura, dallo sguardo e dal modo di porsi. Sarah Paulson interpreta l’amica fidata, quella su cui Carol può sempre contare e appoggiarsi nel momento del bisogno. Abby rappresenta la parete razionale del film, mentre Therese e Carol si lasciano trasportare dalla passione e dai sentimenti. Gli uomini, in questa pellicola, sono molto marginali, quasi trascurabili e inesistenti, pronti solo a complicare le cose. È un film tutto al femminile, una storia di donne indipendenti che non vogliono conformarsi a ciò che pretende la società da loro. Insieme ai costumi e alla scenografia, anche la fotografia appare magnifica. Tutti gli elementi si armonizzano perfettamente ricreando benissimo il periodo in cui la storia si svolge, cioè i primi anni Cinquanta. La fotografia mi ha ricordato i quadri di Edward Hopper degli anni Quaranta, come ad esempio il suo più famoso “I nottambuli”, che mostra la vetrina di un tipico diner americano, trasmettendo tutta la solitudine e la tristezza di quell’immagine. La dolce e delicata colonna sonora mi ha ricordato quella di “The Truman Show”, anche se il compositore non è lo stesso e in questo caso si tratta di Carter Burwell, che si è occupato delle musiche di innumerevoli film a Hollywood. Credo che libro e film, in questo caso, si completino a vicenda: mentre nel libro vediamo tutto attraverso gli occhi di Therese, la sua vita, le sue emozioni, e anche la stessa Carol; nel film il fuoco di osservazione è tutto incentrato su ciò che vive Carol. In questo modo si possono avere i due punti di vista della stessa storia

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DISCOVER THE COVER «Everneath» di Brodi Ashton A cura di Paola Catozza

Se c’è una cosa bella di Amazon è che dà la possibilità di scoprire sempre nuove copertine (oltre che nuovi romanzi!). Quando cerco un libro è davvero bello trovare delle cover ben fatte, soprattutto quando, oramai, nell’ultimo periodo sono più quelle brutte che quelle apprezzabili. Ho trovato il romanzo “Everneath” per puro caso ed oltre ad essermi innamorata della trama sono rimasta colpita dalla copertina. L’originale, poi riusata anche nell’edizione italiana, la trovo a dir poco fantastica. Adoro l’effetto dato dalle nuvole, i colori, gli effetti dell’abito. Anche il font utilizzato per il titolo del romanzo lo trovo ben concepito al complesso e medesima cosa per il font del nome dell’autrice. C’è da dire, tuttavia, che nell’edizione italiana non è molto apprezzabile la citazione. Francamente si poteva evitare, ma se proprio proprio si voleva inserire si doveva pensare meglio alla grandezza e alla zona dove metterla. Infatti, la citazione risalta più che l’autrice e non mi garba. Per la resa dei colori, invece, preferisco la versione italiana: il rosso sembra più vivido come anche il rosa di alcune parti dell’abito. Insomma, nonostante l’immagine di base sia la stessa le due versioni se la giocano bene, entrambe con pregi e difetti che non fanno tuttavia distogliere l’attenzione dalla totalità e complessità del lavoro.

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Siate le ali delle vostre parole... A cura di Mary Chioatto di “La pagina dello Scrittore” Cari scribacchini, in questa rubrica mi sono concessa di affrontare gli argomenti più disparati legati alla stesura di un romanzo, dai suggerimenti per inaugurarlo al meglio a quelli per renderlo accattivante quanto basta, per cavare a forza quelle parole che a volte a stento riescono a raggiungere la penna. Ma quest’oggi voglio andare addirittura oltre. Oltre la stesura, oltre la pubblicazione. In una realtà editoriale dove il “fai da te”, ovvero la strada dell’auto pubblicazione, si fa sempre più attuale e prepotente, far conoscere il proprio romanzo diventa arduo quasi quanto averlo scritto. Forse ancora di più. Non che io abbia una esperienza diretta nel campo, come sapete sto tergiversando da fin troppo tempo sulla stesura del mio primo romanzo, ma come sempre posso confidarvi quanto sono riuscita ad apprendere nel frattempo, principalmente collaborando nell’amministrazione di “La pagina dello Scrittore”. Mi sono resa conto infatti, soprattutto in iniziative come “La settimana dello Scrittore” realizzate per dar voce a tutti quegli autori che faticano a raggiungere gli scaffali delle librerie, che tutte le accortezze racimolate negli anni per dar maggior visibilità ai nostri contenuti, che davo in qualche modo per scontato, in realtà non sono proprio così per gli altri. Ecco quindi la tematica del giorno, ovvero come poter essere le ali delle vostre parole, nello spazio digitale offerto da questo colosso dei social, più comunemente chiamato Facebook. Scandagliando le operazioni che ormai svolgo di routine nella pagina, ecco alcuni accorgimenti. 1. Tanto per cominciare, realizzate uno spazio dedicato al vostro romanzo, o a voi come autori. Perché voi vi meritate uno spazio, come persona e come autore. Uno spazio pubblico, come una pagina oppure un gruppo, può divenire occasione di contatto anche per chi non rientra nella vostra cerchia di conoscenze. Preferite la pagina al gruppo, se possibile, o istituite entrambe. Ambedue le strutture prolificano di continuo senza freni, quindi in entrambi i casi sarete uno spillo disperso in un pagliaio, con la differenza che, una eventuale pagina di un romanzo può essere taggata negli stati degli utenti (Oltretutto, attraverso la funzionalità che consente di definire l’attività svolta nel

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proprio stato, un lettore potrebbe scrivere nel proprio stato “Sto leggendo” e il titolo del vostro romanzo una pubblicità da non dimenticare). 2. Agghindate la pagina con una grafica accattivante, anche semplice ma ordinata e soprattutto d’effetto. Si sa che l’aspetto non è tutto se di fondo mancano i contenuti, ma in una realtà sociale in cui anche l’occhio vuole la sua parte non è un aspetto da trascurare. 3. Cosa più importante di tutte: la cura e i contenuti delle pubblicazioni della vostra pagina. E qui possiamo lasciarci andare nelle proposte più disparate, ma sempre con moderazione e gusto (e sicuramente in questi miei consigli ci sarà il mio, di gusto, quindi certamente opinabile, ma che al momento non è di certo trascurabile). - Attivatevi per la realizzazione di un booktrailer, un video corredato di musica e parole che in breve presenti la vostra opera: potete realizzarlo in autonomia con software gratuiti come Movie maker e poi caricarlo sul portale Youtube, oppure affidarvi ad amici o servizi terzi. Se posso permettermi: evitate video lunghi, altrimenti si rischia di perdere l’attenzione di chi lo guarda (ho visto booktrailer di 5/10 e più minuti e io non ho resistito fino alla fine). - se il booktrailer, per la sua brevità, non basta ad esprimere il vostro romanzo, realizzate in aggiunta qualche audio lettura. Cosa intendo? Vi rimando all’ascolto, anche solo di qualcuno, dei videi presenti nella playlist “Emozioni d'inchiostro...letture!” nel nostro canale, dove potete trovarne anche alcune realizzate dalla sottoscritta (perché ci sono parole che vorrei portare in ogni dove e in ogni tempo ). - Non intasate la vostra bacheca con continue ripetizioni che rimandano all’acquisto del vostro romanzo, otterrete l’esatto contrario di quanto sperate. Variegate piuttosto le proposte: una cosa che apprezzo all’inverosimile è la pubblicazione di estratti e citazioni, che mi danno modo di saggiare la storia proposta dall’autore non destinandomi all’acquisto di un prodotto “a scatola chiusa”. E qui diventa inevitabile spalancarsi in mille altri suggerimenti, in puro stile matrioska: date precedenza a citazioni brevi, gli estratti più lunghi concedeteveli di tanto in tanto. Sempre per non disperdere l’attenzione. Prediligete citazioni accattivanti, brevi, che lascino un segno a chi li legge. Che vi renda unici e inconfondibili, esattamente come sono le vostre penne, splendide così come sono. Una citazione che spinga il lettore a volerne sapere

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di più (se proponete un dialogo così estratto da una pagina a caso, non dirà assolutamente niente al lettore). Non limitatevi ad affibbiare la vostra citazione alla descrizione di un’immagine, incollatela nell’immagine. In questo modo scorrendo la bacheca avrà molta più visibilità di quanta ne avrebbe altrimenti. Vista l’attuale struttura grafica di Facebook - purtroppo in continua evoluzione ma attualmente è così date precedenza ad immagini quadrate su cui applicare la citazione in modo da occupare pieno spazio di pubblicazione in un post. Di immagini gratuite, anche semplici texture, potete trovarne in ogni dove nel web. Non rimane che salvarle, ritoccarle se serve (In tal caso suggerisco un servizio web gratuito incorporato nei profili Google+) e aggiungere la citazione anche con un semplice programma di editing come Paint. Date precedenza ad immagini semplici, non troppo “piene”: sono le parole che devono rimanere in primo piano, non l’immagine. Un’immagine semplice, un font accattivante per esaltare le vostre parole ed il gioco è fatto. Un esempio? Vi riporto una creazione realizzata durante la scorsa edizione di “La settimana dello scrittore”, dove abbiamo realizzato immagini simili per tutti gli iscritti all’iniziativa. E per finire un confronto diretto tra i due seguenti post, dove vi chiedo di notare la differenza in termini di interazione con gli iscritti: IMMAGINE1 - IMMAGINE2. Potrà anche trattarsi di un caso fortuito, ma visto il ripetersi positivo dell’esperimento direi di non sottovalutare il mio suggerimento. Ultimi consigli che mi sento di darvi, quasi a sparo: variegate le pubblicazioni alternando le vostre citazioni anche a tematiche di comune interesse (l’amore per i libri non può che tracciare un sottile filo inscindibile tra voi e i vostri iscritti); mantenete i rapporti con questi ultimi e rispondete a qualsiasi domanda possa arrivarvi, anche se si tratta di una semplice richiesta di pubblicità; fatevi aiutare da altre pagine già cresciute, ma sempre con garbo, rispetto e massima collaborazione (non potete chiedere pubblicità e nemmeno iscrivervi alla loro pagina, vi pare?). Detto questo, nonostante tutti gli apparenti limiti consigliati, mi sento di invitarvi a dar libero sfogo alla vostra creatività. Per qualsiasi consiglio o difficoltà, sentitevi liberi di contattarmi nella pagina di Eclettica o nel nostro angolo di libertà in “La pagina dello Scrittore”, siamo sempre disponibili a consigliarvi come possiamo e a fare quindi questo viaggio accanto a voi! Non mi rimane che augurarvi buon volo a tutti!

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LA LIBRERIA DI L. CASSIE «Quando all'alba saremo vicini» di Kristin Harmel A cura di L. Cassie

TITOLO: Quando all'alba saremo vicini AUTORE: Kristin Harmel EDITORE: Garzanti PAGINE: 336

È quasi sera l'aria è tiepida e le sfavillanti luci della Quarantottesima strada si stanno accendendo una per una. A Kate sembra quasi che stiano indicando il percorso del suo cammino. Non le manca proprio niente per essere di nuovo felice: ama il suo lavoro di musicoterapeuta e, a casa, il suo compagno Dan la sta aspettando per portarla alla grande festa che ha organizzato per festeggiare il loro fidanzamento. Ma anche se non riesce a confessarlo nemmeno a sé stessa, Kate non ha ancora superato il dolore che si nasconde nel suo passato. Perché dodici anni prima l'uomo che amava più di tutti al mondo, Patrick, suo marito, se n'era andato, all'improvviso, proprio prima di confidarle un segreto che avrebbe cambiato per sempre la loro vita. Kate non è mai riuscita a scoprire di cosa si trattasse. Eppure adesso, quando tutto sembra lontano, Patrick inizia ad apparirle in sogno. È insieme a una bambina, e stanno cercando di dirle qualcosa. All'inizio Kate crede sia solo un incubo. Ma quando per caso conosce una bambina identica a quella del sogno, capisce di non potere più ignorare il passato. Perché negli occhi di quella ragazzina si nasconde una rivelazione sconvolgente, un segreto lontano, forse lo stesso che Patrick avrebbe voluto rivelarle anni prima. E che forse adesso può far guardare Kate al futuro con occhi nuovi. Occhi pieni di luce e gioia, come quelli che brillano di fronte a una nuova alba. Con il suo primo romanzo, Kristin Harmel si è affermata come una delle più grandi rivelazioni degli ultimi anni. Finché le stelle saranno in cielo è stato un successo mondiale senza paragoni ed è ancora fra i bestseller più venduti nelle classifiche italiane. Adesso Kristin Harmel torna con un nuovo attesissimo romanzo, Quando all'alba saremo vicini. Un libro emozionante e pieno di speranza che la conferma una scrittrice capace come nessun altro di leggere nel cuore umano. Un inno all'amore che supera ogni confine. Quando all'alba saremo vicini è un libro che tocca argomenti difficili, complicati e, tal volta, dolorosi che vengono narrati con una precisione sconvolgente. E' uno di quei romanzi che fa riflettere sul significato della vita, su quanto, quest'ultima, possa essere imprevedibile e sull'importanza di ringraziare l'Universo per tutto ciò che di bello accade, affinché la felicità possa attrarre altra felicità, proprio come se si trattasse di una calamita. E' un libro che fa comprendere la grandezza del potenziale che ognuno di noi conserva dentro sé, sottolineando quanto sia spettacolare vivere se

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s'inseguono i propri sogni. Inoltre parla della musica utilizzata come terapia, della scoperta di come essa possa essere percepita, attraverso le vibrazioni, anche da chi ha problemi di udito e su quanto si possa parlare attraverso i testi di una canzone senza la necessità di doversi esprimere a voce. L'autrice tratta il tema dell'adozione e della sordità con infinita delicatezza facendo avvicinare il lettore ad un mondo, ahimè, poco conosciuto e, forse, anche un po' celato dalla società. E' sicuramente una lettura che vi consiglio, ma vi avverto... è un libro che vi rimarrà dentro. Concludo la mia recensione con la speranza di essere riuscita a trasmettere, in queste poche righe, tutto ciò che Quando all'alba saremo vicini ha trasmesso a me. Vi lascio, infine, una piccola citazione che ho scovato durante la lettura e che mi ha sinceramente affascinato:

"Ogni tanto bisogna accettare il rischio per prendere la direzione giusta. Nel mio caso, ho scelto la felicità."

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LE ALI DI ISIDE La bellezza nel mondo islamico

A cura di Francesca Rossi

E’ molto facile cadere nella trappola mentale secondo la quale la donna islamica, poiché coperta dal velo, non ha alcun interesse a risultare bella o a seguire la moda. Nel mondo musulmano, infatti, il concetto di bellezza, soprattutto declinato al femminile, è molto importante e le donne non lasciano nulla al caso nel loro abbigliamento. Alcune musulmane scelgono di non velarsi, altre preferiscono farlo, ma tra questi due estremi vi è una gamma di possibilità e un’interpretazione diversa dei concetti di pudore, vanità e modestia. Facciamo degli esempi: una ragazza musulmana può decidere di non indossare il velo ma, nello stesso tempo, non risultare mai appariscente, seguendo comunque la linea di condotta islamica che predilige l’assenza di ostentazione nell’abbigliamento o nel make up. Ancora: una donna musulmana sceglie di velarsi ma usa questo accessorio come una sorta di vezzo evitando, anche in tal caso, di dare un’immagine eccessiva di sé ma, nello stesso tempo, non rinunciando all’eleganza, alla raffinatezza, alla bellezza. Insomma, negli ultimi anni i musulmani hanno dimostrato che è possibile conciliare la moda (anche quella occidentale), l’eleganza, la cura del proprio corpo, i gusti personali, i dettami della religione islamica ed evitare di presentare in passerella capi considerati troppo provocanti. A dire il vero già le donne musulmane conoscono alla perfezione gli espedienti per apparire belle in ogni circostanza. Pensiamo ai matrimoni, occasioni in cui, tolto il velo, è possibile mettere in mostra i migliori abiti e gioielli che si possiedono, forse anche esagerare un po’, visto il clima di spensieratezza e festa. Da queste poche parole possiamo capire quanto sia complesso il discorso della bellezza e della moda nel mondo islamico e, di certo, non riconducibile al limitante ragionamento “velo uguale mancanza oppure divieto di essere raffinate”. Per rendere ancora meglio l’idea di quanto siano importanti questi concetti nel mondo arabo-islamico, ricordiamo che, per esempio, esistono molti modi di indossare un velo (il quale, precisiamo, può essere confezionato con stoffe e ricami pregiati, o essere impreziosito con gioielli di diversa fattura). I negozi online che vendono indumenti islamici si sono moltiplicati negli ultimi anni e tutti pubblicizzano i loro prodotti attraverso una diversa interpretazione della definizione di pudore: c’è chi evita di mostrare il volto femminile, chi usa dei manichini poiché li considera “meno provocanti”. Non c’è una strada obbligatoria da seguire neppure per il marketing, l’importante è salvaguardare i principi religiosi su questo argomento. 11


Non solo: basta addentrarsi un po’ nello studio dei diversi capi d’abbigliamento usati dal Marocco all’Indonesia per capire che non esiste una veste islamica uguale per tutti e le donne musulmane indossano tranquillamente i vestiti tipici della loro terra, amalgamando lo stile tradizionale a quello islamico. Inutile dire che, purtroppo, i più integralisti non vedono di buon occhio nessun tentativo di coniugare moda e religione o bellezza e pudore, scegliendo posizioni molto rigide al riguardo, secondo le quali nessuna parte del corpo femminile dovrebbe mai essere esposta e seguire le ultime tendenze non sarebbe altro che un peccato di vanità, così come prediligere veli e abiti preziosi o più appariscenti. Gli esperti di moda e marketing, però, la pensano in modo totalmente opposto: secondo loro, infatti, la ricerca della bellezza, tradotta nella selezione, da parte della donna, del capo o dell’accessorio che le piace di più e con cui si sente a suo agio, è un modo per avvicinarsi in modo meno timoroso alla religione, stemperando l’aura di severità che, di solito, accompagna i culti religiosi. Molte ragazze che vivono nel mondo islamico, ma anche in Europa o negli Stati Uniti, non rinunciano a pantaloni, magliette, top, pur adattandoli, magari, ad accessori e capi d’abbigliamento islamici, oppure, più semplicemente, accostandoli. Dunque non possiamo dire che esista un solo modo di vestirsi, un solo e unico stile islamico. In questo senso ogni donna può offrire un punto di vista diverso, uno sguardo differente che coniughi, perché no, la moda occidentale e quella islamica. A tal proposito c’è un’altra questione da tenere in considerazione: i giovani musulmani, soprattutto quelli cresciuti in un paese occidentale, spesso riprendono i simboli della loro cultura, adattati o meno al nuovo contesto, proprio per riappropriarsi della loro identità, o delle origini familiari. Si tratta di un modo per evidenziare anche la personalità, la tradizione e creare un connubio tra il background e l’ambiente circostante, come se venisse gettato un ponte fatto di eleganza, bellezza e moda tra una sponda e l’altra del Mediterraneo. Gli stilisti musulmani e quelli europei e americani si scrutano con attenzione, cercando di capire quali particolari della moda “dell’altro” possano essere portati o reinterpretati nel Paese d’origine. Un discorso complesso, dunque, estremamente affascinante e di cui queste poche righe non sono che un’introduzione, l’inizio di un viaggio alla scoperta di un modo diverso di fare e indossare la moda.

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LE PENNE DELLA STORIA Oscar Wilde A cura di Stefania Bernardo stefaniabernardo.blogspot.com “Sotto molti punti di vista era veramente inglese, e costituiva un ottimo esempio del fatto che oggi noi abbiamo tutto in comune con l’America, tranne, ovviamente, la lingua.” Il fantasma di Canterville

In questa frase è racchiusa tutta la brillante ironia di Oscar Wilde. Con poche, mirate parole riesce a rimarcare la rivalità e, allo stesso tempo, la differenza tra gli americani e gli inglesi. È proprio questa sua capacità ad aver reso Wilde fonte inesauribile di aforismi. Nell’era dei social network, le nostre bacheche ospitano spesso frasi tratte dalle opere di questo scrittore. La sua scrittura può sembrare spontanea, ma in realtà è ricercata, raffinata. Amante dell’estetismo in tutte le forme, lo celebra nei suoi scritti che lo trasformano in una delle penne più eleganti di sempre. Con i suoi paradossi e aforismi, Wilde cerca di parlare al lettore, di indurli a riflettere. Le opere di Wilde spaziano dalla poesia alla prosa, passando dalle opere teatrali. Spicca su tutti, Il ritratto di Dorian Gray. Il romanzo che mette in scena il mito dell’eterna giovinezza, e che lancia un messaggio forte e ben preciso: nessuno può sfuggire alla propria coscienza. Soprattutto, nessuno può sopravvivere alla prova di vedere, giorno dopo giorno, gli effetti delle sue nefandezze immortalarsi in un quadro che invecchia, e “imbruttisce” al posto suo. Tuttavia, è la vita stessa di Oscar Wilde ad essere avvincente, ricca di avvenimenti e di tragedia. Partiamo quindi dalle sue origini: è Oscar Fingal O'Flahertie Wills Wilde nacque a Dublino, in una casa di modeste condizioni. La madre racchiuse all’interno del suo lunghissimo nome vari riferimenti. Primo fra tutti, l’omaggio a Oscar, figlio della divinità Osin, nato nella terra dell’eterna giovinezza, e O'Flahertie per tenere un legame con la nonna paterna. Studiò in Irlanda presso il college di Dubilino. Intraprese numerosi viaggi. Visitò l’Italia e la Grecia, collezionando un gran numero di debiti. Finì l’Università, vincendo numerosi premi per le sue poesie e, infine, giunse a Londra, nella dimora da lui battezzata “ la casa del Tamigi”, al 13 di Salisbury Street. Dalle sue finestre, Wilde poteva ammirare il fiume di Londra e a suo dire, la nuova sistemazione era molto romantica, clima che contribuì ad aumentare, arredandola con porcellane cinesi, statue di divinità e gigli, che erano la sua passione. Il suo debutto a Londra fece subito parlare. Divenne famoso per le sue stravaganze, per il suo modo impertinente di esprimersi, per la sua ironia, e la capacità di sedurre grazie alle parole. Un’attrice di teatro disse di averlo incontrato, un giorno, con un serpente intorno al collo 13


e i pettegolezzi sulla sua condotta licenziosa con altri uomini, costrinsero il padre di un suo amico ad allontanarlo da lui. Iniziò a collaborare con Pall Mall Gazette, dove teneva una rubrica, come autore anonimo, e si occupava di recensire libri di poesia appena usciti. In quello stesso periodo pubblicò la sua prima raccolta di poesia e la madre e il fratello lo raggiunsero nella capitale inglese. “Lady Wilde” aveva trasmesso al figlio originalità e l’abilità di seduzione: aprì infatti un salotto culturale che finì con l’attirare il Principe del Galles. L’erede al trono d’Inghilterra, arrivò a sostenere:

«Non conosco il signor Wilde, e non conoscere il signor Wilde significa non essere conosciuti». Tuttavia la sua crescente popolarità s’incrinò quando partì per la cosiddetta “avventura americana”. Trasferitosi oltreoceano per un ciclo di conferenze sull’arte e la poesia, tentò di sedurre gli americani con ma il viaggio si rivelò un fallimento, soprattutto a detta della stampa londinese, e così Oscar decise di trovare nuovi lidi per la sua originale personalità. Si trasferì in Francia dove tra un cambio di acconciature, strani e intimi comportamenti con l’amico Robert Harborough Sherard, continuò la sua produzione di poesie. Ma è con il rientro a Londra che la sua vita cambiò in maniera radicale. Il dandy continuamente al centro dei pettegolezzi mondani, conobbe Constance Lloyd e ne fu talmente folgorato che decise quasi immediatamente di sposarla. Tuttavia, a detta dei conoscenti, Wilde parve pentirsi della scelta subito dopo la luna di miele. Nonostante questo, Wilde aveva un’altissima opinione della moglie. Una donna bella, acculturata, con i suoi stessi raffinati gusti. Costruirono una casa in cui campeggiavano ritratti di Diana, Apollo e le Muse. La loro unione felice durò fino alla nascita dei due figli, Cyril e Vyvyan, poi il rapportò s’incrinò. Wilde ossessionato dall’estetica, si allontanò dalla moglie a causa delle gravidanze che l’avevano resa gonfia e grassa. Il suo interesse per gli uomini tornò, passionale e incurante delle conseguenze. La sua relazione con il diciottenne Roberts Ross, incrinò in maniera definitiva i rapporti con la moglie. In quel periodo mise in scena diverse opere teatrali e la sua originalità e voglia di attirare la curiosità della gente, lo portò a chiedere di indossare agli amici, alla prima di un suo spettacolo, un garofano verde, per dare l’impressione di appartenere a qualche tipo di società segreta. Gli incontri amorosi con giovani uomini continuarono fino a quando non conobbe Lord Alfred Douglas con cui intrecciò una relazione, passionale, possessiva e burrascosa. I litigi erano violenti, il loro amore era ossessione e trasgressione, che condussero inevitabilmente Wilde verso il declino. Fu presto arrestato per la sua omosessualità, allora considerata un grave reato.

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Fu condannato a due anni di carcere e ai lavori forzati, durante i quali scrisse il De profundis, una lunga lettera introspettiva che racconta dei suoi sentimenti verso Douglas e i tormenti della sua anima. Ecco l’accorato incipit della lettera: Caro Bosie, (soprannome di Alfred) dopo lunga e sterile attesa ho deciso di scriverti io, per il tuo bene come per il mio, poiché non vorrei proprio ammettere d'essere passato attraverso due lunghi anni di prigionia senza mai ricevere un solo rigo da te, una qualsiasi notizia, un semplice messaggio, tranne quelli che m'arrecarono dolore. La nostra amicizia, nata male e tanto deplorevole, è finita con la rovina e con la pubblica infamia per me, eppure il ricordo del nostro antico affetto mi fa spesso compagnia, e mi riesce così triste, così triste il pensiero che l'astio, l'amarezza, il disprezzo debbano prendere per sempre il posto dell'amore nel mio animo: e anche tu sarai convinto, suppongo, nel profondo del tuo cuore che scrivermi, mentre vivo nella solitudine di questo carcere, sia sempre meglio di pubblicare le mie lettere senza il mio permesso o di dedicarmi versi non richiesti, e non c'è alcun bisogno che il mondo sappia qualcosa delle parole, di qualsiasi parola, di dolore o passione, rimorso o distacco che ti piacerà inviarmi come replica o richiamo.

Una volta libero si trasferì a Napoli con il ritrovato Alfred e andò incontro a un periodo fatto di povertà e insuccessi. Sempre assillato dai debiti, incapace di continuare a scrivere, Oscar viaggiò tra varie città d’Europa, in cerca di un modo per venir fuori dalla sua indigenza. Morì a Parigi nel 30 novembre1900. Oscar divenne famoso, oltre che per le sue opere letterarie, soprattutto per il suo modo stravagante di vivere. La sua originalità, le sue audaci relazioni sentimentali, l’eleganza la raffinatezza nei modi, lo resero protagonista di ballate e articoli già durante la sua vita, e il suo mito continuò ad alimentarsi proprio grazie agli aforismi che potevano essere estrapolati dalle sue opere. E finiamo con un altro aforisma che racchiude bene il pensiero di Wilde sulla vita e la sua ossessiva ricerca per il bello: La Bellezza è l'unica cosa contro cui la forza del tempo sia vana. Le filosofie si disgregano come la sabbia, le credenze si succedono l'una sull'altra, ma ciò che è bello è una gioia per tutte le stagioni, ed un possesso per tutta l'eternità.

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LIBRI VINTAGE «La marchesa di Ganges» di Alexandre Dumas

A cura di Laura C. Benedetti INFO Editore Sellerio, collana "La memoria" Prezzo: € 8 (volume) / € 5.49 (ebook) 2005, 104 p., brossura

Bentornati in questa rubrica dedicata ai libri vintage! Se mi avete seguito negli articoli precedenti, sapete già che Alexandre Dumas è uno dei miei autori preferiti, ragion per cui mi piace andare alla ricerca di tutti i suoi titoli, al di là di quelli più celebri come i moschettieri o Montecristo. "La marchesa di Ganges" non è un romanzo, bensì una cronaca: partendo da un fatto realmente avvenuto nel 1667, ossia l'assassinio di Marie di Rossan per mano dei suoi cognati, Dumas ci racconta gli antefatti e gli strascichi della vicenda. Egli cita cinque fonti storiche di cui si è servito, poi arricchisce il testo con alcuni dialoghi, il più forte dei quali, per me, è quello tra la donna e il cognato abate quando quest'ultimo vuol costringerla ad accettare il suo amore. I personaggi sono pochi e incisivi. La protagonista, Marie di Rossan, marchesa di Castellane e poi, rimasta vedova e risposatasi, di Ganges, è una donna ricordata dagli storici per due qualità: una ineguagliabile bellezza esteriore e una virtù altrettanto stupefacente in un'epoca in cui la corte francese era tra le più galanti e dissolute d'Europa. Di carattere mite, dolce, buono, incapace di diffidare o sospettare il male, ella vive le sue seconde nozze nel nome dell'amore per il marito e nella sofferenza per l'insensata gelosia di lui. Il marchese di Ganges è un gentiluomo dotato all'apparenza di tutti i talenti: di sangue nobile, ricco, aristocratico, bello anche lui a tal punto da esserne celebre, sente parlare di una giovane donna altrettanto avvenente ma purissima che, dopo il lutto, si è chiusa in convento, e decide di conoscerla. L'attrazione è istantanea e il matrimonio viene celebrato, ma la volubilità dello sposo mette presto in crisi quella che Marie, resa madre di due bambini, considerava come la felicità suprema. Gli altri personaggi sono due fratelli del marchese: uno è abate, anche se questo titolo lo ha comprato per goderne i privilegi e non appartiene alla chiesa, l'altro è un cavaliere. Entrambi belli, di quella stessa bellezza che Dumas sostiene essere genetica nella famiglia dei Ganges, non potrebbero avere personalità più diverse: l'abate è l'anima nera, la mente d'acciaio che influenza e guida le volontà e i desideri dei fratelli, mentre il cavaliere è un uomo mediocre, uno strumento meccanico che, ad esempio, ammira la cognata senza sognarsi di desiderarla, e inizierà a volerla amare solo quando l'abate, per portare a termine un proprio intrigo, lo istigherà in tal senso. Altri personaggi saranno i due figli dei marchesi, un ragazzo e una ragazza, e Dumas ci narrerà

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le loro vicende da adulti per far conoscere al lettore il seguito oltre il dramma principale. L'ambientazione iniziale è un'anonima stanza illuminata da candele dove la marchesa consulta un'indovina, poi ci si sposta in residenze nobili fino a giungere al castello di Ganges, tra Avignone e Montpellier, dove il marchese possedeva beni di famiglia e dove si consuma la tragedia. Il risvolto di copertina del volume fa il cosiddetto "spoiler", cosa che però non guasta la lettura. Si sa che la marchesa verrà assassinata proprio dai suoi parenti più stretti, da gentiluomini (almeno di nome) che avrebbero dovuto rispettarla e proteggerla, ma non si può immaginare il grand-guignol con cui l'omicidio avviene: veleno e spada, fughe e inseguimenti, aggressioni spietate, una ferocia inaudita, e per una terribile ironia della sorte i due carnefici non riescono neppure a dare la morte alla vittima, che perirà soltanto molti giorni dopo tra atroci sofferenze e con parole di perdono per i suoi uccisori. Essi, condannati a morte, scampano con l'esilio volontario all'esecuzione, ma la mano di Dio, o il Destino, li raggiunge comunque: giudicheranno i lettori se i due cognati di Marie hanno ricevuto la giusta punizione. La scrittura, nella traduzione di Giovanna Arese, è perfettamente adeguata al contesto e al periodo: non ci sono fastidiose modernità a tutti i costi, lo stile è fluido e scorre bene e, pur mancando una divisione a capitoli o una qualunque divisione in parti, la vicenda avvince a tal punto che si vuol continuare a leggere. La descrizione del viso e dell'aspetto di Marie di Rossan, tratta da un opuscolo scritto nel 1667, è in se stesso un capolavoro di bellezza, sensualità e nobiltà. L'atmosfera generale è piuttosto cupa, a partire dalla scena con l'indovina La Voisin e la sua predizione, passando per l'inquietudine del lettore quando vede la marchesa costretta a subire la vicinanza dei pericolosi cognati, vicinanza che pare già una condanna a morte, per arrivare infine alle scene terribili dell'assassinio e in quelle anche peggiori di "vent'anni dopo" (quando, nelle vicende dei figli della sventurata marchesa, si arriva da un lato a sfiorare un incesto e dall'altro alla spaventosa uccisione di un locandiere per mano di un gruppo di nobili ubriachi). Questa storia, proprio per la sua natura di cronaca, farà parte del volume "Delitti celebri", in cui Dumas raccoglie alcuni racconti su personaggi come Murat, i Cenci, i Borgia e Maria Stuarda. Se amate Dumas, e se non vi spaventa leggere un capitolo di cronaca nerissima della Francia del 1600 raccontato con la consueta maestria dall'autore che faceva della Storia "il chiodo alla quale appendeva i suoi romanzi", vi consiglio senza indugio di aggiungere "La marchesa di Ganges" alla vostra lista dei desideri.

INCIPIT Verso la fine dell'anno 1657, una carrozza semplicissima e senza stemmi si fermò, alle otto di sera circa, davanti alla porta di una casa della rue Haute-feuille, dove già erano in attesa due altre vetture. Un lacchè discese per aprire lo sportello, ma una voce melodiosa, anche se un po' tremante, lo fermò dicendo: Aspettate che veda se è qui . E una testolina così ben incappucciata in una mantellina di raso nero da rendere impossibile distinguere un solo lineamento, si sporse dal l'apertura di uno dei vetri e, guardando in alto, sembrò cercare sulla facciata della casa un segno che la togliesse dall'incertezza. 17


MILLE SFUMATURE DI ROSA CONTEMPORANEO Amazon Publishing debutta in Italia con una grande scrittrice: Amabile Giusti e il suo Tentare di non Amarti

A cura di Fabiana Andreozzi Amabile Giusti fa il suo debutto su Amazon Publishing con un piccolo gioiello, o forse sarebbe più giusto dire che Amazon Publishing apre i battenti in pompa magna pubblicando un’autrice dallo straordinario e il suo nuovo capolavoro: Tentare di non amarti. Sì, non ci sono altre parole per definire questo nuovo romanzo, che racchiude in sé gli aspetti peculiari della sua scrittura con qualcosa di nuovo nella scelta dei suoi personaggi. Ma partiamo dall’inizio, è stata una lettura all’ultimo respiro e al cardiopalmo. Come al solito, quando si tratta di Amabile Giusti, non riesco a scollarmi dal romanzo per nessuna necessità fisiologica. Mi crea una dipendenza da pagine e parole che non può essere colmata neppure a conclusione del romanzo… e sì perché appena finito ne vorrei leggere subito un altro! Nonostante le pagine non siano poche me lo sono letteralmente bruciato in una manciata di ore durante la notte, poi non ho chiuso occhio per la disperazione di voler leggere ancora di Penny e Marcus. No, non è drammatico, finisce con l’amato e classico lieto fine, ma i due protagonisti ti entrano così tanto dentro che poi non vuoi più lasciarli. Che dire? Bello? Stupendo? Sono aggettivi che non rendono l'idea delle milioni di sensazioni che questa lettura ha saputo suscitarmi. In primis la sorpresa di aprire le pagine e di scoprire una nuova storia completamente diversa dalle tante già lette. Poi il piacere di ritrovarci Amabile, il suo stile prezioso e poetico anche in un libro che ha dei toni molto diversi e particolari rispetto agli altri. Il bello di questo libro, a parte la storia che ti entra sotto pelle senza neppure rendertene conto è la sua struttura. Quel raccontare la storia in terza persona, al passato, con gli occhi della piccola Penny per poi far comparire Marcus in prima persona al presente con quei flash istantanei che permettono di scoprirlo, di viverlo d'impatto così come è imponente, immediata e selvaggia la sua persona. Di questa storia, che ripeto è bellissima e incredibile, i personaggi non sembrano a due dimensione di carta ma vivono e respirano come essere umani sulle pagine. Risaltano ai nostri occhi apparendoci in tutto e per tutto reali, a partire dal loro modo di pensare, di esprimersi,di essere coerenti con la loro psicologia. È stata magistrale Amabile Giusti nel descrivere la figura di Marcus e a immedesimarsi in lui, con il suo modo di parlare più sboccato, i suoi pensieri più crudi e sensuosi. È il più reale di questo romanzo e al tempo stesso completamente diverso dagli uomini descritti dalla scrittrice. È un duro nel vero senso della parola, uno di quelli che non si abbandona alle romanticherie anche se alla fine l’amore lo scopre e lo travolge all’improvviso. Ma è stato spettacolare calarsi per la prima volta (e sì per la prima volta perché è difficile che nei libri il duro resti coerente con se stesso fino alla fine, di solito cede e diventa un poeta innamorato :D) negli occhi duri di qualcuno con cui la vita non è stata mai giusta e generosa, l’autrice ha saputo coglierne l'essenza e la realtà senza mai snaturarlo con dolcezze che sarebbero sembrate stonature. Grazie ad Amabile per questo meraviglioso romanzo, il più bello e indimenticabile tra quelli letti delle autrici italiane nell’anno che si

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è appena chiuso. Vi lascio con le parole di Amabile rubate a questo splendido romanzo, perché le mie spiegazioni non rendono assolutamente giustizia alla complessità e bellezza di questo libro, sia in termini di stile, struttura narrativa, musicalità delle frasi, trama… insomma non vi resta che leggere Tentare di non amarti per coglierne l’essenza, la magia potente delle parole che si compongono sotto i nostri occhi come fossero pennellate di colore su un quadro. Amabile Giusti non smettere mai di farci sognare a occhi aperti!

"Non fu un bacio superficiale né breve. Penny sentì il proprio corpo farsi di cotone soffice e lava rovente. Avvertiva, intorno a sé, un brusio di voci, ma era come se la vita si fosse interrotta su quella parentesi, e non riusciva a notare altro, a sentire altro, a volere altro. Quel bacio non fu solo un bacio. La penetrò come un intenso atto d’amore."

Titolo: Tentare di non amarti Autore: Amabile Giusti Editore: Amazon Publishing Genere: New Adult Penelope ha ventidue anni ed è una ragazza romantica e coraggiosa con una ciocca di capelli rosa e le unghie decorate con disegni bizzarri. Orfana, vive con la nonna malata nella misera periferia di una città americana, e ha rinunciato al college per starle vicina. Di notte prepara cocktail in un locale e di giorno lavora in biblioteca. Aspetta l’amore da sempre, quello con la A maiuscola. Un giorno Marcus, il nuovo vicino, entra nella vita di Penny come un ciclone. È tutt’altro che l’eroe sognato: ha venticinque anni, è rude, coperto di tatuaggi, ha gli occhi grigio ghiaccio e un piglio minaccioso. È in libertà vigilata e fa il buttafuori in un club. Tra i due nasce subito ostilità e sospetto ma, conoscendosi meglio, scopriranno di avere entrambi un passato doloroso e violento, ricordi da cancellare e segreti da nascondere. Una storia d’amore e rinascita, dolce e sensuale, tragica e catartica. L’incontro di due anime profondamente diverse darà vita a un amore che guarirà il dolore e l’odio del passato.

Chi è Amabile Giusti? Amabile Giusti è calabrese. Fa l’avvocato ma non si sente avvocato. La sua vita è scrivere romanzi e, anche quando lavora, pensa a come concludere o iniziare una storia. Per farla felice, regalatele un saggio su Jane Austen, un ninnolo di ceramica blu, un manga giapponese, o una pianta grassa piena di spine. Spera di invecchiare lentamente (sembra sia l’unico modo per vivere a lungo) ma mai invecchiare dentro. Ascolta molto e parla poco, ma quando scrive non si ferma più... Dal 2009 ha pubblicato numerosi romanzi: Non c’è niente che fa male così, Cuore nero, la serie di Odyssea (Oltre il varco incantato, Oltre le catene dell’orgoglio, Oltre i confini del tempo, Oltre il coraggio del sacrificio), L’orgoglio dei Richmond, e con MondadoriTrent’anni e li dimostro e La donna perfetta. E ce ne saranno molti altri.

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CHIACCHIERANDO CON... Linda Bertasi A cura di Giovanna Samanda Ricchiuti

- Ciao Linda, bentornata tra noi! Descriviti per chi ancora non ti conosce. Ciao Giovanna, è sempre un piacere tornare a trovarti qui su Eclettica. Sono mamma di una bellissima bambina di quattro anni, sono appassionata di storia e letteratura inglese. Nel tempo libero gestisco il mio blog ufficiale dedicato agli emergenti, collaboro con Lit-Blog e Magazine e naturalmente sono autrice di cinque romanzi che variano dal romance, al fantasy, all’erotico allo storico. - Come nasce Il silenzio del peccato? Qualche aneddoto legato alla stesura che vuoi raccontarci? Questo romanzo nasce dalla mia passione per l’epoca Tudor, passione che nutro dall’età di dodici anni quando lessi la prima biografia su Anna Bolena. Da questo sogno nel cassetto di poterne utilizzare l’ambientazione per una mia storia è nata la vicenda di Jane Rivers e del suo amore impossibile per Charles Brandon. La stesura, come sempre, la considero una specie di magia; all’inizio questo doveva essere un romance erotico che si basava solo sull’amore e sulla passione sfrenata nata in un mattino d’estate tra una serva e un duca, ma poi come sempre i personaggi fanno di testa loro e sono spuntati i misteriosi incubi che tormentavano Jane sin dall’infanzia e un mistero riportato nello stesso titolo che il lettore dovrà divertirsi a svelare. - La protagonista è una contadina, Jane Rivers. Come mai hai scelto di narrare gli anni di Enrico VIII attraverso la storia di una ragazza di umili origini? Chi mi conosce sa della mia grande passione e rispetto per la storia. Un consiglio che do sempre è di non cimentarsi in una biografia storica se non si è storici. Si rischia di incappare in errori, discrepanze e pericoli non indifferenti. Meglio utilizzare un personaggio meno conosciuto ma plausibile come Jane, in questo caso, per raccontare parte della storia dei Tudor. Nel mio romanzo non intendevo fare una biografia di Enrico, di Brandon o di Anna, ma solo inserire la mia storia nel contesto Tudor al tempo dello scisma anglicano e della spinosa questione del divorzio dalla Regina Caterina D’Aragona, perpetrato a regola d’arta da Enrico per poterne sposare la damigella Anna Bolena. - Sappiamo che la tua eroina è Anna Bolena. Pensi mai di scrivere un romanzo con protagonista questa regina che ha conquistato il cuore di Enrico VIII? Hai centrato il punto, nei miei progetti c’è un vero e proprio romanzo storico su Anna Bolena. A dire il vero il prologo è già stato abbozzato, ma richiederà molto studio e impegno, perché come ho detto la Storia va trattata con profondo rispetto. Nel mio caso non sarà una biografia di Anna vecchio stampo, essendocene ormai a iosa in circolazione, ma non aggiungo altro, dovrà essere una sorpresa.

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- Il romanzo storico in Italia non è un genere che trova grande consenso. Secondo te come mai? Vero ed è un punto dolente a mio avviso, da appassionata. Spesso mi sono chiesta la stessa cosa, di lettori di storico ce ne sono e pure di conoscitori di storia e amanti del genere. La prova sono i romanzi inglesi ed esteri che ci pervengono e che vanno per la maggiore. Non so dare una spiegazione, spero solo che la “moda” stia per cambiare perché non so immaginare niente di più attraente e ricco di pathos di un romanzo storico. - Dopo la pubblicazione di vari romanzi, ti sei dedicata a questo romanzo breve. Quale tipologia ti ha creato più difficoltà? Senza dubbio il romanzo breve per via del numero di battute imposte dalla casa editrice. Io sono più propensa a romanzi lunghi: amo le descrizioni, la storia che si dipana attraverso anni e vicissitudini, scoprire i personaggi a poco a poco. Anche in quest’opera, seppur breve, la storia di sviluppa nell’arco di un certo numero di anni, non ho saputo rinunciarvi. - A quando il tuo prossimo romanzo? È uscita la seconda edizione del paranormal fantasy L’Erede di Tahira, un genere nuovo per me, che consta della favolosa prefazione di Monique Scisci. Questa è una storia venuta a trovarmi in sogno e che affronta il tema della reincarnazione e della dimensione onirica, affondando le sue radici nell’Antico Egitto. Ma sto già lavorando a un nuovo storico, questa volta ambientato in Inghilterra, terra che venero. - Grazie per essere stata qui con noi, in bocca al lupo per tutto! Grazie mille a te e a Eclettica per questa opportunità, per me è sempre un piacere e un onore. Un saluto a tutti i vostri lettori.

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PIZZE&MATTONI «La sincronicità» di Carl Gustay Jung

A cura di Grazia Maria Francese Titolo: La sincronicità Autore: Car Gustay Jung Editore: Bollati Boringhieri

«A differenza della causalità, la sincronicità si dimostra un fenomeno connesso principalmente con processi che si svolgono nell’inconscio. Alla psiche inconscia spazio e tempo sembrano relativi, ossia la conoscenza si trova in un continuum spaziotemporale in cui lo spazio non è più spazio e il tempo non è più tempo. Se quindi l’inconscio sviluppa e mantiene un certo potenziale alla coscienza, nasce la possibilità di percepire e “conoscere” eventi paralleli» In questo breve saggio del 1950, Jung prende in esame un tema affascinante: quello del legame tra due eventi che si verificano in contemporanea e si riferiscono entrambi a uno stesso contenuto, pur non essendo collegati in modo causale. Sincronicità non vuol dire solo sincronismo, cioè il fatto che i due eventi si verifichino nello stesso momento. Jung la definisce così: “Le coincidenze, non infrequenti, tra stati soggettivi e fatti oggettivi che non si possono spiegare in modo causale, almeno con le nostre risorse attuali”. Può sembrare un concetto astruso, ma nel mondo antico era normalissimo. Per gli Etruschi, ad esempio, osservare il volo degli uccelli era un metodo affidabile per trarre pronostici rispetto a un viaggio, una battaglia o altro. Tra gli antichi Romani esisteva una categoria di persone, gli aruspici, specializzata proprio nell’interpretazione di eventi sincronici: e la disposizione degli astri al momento della nascita di un bambino era ed è considerata, in molte per non dire tutte le culture, una cosa che avrà ripercussioni sulla vita di quella persona. L’idea della sincronicità (o corrispondentia) generalmente accettata nel mondo primitivo, antico e medioevale, era ancora ben viva nel Rinascimento: quando l’umanista Marsilio Ficino spiegava come l’astrologia non vada intesa come la capacità degli astri di influire sugli eventi umani, ma come una consonanza tra questi e il movimento astrale. Cominciò a sbiadire in parallelo con lo sviluppo delle scienze naturali, e nel diciannovesimo secolo sparì dal quadro. Il pensiero scientifico si basa sul principio della causalità: il volo degli uccelli non esprime più che l’effetto di una causa naturale (il cambiamento stagionale della temperatura, ad esempio) e non ha nulla a che vedere con il viaggio o altro. Jung afferma una cosa talmente ovvia da sembrare quasi banale: la scienza si basa su esperimenti, e la caratteristica di un esperimento è proprio quella di essere riproducibile nel tempo a prescindere dalla soggettività di chi lo effettua. Ma la sincronicità, essendo una coincidenza tra stati soggettivi e fatti oggettivi, non può prescindere dalla soggettività: anzi, è proprio il contenuto emozionale a

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definirla. L'inconscio è il tramite che collega l'individuo con ciò che i filosofi neoplatonici chiamavano “l'anima del mondo”. Per questo, contenuti inconsci particolarmente carichi di valenze emotive possono ridestare echi nella realtà, e corrispondere al verificarsi di determinati eventi. All’inizio del libro Jung descrive il fenomeno in base alla sua esperienza di psicoterapeuta. Il verificarsi di eventi sincronici, sembra di capire, è per lui un segno del fatto che i problemi del paziente si stiano risolvendo. Cita diversi casi: tanto per dirne uno, quello in cui mentre una paziente gli sta raccontando un sogno in cui compare uno scarabeo, sulla finestra dello studio si posa una cetonia (l’insetto europeo più simile allo scarabeo). Fin qui, potremmo dire, niente di strano. A chi non è capitato qualcosa di simile? Ma poi Jung prende in esame una serie di esperimenti fatti con carte figurate. Le carte vengono mescolate da una macchina, e poi scoperte una ad una: il soggetto che partecipa all’esperimento deve indovinare quale carta sta per uscire. Un grande numero di esperimenti dimostrò che più il soggetto desiderava che uscisse una determinata carta, e più la probabilità che uscisse effettivamente aumentava. Il risultato non era influenzata dal fatto che chi doveva indovinare avesse o meno capacità medianiche, e nemmeno (udite, udite!) dalla distanza: anche se il soggetto si trovava a migliaia di chilometri da chi scopriva le carte, l’intensità del suo desiderio era legata comunque a una variazione significativa della percentuale di casi in cui quella determinata carta usciva. Come dire: attenti a quello che desiderate, perché potrebbe verificarsi!

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SCORCI DAL MONDO INCANTATO «Caccia alle fate» di Kiersten White

A cura di Francesca Ghiribelli TITOLO: Caccia alle fate TITOLO ORIGINALE: Supernaturally AUTORE: Kiersten White EDITORE: Giunti Y PAGINE: 432 PREZZO: 12.00€ E' difficile avere una vita normale quando si ha il dono di riconoscere gli esseri sovrannaturali al primo sguardo. Ma Evie, dopo tante bizzarre avventure, vuole provare a vivere davvero come ogni ragazza della sua età. Questa nuova esperienza però si rivela da subito noiosissima e così, quando l’Agenzia Internazionale per il Contenimento del Paranormale le offre di tornare a lavorare, Evie coglie l’occasione al volo. Ma dopo una serie di missioni disastrose, non è più sicura di aver fatto la scelta giusta. A sciogliere ogni dubbio e a scombussolare il suo cuore tormentato arriva Reth, che riappare dal nulla in tutta la sua sfavillante bellezza fatata. Il suo ex, perfido e insidioso, è tornato per portarle devastanti rivelazioni sul suo passato e l’inquietante notizia di un’imminente battaglia fra le corti delle fate. Una guerra che può far precipitare nel caos l’intero mondo del sovrannaturale, e in cui Evie sembra avere un ruolo fondamentale: lei è davvero troppo speciale per essere normale.

Diciamo che ho trovato questo secondo capitolo molto più interessante del primo, visto che il precedente sembrava leggermente dispersivo e dava poco approfondimento alle radici della trama. Eravamo rimasti alla storia d’amore fra Evie e Preston, un mutaforma (liberato dalla prigionia dell’AICP) che non sa ancora di essere immortale, visto che la ragazza non ha il coraggio di rivelargli la verità per paura di perderlo. Nel corso della storia il loro rapporto dovrà superare molti alti e bassi ed Evie si accorgerà che l’essersi allontanata dal Centro per il Contenimento del Paranormale per avere una vita da umana, non è stata l’idea giusta. Da sempre aveva sognato di andare a scuola, di avere un armadietto tutto suo, di poter andare ad una festa, ma si accorge piano piano di non essere felice della vita che svolge. I dubbi la assalgono durante i ripetuti sogni-incubi in cui la defunta Vivian le appare facendole capire che il suo vero mondo alla fine è l’AICP. Farà di tutto per essere ammessa al prestigioso College della Georgetown in modo da stare più vicina a Preston, ma la tentazione di tornare nuovamente a lavorare per il Paranormale si presenta con il ritorno di Raquel, colei che per lei rappresenta l’unica vera madre mai avuta. Così in attesa di comprendere la sua vera strada, torna a lavorare in segreto per l’AICP all’insaputa di Preston. Stavolta ci saranno anche nuovissime e strampalate figure mostruose come le silfidi, i nek, una curiosa fata della foresta e i troll. Ci saranno anche molti personaggi secondari come Arianna, un vampiro che fa da coinquilina ad Evie,

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la quale per amore di Preston lavorerà alla tavola calda e cercherà di condurre una vita in mezzo ai numerosi paranormali tratti in salvo dal suo amato fidanzato e dal padre del ragazzo. Ma non è una vita fatta per lei, perché dentro di sé sente un certo affetto per il rischio e un’esistenza lontana dall’AICP non è possibile. Il particolare più carino di questa saga è che a differenza di molte altre storie l’autrice cerca di mettere in risalto sotto una chiave ironica e quasi ‘comica’ la goffaggine di Evie. Non la inquadra come l’infallibile super eroina nei combattimenti contro i paranormali, ma alla fine la protagonista se la cava sempre con l’arrivo di qualcuno in sua salvezza, ad esempio ci sarà ancora il ritorno di Reth, il suo ex fidanzato fata. Evie dubiterà ancora di lui, ma la verità alla fine sarà un’altra e altrettanto sorprendente. Nonostante sia una trama non ricca di colpi di scena, ma divertente e tranquilla, la scrittrice ha reso simpatica e familiare la protagonista, visto che la fa apparire sempre più simile agli umani con i loro pregi e i loro difetti. Ma lei è una Figlia del Vuoto, ed ecco che in questo secondo capitolo si capisce qualcosa in più sulla sua vera natura, verranno fuori le radici del passato di Evie e un possibile padre ancora esistente. L’arrivo di un nuovo personaggio di nome Jack, cresciuto dalle fate e mandato ad affiancare Evie nelle sue missioni renderà alla fine l’epilogo di questo capitolo molto interessante. Diciamo che ho trovato molto bizzarro l’unico bacio tra lui e la protagonista, ma sono queste improvvise scene ‘fuori onda’ che rendono lo stile della White davvero ‘paranormale’. Non voglio svelarvi oltre, ma Evie resterà in parte molto delusa dalla verità che verrà a scoprire sulle sue origini e capirà che lei e Vivian, sono due Figlie Del Vuoto create per succhiare le anime dei paranormali e acquietare l’antico antagonismo fra la corte delle fate buone e quella delle fate cattive. Devo dire che in attesa di concludere la saga, il finale della storia d’amore con Preston e quello della storia vera e propria mi ha lasciato delusa, avrei creduto finisse in modo più sorprendente. Comunque tanto di cappello all’autrice dei romanzi più strani e bizzarri che esistano.

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Il Gabinetto del Dottor Lamberti La ragazza nella nebbia A cura di Giuliano Latini Casualmente vedo sulla vetrina di Amazon l'ultima fatica di Donato Carrisi, in raptus premo «acquista con un clic» e lo ritrovo su mio Kindle, sirena tentatrice, ad irretirmi con i suoi caratteri netti d'inchiostro virtuale. Inizio a leggere, l'incipit della narrazione è cronologicamente successivo alla fine del racconto. Strano; penso, perché Donato ambienta l’incipit successivo all'aver sciolto l'enigma? Un trucco banale per creare aspettativa in chi legge? Una scusa ad effetto per iniziare la storia senza un vero inizio? Nulla di tutto ciò! Carrisi in questo romanzo gioca con i preconcetti, gli archetipi che la lettura d'evasione ha costruito, sfruttandoli in uno sconto all'ultimo sangue con il lettore. Donato inizia raccontando un banale incidente: ora tarda, notte fonda, asfalto ghiacciato, nebbia e un veicolo fuoristrada. Il conducente, pur sotto shock, è illeso e con la camicia lorda di sangue. In stato confusionale e in un silenzio smarrito viene condotto nell'ambulatorio del medico condotto della cittadina. Un luogo neutro in cui riaversi e spiegare di chi sia tutto quel sangue. Il tempo che passa. L’ambiente familiare e confortevole dell'ufficio. L’impellenza di sapere perché è stato portato in quell'ufficio, consentono all'indiziato di recuperare la propria coscienza e, come quando si perde qualcosa, ripercorrendo la sua storia recente, ricostruisce la memoria degli avvenimenti di quella sera. I titoli dei capitoli scandiscono lo scorrere del tempo. Inizia il racconto: la storia di una ragazza scomparsa, sicuramente rapita; dell'investigatore che la cerca manipolando con freddo cinismo la stampa e la comunità; di un uomo dalla colpevole innocenza che la farà franca, o forse no; d'un bizzarro gioco delle parti che fila il destino, decidendo la sorte degli attori presenti sul palcoscenico della storia. Con i capitoli che scandiscono i giorni trascorsi dalla scomparsa dell'agnello sacrificale, conosciamo la comunità e le reazioni provocate dalla pressione invasiva provocata dai mezzi d'informazione. Un gruppo isolato dal mondo moderno che fa fronte comune, sublimando lo sgomento per una scomparsa inspiegabile in rabbia. Rabbia indirizzata verso il diverso, l'incompreso, il nuovo arrivato su cui s'addensano le nubi del sospetto. Il colpevole, pur professando la propria innocenza, viene prima emarginato dalla comunità, poi incarcerato. Subisce un pestaggio vendicativo, prima che la prova risolutiva venga smontata, dimostrando la sua innocenza. La rivelazione del torto subito trasforma il livore del pubblico in pietà per l'innocente ingiustamente accusato. L’investigatore, seguendo il suo intuito non supportato da prove oggettive, fabbrica una “pistola fumante”, pesante come un macigno e fragile come vetro di seconda scelta, frantumando definitivamente la propria carriera. Finora sembra una trama classica alla Law&Order: un delitto irrisolvibile; la frustrazione d'un investigatore stretto tra l'infallibilità e la sete di vendetta d'un pubblico moloch che, sfruttando una scorciatoia, arriva alla soluzione che intuisce certa; un colpevole

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che, dimostrata la costruzione a tavolino della prova incriminate, si rileva innocente. Tutto chiaro, banale, almeno fino a che Carrisi ribalta le parti. In un incontro pubblico sotto le telecamere, l'investigatore scopre la prova inoppugnabile che lega l'innocente carnefice all'agnello sacrificale. L'investigatore sa! Il colpevole pubblicamente innocente sa! Donato tiene fede al contratto col lettore facendo raccontare al colpevole, in un monologo prima di sacrificare la vittima, i motivi che lo spingono ad un atto così abietto. A questo punto l'investigatore è certo che il suo istinto non si è sbagliato. Le sue azioni hanno fatto sfuggire il colpevole alla giustizia, ma non al suo giudizio. Arriviamo così al cuore della cipolla sfogliata da Carrisi, che ci delizia con l'ultimo colpo di scena. Il testimone del racconto fatto dall'investigatore è chi ha ispirato il rapimento, motore di tutta la narrazione. L’ispiratore ingiudicato di tutte le azioni presenti nella narrazione rimarrà impunito, mentre la nebbia continua a sottrarre i corpi delle vittime, trattenendosi per se. Il libro: La ragazza nella nebbia Autore: Donato Carrisi Anno di Pubblicazione: 23 novembre 2015 Editore: Longanesi Prezzo: 9,99€/15,81€

Nebbia e ghiaccio, cos’altro in una notte invernale lungo una strada persa tra le alpi. Altrettanto banale e scontato l’uscire di strada e finire in un fosso. Una notte come tante altre, su di una strada come tante altre e un seccante imprevisto per tutti, non per l’agente speciale Vogel. L’arrivo dei soccorsi trova Vogel illeso ma sotto shock. Amnesia selettiva. L’agente speciale Vogel non ricorda cosa ci fa a due passi da Avechot, paesino perduto tra le montagne e saltato sulla ribalta nazionale per la scomparsa di una sua giovane concittadina due mesi prima. Vogel era stato mandato ad indagare, scoprire e ritrovare. Caduto in disgrazia per un caso precedente, Vogel accoglie questa seconda occasione, sfoderando tutto il meglio e il peggio del suo repertorio. Il torpore di Avechot viene scosso dalla fame di notizie dei media, così che l’agente speciale Vogel possa disporre di risorse e fondi. Come un freddo giocatore di Texas Hold’em su tavoli milionari, Vogel attende mentre la pressione mediatica fa crescere il piatto. Gioca la sua mano e perdere tutto. Una wildcard inattesa lo fa cadere vittima della sua arroganza, ripercorrendo un copione già visto. Quando il destino gli serve la mano giusta, Vogel è già fuorigioco ma continuerà a giocare e vincere per conto d’una giusta vendetta. Mentre l’agente speciale ripercorre i suoi ricordi narrandoli, l’ascoltatore attende il dipanarsi della storia per capire a chi appartiene il sangue che macchia la camicia di Vogel. L’ascoltatore sa; questa notte c’è stata una vittima che, come la ragazza, è nascosta nella nebbia.

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VOCI DAL PASSATO, Pino Campo https://www.facebook.com/pino.campo.3 PIZZE&MATTONI, Grazia Maria Francese www.facebook.com/Roh.saehlo?ref=bookmarks

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LE PENNE DELLA STORIA, Stefania Bernardo http://stefaniabernardo.blogspot.it/ DISCOVER THE COVER, Paola Catozza http://bookswhatelse-it.blogspot.it/ http://paolcatoz.wix.com/catozzapaola https://www.facebook.com/paolacatozzadigitalart https://www.facebook.com/pages/Books-what-else-/712410285521729?fref=ts LA LIBRERIA DI L. CASSIE, L. Cassie http://lcassie.blogspot.it/ https://www.facebook.com/L-Cassie-Autrice-432760796905397/ https://www.facebook.com/groups/436544756504896/?fref=ts

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